Atteggiamenti linguistici “La lingua italiana è una lingua corretta

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Linguistica Generale (cod. 24169) – Modulo 2, a. a. 2016-17
Prof.ssa Federica Guerini
Materiali 5
Atteggiamenti linguistici
Cominciamo dal commento di alcuni esempi, tratti da: GIOVANNI RUFFINO. 2006. L’indialetto ha la
faccia scura. Sellerio, Palermo.
“La lingua italiana è una lingua corretta, piena di verbi, articoli e nomi, e se
uno fa uno sbaglio è subito corretta. Mentre nel dialetto le cose non sono
badate e pronte a correggersi, bensì buttate là, una frase a casaccio. Quindi
il fatto rimane chiaro, la lingua italiana è corretta ed esatta, mentre il
dialetto è una lingua grezza e difficile da capire.” (Montefiascone, Viterbo)
“Il dialetto è una lingua espressa in modo volgare e insignificante, quando
invece si può fare bella figura usando l’Italiano.” (Viadana, Mantova)
“Penso che il dialetto […] è una lingua molto scorretta, perché parlare di
fronte a una persona importante, questa lingua, si perde l’amicizia.”
(Alberobello, Bari)
“Io preferisco parlare in dialetto, anche se mio papà mi dà le sberle.” (San
Fedele, Como)
“Se mia mamma sente che dico una parola in dialetto mi lava la lingua con
il sapone.” (Palermo)
“Chi parla dialetto non ha la coscienza pulita.” (Palermo)
“In dialetto non occorre stare molto attenti a tutte quelle regole
grammaticali che la lingua italiana richiede.” (Borgoricco, Padova)
“L’italiano è una lingua più elegante, più sonora, più completa. Infatti,
secondo me nessuno sa l’italiano parola per parola, invece il dialetto è una
lingua più brutale e arrogante.” (Bonefro, Campobasso)
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“La lingua italiana la parlano molto, di solito gli uomini importanti. Il
dialetto lo parlano i campagnoli, gente della montagna.” (Cervasca, Cuneo)
“Le parole in dialetto fanno ridere, mentre le parole in italiano no.”
(Viadana, Mantova)

Linguistic insecurity (W. Labov): sentimento di vergogna e di sofferenza identitaria di
fronte al proprio dialetto e/o al proprio accento;
Studio realizzato nel 1995 presso i ragazzi di 3°, 4° e 5° elementare di 167 istituti scolastici:
63 nel Nord; 28 nel Centro; 36 nel Sud; 40 in Sicilia.
Obiettivi (cfr. Ruffino 2006: 55):
a.
rilevare, documentare, studiare quella forma di pregiudizio correlata all'uso delle varietà
linguistiche, in particolare verso la polarizzazione lingua/dialetto;
b. considerare il ruolo della scuola (oltre che della famiglia) nella trasmissione dei nuovi
modelli linguistici;
c.
verificare, nei bambini di 8-10 anni, il grado di percezione dello spazio linguistico e della
variazione (diatopica, diacronica, diastratica, diafasica, diamesica).
(1)
Definizione: con atteggiamento (linguistico) si intende “l’insieme delle posizioni concettuali
assunte da una persona circa un determinato ‘oggetto’”, (cfr. Berruto 2002a: 110).
(2)
Gli atteggiamenti sono sempre relativi ad un determinato ‘oggetto’ sociale, e assumono la
forma di sentimenti di apertura o di chiusura, di attrazione o di rifiuto nei confronti di tale
‘oggetto’. In prospettiva sociolinguistica, gli ‘oggetti’ nei confronti dei quali si nutrono
atteggiamenti possono essere:
a)
le singole lingue o varietà di lingua, nella misura in cui si giudicano portatrici di
determinate caratteristiche (chiarezza, musicalità, espressività, difficoltà / facilità
nell’essere apprese, ecc…);
b)
l’impiego di una lingua (o di una varietà di lingua) in determinati domini o classi di
situazioni (ad esempio, l’impiego del dialetto da parte del docente nel corso di una
lezione universitaria);
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c)
le comunità che si distinguono per l’impiego di una certa lingua o varietà di lingua
(ad esempio, una comunità di immigrati, oppure una comunità alloglotta in territorio
italiano);
d)
l’infrazione di certe norme linguistiche o l’introduzione di forme considerate
agrammaticali o substandard (ad esempio, l’impiego della particella negativa mica in
posizione post-verbale, in enunciati del tipo “Non ho mica criticato il tuo
comportamento…” che tende ad essere giudicato dai parlanti più conservatori come
un’infrazione delle regole dell’italiano ‘corretto’).
(3)
Componenti degli atteggiamenti:
Se accettiamo che gli atteggiamenti siano delle ‘posizioni concettuali’, degli stati mentali,
dobbiamo presupporre che essi siano costituiti sia da componenti cognitive (credenze,
fondate sia sull’osservazione ed esperienza diretta, che sull’inferenza, o sull’autorità di altri),
che da componenti affettive, emozionali. Gli atteggiamenti sarebbero poi costituiti da un
terzo aspetto, quello conativo, rappresentato da intenzioni più o meno nette di
comportamento e da disposizioni all’azione.
(4)
Labov definisce una comunità linguistica “un gruppo di parlanti che condivide un insieme
di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua”;

