1 K. Marx (1818-1883) Karl Marx è, insieme ad Engels, universalmente noto come uno dei massimi protagonisti della storia politico-sociale moderna. La sua opera ha dato un contributo senza eguali allo sforzo emancipativo sia dei lavoratori sfruttati dal sistema capitalistico, sia (più tardi) di interi popoli alla ricerca della libertà e di un modello di convivenza più giusto ed egualitario. Tuttavia Marx non è stato solo il padre del principale movimento rivoluzionario otto—novecentesco E stato anche un grande studioso: un pensatore che ha lasciato un’orma profonda nella travagliata vicenda delle idee filosofiche, politiche ed economiche della modernità. Ed è sotto questo pro filo che si cercherà qui di tracciarne un esauriente ritratto. L’analisi della filosofia hegeliana La prima tappa significativa dell’itinerario filosofico di Marx è costituita da una celebre analisi critica dell’hegelismo. Col pensiero dell’autore della Fenomenologia dello spirito Marx era entrato assai presto in rapporto, sia attraverso letture proprie che attraverso il contatto coi Giovani hegeliani, la cosiddetta Sinistra hegeliana . In un certo senso quel rapporto costituirà anche successivamente, nella fase più matura della sua riflessione, un punto di riferimento di capitale importanza. E' vero che molti studiosi contemporanei hanno sottolineato in modo spesso efficace gli elementi di rottura, di discontinuità teorica che differenziano radicalmente la filosofia di Marx da quella di Hegel. Ma è pure innegabile che alcuni principi basilari della concezione marxiana appaiono difficilmente concepibili indipendentemente dall’orizzonte teorico disegnato da Hegel. Si pensi, in primo luogo, all’assoluta centralità nel “sistema” di Marx della dimensione costitutivamente storica della realtà. Si pensi, inoltre, al suo convincimento che la storia reale è caratterizzata da un’intima (benché spesso celata, o addirittura stravolta) razionalità, che si tratta di cogliere con gli strumenti dell’indagine analitico-scientifica. Si pensi, ancora, alla tesi che nel mondo umano tutto “si tiene”, per cui il senso di singoli eventi particolari non è afferrabile fuori da processi o strutture generali (a loro volta organizzati secondo una determinata architettura). E si pensi infine, sotto un diverso profilo, al rilievo che hanno nel lavoro teorico marxiano categorie o “figure” — la dialettica, l’alienazione, l’emancipazione, la “società civile” —la cui origine hegeliana (fatte salve tutte le possibili matrici ulteriori) è incontestabile. Tutto ciò non significa che la filosofia di Marx sia, come qualcuno ha affermato, poco più che 2 una variante dell’hegelismo. Non lo è neppure quando, nel corso degli anni ‘40, il futuro autore del Capitale è ancora alla ricerca di un’identità teorica sua propria. E’ anzi proprio nel corso di tale ricerca che il giovane filosofo avverte il bisogno di puntualizzare determinati limiti ed errori del pensiero hegeliano. Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico questi limiti ed errori vengono denunciati con grande lucidità. Fondandosi in parte su certi testi di Ruge, Feuerbach e Trandelenburg, Marx rilegge in controluce uno dei capolavori di Hegel, i Lineamenti di filosofia del diritto. E, ben lungi dal limitarsi a respingere determinate concezioni particolari della celebre opera, ne evidenzia alcuni orientamenti di fondo che gli appaiono peculiari dell’intero sistema hegeliano. Tale sistema è, in primo luogo, “speculativo”: è, cioè, astratto e per così dire rovesciato rispetto al corretto modo di analizzare le cose. Hegel non parte dai fenomeni concreti, ma da una serie di principi generali rispondenti a esigenze puramente metafisiche. Ne deriva che eventi, istituti e processi reali perdono ogni determinatezza storica effettiva, per diventare meccaniche espressioni di una vicenda che si svolge altrove, nel regno dello Spirito e dell’Idea. Ne deriva, inoltre, che al centro dell’analisi hegeliana campeggiano mere categorie e predicati, che invece