Analisi trascrittomiche delle cellule somatiche del latte

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali
Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e Gestione
degli Agroecosistemi
Analisi trascrittomiche delle cellule somatiche
del latte di pecora
Relatori:
Candidata:
Prof. Andrea Cavallini
Prof. Tommaso Giordani
Correlatore:
Prof. Marcello Mele
Anno Accademico 2015/2016
Giulia Pasqualetto
Indice
1
INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 2
1.1
La componente lipidica del latte e salute umana ..................................................................... 3
1.2
Altre componenti nutrizionali del latte ................................................................................... 10
1.3
Effetto della dieta sulla componente lipidica del latte .......................................................... 12
1.4
Analisi del trascrittoma ............................................................................................................. 14
1.4.1
1.5
RNA-seq e sequenziamento Illumina ............................................................................. 14
Milk somatic cells (MSC) e studi di espressione genica ....................................................... 17
2
SCOPO DEL LAVORO.................................................................................................................. 20
3
MATERIALI E METODI .............................................................................................................. 21
3.1
Raccolta dei campioni ............................................................................................................... 21
3.2
Estrazione dell’RNA totale da MSC ....................................................................................... 22
3.3
Analisi RNA-seq ........................................................................................................................ 23
3.4
Analisi dei dati di sequenziamento .......................................................................................... 24
4
RISULTATI E DISCUSSIONE ..................................................................................................... 25
5
PROSPETTIVE FUTURE E CONCLUSIONI ......................................................................... 35
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................................................... 37
Introduzione
1 INTRODUZIONE
Nei Paesi a economia avanzata l’incremento nella popolazione dei casi di obesità, malattie
cardiovascolari e di sindrome metabolica, osservabile anche nelle fasce di età più giovani, sta
destando forte preoccupazione nelle istituzioni sanitarie. Per far fronte a questo problema molti
Paesi hanno elaborato strategie di educazione alimentare, che si articolano in vere e proprie linee
guida per una sana alimentazione, al fine di migliorare le abitudini alimentari dei consumatori e
diminuire l’incidenza delle patologie sopra citate, con conseguente sgravio delle spese sanitarie.
Nell’ambito di queste linee guida, al latte e ai latticini viene riconosciuto un ruolo
importante, in funzione del significativo contributo che tali alimenti apportano in termini di
nutrienti indispensabili al regolare sviluppo corporeo e al mantenimento di un soddisfacente stato
di benessere.
Col termine nutraceutica, neologismo ottenuto dall’unione dei termini nutrizione e
farmaceutica, si fa riferimento a una nuova disciplina scientifica che punta a individuare i
costituenti benefici (nutraceutici) racchiusi negli alimenti, che possono avere effetti positivi sulla
salute umana e quindi contribuire alla prevenzione di malattie. Negli ultimi anni la ricerca
scientifica in questo ambito mira a valorizzare e migliorare la qualità degli alimenti, cercando di
arricchirli di composti bioattivi con qualità nutraceutiche.
Il miglioramento della qualità nutraceutica del latte e dei suoi derivati è un obiettivo
perseguito per adeguare questo prodotto alle attuali esigenze nutrizionali e produttive.
Le caratteristiche nutrizionali dei formaggi sono molto diversificate e ancora non del tutto
rivelate, proprio in virtù dell’elevata complessità della materia prima da cui vengono prodotti. La
composizione del latte, a sua volta, è influenzata dall’alimentazione, dal sistema di allevamento e
dalle razze di animali utilizzate (Rook, 1961; DePeters e Cant, 1992; Kennelly et al., 2005). Su
questo livello di complessità si innesca poi quello ascrivibile all’effetto della stagionatura dei
formaggi e delle attività metaboliche dei batteri lattici nativi e contenuti nei lattoinnesti. Tali
fattori sono responsabili della peculiarità dei vari formaggi non tanto per il contenuto in
macronutrienti quanto per la composizione della frazione lipidica, della frazione proteica e per la
presenza di alcune componenti minerali del latte. Negli ultimi anni è proprio sul miglioramento
delle proprietà nutraceutiche della componente lipidica del latte che si stanno incentrando gli
sforzi della comunità scientifica. In commercio, ad esempio, troviamo un formaggio chiamato
“amico del cuore”, ottenuto da latte di pecore alimentate con una dieta arricchita con semi di
lino, che può essere consumato anche da persone che soffrono di colesterolo alto poiché ricco di
acidi grassi polinsaturi (PUFA) e di acidi grassi “buoni”, come gli acidi grassi Omega-3 e l’acido
2
Introduzione
linoleico coniugato (CLA) che sembra avere proprietà nutraceutiche e con un minor contenuto di
acidi grassi saturi.
1.1
La componente lipidica del latte e salute umana
La frazione lipidica del latte riveste un ruolo importante sia a livello nutrizionale che per la
presenza di sostanze bioattive che possono avere un ruolo nutraceutico.
Gli acidi grassi si possono classificare in saturi, monoinsaturi e polinsaturi. I principali
acidi grassi saturi che si conoscono sono l’acido laurico, l’acido miristico e l’acido palmitico,
presenti in significative quantità nei prodotti lattiero-caseari (latte e formaggi) e in alcuni oli
vegetali, come l’olio di palma, l’olio di cocco e il burro di cacao. Un altro acido grasso saturo
degno di nota è l’acido stearico, tipico del grasso di copertura del suino (lardo) e del bovino
(sego). In generale gli acidi grassi saturi (SFA), soprattutto l’acido miristico, sono associati a un
incremento nell’uomo della concentrazione ematica di lipoproteine a bassa densità (LDL) e
quindi del tasso di colesterolo circolante cosiddetto “cattivo” (McNamara, 2000), parametro che,
a sua volta, è associato a un incremento del rischio di malattie cardiovascolari (Ulbricht e
Southgate, 1991; Bonanorme e Grundy, 1988),
Il più importante acido grasso monoinsaturo (MUFA) è l’acido oleico, (C18:l, cis9), con
azione ipocolesterolemizzante (Lairon, 1997), principale costituente dell’olio di oliva ma presente
anche nel latte; questo acido può essere sintetizzato dall’organismo di tutti i mammiferi, incluso
l’uomo, e per questo motivo non è considerato un acido grasso essenziale. Per quanto concerne il
ruolo di alcuni acidi grassi monoinsaturi è stato universalmente riconosciuto come questi oltre a
ridurre la concentrazione di lipoproteine a bassa densità presenti nel torrente circolatorio,
rallentino l’ossidazione del colesterolo espletata dai radicali liberi circolanti e inibiscano
l’aggregazione piastrinica, quindi la conseguente formazione di trombi (Secchiari, 2014). Per
quanto riguarda gli isomeri trans degli acidi grassi monoinsaturi, questi hanno un effetto negativo
nei confronti della salute umana, ritenuto analogo o addirittura superiore a quello esercitato dagli
acidi grassi saturi (Pedersen, 2001). Essi, infatti, oltre ad agire negativamente sulla colesterolemia
totale, innalzando il colesterolo LDL e facendo diminuire il colesterolo HDL (High Density
Lipoproteins, Hunter, 2006), possono, soprattutto alcuni, come l’acido elaidico (C18.-1 t9), e il
C18:1 tl0, essere correlati con patologie coronariche e possono avere anche azione citossica.
Nell’alimentazione umana la maggiore fonte di acidi grassi trans è rappresentata da oli e grassi
idrogenati durante i processi industriali per rendere concreti gli oli vegetali, come avviene per la
produzione di margarine. Per quanto riguarda l’acido vaccenico (C18:1 t11), il principale acido
grasso trans presente nel grasso del latte, non sono noti effetti negativi sulla salute umana. Al
3
Introduzione
contrario, si suppone possa avere effetti positivi essendo il precursore della sintesi endogena
dell’acido linoleico coniugato C18:2 c9, t11.
Tra i PUFA, gli n-3 (Omega-3) e gli n-6 (Omega-6) hanno un ruolo nutraceutico di
considerevole importanza. Essi derivano dall’acido linoleico (n-6) e linolenico (n-3). Mentre i
metaboliti degli n-3 hanno sempre una funzione positiva sia sulla CHD (Coronary Heart Desease),
sia sui disturbi del ritmo cardiaco, sia di tipo antitumorale, più incerto è il ruolo degli acidi grassi
n-6.
Gli acidi grassi Omega-3 sono così chiamati perché il primo doppio legame si trova sul
terzo carbonio della catena contando a partire dal gruppo metilico (carbonio omega). In relazione
alla posizione del doppio legame rispetto al metile terminale, gli acidi grassi insaturi possono
venire divisi in serie: Omega-9 oleica, Omega-7 palmitoleica, Omega-6 linoleica, Omega-3
linolenica. Le ultime due serie sono essenziali per l’organismo perché devono essere fornite con la
dieta in quanto i sistemi di desaturazione del metabolismo degli animali, uomo compreso, non
riescono a introdurre doppi legami oltre il carbonio 9 (Simopoulos, 2002).
I due principali PUFA di tipo -6 sono l’acido linoleico, presente in molti oli vegetali come
l’olio di semi di mais, l’olio di soia, l’olio di semi di girasole, e parzialmente anche nelle carni di
suino e di pollo, e l’acido arachidonico (C20:4 n-6) che deriva dall’acido linoleico ed è presente
soprattutto nei grassi delle carni di tutti gli animali. Gli acidi grassi -6 sono quindi caratteristici
soprattutto dei cereali, dei semi di oleaginose e delle carni di quegli animali che con queste fonti
vegetali vengono solitamente alimentati. In generale nell’età adulta l’eccesso di PUFA n-6 può
sviluppare effetti pro-infiammatori, perché precursori di eicosanoidi (glicolipidi) come
prostaglandine, trombossani e prostacicline di tipo 1 e 2, coinvolte anche nei processi di
aterogenesi e di cancerogenesi. Queste molecole determinano l’inibizione della apoptosi, la
stimolazione della proliferazione cellulare, l’adesione tra le cellule tumorali che migrano attraverso
il torrente circolatorio, favorendo la formazione di metastasi. Se l’acido arachidonico ha
nell’adulto ripercussioni negative sulla salute, esso risulta utile durante la fase neonatale per lo
sviluppo del cervello e del sistema nervoso.
