Corso 2015-2016: Aristotele - Università degli studi di Bergamo

29/11/2015
Materiale da consultare (obbligatorio)
Storia delle filosofia antica
Maddalena Bonelli
a.a.2015-2016
La causalità antica 4: Aristotele
- L. Perilli e D. Taormina (a cura di): La filosofia
antica. Itinerario storico e testuale, UTET
2012, capitoli 11-12
- Aristotele, Fisica, a cura di R. Radice, Bompiani
2014 (seconda edizione), Libro II, pp. 182-201;
218-237 (esclusa la parte in greco)
Vita di Aristotele
Opere di Aristotele
Aristotele nasce a Stagira (a est della Penisola Calcidica, sotto la
Macedonia) nel 384/383 a.C.. Il padre, Nicomaco, fu medico presso la
corte del re Aminta di Macedonia.
(1) A 17 anni fu mandato ad Atene dove studiò per vent’anni
nell’Accademia di Platone, fino alla morte di questi (348/347 a.C.)
(2) Dopo varie permanenze (ad Asso e a Mitilene) nel 343/342 diventa
precettore del figlio del re Filippo II di Macedonia, Alessandro, che
aveva 15 anni.
(3) Nel 335/334 torna ad Atene, che, come abbiamo visto, in questo
periodo era sotto il controllo macedone (Alessandro, diventato «il
Grande»). Fondò una scuola, il Liceo, di cui fu a capo fino alla morte di
Alessandro (323/321 a.C.). A causa dei sentimenti antimacedoni che si
scatenarono ad Atene dopo la morte di Alessandro, fu costretto a
lasciare la scuola e Atene, ritirandosi nella città natale della madre,
Calcide, nell’isola di Eubea, dove morì nel 322/321 a.C.
Come dice sinteticamente Lennox nel manuale La
filosofia antica, p. 273, il corpus delle opere di Aristotele
oggi sopravvissuto deriva da manoscritti medievali basati
sulla famosa edizione del I secolo a.C. dovuta ad
Andronico di Rodi.
Quello che va sottolineato è che ciò che ci rimane sono gli
scritti cosiddetti esoterici (cioè, i trattati dedicati
all’insegnamento nel Liceo e forse, nelle loro parti più
antiche, dedicati all’insegnamento nell’Accademia di
Platone), mentre quelli essoterici (destinati alla
pubblicazione) sono andati perduti (ne rimangono solo
frammenti).
Cronologia
La distinzione tra i diversi tipi di
conoscenza
La cronologia di cui si tiene conto per stabilire i
tre periodi della vita di Aristotele è quella
riportata da Diogene Laerzio (libro V 9), e
risalente alle Cronache di Apollodoro, storico
ateniese del II a.C. Per questo le date
contemplano una ‘forchetta’ di due anni (es.
Aristotele nasce nel 384/383), perché il sistema
di datazione usato da Apollodoro si basava sugli
arconti che si succedevano regolarmente ad
Atene.
Come osserva giustamente James Lennox
(autore della parte su Aristotele in La filosofia
antica), Aristotele distingue consapevolmente
aree diverse di indagine e conoscenza, basate su
metodi diversi e principi diversi (p. 273).
Ci sono sicuramente stati dei precedenti a
questo approccio, come attestato da
osservazioni sulla scienza medica e sulla
matematica.
1
29/11/2015
La distinzione tra i diversi tipi di
conoscenza
La distinzione aristotelica delle scienze
1) Il corpus hippocraticum (una settantina di testi non
attribuibili solo a Ippocrate ma a autori diversi tra il V e il
IV secolo a.C.) mostra già, in alcuni scritti, il tentativo di
considerare salute e malattia sulla base dell’osservazione
empirica e del ragionamento.
2) A partire dal IV secolo a.C. i matematici cercano di
riflettere sulla differenza tra scienze come geometria e
astronomia, ottica e meccanica, aritmetica e armonia.
Tracce di queste riflessioni si trovano in riferimenti fatti
innanzitutto da Platone e Aristotele. Platone stesso inizia
a cercare di distinguere la filosofia (basata sulla dialettica)
dalla filosofia della natura e dalla matematica (vedi
Repubblica e Timeo).
E’ tuttavia Aristotele che si sforzerà in tutte le
sue opere di definire e differenziare forme
diverse di conoscenza, spiegando anche il tipi di
relazione che esse hanno tra loro.
Opportunamente Lennox ha discusso la filosofia
di Aristotele proprio a partire dal suo sistema di
classificazione delle scienze, che troviamo nel
libro Epsilon della Metafisica.
Il libro Epsilon della Metafisica
I tre tipi di conoscenza
Nel primo capitolo del libro Epsilon della Metafisica (da
considerare assieme al primo capitolo del libro Gamma
della Metafisica) Aristotele si pone come obiettivo quello
di individuare una nuova scienza: la scienza dell’ente in
quanto ente, chiamata anche «filosofia prima» e
«teologia». Come si dice sia in Epsilon (1025b3-9) che in
Gamma (1003a22-26) questa scienza è distinta dalle altre
scienze poiché essa è universale (si occupa di tutto l’ente
in quanto ente) mentre le altre scienze sono parziali: o si
occupano di una parte di ente, es. la zoologia, oppure di
tutti gli enti ma sotto determinate proprietà, es.
l’aritmetica, che si occupa di tutti gli enti in quanto
numerabili.
La conoscenza teoretica
La conoscenza teoretica è ricercata in quanto
tale, è lei il suo proprio obiettivo.
Della conoscenza teoretica fanno parte: la
matematica, la filosofia della natura (chiamata,
come oramai sappiamo, fisica (physiké).
Allo scopo di individuare questa nuova scienza
Aristotele distingue tre tipi di conoscenza (e
relative scienze), distinzione basata su tre
obiettivi diversi che le tre conoscenze
perseguono:
1) La conoscenza teoretica (theoretiké);
2) la conoscenza produttiva (poietiké)
3) La conoscenza pratica (praktiké)
La conoscenza produttiva
La conoscenza produttiva è perseguita ai fini di
produrre qualcosa (un risultato pratico).
Tra le scienze produttive troviamo: la medicina,
le belle arti (tragedia, poesia, pittura, scultura), e
le varie arti ‘tecniche’ (la costruzione di navi,
case, templi, la coltivazione dei campi, la pesca,
la caccia, ecc.). Ma anche la retorica, che è vista
da Aristotele come l’arte del discorso persuasivo.
2
29/11/2015
La conoscenza pratica
La conoscenza teoretica
La conoscenza pratica è quella che riguarda l’azione umana (la
famosa praxis) e i suoi risultati.
Esempi di tale conoscenza sono la gestione della famiglia, e in
generale l’etica e la politica.
La conoscenza teoretica merita un posto a parte. Essa è
superiore alle altre precisamente perché il fine è la
conoscenza per se stessa, cioè non è strumentale a
nessuna produzione (né comportamentale, né tecnica).
La sua superiorità si basa su un’opinione che
probabilmente Aristotele riteneva universale e condivisa
da tutti, e cioè che
«tutti gli uomini per natura tendono a conoscere»
(Metafisica Alpha, 980a1. Si tratta dell’inizio di quello che
è considerato il primo libro della Metafisica).
Aristotele ha scritto opere su molte delle discipline rientranti
in questa tripartizione: l’etica e la politica, la poesia e la
retorica, la fisica e l’astronomia. Quanto alle matematiche,
sebbene Aristotele non abbia dedicato ad esse dei trattati, ne
parla moltissimo, e sicuramente ne era esperto, come
qualunque allievo platonico doveva essere.
Per una problematizzazione della tripartizione, vedi Lennox,
op. cit., p.274.
La conoscenza teoretica
Su cosa si basa l’opinione secondo cui tutti gli
uomini tendono per natura a conoscere?
Proprio sulla natura dell’uomo.
Aristotele riteneva platonicamente che l’uomo
dovesse essere precipuamente identificato con
l’intelletto (nous), la cui attività fondamentale è
pensare e conoscere (vedi ad esempio ciò che
dice sull’Etica Nicomachea a proposito della
felicità umana).
La teologia
Gli esseri divini di cui si occupa la teologia
aristotelica sono infatti astri e motori immobili.
Queste entità, per Aristotele, sono senza
mutamento o quasi. Gli astri, infatti, sono
costituiti di una materia quasi immateriale,
l’etere, e si muovono di movimento circolare, il
più perfetto. I motori immobili sono entità
appunto immobili, puramente immateriali, che
pensano se stesse.
Tre tipi di conoscenza teoretica
Nel libro Epsilon della Metafisica (1026a18-19) Aristotele
distingue tre tipi di conoscenza teoretica:
1) La matematica (o meglio, le matematiche, aritmetica,
geometria, ecc.);
2) La fisica che noi già conosciamo, che sarebbe meglio
chiamare filosofia della natura, oppure scienza
naturale (e che comprende zoologia, psicologia,
meteorologia, chimica e «fisica» propriamente detta,
che si occupa degli enti fisici in movimento);
3) La teologia, termine che però dev’essere utilizzato con
cautela, perché non riguarda gli enti divini come i
nostri, ma di fatto è l’astronomia.
E la filosofia?
Dipende da cosa si intende per filosofia.
Normalmente, si fa coincidere la filosofia aristotelica
con la ‘metafisica’, termine che però non è aristotelico
né dal punto di vista editoriale (titolo del trattato
‘Metafisica’), né dal punto di vista del contenuto
(Aristotele non ha mai usato questo termine per fare
riferimento alla sua filosofia).
3
29/11/2015
E la filosofia?
E la filosofia?