all’interno di una comunità linguistica, dunque, gli atteggiamenti sono relativamente
uniformi;

gli appartenenti alla comunità condividono un insieme di norme linguistiche di
appropriatezza e di risorse verbali, che consentono di produrre ed interpretare il
parlato in maniera relativamente omogenea;

il fatto di possedere un certo “bagaglio” di atteggiamenti nei confronti dei diversi
sistemi linguistici e delle varietà di lingua parlate nell’ambito della comunità alla quale
si appartiene può dunque essere considerato parte integrante della competenza
comunicativa dell’individuo (cfr. Hymes 1972), ovvero, dell’insieme di conoscenze
necessarie al fine di comunicare in modo efficace e (socialmente) appropriato.
(5)
Natura degli atteggiamenti linguistici:

oggi non si ritiene più che gli atteggiamenti condizionino e determinino il
comportamento in modo univoco ed inequivocabile;
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
gli atteggiamenti sono piuttosto considerati una sorta di “stato di predisposizione ad
agire in una certa direzione” (Berruto 2002a: 110), e si ritiene che rappresentino
soltanto uno dei fattori che intervengono a dirigere l’effettivo comportamento di un
certo individuo, accanto alle circostanze della situazione, ai valori, alle norme e alle
consuetudini della comunità sociale, e naturalmente in rapporto alle capacità
soggettive di valutazione.

gli atteggiamenti hanno anche una componente interazionale, ovvero, riguardano le
relazioni all’interno di un gruppo di persone o di un’intera comunità;

gli atteggiamenti sono acquisiti, tramite apprendimento implicito, nel corso della
socializzazione primaria e secondaria (ma anche in seguito), e dunque possono mutare
od evolversi nel corso del tempo, anche se di solito sono abbastanza stabili,
soprattutto se si tratta di atteggiamenti acquisiti nel corso della prima infanzia;