I principali acidi grassi polinsaturi della serie-3 sono l’acido alfa-linolenico, (18:3 cis9 cis12
cis15) di cui sono ricchi i vegetali a foglia verde e l’olio di semi di lino, e altri due acidi grassi
conosciuti con le sigle EPA (EicosaPentaenoic Acid, acido eicosapentaenoico) e DHA
(DocosaHexaenoic Acid, acido docosaesaenoico). Le piante risultano essere la fonte primaria di
PUFA n-3 sia negli ecosistemi marini che in quelli terrestri, in quanto hanno la capacità di
sintetizzare de novo l’acido linolenico dalla cui elongazione e desaturazione traggono origine l’EPA
e il DHA (Figura 1). Questi ultimi sono acidi grassi polinsaturi a lunga catena presenti in quantità
4
Introduzione
Figura 1: Sintesi EPA e DHA.
significativa solamente nelle carni di pesce, in quanto sono caratteristici delle catene trofiche
acquatiche – fitoplancton e zooplancton – di cui si nutrono molte specie di acqua dolce e marina.
Si trovano anche in minori quantità nella componente lipidica del latte e delle carni di tutte le
specie. Indagini scientifiche hanno messo in evidenza come il consumo di acidi della serie omega3, in particolar modo l’EPA e il DHA, contribuisca a ridurre il rischio di numerose malattie
nell’uomo, quali disturbi di sviluppo cerebrale e della retina, disfunzioni neurologiche, disordini
autoimmunitari, malattie cardiovascolari, in particolare coronaropatie (Pike, 1999). Gli effetti
biologici di EPA e DHA, comprendono la regolazione della quantità di lipoproteine ematiche, la
riduzione della pressione sanguigna, ma anche azioni sulla funzione cardiaca, endoteliale, sulla
reattività vascolare, portando a un minore rischio di infarto e CHD (Coronary Heart Desease),
nonché importanti effetti antipiastrinici e antinfiammatori (Calder, 2004). L’EPA e il DHA
riducono i lipidi ematici, mentre aumentano le lipoproteine ad alta densità (HDL, High Density
5
Introduzione
Lipoproteins o “colesterolo buono” così detto perché allontana il lipide dalla periferia
riportandolo nella sede di accumulo, ovvero il fegato); esplicano effetto antitrombotico,
riducendo i trombossani pro-aggreganti (TXA2) e aumentando le prostacicline vasodilatatorie
(PG13), contrastando così l’aggregazione piastrinica e impedendo pertanto la conseguente
occlusione dei canali arteriosi, favorendo la prevenzione delle aritmie e la stabilizzazione del
battito cardiaco. L’attività antinfiammatoria si esplica attraverso la produzione di particolari
glicolipidi chiamati eicosanoidi (PGE3, PG13, TXA3), che riducono gli effetti degli agenti proinfiammatori. Le raccomandazioni delle autorità internazionali per quanto riguarda l’assunzione
di EPA e DHA vanno da 200 a 650 mg/g (Nishida et al., 2007).
Occorre sottolineare che i PUFA della serie n-3 hanno la capacità di ridurre la biosintesi
degli eicosanoidi pro-infiammatori, derivanti dall’acido arachidonico, grazie all’inibizione di
enzimi come la cicloossigenasi-2 (COX-2) (Larsson et al., 2004; Calder, 2008). Inoltre le vie
sintetiche dei prodotti derivanti dalle serie n-6 e n-3 utilizzano gli stessi enzimi, con una maggiore
affinità per desaturasi ed elongasi da parte dei PUFA n-3 rispetto ai PUFA n-6. Di conseguenza il
rapporto n-6/n-3 ovvero tra acidi grassi Omega-6 e Omega-3 è considerato un parametro molto
importante per la valutazione del regime alimentare perchè determina la formazione di derivati
con effetti opposti sulla salute. Secondo la FAO/WHO il rapporto dovrebbe essere pari a 4:1,
sebbene il valore ottimale è spesso funzione della condizione fisiologica considerata (Simopoulos,
2002). Secondo McAfee (McAfee et al., 2010), tuttavia, più del rapporto n-6/n-3 sarebbe
importante considerare la quantità assoluta di PUFA n-3 ingeriti giornalmente.
Purtroppo
attualmente il rapporto n-6/n-3 della dieta, soprattutto nelle popolazioni dei Paesi Occidentali, ha
raggiunto valori molto elevati rispetto alle popolazioni del neolitico o anche solo di un secolo fa,
principalmente a causa dell’agricoltura e successivamente dell’evoluzione dei sistemi di
produzione agricola. È con la rivoluzione industriale, infatti, che inizia la fase
dell’intensivizzazione delle produzioni agricole, ivi compresi gli allevamenti animali, che hanno
portato a una modificazione dei sistemi di alimentazione degli erbivori, introducendo nella loro
dieta quantità crescenti di cereali, per migliorarne la produttività. Questi processi, nel tempo,
hanno portato a una riduzione sostanziale della complessità nutrizionale con tipologie di alimenti
in precedenza sconosciuti o caratterizzati da una composizione nutrizionale assai differente
rispetto al passato. Se da un lato si è avuto un netto miglioramento della sicurezza alimentare in
termini di possibilità di accesso al cibo da parte della popolazione, dall’altro si sono modificate
profondamente le caratteristiche nutrizionali della componente lipidica delle carni e del latte
rendendoli più ricchi in grasso e con un maggior contenuto di acidi grassi saturi, di acidi grassi
polinsaturi omega-6 e isomeri trans come C18:1 trans-10 e trans-9, associati con aumenti della
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Introduzione
colesterolemia nell’uomo. Questi cambiamenti, assieme all’introduzione nella dieta dell’uomo
moderno di elevate quantità di oli di semi, grassi idrogenati, zuccheri semplici raffinati, farine
raffinate, sono considerati tra i maggiori fattori dietetici che predispongono allo sviluppo di
alcune patologie come diabete, obesità e disturbi dell’apparato cardio-circolatorio che affliggono
le società sviluppate (Buccioni et al., 2011).
Sulla base di queste considerazioni, e anche in conseguenza delle raccomandazioni da
parte dei medici a incrementarne l’assunzione quotidiana, vi è una crescente richiesta di alimenti
con un rapporto n-6/n-3 più basso.
L’apporto di acidi grassi Omega-3 può essere aumentato attraverso il consumo di alimenti
che naturalmente ne contengono elevate quantità, come nel pesce (Pike, 1999). Un’altra
possibilità per aumentare acidi grassi Omega-3 nella nostra dieta consiste nell’arricchimento di tali
acidi grassi in alimenti derivanti dagli animali come carne o latte, somministrando agli animali
allevati diete arricchite con acidi grassi Omega-3. In questo caso, il vantaggio consiste nel fatto
che i consumatori non sono costretti a modificare le proprie abitudini alimentari per aumentare
l’apporto di acidi grassi Omega-3.
I CLA
Un altro gruppo di acidi grassi polinsaturi che stanno ricevendo attenzione in ricerca
nutrizionale sono gli isomeri coniugati dell’acido linoleico (CLA) (Figura 2). Essi sono una
miscela di isomeri posizionali e geometrici del C18:2 in cui i due doppi legami sono coniugati. E’
stata dimostrata una significativa azione benefica dei CLA con effetti antitumorali inducendo
l’apoptosi delle cellule cancerogene del colon HT-29 e inibendo la cancerogenesi mammaria.
Studi condotti in vitro o su modelli animali hanno fatto ipotizzare un’azione antiaterosclerotica
dei CLA attraverso l’inibizione della trascrizione di diversi geni coinvolti nei processi di
formazione di placche aterosclerotiche. Sono stati ipotizzati anche effetti antidiabetici, sul
controllo dell’angiogenesi, attività anti-infiammatorie e di modulazione immunitaria nonché un
ruolo nella riduzione della deposizione lipidica e dei trigliceridi ematici (Bhattacharya et al., 2006).
La principale fonte alimentare di CLA negli esseri umani deriva da alimenti provenienti da
ruminanti, con prodotti lattiero-caseari che rappresentano circa il 70% e carni di ruminanti per un
altro 25% (Bauman et al., 2006). L’isomero largamente più rappresentato tra i lipidi del latte dei
ruminanti è il cis-9, trans-11 CLA (acido rumenico).
7
Introduzione
Figura 2: Isomeri coniugati dell’acido linoleico (CLA).
Si stima che utilizzando prodotti lattiero-caseari arricchiti naturalmente con acido rumenico
e C18:1 trans-11 (acido vaccenico), suo precursore, l’assunzione giornaliera di CLA può essere
aumentata oltre 1 gd-1 rispetto a quella attuale di 95-452 mg d-1 (Van Wijlen e Colombani.,
2010). L’uomo, infatti, è in grado di convertire l’acido vaccenico assunto dalla dieta in acido
rumenico, grazie all’attività della Stearoil CoA Desaturasi.
Nei poligastrici la sintesi dei CLA avviene sia a livello ruminale, a seguito del processo di
idrogenazione dell’acido linoleico contenuto nella dieta, sia a livello dei tessuti, attraverso l’azione
dell’enzima Stearoil-Coenzima A-desaturasi (SCD), a partire dal C18:1trans11 (VA), un altro
intermedio della bioidrogenazione ruminale derivato dalla componente lipidica insatura di origine
alimentare (Bauman et al., 2001) (Figura 3).
Una volta giunti nel rumine i trigliceridi e i fosfolipidi provenienti dalla dieta subiscono
una prima azione da parte della microflora batterica la quale, a mezzo di opportune lipasi, scinde i
legami estere esistenti tra i singoli acidi grassi e il glicerolo. Gli acidi grassi così liberati sono
sottoposti a una massiccia idrogenazione in cui assume un ruolo determinante la microflora
batterica. Oggi è appurato che il complesso meccanismo d’idrogenazione ruminale avviene in
diversi steps e che la sequenza completa di bioidrogenazione non coinvolge un solo gruppo
batterico. A tal proposito la microflora batterica è suddivisibile in due gruppi a seconda dei
prodotti finali delle reazioni che li riguardano (Bauman et al., 2001):

Batteri del gruppo A: utilizzano come substrato gli acidi linoleico e alfa-linolenico e
generano come prodotto finale il VA (C18:1 trans11) mediante reazioni di
isomerizzazione e riduzione;
8
Introduzione

Batteri del gruppo B: utilizzano come substrato il C18:1 trans11 e hanno come prodotto
di reazione il C18:0 (Acido stearico, SA) (Bauman et al., 2001).