Inoltre, come sappiamo, la Metafisica non è un
trattato unitario (e non compare come tale nelle
lista delle opere di Aristotele): essa non si occupa di
una disciplina unica, ma comprende trattati diversi
(i vari libri della Metafisica) che hanno a che fare
con ‘argomenti metafisici’ relativamente poco
unificati: scienza delle cause (libro Alpha), scienza
dell’ente in quanto ente (libro Gamma), scienza
della sostanza (libri Zeta, Eta, Theta), e finalmente
scienza delle sostanze divine o teologia.
Sta di fatto che, con qualche difficoltà, Aristotele farà rientrare
tutti questi ‘soggetti metafisici’ nella teologia. In effetti, nel libro
Epsilon della Metafisica (1026a30-31), Aristotele afferma che la
teologia (che abbiamo visto essere l’astronomia, una sorta di
super-fisica), occupandosi delle sostanze divine, che sono
principi e cause prime di tutte le altre cose, di fatto si occupa
anche di tutte le altre cose, perché secondo Aristotele, occuparsi
delle cause prime e dei principi delle cose significa occuparsi
anche delle cose di cui essi sono cause prime e principi.
• Torneremo più avanti su questa gerarchia, per ora possiamo
ricapitolarla:
• 1) sostanze divine
• 2) sostanze fisiche.
E la filosofia?
E la logica?
In alcuni passi Aristotele sembrerebbe
aggiungere un livello intermedio tra 1) e
2), e cioè 3) gli enti matematici.
Stabilirebbe così una gerarchia tra le tre
scienze teoretiche distinte in Epsilon
1026a18-19.
E’ cosa ben conosciuta (e ricordata da Lennox, op. cit., p. 274)
che un certo numero di trattati aristotelici non rientra in
nessuna di queste categorie.
Si tratta dei trattati di logica, raggruppati sin dall’antichità
come Organon:
Categorie, De interpretatione, Analitici Primi, Analitici Secondi,
Topici, Elenchi sofistici.
Perché sono stati raggruppati in una categoria detta Organon?
Perché la logica fu considerata da Aristotele non una parte
della filosofia (come sarà invece per gli Stoici), ma come uno
strumento (organon, appunto) per qualunque ricerca seria.
L’organon
Lo statuto delle scienze
Come osserva giustamente Lennox (p. 274), a rigore solo
l’opera chiamata Primi Analitici si configura come un
trattato di quella che noi oggi chiamiamo logica. In effetti,
essa è il primo trattato di logica formale (la famosa
sillogistica), e Aristotele dichiara esplicitamente che è
stato il primo a trattare questa disciplina (vedi Elenchi
sofistici 183b34-184b9).
La cosa importante da sottolineare è che Aristotele,
almeno nella Metafisica, presuppone una trattazione
preliminare circa la conoscenza. E afferma che gli
Analitici, sia Primi che Secondi, forniscono proprio tale
trattazione.
Quando Aristotele definisce le scienze (Analitici Secondi, I
2, 71b9-72b4), egli ha in mente un sistema assiomaticodeduttivo di tipo geometrico (si pensi per esempio alla
geometria di Euclide, che parte da elementi per
dimostrare). Secondo questo modello, si parte da assiomi
(principi e cause prime) per dedurre delle conseguenze.
Una questione naturale da porsi è quindi la seguente: le
scienze che Aristotele menziona e pratica (le teoretiche,
le pratiche e le poietiche) devono avere, e nelle sue
intenzioni hanno, questa struttura?
4
29/11/2015
Statuto delle scienze pratiche e
poietiche
Statuto delle scienze teoretiche
E’ chiaramente difficile sostenere questa tesi per le
scienze poietiche come la poetica e la retorica, malgrado
il fatto che Aristotele mostri sempre un grande interesse
per le definizioni, che sono il punto di partenza e, per così
dire, gli assiomi di qualunque scienza, e malgrado il fatto
che vi sia un sillogismo tipicamente retorico, chiamato
‘entimema’.
E’ difficile sostenere questa tesi anche per le scienze
pratiche, nonostante il fatto che ci sia una grande
discussione ancora in corso per l’etica, tant’è vero che
alcuni parlano di sillogismo pratico.
Cosa dire delle scienze teoretiche, tra cui, come
abbiamo visto, si colloca con qualche difficoltà
anche la filosofia?
Ovviamente le matematiche possiedono questa
struttura, e per questo sono state prese a
modello sia da Platone che da Aristotele, proprio
perché all’epoca rappresentavano le scienze più
evolute.
Statuto delle scienze teoretiche
Statuto della filosofia: dialettica…
Le scienze della natura possono essere
concepite come scientifiche, anche se Aristotele
a loro proposito parla di conclusioni che valgono
‘per lo più’, cioè ammettono delle eccezioni
(laddove le deduzioni scientifiche sono
universali e necessarie).
Qui da sempre si fronteggiano due schieramenti
opposti: alcuni (vedi per esempio E. Berti, Profilo di
Aristotele, Milano 2012) ritengono che la filosofia,
almeno quella che si trova nella Metafisica, abbia
un andamento dialettico (in senso quasi socratico),
cioè cerchi di stabilire, sulla base di opinioni
autorevoli (endoxa) contrapposte, i principi da cui
partire per i propri argomenti, scartando quelle che
si mostrano insostenibili perché contraddittorie.
Vedi a. esempio Metafisica Beta.
…o scientifica?
Una risposta
Altri, sulla base di esplicite affermazioni di
Aristotele ritengono invece che Aristotele abbia
quanto meno l’intenzione di organizzare il
sapere filosofico, una volta scoperto, in
sequenze scientifiche.
L’obiezione seria a questa teoria è che nella
Metafisica (come del resto nemmeno nella
Fisica) non si trovano mai argomenti di tipo
assiomatico-deduttivo.
Una risposta plausibile è quella data da J. Barnes in un
volumetto su Aristotele uscito in italiano (J. Barnes,
Aristotele, trad. di C. Nizzo, Torino 2002), secondo cui nei
trattati di Metafisica, così come in quelli appartenenti alla
scienza della natura, Aristotele è ancora impegnato a
trovare le conoscenze, e in particolare i principi da cui
partire per poi organizzare i saperi filosofici.
Del resto Aristotele sembra pensare che qualunque
principio, anche il più scientifico, si costituisca a partire da
opinioni autorevoli (endoxa) (quelle opinioni condivise da
tutti o da uomini sapienti) messe alla prova (vedi Topici A,
101a35-101b5).
5
29/11/2015
Principi e cause
Analitici Secondi I 2, 71b9-16
«Noi crediamo di comprendere ogni cosa in
modo assoluto, e non in modo sofistico secondo
accidente, quando crediamo di conoscere la
causa per cui la cosa è, che essa è causa della
cosa, e che la cosa non può essere altra da ciò
che è. E’ quindi evidente che la comprensione è
qualche cosa di questo tipo».
Forma dell’argomento
A chi si riferisce questo ‘noi’?
Ci sono tre possibilità:
i) io, Aristotele (plurale maiestatis);
ii) noi, i filosofi (nel senso degli aristotelici);
iii) noi, tutto quanto il genere umano.
Ci sono dei segni tecnici nel greco di questo
testo che fanno propendere per un ‘noi’
universale, cioè tutti noi.
Forma dell’argomento
La forma dell’argomento è la seguente:
1) noi crediamo…
2) quindi…
Rapporto 1) e 2):
1) noi crediamo x
2) quindi: x.
Opinione concettuale
Ma di quale credenza generale si tratta? Di una credenza
concettuale, che si basa sul concetto che noi abbiamo di
‘uomo’. Aristotele sembra dire: visto che noi consideriamo
l’uomo come animale razionale, allora crediamo che la
conoscenza razionale sia così e così. Il che rende l’argomento
meno assurdo di quello che sembrerebbe a prima vista. In
generale, comunque, Aristotele pensa che le nostre credenze
concettuali universali (cioè, condivise da tutti) siano una
garanzia di verità.
Es.: noi tutti crediamo che il sole giri intorno alla terra, quindi
il sole gira intorno alla terra. Questo come sappiamo è
risultato falso, ma prima di Galileo tutti pensavano che questa
fosse una verità.
Contenuto dell’argomento
Conoscenza scientifica
Qual è il contenuto di questa credenza
universalmente condivisa? Si tratta di una credenza
relativa alla conoscenza scientifica (si noti il verbo
epistasthai, da cui deriva episteme, termine greco
per ‘scienza’). Aristotele non nega che vi siano altri
modi di conoscere, ma qui è impegnato a fornire
una sorta di definizione appunto della conoscenza
scientifica, assoluta e non sofistica (si noti il
riferimento polemico ai sofisti. Si tratta di una finta
conoscenza, accidentale e non scientifica).
Secondo Aristotele, perché vi sia conoscenza
scientifica, devono essere soddisfatte tre condizioni:
a conosce scientificamente X (dove X è una
proposizione)
se e solo se (sse = usato per definire, segnala
un’equivalenza)
(i) a conosce Y (una o più proposizioni)
(ii) a sa che Y è la causa di X
(iii) a sa che X non può essere altrimenti, ovvero
che la proposizione X è vera e necessaria.
6
29/11/2015
Senso di Causa (aitia)
In che senso Aristotele parla di causa, o più
precisamente di aitia?
Aristotele afferma che c’è conoscenza scientifica
solo in questo caso:
Y
__
X
cioè
Y, dunque X.
Ma che significa?
La conoscenza scientifica
Un altro modo per mostrare che cos’è la conoscenza scientifica
per Aristotele è il seguente
P1
P2
P3
.
____
Q
Q deriva da una serie di premesse precedenti, che sono a loro
volta conclusioni di ragionamenti successivi, fino a quando si
arriva ad una premessa non ulteriormente dimostrabile, autoevidente. Questa è un assioma.