un atteggiamento positivo nei confronti di una certa varietà di lingua dipende dal ruolo
che essa svolge in quanto marca di una determinata identità di gruppo, mentre un
atteggiamento negativo può avere alla base il desiderio di rifiutare l’appartenenza al
gruppo a cui tale lingua è simbolicamente associata.
(6)
Gli atteggiamenti NON vanno confusi con:
-
le opinioni (che di regola sono verbalizzate e quindi osservabili, mentre gli atteggiamenti
non sono direttamente osservabili);
-
i pregiudizi (un particolare tipo di atteggiamenti, che ciascuno di noi si forma,
soprattutto nel corso della prima infanzia, prima di o indipendentemente dall’avere avuto
un contatto o una conoscenza diretta con un certo oggetto. I pregiudizi sono basati su
una serie di categorie prestabilite, gli stereotipi) e resistono alle diverse forme di messa
in discussione;
-
gli stereotipi (caratteristiche rigide e irreversibili, che si manifestano in credenze,
opinioni, immagini mentali, ecc., per lo più di tipo implicito, che vengono attribuite a un
oggetto – oppure ad un gruppo sociale, etnico, linguistico – in base a delle
generalizzazioni frettolose e talvolta infondate). La funzione degli stereotipi è quella di
permetterci di razionalizzare alcuni dei nostri atteggiamenti, senza essere costretti a
metterli in discussione.
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(7)
Funzioni degli atteggiamenti linguistici:
a) Funzione utilitaristica: gli atteggiamenti nei confronti di una lingua possono evolversi in
una certa direzione quando ciò si rivela particolarmente vantaggioso oppure permette di
evitare delle conseguenze spiacevoli;
b) Funzione di difesa dell’identità personale: un sentimento di sicurezza e di autostima è
essenziale per l’equilibrio psicologico dell’individuo. Se il fatto di parlare una certa
lingua provoca imbarazzo, vergogna o sentimenti di inadeguatezza è chiaro che tale
sentimento di sicurezza viene meno, e il solo modo per ripristinarlo consiste
nell’abbandonare tale lingua in favore di un sistema linguistico diverso;
c) Funzione di manifestazione di valori: gli atteggiamenti sviluppati nei confronti di una
lingua dipendono in larga parte da quanto tale lingua consente di esprimere l’identità
etnica e i valori di coloro che la parlano. Se un parlante avverte che la propria identità
etnica, la propria cultura e i propri valori sono espressi in maniera più efficace attraverso
una certa lingua, sarà molto difficile che i suoi atteggiamenti nei confronti di altre lingue
(ad esempio, nei confronti di una lingua di minoranza) possano essere positivi;
d) Funzione di orientamento cognitivo: gli atteggiamenti linguistici presuppongono sempre
una certa componente cognitiva, in qualche modo legata all’accesso alla cultura, alla
conoscenza ed alla comprensione della realtà che ci circonda.
(8)
Come si rilevano e si misurano gli atteggiamenti linguistici:
A)
Metodi diretti: inchieste con somministrazione di un questionario o interviste con
domande sia dirette che indirette;
Limiti: i)
gli informanti, nel compilare, ad esempio, un questionario, tendono a
trasmettere l’immagine di come vorrebbero essere (o di come credono
che l’intervistatore li vorrebbe), anziché l’immagine di come sono in
realtà (effetto alone / halo effect);
ii)
gli informanti tendono ad essere influenzati sia dalle opinioni (e dal
comportamento) del ricercatore, sia da ciò che essi percepiscono come (o
che
suppongono
essere)
lo
scopo
dell’indagine
(paradosso
dell’osservatore);
iii)
scelta di un campione che sia rappresentativo: la presenza di distorsioni
tende ad emergere solo al termine della fase di raccolta dei dati, quando
diventa molto difficile e dispendioso apportare delle modifiche
significative al campione stesso.
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B)
Metodi indiretti: matched guise technique (Wallace Lambert, anni ‘60 del secolo
scorso).
Vantaggi legati all’impiego di questa tecnica: chiedendo ai valutatori di esprimere
giudizi su persone sconosciute, piuttosto che su determinate varietà di lingua, risulta
più facile ottenere dei giudizi spontanei, non filtrati in termini di accettabilità sociale;
Limiti:
i) richiede tempi più lunghi e risorse economiche più ingenti rispetto alla
formulazione di un questionario;
ii) è necessario avere a disposizione un parlante capace di esprimersi in
modo credibile in diverse varietà di lingua (si ricorre di solito ad attori
professionisti).
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