29/11/2015 Materiale da consultare (obbligatorio) Storia delle filosofia antica Maddalena Bonelli a.a.2015-2016 La causalità antica 4: Aristotele - L. Perilli e D. Taormina (a cura di): La filosofia antica. Itinerario storico e testuale, UTET 2012, capitoli 11-12 - Aristotele, Fisica, a cura di R. Radice, Bompiani 2014 (seconda edizione), Libro II, pp. 182-201; 218-237 (esclusa la parte in greco) Vita di Aristotele Opere di Aristotele Aristotele nasce a Stagira (a est della Penisola Calcidica, sotto la Macedonia) nel 384/383 a.C.. Il padre, Nicomaco, fu medico presso la corte del re Aminta di Macedonia. (1) A 17 anni fu mandato ad Atene dove studiò per vent’anni nell’Accademia di Platone, fino alla morte di questi (348/347 a.C.) (2) Dopo varie permanenze (ad Asso e a Mitilene) nel 343/342 diventa precettore del figlio del re Filippo II di Macedonia, Alessandro, che aveva 15 anni. (3) Nel 335/334 torna ad Atene, che, come abbiamo visto, in questo periodo era sotto il controllo macedone (Alessandro, diventato «il Grande»). Fondò una scuola, il Liceo, di cui fu a capo fino alla morte di Alessandro (323/321 a.C.). A causa dei sentimenti antimacedoni che si scatenarono ad Atene dopo la morte di Alessandro, fu costretto a lasciare la scuola e Atene, ritirandosi nella città natale della madre, Calcide, nell’isola di Eubea, dove morì nel 322/321 a.C. Come dice sinteticamente Lennox nel manuale La filosofia antica, p. 273, il corpus delle opere di Aristotele oggi sopravvissuto deriva da manoscritti medievali basati sulla famosa edizione del I secolo a.C. dovuta ad Andronico di Rodi. Quello che va sottolineato è che ciò che ci rimane sono gli scritti cosiddetti esoterici (cioè, i trattati dedicati all’insegnamento nel Liceo e forse, nelle loro parti più antiche, dedicati all’insegnamento nell’Accademia di Platone), mentre quelli essoterici (destinati alla pubblicazione) sono andati perduti (ne rimangono solo frammenti). Cronologia La distinzione tra i diversi tipi di conoscenza La cronologia di cui si tiene conto per stabilire i tre periodi della vita di Aristotele è quella riportata da Diogene Laerzio (libro V 9), e risalente alle Cronache di Apollodoro, storico ateniese del II a.C. Per questo le date contemplano una ‘forchetta’ di due anni (es. Aristotele nasce nel 384/383), perché il sistema di datazione usato da Apollodoro si basava sugli arconti che si succedevano regolarmente ad Atene. Come osserva giustamente James Lennox (autore della parte su Aristotele in La filosofia antica), Aristotele distingue consapevolmente aree diverse di indagine e conoscenza, basate su metodi diversi e principi diversi (p. 273). Ci sono sicuramente stati dei precedenti a questo approccio, come attestato da osservazioni sulla scienza medica e sulla matematica. 1 29/11/2015 La distinzione tra i diversi tipi di conoscenza La distinzione aristotelica delle scienze 1) Il corpus hippocraticum (una settantina di testi non attribuibili solo a Ippocrate ma a autori diversi tra il V e il IV secolo a.C.) mostra già, in alcuni scritti, il tentativo di considerare salute e malattia sulla base dell’osservazione empirica e del ragionamento. 2) A partire dal IV secolo a.C. i matematici cercano di riflettere sulla differenza tra scienze come geometria e astronomia, ottica e meccanica, aritmetica e armonia. Tracce di queste riflessioni si trovano in riferimenti fatti innanzitutto da Platone e Aristotele. Platone stesso inizia a cercare di distinguere la filosofia (basata sulla dialettica) dalla filosofia della natura e dalla matematica (vedi Repubblica e Timeo). E’ tuttavia Aristotele che si sforzerà in tutte le sue opere di definire e differenziare forme diverse di conoscenza, spiegando anche il tipi di relazione che esse hanno tra loro. Opportunamente Lennox ha discusso la filosofia di Aristotele proprio a partire dal suo sistema di classificazione delle scienze, che troviamo nel libro Epsilon della Metafisica. Il libro Epsilon della Metafisica I tre tipi di conoscenza Nel primo capitolo del libro Epsilon della Metafisica (da considerare assieme al primo capitolo del libro Gamma della Metafisica) Aristotele si pone come obiettivo quello di individuare una nuova scienza: la scienza dell’ente in quanto ente, chiamata anche «filosofia prima» e «teologia». Come si dice sia in Epsilon (1025b3-9) che in Gamma (1003a22-26) questa scienza è distinta dalle altre scienze poiché essa è universale (si occupa di tutto l’ente in quanto ente) mentre le altre scienze sono parziali: o si occupano di una parte di ente, es. la zoologia, oppure di tutti gli enti ma sotto determinate proprietà, es. l’aritmetica, che si occupa di tutti gli enti in quanto numerabili. La conoscenza teoretica La conoscenza teoretica è ricercata in quanto tale, è lei il suo proprio obiettivo. Della conoscenza teoretica fanno parte: la matematica, la filosofia della natura (chiamata, come oramai sappiamo, fisica (physiké). Allo scopo di individuare questa nuova scienza Aristotele distingue tre tipi di conoscenza (e relative scienze), distinzione basata su tre obiettivi diversi che le tre conoscenze perseguono: 1) La conoscenza teoretica (theoretiké); 2) la conoscenza produttiva (poietiké) 3) La conoscenza pratica (praktiké) La conoscenza produttiva La conoscenza produttiva è perseguita ai fini di produrre qualcosa (un risultato pratico). Tra le scienze produttive troviamo: la medicina, le belle arti (tragedia, poesia, pittura, scultura), e le varie arti ‘tecniche’ (la costruzione di navi, case, templi, la coltivazione dei campi, la pesca, la caccia, ecc.). Ma anche la retorica, che è vista da Aristotele come l’arte del discorso persuasivo. 2 29/11/2015 La conoscenza pratica La conoscenza teoretica La conoscenza pratica è quella che riguarda l’azione umana (la famosa praxis) e i suoi risultati. Esempi di tale conoscenza sono la gestione della famiglia, e in generale l’etica e la politica. La conoscenza teoretica merita un posto a parte. Essa è superiore alle altre precisamente perché il fine è la conoscenza per se stessa, cioè non è strumentale a nessuna produzione (né comportamentale, né tecnica). La sua superiorità si basa su un’opinione che probabilmente Aristotele riteneva universale e condivisa da tutti, e cioè che «tutti gli uomini per natura tendono a conoscere» (Metafisica Alpha, 980a1. Si tratta dell’inizio di quello che è considerato il primo libro della Metafisica). Aristotele ha scritto opere su molte delle discipline rientranti in questa tripartizione: l’etica e la politica, la poesia e la retorica, la fisica e l’astronomia. Quanto alle matematiche, sebbene Aristotele non abbia dedicato ad esse dei trattati, ne parla moltissimo, e sicuramente ne era esperto, come qualunque allievo platonico doveva essere. Per una problematizzazione della tripartizione, vedi Lennox, op. cit., p.274. La conoscenza teoretica Su cosa si basa l’opinione secondo cui tutti gli uomini tendono per natura a conoscere? Proprio sulla natura dell’uomo. Aristotele riteneva platonicamente che l’uomo dovesse essere precipuamente identificato con l’intelletto (nous), la cui attività fondamentale è pensare e conoscere (vedi ad esempio ciò che dice sull’Etica Nicomachea a proposito della felicità umana). La teologia Gli esseri divini di cui si occupa la teologia aristotelica sono infatti astri e motori immobili. Queste entità, per Aristotele, sono senza mutamento o quasi. Gli astri, infatti, sono costituiti di una materia quasi immateriale, l’etere, e si muovono di movimento circolare, il più perfetto. I motori immobili sono entità appunto immobili, puramente immateriali, che pensano se stesse. Tre tipi di conoscenza teoretica Nel libro Epsilon della Metafisica (1026a18-19) Aristotele distingue tre tipi di conoscenza teoretica: 1) La matematica (o meglio, le matematiche, aritmetica, geometria, ecc.); 2) La fisica che noi già conosciamo, che sarebbe meglio chiamare filosofia della natura, oppure scienza naturale (e che comprende zoologia, psicologia, meteorologia, chimica e «fisica» propriamente detta, che si occupa degli enti fisici in movimento); 3) La teologia, termine che però dev’essere utilizzato con cautela, perché non riguarda gli enti divini come i nostri, ma di fatto è l’astronomia. E la filosofia? Dipende da cosa si intende per filosofia. Normalmente, si fa coincidere la filosofia aristotelica con la ‘metafisica’, termine che però non è aristotelico né dal punto di vista editoriale (titolo del trattato ‘Metafisica’), né dal punto di vista del contenuto (Aristotele non ha mai usato questo termine per fare riferimento alla sua filosofia). 