Principi e cause nella Fisica
Fisica, II, 3, 194b17-22:
«Siccome la nostra ricerca verte sul conoscere, e noi
crediamo di conoscere solo dopo aver compreso il
dia ti relativo a ciascuna cosa (e questo equivale a
cogliere la causa prima), è chiaro che proprio così
dobbiamo comportarci anche riguardo alla
generazione e alla corruzione e a ogni tipo di
mutamento naturale, affinché, nel riconoscere i loro
principi, si cerchi di riportare ad essi ciascun
oggetto della ricerca».
Senso di causa (aitia)
Riprendiamo un esempio già visto:
a) 32 è maggiore di 22
Perché
b) 3 è maggiore di 2.
L’esempio mostra chiaramente che la ragione
della verità di a) risiede nella conoscenza di b).
Un precedente platonico
E’ interessante notare che questa definizione di
conoscenza scientifica, che si trova in altri luoghi
aristotelici (Analitici secondi 94a20; Fisica
184a12-14; 194b18-20; Metafisica Alpha,
983a25-26; alpha elatton 994b29-30) richiama
l’idea platonica espressa nel Menone (98A)
secondo cui la conoscenza (episteme) stabile
consiste nell’opinione legata con il ragionamento
della causa.
La conoscenza fisica
- Viene ribadito che conoscere equivale a
comprendere il perché di ogni cosa (cioè, la
sua causa prima).
- Quindi occorrerà conoscere le cause prime
(cioè, i principi) di ogni mutamento naturale
(generazione, corruzione, movimento locale,
alterazione, accrescimento e diminuzione)
7
29/11/2015
Gli esseri naturali
Definizione di natura
Fisica II, 1, 192b8-15 (p. 181 trad. it.):
«Degli enti alcuni sono per natura (physei) alcuni per altre
cause. Per natura sono gli animali e le loro parti, le piante
e quei corpi che sono semplici: ad esempio la terra, il
fuoco, l’aria e l’acqua (…) Tutte queste cose si
differenziano da quelli che non sono per natura. Infatti,
ciascuno di essi ha in sé il principio del movimento e della
quiete, talora secondo il luogo, talora secondo aumento e
diminuzione, talora secondo alterazione. Invece, un letto
e un mantello (…) non hanno alcun impulso interno al
mutamento, se non in quanto gli capita di essere di pietra
o di terra».
La definizione di natura avviene a partire dalla distinzione tra
1) cose che esistono per natura e 2) cose che esistono non per
natura.
In 1) vengono elencate gli animali e le loro parti, le piante, i
corpi semplici (terra, acqua, aria, fuoco).
Ciascuna di queste cose possiede in se stessa il principio del
cambiamento e del riposo – rispetto a luogo, taglia, qualità.
2) Invece un letto o un mantello non hanno in loro il principio
del movimento, o se ce l’hanno, lo possiedono non in quanto
letto o mantello, ma in quanto composti di corpi semplici.
Conclusione: la natura è definibile come principio e causa di
movimento e riposo nelle cose in cui è presente non per
accidente.
Gli esseri naturali
Avere natura/essere in accordo con la
natura
Fisica II, 1, 192b33-193a1 (p. 183 trad. it.):
«Tutte queste cose sono sostanze (ousiai), infatti
sono un certo sostrato, poiché la natura è
sempre in un sostrato. E sono secondo natura
tanto queste <sostanze> quanto gli attributi che
gli appartengono per se, come per esempio, per
il fuoco, l’essere portato verso l’alto. Questo
però non è una natura e neppure ha natura,
bensì è per natura o secondo natura».
Hanno natura quelle cose posseggono questo
principio. Queste sono tutte sostanze; natura
implica sempre un sostrato in cui è. Sia le
sostanze che i loro attributi per se sono in
accordo con la natura.
In particolare, gli attributi sono per natura ma
non hanno natura (hanno natura solo i sostrati
in cui agisce il principio naturale)
L’esistenza della natura
Natura come principio materiale
Fisica II, 1, 193a3-4 (p. 183 trad. it.):
«Cercare di dimostrare l’esistenza della natura è
semplicemente ridicolo: è infatti manifesto che
esiste una molteplicità di esseri <naturali>».
L’esistenza della natura viene inferita sulla base
dell’evidenza dell’esistenza degli enti naturali.
193a4-9: Cercare di provare l’evidente sulla base del
non evidente mostra mancanza di giudizio e implica
parlare di parole cui non corrisponde pensiero
alcuno.
193a9-12 (p. 183 trad. it.):
«Alcuni ritengono che la natura e la sostanza degli
esseri naturali sia l’elemento costitutivo primario
(to proton enyparchon) di ciascuna cosa, di per se
privo di forma: per esempio, il legno è la natura del
letto e il bronzo della statua».
Qui Aristotele parla di coloro che si limitano a
pensare alla natura come componente materiale.
8
29/11/2015
Natura come principio materiale
Natura come principio formale
In questa direzione va l’esempio di Antifonte del
letto di legno che, in particolari condizioni, produce
un germoglio (cioè legno) e non un letto. La forma
sarebbe accidentale, mentre la sostanza che rimane
al di là delle affezioni (paschousa, da paschein,
subire) è la materia (e per materia intendiamo i
quattro elementi e loro derivati).
Coloro che sostengono ciò si dividono
sull’identificazione della ‘natura’ (fuoco, terra, ecc.)
Tutto il resto è affezione della sostanza, natura,
sostrato.
Fisica, 193a28-31 (p. 185 trad. it.):
«Così in un senso si dice natura la materia prima
sostrato degli esseri che hanno in sé il principio del
moto e del mutamento, mentre in un altro senso <è
natura> la forma (morfé) e l’essenza (eidos)
corrispondente alla definizione (kata ton logon)».
Aristotele introduce, accanto alla natura come
materia che ha in sé il principio del movimento e
della quiete, la natura come forma ed essenza
espressa nella definizione (o meglio, nel discorso
definitorio, «logos»).
Natura come principio formale:
argomenti
Primo argomento
Fisica, 193a31-33 (p. 185 trad. it.):
«Come infatti si dice arte … ma non ha neppure
l’essenza del letto».
Qui Aristotele presenta ancora una volta un
parallelo tra artefatti ed enti naturali.
Così come si dice «arte» ciò che è prodotto in
accordo (kata) con le regole dell’arte o che è
«artistico» (technikon), allo stesso modo si dice
«natura» ciò che è secondo (kata) natura o che è
«fisico» (physikon).
Primo argomento
Si tratta di un primo argomento per analogia tra
arte e natura. Così come l’elemento artistico (nel
senso di tecnico) di un artefatto è identificato non
grazie alla semplice materia ma grazie alla forma
imposta alla materia, allo stesso modo la natura di
qualcosa dev’essere identificata non con la materia
ma con la forma.
La materia è solo potenzialmente un letto o un
osso. Per attualizzarsi, al legno dev’essere imposta
la forma del letto, alla materia dell’osso la forma
dell’osso.
193a33-b3 (p. 185 trad. it.):
«Però, in tal caso, neanche potremmo dire che è
arte …non sono per natura».
Nessuno direbbe di ciò che è solo potenzialmente
un letto che è in accordo con le regole dell’arte o
che è un lavoro «artistico» (technikon), né di ciò che
è potenzialmente carne o osso che ha la sua propria
natura o che è per natura , fino a quando non ha
acquisito la sua forma che è la sua definizione.
Conclusione primo argomento
193b3-5:
«Sicché in un altro senso la natura sarebbe la forma e
l’essenza degli enti che hanno in sé il principio del movimento,
sennonché una tale forma non è separata se non per via di
definizione».
Quindi, in un secondo senso, oltre alla materia, la natura delle
cose che hanno un principio interno di cambiamento è la loro
forma, che non è separabile se non per via di definizione.
Anzi, osserva Aristotele nelle righe finali (righe 6-8: «Ma
natura...che è in potenza»), è più natura la forma che la
materia: infatti una cosa è se stessa quando esiste
attualmente piuttosto che quando esiste potenzialmente.
9
29/11/2015
Natura come principio formale:
secondo argomento
Natura come principio formale: terzo
argomento
Fisica, 193b8-12 (p. 186 tra. It.):
«Inoltre un uomo nasce da un uomo…nasce da un
uomo»
Secondo argomento:
Se è vero che il fatto che un letto non produrrebbe
un letto mostra che la natura del letto è la sua
materia e non la sua forma, viceversa il fatto che un
uomo produca un uomo mostra che la natura
dell’uomo è la sua forma.
Questo è un argomento ad hominem, cioè
direttamente rivolto ad Antifonte.
193b12-18 (p. 187 trad. it.):
«Inoltre, la natura …tende verso qualcos’altro».
Terzo argomento (parafrasi):
Physis nel senso di generazione è un processo verso la natura.
Sicuramente la guarigione è un processo non verso l’arte della
guarigione ma verso la salute, mentre invece physis nel senso
di generazione è un processo verso la natura.
Perché Aristotele dice ciò?
Perché sostiene che ciò che cresce è qualcosa che passa da
qualcosa verso qualcosa, e che ciò che è prodotto nel
processo di crescita è ciò verso cui, e non ciò a partire da cui,
la cosa che cresce, cresce.
Quindi la natura è forma.
L’oggetto della fisica (secondo capitolo)
I symbebekota
Aristotele Fisica II, 1, 193b22-31 (p. 189 trad. it.):
«Una volta detto…bisogna poi vedere come lo studioso
della matematica differisce dallo studioso della natura
(infatti i corpi naturali hanno superfici e dimensioni,
lunghezze e punti, riguardo a cui si occupa il
matematico)…Se infatti si attribuisse al fisico il compito di
conoscere l’essenza (ti esti) del sole e della luna, ma non
le loro proprietà essenziali …siano o non siano sferici».
(la traduzione di Radice contiene due errori, che
corrispondono alle parti in rosso da me corrette, di cui il
secondo grave).