Figura 3: Biosintesi dei CLA.
Isomerasi e ruduttasi dei batteri del gruppo A “preparano” modificando l’acido grasso
libero con doppi legami in posizione cis9 e cis12, per la successiva azione dei batteri del gruppo
B, che trasformano l’acido vaccenico nell’acido saturo corrispondente, vale a dire il C18:0 acido
stearico (SA) (Bauman et al., 2001; Destaillats et al., 2005).
Gli steps che conducono all’ottenimento di C18:1 trans11 (VA) procedono piuttosto
rapidamente, mentre lo step successivo, da C18:1 trans11 a C18:0 avviene piuttosto lentamente
determinando un accumulo di acido vaccenico (VA) a livello ruminale (Bauman et al., 2001). Di
conseguenza buona parte del VA by-passa la barriera ruminale e, insieme ad altri acidi grassi
polinsaturi che non subiscono bioidrogenazioni a livello ruminale, viene assorbito dall’intestino e
distribuito nel sangue ai vari tessuti compresa la ghiandola mammaria.
A livello tissutale l’acido vaccenico costituisce il substrato per l’enzima Δ9 desaturasi
(SCD), un complesso multienzimatico che aggiunge un doppio legame cis in posizione 9,
9
Introduzione
fornendo come prodotto finale di reazione il C18:2 cis 9, trans 11 ovvero l’acido rumenico (CLA)
(Ntambi, 1995; Bauman et al., 2001).
1.2
Altre componenti nutrizionali del latte
Frazione proteica
È ampiamente risaputo che il tenore proteico e il profilo caseinico del latte sono influenzati sia da
aspetti alimentari (anche se in misura minore rispetto alla componente lipidica) che da fattori non
nutrizionali, quali ad esempio la specie animale, la razza, lo stadio di lattazione, l’ordine di
parto/lattazione e diversi fattori manageriali e ambientali (Rook, 1961; DePeters e Cant, 1992;
Kennelly et al., 2005).
Le caseine costituiscono l’80% delle proteine del latte e risultano importanti sia a livello
nutrizionale sia per il processo di cagliatura. Recenti studi hanno evidenziato il ruolo funzionale di
altre proteine native del latte al di là del loro valore nutrizionale e, inoltre, la presenza di peptidi
che si originano dalla proteolisi di proteine native del latte che si vengono a formare durante la
stagionatura del formaggio e durante l’attività digestiva nell’intestino dell’uomo, per i quali sono
state evidenziate differenti funzioni bioattive (Tabella 1) che ricadono principalmente in attività
anti-ipertensive, antitrombotiche, immunomodulatorie, di crescita e riparazione cellulare, e di
regolazione dell’assorbimento di nutrienti come matalli, fosforo e calcio (Mele e Bulleri, 2015).
La scoperta dei fattori bioattivi nelle proteine del latte ha aggiunto una ulteriore
dimensione alla definizione del valore nutritivo del latte e per questa ragione si prospettano
interessanti opportunità per l’industria casearia e il suo indotto (Mills et al., 2011).
Proteina di origine
K-caseina
Funzione
Anti ipertensivi, agonisti di oppioidi,
immunoregolatori e carriers di metalli
Antitrombotici e agonisti di oppiodi
Siero-proteine
Anticancerogeno, regolazione peso
-lattoglobulina
Lisozima
Trasporto retinolo e acidi grassi
Assorbimento Ca, immunomodulazione,
agonisti di oppioidi
Antimicrobico, assorbimento Fe, agonista di
oppioidi
Antimicrobico
Lattoperossidasi
Antimicrobico
Proteoso-peptoni
Precursori peptidi bioattivi
Glicomacropeptide
Antivirale
-caseina e -caseina
lattoalbumina
Lattoferrina
Tabella 1: Attività biologiche delle principali proteine del latte (adattato da Mills et al., 2011).
10
Introduzione
Frazione glucidica
Con i lipidi e le proteine, i glucidi sono la terza componente per importanza nel latte e la loro
concentrazione si aggira mediamente intorno a 4-10 g/100 g fra le varie specie animali. Il glucide
principale del latte è il lattosio, un disaccaride costituito da una molecola di glucosio e una di
galattosio, lo zucchero semplice caratteristico del latte e fondamentale come costituente delle
guaine mieliniche che rivestono il tessuto nervoso. Il lattosio presente nel latte aumenta
l’assorbimento di calcio mantenendolo in forma solubile per cui può essere considerato una
molecola bioattiva. La concentrazione di lattosio nel latte è direttamente legata alla produzione di
latte conseguita dall’animale: un calo della secrezione del disaccaride, anche per carenze
energetiche, ha come conseguenza la diminuzione della quantità di latte prodotto (Succi, 1997).
Nel latte di vacca e di capra il contenuto di lattosio è circa 4,8 g/100 g mentre in quello di bufala
e pecora è di circa 5,2 g/100 g. L’impossibilità di digerire il lattosio è alla base della così detta
“intolleranza al lattosio” che di fatto impedisce il consumo di latte. Essa consiste essenzialmente
in una carenza di lattasi intestinale che limita l’idrolisi e, quindi, la digeribilità di questo
carboidrato.
Frazione minerale
Di notevole importanza dal punto di vista nutrizionale è il notevole contenuto in minerali del
latte (in particolare di calcio) e il favorevole rapporto calcio:fosforo (Sanz Ceballos et al., 2009). La
percentuale di sali minerali presenti nel latte rappresenta circa l’1% della sostanza secca totale.
Essi si presentano sotto forma di cationi (calcio, sodio, potassio, magnesio) e anioni (fosforo
inorganico, citrato, cloruro) e la loro forma molecolare influenza il livello di assorbimento da
parte dell’organismo. Il calcio è un elemento fondamentale per la salute dell’uomo, soprattutto
per il sistema muscolo-scheletrico e il suo assorbimento è facilitato sia dalla presenza di lattosio,
sia dalla presenza del notevole contenuto proteico nel latte che ne favorisce l’assorbimento a
livello intestinale. Gli ioni nel latte inoltre giocano un ruolo fondamentale nella struttura e nella
stabilità delle micelle di caseina (Gaucheron, 2005).
La dieta non sembra influenzare significativamente il tenore dei macro-elementi del latte
(Ca, P, Mg, K, Na, Cl, S) mentre più influenzabili dall’alimentazione sembrano essere le
concentrazioni dei micro-elementi. Il loro assorbimento può dipendere non solo dalla quantità
totale presente nella dieta ma anche dalla forma chimica nella quale l’elemento si trova (Coni et al.,
1995). Ad esempio i cationi come Cu, Mn e Zn hanno concentrazioni nel sangue, tessuti e latte
largamente indipendenti dall’assunzione, poiché sono collegati alla regolazione dell’assorbimento
11
Introduzione
nell’intestino che tende a non trasferirli. Al contrario gli anioni come Se e I sono facilmente
trasportati attraverso le membrane del tratto digestivo. A questo proposito, a causa del suo
importante ruolo per la salute umana, essendo coinvolto nel corretto funzionamento della tiroide,
negli ultimi anni si è cercato di aumentare la concentrazione di Se nel latte modificando la dieta di
ruminanti (Moschini et al., 2010).
Vitamine
Nel latte le vitamine A (retinolo), E (-tocoferolo), B1, B2, B6 e C sono quelle maggiormente
rappresentate insieme alla vitamina B5 (acido pantotenico). La quantità di vitamine può essere
aumentata con la dieta ad esempio utilizzando foraggio fresco o semi di lino.
Anche il contenuto di vitamina D è apprezzabile. La vitamina D agisce fortemente sul
processo e sull’entità della crescita cellulare; è stato anche riconosciuto un ruolo specifico di tale
molecola nella differenziazione della ghiandola mammaria (Moorman e Terry, 2004).
L’arricchimento di vitamina D nel latte attraverso strategie di tipo alimentare risulta più difficile
rispetto ad altre vitamine poiché il trasferimento di questa vitamina liposolubile dal plasma al latte
non risulta molto efficiente.
1.3
Effetto della dieta sulla componente lipidica del latte
I lipidi nel latte rappresentano la componente più variabile, sia dal punto di vista quantitativo che
qualitativo. I diversi fattori che influenzano la percentuale di grasso del latte e il profilo in acidi
grassi sono: fattori alimentari, specie, razza, stadio di lattazione e ordine di parto degli animali,
condizioni manageriali e ambientali. La dieta è il fattore che influisce maggiormente sulla
componente lipidica.
Le azioni benefiche riconducibili all’acido linoleico coniugato e gli acidi grassi polinsaturi
Omega-3 hanno fatto crescere un notevole interesse per sviluppare strategie di alimentazione
animale mirate ad aumentare il loro contenuto nel grasso del latte. Il contenuto di queste sostanze
è naturalmente più elevato nel latte dei piccoli ruminanti e può essere opportunamente potenziato
attraverso sistemi di alimentazione naturali e rispettosi del benessere degli animali (Mele, 2009).
Ad esempio l’utilizzo nell’alimentazione del gregge di foraggio verde, che presenta un’elevata
quantità (50-70%) di acido linolenico, garantisce un costante apporto nella dieta degli animali di
acidi grassi polinsaturi Omega-3 (PUFA n-3), consente di ottenere nel latte dei ruminanti una
riduzione della quota di acidi grassi saturi e un aumento della frazione di polinsaturi n-3, di
isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA) e del loro precursore acido vaccenico, favorevole alla
12
Introduzione
salute del consumatore (EFSA 2008; Buccioni et al., 2010).
