terapia della luce nella cura della depressione stagionale

TERAPIA DELLA LUCE NELLA CURA DELLA
DEPRESSIONE STAGIONALE
Daniele Toffoletto
Il risveglio in una giornata di sole mette di buon umore. Ma nelle giornate invernali il sole
si vede poco. Che influisca questa diminuzione sull’aumento della depressione nei mesi
invernali? Pare di sì se poco più del quattro per cento della popolazione italiana risente
della depressione invernale1. Se al sole si sostituisce la luce, che si possa curare la
depressione invernale?
Che la luce abbia una un’influenza terapeutica è risaputo fin dall’antichità2. Ben conosciuti
sono i bagni nei ‘solari’ dei Greci e dei Romani. Come anche risaputa è l’influenza che le
stagioni hanno sul benessere dell’uomo.
Secondo Ippocrate3 c’è un nesso tra gli umori (sangue, bile, bile nera e catarro) e le
stagioni (primavera, estate, autunno e inverno). La bile nera influenza il cervello
provocando la malinconia. E’ in autunno che la bile nera è particolarmente attiva e quindi
è in questa stagione che si ha una maggiore probabilità di malinconia. Lo squilibrio tra gli
umori creato da un’eccessiva presenza di bile nera dovrà essere curato attraverso
l’alimentazione e un adattamento dell’ambiente esterno, l’intensa esposizione al sole era
una di queste cure.
Nel Medioevo non si è più tenuto in seria considerazione l’influenza delle stagioni e della
terapia della luce nella cura delle malattie. Bisogna arrivare all’inizio della moderna
psichiatria con Philippe Pinel (1745-1826) per riaffermare l’importanza del cambiamento
delle stagioni nell’influenzare le malattie psichiche4. Una delle prime descrizioni della
depressione invernale si ha per mano del suo allievo Esquirol (1772-1840). Un paziente
belga di 42 anni aveva sofferto per tre anni consecutivi di depressione durante l’inverno5.
Esquirol gli prescrisse di recarsi in quel periodo al sud della Francia o in Italia. E pare che
il consiglio abbia avuto successo.
In seguito ulteriori studi hanno confermato l’importanza della luce del sole sul benessere
dell’uomo. Interessante è la descrizione che il medico di bordo della nave ‘Belgica’
Frederick Cook ha fatto durante la spedizione del 1898 nell’Antartide. La nave era
rimasta intrappolata nei ghiacci per 347 giorni di cui 68 al buio completo. Il medico
notava l’effetto negativo sugli umori degli uomini dell’equipaggio dovuto alla mancanza
della luce. Ma al riapparire della luce del sole o dopo la permanenza vicino alla luce di un
falò il loro umore migliorava6.
Ricerche epidemiologiche hanno confermato un chiaro incremento dei casi di depressione
in primavera e in autunno7. Ormai sono centinaia gli articoli scientifici sulla depressione
invernale e dal 1987 i criteri diagnostici per la depressione invernale sono inclusi nel
DSM.
E’ stato Norman E. Rosenthal, psichiatra e ricercatore al National Institute of Mental
Health il primo a dimostrare nel 1984 il rapporto tra la luce e la depressione invernale8.
Dobbiamo a lui la dettagliata descrizione dei criteri diagnostici del disturbo, in inglese
detto SAD (Seasonal Affective Disorder), e l’indissociabile rapporto tra uso delle lampade
e la cura della depressione invernale. L’uso di speciali lampade si è rivelato utile per
curare molti casi di depressione invernale.
La depressione invernale è un Disturbo Affettivo Stagionale (DAS) che si manifesta con il
cambiamento delle stagioni per lo più tra l’autunno e l’inverno, ma in alcuni casi anche
all’inizio della primavera. Dopo qualche mese i disturbi scompaiono. Caratteristiche
tipiche del DAS sono:
- eccessivo bisogno di cibo, soprattutto di cibi dolci;
- aumento di peso;
- ipersonia e frequente sonnolenza.
Come per ogni depressione, anche per il DAS si può avere una variazione di intensità da
leggera a molto grave, fino a possibili tendenze suicidali9. Le donne sono dalle tre alle
1
quattro volte più sensibili degli uomini al DAS10,11, con un interessante dato: prima della
pubertà12 e dopo la menopausa13 non si riscontrano differenze tra i sessi.