3 29/11/2015 E la filosofia? E la filosofia? Inoltre, come sappiamo, la Metafisica non è un trattato unitario (e non compare come tale nelle lista delle opere di Aristotele): essa non si occupa di una disciplina unica, ma comprende trattati diversi (i vari libri della Metafisica) che hanno a che fare con ‘argomenti metafisici’ relativamente poco unificati: scienza delle cause (libro Alpha), scienza dell’ente in quanto ente (libro Gamma), scienza della sostanza (libri Zeta, Eta, Theta), e finalmente scienza delle sostanze divine o teologia. Sta di fatto che, con qualche difficoltà, Aristotele farà rientrare tutti questi ‘soggetti metafisici’ nella teologia. In effetti, nel libro Epsilon della Metafisica (1026a30-31), Aristotele afferma che la teologia (che abbiamo visto essere l’astronomia, una sorta di super-fisica), occupandosi delle sostanze divine, che sono principi e cause prime di tutte le altre cose, di fatto si occupa anche di tutte le altre cose, perché secondo Aristotele, occuparsi delle cause prime e dei principi delle cose significa occuparsi anche delle cose di cui essi sono cause prime e principi. • Torneremo più avanti su questa gerarchia, per ora possiamo ricapitolarla: • 1) sostanze divine • 2) sostanze fisiche. E la filosofia? E la logica? In alcuni passi Aristotele sembrerebbe aggiungere un livello intermedio tra 1) e 2), e cioè 3) gli enti matematici. Stabilirebbe così una gerarchia tra le tre scienze teoretiche distinte in Epsilon 1026a18-19. E’ cosa ben conosciuta (e ricordata da Lennox, op. cit., p. 274) che un certo numero di trattati aristotelici non rientra in nessuna di queste categorie. Si tratta dei trattati di logica, raggruppati sin dall’antichità come Organon: Categorie, De interpretatione, Analitici Primi, Analitici Secondi, Topici, Elenchi sofistici. Perché sono stati raggruppati in una categoria detta Organon? Perché la logica fu considerata da Aristotele non una parte della filosofia (come sarà invece per gli Stoici), ma come uno strumento (organon, appunto) per qualunque ricerca seria. L’organon Lo statuto delle scienze Come osserva giustamente Lennox (p. 274), a rigore solo l’opera chiamata Primi Analitici si configura come un trattato di quella che noi oggi chiamiamo logica. In effetti, essa è il primo trattato di logica formale (la famosa sillogistica), e Aristotele dichiara esplicitamente che è stato il primo a trattare questa disciplina (vedi Elenchi sofistici 183b34-184b9). La cosa importante da sottolineare è che Aristotele, almeno nella Metafisica, presuppone una trattazione preliminare circa la conoscenza. E afferma che gli Analitici, sia Primi che Secondi, forniscono proprio tale trattazione. Quando Aristotele definisce le scienze (Analitici Secondi, I 2, 71b9-72b4), egli ha in mente un sistema assiomaticodeduttivo di tipo geometrico (si pensi per esempio alla geometria di Euclide, che parte da elementi per dimostrare). Secondo questo modello, si parte da assiomi (principi e cause prime) per dedurre delle conseguenze. Una questione naturale da porsi è quindi la seguente: le scienze che Aristotele menziona e pratica (le teoretiche, le pratiche e le poietiche) devono avere, e nelle sue intenzioni hanno, questa struttura? 4 29/11/2015 Statuto delle scienze pratiche e poietiche Statuto delle scienze teoretiche E’ chiaramente difficile sostenere questa tesi per le scienze poietiche come la poetica e la retorica, malgrado il fatto che Aristotele mostri sempre un grande interesse per le definizioni, che sono il punto di partenza e, per così dire, gli assiomi di qualunque scienza, e malgrado il fatto che vi sia un sillogismo tipicamente retorico, chiamato ‘entimema’. E’ difficile sostenere questa tesi anche per le scienze pratiche, nonostante il fatto che ci sia una grande discussione ancora in corso per l’etica, tant’è vero che alcuni parlano di sillogismo pratico. Cosa dire delle scienze teoretiche, tra cui, come abbiamo visto, si colloca con qualche difficoltà anche la filosofia? Ovviamente le matematiche possiedono questa struttura, e per questo sono state prese a modello sia da Platone che da Aristotele, proprio perché all’epoca rappresentavano le scienze più evolute. Statuto delle scienze teoretiche Statuto della filosofia: dialettica… Le scienze della natura possono essere concepite come scientifiche, anche se Aristotele a loro proposito parla di conclusioni che valgono ‘per lo più’, cioè ammettono delle eccezioni (laddove le deduzioni scientifiche sono universali e necessarie). Qui da sempre si fronteggiano due schieramenti opposti: alcuni (vedi per esempio E. Berti, Profilo di Aristotele, Milano 2012) ritengono che la filosofia, almeno quella che si trova nella Metafisica, abbia un andamento dialettico (in senso quasi socratico), cioè cerchi di stabilire, sulla base di opinioni autorevoli (endoxa) contrapposte, i principi da cui partire per i propri argomenti, scartando quelle che si mostrano insostenibili perché contraddittorie. Vedi a. esempio Metafisica Beta. …o scientifica? Una risposta Altri, sulla base di esplicite affermazioni di Aristotele ritengono invece che Aristotele abbia quanto meno l’intenzione di organizzare il sapere filosofico, una volta scoperto, in sequenze scientifiche. L’obiezione seria a questa teoria è che nella Metafisica (come del resto nemmeno nella Fisica) non si trovano mai argomenti di tipo assiomatico-deduttivo. Una risposta plausibile è quella data da J. Barnes in un volumetto su Aristotele uscito in italiano (J. Barnes, Aristotele, trad. di C. Nizzo, Torino 2002), secondo cui nei trattati di Metafisica, così come in quelli appartenenti alla scienza della natura, Aristotele è ancora impegnato a trovare le conoscenze, e in particolare i principi da cui partire per poi organizzare i saperi filosofici. Del resto Aristotele sembra pensare che qualunque principio, anche il più scientifico, si costituisca a partire da opinioni autorevoli (endoxa) (quelle opinioni condivise da tutti o da uomini sapienti) messe alla prova (vedi Topici A, 101a35-101b5). 5 29/11/2015 Principi e cause Analitici Secondi I 2, 71b9-16 «Noi crediamo di comprendere ogni cosa in modo assoluto, e non in modo sofistico secondo accidente, quando crediamo di conoscere la causa per cui la cosa è, che essa è causa della cosa, e che la cosa non può essere altra da ciò che è. E’ quindi evidente che la comprensione è qualche cosa di questo tipo». Forma dell’argomento A chi si riferisce questo ‘noi’? Ci sono tre possibilità: i) io, Aristotele (plurale maiestatis); ii) noi, i filosofi (nel senso degli aristotelici); iii) noi, tutto quanto il genere umano. Ci sono dei segni tecnici nel greco di questo testo che fanno propendere per un ‘noi’ universale, cioè tutti noi. Forma dell’argomento La forma dell’argomento è la seguente: 1) noi crediamo… 2) quindi… Rapporto 1) e 2): 1) noi crediamo x 2) quindi: x. Opinione concettuale Ma di quale credenza generale si tratta? Di una credenza concettuale, che si basa sul concetto che noi abbiamo di ‘uomo’. Aristotele sembra dire: visto che noi consideriamo l’uomo come animale razionale, allora crediamo che la conoscenza razionale sia così e così. Il che rende l’argomento meno assurdo di quello che sembrerebbe a prima vista. In generale, comunque, Aristotele pensa che le nostre credenze concettuali universali (cioè, condivise da tutti) siano una garanzia di verità. Es.: noi tutti crediamo che il sole giri intorno alla terra, quindi il sole gira intorno alla terra. Questo come sappiamo è risultato falso, ma prima di Galileo tutti pensavano che questa fosse una verità. Contenuto dell’argomento Conoscenza scientifica Qual è il contenuto di questa credenza universalmente condivisa? Si tratta di una credenza relativa alla conoscenza scientifica (si noti il verbo epistasthai, da cui deriva episteme, termine greco per ‘scienza’). Aristotele non nega che vi siano altri modi di conoscere, ma qui è impegnato a fornire una sorta di definizione appunto della conoscenza scientifica, assoluta e non sofistica (si noti il riferimento polemico ai sofisti. Si tratta di una finta conoscenza, accidentale e non scientifica). Secondo Aristotele, perché vi sia conoscenza scientifica, devono essere soddisfatte tre condizioni: a conosce scientificamente X (dove X è una proposizione) se e solo se (sse = usato per definire, segnala un’equivalenza) (i) a conosce Y (una o più proposizioni) (ii) a sa che Y è la causa di X (iii) a sa che X non può essere altrimenti, ovvero che la proposizione X è vera e necessaria. 