Anche l’introduzione nella dieta dei piccoli ruminanti di fonti di grasso vegetale, ad
esempio semi di lino, si è dimostrata una strategia efficace per aumentare il contenuto di acidi
grassi ad azione bioattiva. Il contenuto in olio dei semi di lino è variabile in funzione della varietà
e dell’ambiente di coltura, ma può superare il 40% del peso. L’olio rappresenta uno degli oli
vegetali con la più alta concentrazione di alfa-linoleico, (Omega-3, 53,5%), con l’acido linoleico
(Omega-6) che risulta presente intorno al 14%, una percentuale inferiore a quella dell’acido oleico
(22%) mentre acido palmitico e stearico sono presenti in minore concentrazione (5%).
L’estrusione del seme, ottenuta mediante trattamenti ad alte pressioni e conseguenti passaggi con
alte temperature, provoca la cottura degli amidi, aumenta la digeribilità delle proteine vegetali,
determina un’azione protettiva sugli acidi grassi insaturi nei confronti delle bioidrogenazioni
ruminali permettendo una maggiore azione by-pass (Brunschwig et al., 2010; Doreau and Ferlay,
2015), per cui sembra essere preferibile l’impiego di semi oleosi piuttosto che dei rispettivi oli.
L’inclusione di semi di lino estrusi, nella dieta di pecore da latte determina un significativo
incremento di acido vaccenico, di CLA e di Omega-3. Tale arricchimento di norma corrisponde
anche a una diminuzione degli acidi grassi saturi (Mele et al., 2006; Mele et al., 2011). Queste
caratteristiche sono state ritrovate anche nel formaggio pecorino ottenuto a partire da questo
latte. Sulla base del contenuto di acidi grassi e della loro composizione, il formaggio arricchito
può essere considerato una fonte di “Omega-3” in accordo con le leggi dell’Unione Europea e
risulta avere un’azione positiva sulla salute dell’uomo (Mele et al., 2011; Pintus et al., 2012; Pintus
et al., 2013). Sulla base di questi studi, come già accennato, è stato commercializzato il formaggio
chiamato “amico del cuore”.
A livello della ghiandola mammaria, l’incremento di acidi grassi Omega-3 causato da una
dieta arricchita di semi di lino, oltre a modificare il profilo di acidi grassi nel latte, comporta una
profonda modulazione dell’espressione genica (Bernard et al., 2006). L’acido alfa-linolenico, in
particolare, svolge un’azione inibente sull’espressione dei geni coinvolti nella sintesi dei lipidi.
Tale effetto è stato dimostrato sui principali geni lipogenici, l’ACACA (Acetyl-Coa Carboxylase
Alpha), il FAS (Fatty Acid Synthase) e la stessa SCD-1 (Bernard et al., 2006). La dieta altera quindi
anche l’espressione di geni legati alle caratteristiche nutrizionali e nutraceutiche del latte.
In questo senso studi di espressione genica non più basate su singoli geni ma di carattere
trascrittomico, ovvero che possano fornire un quadro più ampio di come venga modificata
l’espressione genica nella ghiandola mammaria in seguito a particolari regimi di dieta cui possono
essere sottoposti i ruminanti potrebbe essere di aiuto per comprendere i meccanismi molecolari
che contribuiscono alle modificazioni delle caratteristiche del latte.
13
Introduzione
1.4
Analisi del trascrittoma
Per molti anni il progresso genetico si è basato sull’assunzione che l’interazione fra genotipo e
ambiente fosse trascurabile, in realtà esiste un’interazione profonda, complessa e tutt’altro che
chiara, fra genotipo dell’animale, alimentazione e qualità delle produzioni. Grazie al progresso
delle tecnologie in campo genomico e trascrittomico oggi è possibile approfondire tali interazioni
e mettere in luce il ruolo effettivo di alcuni nutrienti nella regolazione dell’espressione genica e, in
ultima analisi, il loro reale effetto sulla qualità dei prodotti, al di là del loro riconosciuto ruolo
nutrizionale.
Il primo prodotto dell’espressione genica è il trascrittoma, l’insieme delle molecole di
RNA derivate da quei geni la cui informazione biologica è richiesta dalla cellula in un particolare
momento. Il trascrittoma si forma in seguito a un processo chiamato trascrizione, in cui i singoli
geni vengono copiati in molecole di RNA.
Il trascrittoma comprende tutti gli mRNA che sono presenti in una cellula in un
particolare momento e le analisi trascrittomiche permettono quindi di valutare, a livello globale,
l’espressione di tutti i geni espressi in un determinato campione biologico.
Le tecnologie high-throughput per il sequenziamento del DNA negli ultimi anni sono
diventate di uso comune in biologia. Queste producono milioni di corte sequenze (reads) e sono
applicate a genomi, epigenomi ma anche per studi di trascrittomica mediante il sequenziamento di
RNA o RNA-seq.
Rispetto alle tecniche basate sul metodo di sequenziamento tradizionale Sanger, queste
nuove tecniche di sequenziamento sono caratterizzate da una più alta velocità e da elevate
prestazioni che permettono di ridurre drasticamente i tempi e i costi di sequenziamento. Inoltre,
con questi nuovi sistemi è possibile ottenere sequenze da frammenti amplificati mediante PCR
senza la necessità di effettuare il clonaggio in sistemi batterici, rendendo la procedura più
semplice e rapida. Nonostante la minore lunghezza delle sequenze ottenute, la possibilità di
effettuare un gran numero di letture in parallelo permette di ottenere in poco tempo una grande
mole di dati; è infatti necessario il ricorso ad avanzati sistemi bioinformatici per la gestione
dell’informazione ottenuta dal sequenziamento.
1.4.1
RNA-seq e sequenziamento Illumina
Attraverso la procedura di RNA-seq, dopo aver estratto e purificato l’RNA totale da un
campione, vengono isolati gli RNA messaggeri, i quali vengono frammentati attraverso un
14
Introduzione
procedimento chimico o meccanico, quindi vengono convertiti in cDNA mediante una reazione
di retrotrascrittasi costituendo una libreria di trascritti. Alle estremità di ciascun frammento della
libreria di cDNA vengono legati degli adattatori quindi l’intera libreria viene sequenziata tramite
una piattaforma high-throughput, come l’Illumina Genome Analyzer HiSeq2000 (Figura 4). Questo
processo genera milioni di “reads” ovvero sequenze lunghe fino a 150bp ottenute sequenziando
una o entrambe le estremità dei frammenti di cDNA.
Le piastre di sequenziamento o flow-cell di un Genome Analyzer Illumina sono composte di
otto lane indipendenti, sulle cui superfici sono immobilizzati due diversi oligonucleotidi con
sequenza complementare a quella degli adattatori della libreria. I frammenti di cDNA della
libreria sono immessi sulla piastra di sequenziamento, permettendo l’ibridazione tra i loro
adattatori e gli oligonucleotidi della piastra. Il legame si forma in entrambe le estremità dei
frammenti, che sono così immobilizzati sulla superficie della flow-cell, assumendo una forma “a
ponte”. Dopo l’immobilizzazione ha inizio il processo di amplificazione tramite bridge PCR.
Figura 4: Sequenziamento illumina. a) I frammenti del DNA da sequenziare
si legano agli adattatori presenti sul vetrino b) l’estremità libera di un
frammento di DNA si piega a ponte e si ibrida ad un primer adattatore
vicino con sequenza complementare (bridge PCR). c) aggiunta delle quattro
basi azotate e dei terminatori dideossi, eccitazione dei fluorocromi e
successiva acquisizione delle immagini da parte del software. d) mediante la
successione di immagini acquisite il programma codifica le informazioni
ricevute in stringhe di sequenza (reads).
15
Introduzione
Al termine di vari cicli di PCR si vengono a formare sul vetrino circa 120 milioni di
raggruppamenti (cluster), ciascuno contenente a sua volta milioni di frammenti di DNA identici.
Successivamente viene eseguito l’annealing del primer di sequenziamento ai frammenti di ogni
cluster che permette l’avvio della reazione di sequenziamento vera e propria. Con questa
tecnologia si sequenziano contemporaneamente fino a 120 milioni di frammenti di DNA per ogni
lane. Il sequenziamento avviene attraverso l’incorporazione di una base alla volta mediante
reazioni cicliche. A differenza del metodo di sequenziamento tradizionale Sanger, il
sequenziamento Illumina aggiunge dei nucleotidi dNTP a cui è inserito un terminatore
reversibile. Il terminatore è una molecola che blocca il gruppo ossidrile impedendo l’ulteriore
allungamento della catena di nuova sintesi dopo l’incorporazione di un nucleotide. Esso è detto
reversibile in quanto può essere dissociato chimicamente, riattivando la sintesi al ciclo successivo.
Dopo ogni incorporazione, un laser eccita il fluoroforo del dNTP incorporato in ogni cluster
generando un’emissione luminosa che ne permette l’identificazione. Quindi il terminatore viene
rimosso, continuando il sequenziamento mediante l’aggiunta della base successiva.
In un esperimento RNA-Seq (Figura 5) più un gene è espresso, più numerose sono le
copie del trascritto genico in un campione biologico, più numerosi sono i frammenti di cDNA
che vengono generati, e più numerose le reads sequenziate. Il numero di reads appartenenti ad un
determinato trascritto genico è quindi proporzionale all’espressione del gene (Figura 5).
Figura 5: Processo di RNA-Seq.
Per quantificare il numero di reads riferite a ciascun gene, le reads di ogni campione sono
mappate, ovvero allineate, mediante un software, su un genoma o un trascrittoma di riferimento
appartenente alla specie oggetto di studio o a una specie vicina. Nella fase di allineamento delle
16
Introduzione
reads sul riferimento ciascuna read si allinea alla posizione del genoma o del trascrittoma in cui
ottiene il miglior match ovvero che ha la maggiore omologia di sequenza (Oshlack et al., 2010).
Una volta determinate le posizioni delle reads sul riferimento, è possibile contare il numero di reads
allineate su un gene (o trascritto o esone). Il totale delle reads allineate su un gene è detto appunto
“count” e può essere inteso come una misura del livello di espressione del gene stesso (Figura 6).