La terapia della luce riesce a curare dal 60 all’80 per cento dei casi.
Prevalenza
Per quanto riguarda la prevalenza c’è un dibattito aperto. Non tutte le ricerche danno
risultati concordi. Sembra ci sia un rapporto tra area geografica e frequenza della
depressione stagionale. Più si è al Nord, in zone di elevata latitudine, maggiore è la
prevalenza. Rosen e collaboratori14 hanno studiato la prevalenza in quattro diverse
latitudini degli Stati Uniti e hanno constatato che nel New Hampshire (43° N) la
prevalenza è il 9,7%, a New York (41° N) il 4,7%, nel Waschington DC (39° N) il 6,3% e
in Florida (27° N) il 1,4%. Anche altre ricerche americane hanno confermato la sostanza
di questi dati. In Alaska (65° N) si è individuata15 una prevalenza pari al 9,2%,
nell’Ontario (42°-50° N) è stata trovata16 una prevalenza del 6,2 – 8,8% e nel Texas
(30° N) da una ricerca nell’ambiente universitario17 emerge una prevalenza di 3,7%.
I dati raccolti in altre parti del mondo, situate nell’emisfero Nord, non confermano
sempre i risultati americani. Lavori condotti in Giappone (31°-43° N)18 stimano la
prevalenza della depressione stagionale il 1,72% tra gli studenti delle scuole superiori e il
0.88% tra gli adulti e in Turchia (41°N)19 il 3,8%.
Per quanto riguarda i Paesi europei, Partonen et al.20 non hanno trovato nessuna
influenza della latitudine sulla prevalenza della depressione stagionale in Finlandia (60°70°N), in tutto il Paese la prevalenza si aggirava attorno al 5,4%. In Islanda (62°-67°N)
si è riscontrata21 una prevalenza del 3,8%. In Svezia (60.5° N) Rastad et al.22 hanno
individuato una prevalenza del 5,3%, in Olanda (53° N)11 del 3% e nel Regno Unito (50°59°N)23 del 10,7% se diagnosticata con il Seasonal Pattern Assessment Questionnaire
(SPAQ) e del 5,6% se diagnosticata con Seasonal Health Questionnaire (SHQ).
In Italia ci sono due studi, uno condotto da Muscettola et al.1 su tutto il territorio
nazionale (38°-45°N) che riporta una percentuale del 4,4% indipendentemente dalla
latitudine e uno condotto da Pacitti et al.24 limitatamente al centro Italia (41°-44°N) e
con un campione prevalentemente di studenti universitari che ha evidenziato una
prevalenza pari al 3,7%.
Tab. 1: Prevalenza DAS per grado di latitudine in America e negli altri Paesi dell’emisfero
nord.
America
Resto Paesi dell’Emisfero Nord
Alaska
(65°)
9,2%
Ontario
New Hempshire
New York
Washington DC
Texas
Florida
(42-50°)
(43°)
(41°)
(39°)
(30°)
(27°)
6,2% - 8,8%
9,7%
4,7%
6,3%
3,7%
1,4%
Finlandia
(60-70°)
Islanda
(62-67°)
Svezia
(60,5°)
Olanda
(53°)
Regno Unito (50-59°)
Italia
(38-45°)
Turchia
(41°)
Giappone
(31-43°)
5,4%
3,8%
5,3%
3%
10,7% of 5,6%
4,4%
3,76%
1,72% of 0,83%
Questi dati sono difficili da interpretare. In uno studio, che ha analizzato criticamente la
letteratura in proposito, condotto da Mersch et al. 25 si deduce che di media la prevalenza
di DAS in America del Nord è il doppio di quella europea e mettendo insieme tutti gli studi
sulla prevalenza conclude che la correlazione tra prevalenza e latitudine non era
significante.
Un altro elemento che limita il confronto dei dati è che non sempre si usa lo stesso
strumento nel valutare la prevalenza. Il più usato in queste ricerche è il Seasonal Pattern
2
Assessment Questionnaire (SPAQ), un questionario per autovalutazione realizzato da
Rosendal e colleghi 26. Alcune ricerche 23, 27,28 hanno dimostrato che il SPAQ ha una
bassa specificità nel determinare il DAS, specie se usato come strumento diagnostico.