Quando Aristotele parla di ‘accidenti per sé’ egli
non vuole parlare semplicemente di accidenti
(cose che capitano, proprietà accidentali) ma di
caratteristiche essenziali oggetto della scienza
della natura, da argomentare e dimostrare (cf.
Metaph. Delta, 1025a30).
Differenza tra matematica e fisica
(1) Differenza tra matematica e fisica
Aristotele afferma che noi dobbiamo indagare: (1) come il
matematico differisce dallo studioso della natura (infatti i
corpi naturali hanno figure solide, piane, linee e punti, e
questi sono gli oggetti di cui il matematico (qui non
distinto dallo studioso di geometria) si occupa;
(2) Se l’astronomia sia o no una parte della fisica; sarebbe
assurdo infatti che il compito del fisico fosse studiare che
cosa il sole o la luna siano senza studiare i loro attributi
geometrici, specialmente in quanto gli studiosi della
natura evidentemente studiano la figura della luna, del
sole della terra, dell’universo. Di fatto il fisico studia
entrambi, essenze e attributi geometrici.
193b31-35 (p. 189 trad. it.):
«In verità (…) non travisano la verità».
Anche i matematici studiano i corpi solidi, ma non come limiti dei
corpi naturali; neppure studiano gli attributi delle figure (es. la
sfericità della luna) come attributi delle figure di corpi naturali.
Per questo essi astraggono (cioè separano le figure dai corpi in
movimento); infatti gli oggetti della matematica possono essere
considerati astrattamente (separatamente) dal cambiamento.
Facendo ciò, i matematici non incappano in nessuna falsità.
Insomma, quando la fisica studia gli attributi geometrici li studia
in quanto attributi di corpi fisici; quando la matematica li studia,
li studia in quanto separati dai corpi fisici. Una procedura
giustificabile.
10
29/11/2015
Critica al platonismo
Senso della critica a Platone
Fisica, 193b35-194a7 (pp. 189-191 trad. it.):
«I fautori della dottrina delle Idee… dei loro attributi (non:
condizioni accidentali!). Infatti, tanto il dispari … ‘camuso’ e
non nel senso di ‘ricurvo’».
I sostenitori della dottrina delle Idee fanno nascostamente la
stessa cosa. Separano gli oggetti naturali che non possono
essere appropriatamente separati come quelli matematici. Ciò
risulta chiaro se tentiamo di definire gli oggetti e gli attributi
delle rispettive scienze (cioè, geometria e fisica). Pari dispari,
retto e curvo, numero, linea e figura possono esistere
indipendentemente dal cambiamento, mentre carne, ossa,
uomo no. Queste ultime cose sono infatti come ‘naso camuso’
e non come il ricurvo.
Qual è il senso della critica a Platone?
I matematici separano nel pensiero entità (quelle
matematiche) che di fatto non sono separabili, ma che
possono essere proficuamente studiate indipendentemente
dai corpi fisici da cui vengono separate. Invece i Platonici si
comportano come se le Idee esistessero separatamente.
Questo significa che ritengono che entità come sfericità,
linearità, ecc. esistano separatamente dagli oggetti che le
possiedono. Ma trattato come Idee anche entità come carne,
ossa e uomo, che invece non possono esistere separatamente
dai corpi fisici. Se per es. noi consideriamo l’uomo come
«animale mortale razionale», «animale» implica una sostanza
animata che percepisce, nasce, si corrompe, ecc.
Lo studio della fisica
(2) L’astronomia è parte della fisica
Il camuso vs il curvo
Questo è l’esempio favorito di Aristotele per
parlare di definizione che implica
necessariamente la materia.
Naso, occhio, faccia, carne, osso, gli animali,
richiedono per la loro definizione anche la
materia.
Invece
Linea, curvo, retto, ecc. no.
Fisica, 194a7-12 (p. 191 tr. it.):
«Ciò risulta anche dalle scienze matematiche più vicine
alla fisica…bensì in quanto fisica».
E questo risulta chiaro anche dalle branche fisiche della
matematica, e cioè ottica, armonia, astronomia. La
geometria studia la linea fisica ma non in quanto fisica;
l’ottica studia la linea matematica ma in quanto fisica.
Questo passo serve sia a confermare ciò che Aristotele sta
sostenendo (la differenza tra fisica e matematica) sia a
rispondere alla seconda questione sollevata, se
l’astronomia sia parte o meno della fisica.
Astronomia, ottica, armonia
Forma e materia nello studio della
natura
L’astronomia (così come ottica e armonia) è
usualmente riconosciuta come branca fisica
della matematica, ma qui Aristotele ha l’aria di
dire che essa è realmente branca della fisica.
Infatti la geometria tratta della linea che è di
fatto limite del corpo fisico, ma ignora
quest’ultimo aspetto, la fisicità; invece l’ottica
tratta di una linea che ha proprietà geometriche,
ma in quanto ha proprietà fisiche.
Fisica, 194a13-18:
«Dato che natura si dice in due accezioni…o a una scienza
differente?»
Poiché la natura si definisce in due modi, forma e
materia, dobbiamo studiarla come se stessimo studiando
il camuso; tali cose né sono indipendenti dalla materia né
sono interamente costituite da essa. Ma se ci sono due
nature, quale di esse studierà il fisico? O dovrà studiare il
composto delle due? Sono entrambe oggetto di una
stessa scienza o di scienze differenti?
Ovviamente la risposta sarà: no, una stessa scienza, la
fisica, studierà entrambe le nature.
11
29/11/2015
La materia
La materia e la forma
194a18-27 (p. 191 tr.it.):
«A dar retta agli antichi …lo stesso vale per le altre arti.
Compito della scienza fisica sarà dunque conoscere entrambe
le nature».
Se diamo retta agli antichi, essi hanno pensato che lo studio
della fisica si limitasse allo studio della materia. Per questo sia
Empedocle che Democrito hanno trattato poco e in modo
incompleto la forma e l’essenza. Ma poiché l’arte imita la
natura, lo studio dell’arte deve conformarsi a quello della
natura. Ma lo studio di un’arte implica lo studio sia della
materia che della forma (vedi per esempio la medicina),
sicché anche il fisico dovrà studiare entrambe le nature.
- Viene confermato ciò che dice Aristotele in
Metaph. Alpha, e cioè che la causa materiale è
stata scoperta prima delle altre cause;
- Per Empedocle e Democrito cfr.
rispettivamente PA 642a17 (presenza del
logos della mescolanza nella natura) e
Metaph. M, 1078b19 (certa definizione del
caldo e del freddo)
La causa finale
Forma-fine-materia
Fisica 194a27-33 (pp. 191-193 tr. it.):
«Questa medesima scienza si occuperà pure del ‘ciò
in vista di cui’ e del fine…ma solo il migliore».
La stessa scienza deve studiare lo scopo e il mezzo,
ma la natura nel suo primo significato, cioè forma, è
lo scopo. Infatti, il termine di un processo continuo
è anche la sua causa finale; ecco perché il poeta
dice scherzosamente «egli ha la fine per cui è
nato». Questo per dire che non ogni termine ultimo
è il fine, ma solo il migliore.
- In questo passo Aristotele stabilisce che la stessa
scienza studia i fini e i mezzi.
Il fine è la forma stessa, che si configura come ‘fine
ultimo’ di un processo naturale, in cui un ente, in
una sequenza di passi temporalmente definiti che
scandiscono un cambiamento, realizza la sua forma;
I mezzi sono costituiti dalla materia necessaria per il
raggiungimento di una determinata forma.
- Chi è il poeta? O un poeta comico, o Euripide.
I limiti della fisica
Concludendo…
194b10-15: (p. 193 tr.it.):
«Fino a che punto…è compito della filosofia prima».
Fino a che punto il fisico deve spingersi nella
conoscenza della forma? Fino a conoscere la causa
finale di ogni oggetto naturale. Il fisico studia cose
che sono separabili riguardo alla forma ma che
implicano la materia. Infatti considera sia l’uomo
che il sole per la generazione dell’uomo. Invece, di
ciò che esiste separatamente deve occuparsi la
filosofia prima.
(1) Il fisico non studia la forma in generale ma
studia la forma nella misura in cui indaga la
causa finale (che si identifica con quella formale)
di ogni corpo fisico;
(2) Il fisico studia le forme che sono separabili nel
pensiero ma incorporate nella materia,
lasciando al metafisico lo studio delle forme che
esistono separatamente dalla materia (Dio e le
intelligenze che muovono i pianeti). Questo sarà
fatto in Metafisica Lambda.
12
29/11/2015
La teoria delle quattro cause
La conoscenza
Fisica, II, 3, 194b17-22 (tr. it. p. 195 leggermente
modificata):
«Siccome la nostra ricerca verte sul conoscere, e noi
crediamo di conoscere solo dopo aver compreso il
dia ti relativo a ciascuna cosa (e questo equivale a
cogliere la causa prima), è chiaro che proprio così
dobbiamo comportarci anche riguardo alla
generazione e alla corruzione e a ogni tipo di
mutamento naturale, affinché, nel riconoscere i loro
principi, si cerchi di riportare ad essi ciascun
oggetto della ricerca».
Troviamo per prima cosa (194b16-20) la definizione di
conoscenza che si trova in altri luoghi (per esempio, in
Metafisica Alpha, o all’inizio degli Analitici secondi).
Questa definizione richiama le affermazioni aristoteliche che
si trovano proprio all’inizio della Fisica, I, 184a12-14 (p. 117
tr.it.):
«sono questi <= principi, cause, elementi> che permettono la
conoscenza, dal momento che crediamo di conoscere ogni
cosa quando conosciamo le cause prime, i principi primi, fino
agli elementi (stoicheia)».
L’idea aristotelica che governa tutto il testo è che conosciamo
qualche cosa se e solo se ne conosciamo la causa prima (aitia
prote). Cosa vuol dire causa prima, il perché di ogni cosa?