6 29/11/2015 Senso di Causa (aitia) In che senso Aristotele parla di causa, o più precisamente di aitia? Aristotele afferma che c’è conoscenza scientifica solo in questo caso: Y __ X cioè Y, dunque X. Ma che significa? La conoscenza scientifica Un altro modo per mostrare che cos’è la conoscenza scientifica per Aristotele è il seguente P1 P2 P3 . ____ Q Q deriva da una serie di premesse precedenti, che sono a loro volta conclusioni di ragionamenti successivi, fino a quando si arriva ad una premessa non ulteriormente dimostrabile, autoevidente. Questa è un assioma. Principi e cause nella Fisica Fisica, II, 3, 194b17-22: «Siccome la nostra ricerca verte sul conoscere, e noi crediamo di conoscere solo dopo aver compreso il dia ti relativo a ciascuna cosa (e questo equivale a cogliere la causa prima), è chiaro che proprio così dobbiamo comportarci anche riguardo alla generazione e alla corruzione e a ogni tipo di mutamento naturale, affinché, nel riconoscere i loro principi, si cerchi di riportare ad essi ciascun oggetto della ricerca». Senso di causa (aitia) Riprendiamo un esempio già visto: a) 32 è maggiore di 22 Perché b) 3 è maggiore di 2. L’esempio mostra chiaramente che la ragione della verità di a) risiede nella conoscenza di b). Un precedente platonico E’ interessante notare che questa definizione di conoscenza scientifica, che si trova in altri luoghi aristotelici (Analitici secondi 94a20; Fisica 184a12-14; 194b18-20; Metafisica Alpha, 983a25-26; alpha elatton 994b29-30) richiama l’idea platonica espressa nel Menone (98A) secondo cui la conoscenza (episteme) stabile consiste nell’opinione legata con il ragionamento della causa. La conoscenza fisica - Viene ribadito che conoscere equivale a comprendere il perché di ogni cosa (cioè, la sua causa prima). - Quindi occorrerà conoscere le cause prime (cioè, i principi) di ogni mutamento naturale (generazione, corruzione, movimento locale, alterazione, accrescimento e diminuzione) 7 29/11/2015 Gli esseri naturali Definizione di natura Fisica II, 1, 192b8-15 (p. 181 trad. it.): «Degli enti alcuni sono per natura (physei) alcuni per altre cause. Per natura sono gli animali e le loro parti, le piante e quei corpi che sono semplici: ad esempio la terra, il fuoco, l’aria e l’acqua (…) Tutte queste cose si differenziano da quelli che non sono per natura. Infatti, ciascuno di essi ha in sé il principio del movimento e della quiete, talora secondo il luogo, talora secondo aumento e diminuzione, talora secondo alterazione. Invece, un letto e un mantello (…) non hanno alcun impulso interno al mutamento, se non in quanto gli capita di essere di pietra o di terra». La definizione di natura avviene a partire dalla distinzione tra 1) cose che esistono per natura e 2) cose che esistono non per natura. In 1) vengono elencate gli animali e le loro parti, le piante, i corpi semplici (terra, acqua, aria, fuoco). Ciascuna di queste cose possiede in se stessa il principio del cambiamento e del riposo – rispetto a luogo, taglia, qualità. 2) Invece un letto o un mantello non hanno in loro il principio del movimento, o se ce l’hanno, lo possiedono non in quanto letto o mantello, ma in quanto composti di corpi semplici. Conclusione: la natura è definibile come principio e causa di movimento e riposo nelle cose in cui è presente non per accidente. Gli esseri naturali Avere natura/essere in accordo con la natura Fisica II, 1, 192b33-193a1 (p. 183 trad. it.): «Tutte queste cose sono sostanze (ousiai), infatti sono un certo sostrato, poiché la natura è sempre in un sostrato. E sono secondo natura tanto queste <sostanze> quanto gli attributi che gli appartengono per se, come per esempio, per il fuoco, l’essere portato verso l’alto. Questo però non è una natura e neppure ha natura, bensì è per natura o secondo natura». Hanno natura quelle cose posseggono questo principio. Queste sono tutte sostanze; natura implica sempre un sostrato in cui è. Sia le sostanze che i loro attributi per se sono in accordo con la natura. In particolare, gli attributi sono per natura ma non hanno natura (hanno natura solo i sostrati in cui agisce il principio naturale) L’esistenza della natura Natura come principio materiale Fisica II, 1, 193a3-4 (p. 183 trad. it.): «Cercare di dimostrare l’esistenza della natura è semplicemente ridicolo: è infatti manifesto che esiste una molteplicità di esseri <naturali>». L’esistenza della natura viene inferita sulla base dell’evidenza dell’esistenza degli enti naturali. 193a4-9: Cercare di provare l’evidente sulla base del non evidente mostra mancanza di giudizio e implica parlare di parole cui non corrisponde pensiero alcuno. 193a9-12 (p. 183 trad. it.): «Alcuni ritengono che la natura e la sostanza degli esseri naturali sia l’elemento costitutivo primario (to proton enyparchon) di ciascuna cosa, di per se privo di forma: per esempio, il legno è la natura del letto e il bronzo della statua». Qui Aristotele parla di coloro che si limitano a pensare alla natura come componente materiale. 8 29/11/2015 Natura come principio materiale Natura come principio formale In questa direzione va l’esempio di Antifonte del letto di legno che, in particolari condizioni, produce un germoglio (cioè legno) e non un letto. La forma sarebbe accidentale, mentre la sostanza che rimane al di là delle affezioni (paschousa, da paschein, subire) è la materia (e per materia intendiamo i quattro elementi e loro derivati). Coloro che sostengono ciò si dividono sull’identificazione della ‘natura’ (fuoco, terra, ecc.) Tutto il resto è affezione della sostanza, natura, sostrato. Fisica, 193a28-31 (p. 185 trad. it.): «Così in un senso si dice natura la materia prima sostrato degli esseri che hanno in sé il principio del moto e del mutamento, mentre in un altro senso <è natura> la forma (morfé) e l’essenza (eidos) corrispondente alla definizione (kata ton logon)». Aristotele introduce, accanto alla natura come materia che ha in sé il principio del movimento e della quiete, la natura come forma ed essenza espressa nella definizione (o meglio, nel discorso definitorio, «logos»). Natura come principio formale: argomenti Primo argomento Fisica, 193a31-33 (p. 185 trad. it.): «Come infatti si dice arte … ma non ha neppure l’essenza del letto». Qui Aristotele presenta ancora una volta un parallelo tra artefatti ed enti naturali. Così come si dice «arte» ciò che è prodotto in accordo (kata) con le regole dell’arte o che è «artistico» (technikon), allo stesso modo si dice «natura» ciò che è secondo (kata) natura o che è «fisico» (physikon). Primo argomento Si tratta di un primo argomento per analogia tra arte e natura. Così come l’elemento artistico (nel senso di tecnico) di un artefatto è identificato non grazie alla semplice materia ma grazie alla forma imposta alla materia, allo stesso modo la natura di qualcosa dev’essere identificata non con la materia ma con la forma. La materia è solo potenzialmente un letto o un osso. Per attualizzarsi, al legno dev’essere imposta la forma del letto, alla materia dell’osso la forma dell’osso. 193a33-b3 (p. 185 trad. it.): «Però, in tal caso, neanche potremmo dire che è arte …non sono per natura». Nessuno direbbe di ciò che è solo potenzialmente un letto che è in accordo con le regole dell’arte o che è un lavoro «artistico» (technikon), né di ciò che è potenzialmente carne o osso che ha la sua propria natura o che è per natura , fino a quando non ha acquisito la sua forma che è la sua definizione. Conclusione primo argomento 193b3-5: «Sicché in un altro senso la natura sarebbe la forma e l’essenza degli enti che hanno in sé il principio del movimento, sennonché una tale forma non è separata se non per via di definizione». Quindi, in un secondo senso, oltre alla materia, la natura delle cose che hanno un principio interno di cambiamento è la loro forma, che non è separabile se non per via di definizione. Anzi, osserva Aristotele nelle righe finali (righe 6-8: «Ma natura...che è in potenza»), è più natura la forma che la materia: infatti una cosa è se stessa quando esiste attualmente piuttosto che quando esiste potenzialmente. 9 29/11/2015 Natura come principio formale: secondo argomento Natura come principio formale: terzo argomento Fisica, 193b8-12 (p. 186 tra. It.): «Inoltre un uomo nasce da un uomo…nasce da un uomo» Secondo argomento: Se è vero che il fatto che un letto non produrrebbe un letto mostra che la natura del letto è la sua materia e non la sua forma, viceversa il fatto che un uomo produca un uomo mostra che la natura dell’uomo è la sua forma. Questo è un argomento ad hominem, cioè direttamente rivolto ad Antifonte. 193b12-18 (p. 187 trad. it.): «Inoltre, la natura …tende verso qualcos’altro». Terzo argomento (parafrasi): Physis nel senso di generazione è un processo verso la natura. Sicuramente la guarigione è un processo non verso l’arte della guarigione ma verso la salute, mentre invece physis nel senso di generazione è un processo verso la natura. Perché Aristotele dice ciò? Perché sostiene che ciò che cresce è qualcosa che passa da qualcosa verso qualcosa, e che ciò che è prodotto nel processo di crescita è ciò verso cui, e non ciò a partire da cui, la cosa che cresce, cresce. Quindi la natura è forma. L’oggetto della fisica (secondo capitolo) I symbebekota Aristotele Fisica II, 1, 193b22-31 (p. 189 trad. it.): «Una volta detto…bisogna poi vedere come lo studioso della matematica differisce dallo studioso della natura (infatti i corpi naturali hanno superfici e dimensioni, lunghezze e punti, riguardo a cui si occupa il matematico)…Se infatti si attribuisse al fisico il compito di conoscere l’essenza (ti esti) del sole e della luna, ma non le loro proprietà essenziali …siano o non siano sferici». (la traduzione di Radice contiene due errori, che corrispondono alle parti in rosso da me corrette, di cui il secondo grave). Quando Aristotele parla di ‘accidenti per sé’ egli non vuole parlare semplicemente di accidenti (cose che capitano, proprietà accidentali) ma di caratteristiche essenziali oggetto della scienza della natura, da argomentare e dimostrare (cf. Metaph. Delta, 1025a30). Differenza tra matematica e fisica (1) Differenza tra matematica e fisica Aristotele afferma che noi dobbiamo indagare: (1) come il matematico differisce dallo studioso della natura (infatti i corpi naturali hanno figure solide, piane, linee e punti, e questi sono gli oggetti di cui il matematico (qui non distinto dallo studioso di geometria) si occupa; (2) Se l’astronomia sia o no una parte della fisica; sarebbe assurdo infatti che il compito del fisico fosse studiare che cosa il sole o la luna siano senza studiare i loro attributi geometrici, specialmente in quanto gli studiosi della natura evidentemente studiano la figura della luna, del sole della terra, dell’universo. Di fatto il fisico studia entrambi, essenze e attributi geometrici. 