Probabilmente più che la latitudine sono altri fattori che svolgono un ruolo nella
prevalenza quali il clima, il sesso, la costituzione genetica e il contesto sociale.
A questo proposito è interessante la ricerca condotta da Magnusson e Axelsson29 tra gli
Islandesi in Canada. Gli autori avevano constatato che tra la popolazione dell’Islanda, da
secoli isolata e abbastanza omogenea, la prevalenza di DAS era molto più bassa rispetto
a quanto trovato in America tra popolazioni che abitavano più o meno alla stessa
latitudine. Hanno deciso allora di studiare i discendenti degli Islandesi che erano andati
ad abitare in Canada fin dal 1840. E’ emerso che la prevalenza di DAS tra i discendenti
degli Islandesi è significativamente minore che tra la popolazione americana che abita
nello stesso posto. Probabilmente si ha a che fare con un adattamento genetico che ha
avuto luogo nella popolazione Islandese come adattamento al clima e alla scarsità di luce
della lunga stagione invernale.
Maggiore consenso si è raggiunto per quanta riguarda l’influenza del sesso. Molte
ricerche 11, 21, 22, 24, 30 hanno evidenziato una maggiore prevalenza tra le donne rispetto
agli uomini, qualche volta fino a tre a quattro volte maggiore. Questa differenza non si
riscontra però prima della pubertà: tra bambini e bambine non c’è praticamente nessuna
differenza31, come pure dopo la menopausa scompare la differenza in prevalenza tra
uomini e donne32. Cro e Bersani33 hanno individuato una possibile relazione tra il DAS e le
fluttuazioni premestruali dell’umore. Il che fa pensare34 che i due disturbi possano
presentare una base neurobiologica comune e in un certo senso giustificare la maggiore
prevalenza di DAS tra le donne rispetto agli uomini.
Un altro fattore che influenza la prevalenza è l’età. La maggiore presenza di DAS si ha
soprattutto tra gli adolescenti 18, 22, 23, 35. Invecchiando diminuisce la probabilità di DAS.
Concludendo possiamo dire che la prevalenza di DAS è maggiore tra le donne rispetto
agli uomini e che è più comune tra i giovani, inoltre in America la percentuale è più alta
che in Europa. L’effetto della latitudine non è chiaro, molto probabilmente sono altri
fattori quali il clima o la componente etnica ad avere maggiore importanza36 della
latitudine.
Eziologia
Non sono ancora chiare le cause che determinano il DAS. Ci sono diverse ipotesi, ma
nessuna è stata sufficientemente dimostrata scientificamente.
Inizialmente si era ventilata l’”Ipotesi del Fotoperiodo”. Durante l’inverno le giornate si
accorciano e gli occhi ricevono meno luce in seguito al ridotto fotoperiodo. Persone
particolarmente sensibili a questa variazione soffrirebbero di DAS. Un sostegno a questa
teoria viene da alcune ricerche che evidenziano una maggiore prevalenza di DAS nelle
regioni del Nord, regioni con limitate ore di luce al giorno nel periodo invernale.
Legata a questa è l’”Ipotesi della melatonina”. La melatonina viene prodotta di notte al
buio, la luce del giorno o artificiale ne blocca la produzione. Avendo i pazienti DAS reagito
bene alla terapia della luce si è pensato37 che il DAS fosse provocato da un disturbo della
produzione di melatonina. Effettivamente è stato confermato che le persone con DAS
hanno un metabolismo irregolare della melatonina38.