Figura 6: Allineamento delle reads alla reference per quantificare l'espressione dei diversi
geni di un database di riferimento.
Per ottenere una stima precisa dei livelli d’espressione dei differenti geni di un campione
biologico, il conto del numero di reads deve essere normalizzato tenendo conto della lunghezza
del gene preso in esame e del numero totale di reads mappate sul campione (Mortazavi et al.,
2008).
1.5
Milk somatic cells (MSC) e studi di espressione genica
Il latte è un fluido biologico consumato dai neonati dei mammiferi. È costituito da macro- e
micro-nutrienti essenziali per la crescita e lo sviluppo dei neonati.
Il latte contiene una popolazione eterogenea di cellule somatiche. Le cellule somatiche
sono un insieme eterogeneo di elementi cellulari di differente origine derivanti in parte dal sangue
e dalla linfa e in parte dal tessuto ghiandolare e dei dotti galattofori della mammella.
17
Introduzione
Sono riconducibili a quattro gruppi:

Leucociti polimorfo nucleati neutrofili, nel latte di un animale sano rappresentano circa il
10%;

Macrofagi, sono circa il 60%;

Linfociti B e T, sono circa il 30%;

Cellule epiteliali, derivano dallo sfaldamento superficiale del tessuto ghiandolare della
mammella e dei dotti galattofori in conseguenza di un normale processo di rinnovamento,
sono circa lo 0 - 7%.
Nella ghiandola mammaria le cellule epiteliali sono responsabili per la sintesi e secrezione
di tutti i componenti del latte (Knight C., Peaker M., Wilde C, 1998; Lindmark-Mansson H.,
Bränning C., Aldén G., Paulsson M., 2006). Negli ultimi anni alcuni studi indirizzati all’analisi
dell’espressione genica di singoli geni coinvolti nel metabolismo lipidico o proteico a livello della
ghiandola mammaria, hanno utilizzato biopsie (Bernard et al., 2005; Baumgard et al., 2002;
Peterson, et al., 2003). Anche se queste procedure non sono distruttive perché non utilizzano
tessuti prelevati postmortem (Beswick and Kennelly, 2000), tuttavia sono laboriose e costose e
ritenute troppo invasive presentando rischi di infezioni o danneggiamenti alla mammella. Inoltre
la biopsia può disturbare il normale processo di lattazione limitando la possibilità di studi
dinamici di espressione genica in cui nella medesimo unità sperimentale vengono valutati
cambiamenti di espressione genica nel tempo (Bionaz et al., 2011).
Una valida alternativa alla biopsia è rappresentata proprio dall’analisi dell’espressione
genica di cellule somatiche del latte come dimostrato in studi più recenti (Murrieta et al., 2006;
Krappmann et al., 2012) in cui sono stati messi a confronto dati di espressione genica ottenuti da
biopsie e MSC. Studi condotti a livello trascrittomico hanno confermato come lo studio del
profilo di espressione delle MSC risulta una valida alternativa all’uso di biopsie (Toral et al., 2016).
La maggior parte dei geni espressi nel trascrittoma della ghiandola mammaria sono risultati
espressi anche nelle cellule somatiche del latte, mostrando un profilo di espressione
assolutamente comparabile (Hayashi et al., 2004; Medrano et al., 2010).
Recentemente, utilizzando MSC, sono stati condotti studi di caratterizzazione dinamica
del trascrittoma utilizzando RNA-seq su MSC di bovini e ovini allo scopo di valutare come cambi
l’espressione genica nella ghiandola mammaria nel corso della lattazione (Wickramasinghe et al.,
2012; Suárez-Vega et al., 2015). Trascritti che regolano la produzione di oligosaccaridi, anticorpi,
caseine, sieroproteine, glicoproteine di membrana dei globuli di grasso, altri che codificano per
proteine legate alla morfogenesi della ghiandola mammaria, enzimi di sintesi del lattosio, proteine
coinvolte in segnali ormonali nonché geni coinvolti nella via del metabolismo dei grassi hanno
18
Introduzione
mostrato un’espressione differente nel corso della lattazione suggerendo che modifiche di
espressione genica nelle MSC possono svolgere un ruolo importante nel regolare le proprietà del
latte.
Diversi studi si sono occupati nel passato di come possa modificarsi l’espressione di
specifici geni coinvolti nella lipogenesi in ruminanti in risposta a differenti regimi di dieta
(Bernard et al., 2005; Baumgard et al., 2002; Murrieta et al., 2006). Recentemente studi di carattere
trascrittomico si sono occupati di alterazioni di espressione genica nel fegato di bovini causate da
alterazione della dieta (Pegolo et al., 2016; Vailati-Riboni et al., 2016). Inoltre pochi studi di tipo
trascrittomico si sono occupati degli adattamenti di espressione genica a livello globale che
avvengono nella ghiandola mammaria in risposta ad una dieta arricchita di oli vegetali (IbeaghaAwemu et al., 2016). Manca un lavoro trascrittomico nella pecora da latte in grado di chiarire gli
aspetti molecolari alla base dei cambiamenti della qualità del latte portati da modificazioni della
dieta.
19
Scopo del lavoro
2 SCOPO DEL LAVORO
Il mio lavoro di Tesi prevede di valutare i cambiamenti di espressione genica, attraverso analisi
trascrittomiche, nelle ghiandole mammarie di pecore alimentate con una dieta integrata con semi
di lino estrusi. Infatti è noto come questo particolare regime alimentare sia in grado di alterare
molte caratteristiche del latte e del formaggio che ne deriva (Mele et al., 2011), nonché di
esercitare un’azione diretta sull’espressione dei geni della ghiandola mammaria (Bernard et al.,
2006), tuttavia restano da chiarire molti aspetti molecolari, ovvero quali siano i geni coinvolti in
queste alterazioni e come cambi la loro espressione.
Per evitare di procedere con biopsie, che, essendo invasive, potrebbero alterare il pattern
di espressione, abbiamo scelto di analizzare l’RNA presente nelle cellule somatiche del latte
(MSC), originate dalla desquamazione delle ghiandole mammarie.
Il lavoro di Tesi ha come obiettivi da una parte quello di mettere a punto una metodica
sperimentale per estrarre RNA totale di alta qualità da cellule somatiche del latte (MSC) di pecora
e dall’altra quello condurre analisi trascrittomiche per cercare di chiarire gli aspetti molecolari alla
base dei cambiamenti della qualità del latte causati da questo particolare regime di dieta. Queste
analisi trascrittomiche sono state effettuate attraverso la metodica di RNA-seq, utilizzando
tecnologie di sequenziamento di seconda generazione.
20
Materiali e metodi
3 MATERIALI E METODI
Per lo studio dell’espressione genica delle cellule somatiche del latte (MSC), originate dalla
desquamazione delle ghiandole mammarie di pecora è stato necessario mettere a punto una
metodica per estrarre RNA totale di alta qualità da queste cellule presenti nel latte di pecora
mettendo a confronto differenti metodologie di prelievo, di conservazione del latte appena
munto, e protocolli di isolamento di RNA da tessuti animali.
L’RNA isolato è stato utilizzato per analisi trascrittomiche mediante RNA-seq utilizzando
la tecnologia di sequenziamento Illumina.
3.1
Raccolta dei campioni
Per lo studio dei cambiamenti di espressione genica sono state utilizzate 4 pecore della razza
Comisana a metà stadio di lattazione. Dal febbraio 2016, ogni pecora è stata alimentata con una
dieta basale costituita da fieno e un concentrato commerciale per tre settimane. Successivamente
le stesse pecore sono state alimentate per 3 settimane con il medesimo fieno e con un
concentrato contenente il 20% di semi di lino estrusi. Il disegno sperimentale è riportato in
Tabella 2. Circa 600 ml di latte sono stati raccolti alle 7 di mattina e, per massimizzare la quantità
di latte e di MSC, il giorno prima del prelievo le pecore sono state munte solo la mattina. I
campioni di latte sono stati prelevati da ciascuna pecora all’inizio e alla fine dell’esperimento e
sono stati immediatamente conservati a 4°C e utilizzati per l’isolamento di RNA.
Il trattamento degli animali è stato effettuato secondo le regole del Comitato di Cura e
Utilizzo degli animali dell’Università degli Studi di Perugia.
Dieta arricchita con
semi di lino
Controllo (dieta
basale, inizio
esperimento)
4 pecore
Trattamento
4 pecore
Tabella 2: Schema sperimentale.
21
Materiali e metodi
3.2
Estrazione dell’RNA totale da MSC
Dopo avere testato diversi protocolli di isolamento di RNA da tessuti animali (utilizzando
l’RNeasy Kit (Qiagen), il TRIzol Reagent (Life Technologies) e una combinazione di questi due
prodotti), è stata messa a punto una metodica. L’RNA totale è stato isolato da cellule somatiche
del latte (MSC) di pecora, secondo il metodo descritto da Wickramasinghe et al. (2012) e da Toral
et al. (2016), con sostanziali modifiche.
Schema del protocollo utilizzato:
1. Centrifugare tubi da 250 ml di latte a 2500 rpm (1100 x g) a 4°C per 8'.
2. Eliminare il latte surnatante, rimuovere lo strato di grasso e ripulire bene il bordo del
tubo.
3. Aggiungere 40 ml di PBS 1X (NaCl 137 mM, KCl 2,7 mM, Na2HPO4 2H2O 10 mM,
KH2PO4 2 mM, pH 7,2), trattato con DEPC, con 0,5 mM Na2EDTA pH 8 freddo (4°)
per tubo.
4. Centrifugare a 2500 rpm a 4°C per 3'. Rimuovere il surnatante.
5. Aggiungere 15 ml di PBS 1X con 0,5 mM EDTA freddo (4°) per tubo e risospendere
delicatamente le cellule.
6. Trasferire e unire i pellet di cellule risospese di uno stesso campione biologico in un
nuovo tubo da 50 ml, lavare con 40 ml con PBS-EDTA freddo.
7. Centrifugare a 3000 rpm (1100 x g) a 4°C per 5’.
8. Rimuovere il surnatante capovolgendo i tubi e aggiungere 200 l di PBS freddo + 2 l mercaptoetanolo per risospendere le cellule, in ghiaccio.