193b31-35 (p. 189 trad. it.): «In verità (…) non travisano la verità». Anche i matematici studiano i corpi solidi, ma non come limiti dei corpi naturali; neppure studiano gli attributi delle figure (es. la sfericità della luna) come attributi delle figure di corpi naturali. Per questo essi astraggono (cioè separano le figure dai corpi in movimento); infatti gli oggetti della matematica possono essere considerati astrattamente (separatamente) dal cambiamento. Facendo ciò, i matematici non incappano in nessuna falsità. Insomma, quando la fisica studia gli attributi geometrici li studia in quanto attributi di corpi fisici; quando la matematica li studia, li studia in quanto separati dai corpi fisici. Una procedura giustificabile. 10 29/11/2015 Critica al platonismo Senso della critica a Platone Fisica, 193b35-194a7 (pp. 189-191 trad. it.): «I fautori della dottrina delle Idee… dei loro attributi (non: condizioni accidentali!). Infatti, tanto il dispari … ‘camuso’ e non nel senso di ‘ricurvo’». I sostenitori della dottrina delle Idee fanno nascostamente la stessa cosa. Separano gli oggetti naturali che non possono essere appropriatamente separati come quelli matematici. Ciò risulta chiaro se tentiamo di definire gli oggetti e gli attributi delle rispettive scienze (cioè, geometria e fisica). Pari dispari, retto e curvo, numero, linea e figura possono esistere indipendentemente dal cambiamento, mentre carne, ossa, uomo no. Queste ultime cose sono infatti come ‘naso camuso’ e non come il ricurvo. Qual è il senso della critica a Platone? I matematici separano nel pensiero entità (quelle matematiche) che di fatto non sono separabili, ma che possono essere proficuamente studiate indipendentemente dai corpi fisici da cui vengono separate. Invece i Platonici si comportano come se le Idee esistessero separatamente. Questo significa che ritengono che entità come sfericità, linearità, ecc. esistano separatamente dagli oggetti che le possiedono. Ma trattato come Idee anche entità come carne, ossa e uomo, che invece non possono esistere separatamente dai corpi fisici. Se per es. noi consideriamo l’uomo come «animale mortale razionale», «animale» implica una sostanza animata che percepisce, nasce, si corrompe, ecc. Lo studio della fisica (2) L’astronomia è parte della fisica Il camuso vs il curvo Questo è l’esempio favorito di Aristotele per parlare di definizione che implica necessariamente la materia. Naso, occhio, faccia, carne, osso, gli animali, richiedono per la loro definizione anche la materia. Invece Linea, curvo, retto, ecc. no. Fisica, 194a7-12 (p. 191 tr. it.): «Ciò risulta anche dalle scienze matematiche più vicine alla fisica…bensì in quanto fisica». E questo risulta chiaro anche dalle branche fisiche della matematica, e cioè ottica, armonia, astronomia. La geometria studia la linea fisica ma non in quanto fisica; l’ottica studia la linea matematica ma in quanto fisica. Questo passo serve sia a confermare ciò che Aristotele sta sostenendo (la differenza tra fisica e matematica) sia a rispondere alla seconda questione sollevata, se l’astronomia sia parte o meno della fisica. Astronomia, ottica, armonia Forma e materia nello studio della natura L’astronomia (così come ottica e armonia) è usualmente riconosciuta come branca fisica della matematica, ma qui Aristotele ha l’aria di dire che essa è realmente branca della fisica. Infatti la geometria tratta della linea che è di fatto limite del corpo fisico, ma ignora quest’ultimo aspetto, la fisicità; invece l’ottica tratta di una linea che ha proprietà geometriche, ma in quanto ha proprietà fisiche. Fisica, 194a13-18: «Dato che natura si dice in due accezioni…o a una scienza differente?» Poiché la natura si definisce in due modi, forma e materia, dobbiamo studiarla come se stessimo studiando il camuso; tali cose né sono indipendenti dalla materia né sono interamente costituite da essa. Ma se ci sono due nature, quale di esse studierà il fisico? O dovrà studiare il composto delle due? Sono entrambe oggetto di una stessa scienza o di scienze differenti? Ovviamente la risposta sarà: no, una stessa scienza, la fisica, studierà entrambe le nature. 11 29/11/2015 La materia La materia e la forma 194a18-27 (p. 191 tr.it.): «A dar retta agli antichi …lo stesso vale per le altre arti. Compito della scienza fisica sarà dunque conoscere entrambe le nature». Se diamo retta agli antichi, essi hanno pensato che lo studio della fisica si limitasse allo studio della materia. Per questo sia Empedocle che Democrito hanno trattato poco e in modo incompleto la forma e l’essenza. Ma poiché l’arte imita la natura, lo studio dell’arte deve conformarsi a quello della natura. Ma lo studio di un’arte implica lo studio sia della materia che della forma (vedi per esempio la medicina), sicché anche il fisico dovrà studiare entrambe le nature. - Viene confermato ciò che dice Aristotele in Metaph. Alpha, e cioè che la causa materiale è stata scoperta prima delle altre cause; - Per Empedocle e Democrito cfr. rispettivamente PA 642a17 (presenza del logos della mescolanza nella natura) e Metaph. M, 1078b19 (certa definizione del caldo e del freddo) La causa finale Forma-fine-materia Fisica 194a27-33 (pp. 191-193 tr. it.): «Questa medesima scienza si occuperà pure del ‘ciò in vista di cui’ e del fine…ma solo il migliore». La stessa scienza deve studiare lo scopo e il mezzo, ma la natura nel suo primo significato, cioè forma, è lo scopo. Infatti, il termine di un processo continuo è anche la sua causa finale; ecco perché il poeta dice scherzosamente «egli ha la fine per cui è nato». Questo per dire che non ogni termine ultimo è il fine, ma solo il migliore. - In questo passo Aristotele stabilisce che la stessa scienza studia i fini e i mezzi. Il fine è la forma stessa, che si configura come ‘fine ultimo’ di un processo naturale, in cui un ente, in una sequenza di passi temporalmente definiti che scandiscono un cambiamento, realizza la sua forma; I mezzi sono costituiti dalla materia necessaria per il raggiungimento di una determinata forma. - Chi è il poeta? O un poeta comico, o Euripide. I limiti della fisica Concludendo… 194b10-15: (p. 193 tr.it.): «Fino a che punto…è compito della filosofia prima». Fino a che punto il fisico deve spingersi nella conoscenza della forma? Fino a conoscere la causa finale di ogni oggetto naturale. Il fisico studia cose che sono separabili riguardo alla forma ma che implicano la materia. Infatti considera sia l’uomo che il sole per la generazione dell’uomo. Invece, di ciò che esiste separatamente deve occuparsi la filosofia prima. (1) Il fisico non studia la forma in generale ma studia la forma nella misura in cui indaga la causa finale (che si identifica con quella formale) di ogni corpo fisico; (2) Il fisico studia le forme che sono separabili nel pensiero ma incorporate nella materia, lasciando al metafisico lo studio delle forme che esistono separatamente dalla materia (Dio e le intelligenze che muovono i pianeti). Questo sarà fatto in Metafisica Lambda. 12 29/11/2015 La teoria delle quattro cause La conoscenza Fisica, II, 3, 194b17-22 (tr. it. p. 195 leggermente modificata): «Siccome la nostra ricerca verte sul conoscere, e noi crediamo di conoscere solo dopo aver compreso il dia ti relativo a ciascuna cosa (e questo equivale a cogliere la causa prima), è chiaro che proprio così dobbiamo comportarci anche riguardo alla generazione e alla corruzione e a ogni tipo di mutamento naturale, affinché, nel riconoscere i loro principi, si cerchi di riportare ad essi ciascun oggetto della ricerca». Troviamo per prima cosa (194b16-20) la definizione di conoscenza che si trova in altri luoghi (per esempio, in Metafisica Alpha, o all’inizio degli Analitici secondi). Questa definizione richiama le affermazioni aristoteliche che si trovano proprio all’inizio della Fisica, I, 184a12-14 (p. 117 tr.it.): «sono questi <= principi, cause, elementi> che permettono la conoscenza, dal momento che crediamo di conoscere ogni cosa quando conosciamo le cause prime, i principi primi, fino agli elementi (stoicheia)». L’idea aristotelica che governa tutto il testo è che conosciamo qualche cosa se e solo se ne conosciamo la causa prima (aitia prote). Cosa vuol dire causa prima, il perché di ogni cosa? La conoscenza La conoscenza L’idea espressa generalmente da Aristotele è che ci troviamo di fronte a una sequenza di questo tipo: A perché B perché C....perché Y, perché Z. Immaginiamo che oltre Z non ci sia null’altro: Z sarà allora la causa prima, la sommità della catena esplicativa. Z non verrà spiegato da nulla, sarà inesplicabile (o, in termini scientifici, auto-evidente). Gli altri membri saranno anch'essi cause (cioè, membri della spiegazione), ma solo Z sarà la causa prima. Avremo quindi un sistema di derivazione da Z ad A. La conoscenza fisica Aristotele sostiene che dobbiamo applicare questo stesso metodo alla scienza della natura, che riguarda generazione, corruzione e ogni cambiamento naturale, per individuare appunto i loro principi. In effetti Aristotele già nel primo libro della Fisica si era ripromesso di indagare i principi della scienza fisica. Di fatto, però, ha impiegato tutto il primo libro ad analizzare le opinioni dei predecessori a riguardo. E’ nel secondo che inizia tale indagine. Per esempio, prendiamo come sequenza una serie di proposizioni, di cui la prima sarà “il triangolo ha tre angoli”, e l’ultima (cioè la conclusione) sarà “la somma degli angoli interni di un triangolo è di 180 gradi”. Vedi Metafisica, alpha piccolo: ogni catena di cause deve avere un primo termine (non può cioè risalire all’infinito). Cosa significa indagare le cause in Fisica? Fisica, 198a14-16 (p. 219 tr. it. modificata): «Ribadiamo che ci sono le cause e che sono proprio nel numero che abbiamo detto, il quale corrisponde infatti (errore nella traduzione italiana!) al seguente numero dei perché». Segue l’elenco del numero dei perché (1) formale (2) motrice (3) scopo (4) materia. 