Secondo l’”Ipotesi dello spostamento di fase” alcuni processi biologici del ritmo circadiano
sarebbero reciprocamente fuori fase nell’arco delle ventiquattro ore. Normalmente la luce
attraverso la via retino-talamica ha un ruolo di regolamentazione dei ritmi biologici
circadiani. Nell’area talamica è il nucleo soprachiasmatico che funziona come un orologio
centrale regolando la temperatura del corpo, il ritmo sonno-veglia, il tasso di produzione
ormonale, inoltre anche la produzione di melatonina. La diminuzione del periodo
giornaliero di luce può provocare uno sfasamento di questi ritmi rispetto al ritmo
circadiano39. Un’ esposizione alla luce, soprattutto al mattino, sarebbe in grado di
risincronizzare sulle 24 ore i diversi ritmi. Ricerche di Meesters et al.40 hanno dimostrato
che non necessariamente al mattino, ma in qualsiasi momento del giorno l’esposizione
alla luce ha risultati positivi. Recenti ricerche41, 42, 43, 44, 45 hanno evidenziato che esiste
una grande differenza tra individui per quanto riguarda i ritmi circadiani, in alcune
3
persone i ritmi circadiani sono lunghi, oltre le ventiquattro ore, mentre in altre il ritmo
circadiano sarebbe sotto le 24 ore, queste differenze individuali vengono eliminate se si
analizzano i dati in forma globale come hanno fatto Meesters e collaboratori. Essendo
ogni individuo diverso, per individuo va determinato il momento migliore per
l’esposizione alla luce.
Una serie di dati avrebbero confermato anche l’importanza del sistema serotinergico nel
determinare il DAS, la cosiddetta “Ipotesi serotinergica”. Secondo questa ipotesi la
produzione di serotonina, l’ormone che svolge un rilevante ruolo nella regolamentazione
del umore, viene influenzata dalla luce e risente dell’influsso stagionale. D’inverno la
produzione di serotonina diminuisce46, 47. La serotonina è il principale substrato per la
produzione di melatonina, che a sua volta regola il ritmo sonno-veglia. Un disturbo quindi
nella produzione di serotonina, l’ormone della felicità, causerebbe la depressione
invernale e molti dei suoi disturbi.
Un certo rapporto tra latitudine e DAS esiste, anche se non forte e sempre confermato.
Infatti allo stesso grado di latitudine si sono riscontrate diverse percentuali di presenza di
DAS, vuol dire allora che probabilmente anche altri fattori influenzano il DAS.
Lo studio di Magnusson29 sugli Islandesi in Canada suggerisce che ci può essere un
adattamento genetico nel determinare il DAS. L’”Ipotesi genetica” viene anche sostenuta
da studi sui gemelli48, 49. Studi molecolari-genetici indicherebbero una relazione tra alcuni
geni che con la loro influenza su alcuni neurotrasmettitori faciliterebbero l’insorgere del
DAS50.
Tutte queste ipotesi hanno come denominatore comune l’influenza della luce e la sua
variabilità legata alle stagioni e alla latitudine e il rapporto con il ritmo circadiano.
Secondo Lam e Levitan51 i diversi risultati degli studi finora condotti confermano che
probabilmente c’è una sostanziale eterogeneità nell’eziologia del DAS, ma le diverse
ipotesi avanzate non si escludono a vicenda.
Molto probabilmente anche componenti culturali e psicologiche svolgono un ruolo nel
determinare il DAS e si avanza l’”Ipotesi culturale e psicologica”. Nel Nord della
Norveggia c’è una lunga tradizione di adattamento alle giornate buie che ha creato un
tipico stile di vita regionale. In uno studio su queste popolazioni Stuhlmiller52 descrive
come tra la popolazione Norvegese si accetta facilmente la mutabilità delle emozioni,
quello che per un Americano è vissuto come depressione, per un Norvegese è un
malessere passeggero. Inoltre fa riferimento a uno stile di vita basato su un maggior
esercizio fisico durante l‘inverno, su una dieta ricca di omega-3 (persone depresse hanno
bassi livelli di omega-3 e l’omega-3 ha effetti positivi nella cura dei disturbi bipolari 53) e
su una attiva partecipazione ad eventi o riti sociali durante l’inverno. Stile di vita quindi
adatto a combattere o a lenire il DAS.
Il concetto che si ha della depressione influisce sulla percezione dei sintomi depressivi 54.
Il linguaggio è spesso uno strumento importante per capire il valore dei concetti in una
cultura. Per esempio nelle lingue europee ci sono molte parole per descrivere
un’esperienza depressiva, mentre nella lingua cinese e giapponese non ci sono parole in
grado di descrivere adeguatamente uno stato depressivo55. Non è un caso che in questi
Paesi si sia trovata una più bassa percentuale di DAS rispetto ad altri Paesi che si trovano
sullo stesso parallelo (vedi: tab. 1).
