Incontri culturali - Ridefinire la solidarietà

Incontri culturali - Ridefinire la solidarietà
Milano, 26 maggio 2008
Da dove ripartire
* Siamo certamente di fronte ad una crisi dell’ aspetto pubblico della solidarietà, della
configurazione sociale che essa ha assunto nel tempo, nella storia recente.
Mi riferisco in particolare alla solidarietà operaia, del lavoro, in grande auge per oltre un secolo
e fino a qualche decennio fa, che si fondava su due pilastri: la condizione comune, ma anche un
legame ideologico, nel senso lato del termine.
La condizione comune significa che la solidarietà è un dato di fatto, una situazione in cui uno si
trova, non è una scelta: uno è solidale senza averlo deciso (Gramsci scriveva che l’operaio è
sindacalista di fatto; mentre il partito, la politica richiede una scelta).
L’ideologia rafforzava questo legame, fornendo da una parte motivazioni (il militante), dall’
altra idealità e universalismo: l’ideologia proietta la solidarietà che nasce dalla condizione
(unità corporativa, di interesse, materiale) verso un orizzonte di emancipazione e liberazione
generale (includendo e livellando tutte le differenze).
L’ ideologia più nota e più forte è stata quella di derivazione marxista, socialista e comunista,
ma molto non diversa (nella logica e nel funzionamento del meccanismo, naturalmente non nei
contenuti) è stata quella cattolico-sociale e interclassista ( si pensi alle valli bergamasche e
bresciane, al Veneto ).
* Trascuriamo qui i processi di cambiamento e le relative spiegazioni, per constatare che dalla
omogeneità e dalla unità (culturalmente avviluppante ) di ieri si è passati a una società che
potremmo definire “della soggettività e delle differenze”.
Le differenze comportano la naturale perdita dell’ unità generale. Lo si vede bene nel mondo
del lavoro quanto nella società. Oggi quando ci si unisce, ci si unisce per gruppi, per ceti, per
interessi al fine di distinguersi, di affermare la propria identità; gruppi chiusi e non più
universalistici; non più ideologie che spiegano il mondo, ma semplici affermazioni spesso
spesso semplificate per quanto altisonanti, artificiose.
La società del benessere, per molti non per tutti, porta anche con sé il superamento dell’
esigenza dell’ azione collettiva: ognuno si sente artefice della propria fortuna e del proprio
destino e esprime l’esigenza di affermare la propria soggettività.
* Se questa è la situazione dobbiamo porci il problema di come sia possibile realizzare la
solidarietà in queste condizioni, che a prima vista sembrano antitetiche.
Forse però questa antitesi riguarda la solidarietà di ieri, una forma storica in via di progressiva
estinzione, ma ciò non significa che si possa pensare, elaborare e vivere una diversa solidarietà
sociale oggi.
Ieri l’unità e l’omogeneità hanno costretto e livellato ogni differenza e hanno pesantemente
limitato la possibilità di espressione personale.
Non possiamo assolutamente più pensare a una solidarietà che neghi le differenze e che
misconosca le possibilità di espressione soggettiva; queste acquisizioni non possono non
costituire elementi fondanti – per quanto problematici – di una nuova solidarietà.
Se oggi ci troviamo di fronte a soggettività e differenze, da qui dobbiamo ripartire.
La persona sociale e la solidarietà nelle differenze
La figura solidale di ieri era il “militante”, sorretto da una ideologia forte e parte di una estesa
comunità di eguali, dunque un soggetto solido, in quanto “primus inter pares”.
A volte oggi si contrappone a questa la figura del “volontario”. Ma il volontario è sorretto non
da una ideologia, ma da un ideale – che è qualcosa di meno storico-concreto e di più indefinito
– e non ha alle spalle una comunità di riferimento robusta (spesso si riferisce ad un gruppo e
più spesso ad un gruppo scelto cui dedicarsi).
Qui appunto sta il cambiamento: la persona è sociale, non più per condizione, ma per scelta.
Questa persona non è isolata, non è una monade, non vive in un mondo a sé, però in questa
realtà di oggi caotica e frammentata fa fatica ad orientarsi.
* Il problema dunque che si pone è: come in questa situazione può crescere una persona
sociale?
Meglio, come può crescere una persona sociale solida, robusta, ben orientata?