13 29/11/2015 Un esempio 1) «Perché ci sono le piante?» «Perché ci sono foglie, radici, fusto». 2) «Perché ci sono foglie, radici, fusto?» «Perché ci sono le piante.» 3) «Perché ci sono le piante?» «Perché ci sono i semi». 4) «Perché ci sono le piante?» «Per permettere al pianeta di respirare» 1) Materia 2) Forma 3) Causa motrice e/o materia 4) Scopo La causa materiale Fisica II, 3, 194b23-26 (p. 195 tr. it. modificata): «In un senso, la causa è ciò da cui, come suo costituente interno, una cosa è fatta, come per esempio il bronzo è causa della statua e l’argento della coppa, così come i loro generi». «Ciò da cui»: si tratta di una derivazione; «costituente interno»: un perché immanente alla cosa. Per illustrare il primo tipo di causa (la causa materiale), prendiamo esempi che lo stesso Aristotele presenta nella Fisica: - il bronzo è causa della statua - l’argento è causa della coppa. La causa materiale La causa materiale Sappiamo, perché è Aristotele che lo dice, che la causa è il perché: “Perché la statua?”. “Perché il bronzo”. “Perché la coppa?”. “Perché l'argento”. Ma questo che senso può avere? Sulla base di quello che Aristotele dice in Metafisica Zeta 1041a10, possiamo dire la cosa seguente: il bronzo è la causa della statua nel senso che esso spiega perché la statua possiede determinate proprietà. Per esempio: la statua è bruna perché è fatta di bronzo la statua fonde perché è fatta di bronzo ecc. Vi sono, cioè, molte cose che sono vere della statua a causa del fatto che essa è fatta di bronzo. Si noterà la trasformazione di: il bronzo è causa della statua La causa materiale La causa materiale a: la statua fonde perché è fatta di bronzo. Si tratta di spiegazioni in forma proposizionale. Allo stesso tempo, però, possiamo dire che la connessione tra le proprietà che la statua possiede e il suo essere fatta di bronzo è una connessione reale, che esiste realmente nel mondo, che constatiamo. Quindi, per la spiegazione materiale possiamo dare la seguente formula: x è F perché x è fatto di M x = un soggetto; F = un predicato; M = materia. Sulla base di ciò che invece abbiamo detto quando abbiamo parlato della materia in Platone, potremmo dire che materia è causa nel senso che è condizione di origine, esistenza e corruzione delle cose. La materia esiste ed è condizione necessaria per l’esercizio delle cause. Ma questo, in un’ottica aristotelica, non è il vero senso di “causa”, se essa va intesa come dioti. Piuttosto essa sarà una sorta di condicio sine qua non. 14 29/11/2015 La causa formale La causa formale Fisica II, 3, 194b26-29 (tr. it. p. 195 modificata): «In un altro senso, è la forma e il modello, e questa è la definizione dell’essenza, e i suoi generi (per esempio, il rapporto di due a uno per l’ottava e generalmente il numero), e le parti della definizione». E’ molto strano, come rileva anche Alessandro di Afrodisia nel suo commento relativo, che Aristotele metta insieme forma (eidos), modello (paradeigma) e definizione dell’essenza (logos tou ti en einai). Alcuni studiosi ritengono questa frase appartenente al periodo platonico di Aristotele. In effetti paradeigma è un termine prettamente platonico, e Aristotele non lo userà più nei suoi successivi riferimenti all’eidos. Altro problema: possiamo dire che la definizione di Socrate sia causa formale di Socrate? L’esempio La causa formale Esempio: Il rapporto di due a uno per l’ottava o diapason. L’idea è quella della forma generale della definizione che delimita una nozione generale attraverso una differenza specifica: nell’esempio, il genere del numero contiene il particolare rapporto di due ad uno, che costituisce il diapason (anche questo un esempio «platonico»?). Per chiarire meglio quello che vuol dire Aristotele, vediamo un esempio di Aristotele, che possiamo trarre dal libro Alpha della Metafisica: «perché gli uomini sono capaci di praticare la filosofia?» «perché sono esseri razionali» cioè, appartiene loro la proprietà di essere razionali. La causa formale Causa formale e causa finale x è F perché x è Y x = un soggetto; F = un predicato; Y = una parte della definizione di x, cioè un predicato che rientra nella definizione essenziale di x. Infatti, la causa formale riguarda quei predicati che dipendono dalla definizione della cosa a cui tale predicato si applica. Però, quando si parla di forma, non si pensa solo alla definizione, ma anche alla figura delle cose: ad esempio, la forma di questo pezzo d’argento, che lo fa essere una coppa. Più tardi Aristotele (195a16-21: pp. 197-99 tr.it.) introduce come esempi di causa formale le sillabe rispetto alle lettere, gli artefatti rispetto alla materia di cui sono fatti, il fuoco e gli altri elementi rispetto ai corpi, gli interi rispetto alle loro parti, le conclusioni rispetto alle premesse (ma in questi esempi la causa formale sembra essere prossima, non ultima!). 15 29/11/2015 Causa formale e causa materiale La causa motrice Tutti gli esempi visti, secondo Aristotele, sono cause «come ciò a partire da cui (ex ou). Ma di queste, alcune sono nel senso del sostrato (ypokeimenon), altre come essenza (to ti en einai) nel senso dell'intero, della sintesi e della forma» (Fisica, 195a19-21, tr. it. p. 199 modificata). Quindi: lettere, materia degli artefatti, fuoco, aria, terra, acqua, parti, premesse sono ex ou come sostrato. Invece: sillabe, artefatti, corpi, interi, conclusioni sono ex ou come essenza. Aristotele cioè ribadisce che materia e forma sono cause interne, l'una come sostrato, l'altra come forma; quest’ultima viene vista come l'interezza o la completezza che sopraggiunge alle parti. Fisica II, 3, 194b29-32 (tr. it. p. 197 modificata): «Ancora, <causa> è ciò da cui proviene il primo inizio del cambiamento e del riposo; per esempio, l’autore di una decisione è causa, il padre è causa del figlio e, in generale, l’agente è causa di ciò che è fatto, ciò che produce il cambiamento di ciò che è cambiato». La causa motrice La causa motrice «Ciò da cui»: qui la formula va interpretata nel senso di origine. Questa causa viene generalmente considerata più vicina al nostro concetto moderno di causa, perché è definita da Aristotele come fonte di cambiamento e di riposo. Gli esempi forniti da Aristotele sono però eterogenei. Infatti, nel passo che stiamo leggendo, Aristotele fornisce come esempi (righe 194b31-32): - colui che prende una decisione - il padre rispetto al figlio - In generale, ciò che fa rispetto a ciò che è fatto e l’agente del cambiamento rispetto alla cosa cambiata. Ma poi Aristotele fornisce un elenco di cause motrici in 195a21-23: seme, medico, colui che decide qualcosa e in generale ciò che fa (to poioun). Inoltre, in 195a3, afferma che di fatto causa motrice della statua è non lo scultore ma l’arte scultoria, stabilendo una sorta di gerarchia di cause efficienti: La causa motrice La causa motrice a) Arte scultoria, scultore, statua. Così pure: b) seme, padre, figlio. Queste due sequenze sembrano chiarire anche l’affermazione aristotelica secondo cui la vera causa è la causa prima. a) Causa prima della statua è l’arte scultorea e causa prossima è lo scultore (entrambe motrici). b) Stessa sequenza in b): causa prima del figlio è il seme, causa prossima il padre (cf. Met. H, 1044a35). Comunque: dire che l’arte scultoria è la vera causa motrice della scultura mette in crisi l’idea che la causa motrice sia esclusivamente la causa attiva, che fa qualche cosa. Stesso discorso per il seme. Inoltre, Aristotele, non presenta per questo tipo di causa una caratterizzazione diversa rispetto alle altre cause. Anche per essa occorrerà cercare una spiegazione nei termini di «perché x?» che appunto spieghi l’appartenenza di un predicato a un soggetto (o di una proprietà alla sostanza). Per esempio: il figlio ha gli occhi