C’è da domandarsi allora se è una questione di validità dei metodi di misurazione usati56
oppure un modo diverso di vivere i disturbi stagionali.
Ci sono stati anche dei tentativi per cercare se ci sono delle variabili psicologiche che
determinano o influiscono sul DAS. Non si è raggiunta nessuna evidenza che specifiche
componenti psicologiche determinino il DAS57, ma si è constatato che certi tratti di
personalità come schizoide, narcisistico e evitante compaiono più spesso in pazienti con
DAS piuttosto che in pazienti con depressione non stagionale58, mentre altri tratti come
dipendenza e autocritica sono meno presenti in pazienti con DAS59.
Diagnosi
E’ necessario diagnosticare correttamente il DAS, perché una depressione che si verifica
d’inverno non sempre è una depressione invernale. Una giusta diagnosi del DAS permette
di curarlo spesso con successo grazie alla terapia della luce.
4
Attraverso il sistema di classificazione del DSM è possibile in modo sistematico effettuare
una diagnosi di DAS. I criteri utilizzati per diagnosticare il DAS secondo il DSM-IV sono
riportati nella tabella sottostante.
Tab. 2:
Criteri per la specificazione del DAS
Criteri per la specificazione riguardante il Disturbo ad Andamento Stagionale (può essere
applicato all'andamento degli Episodi Depressivi Maggiori nel Disturbo Bipolare I, Disturbo
Bipolare II o Disturbo Depressivo Maggiore, Ricorrente).
Specificare se:
A.
Vi è stata una relazione temporale regolare tra l'esordio degli Episodi Depressivi
Maggiori nel Disturbo Bipolare I o Bipolare II o Depressivo Maggiore, Ricorrente e un
periodo particolare dell'anno (per es., regolare comparsa dell'Episodio Depressivo Maggiore
in autunno o in inverno).
Nota: Non includere i casi in cui è presente un evidente effetto di fattori psicosociali
stressanti stagionali (per es., essere regolarmente disoccupato ogni inverno).
B.
Anche le remissioni complete (o un viraggio dalla depressione alla mania o ipomania)
si verificano in un caratteristico periodo dell'anno (per es., la depressione scompare in
primavera).
C.
Negli ultimi 2 anni si sono presentati due Episodi Depressivi Maggiori che
dimostrano la relazione temporale stagionale definita nei Criteri A e B e non vi è stato alcun
Episodio Depressivo Maggiore non stagionale nello stesso periodo.
D.
Gli Episodi Depressivi Maggiori stagionali (come descritti sopra) superano
sostanzialmente nel numero gli Episodi Depressivi Maggiori non stagionali che si possono
essere verificati nel corso della vita dell'individuo.
Accanto ai criteri riportati nella tabella 2 vanno ricordati anche alcuni disturbi atipici nella
depressione non stagionale, ma che spesso ricorrono nella depressione stagionale: un
aumentato bisogno di sonno che può andare dalle quattro alle sei ore in più; un eccessivo
desiderio di cibo ricco di calorie come dolce, cioccolata, pasta e simili; un aumento di
peso, aumento che poi d’estate diminuisce60; l’umore tende a peggiorare la sera invece
che al mattino come avviene invece nella depressione non stagionale.
Uno strumento molto usato per la diagnosi, soprattutto in ambito di ricerca, è il Seasonal
Pattern Assessment Questionnaire (SPAQ), un questionario per autosomministrazione
realizzato da Rosenthal et al. nel 1984 7. Diverse ricerche 23, 27, 28, 56 hanno dimostrato che
il SPAQ non è sufficientemente sensitivo per essere usato come strumento diagnostico in
una situazione clinica, ma come strumento di ricerca negli studi epidemiologici è
sufficientemente accurato.