La conoscenza
La conoscenza
L’idea espressa generalmente da Aristotele è che ci troviamo di
fronte a una sequenza di questo tipo:
A perché B perché C....perché Y, perché Z. Immaginiamo che
oltre Z non ci sia null’altro: Z sarà allora la causa prima, la
sommità della catena esplicativa. Z non verrà spiegato da nulla,
sarà inesplicabile (o, in termini scientifici, auto-evidente). Gli altri
membri saranno anch'essi cause (cioè, membri della
spiegazione), ma solo Z sarà la causa prima.
Avremo quindi un sistema di derivazione da Z ad A.
La conoscenza fisica
Aristotele sostiene che dobbiamo applicare questo
stesso metodo alla scienza della natura, che
riguarda generazione, corruzione e ogni
cambiamento naturale, per individuare appunto i
loro principi.
In effetti Aristotele già nel primo libro della Fisica si
era ripromesso di indagare i principi della scienza
fisica. Di fatto, però, ha impiegato tutto il primo
libro ad analizzare le opinioni dei predecessori a
riguardo. E’ nel secondo che inizia tale indagine.
Per esempio, prendiamo come sequenza una serie di
proposizioni, di cui la prima sarà “il triangolo ha tre
angoli”, e l’ultima (cioè la conclusione) sarà “la somma
degli angoli interni di un triangolo è di 180 gradi”.
Vedi Metafisica, alpha piccolo: ogni catena di cause
deve avere un primo termine (non può cioè risalire
all’infinito).
Cosa significa indagare le cause in
Fisica?
Fisica, 198a14-16 (p. 219 tr. it. modificata):
«Ribadiamo che ci sono le cause e che sono
proprio nel numero che abbiamo detto, il quale
corrisponde infatti (errore nella traduzione
italiana!) al seguente numero dei perché».
Segue l’elenco del numero dei perché (1)
formale (2) motrice (3) scopo (4) materia.
13
29/11/2015
Un esempio
1) «Perché ci sono le piante?»
«Perché ci sono foglie, radici, fusto».
2) «Perché ci sono foglie, radici, fusto?»
«Perché ci sono le piante.»
3) «Perché ci sono le piante?»
«Perché ci sono i semi».
4) «Perché ci sono le piante?»
«Per permettere al pianeta di respirare»
1) Materia
2) Forma
3) Causa motrice e/o materia
4) Scopo
La causa materiale
Fisica II, 3, 194b23-26 (p. 195 tr. it. modificata):
«In un senso, la causa è ciò da cui, come suo costituente
interno, una cosa è fatta, come per esempio il bronzo è
causa della statua e l’argento della coppa, così come i loro
generi».
«Ciò da cui»: si tratta di una derivazione; «costituente
interno»: un perché immanente alla cosa.
Per illustrare il primo tipo di causa (la causa materiale),
prendiamo esempi che lo stesso Aristotele presenta nella
Fisica:
- il bronzo è causa della statua
- l’argento è causa della coppa.
La causa materiale
La causa materiale
Sappiamo, perché è Aristotele che lo dice, che la
causa è il perché:
“Perché la statua?”. “Perché il bronzo”.
“Perché la coppa?”. “Perché l'argento”.
Ma questo che senso può avere?
Sulla base di quello che Aristotele dice in Metafisica
Zeta 1041a10, possiamo dire la cosa seguente:
il bronzo è la causa della statua nel senso che esso
spiega perché la statua possiede determinate
proprietà.
Per esempio:
la statua è bruna perché è fatta di bronzo
la statua fonde perché è fatta di bronzo
ecc.
Vi sono, cioè, molte cose che sono vere della statua
a causa del fatto che essa è fatta di bronzo.
Si noterà la trasformazione di:
il bronzo è causa della statua
La causa materiale
La causa materiale
a:
la statua fonde perché è fatta di bronzo.
Si tratta di spiegazioni in forma proposizionale.
Allo stesso tempo, però, possiamo dire che la
connessione tra le proprietà che la statua
possiede e il suo essere fatta di bronzo è una
connessione reale, che esiste realmente nel
mondo, che constatiamo.
Quindi, per la spiegazione materiale possiamo dare la
seguente formula:
x è F perché x è fatto di M
x = un soggetto; F = un predicato; M = materia.
Sulla base di ciò che invece abbiamo detto quando abbiamo
parlato della materia in Platone, potremmo dire che materia è
causa nel senso che è condizione di origine, esistenza e
corruzione delle cose. La materia esiste ed è condizione
necessaria per l’esercizio delle cause.
Ma questo, in un’ottica aristotelica, non è il vero senso di
“causa”, se essa va intesa come dioti. Piuttosto essa sarà una
sorta di condicio sine qua non.
14
29/11/2015
La causa formale
La causa formale
Fisica II, 3, 194b26-29 (tr. it. p. 195 modificata):
«In un altro senso, è la forma e il modello, e questa è la
definizione dell’essenza, e i suoi generi (per esempio, il
rapporto di due a uno per l’ottava e generalmente il
numero), e le parti della definizione».
E’ molto strano, come rileva anche Alessandro di
Afrodisia nel suo commento relativo, che Aristotele
metta insieme forma (eidos), modello (paradeigma) e
definizione dell’essenza (logos tou ti en einai).
Alcuni studiosi ritengono questa frase
appartenente al periodo platonico di Aristotele.
In effetti paradeigma è un termine prettamente
platonico, e Aristotele non lo userà più nei suoi
successivi riferimenti all’eidos.
Altro problema: possiamo dire che la definizione
di Socrate sia causa formale di Socrate?
L’esempio
La causa formale
Esempio: Il rapporto di due a uno per l’ottava o
diapason.
L’idea è quella della forma generale della
definizione che delimita una nozione generale
attraverso una differenza specifica: nell’esempio,
il genere del numero contiene il particolare
rapporto di due ad uno, che costituisce il
diapason (anche questo un esempio
«platonico»?).
Per chiarire meglio quello che vuol dire
Aristotele, vediamo un esempio di Aristotele,
che possiamo trarre dal libro Alpha della
Metafisica:
«perché gli uomini sono capaci di praticare la
filosofia?»
«perché sono esseri razionali»
cioè, appartiene loro la proprietà di essere
razionali.
La causa formale
Causa formale e causa finale
x è F perché x è Y
x = un soggetto; F = un predicato; Y = una parte della
definizione di x, cioè un predicato che rientra nella
definizione essenziale di x. Infatti, la causa formale
riguarda quei predicati che dipendono dalla
definizione della cosa a cui tale predicato si applica.
Però, quando si parla di forma, non si pensa solo alla
definizione, ma anche alla figura delle cose: ad
esempio, la forma di questo pezzo d’argento, che lo fa
essere una coppa.
Più tardi Aristotele (195a16-21: pp. 197-99 tr.it.)
introduce come esempi di causa formale le
sillabe rispetto alle lettere, gli artefatti rispetto
alla materia di cui sono fatti, il fuoco e gli altri
elementi rispetto ai corpi, gli interi rispetto alle
loro parti, le conclusioni rispetto alle premesse
(ma in questi esempi la causa formale sembra
essere prossima, non ultima!).
15
29/11/2015
Causa formale e causa materiale
La causa motrice
Tutti gli esempi visti, secondo Aristotele, sono cause
«come ciò a partire da cui (ex ou). Ma di queste, alcune sono nel
senso del sostrato (ypokeimenon), altre come essenza (to ti en
einai) nel senso dell'intero, della sintesi e della forma» (Fisica,
195a19-21, tr. it. p. 199 modificata).
Quindi: lettere, materia degli artefatti, fuoco, aria, terra, acqua,
parti, premesse sono ex ou come sostrato.
Invece: sillabe, artefatti, corpi, interi, conclusioni sono ex ou
come essenza.
Aristotele cioè ribadisce che materia e forma sono cause interne,
l'una come sostrato, l'altra come forma; quest’ultima viene vista
come l'interezza o la completezza che sopraggiunge alle parti.
Fisica II, 3, 194b29-32 (tr. it. p. 197 modificata):
«Ancora, <causa> è ciò da cui proviene il primo
inizio del cambiamento e del riposo; per
esempio, l’autore di una decisione è causa, il
padre è causa del figlio e, in generale, l’agente è
causa di ciò che è fatto, ciò che produce il
cambiamento di ciò che è cambiato».
La causa motrice
La causa motrice
«Ciò da cui»: qui la formula va interpretata nel senso di
origine. Questa causa viene generalmente considerata più
vicina al nostro concetto moderno di causa, perché è
definita da Aristotele come fonte di cambiamento e di
riposo. Gli esempi forniti da Aristotele sono però
eterogenei.
Infatti, nel passo che stiamo leggendo, Aristotele fornisce
come esempi (righe 194b31-32):
- colui che prende una decisione
- il padre rispetto al figlio
- In generale, ciò che fa rispetto a ciò che è fatto e
l’agente del cambiamento rispetto alla cosa cambiata.
Ma poi Aristotele fornisce un elenco di cause
motrici in 195a21-23:
seme, medico, colui che decide qualcosa e in
generale ciò che fa (to poioun).
Inoltre, in 195a3, afferma che di fatto causa
motrice della statua è non lo scultore ma l’arte
scultoria, stabilendo una sorta di gerarchia di
cause efficienti:
La causa motrice
La causa motrice
a) Arte scultoria, scultore, statua.
Così pure:
b) seme, padre, figlio.
Queste due sequenze sembrano chiarire anche
l’affermazione aristotelica secondo cui la vera causa è la
causa prima.
a) Causa prima della statua è l’arte scultorea e causa
prossima è lo scultore (entrambe motrici).
b) Stessa sequenza in b): causa prima del figlio è il
seme, causa prossima il padre (cf. Met. H, 1044a35).