Ritengo che queste domande meritino una risposta, salvo confidare nel caso, nella fortuna, cioè
vivere nella speranza che autonomamente, contando sulle proprie forze, molte persone decidano
di essere coscientemente sociali, ciò che sinora non si è verificato.
Si può tentare una risposta, se si affronta l’altra contraddizione, quella delle differenze presenti
nella società. Per “differenze” intendo qui le grandi contraddizioni, rotture, ferite, divisioni che
attraversano la società: quelle economiche di potere e di distribuzione della ricchezza; le
disuguaglianze crescenti; il sempre più complesso problema del rapporto uomo-donna;
l’immigrazione e il confronto tra culture e religioni diverse; le profonde differenze ed
emarginazioni sociali: anziani, psichici, senza fissa dimora, clandestini, Rom,ecc..).
(Per inciso quelle che Giovanni XXII vedeva come grandi trasformazioni storiche,
segni dei tempi, sono vissute oggi con grande preoccupazione, come problemi
temibili che ci sovrastano)
* Le differenze da una parte ingenerano paura, dall’ altra rinchiudono in difesa, rinserrando le
fila dei propri simili, manifestando esclusione e ostilità verso gli altri, bloccando la solidarietà.
Basti pensare alla sicurezza che una volta era posta ai confini della patria, oggi è tutto un
problema interno, una divisione nel paese.
Il rapporto con l’ altro, quando non è dato dalla condizione ma è scelto, è un rapporto
impegnativo, difficile, spesso conflittuale; può produrre ferite, “la ferita dell’ altro”, come dice
giustamente Luigino Bruni.
E poiché il compito è difficile molti rinunciano e fanno una vita da spettatori, critici
naturalmente, molto critici, perché possiedono conoscenze e informazioni e dunque la capacità
di dire la propria.
E gli impegni non devono turbare questo tranquillo modo di vita e dunque vanno mantenuti al
minimo: adozioni sì ma a distanza, qualche ora di volontariato extralavoro perché al lavoro
niente problemi, un pò di carità sì ma magari col 5%° che non costa niente, ecc
* Si formano delle persone sociali oggi se si ha il coraggio di affrontare le grandi differenze
presenti nella società e le si affronta negli ambienti di vita, là dove viviamo, nel lavoro,
nell’economia, nel sociale, nelle famiglie.
Affrontare le grandi contraddizioni oggi aperte significa ascoltare, aprire strade di incontro,
elaborare, fare esperienze, costruire relazioni, avanzare ipotesi, fare cultura, inventare nuova
politica, cioè mettere in moto dei processi all’ altezza dei problemi che si pongono e crederci a
sufficienza per spendersi sino in fondo.
Non abbiamo bisogno di un po’ di buona volontà, di un po’ di volontariato, di un po’ di opere di
bene e di qualche dibattito: l’impegno deve essere commisurato al problema, altrimenti non è
credibile e non si costruisce ne un pensiero robusto, ne naturalmente si formano persone sociali
“robuste”.
La solidarietà del lavoro
Prendiamo ad esempio il lavoro: si afferma che non è più centrale, Bauman sostiene che oggi è
centrale il consumo. Sarà vero, ma personalmente penso che il lavoro continui a rivestire la
massima importanza (parlare del lavoro vuol dire ancora oggi parlare di come vive la maggior
parte della gente in Italia e tanto più nel mondo).
E nel mondo del lavoro sono presenti oggi molti problemi che, a causa della caduta dell’unità di
ieri, non sappiamo più come affrontare: si sono formati nel lavoro tanti gruppi diversi e tra loro
separati (chi guadagna troppo e chi guadagna troppo poco), si è creata troppa concorrenza sul
ribasso dei salari, esiste un’infinità di cooperative che di cooperativa hanno solo il nome, esiste
la necessità di trovare nuovi equilibri e una conciliazione dei tempi tra donne e uomini dato il
crescente rilievo della presenza femminile, la dignità dei lavoratori è spesso trascurata e
calpestata,ecc….
Come non vedere che questi problemi sono centrali nella vita delle persone e il fatto che non si
dia più loro rilevanza fa sì che ognuno li viva come angustie e insuccessi personali e non come
problemi sociali , comuni a molte altre persone e significativi.
* Il lavoro merita oggi una riflessione ulteriore che qui mi limito a richiamare: nella tradizione
del movimento operaio ha prevalso storicamente la tradizione marxista, socialista e comunista,
che ha dato al movimento stesso un carattere antagonistico e oppositivo.