d’essere impiegati come strumenti di una determinata ricerca vengono concepiti come soggetti formalisticamente entificati dell’effettivo divenire storico-sociale . La verità, sottolinea vigorosamente Marx, è che a Hegel questo divenire storico-sociale interessa (contro certe apparenze) assai meno della costruzione di un determinato Sistema logico: “non la filosofia del diritto ma la logica è ciò che veramente (gli) interessa” (Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili, Roma 1968, p. 28.) . Non bisogna peraltro credere, incalza Marx, che quello di Hegel sia stato un semplice “errore” di astrattezza filosofica. L’autore dei Lineamenti di filosofia del diritto ha perseguito in realtà un disegno ben più concreto di quanto non paia a prima vista. A ben guardare, il suo obiettivo era di natura politica. Egli intendeva in qualche modo legittimare l’assetto pratico-sociale esistente. E riteneva (in un certo senso non a torto) che il modo migliore di fare questo fosse di mostrare che determinate strutture e istituzioni, invece di configurarsi come costruzioni storico-umane (come tali puramente empiriche, rivedibili e trasformabili), risultano l’espressione necessaria di un Logos, di uno Spirito universale-oggettivo dal quale sarebbero deducibili. Se questo è vero, su quali fondamenti potrebbero gli uomini presumere di poterle criticare o modificare? I Manoscritti economico-filosofici del ‘44 Le pagine marxiane sulla filosofia del diritto in Hegel esprimevano (tra le altre cose) la ferma acquisizione di quello che potrebbe definirsi il principio della irriducibilità del politico . Strutture e processi, istituzioni e meccanismi statuali vanno studiati nella loro concretezza, nella loro ragione specifica . Senonché, Marx è ben lungi dall’arrestarsi a questo punto. A suo avviso, la politicità non dice tutto lo spessore di tale universo (cioè della realtà umana-storica) . Dentro di esso pulsano altre componenti, altre forze, che sono forse più profonde e importanti . Ciò significa che una riflessione e una prassi riferite esclusivamente alla dimensione dello stato e del diritto rischiano di essere superficiali e inefficaci . Oltre tale dimensione se ne profila un’altra, che è la dimensione del sociale : una dimensione ben più concreta, da analizzare (ed eventualmente trasformare) solo con mezzi idonei. Anche il sistema politico-giuridico più liberale non cancella le differenze sostanziali (sociali) tra gli uomini finché si limita ad atti puramente formali. 3 Ciò che abbiamo chiamato il sociale rappresenta dunque la sfera delle condizioni e delle relazioni concrete che esistono tra gli uomini indipendentemente dall’assetto giuridicostatuale assunto da una determinata comunità. Di li a poco, però, neppure questa sfera parrà a Marx la più significativa, o per così dire quella veramente “fondativa” della realtà umana. Di tale realtà lo sguardo marxiano coglierà presto componenti ancor più profonde: quelle davvero primarie e in grado di influire potentemente su tutto il “resto”. Ci riferiamo alle componenti economiche. Dietro quest’ultima, e decisiva, scoperta stanno gli studi intensissimi di scienza dell’economia cui Marx si dedica in questi stessi anni ‘40. La lettura dei cosiddetti “economisti classici” (Smith, Ricardo, Malthus), quella di studiosi a lui più vicini nel tempo e anche (e soprattutto) la diretta analisi del mondo in cui si trova a vivere portano Marx non solo a cogliere il “primato” della dimensione economica, ma anche a delineare una complessa, drammatica interpretazione dell’universo economico-sociale moderno. La prima espressione di tale interpretazione è affidata ai celebri Manoscritti economico-filosofici del ‘44, una raccolta di saggi di varia lunghezza e argomento rimasta inedita fi-no agli anni ‘30 del 1900. Secondo Marx la molla più influente e dinamica dell’evoluzione del mondo umano è costituita dalla produzione economica e dai correlativi rapporti sociali ch’essa porta ad instaurare. A partire dall’evo moderno (caratterizzato dallo sviluppo prima della manifattura e poi dell’industria), tale produzione da un lato genera una crescente accumulazione di ricchezza nelle mani dei proprietari-produttori, dall’altro tende ad auto-rafforzarsi attraverso l’instaurazione di un regime di crescente monopolio produttivo. Costretti a trattare con una “controparte” sempre più forte, i lavoratori si trovano obbligati ad accettare condizioni di vita sempre più dure. Sono essi, a ben guardare, gli effettivi fabbricatori di merci e di beni. Ma non possedendo né le materie prime né gli utensili e le macchine, non possiedono neppure ciò che le loro mani hanno fabbricato: prodotti che vanno invece ad aumentare la potenza dei loro padroni. Così, per un tragico paradosso sottolineato da Marx, il lavoratore diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce. Mentre l’analisi propriamente economica della genesi e lo sviluppo del capitale è ancora assai sommaria, i Manoscritti del ‘44 delineano un quadro psico-antropologico straordinariamente efficace dell’essere/agire dell’operaio . Utilizzando la categoria (hegeliana e feuerbachiana) dell’alienazione, Marx mostra come il proletario asservito alla produzione capitalistica venga per così dire reificato e reso subalterno rispetto alle cose che crea. “L’operaio ripone la sua vita nell’oggetto: d’ora in poi la sua vita non appartiene più a lui, ma all’oggetto (...). L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso vive fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto gli si contrappone ostile e estranea” (Manoscritti economico filosofici del ‘44, Torino 1949, p. 84.) . Non basta. Alienato in tutta la sua attività lavorativa, l’operaio smarrisce la funzione (il lavoro appunto) che dovrebbe invece favorirne l’autorealizzazione in quanto uomo. Per un altro tragico paradosso, egli finisce col sentirsi se stesso, col sentirsi libero “soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare (...) . E invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane” (Ivi, p. 87). Il paradosso consiste nei fatto che, in tal modo, “ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale”. Tutto questo “snatura”, letteralmente, l’uomo: ne fa un essere privo d’identità. L’individuo diviene, così, estraneo ai proprio io, al proprio corpo, ai proprio prossimo: ogni uomo “è reso estraneo all’altro uomo e (...) ciascuno di essi è reso estraneo all’essere dell’uomo” (Ivi, p. 91). 4 L’Ideologia tedesca e il materialismo storico La valorizzazione dapprima della dimensione empirico/reale e politica dell’uomo, poi di quella sociale e infine di quella economica conduce Marx a elaborare una concezione assai innovativa della scienza dell’uomo, della filosofia e anche della storia della società umana. Hegel, almeno nei suoi aspetti speculativi, è lontano. Lontani sono anche i Giovani hegeliani. Contro di essi, Marx svolgerà anzi un’ampia ed aspra polemica nella Sacra famiglia, scritta in collaborazione con Engels un anno dopo i Manoscritti del ‘44. La sua tesi di fondo sui suoi amici di un tempo è ch’essi si occupano di un uomo dei tutto astratto e, correlativamente, praticano un’attività intellettuale altrettanto astratta. Se l’umano è eminentemente politicità, socialità e rapporti economici, la filosofia deve abbandonare l’artificioso teatro dei concetti puri e delle diatribe verbali per scendere in un mondo assai più concreto e drammatico: il mondo popolato da servi e padroni, da sfruttati e sfruttatori, da proletari e capitalisti; il mondo insanguinato — e non solo metaforicamente — dal conflitto tra classi sociali in radicale lotta tra loro. Per Marx una nuova e più seria filosofia, senza abbandonare i propri dispositivi cognitivo razionali, deve farsi anche pensiero militante. Finora i filosofi, leggiamo nella celeberrima XI Tesi su Feuerbach, si sono limitati a interpretare il mondo: ora si tratta, invece, di trasformarlo. Tale trasformazione può avvenire se e solo se la filosofia saprà fare lo sforzo di cogliere l’ansia