Comunque: dire che l’arte scultoria è la vera causa
motrice della scultura mette in crisi l’idea che la causa
motrice sia esclusivamente la causa attiva, che fa qualche
cosa. Stesso discorso per il seme.
Inoltre, Aristotele, non presenta per questo tipo di causa
una caratterizzazione diversa rispetto alle altre cause.
Anche per essa occorrerà cercare una spiegazione nei
termini di
«perché x?»
che appunto spieghi l’appartenenza di un predicato a un
soggetto (o di una proprietà alla sostanza).
Per esempio: il figlio ha gli occhi blu perché il padre ha gli
occhi blu.
16
29/11/2015
La causa motrice
x è F perché y è F
x = un soggetto; y = un altro soggetto: F = un predicato (che
appartiene sia a x che a y).
Questo schema si può applicare anche al caso del fuoco e
della mano calda:
La mano è calda perché il fuoco è caldo.
Tuttavia e chiaro che nel caso della causa motrice Aristotele
presenta anche un concetto di agente, di qualcosa che fa
qualcosa.
Lo stesso Aristotele, infatti (vedi Metafisica Alfa, 983a30-32),
definisce questa causa come «principio a partire da cui ha
inizio il movimento», facendo di essa un principio dinamico
che trasmette delle proprietà (il fuoco, per esempio).
La causa finale
194b32-35 (p. 195-96 tr. it. modificata):
«Ancora, come fine; e questo è l’in-vista-di-cui,
per esempio, la salute è causa della passeggiata;
in effetti, perché passeggia? In vista della sua
salute, diciamo, e, con questa risposta, noi
pensiamo di aver fornito la causa».
La causa finale
La causa finale
Il caso della causa finale sembra invece differente. Qui,
almeno per ciò che riguarda la risposta al «perché?»,
troviamo una formula diversa dalle altre, e cioè
«affinché» :
«perché (dia ti) F?»
«affinché (ina) Y».
«Affinché» rimanda alla formula greca to eneka ou,
letteralmente «l'in vista di cui».
Esempio di Aristotele: «perché passeggia?» «al fine di
essere sano», cioè, al fine di ottenere (o preservare)
l'essere sano.
x è F al fine di essere Y.
x = soggetto; F = è passeggiante (per Aristotele
«passeggia» è un predicato); Y = un altro predicato (una
proprietà che si vuole acquisire).
Il bene e il meglio
Il bene e il meglio
Domanda:
Se pensiamo alle arti e agli artefatti, possiamo accettare
l'idea che essi hanno a che fare con il bene e il meglio.
Quando io faccio un paio di scarpe, le faccio seguendo
delle regole che mi spiegano come fabbricare il miglior
paio di scarpe possibile.
Ma: come applicare questa idea agli enti naturali, cioè
al di fuori della sfera dell'azione razionale?
In 194a29-30 (passo che abbiamo già letto), Aristotele
suggerisce che laddove abbiamo un processo di
cambiamento continuo, abbiamo il suo terminus ad
quem come suo scopo o fine.
Inoltre, al di là dei processi fisici, Aristotele parla di
scopi o fini degli oggetti fisici in termini di loro funzioni
(es: lo scopo dell'orecchio è quello di udire).
In entrambi i casi (processi finalizzati e organi), la
realizzazione dello scopo come il meglio coincide con
ciò che tutti i membri (non difettati) di una classe (o
specie) fanno precipuamente e in modo differente da
quello che realizzano i membri di altre classi (o specie).
Altri esempi: il bene (che coincide sempre con il meglio:
195a24-26).
Ma possiamo estrarre altri esempi da quanto Aristotele
dice qui e là: parti organiche e comportamenti naturali
in vista delle creature viventi, ma anche fatica in vista
della forte costituzione (195a9-10) o salute.
17
29/11/2015
Il bene e il meglio
Concludendo…
Es:
(1) una pecora a quattro zampe:
realizzazione corretta di una forma in un
processo.
(2) Un orecchio che sente bene
Una pecora a cinque zampe o un orecchio
che ci sente male hanno realizzato male il
loro scopo (o non l'hanno realizzato?).
Per ritornare al senso del termine aitia,
possiamo dire che il termine significa
«perché»: la risposta si distingue da una
parte in «perché» materiale, «perché»
formale, «perché» efficiente, dall’altra in
«affinché» teleologico.
Concludendo…
I perché della Fisica
Fisica II, 7, 198a14-21:
«Ribadiamo che ci sono le cause e che sono proprio nel
numero che abbiamo detto: queste infatti (errore trad. it.)
corrispondono al numero dei perché: (1) nelle cose immobili il
perché ultimo (errore nella traduzione italiana p. 219!) si
riconduce all'essenza (to ti estin) (così ad esempio nelle
matematiche, dove il perché ultimo si riconduce alla
definizione della retta, di commensurabile e qualche altra
nozione), (2) oppure al primo motore (es. perché si è
dichiarata la guerra? In risposta a un atto di saccheggio) (3) o
anche allo scopo (al fine di prendere il comando), (4) mentre
nelle cose soggette a divenire il perché è la materia».
(1) Riguardo a tutti i fatti o eventi, un modo per
rispondere alla domanda «perché essi sono come
sono?» è riferirsi alla loro definizione come spiegazione
finale (perché ultimo).
Ora, Aristotele nel passo in analisi ha l'aria di dire che
ciò vale solo per gli enti eterni («immobili» nel senso di
«non soggetti a alcun tipo di mutamento»), ma questo
non può essere vero, perché lo stesso Aristotele pensa
alla causa formale come alla più importante causa
anche in Fisica (lo vedremo tra poco).
I perché della Fisica
I perché della Fisica
• (2) Riguardo agli eventi, un altro modo per
rispondere alla questione «perché essi accadono?» è
invocare una causa efficiente.
• (3) Riguardo agli eventi, un terzo modo per
rispondere alla questione «perché essi accadono?» è
fornirne la spiegazione finale
• (4) Riguardo infine agli enti che soggiacciono al
divenire, un quarto modo per rispondere alla
domanda o «perché essi sono come sono?» o
«perché essi accadono?» è fare riferimento alla loro
materia.
Fisica II, 7, 198a22-31 (p. 219 tr.it.):
"E' chiaro quindi che le cause sono queste e proprio in
questo numero…ma restando immobile".
Il fisico dovrà fornire spiegazioni in riferimento (o
utilizzando) tutte e quattro le cause. Ora, nelle cose
fisiche forma, il motore e il fine coincidono: infatti
l'essenza e il fine si identificano, e il primo motore è
uno in specie con esse, nel caso delle cose che
muovono essendo mosse (e quelle che non sono così
no rientrano nella fisica, poiché muovono senza essere
suscettibili di movimento).
18
29/11/2015
Coincidenza delle cause finale, formale
e motrice
Sappiamo che, negli enti naturali, forma e fine
coincidono:
Es. nell'essere umano la realizzazione della sua forma
coincide con il suo scopo finale.
Inoltre, la causa produttrice di un ente naturale è
l'essenza della cosa stessa presente in un altro membro
della stessa specie.
Es: un essere umano che genera un essere umano e in
generale ogni cosa che muove essendo mossa (come
per esempio la forma della salute nella mente di un
medico che rende il medico causa attiva della
produzione della salute negli altri).
Coincidenza delle cause finale,
formale e motrice
Vedi anche de anima, II 415b8-27:
L’anima sta al corpo come causa nei tre modi
visti (formale, finale e motrice): infatti, quando
una forma è fonte di cambiamento, è fonte di
cambiamento come fine.
La teleologia (Fisica II, 8)
Finalismo nelle azioni
Tra le quattro cause viste, si distingue quella che noi chiamiamo
causa finale, a cui Aristotele si riferisce con una formula
composta dalla preposizione eneka («in-vista») più l’articolo o
pronome relativo al genitivo tou («di-qualche-cosa» o «in-vistadi-cui»): «in-vista-di-cui».
Ora, generalmente la causa finale fornisce una spiegazione che
connette dei comportamenti, che si possono esprimere con
proposizioni. Si possono pensare due proposizioni che hanno
una relazione tale per cui la prima cosa espressa dalla prima
proposizione accade per (allo scopo di) realizzare la seconda cosa
(espressa dalla seconda proposizione). La causa finale è l’unico
caso in cui la causa (realizzazione di uno scopo) segue l’effetto
(mezzi e azioni messi in opera per realizzare la causa).
Es. Ho preso un taxi…non sono in ritardo.
Alla domanda «perché x?» («perché ho preso un
taxi?») rispondo con «allo scopo di y» («allo
scopo di non essere in ritardo»).
Si tratta di una risposta a un perché.
Finalismo nelle azioni
Finalismo nelle azioni
In generale, per spiegare un comportamento determinato si fa
ricorso ai desideri e alle credenze del soggetto del
comportamento. C’è sicuramente uno stretto legame tra
spiegazioni di questo tipo e la formula «allo scopo di».
Es.: «perché hai preso un taxi?»
perché desideravo non arrivare in ritardo + perché credevo che il
taxi fosse il mezzo più rapido per arrivare.
Ma, per Aristotele non c’è una relazione, almeno non nella
trattazione della sua teoria delle quattro cause, tra «allo scopo
di» e desideri e credenze.
Se consideriamo l’esempio di causa finale data
da Aristotele
1) ho passeggiato a causa della mia salute
si potrebbe dire che tale frase corrisponda a
2) ho passeggiato perché volevo diventare sano.
19
29/11/2015
Finalismo nelle azioni
Il finalismo nella natura
Ma per Aristotele, tra le due frasi ci sono delle
differenze:
a) in 1) la causa segue la mia passeggiata, cioè, è la
salute la causa, e io la posso ottenere grazie alla
passeggiata. Si tratta del solo caso in cui la causa
(salute) segue l’effetto (passeggiata). Invece in 2) il mio
desiderio e la mia volontà precedono la mia azione
(voglio diventare sano e quindi passeggio; il mio volere
è causa della passeggiata).
b) ci sono casi in cui le cause non esistono, ma restano
cause: per esempio, ho camminato, non ho ottenuto la
salute, ma la salute resta la causa della mia passeggiata.