Questo modo di vedere pesa ancora su una parte del movimento sindacale italiano, creando una
situazione costante di scontentezza e di risentimento tanto più grave, perché non in grado di
produrre degli sbocchi plausibili.
(Il recente crollo elettorale della sinistra se si va alla radice mi sembra che sia da ricondurre a
questa irrisolta questione di fondo, che provoca un’ insoddisfazione senza via di uscita).
Oggi il movimento dei lavoratori dovrebbe esplicitare una scelta radicale per una prospettiva
diversa, una prospettiva di carattere cooperativo e associativo, che era presente all’origine del
movimento operaio e poi emarginata.
Se si considera che la maggior parte del lavoro è oggi relazionale e cognitivo, vuol dire che si
stanno creando le condizioni per un rapporto diverso nel lavoro.
E’ incredibile che mentre si parla così tanto di libero mercato, di libera concorrenza, di libertà
dell’ impresa, l impresa rimanga poi un luogo assolutamente gerarchico e autoritario, con scarsa
o nulla democrazia e partecipazione, dove spesso domina ancora il padrone con regole di
vecchio stampo.
E’ un’ evidente contraddizione con la diffusa soggettività attuale e un serio ostacolo alla
possibilità di uno sviluppo sociale della persona.
L’ economia e il sociale.
Un discorso analogo dovrebbe essere fatto per l’economia: qui di fronte alla globalizzazione,
alla finanziarizzazione, all’ egemonia del mercato, il pensiero critico si è sostanzialmente
arreso.
L’ autoreferenzialità dell’ economia, la sua indiscutibilità sono ormai diventate un dato di fatto.
Si considera troppo poco che cosa significhi per la vita delle persone che l’economia conti più
della politica, che non può essere contrastata, che le sue leggi siano sovrane; significa che una
parte rilevante della vita delle persone non dipende da loro, ma da forze oscure, chiamiamola
“mano invisibile”, anche se invece trattandosi di azioni umane potrebbero e dovrebbero essere
ben visibili e discusse.
E’ urgente riaffermare la possibilità e la plausibilità di una umanizzazione dell’ economia, che
essa può essere orientata, può essere diretta, posta sotto un controllo dell’ uomo.
* Questa autoaffermazione dell’ economia – tra le tante conseguenze negative ha anche
comportato una netta divisione tra economia e sociale, facendo del sociale non una dimensione
normale che è un tutt’uno con l’ economico, qualcosa di strettamente congiunto, ma una cosa a
parte, ben separata, sempre più relegata, marginale e destinata ai marginali, ai poveri, e pertanto
sempre più deficitaria dal punto di vista finanziario.
(Un esempio tipico è la casa: si è liberalizzato il mercato e non ci sono più i soldi per fare gli
interventi popolari).
Se si separano economico e sociale, l’ economia diventa un regno agnostico, impersonale,
amorale, il sociale un mare magnum di miserie e di povertà, con una coperta cortissima che
copre minima parte degli interventi necessari e senza prospettive di uscita.
In queste condizioni è difficile che alligni la solidarietà.
La differenza più grande.
Fra le differenze, la differenza più grande, la differenza delle differenze è certamente oggi
quella rappresentata dagli immigrati.
Qui tutto sembra dividere: territorio, lavoro, casa, tradizioni, cultura, religione, sicurezza.
Una volta sono gli albanesi, un’altra volta le minacce della Libia, un’altra gli islamici
fondamentalisti e terroristi, oggi i ROM e i romeni: è presente una costante
campagna contro che strumentalizza e ingigantisce problemi e paure.
E all’ inverso qui c’è bisogno non certo di buonismo, ma di una forma di solidarietà, forse la più
complessa, che richiederà molto tempo, infiniti passaggi e anche tanti contrasti da superare.
Esisteva simpatia e solidarietà per i popoli lontani, ma ora che i popoli lontani sono vicini –
troppo vicini – tanti, troppi hanno cambiato atteggiamento.
Come il Vangelo invita, se sei in lite col fratello, per prima cosa a rappacificarti con lui, così è
difficile che ci sia solidarietà se rimane aperta una ferita così profonda nelle nostre società.
Qualche osservazione conclusiva
* Per concludere alcune sottolineature.