Come per la normale depressione anche per la depressione invernale c’è una gradazione
dei sintomi. Ogni persona reagisce diversamente al cambiamento delle stagioni, alcune
non hanno nessun problema, altre, soprattutto nel periodo invernale, hanno maggiore
bisogno di sonno o di mangiare cibi ricchi di carboidrati. I problemi possono essere di
lieve entità limitandosi a leggeri cambiamenti di umore, ma possono anche raggiungere
elevate condizioni di disagio sia per brevi, come per lunghi periodi. Problemi che
comunque con il cambiamento della stagione scompaiono.
Trattamento
Il DAS può essere curato. La terapia della luce è un nuovo trattamento che ha dimostrato
di essere molto efficace nella cura del DAS, dal 50% al 80% dei pazienti reagisce
positivamente alla cura 40, 61, 62. Per cui la terapia della luce si è rivelata essere un’ottima
alternativa alle cure farmacologiche63 e alle terapie psicologiche. Spesso però tutti e tre i
5
tipi di intervento sono usati in combinazione64, 65, 66 per raggiungere una maggiore
efficacia. La terapia della luce, infatti, interviene sui sintomi, ma non sulle cause del
disturbo, i sintomi ritornano spesso negli anni successivi ma qualche volta anche nella
stessa stagione.
L’uso della terapia della luce risale all’inizio degli anni ottanta. La terapia consiste
nell’esporre alla luce artificiale una persona. Agli inizi l’intensità della luce si aggirava sui
2.500 lux, intensità che si può paragonare alla luce dell’alba in un giorno non nuvoloso.
L’esposizione durava dalle due alle tre ore. Poi si è constatato che usando lampade più
forti con intensità di 10.000 lux il trattamento poteva essere ridotto a 30-45 minuti,
ottenendo lo stesso risultato67, 68. L’importante è che la luce arrivi sulla retina69.
Il dosaggio dell’intensità della luce può essere differenziato, per esempio, secondo l’età,
bambini ed adolescenti hanno bisogno di minor luce rispetto agli adulti, gli anziani
necessitano invece di molta più luce a causa dell’offuscamento della lente cristallina e per
la diminuzione del numero dei fotorecettori retinali 62.
Per evitare che i raggi ultravioletti provocano danni alla retina, vengono usate lampade
dove i raggi ultravioletti sono schermati, la schermatura non influisce sul risultato 70.
Sono stati fatti degli studi per verificare quale lunghezza d’onda è la più efficace: luci di
colore rosso 71, verde 72 o bianco73. I risultati non sono tutti concordi, ma la luce bianca
che contiene tutte le componenti dello spettro visibile e che si avvicina di più alla luce
naturale è la più usata.
Per lo più vengono utilizzate lampade posizionate su un tavolo, ma sono state
sperimentate anche altri dispositivi come un sistema di illuminazione che imita l’alba in
camera da letto 74, 75, oppure una specie di frontino con incorporata una luce che si
proietta direttamente sugli occhi 76. Le maggiori ricerche sono state fatte sulle lampade
fisse, che sono poi anche le più utilizzate. Manca ancora una sufficiente ricerca che
confermi l’efficacia degli altri dispositivi.
Non c’è ancora unanime consenso su quale sia il momento migliore della giornata per
usare la terapia della luce. All’inizio si pensava 77, 78, 79 che il mattino fosse il momento
migliore, ma poi ricerche fatte agli inizi degli anni novanta80, 40, 81 confermavano che non
ha importanza il momento del giorno in cui ha luogo l’esposizione alla luce.
Secondo recenti ricerche il periodo circadiano varia per individuo 82, 83, l’orario quindi di
somministrazione della luce dovrà tener conto di questa variabile individuale. Le persone
con un periodo circadiano lungo rispetto alle 24 ore hanno una fase ritardata del sonno,
mentre le persone con un ritmo circadiano corto hanno una fase anticipata del sonno.
Essendo il ritmo circadiano particolarmente influenzato, oltre che dalla luce, anche da
fattori sociali, in condizioni normali è difficile determinare oggettivamente il ritmo
circadiano individuale. Come indicazione si può tener conto che i primi, cronotipo serale,
hanno tendenza ad essere attivi nelle ore serali, i secondi, cronotipo mattiniero, sono più
attivi nelle ore mattutine. Le modalità di un uso mirato della terapia della luce rispetto
all’orologio biologico individuale non sono ancora state definite.