Che dire nel caso degli atti intenzionali?
Fino ad ora abbiamo preso esempi di atti umani, che sono
facilmente spiegabili nei termini di desideri, credenze e volontà.
Ma per Aristotele è nella natura nella sua interezza che si trova il
senso primo del finalismo. Per esempio, possiamo individuare
una spiegazione finale a certi comportamenti animali: per
esempio, il ragno tesse la sua tela allo scopo di catturare le
mosche. Questo però non ha nulla a che fare con la volontà i
desideri, le credenze del ragno. Almeno per Aristotele. Quindi,
per il ragno:
i) è vero che tesse la sua tela allo scopo di catturare le mosche
ii) ma è falso che tesse la sua tela perché vuole catturare le
mosche.
Il finalismo nella natura
Il finalismo nella natura
Altri esempi aristotelici: le querce hanno lunghe
radici per (allo scopo di) radicarsi meglio, perché
per esempio all’origine si trovavano in luoghi
particolarmente ventosi.
Aristotele non crede che gli alberi abbiano
desideri e volontà; tuttavia, essi manifestano
(possiamo vedere letteralmente) dei
comportamenti allo scopo di qualche cosa.
Altri esempi, considerati lungamente nelle opere
biologiche di Aristotele: le parti degli animali. Per
esempio, secondo Aristotele, gli animali come noi
possiedono denti aguzzi per lacerare il cibo e piatti per
masticarlo. In tutta una serie di casi comportamentali e
forme naturali, si possono invocare delle spiegazioni finali
che non hanno nulla a che fare con la volontà di animali e
piante in questione. Bisogna poi aggiungere che
Aristotele non crede che nella natura ci sia finalismo
ovunque: per esempio, afferma che ci sono casi di eventi
naturali senza spiegazione finale, per esempio, il colore
degli occhi.
Il finalismo nella natura
Il finalismo nella natura
• Tuttavia Aristotele pensa che la finalità si trovi
in natura quasi ovunque.
• Qual è allora la differenza tra il finalismo
aristotelico e il finalismo diciamo standard ?
Normalmente, quando si parla del finalismo in
natura, si pensa ad una intelligenza (Dio, il
Demiurgo platonico, ecc.) che fabbrica il mondo
come una macchina, in cui ogni pezzo ha la sua
funzione, decisa appunto dal Demiurgo. Questa
per esempio è l’idea di Galeno, celebre medico e
filosofo del II secolo dopo Cristo, che scrive
un’opera per spiegare la funzione di ogni parte,
anche la più piccola, della mano umana.
20
29/11/2015
Il finalismo nella natura
Il finalismo nella natura
Forse Aristotele attribuisce intenzioni di tipo demiurgico, se non
alle creature naturali e a un artigiano che le fabbrica, almeno alla
natura stessa ? Vi sono passi in cui Aristotele parla della natura
come di un artigiano intelligente, ma ce ne sono altri in cui
Aristotele fornendo spiegazioni finalistiche dettagliate (per
esempio, nei suoi scritti biologici), non fa alcun riferimento ai
progetti della natura o alle intenzioni dell’artigiano.
Anzi, dà l’impressione di voler spiegare una serie di
comportamenti e forme naturali senza assolutamente riferirsi a
un disegno generale che governerebbe la natura intera.
Se allora non è possibile spiegare la teleologia aristotelica
nei termini di un piano intenzionale, allora la possiamo
spiegare come una sorta di funzionalismo. In generale, la
maggior parte delle caratteristiche strutturali e
comportamentali degli animali e delle piante ha una
funzione. Tali caratteristiche, cioè, permettono attività
essenziali, o almeno utili, all’organismo vivente. Si pensi
ad esempio alle zampe palmate delle anatre, che
permettono all’anatra di nuotare, sapendo che nuotare è
una parte essenziale della vita di un’anatra.
Il finalismo in natura
Il finalismo in natura
Perché l’anatra è palmipede?
Allo scopo di nuotare.
Queste spiegazioni non hanno nulla a che fare
con gli atti intenzionali: si tratta di una funzione,
e Aristotele vede ovunque nella natura delle
funzioni.
Come vedremo ora nel testo, non bisogna confondere il
funzionalismo aristotelico («allo scopo di») con la teoria
della selezione naturale, che non utilizza spiegazioni
finalistiche ma meccanicistiche: l’idea è che, per
esempio, l’anatra è palmipede a causa di ciò che
precede (i suoi genitori, anch’essi palmipedi) e non a
causa di ciò che segue («allo scopo di nuotare»). Cioè,
l’eredità dell’anatra le permette di sopravvivere, mentre
invece, se il suo organismo non fosse adattato a una
certa attività essenziale per la sua sopravvivenza, non
potrebbe sopravvivere, o vivrebbe con difficoltà.
Fisica II 8, 198b10-16 (p. 223 tr.it.
modificata)
«Bisogna in primo luogo dire perché la natura è una
delle cause in-vista-di-cui, poi come il necessario esiste
nelle cose naturali. Infatti, tutti <i filosofi della natura>
riconducono le cose a questa causa <dicendo che>
siccome il caldo è per natura tale e il freddo tale, ecc.,
ecco che ogni singola realtà esiste e si genera per
necessità; infatti, se essi invocano un’altra causa,
appena la sfiorano la lasciano con tanti saluti—come
colui che parla dell’amore e dell’odio, o l’altro
dell’intelligenza».
Finalismo e necessità
Aristotele pensa che tutto ciò che accade,
accada per necessità, e che questo sia
compatibile con la finalità, e ciò contrariamente
a coloro che, ammettendo la necessità, rifiutano
il finalismo.
21
29/11/2015
Finalismo e necessità
Finalismo e necessità
Quindi Aristotele (a) deve giustificare
l’affermazione secondo cui la natura ha un fine e
(b) deve mostrare in che modo sia coinvolta la
necessità nei fenomeni naturali. Infatti, gli altri
«fisici» riconducono i fenomeni alla necessità,
cioè, spiegano gli eventi naturali come il
risultato necessario di ciò che precede (cioè,
potremmo dire, della materia necessitante).
Es: il caldo è per natura tale; il freddo è per natura tale.
I fenomeni quindi accadono di necessità; e i fisici di
fatto accettano questa teoria, utilizzando molto poco le
altre cause che tuttavia menzionano. Per esempio,
l’amore e l’odio (Empedocle), o l’intelligenza
(Anassagora). Aristotele vuol dire che ci sono dei
predecessori che hanno afferrato la causa finale (o
produttrice), ma senza svilupparla in maniera adeguata.
Nella continuazione del testo troviamo (a), cioè la
giustificazione del finalismo.
Fisica II 8, 198b16-23 (tr. it. p. 223
modificata)
L'aporia
«Ma si presenta una difficoltà, che cosa impedisce alla
natura di agire non in vista di un fine né perché è
meglio, ma come Zeus fa piovere—non per far
aumentare il raccolto ma per necessità? In effetti,
l’evaporazione, essendosi innalzata, deve raffreddarsi e,
essendosi raffreddata e divenuta acqua, deve
discendere; e quando questo capita, ne consegue che il
raccolto aumenta. Ugualmente, se la raccolta si perde
sull’aia, non è in vista di questo scopo che piove (allo
scopo che esso si perda), ma ne risulta».
In questo passo Aristotele presenta una
difficoltà contro la tesi del finalismo in natura. Si
tratta di un argomento in tre tappe, di cui
abbiamo letto la prima:
Prima tappa dell’argomento contro
l'aporia
Prima tappa dell’argomento contro
l'aporia
Aristotele constata che vi sono eventi naturali in cui si
ha a che fare con la necessità e non con il finalismo. Qui
Zeus è menzionato non come causa finale, ma come
causa meccanica. Zeus, afferma Aristotele, non invia la
pioggia per permettere al raccolto di aumentare;
piuttosto, la pioggia segue di necessità dalle condizioni
preesistenti, e l’aumento del raccolto segue di
necessità.
La pioggia dunque, è una spiegazione meccanicista.
Solo dopo la raccolta aumenta. Ma sarebbe stupido
dire che il fine della pioggia è l’aumento del raccolto,
perché la stessa pioggia può far marcire il raccolto, e
sarebbe sciocco dire che il fine della pioggia è far
marcire il raccolto…La spiegazione sarà quindi: piove, e
questo fa aumentare il raccolto (oppure lo distrugge…si
pensi a Platone e a quello che si è detto sulla condicio
sine qua non: le mie gambe mi portano in prigione ma
possono portarmi anche lontano dalla prigione).
22
29/11/2015
Fisica II, 198b23-32 (tr. It. pp. 223225 modificata)
Seconda tappa
«Quindi, cosa impedisce che sia così anche per le parti?
Per esempio, che i denti crescano per necessità, gli
incisivi aguzzi e adatti a lacerare, i molari larghi e atti a
triturare, che non siano stati generati in vista di ciò ma
che si tratti di coincidenza? Ugualmente per le altre
parti dove sembra vi sia l’in-vista-di-cui. Ora, dove tutto
è accaduto come se fosse accaduto in-vista-di-cui in
questi casi le cose sono conservate in quanto esse
possiedono, per caso, una costituzione opportuna,
mentre le cose che non sono tali sono perite e
periscono—come Empedocle dice dei bovini a muso
umano».
Ora, nulla impedisce che questo accada anche in altri casi, per
esempio per le parti dei corpi organici (tipico caso di finalismo
aristotelico). Potrebbe succedere che i denti si producano per
necessità, e che le loro forme funzionali (incisivi per lacerare,
molari per masticare) siano il risultato di una causa precedente.