di emancipazione dell’umanità alienata e di offrire ad essa i propri cospicui strumenti intellettuali. Soltanto un dispiegamento/maturazione della ratio filosofica entro la concreta realtà dei popolo in lotta per la propria liberazione costituisce la precondizione di una possibile svolta rivoluzionaria nella storia e anche nel pensiero moderno . Non si deve però credere che prese di posizione di questo genere implichino la tendenziale rinuncia a un impegno propriamente cognitivo riflessivo della filosofia. Al contrario, Marx ritiene indispensabile proseguire e sviluppare un ben preciso itinerario teorico. Ed ecco che l’Ideologia tedesca, la nuova opera scritta nel 1845-1846 (ancora una volta insieme al fido Engels), ci offre un ambizioso disegno di interpretazione globale dell’universo umano. Tale disegno riparte (riprendendola e approfondendola) dalla polemica avviata in certi scritti precedenti contro ogni forma di idealismo, intellettualismo e coscienzialismo . La realtà, scrivono Marx ed Engels, si fonda non sulle idee ma sui fatti, anzi sui fatti materialmente intesi. Non è (con buona pace dei Giovani hegeliani) il pensiero che governa la società, ma è quest’ultima che ispira e plasma il primo . Anche la coscienza va tolta dal piedistallo sul quale una determinata tradizione speculativa l’aveva collocata. Essa è infatti, almeno in larga misura, un “prodotto sociale”. Più in generale, è tutta la filosofia che va in qualche modo raddrizzata. Il suo giusto punto d’avvio è costituito da quelli che Marx ed Engels chiamano gli “individui reali”. Un’espressione, si badi, in cui l’aggettivo vale non meno del sostantivo. “Reali”, per i due autori, sono solo gli esseri umani considerati entro i loro contesti socio-economici concreti. In effetti, “ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni materiali di vita” (Ideologia tedesca, Roma 1967, pp. 8-9). La concezione marxengelsiana non può dunque essere definita “umanistica” in un’accezione ristretta del termine. Oltre agli uomini ci sono, infatti, le “condizioni materiali di vita” . E ci sono le strutture economiche, sociali e politiche che tale vita in più modi determinano. Uno degli obiettivi centrali di Marx ed Engels è di delineare un’immagine non antropocentrica (antropomorfica) del mondo umano, che tenga conto ditali diverse componenti e delle loro logiche specifiche. Un’altra e ancor più forte ambizione dei due autori è poi di cogliere l’intima storicità di questo mondo. Già 5 commentando gli economisti classici Marx aveva osservato che il loro limite teorico era consistito non tanto in un’insufficiente analisi dei meccanismi di produzione nella società moderna quanto nell’assunto che tali meccanismi siano naturali, e dunque necessari, a-temporali e immodificabili. L’opinione al riguardo del futuro autore del Capitale è assai diversa . La dimensione più peculiare dell’umano non è la natura ma la storia. Nulla è eterno, o fuori del tempo; nulla è scritto necessitaristicamente nelle cose. Tutti gli eventi e i processi riguardanti l’uomo hanno, come avrebbe detto Vico, “guise” (forme) e “nascimenti” (origini) storicamente determinati . Uno degli impegni primari dell’Ideologia tedesca è cercar di comprendere le genesi e le ragioni storiche di situazioni e vicende che hanno caratterizzato l’essere dell’umanità d’Occidente . In un certo senso la storia comincia per Marx ed Engels quando gli uomini rispondono a determinati bisogni materiali non già in modo istintivo-immediato, bensì in modo culturale e sociale. La “creazione di mezzi per soddisfare i bisogni”, la moltiplicazione e complicazione di tali mezzi, la susseguente nascita di nuovi bisogni mette in moto la dinamica storica. Tale dinamica nasce a un parto coll’istituzione di rapporti sociali. In effetti, per rispondere ai “nuovi bisogni”, gli uomini devono organizzarsi in modi sempre più articolati. Dapprima la cellula familiare, poi l’insieme di più famiglie costituiscono i primi exempla di una convivenza socialmente disciplinata: è la stessa complessità di quest’ultima ad innescare quel meccanismo di continue “contraddizioni” e “trasformazioni” che a sua volta genera il divenire della storia (o che coincide con esso). Ma l’evento sociale sul quale Marx ed Engels attirano maggiormente l’attenzione è la divisione del lavoro. Sotto un certo profilo essa è infatti la principale matrice dello sviluppo antagonistico, conflittuale della società. Tale divisione si realizza anzitutto nella forma della separazione tra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale. Potrebbe apparire una semplice ripartizione funzionale di mansioni o compiti diversi. E, invece, la sorgente di tutta una serie di disuguaglianze destinate a crescere e ad acuirsi. Nell’analisi di Marx ed Engels, la divisione del lavoro produrrà, direttamente o indirettamente, la distribuzione ineguale dei ruoli sociali, degli strumenti e dei beni. E produrrà, soprattutto, “la possibilità, anzi la realtà, che l’attività spirituale e l’attività materiale, il godimento e il lavoro, la produzione e il consumo tocchino a individui diversi” (Ivi, p. 22). Individui diversi: ma, presto, anche ceti diversi. In effetti, la divisione del lavoro è una delle più potenti molle di quella divisione in classi antagonistiche che costituisce per Marx ed Engels la caratteristica saliente del mondo storico-umano (soprattutto nell’età moderna). Sollecitati da bisogni sempre crescenti e dalla distribuzione sempre più ineguale dei beni e delle ricchezze, gli uomini si dividono e si contrappongono in due schieramenti diversi e opposti. Se la storia cammina e si evolve, è perché gli “individui reali” che ne sono i protagonisti creano e trasformano di continuo nuove forme sociali in stretta connessione col modo della produzione e del suo controllo . Il sistema statuale, le leggi, le stesse strutture culturali rispondono in larga misura a obiettivi di potere sociale. In un certo senso tutto il divenire storico può essere ripensato intorno all’asse costituito, per usare un’espressione marx-engelsiana, dalla relazione tra i mezzi produttivi e i rapporti sociali di produzione. Sono le tensioni, gli squilibri determinati da tale relazione che alimentano la dinamica della storia. Se questo è vero, ciò che per Marx ed Engels deve mutare non è soltanto l’interpretazione della storia in generale: è anche il modo di analizzarla, di raccontarla nei suoi contenuti.specifici. Una storiografia realmente scientifica dovrà attribuire un rilievo particolare non tanto agli eventi “sovrastrutturali” privilegiati dagli studiosi tradizionali, quanto all’evoluzione dei bisogni 6 materiali, alla trasformazione dei sistemi di produzione, alla modificazione dei rapporti le classi, alle correlative contraddizioni insorgenti tra componenti diverse della realtà storico-umana, e infine alle conseguenze d’ordine psicosociaie, civile, politico, giuridico connesse a tali vicende . A tale concezione della storia e della sua scienza Marx ed Engels hanno attribuito, non a torto, la qualifica di “materialistica” . Questa concezione (materialismo storico), essi scrivono nelle pagine più celebri dell’Ideologia tedesca “si fonda dunque sui seguenti punti: spiegare il processo reale e, precisamente muovendo dalla produzione della produzione materiale della vita immediata, assumere come fondamento di tutta la storia la forma di relazioni che è connessa con quel modo di produzione e che da esso è generata, dunque la società civile nei i diversi stadi, e sia rappresentarla nella sua azione contro lo stato, sia spiegare partendo da essa tutte le varie creazioni teoriche e le forme della coscienza, religione, filosofia, morale ecc., ecc. e seguire sulla base di queste il processo della sua origine, ciò che consente naturalmente anche di rappresentare la cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciproca influenza di questi lati diversi l’uno sull’altro) . Essa non deve cercare in ogni periodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma resta salda costantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall’idea, ma spiega le formazioni di certe idee partendo dalla prassi materiale, e giunge di conseguenza anche al risultato che tutte le forme e i prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante critica intellettuale, risolvendoli nell’ ”autocoscienza” o trasformandoli in “spiriti”, “fantasmi”, “spettri”, ecc., ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate ; che non la critica ma la rivoluzione è la forza motrice storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ogni altra teoria” (Ivi, 29-30). Il Manifesto Le acute analisi contenute nell’Ideologia tedesca dei rapporti tra città e campagna nel mondo d’Occidente, le originali considerazioni sulle fasi principali del cammino socio-economico dell’età pre-moderna e moderna costituiscono le premesse fondamentali per quell’analisi critica dei rapporti tra borghesia e proletariato nella società capitalistica che Marx ed Engels esporranno pochi anni dopo nel loro testo più celebre : .il Manifesto del partito comunista del 1848. L’opera, nella quale Marx si propone di esporre “in faccia al mondo” gli scopi e i metodi dell’azione rivoluzionaria, rappresenta una stringata summa della concezione marxiana del mondo. I punti salienti di essa sono: 1) l’analisi della funzione storica della borghesia; 2) il concetto della storia come “lotta di classe” e il rapporto fra proletari e comunisti; 3) la critica dei socialismi non-scientifici. Nella prima parte del Manifesto Marx descrive, con un’eloquenza brillante, la vicenda storica della borghesia, sintetizzandone, dal suo punto di vista, meriti e limiti. A differenza delle classi che hanno dominato nel passato, che tendevano alla conservazione statica dei modi di produzione, la borghesia, secondo Marx, non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali. Di conseguenza, la borghesia appare una classe costituzionalmente dinamica, che ha dissolto non solo le vecchie condizioni di vita, ma anche idee e credenze tradizionali. La borghesia ha modificato la faccia della Terra in una misura che non ha precedenti nella storia, mostrando ai popoli che cosa possa l’attività umana. Ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti di Roma e le cattedrali gotiche; ha portato a termine ben altre spedizioni che gli spostamenti dei popoli e le Crociate in Terrasanta. La borghesia ha realizzato 7 per la prima volta l’unificazione del genere umano, poiché il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti l’ha spinta a percorrere tutto il globo terracqueo. Agevolando le comunicazioni e trascinando nella civiltà tutti i paesi, assoggettando l’Oriente all’Occidente, è riuscita a costruire un mercato mondiale e a porre le basi per un reale cosmopolitismo. Nello stesso tempo ha assoggettato la campagna alla città, distruggendo le antiche civiltà contadine e creando centri urbani immensi. In una parola, scrive Marx, essa si è creata un mondo a propria immagine e somiglianza. Senonché questa borghesia, che ha evocato come per incanto forze cosi gigantesche assomiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze infernali da lui evocate. Infatti proprio tutti quei mezzi che essa ha prodotto le si rivoltano contro e minacciano la stessa sua sopravvivenza. “La moderna società borghese sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti tra le classi. – scrive Marx - Essa ha posto soltanto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo di antiche” (Manifesto). Con la società borghese nasce infatti una nuova e definitiva lacerazione sociale : qualla tra la classe capitalistica e il proletariato. Sono proprio i proletari gli uomini che useranno contro la borghesia quelle armi (cioè l’insieme di strumenti economici) che in precedenza essa aveva usato contro la società feudale. Non solo, poiché per una legge interna al proprio sviluppo la borghesia produce sempre nuovi proletari e restringe progressivamente il numero dei proprietari capitalisti (accumulazione