9. Aggiungere alle cellule risospese 3 ml di Trizol Reagent (Life Technologies) + 30 l mercaptoetanolo, in ghiaccio, attendere 3' e, se necessario, per lisare bene le cellule,
pipettare con p1000 con puntale tagliato. Mettere a -80°C i lisati così ottenuti.
10. Scongelare il lisato, in ghiaccio, trasferire i 3 ml in tubo da 5 ml e aggiungere 600 l di
cloroformio, agitare bene, e incubare in ghiaccio 5 min.
11. Centrifugare a 9000 rpm (12000 x g) a 4°C per 15 min.
12. Recuperare il surnatante e trasferire in nuovo tubo da 5 ml, in ghiaccio.
13. Per precipitare l’RNA, aggiungere un volume di isopropanolo freddo -20 °C, miscelare
bene e incubare 30 min a -80 °C.
14. Centrifugare a 9000 rpm 4°C per 30 min.
15. Rimuovere il surnatante e lavare il pellet di RNA con 2 ml etanolo 70% a -20 °C.
22
Materiali e metodi
16. Centrifugare a 9000 rpm a 4°C per 10 min
17. Rimuovere il surnatante e risospendere in 30 l di H2O DEPC. Incubare in ghiaccio
qualche min e scaldare 30 sec in bagnetto per risospendere l’RNA.
18. Trasferire in Eppendorf e conservare a -20 °C.
Al termine delle procedure di estrazione dell’RNA i campioni sono stati trattati per 15
minuti con 1 Unità enzimatica di DNAsi per eliminare possibili tracce di DNA genomico e
successivamente purificati mediante estrazione con fenolo-cloroformio seguita da precipitazione
con sodio-acetato e etanolo secondo procedure standard (Sambrook et al., 1989).
Infine la qualità dell’RNA è stata valutata attraverso elettroforesi su gel di agarosio in
condizioni denaturanti (Sambrook et al., 1989) e mediante analisi al Agilent BioAnalyzer 2100.
3.3
Analisi RNA-seq
Da 8 campioni di RNA (vedi Tabella 2) sono state generate 8 librerie di cDNA utilizzando il
TruSeq RNA-SeqSample Prep kit secondo il protocollo del produttore (Illumina Inc., San Diego,
CA). Le librerie sono state quantificate utilizzando un Bioanalyzer 2100 (Agilent Technologies,
Santa Clara, CA) e il sequenziamento è stato eseguito mediante il sequenziatore Illumina
HiSeq2000 utilizzando la versione a 3 reagenti. Sono state ottenute sequenze paired di 125 nt di
lunghezza (in formato FASTQ) che sono state sottoposte a controllo di qualità usando FastQC
(http://www.bioinformatics.babraham.ac.uk/projects/fastqc/); inoltre è stata rilevata e rimossa
la contaminazione di adattatori. Allo scopo di ottenere sequenze di buona qualità, le estremità di
ciascuna sequenza (15 nucleotidi all’inizio e 10 nucleotidi alla fine) sono state successivamente
rimosse usando Trimmomatic (Bolger et al., 2014), Versione 0.33, con i seguenti parametri:
CROP: 115 HEADCROP: 15 LUNMIN: 100. Le sequenze (reads) sono state allineate con
sequenze di DNA ribosomiale di Ovis aries e Bos taurus per rimuovere le sequenze di rRNA
eventualmente presenti nelle librerie. Infine le reads sono state allineate al trascrittoma di Ovis aries,
versione
4.0,
disponibile
presso
(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/genome/?term=ovis%20aries)
il
(The
sito
International
NCBI
Sheep
Genomic Consortium, 2010), con una tolleranza massima di 2 disallineamenti, utilizzando CLCBIO Genomic Workbench 8.0.3 (CLC).
23
Materiali e metodi
3.4
Analisi dei dati di sequenziamento
Il livello di espressione genica è stato calcolato ed espresso come numero di Reads Per Kilobase
per Milione di reads mappate (RPKM, Mortazavi et al., 2008). I dati di espressione sono stati
valutati considerando i valori di RPKM all’inizio e alla fine dell’esperimento utilizzando il
pacchetto statistico di edgeR (Robinson et al., 2010). I cambiamenti di espressione genica tra i
trattamenti sono stati calcolati ed espressi come log2 fold changes e sono stati considerati
significativi quando il valore di RPKM relativo a un gene di un campione era almeno una volta
superiore o inferiore rispetto al valore di RPKM dello stesso gene in un altro campione, con una
correzione del p-value “false discovery rate” FDR< 0,15. L’analisi è stata limitata ai geni che
mostravano RPKM> 1 in almeno una replica, ovvero ai geni con espressione genica significativa
(Cossu et al., 2014;. Giordani et al., 2016).
L’analisi di ontologia dei geni è stata effettuata utilizzando BLAST2GO (Conesa et al.,
2005).
24
Risultati e discussione
4 RISULTATI E DISCUSSIONE
Nel mio lavoro di Tesi è stata messa a punto una metodica per isolare RNA totale di alta qualità
da cellule somatiche, isolate dal latte di pecora, per poter essere utilizzato in esperimenti di RNASeq. Dopo avere isolato e purificato le cellule somatiche attraverso centrifugazioni e lavaggi in
PBS, sono stati testati quattro protocolli per l’estrazione dell’RNA: RNeasy Mini Kit (Qiagen),
TRIzol Reagent (Life technologies), TRIzol Reagent + RNeasy Mini Kit, TRIzol Reagent modificato. Al
termine di ciascuna procedura la qualità dei campioni di RNA è stata valutata attraverso
elettroforesi su gel di agarosio in condizioni denaturanti ed è stata testata anche la qualità
dell’RNA purificato in seguito a trattamenti con DNAsi per rimuovere il DNA genomico.
Risultati migliori sono stati ottenuti seguendo il protocollo del TRIzol Reagent con opportune
modifiche descritte in precedenza.
Al termine di questa procedura i campioni di RNA sono risultati di buona qualità, sia
attraverso una valutazione mediante elettroforesi (Figura 7a), sia mediante valutazione con il
BioAnalyzer 2100 (Agilent) (Figura 7b). Dall’elettroforesi infatti è possibile osservare le bande
dell’RNA ribosomiale 28S, 18S e 5,8S mentre i valori di qualità (RNA Integrity number) ottenuti col
Bioanalyzer sono risultati superiori a 7, un valore più che sufficiente per procedere con la
costituzione di librerie di cDNA da sottoporre a sequenziamento Illumina.
La procedura messa a punto è stata utilizzata per isolare tutti gli 8 campioni di RNA da
cui sono state costruite le librerie di cDNA.
Analisi bioinformatiche preliminari delle 8 librerie di cDNA (4 di campioni di controllo e
4 di campioni trattati con lino) sottoposte a sequenziamento hanno mostrato per ciascuna libreria
un’elevata qualità per base, superiore a 30 su scala Phred (corrispondente a meno di 1/1000 di
possibilità di errore di base), tuttavia, per alcuni campioni, è stata misurata un’alta percentuale di
contenuto di GC. Questo dato indica una probabile contaminazione della libreria da RNA
ribosomiale. Per questo motivo, dopo il controllo della qualità tutte le reads delle 8 librerie sono
state mappate contro sequenze di DNA ribosomiale di Ovis aries e Bos taurus e le reads
corrispondenti all’rDNA sono state rimosse.
Complessivamente il numero totale di reads sequenziate è risultato 281.888.776. Il numero
di reads sequenziate per ogni campione, il numero di reads mantenute per le analisi dopo la
rimozione di sequenze di cattiva qualità o perché omologhe a RNA ribosomiale sono riportate in
Tabella 2. In generale, tale filtraggio ha portato alla rimozione di 94.143.852 (33,4%) reads di bassa
qualità o sequenze ribosomiali (Tabella 2).
25
Risultati e discussione
Figura 7a: Elettroforesi di 2 campioni di RNA totale isolati da MSC utilizzando la procedura
TRIzol Reagent modificata. Il primo campione è stato isolato da 500 ml di latte, il secondo è
stato isolato da 250 ml di latte.
Figura 7b: Profilo ottenuto con BioAnalyzer (Agilent) di un campione di RNA totale isolato da
MSC mediante la procedura TRIzol Reagent modificata. In basso sono indicati gli RNA Integrity
Number (RIN) e altri parametri di qualità.
Le reads così filtrate sono state allineate al trascrittoma di Ovis aries (Oar_v4.0, The
International Sheep Genomic Consortium, 2010) che è stato utilizzato come riferimento. La
percentuale di reads allineate per ciascun campione è riportata in Tabella 2.
N°
campione
Trattamento
Numero di reads
grezze
Numero di
reads dopo il
filtraggio
% di reads mappate
sul trascrittoma Oar4
Numero di reads
mappate
1
CL
28.098.370
25.682.138
88,17%
22.644.050
2
CL
26.880.020
23.336.744
77,51%
18.089.401
3
CL
48.397.516
39.530.734
67,24%
26.579.938
4
CL
25.537.932
20.359.560
70,46%
14.345.151
T1
L
34.764.246
11.941.984
82,27%
9.824.373
T2
L
45.305.912
23.821.170
75,92%
18.085.583
T3
L
46.172.488
18.620.748
69,89%
13.013.438
T4
L
26.732.292
24.451.846
81,44%
19.912.996
Tabella 2: Tabella riassuntiva delle reads utilizzate per le analisi trascrittomiche. CL, controllo del
trattamento lino; L, trattamento lino.
26
Risultati e discussione
Il numero di reads mappate sul trascrittoma di Ovis aries per ciascuna libreria è risultato
superiore a 8 milioni di reads, un numero più che sufficiente per condurre analisi quantitative di
espressione genica (Cossu et al. 2014). Sono stati calcolati i livelli di espressione genica, espressi
come valori di RPKM.