blu perché il padre ha gli occhi blu. 16 29/11/2015 La causa motrice x è F perché y è F x = un soggetto; y = un altro soggetto: F = un predicato (che appartiene sia a x che a y). Questo schema si può applicare anche al caso del fuoco e della mano calda: La mano è calda perché il fuoco è caldo. Tuttavia e chiaro che nel caso della causa motrice Aristotele presenta anche un concetto di agente, di qualcosa che fa qualcosa. Lo stesso Aristotele, infatti (vedi Metafisica Alfa, 983a30-32), definisce questa causa come «principio a partire da cui ha inizio il movimento», facendo di essa un principio dinamico che trasmette delle proprietà (il fuoco, per esempio). La causa finale 194b32-35 (p. 195-96 tr. it. modificata): «Ancora, come fine; e questo è l’in-vista-di-cui, per esempio, la salute è causa della passeggiata; in effetti, perché passeggia? In vista della sua salute, diciamo, e, con questa risposta, noi pensiamo di aver fornito la causa». La causa finale La causa finale Il caso della causa finale sembra invece differente. Qui, almeno per ciò che riguarda la risposta al «perché?», troviamo una formula diversa dalle altre, e cioè «affinché» : «perché (dia ti) F?» «affinché (ina) Y». «Affinché» rimanda alla formula greca to eneka ou, letteralmente «l'in vista di cui». Esempio di Aristotele: «perché passeggia?» «al fine di essere sano», cioè, al fine di ottenere (o preservare) l'essere sano. x è F al fine di essere Y. x = soggetto; F = è passeggiante (per Aristotele «passeggia» è un predicato); Y = un altro predicato (una proprietà che si vuole acquisire). Il bene e il meglio Il bene e il meglio Domanda: Se pensiamo alle arti e agli artefatti, possiamo accettare l'idea che essi hanno a che fare con il bene e il meglio. Quando io faccio un paio di scarpe, le faccio seguendo delle regole che mi spiegano come fabbricare il miglior paio di scarpe possibile. Ma: come applicare questa idea agli enti naturali, cioè al di fuori della sfera dell'azione razionale? In 194a29-30 (passo che abbiamo già letto), Aristotele suggerisce che laddove abbiamo un processo di cambiamento continuo, abbiamo il suo terminus ad quem come suo scopo o fine. Inoltre, al di là dei processi fisici, Aristotele parla di scopi o fini degli oggetti fisici in termini di loro funzioni (es: lo scopo dell'orecchio è quello di udire). In entrambi i casi (processi finalizzati e organi), la realizzazione dello scopo come il meglio coincide con ciò che tutti i membri (non difettati) di una classe (o specie) fanno precipuamente e in modo differente da quello che realizzano i membri di altre classi (o specie). Altri esempi: il bene (che coincide sempre con il meglio: 195a24-26). Ma possiamo estrarre altri esempi da quanto Aristotele dice qui e là: parti organiche e comportamenti naturali in vista delle creature viventi, ma anche fatica in vista della forte costituzione (195a9-10) o salute. 17 29/11/2015 Il bene e il meglio Concludendo… Es: (1) una pecora a quattro zampe: realizzazione corretta di una forma in un processo. (2) Un orecchio che sente bene Una pecora a cinque zampe o un orecchio che ci sente male hanno realizzato male il loro scopo (o non l'hanno realizzato?). Per ritornare al senso del termine aitia, possiamo dire che il termine significa «perché»: la risposta si distingue da una parte in «perché» materiale, «perché» formale, «perché» efficiente, dall’altra in «affinché» teleologico. Concludendo… I perché della Fisica Fisica II, 7, 198a14-21: «Ribadiamo che ci sono le cause e che sono proprio nel numero che abbiamo detto: queste infatti (errore trad. it.) corrispondono al numero dei perché: (1) nelle cose immobili il perché ultimo (errore nella traduzione italiana p. 219!) si riconduce all'essenza (to ti estin) (così ad esempio nelle matematiche, dove il perché ultimo si riconduce alla definizione della retta, di commensurabile e qualche altra nozione), (2) oppure al primo motore (es. perché si è dichiarata la guerra? In risposta a un atto di saccheggio) (3) o anche allo scopo (al fine di prendere il comando), (4) mentre nelle cose soggette a divenire il perché è la materia». (1) Riguardo a tutti i fatti o eventi, un modo per rispondere alla domanda «perché essi sono come sono?» è riferirsi alla loro definizione come spiegazione finale (perché ultimo). Ora, Aristotele nel passo in analisi ha l'aria di dire che ciò vale solo per gli enti eterni («immobili» nel senso di «non soggetti a alcun tipo di mutamento»), ma questo non può essere vero, perché lo stesso Aristotele pensa alla causa formale come alla più importante causa anche in Fisica (lo vedremo tra poco). I perché della Fisica I perché della Fisica • (2) Riguardo agli eventi, un altro modo per rispondere alla questione «perché essi accadono?» è invocare una causa efficiente. • (3) Riguardo agli eventi, un terzo modo per rispondere alla questione «perché essi accadono?» è fornirne la spiegazione finale • (4) Riguardo infine agli enti che soggiacciono al divenire, un quarto modo per rispondere alla domanda o «perché essi sono come sono?» o «perché essi accadono?» è fare riferimento alla loro materia. Fisica II, 7, 198a22-31 (p. 219 tr.it.): "E' chiaro quindi che le cause sono queste e proprio in questo numero…ma restando immobile". Il fisico dovrà fornire spiegazioni in riferimento (o utilizzando) tutte e quattro le cause. Ora, nelle cose fisiche forma, il motore e il fine coincidono: infatti l'essenza e il fine si identificano, e il primo motore è uno in specie con esse, nel caso delle cose che muovono essendo mosse (e quelle che non sono così no rientrano nella fisica, poiché muovono senza essere suscettibili di movimento). 18 29/11/2015 Coincidenza delle cause finale, formale e motrice Sappiamo che, negli enti naturali, forma e fine coincidono: Es. nell'essere umano la realizzazione della sua forma coincide con il suo scopo finale. Inoltre, la causa produttrice di un ente naturale è l'essenza della cosa stessa presente in un altro membro della stessa specie. Es: un essere umano che genera un essere umano e in generale ogni cosa che muove essendo mossa (come per esempio la forma della salute nella mente di un medico che rende il medico causa attiva della produzione della salute negli altri). Coincidenza delle cause finale, formale e motrice Vedi anche de anima, II 415b8-27: L’anima sta al corpo come causa nei tre modi visti (formale, finale e motrice): infatti, quando una forma è fonte di cambiamento, è fonte di cambiamento come fine. La teleologia (Fisica II, 8) Finalismo nelle azioni Tra le quattro cause viste, si distingue quella che noi chiamiamo causa finale, a cui Aristotele si riferisce con una formula composta dalla preposizione eneka («in-vista») più l’articolo o pronome relativo al genitivo tou («di-qualche-cosa» o «in-vistadi-cui»): «in-vista-di-cui». Ora, generalmente la causa finale fornisce una spiegazione che connette dei comportamenti, che si possono esprimere con proposizioni. Si possono pensare due proposizioni che hanno una relazione tale per cui la prima cosa espressa dalla prima proposizione accade per (allo scopo di) realizzare la seconda cosa (espressa dalla seconda proposizione). La causa finale è l’unico caso in cui la causa (realizzazione di uno scopo) segue l’effetto (mezzi e azioni messi in opera per realizzare la causa). Es. Ho preso un taxi…non sono in ritardo. Alla domanda «perché x?» («perché ho preso un taxi?») rispondo con «allo scopo di y» («allo scopo di non essere in ritardo»). Si tratta di una risposta a un perché. Finalismo nelle azioni Finalismo nelle azioni In generale, per spiegare un comportamento determinato si fa ricorso ai desideri e alle credenze del soggetto del comportamento. C’è sicuramente uno stretto legame tra spiegazioni di questo tipo e la formula «allo scopo di». Es.: «perché hai preso un taxi?» perché desideravo non arrivare in ritardo + perché credevo che il taxi fosse il mezzo più rapido per arrivare. Ma, per Aristotele non c’è una relazione, almeno non nella trattazione della sua teoria delle quattro cause, tra «allo scopo di» e desideri e credenze. Se consideriamo l’esempio di causa finale data da Aristotele 1) ho passeggiato a causa della mia salute si potrebbe dire che tale frase corrisponda a 2) ho passeggiato perché volevo diventare sano. 19 29/11/2015 Finalismo nelle azioni Il finalismo nella natura Ma per Aristotele, tra le due frasi ci sono delle differenze: a) in 1) la causa segue la mia passeggiata, cioè, è la salute la causa, e io la posso ottenere grazie alla passeggiata. Si tratta del solo caso in cui la causa (salute) segue l’effetto (passeggiata). Invece in 2) il mio desiderio e la mia volontà precedono la mia azione (voglio diventare sano e quindi passeggio; il mio volere è causa della passeggiata). b) ci sono casi in cui le cause non esistono, ma restano cause: per esempio, ho camminato, non ho ottenuto la salute, ma la salute resta la causa della mia passeggiata. Che dire nel caso degli atti intenzionali? Fino ad ora abbiamo preso esempi di atti umani, che sono facilmente spiegabili nei termini di desideri, credenze e volontà. Ma per Aristotele è nella natura nella sua interezza