Se oggi si afferma la soggettività, occorre che ad essa corrisponda l’altra faccia della medaglia,
la responsabilità. Se la persona vuol essere libera, deve (dovrebbe) essere anche responsabile,
dunque farsi carico, per la sua parte, dei problemi che incontra.
Come diceva il populista Lavrov “ se uno è cosciente di un male presente nella società e non fa
nulla per affrontarlo diventa anche lui responsabile delle conseguenze che ne derivano”.
Qualche giorno fa lo si leggeva nella liturgia dalla lettera di S.Giacomo “Chi dunque sa fare il
bene e non lo compie, commette peccato”
Ma qui ora più che il richiamo al singolo dato che stiamo ragionando su come sia possibile
formare la personalità sociale del singolo – è importante sottolineare come dovrebbero cambiare
le organizzazioni e le associazioni tutte.
Esse devono sempre di più basarsi sul riconoscimento dell’ adultità delle persone; più che
associazioni direttive devono essere animatrici, devono decentrare il più possibile la
responsabilità, devono costantemente cercare di realizzare una partecipazione orizzontale,
circolare.
Questo essere considerati e vivere da adulti in una associazione trasmette un habitus di
responsabilità che si declina anche in altre situazioni.
* E’ possibile una solidarietà generale?
Affrontare le specifiche differenze, comprenderle, interpretarle, esprimere un atteggiamento di
presa in carico, di chi se le prende a cuore, significa appunto dimostrare solidarietà.
Testimoniare solidarietà per una differenza sostanziale significa sia fare esperienza di
solidarietà universale (Horkheimer diceva che la solidarietà è quanto c’è di universale in ogni
esperienza particolare) sia determinare istantaneamente una condizione più favorevole anche
nei confronti delle altre differenze.
In modo approssimativo si potrebbe dire che la solidarietà generale potrebbe essere il risultato,
la somma delle varie solidarietà che si esprimono sulle grandi differenze.
Diciamo meglio: se si manifestano in questi campi decisivi delle solidarietà vive, adeguate, il
loro dispiegarsi e la loro interazione mettono in moto un movimento generale di solidarietà.
Dunque ieri una solidarietà centrale che copriva, incorporava, sovrastava le altre solidarietà;
oggi diverse solidarietà importanti, il progresso di ognuna delle quali agisce sulle altre.
* C’è qualcosa che unisce idealmente tutto questo?
Personalmente penso di sì. Ciò che unisce tutto questo non è un’ideologia, come in passato, ma
una prospettiva “democratica”, purchè la democrazia non sia considerata un puro insieme di
regole istituzionali, ma come una visione etica, tanto più forte e incisiva, quanto più
storicamente ( e quindi politicamente, economicamente, socialmente) determinata.
La democrazia (secondo Franco Riva) è strettamente connessa all’ etica sociale, perché è il
sistema dove meglio può esprimersi la responsabilità e quindi possiamo considerare la
solidarietà come un’ estrinsecazione sociale della democrazia.
E’ ciò che dice molto bene Guido Formigoni in un bell’ articolo su “Appunti” dove illustra che
cos’è il cattolicesimo democratico: “Il secondo pilastro del cattolicesimo democratico è sempre
stata una concezione avanzata nel senso dell’ eguaglianza e della giustizia: la democrazia dei
moderni è infatti essenzialmente la lotta dei “molti” per avere cittadinanza, riconoscimento,
diritti, opportunità....Democrazia quindi come sviluppo personalistico e comunitario della
società, non come mera tutela dei rapporti di forza spontaneamente costruiti in essa. “
Riassumendo
1. I cambiamenti intervenuti richiedono una forma sociale nuova della solidarietà. Se ieri
la figura rappresentativa era il militante, oggi occorre pensare ad una figura diversa, che
possiamo chiamare persona sociale.
2. Ma come formare le persone sociali in un’ era di soggettivismo?
La loro formazione avviene attraverso l’esperienza, negli ambienti reali di vita,
affrontando le grandi contraddizioni/differenze che attraversano la società, in forme e
prospettive che siano sempre più adeguate/proporzionate alla dimensione e natura dei
problemi.
3. Ogni progresso solidale relativamente a una delle grandi contraddizioni presenti genera
Beneficio anche rispetto alle altre contraddizioni e dunque rende possibile e visibile
l’avanzare di un processo generale di solidarietà, in una prospettiva di democrazia più
sostanziale.
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