Gli oppositori di Aristotele potrebbero dire che i molari
«omogeneizzano» il cibo, senza per questo ammettere che essi
siano là a questo scopo. Sarebbe la selezione naturale, dicono gli
avversari, responsabile di certe conformazioni degli animali (es.
che l’oca sia palmipede). In questo modo, gli animali che
possiedono una costituzione appropriata (per caso e per fortuna,
non allo scopo di!) possono sopravvivere, gli altri no.
Fisica II, 8, 198b33-199a8 (tr. it. p.
225 modificata)
Terza tappa
«Ecco un argomento che potrebbe presentare delle difficoltà, e
ce ne sono altri. Ma è impossibile che sia così. In effetti, queste
cose e tutte quelle che esistono per natura, si producono come
sono o sempre o nella maggioranza dei casi, il che non è il caso
per le cose che dipendono dalla fortuna o dal caso: non si crede
che è per fortuna o per coincidenza se spesso piove in inverno,
ma se piove durante la canicola, né se fa caldo durante la
canicola, ma se è così in inverno. Se quindi queste cose accadono
o per coincidenza o in vista di qualche cosa, e se non è possibile
che esse accadano per coincidenza o per caso, esse accadranno
in-vista-di-cui. Ma tutte le cose di questo tipo sono per natura,
anche secondo coloro che sostengono queste tesi. L’in-vista-dicui si trova dunque tra le cose che divengono e sono per
natura».
Terza tappa
Terza premessa:
le cose naturali capitano o per caso (=senza
scopo) o con scopo.
Conclusione:
- le cose naturali accadono con uno scopo
(infatti accadono nella maggior parte dei casi).
Il resto del capitolo (capitolo 8 del secondo libro della
Fisica) contiene una serie di risposte al meccanicismo.
Nel nostro testo ne troviamo una.
Prima premessa:
- le cose naturali si producono sempre o nella maggior
parte dei casi;
Seconda premessa:
- quindi, le cose naturali non si producono per caso (=
senza causa).
Argomento
Forma dell’argomento:
(i) ¬P (le cose naturali non accadono per caso);
(ii) P (le cose naturali accadono per caso)  Q (le
cose naturali accadono con uno scopo);
(iii) quindi Q (le cose naturali accadono con uno
scopo).
23
29/11/2015
Difficoltà dell’argomento
Difficoltà dell’argomento:
i) Aristotele utilizza la formula «per caso» in modo
ambiguo: una volta nel senso di «senza causa» (in (i),
per opposizione a ciò che viene detto nella prima
premessa, e cioè che le cose naturali capitano o sempre
o per lo più, hanno cioè quasi sempre una causa),
un’altra nel senso di «senza uno scopo» (in (ii), quando
dice che le cose accadono o per coincidenza o in vista
di qualche cosa);
ii) la conclusione è troppo forte anche per lo stesso
Aristotele, perché egli non crede che tutte le cose
naturali abbiano uno scopo.
La materia come necessità
ipotetica (Fisica II, 9)
Alessandro di Afrodisia, in Metaph, 187, 8-13, (ed. Hayduck):
«Dopo aver menzionato queste tre cause e aver mostrato sotto
quale aspetto la scienza che conosce ciascuna di esse può essere
filosofia, quella che stiamo cercando, non ha più menzionato la
causa secondo la materia, <implicando> che <la scienza> che
conosce quelle cause in senso proprio è più scienza di quella
della causa materiale; infatti, quelle cause sono <cause> in senso
più proprio e più cause; infatti la materia, nelle cose che da essa
provengono, sembra avere lo statuto di sine qua non».
Un precedente: Platone
Timeo, 68e6-69a5:
«Bisogna distinguere due specie di cause, l’una
necessaria, l’altra divina, e ricercare quella divina in
tutte le cose, al fine di possedere una vita felice, nella
misura in cui la nostra natura lo permette; <e ricercare>
quella necessaria in vista di quelle <le cause divine>,
considerando che, senza le cause necessarie, non è
possibile comprendere né afferrare né cogliere in altra
maniera quelle stesse <le cause divine>».
La materia come necessità
ipotetica (Fisica II, 9)
In un passo tratto dal commento alla Metafisica di Aristotele,
Alessandro di Afrodisia presenta delle affermazioni a prima vista
bizzarre. Nel considerare una delle aporie del libro Beta della
Metafisica, in cui Aristotele si chiede se esista una sola scienza
delle quattro cause, oppure più scienze (una per ogni tipo di
causa), Alessandro, alle prese con questa seconda possibilità,
osserva che Aristotele menziona le scienze rispettivamente della
causa formale, finale, efficiente, ma non considera la possibilità
di una scienza della causa materiale. La spiegazione, secondo
Alessandro, potrebbe essere la seguente:
La materia in Aristotele
Questa osservazione è stupefacente perché qui—
contrariamente ad altri casi—possiamo dire che
Alessandro faccia intervenire Platone per spiegare
Aristotele. In effetti, da una parte Aristotele non dice
mai che la materia sia una condicio sine qua non, ma
piuttosto afferma che essa è causa; d’altra parte,
abbiamo visto che la concezione della materia come
condicio sine qua non, è chiaramente espressa da
Platone nel passo del Fedone analizzato.
Platone
Nel passo del Fedone visto
precedentemente, Platone aveva trattato
la materia semplicemente come condicio
sine qua non.
24
29/11/2015
Platone
Fisica II, 9: la necessità ipotetica
Qui però Platone dice una cosa un po’ diversa.
Egli afferma infatti che la conoscenza delle cause
necessarie (la materia) costituisce per Platone una
tappa indispensabile per quella delle cause intelligenti
(cioè quelle demiurgiche, divine). Ciò che è importante
da sottolineare è che qui la materia non è più solo
identificata come condicio sine qua non (sia della
conoscenza delle cause divine ma anche della
costituzione del mondo) ma anche come causa
ausiliaria.
Aristotele, dal canto suo, pur sostenendo come
si è visto che la materia è causa assieme alle
altre, in Fisica II, 8 sembra situarsi (anche questo
l’abbiamo visto) sulla stessa linea di pensiero di
Platone, difendendo il finalismo contro coloro
(presumibilmente i filosofi della natura) che
ritengono che i processi naturali siano
interamente determinati dalla natura e dalla
capacità degli elementi naturali.
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
La questione viene poi ripresa in Fisica II, 9, in
termini per noi estremamente interessanti.
Per spiegare cosa avviene nei processi naturali
Aristotele, come spesso accade, prende ad
esempio la costruzione di un muro, cioè un
artefatto.
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
Il muro, cioè, si costituirebbe per via della
natura degli elementi con pietre e
fondamenta in basso, terra in alto, legno
ancora più in alto, in ragione della sua
leggerezza.
Di fatto, però, le cose stanno diversamente:
Secondo alcuni, osserva Aristotele, per spiegare
la costruzione di un muro basterebbe fare
affidamento sui suoi elementi materiali «come
se si pensasse che il muro si sia generato di
necessità, perché le cose pesanti si muovono
naturalmente verso il basso, mentre quelle
leggere verso la sommità» (Fisica II, 9, 199b35200a3, p. 233 tr. it. modificata).
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
Fisica II, 9, 200a5-13 (p. 233 tr. it. modificata):
«sebbene <il muro> non venga a esistere senza questi
<elementi>, non lo fa tuttavia a causa di essi, se non
come a causa della materia, ma al fine di salvare e
preservare alcune cose. Ugualmente per le altre cose,
nelle quali si trova l’“in vista di qualche cosa” : <esse
non vengono a esistere> senza le cose che possiedono
la natura necessaria, ma non <lo fanno> a causa di
esse, se non come materia, ma “in vista di”».
25
29/11/2015
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
Continuazione della citazione:
«Per esempio, perché la sega è così?
Precisamente per questo e al fine di questo.
Tuttavia è impossibile che il fine si generi, se la
sega non è di ferro; è necessario quindi che sia
di ferro, se ci sarà la sega e la sua funzione».
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
Nelle righe finali del testo, poi, Aristotele,
facendo l’esempio del ferro della sega, ci
conferma che sta parlando di una necessità
materiale diversa rispetto a quella che ne faceva
una causa, proprio quella della materia intesa
come condicio sine qua non del fine,
quest’ultimo irrealizzabile senza la sua presenza.
Alessandro sembra quindi avere ragione.
La materia in Aristotele: causa o
condicio sine qua non?
Nella prima parte del testo, troviamo l’osservazione
(ripetuta due volte), secondo cui il muro, come tutte le
altre cose “in vista di cui”, non può esistere senza gli
elementi materiali, formulazione che sembra
chiaramente riferirsi alla condicio sine qua non. Quello
che pare chiaro è che non è la materia la vera causa del
muro, ma il suo scopo. Appare altresì chiaro che la
considerazione della materia come condicio sine qua
non, va di pari passo con la sua “debolezza” causale,
subordinata ad un fine.
La soluzione di Simplicio
Nel commento al passo della Fisica che abbiamo considerato
Simplicio adotta la soluzione di Alessandro, che consiste
sostanzialmente nell’individuare la causalità (debole) della
materia nel suo essere condicio sine qua non.
Simplicio, in Phys. 387, 26-28:
«In effetti, le cose che divengono, divengono in vista di un fine,
certamente non senza la materia, salvo che esse non divengono
a causa della materia <come> causa più propria, ma <a causa
della materia come> “quella senza cui”».
La soluzione di Simplicio
Simplicio, pur sottolineando a più riprese la
necessità della materia, subordinata al fine e alla
forma, cerca di conservare il ruolo causale della
materia, proprio identificandolo con il suo
essere condicio sine qua non.
Nel far questo, Simplicio afferma che in questo
modo Aristotele si mostra evidentemente
platonico.
26