che si trova il senso primo del finalismo. Per esempio, possiamo individuare una spiegazione finale a certi comportamenti animali: per esempio, il ragno tesse la sua tela allo scopo di catturare le mosche. Questo però non ha nulla a che fare con la volontà i desideri, le credenze del ragno. Almeno per Aristotele. Quindi, per il ragno: i) è vero che tesse la sua tela allo scopo di catturare le mosche ii) ma è falso che tesse la sua tela perché vuole catturare le mosche. Il finalismo nella natura Il finalismo nella natura Altri esempi aristotelici: le querce hanno lunghe radici per (allo scopo di) radicarsi meglio, perché per esempio all’origine si trovavano in luoghi particolarmente ventosi. Aristotele non crede che gli alberi abbiano desideri e volontà; tuttavia, essi manifestano (possiamo vedere letteralmente) dei comportamenti allo scopo di qualche cosa. Altri esempi, considerati lungamente nelle opere biologiche di Aristotele: le parti degli animali. Per esempio, secondo Aristotele, gli animali come noi possiedono denti aguzzi per lacerare il cibo e piatti per masticarlo. In tutta una serie di casi comportamentali e forme naturali, si possono invocare delle spiegazioni finali che non hanno nulla a che fare con la volontà di animali e piante in questione. Bisogna poi aggiungere che Aristotele non crede che nella natura ci sia finalismo ovunque: per esempio, afferma che ci sono casi di eventi naturali senza spiegazione finale, per esempio, il colore degli occhi. Il finalismo nella natura Il finalismo nella natura • Tuttavia Aristotele pensa che la finalità si trovi in natura quasi ovunque. • Qual è allora la differenza tra il finalismo aristotelico e il finalismo diciamo standard ? Normalmente, quando si parla del finalismo in natura, si pensa ad una intelligenza (Dio, il Demiurgo platonico, ecc.) che fabbrica il mondo come una macchina, in cui ogni pezzo ha la sua funzione, decisa appunto dal Demiurgo. Questa per esempio è l’idea di Galeno, celebre medico e filosofo del II secolo dopo Cristo, che scrive un’opera per spiegare la funzione di ogni parte, anche la più piccola, della mano umana. 20 29/11/2015 Il finalismo nella natura Il finalismo nella natura Forse Aristotele attribuisce intenzioni di tipo demiurgico, se non alle creature naturali e a un artigiano che le fabbrica, almeno alla natura stessa ? Vi sono passi in cui Aristotele parla della natura come di un artigiano intelligente, ma ce ne sono altri in cui Aristotele fornendo spiegazioni finalistiche dettagliate (per esempio, nei suoi scritti biologici), non fa alcun riferimento ai progetti della natura o alle intenzioni dell’artigiano. Anzi, dà l’impressione di voler spiegare una serie di comportamenti e forme naturali senza assolutamente riferirsi a un disegno generale che governerebbe la natura intera. Se allora non è possibile spiegare la teleologia aristotelica nei termini di un piano intenzionale, allora la possiamo spiegare come una sorta di funzionalismo. In generale, la maggior parte delle caratteristiche strutturali e comportamentali degli animali e delle piante ha una funzione. Tali caratteristiche, cioè, permettono attività essenziali, o almeno utili, all’organismo vivente. Si pensi ad esempio alle zampe palmate delle anatre, che permettono all’anatra di nuotare, sapendo che nuotare è una parte essenziale della vita di un’anatra. Il finalismo in natura Il finalismo in natura Perché l’anatra è palmipede? Allo scopo di nuotare. Queste spiegazioni non hanno nulla a che fare con gli atti intenzionali: si tratta di una funzione, e Aristotele vede ovunque nella natura delle funzioni. Come vedremo ora nel testo, non bisogna confondere il funzionalismo aristotelico («allo scopo di») con la teoria della selezione naturale, che non utilizza spiegazioni finalistiche ma meccanicistiche: l’idea è che, per esempio, l’anatra è palmipede a causa di ciò che precede (i suoi genitori, anch’essi palmipedi) e non a causa di ciò che segue («allo scopo di nuotare»). Cioè, l’eredità dell’anatra le permette di sopravvivere, mentre invece, se il suo organismo non fosse adattato a una certa attività essenziale per la sua sopravvivenza, non potrebbe sopravvivere, o vivrebbe con difficoltà. Fisica II 8, 198b10-16 (p. 223 tr.it. modificata) «Bisogna in primo luogo dire perché la natura è una delle cause in-vista-di-cui, poi come il necessario esiste nelle cose naturali. Infatti, tutti <i filosofi della natura> riconducono le cose a questa causa <dicendo che> siccome il caldo è per natura tale e il freddo tale, ecc., ecco che ogni singola realtà esiste e si genera per necessità; infatti, se essi invocano un’altra causa, appena la sfiorano la lasciano con tanti saluti—come colui che parla dell’amore e dell’odio, o l’altro dell’intelligenza». Finalismo e necessità Aristotele pensa che tutto ciò che accade, accada per necessità, e che questo sia compatibile con la finalità, e ciò contrariamente a coloro che, ammettendo la necessità, rifiutano il finalismo. 21 29/11/2015 Finalismo e necessità Finalismo e necessità Quindi Aristotele (a) deve giustificare l’affermazione secondo cui la natura ha un fine e (b) deve mostrare in che modo sia coinvolta la necessità nei fenomeni naturali. Infatti, gli altri «fisici» riconducono i fenomeni alla necessità, cioè, spiegano gli eventi naturali come il risultato necessario di ciò che precede (cioè, potremmo dire, della materia necessitante). Es: il caldo è per natura tale; il freddo è per natura tale. I fenomeni quindi accadono di necessità; e i fisici di fatto accettano questa teoria, utilizzando molto poco le altre cause che tuttavia menzionano. Per esempio, l’amore e l’odio (Empedocle), o l’intelligenza (Anassagora). Aristotele vuol dire che ci sono dei predecessori che hanno afferrato la causa finale (o produttrice), ma senza svilupparla in maniera adeguata. Nella continuazione del testo troviamo (a), cioè la giustificazione del finalismo. Fisica II 8, 198b16-23 (tr. it. p. 223 modificata) L'aporia «Ma si presenta una difficoltà, che cosa impedisce alla natura di agire non in vista di un fine né perché è meglio, ma come Zeus fa piovere—non per far aumentare il raccolto ma per necessità? In effetti, l’evaporazione, essendosi innalzata, deve raffreddarsi e, essendosi raffreddata e divenuta acqua, deve discendere; e quando questo capita, ne consegue che il raccolto aumenta. Ugualmente, se la raccolta si perde sull’aia, non è in vista di questo scopo che piove (allo scopo che esso si perda), ma ne risulta». In questo passo Aristotele presenta una difficoltà contro la tesi del finalismo in natura. Si tratta di un argomento in tre tappe, di cui abbiamo letto la prima: Prima tappa dell’argomento contro l'aporia Prima tappa dell’argomento contro l'aporia Aristotele constata che vi sono eventi naturali in cui si ha a che fare con la necessità e non con il finalismo. Qui Zeus è menzionato non come causa finale, ma come causa meccanica. Zeus, afferma Aristotele, non invia la pioggia per permettere al raccolto di aumentare; piuttosto, la pioggia segue di necessità dalle condizioni preesistenti, e l’aumento del raccolto segue di necessità. La pioggia dunque, è una spiegazione meccanicista. Solo dopo la raccolta aumenta. Ma sarebbe stupido dire che il fine della pioggia è l’aumento del raccolto, perché la stessa pioggia può far marcire il raccolto, e sarebbe sciocco dire che il fine della pioggia è far marcire il raccolto…La spiegazione sarà quindi: piove, e questo fa aumentare il raccolto (oppure lo distrugge…si pensi a Platone e a quello che si è detto sulla condicio sine qua non: le mie gambe mi portano in prigione ma possono portarmi anche lontano dalla prigione). 22 29/11/2015 Fisica II, 198b23-32 (tr. It. pp. 223225 modificata) Seconda tappa «Quindi, cosa impedisce che sia così anche per le parti? Per esempio, che i denti crescano per necessità, gli incisivi aguzzi e adatti a lacerare, i molari larghi e atti a triturare, che non siano stati generati in vista di ciò ma che si tratti di coincidenza? Ugualmente per le altre parti dove sembra vi sia l’in-vista-di-cui. Ora, dove tutto è accaduto come se fosse accaduto in-vista-di-cui in questi casi le cose sono conservate in quanto esse possiedono, per caso, una costituzione opportuna, mentre le cose che non sono tali sono perite e periscono—come Empedocle dice dei bovini a muso umano». Ora, nulla impedisce che questo accada anche in altri casi, per esempio per le parti dei corpi organici (tipico caso di finalismo aristotelico). Potrebbe succedere che i denti si producano per necessità, e che le loro forme funzionali (incisivi per lacerare, molari per masticare) siano il risultato di una causa precedente. Gli oppositori di Aristotele potrebbero dire che i molari «omogeneizzano» il cibo, senza per questo ammettere che essi siano là a questo scopo. Sarebbe la selezione naturale, dicono gli avversari, responsabile di certe conformazioni degli animali (es. che l’oca sia palmipede). In questo modo, gli animali che possiedono una costituzione appropriata (per caso e per fortuna, non allo scopo di!) possono sopravvivere, gli altri no. Fisica II, 8, 198b33-199a8 (tr. it. p. 225 modificata) Terza tappa «Ecco un argomento che potrebbe presentare delle difficoltà, e ce ne sono altri. Ma è impossibile che sia così. In effetti, queste cose e tutte quelle che esistono per natura, si producono come sono o sempre o nella maggioranza dei casi, il che non è il caso per le cose che dipendono dalla fortuna o dal caso: non si crede che è per fortuna o per coincidenza se spesso piove in inverno, ma se piove durante la canicola, né se fa caldo durante la canicola, ma se è così in inverno. Se quindi queste cose accadono o per coincidenza o in vista di qualche cosa, e se non è possibile che esse accadano per coincidenza o per caso, esse accadranno in-vista-di-cui. Ma tutte le cose di questo tipo sono per natura, anche secondo coloro che sostengono queste tesi. L’in-vista-dicui si trova dunque tra le cose che divengono e sono per natura». Terza tappa Terza premessa: le cose naturali capitano o per caso (=senza scopo) o con scopo. Conclusione: - le cose naturali accadono con uno scopo (infatti accadono nella maggior parte dei casi). Il resto del capitolo (capitolo 8 del secondo libro della Fisica) contiene una serie di risposte al meccanicismo. Nel nostro testo ne troviamo una. Prima premessa: - le cose naturali si producono sempre o nella maggior parte dei casi; Seconda premessa: - quindi, le cose naturali non si producono per caso (= senza causa). Argomento Forma dell’argomento: (i) ¬P (le cose naturali non accadono per caso); (ii) P (le cose naturali accadono per caso) Q (le cose naturali accadono con uno scopo); (iii) quindi Q (le cose naturali accadono con uno scopo). 23 29/11/2015 Difficoltà dell’argomento Difficoltà dell’argomento: i) Aristotele utilizza la formula «per caso» in modo ambiguo: una volta nel senso di «senza causa» (in (i), per opposizione a ciò che viene detto nella prima premessa, e cioè che le cose naturali capitano o sempre o per lo più, hanno cioè quasi sempre una causa), un’altra nel senso di «senza uno scopo» (in (ii), quando dice che le cose accadono o per coincidenza o in vista di qualche cosa); ii) la conclusione è troppo forte anche per lo stesso Aristotele, perché egli non crede che tutte le cose naturali abbiano uno scopo. La materia come necessità ipotetica (Fisica II, 9) Alessandro di Afrodisia, in Metaph, 187, 8-13, (ed. Hayduck): «Dopo aver menzionato queste tre cause e aver mostrato sotto quale aspetto la scienza che conosce ciascuna di esse può essere filosofia, quella che stiamo cercando, non ha più menzionato la causa secondo la materia, <implicando> che <la scienza> che conosce quelle cause in senso proprio è più scienza di quella della causa materiale; infatti, quelle cause sono <cause> in senso più proprio e più cause; infatti la materia, nelle cose che da essa provengono, sembra avere lo statuto di sine qua non». Un precedente: Platone Timeo, 68e6-69a5: «Bisogna distinguere due specie di cause, l’una necessaria, l’altra divina, e ricercare quella divina in tutte le cose, al fine di possedere una vita felice, nella misura in cui la nostra natura lo permette; <e ricercare> quella necessaria in vista di quelle <le cause divine>, considerando che, senza le cause necessarie, non è possibile comprendere né afferrare né cogliere in altra maniera quelle stesse <le cause divine>». La materia come necessità ipotetica (Fisica II, 9) In un passo tratto dal commento alla Metafisica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia presenta delle affermazioni a prima vista bizzarre. Nel considerare una delle aporie del libro Beta della Metafisica, in cui Aristotele si chiede se esista una sola scienza delle quattro cause, oppure più scienze (una per ogni tipo di causa), Alessandro, alle prese con questa seconda possibilità, osserva che Aristotele menziona le scienze rispettivamente della causa formale, finale, efficiente, ma non considera la possibilità di una scienza della causa materiale. La spiegazione, secondo Alessandro, potrebbe essere la seguente: La materia in Aristotele Questa osservazione è stupefacente perché qui— contrariamente ad altri casi—possiamo dire che Alessandro faccia intervenire Platone per spiegare Aristotele. In effetti, da una parte Aristotele non dice mai che la materia sia una condicio sine qua non, ma piuttosto afferma che essa è causa; d’altra parte, abbiamo visto che la concezione della materia come condicio sine qua non, è chiaramente espressa da Platone nel passo del Fedone analizzato. Platone Nel passo del Fedone visto precedentemente, Platone aveva trattato la materia semplicemente come condicio sine qua non. 24 29/11/2015 Platone Fisica II, 9: la necessità ipotetica Qui però Platone dice una cosa un po’ diversa. Egli afferma infatti che la conoscenza delle cause necessarie (la materia) costituisce per Platone una tappa indispensabile per quella delle cause intelligenti (cioè quelle demiurgiche, divine). Ciò che è importante da sottolineare è che qui la materia non è più solo identificata come condicio sine qua non (sia della conoscenza delle cause divine ma anche della costituzione del mondo) ma anche come causa ausiliaria. Aristotele, dal canto suo, pur sostenendo come si è visto che la materia è causa assieme alle altre, in Fisica II, 8 sembra situarsi (anche questo l’abbiamo visto) sulla stessa linea di pensiero di Platone, difendendo il finalismo contro coloro (presumibilmente i filosofi della natura) che ritengono che i processi naturali siano interamente determinati dalla natura e dalla capacità degli elementi naturali. La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? La questione viene poi ripresa in Fisica II, 9, in termini per noi estremamente interessanti. Per spiegare cosa avviene nei processi naturali Aristotele, come spesso accade, prende ad esempio la costruzione di un muro, cioè un artefatto. La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? Il muro, cioè, si costituirebbe per via della natura degli elementi con pietre e fondamenta in basso, terra in alto, legno ancora più in alto, in ragione della sua leggerezza. Di fatto, però, le cose stanno diversamente: Secondo alcuni, osserva Aristotele, per spiegare la costruzione di un muro basterebbe fare affidamento sui suoi elementi materiali «come se si pensasse che il muro si sia generato di necessità, perché le cose pesanti si muovono naturalmente verso il basso, mentre quelle leggere verso la sommità» (Fisica II, 9, 199b35200a3, p. 233 tr. it. modificata). La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? Fisica II, 9, 200a5-13 (p. 233 tr. it. modificata): «sebbene <il muro> non venga a esistere senza questi <elementi>, non lo fa tuttavia a causa di essi, se non come a causa della materia, ma al fine di salvare e preservare alcune cose. Ugualmente per le altre cose, nelle quali si trova l’“in vista di qualche cosa” : <esse non vengono a esistere> senza le cose che possiedono la natura necessaria, ma non <lo fanno> a causa di esse, se non come materia, ma “in vista di”». 25 29/11/2015 La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? Continuazione della citazione: «Per esempio, perché la sega è così? Precisamente per questo e al fine di questo. Tuttavia è impossibile che il fine si generi, se la sega non è di ferro; è necessario quindi che sia di ferro, se ci sarà la sega e la sua funzione». La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? Nelle righe finali del testo, poi, Aristotele, facendo l’esempio del ferro della sega, ci conferma che sta parlando di una necessità materiale diversa rispetto a quella che ne faceva una causa, proprio quella della materia intesa come condicio sine qua non del fine, quest’ultimo irrealizzabile senza la sua presenza. Alessandro sembra quindi avere ragione. La materia in Aristotele: causa o condicio sine qua non? Nella prima parte del testo, troviamo l’osservazione (ripetuta due volte), secondo cui il muro, come tutte le altre cose “in vista di cui”, non può esistere senza gli elementi materiali, formulazione che sembra chiaramente riferirsi alla condicio sine qua non. Quello che pare chiaro è che non è la materia la vera causa del muro, ma il suo scopo. Appare altresì chiaro che la considerazione della materia come condicio sine qua non, va di pari passo con la sua “debolezza” causale, subordinata ad un fine. La soluzione di Simplicio Nel commento al passo della Fisica che abbiamo considerato Simplicio adotta la soluzione di Alessandro, che consiste sostanzialmente nell’individuare la causalità (debole) della materia nel suo essere condicio sine qua non. Simplicio, in Phys. 387, 26-28: «In effetti, le cose che divengono, divengono in vista di un fine, certamente non senza la materia, salvo che esse non divengono a causa della materia <come> causa più propria, ma <a causa della materia come> “quella senza cui”». La soluzione di Simplicio Simplicio, pur sottolineando a più riprese la necessità della materia, subordinata al fine e alla forma, cerca di conservare il ruolo causale della materia, proprio identificandolo con il suo essere condicio sine qua non. Nel far questo, Simplicio afferma che in questo modo Aristotele si mostra evidentemente platonico. 26