Complessivamente, rispetto ai 49.705 geni presenti nel trascrittoma di Ovis aries, versione
4.0, nei campioni analizzati sono risultati espressi, con un RPKM>1, 22.849 geni. In particolare
sono risultati espressi 21.079 geni per i campioni di controllo e 18.482 per i campioni trattati con
lino. La maggior parte dei geni (16.714) sono risultati espressi in entrambi i campioni. È
interessante osservare che il trattamento con lino ha mostrato ben 1.770 geni espressi in modo
specifico che non erano espressi nei campioni di controllo, mentre 4.367 geni espressi nel
controllo all’inizio dell’esperimento non sono risultati espressi in seguito al trattamento con il lino
(Figura 8), indicando che questo cambiamento di dieta ha determinato una profonda alterazione
dell’espressione genica nelle cellule della ghiandola mammaria.
Tra i primi geni maggiormente espressi nei campioni di controllo e nei trattati, sono stati
trovati geni codificanti per caseine (CSN3, CSN2, CSN1S1, CS1S2), per la proteina del siero
lactoalbumina (LALBA) e per il peptide B2M (beta-2-microglobulin protein), come già osservato in un
precedente studio di analisi trascrittomiche condotto su pecore (Suárez-Vega et al., 2015). Caseine
Figura 8: Diagramma di Venn relativo ai geni espressi nei nostri campioni: Dieta
basale (controllo), Lino (trattato).
27
Risultati e discussione
e proteine del siero costituiscono fino al 5,5% della composizione del latte (Pulina e Nudda,
2004) per cui non sorprende se i loro trascritti genici sono risultati particolarmente espressi. B2M
codifica per un peptide che fa parte del recettore Fc coinvolto nel trasferimento delle
immunoglobuline G (IgG) dal siero alle cellule dell’epitelio mammario e aplotipi di questo gene
sono risultati associati alla quantità di IgG nel latte di vacca (Zaho et al., 2012). Oltre a questi
trascritti, elevati livelli di espressione sono stati osservati per geni codificanti per tumor protein
translationally controlled 1 (TPT1), progestagen-associated endometrial protein (PAEP), glycosylation dependent
cell adhesion molecule-1 (GLYCAM1), ferritin heavy polypeptide 1 (FTH1), cathepsin, e per geni che
codificano per ribosomal protein come osservato in studi trascrittomici condotti su capre (Crisà et
al., 2016). La proteina TPT1 è parte delle proteine che legano il calcio e nella placenta umana
regola l’apporto di questo minerale (Arcuri et al., 2005). Il suo ruolo nelle cellule mammarie non è
ancora stato chiarito. La progestagen-associated endometrial protein corrisponde alla beta-lattoglobulina,
la proteina più abbondante nel siero del latte dei ruminanti (Hinz et al., 2012). Il gene GLYCAM1
codifica per una glicoproteina del globulo di grasso che appartiene alla famiglia delle mucine per
la quale è stato suggerito un ruolo protettivo contro malattie respiratorie e/o gastrointestinali nei
neonati e, nella ghiandola mammaria, potrebbe essere coinvolta nel trasporto e secrezione dei
grassi del latte (Le Provost et al., 2003). Il prodotto del gene FTH1 è la ferritina, una proteina che
lega il ferro e il cui ruolo nella ghiandola mammaria o nel latte non è stato ancora chiarito (Lemay
et al., 2013). Le catepsine sono proteasi coinvolte nel catabolismo di proteine del latte mentre le
ribosomal protein sono proteine strutturali dei ribosomi e l’elevata trascrizione dei geni che le
codificano conferma l’elevato grado di sintesi proteica che avviene nella ghiandola mammaria.
Il trattamento con il lino non ha comportato grosse modifiche di espressione tra i geni
maggiormente espressi nei nostri campioni; infatti, gli stessi geni sono risultati altamente espressi
sia nei campioni di controllo che in quelli trattati.
Successivamente sono state condotte analisi di espressione differenziale tra i geni espressi
nei campioni trattati col lino rispetto a quelli di controllo.
Su un totale di 22.849 geni espressi nelle MSC, la maggior parte non ha mostrato
cambiamenti dopo il trattamento. Tuttavia ben 5.805 geni sono risultati differenzialmente espressi
in seguito al supplemento di semi di lino nella dieta rispetto a pecore di controllo allevate con
dieta basale, suggerendo che questo trattamento comporti profonde modificazioni anche di tipo
quantitativo dell’espressione genica a livello di MSC. Risultati simili sono stati ottenuti nelle
cellule di fegato di vacche alimentate con CLA (Ringseis et al., 2016).
28
Risultati e discussione
Nella Figura 9 si può osservare che, in seguito al cambiamento di dieta, tra questi geni
differenzialmente espressi 2.669 sono risultati sovraespressi mentre 3.136 sono stati i
sottoespressi rispetto al controllo.
Figura 9: Volcano plot relativo ai geni espressi nel confronto Dieta basale vs Dieta basale + Lino.
In rosso sono rappresentati i geni differenzialmente espressi: geni sovraespressi rispetto al
trattamento col lino (LogFC>1), geni sottoespressi rispetto al trattamento col lino (LogFC<-1). pvalue aggiustati con un FDR < 0.15.
Il trascrittoma di MSC a diversi stadi di lattazione è già stato studiato nelle vacche
(Wickramasinghe et al., 2012) ma anche in ovini (Suárez-Vega et al., 2015). Da queste ricerche è
emerso che modifiche di espressione genica nelle MSC possono svolgere un ruolo importante
nelle proprietà del latte. Nel nostro esperimento, per cercare di capire quali funzioni abbiano i
geni differenzialmente espressi e se questi possano avere un ruolo nel regolare le caratteristiche
del latte, sono state iniziate analisi di tipo funzionale. Per questo i geni con espressione
differenziale in seguito al cambiamento di dieta sono stati annotati mediante analisi di gene ontology
(GO). Le categorie di GO più rappresentate (almeno 150 geni) sono riportate in Figura 10 e
sono state suddivise nelle tre macro-categorie principali: biological process, molecular function, cellular
component.
In seguito all’aggiunta di solo lino a una normale dieta basale, le ontologie geniche più
rappresentate per i geni sovraespressi e sottoespressi sono risultate molto simili. In particolare le
categorie col più alto numero di geni sono risultate ion binding, molecular function, enzyme binding,
biosynthetic process, signal transduction, response to stress, cellular protein modification process, protein complex,
extracellular region, cytoplasm. Questa somiglianza tra le categorie dei geni sovra e sotto-espressi
indica che il cambiamento di dieta porta al cambiamento di espressione di geni che appartengono
alle medesime ontologie.
29
Risultati e discussione
Figura 10: Distribuzione delle categorie ontologiche cui appartengono i geni differenzialmente espressi
nei diversi trattamenti. MF, BP e CC indicano le tre principali categorie ontologiche, rispettivamente
molecular functions, biological processes e cellular components.
30
Risultati e discussione
Tra i geni differenzialmente espressi in seguito al cambiamento di dieta, l’ontologia più
rappresentata della macro-categoria molecular function è risultata ion binding la quale riguarda le
attività cellulari legate agli ioni tra cui K+, Na+ and Cl- che sono importanti nella regolazione della
secrezione del latte (Silanikove et al., 2000). A questa categoria appartengono ad esempio proteine
che legano e trasportano il calcio e il fosforo, elementi importanti per il metabolismo cellulare e
dal punto di vista nutrizionale. Inoltre la componente minerale del latte ha effetti sulle proprietà
fisicochimiche del latte che influenzano ad esempio il processo di aggregazione delle micelle
caseiniche pe formare la cagliata (Park et al., 2007).
Un’altra categoria ontologica particolarmente rappresentata tra i geni sia sotto-espressi
che sovra-espressi in seguito alla somministrazione di semi di lino è risultata immune system process.
A questo gruppo appartengono geni che codificano per immunoglobuline, recettori e ligandi per
Ig che per la maggior parte sono risultati sottoespressi in seguito al trattamento col lino. Ciò
suggerisce che questo cambiamento di dieta comporti una riduzione dei processi infiammatori
spesso legati a un aumento delle cellule somatiche del latte. D’altra parte è noto l’effetto
antiffiammatorio degli Omega-3. I livelli di cellule somatiche possono influenzare le
caratteristiche sensoriali del formaggio come la durezza, l’intensità del sapore e la piccantezza
(Lurueña-Martínez et al., 2010), e il loro numero è un paramentro qualitativo fissato per legge ad
un valore che deve essere inferiore a 400000 cellule/ml. Inoltre livelli di Ig potrebbero diventare
un importante fattore qualitativo per i prodotti caseari per soddisfare la richiesta dei consumatori
di prodotti che possano aumentare le difese immunitarie (Hurley e Theil, 2011).
Tra i geni con diversa espressione tra controllo e trattato, nella macro-categoria cellular
process c’è endoplasmatic reticulum. Questo organello è legato al meccanismo secretore dei lipidi delle
cellule dell’epitelio mammario (Ghosal et al., 1994; Ibeagha-Awemu et al., 2016).
Le analisi di gene ontology fin qui condotte suggeriscono che il supplemento di semi di lino
estrusi rispetto ad una dieta basale possa determinare la modificazione dell’espressione anche di
geni che possono concorrere a modificazioni sia della qualità del latte che delle caratteristiche dei
formaggi.
Le analisi funzionali dei geni differenzialmente espressi sono ancora in corso. Alcuni geni
hanno mostrato un’espressione molto più elevata nei campioni trattati rispetto a quelli di
controllo. Tra questi ad esempio sono stati identificati MSLN (mesothelin), KLKB5 (kallikreins
related peptidase 5), DMKN (dermokine), CTSB (cathepsin B), Basic proline-rich protein-like, BGN
(Biglycan).
31
Risultati e discussione
Mesothelin è una glicoproteina di membrana che può funzionare come proteina di adesione
cellulare. E’ risultata espressa in tumori legati a cellule epiteliali (Hassan et al., 2004). KLK5 è una
serin proteasi con un possibile ruolo nella desquamazione degli epiteli (Borgoño et al., 2006),
analogamente la dermokine è una proteina che fa parte delle epidermis-specific secreted protein con
possibile ruolo nella differenziazione dei cheratinociti (Hasegawa et al., 2012). E’ possibile che una
maggiore espressione di questi geni nei campioni trattati sia legata a modificazioni strutturali
dell’epitelio ghiandolare forse legata alla maggiore quantità di acido alfa-linolenico nelle
membrane delle cellule epiteliali causato dalla dieta arricchita con questo acido grasso.