del capitale), essa fa sì che la lotta del proletariato contro la borghesia divenga la lotta della enorme maggioranza degli sfruttati nell’interesse dell’enorme maggioranza. Il proletariato appare così l’unica classe veramente rivoluzionaria, l’unica classe capace di sovvertire l’ordine capitalistico e di sostituire a esso non il predominio di una classe sull’altra, ma la compiuta liberazione dell’umanità resa possibile dalla società comunista che il proletariato è chiamato ad edificare. Cratteri del comunismo E’ nell’Ideologia tedesca che viene, in particolare, delineata la prospettiva scientificorivoluzionaria del comunismo. Non era certo la prima volta che nella filosofia d’Occidente veniva proposta una teoria politico-sociale di questo genere. Senza risalire a dottrine antiche e rinascimentali, anche il pensiero sviluppatosi parallelamente alla crescita della prima società industriale aveva più volte enunciato disegni e programmi di tipo comunistico. Ma la concezione presentata nell’Ideologia tedesca ha ben poco in comune con tali precedenti. Il comunismo secondo Marx ed Engels non coincide né con una più o meno generosa utopia, né con una più o meno valida protesta morale contro l’ingiustizia e a favore di una nuova uguaglianza fondata sulla comunanza dei beni. A ben guardare, anzi, questo “nuovo” comunismo non s’identifica neanche (o, almeno, non primariamente) con la raffigurazione di un determinato “stato di cose”, o di una determinata situazione futura . Molti studiosi hanno notato la grande cautela e sobrietà con cui, anche nei testi politici più maturi, Marx ed Engels hanno parlato di un concreto sistema di vita di stampo comunista. Dietro tale cautela stava certo un’intima diffidenza nei confronti dell’utopismo radicaleggiante rilanciato in anni recenti da Saint-Simon, Fourier e da qualche esponente dello stesso hegelismo tedesco: un utopismo considerato espressione d’un pensiero astratto e condannato ab initio alla sterilità e al velleitarismo. Ma nel rifiuto di parlare del comunismo come di una nuova età dell’oro stava anche un orientamento teorico, che si può 8 chiarire proprio in rapporto alla concezione materialistica della storia esposta nell’Ideologia tedesca. Per Marx ed Engels il comunismo non è tanto un’idea (e neppure un ideale) quanto una realtà: una realtà che si esprime in un determinato processo storico. Il comunismo, si legge proprio nell’Ideologia tedesca, è in qualche modo inscritto nello stesso “movimento reale” della storia. Ciò significa, anzitutto, ch’esso non si affida alla buona volontà, allo spirito di sacrificio di alcune “anime belle” (come le chiamava Hegel). Si fonda, invece, sulla logica di vicende oggettive che lo sguardo del teorico non tanto crea (e come potrebbe?), quanto illumina di luce più intensa, facilitandone così lo sviluppo. Prodotto, dunque, dalla stessa realtà storica, il comunismo sta in certa misura maturando già ora. La sua prima manifestazione (o precondizione) comincerà a profilarsi visibilmente quando lo sviluppo dei mezzi produttivi sarà entrato nel massimo contrasto coi rapporti sociali di produzione; quando il processo di accumulazione capitalistica avrà completamente espropriato e alienato la “massa dell’umanità”; quando tale processo avrà internazionalizzato (anzi universalizzato) il potere del capitale e, insieme, l’asservimento del proletariato. E’ dunque la radicalizzazione di una determinata situazione socio-economica e politica — una radicalizzazione implicante il fronteggiarsi ormai antinomico di un massimo di potere e di un massimo di miseria — che aprirà la fase operativa della rivoluzione comunista. In tale situazione, infatti, i proletari saranno quasi costretti ad “appropriarsi della totalità delle forze produttive esistenti non solo per arrivare alla loro manifestazione personale, ma semplicemente per assicurare la loro stessa esistenza” (Ibidem pp. 28-30). Dinanzi a un certo tipo di formulazioni, molti interpreti hanno teso a sottolineare l’oggettivismo e il