Al comparire dei sintomi del DAS si consiglia di usare la terapia della luce per una o due
settimane per almeno 3-5 giorni alla settimana 80, 40, 84, 85. Meesters, dell’Università di
Groningen, ha constatato86 che una settimana dopo la fine della terapia si ha un ulteriore
e spontaneo miglioramento dell’umore. Per cui consigliava di contenere la terapia in 5-7
giorni. Da tener presente però che dei pazienti trattati con successo il 21 per cento
sviluppa di nuovo durante la stagione invernale sintomi depressivi9. Purtroppo le ricerche
sulla durata della terapia sono limitate, in una review Westring e Lam 87 consigliano
pertanto di personalizzare il più possibile la terapia.
Controindicazioni
La terapia della luce è una terapia sicura, in genere senza rischi. L’importante è
assicurarsi che le lampade non emettano raggi ultravioletti, quelli sì dannosi per l’occhio.
Una ricerca oculistica88 condotta prima e dopo la terapia della luce non ha riscontrato
danni agli occhi dei pazienti con DAS.
Questo non vuol dire che in alcuni rari casi ci possano essere dei danni agli occhi, specie
in pazienti i cui occhi hanno particolare sensibilità alla luce. In pazienti con disturbi
degenerativi della retina quali retinopatia diabetica, retinite pigmentosa, degenerazione
6
maculare legata all’età o senile, cataratta e glaucoma è sconsigliato l’uso della terapia
della luce senza una previa consultazione dell’oculista.
Anche i farmaci, in particolar modo antidepressivi e neurolettici89, possono influire sulla
sensibilità dell’occhio alla luce ma anche medicine contro la malaria, certi antibiotici
(tetracicline, adriamicina) e solfonammidi 90. Pure il litio in combinazione con la luce può
provocare dei disturbi quali la diminuzione della sensibilità visiva91.
Altri tipi di complicazioni possono insorgere durante l’uso della terapia della luce quali
nausea, mal di testa, stanchezza agli occhi, ma anche disturbi del comportamento come
agitazione e difficoltà a dormire, specie se la terapia ha avuto luogo di sera92, 93. Si sono
registrati anche alcuni casi individuali di ipomania o mania94 e di tentativi di suicidio95. Ma
erano casi nei quali non era chiara la diagnosi di DAS.
Comunque pur essendo la terapia della luce una terapia efficace e per la grande
maggioranza dei pazienti senza complicazioni, in alcuni casi può causare dei disturbi per
cui è importante che la terapia venga effettuata sempre sotto controllo di personale
sanitario qualificato.
Altre applicazioni della terapia della luce
Si stanno raccogliendo sempre più prove che la terapia della luce è efficace anche nel
caso della depressione non stagionale. Da un’analisi sistematica di questi studi96 non si
hanno ancora prove certe, basate su un ampio campione di soggetti, ma si hanno
indicazioni su una diminuzione della gravità dei sintomi, diminuzione per lo più di breve
durata. Diversi autori97, 98, 99 la consigliano come coadiuvante della terapia farmacologia.
Anche nella cura della bulimia si hanno delle indicazioni con risultati positivi100. La luce
può aiutare a restaurare l’irregolarità del ritmo circadiano causata dall’assunzione
disordinata di cibo101.
Alcune ricerche italiane33, 34 hanno evidenziato come la Sindrome Premestruale presenti
sintomi in comune con il DAS. Non meraviglia quindi che la terapia della luce porti a
risultati positivi nella cura di questo disturbo, anche se ancora non ci sono certezze
inconfutabili in merito102.
Prime indicazioni vengono anche per la cura o alleviamento del jet-lag103, 104 o per
migliorare il sonno di chi lavora di notte105, 106.
Negli ultimi anni in Olanda viene usata la terapia della luce per migliorare il
comportamento nei malati di Alzheimer. Grazie alle innovative ricerche di Van Someren e
del suo gruppo107, 108, 109 in molte Case di Riposo olandesi vengono utilizzate lampade
poste sul soffitto che imitano la luce esterna110. Dai primi studi sperimentali111, 112, 113
sono emersi non solo una diminuzione dei disturbi del comportamento, ma anche un
miglioramento cognitivo.
7
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