Il gene CTSB codifica per una catepsina, una proteasi coinvolta nel catabolismo di proteine del
latte che ha mostrato elevati livelli di espressione nei nostri esperimenti e nel latte di capra (Crisà
et al., 2016) e la cui espressione è risultata crescente nel corso della lattazione in uno studio
condotto su bovini (Wickramasinghe et al., 2012). Questa proteasi è contenuta nelle cellule
somatiche di provenienza del sistema immunitario
Le basic proline-rich protein-like sono glicoproteine ricche in prolina come ad esempio la k-caseina,
che presentano residui di proline disposti in modo regolare lungo la sequenza peptidica, supposti
importanti per la formazione di micelle e coaguli nel latte fondamentali per la formazione della
cagliata. Queste proteine sono presenti in molti altri fluidi corporei come sudore, saliva e lacrime
per le quali è stata supposta una funzione antimicrobica (Aluru et al., 2012) che può essere
ipotizzata anche nel latte.
I biglycan sono piccoli proteoglicani ricchi in leucina che si trovano nella matrice extracellulare di
svariati tessuti e apparati come cartilagini, tendini, muscoli e scheletro per i quali è stato supposto
un ruolo nella mineralizzazione delle ossa, nell’assemblaggio delle fibrille di collagene e nella
regolazione di processi infiammatori e di difesa contro patogeni. Un’elevata espressione di queste
proteine è stata recentemente riscontrata nel latte di capra (Yang et al., 2013), ma ancora non se
ne conosce il ruolo funzionale.
Le differenze di espressione a carico di questi ed altri geni riscontrate nei nostri esperimenti
spesso sono di difficile interpretazione perchè ancora non se ne conosce il ruolo nella ghiandola
mammaria.
Per meglio comprendere il significato biologico di queste variazioni di espressione genica
nelle MSC portate dal trattamento col lino, e quindi per sapere se queste alterazioni possano
concorrere a modificare le proprietà del latte, occorre comprendere a quali categorie funzionali
appartengano i geni differenzialmente espressi, ovvero in quali vie metaboliche siano coinvolti. In
questo senso sono state condotte delle analisi preliminari considerando oltre 500 geni candidati
che influenzano numerose caratteristiche del latte come ed esempio il profilo di acidi grassi e il
32
Risultati e discussione
contenuto di proteine (Pegolo et al., 2016; Ibeagha-Awemu et al., 2016)
Nel nostro esperimento si è potuto osservare che il trattamento con supplemento di semi
di lino cui sono state sottoposte le pecore ha provocato cambiamenti di espressione a carico di
numerosi geni che influenzano varie caratteristiche del latte: 86 sovraespressi e 59 sottoespressi.
Ad esempio i geni SCD1 (Stearoyl-Coa desaturase), FADS1 (Fatty Acid desaturase) e FAR1 (fatty acid
reductase 1) che codificano per enzimi chiave coinvolti nel metabolismo degli acidi grassi, e i geni
ELOVL5 ed ELOVL6 che codificano per due fatty acid elongase risultano repressi nelle pecore
allevate con una dieta arricchita con semi di lino rispetto a pecore allevate con una dieta basale.
Risulta represso anche il gene LPL (Lipoprotein Lipase) che codifica per una proteina di membrana
delle cellule della ghiandola mammaria importante per l’ingresso di acidi grassi inclusi nei
trigliceridi del sangue e coinvolto anche nel metabolismo dei glicerolipidi e nel PPAR (Peroxisome
proliferator-activated receptor) signaling pathway che regola il metabolismo di carboidrati, lipidi e
proteine.
Anche il gene ACSL3 (acyl-CoA synthetase long-chain family member 3) risulta represso con il
trattamento con il lino. Esso è un’isoforma della famiglia genica ACSL che codifica per enzimi
che attivano le catene di acidi grassi a lunga catena trasportati attraverso la membrana plasmatica,
prima che queste prendano parte ai processi metabolici. Una crescente espressione nel corso della
lattazione di una copia di questo gene è stata osservata in studi condotti su bovini (Bionaz e Loor,
2008), e i nostri risultati indicano che particolari regimi di dieta possono modulare l’espressione di
questi geni in pecora.
Tali dati suggeriscono che il maggiore apporto di acido alfa linolenico e altri acidi grassi
polinsaturi causati dal trattamento col lino, portano a una riduzione della lipogenesi a livello della
ghiandola mammaria, come osservato in esperimenti su caprini e bovini alimentati con oli vegetali
(Chilliard et al., 2007).
In seguito al trattamento col lino sono risultati maggiormente espressi anche geni legati
sia al metabolismo della caseina (Meggio et al., 1988), che a molteplici funzioni cellulari come il
controllo di vie metaboliche, il ciclo cellulare, signalling, trascrizione genica, come ad esempio i
geni CSNK2B (casein kinase 2, beta), CSNK1D (casein kinase 1, delta), PACSIN3 (protein kinase C e
casein kinase substrate in neurons 3).
Nei campioni trattati col lino inoltre si è osservata una maggiore espressione per il gene
ADCK5 (aarF domain containing kinase 5) e a carico del gene P4HTM (prolyl 4-hydroxylase,
transmembrane) che codifica per una proteina di membrana del reticolo endoplasmatico. Questi
geni in studi genome wide genotyping-by-sequencing (GBS) association condotti su bovini sono risultati
associati rispettivamente alla percentuale di grassi e alla percentuale di proteine del latte (Ibeagha-
33
Risultati e discussione
Awemu et al., 2016) confermando per questi geni un possibile ruolo nel metabolismo di acidi
grassi e proteine anche in pecore.
34
Prospettive future e conclusioni
5 PROSPETTIVE FUTURE E CONCLUSIONI
I dati ottenuti in questo lavoro di Tesi costituiscono un importante punto di partenza per studi
futuri.
Per molti geni resta da chiarire il significato biologico delle differenze di espressione
riscontrate nei nostri esperimenti. Alcuni geni infatti sono conosciuti per essere coinvolti nel
contenuto di grassi o proteine del latte, ma i dati trascrittomici hanno evidenziato profonde
alterazioni di espressione anche in altri geni di cui ancora non si conosce il ruolo all’interno della
ghiandola mammaria né il contesto metabolico in cui operano. Alcuni di questi tuttavia possono
risultare nuovi geni candidati legati alle caratteristiche del latte nelle pecore, una specie in cui
ancora risultano rari studi di questo tipo (Suàrez-Vega et al., 2015). Infatti molti studi di
espressione genica a livello della ghiandola mammaria hanno riguardato principalmente bovini o
caprini (Chilliard et al., 2007; Wickramasinghe et al., 2012; Crisà et al., 2016), e lo stesso per quanto
riguarda studi di genotipizzazione e associazione (Pegolo et al., 2016; Ibeagha-Awemu et al., 2016)
mirati all’identificazione di geni candidati potenzialmente coinvolti nel controllo della qualità del
latte. Una caratterizzazione funzionale più profonda sui geni espressi consentirà di conoscere la
loro funzione all’interno della ghiandola mammaria e di chiarire quali siano le vie metaboliche
attivate in seguito alla modificazione della dieta, tra cui quelle che contribuiscono alla produzione
e alla qualità del latte.
Inoltre per cercare di chiarire i meccanismi molecolari alla base delle modificazioni della
qualità del latte portate dall’utilizzo di un differente regime di dieta, i dati di espressione genica
ottenuti dalle analisi trascrittomiche dovranno essere integrati dai dati provenienti dalle analisi
biochimiche. Potranno essere studiate possibili correlazioni tra la quantità di metaboliti (acidi
grassi, proteine ecc.) e i livelli di espressione di geni coinvolti nella loro biosintesi. In questo
modo sarà possibile chiarire se la regolazione di questi metaboliti possa avvenire a livello
trascrizionale o post-trascrizionale.
Infine, attraverso uno studio approfondito dei geni espressi nei nostri esperimenti rispetto
ai dati presenti in letteratura, si potranno chiarire analogie e differenze tra i meccanismi
molecolari che regolano le caratteristiche del latte tra specie differenti di ruminanti.
In conclusione il lavoro di Tesi rappresenta il primo studio di trascrittomica condotto su
pecore da latte mirato alla comprensione delle alterazioni di espressione genica della ghiandola
mammaria causato da modificazioni del regime alimentare. E’ stato messo a punto un metodo di
estrazione di RNA da MSC di pecora che è stato utilizzato per analisi trascrittomiche attraverso
RNA-seq.
35
Prospettive future e conclusioni
I dati di espressione ottenuti hanno mostrato che differenze di profili di espressione
genica potrebbero aiutare a identificare nuovi geni candidati e a comprendere i meccanismi
molecolari legati alle modificazioni delle caratteristiche del latte portate da variazioni della dieta.
36
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Ringraziamenti
Vorrei ringraziare innanzitutto il Professore Tommaso Giordani e il Professore Andrea Cavallini
per avermi dato l’opportunità di svolgere questa esperienza approfondendo anche argomenti a
me sconosciuti. Un ringraziamento speciale va al Professore Tommaso Giordani, per i
preziosissimi consigli e l’estrema disponibilità a spiegarmi cose di cui non mi ero mai occupata.
Un altro ringraziamento altrettanto importante va al Professore Marcello Mele e al Dottorando
Alberto Vangelisti.
Inoltre vorrei ringraziare i miei amici e compagni di facoltà: ciascuno di loro è stato prezioso per
farmi superare le difficoltà incontrate.
Un ringraziamento inoltre va ai Bohemians, in particolare alle ballerine Anita, Antinea, Donatella,
Elodie, Irene, Ornella e Silvia (la mia seconda famiglia), alla mia amica Yelissa e agli amici di
sempre.
Infine, il ringraziamento più importante alla mia famiglia che mi ha sempre sostenuta moralmente
ed economicamente in tutto ciò a cui mi sono voluta affacciare.
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