determinismo del processo verso il comunismo delineato da Marx e da Engels. Anche una parte del marxismo della Seconda Internazionale - quella più influenzata da determinate filosofie tardo-ottocentesche (il positi— vismo, l’evoluzionismo) - ha inclinato a dare, di tale processo, un’immagine un po’ meccanica: un’immagine dalla quale l’iniziativa cosciente-volontaria del proletariato è in certo modo assente. Alcuni testi di Marx (e ancor più di Engels) possono forse accreditare questa prospettiva teorica. Sono, però, solo i testi nei quali i fondatori del materialismo storico si impegnano soprattutto nella polemica contro le versioni di rivoluzionarismo soggettivistico—romantico non poco diffuse (come si è accennato sopra) nel secolo XIX. In altri testi, viceversa, Marx ed Engels attribuiscono un grande rilievo anche alla componente della consapevolezza e della concreta iniziativa trasformatrice della classe rivoluzionaria. Il comunismo, insomma emergerà solo dall’azione congiunta del soggetto e della storia, dell’attiva lotta soggettiva contro il sistema capitalistico e della maturazione di precise condizioni oggettive. Nell’Ideologia tedesca Marx ed Engels, se da un lato insistono molto sulla natura storico-processuale della rivoluzione comunista, dall’altro esaminano con estrema attenzione anche i contenuti e i modi dell’azione rivoluzionaria. Essa non può, anzitutto, consistere in una mera riforma dell’esistente: ridistribuzione più equa delle ricchezze, maggiore democratizzazione della vita politica, riforma delle leggi e degli istituti giuridici. Sotto tale profilo quella comunista deve essere una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzione che aggredisce non i frutti ma le radici, non le conseguenze ma le cause: è per questo che, in particolare, essa “si rivolge contro il modo dell’attività che si è avuto finora, sopprime il lavoro e abolisce il dominio di tutte le classi insieme con le classi stesse” (Ivi, p. 29). D’altra parte, però, la rivoluzione non consiste in una mera distruzione dell’esistente. Marx ed Engels non si sognano neppure di pronunciare una condanna di tutto quanto la borghesia ha saputo produrre 9 nell’era del suo predominio (memorabile, a tale proposito, il vero e proprio elogio che della classe borghese verrà espresso di lì a poco nel Manifesto). Per questo il pensiero marxiano — sia nell’Ideologia tedesca che in testi successivi — ha sempre mostrato scarsissima simpatia per le varie versioni di rivolta romantico-nichilista contro il Moderno diffusesi lungo tutto il corso dell’Ottocento. Il filosofo che aveva auspicato il passaggio dalle “armi della critica” alla “critica delle armi” era in realtà il primo a intuire i limiti di quest’ultima “critica” . Non che escludesse l’eventualità, a un certo momento, di una necessaria messa in opera della stessa: ma era persuaso che la rivoluzione comunista consisteva in un processo assolutamente irriducibile al mero uso delle bombe e del conflitto armato. Nella misura in cui il comunismo vuol configurarsi come l’instaurazione di un “ordine nuovo”, dotato di un indice di razionalità e di giustizia più elevato di quello del vecchio ordine, esso deve impegnarsi soprattutto in una sistematica, approfondita trasformazione/innovazione delle strutture socio-economiche realmente fondative del sistema capitalistico . Coerentemente coi principi acquisiti in sede di riflessione storico-teorica, gli obiettivi primari del processo rivoluzionario vengono così identificati nella soppressione della proprietà privata, nella socializzazione dei mezzi di produzione, nella soppressione delle classi sociali, nell’estinzione dello stato . Solo una società affrancata da un’organizzazione eretta sullo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo consentirà all’individuo il responsabile sviluppo del proprio essere, una corretta cooperazione con gli altri individui, l’affermazione di una convivenza tra uguali fondata su una giustizia e una libertà non più formali ma sostanziali.