Fik Meijer, Un giorno al Colosseo. Il mondo dei gladiatori, Laterza

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Fik Meijer, Un giorno al Colosseo. Il mondo dei gladiatori, Laterza
(collana «Economica Laterza»), Roma-Bari 2006, pp. XVI-237, ill., €
9.00 ISBN 978-88-420-8158-6 (a cura di Vincenzo Blasi)
Eredità dell’antica usanza dei sacrifici umani,
celebrazione in onore dei defunti, appendice delle
guerre di conquista condotte da Roma, imitazione
del militarismo e dell’imperialismo, puro
intrattenimento o valvola di sfogo per il popolo:
quando si parla di spettacoli nell’antica Roma, il
pensiero corre inevitabilmente ai gladiatori e al
Colosseo, anche se prima della costruzione degli
anfiteatri i ludi gladiatorii si svolgevano nel circo o
nel foro. Duelli o combattimenti di massa,
sanguinari e cruenti, che ancora oggi provocano in
chi legge fascino e sconcerto, e negli storici una
certa
difficoltà
nel
fornirne
spiegazioni
soddisfacenti sul perché la cultura romana
concedesse spazio a queste smisurate crudeltà.
Chi erano dunque i gladiatori? Come era
realmente la loro vita quotidiana? E la loro morte? Di essi romanzi e film di successo ci
hanno fornito un’immagine spesso stereotipata che raramente però corrisponde a verità.
In questo saggio, Fik Meijer – professore ordinario di Storia antica all’Università
di Amsterdam e apprezzato autore di opere sull’antichità – cerca di ristabilire la verità
storica e al contempo di fare piazza pulita di luoghi comuni, inesattezze e leggende
intorno all’argomento. E lo fa unendo all’attività accademia il gusto per la divulgazione.
Con l’ausilio di documenti d’epoca e alla luce degli ultimi ritrovamenti
archeologici, ci racconta di una Roma brutale e disumana, e di un luogo, il Colosseo,
dove migliaia di spettatori scrutavano con sadico interesse uomini e bestie feroci che si
scannavano a vicenda. Naturalmente, per il mondo imperiale Romano del I-II secolo
d.C. la violenza era parte della vita di ogni uomo, al punto che le persone non si
sconvolgevano più di tanto davanti a spettacoli estremamente violenti.
Partendo dalle origini, la prima parte del libro traccia una breve storia dei
combattimenti e della figura stessa del gladiatore: la sua provenienza, il reclutamento e
l’addestramento, la tipologia, i costi delle prestazioni, l’aspettativa di vita e persino le
avventure sentimentali. Vi si trovano inoltre notizie sugli anfiteatri più famosi e
frequentati prima della costruzione del Colosseo; le misure di sicurezza e i comfort
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Un giorno al Colosseo
Vincenzo Blasi
offerti agli spettatori, la cattura, il trasporto e l’impiego di animali provenienti da tutti
gli angoli dell’impero.
Nella seconda parte del libro vengono descritti minuziosamente i combattimenti
gladiatorii, dalle prime menzioni a Roma risalenti al 264 a.C., anno d’inizio della prima
guerra punica – durante il funerale dell’ex console Giunio Bruto Pera tre coppie di
gladiatori duellarono fino alla morte al Foro Boario –, fino alla lenta scomparsa
coincidente con l’avvento del cristianesimo e con la crisi che portò al disfacimento
dell’Impero Romano d’Occidente. Le testimonianze dei diversi scrittori greci e romani,
le armi utilizzate nell’antichità e le raffigurazioni dei combattimenti su mosaici,
affreschi, graffiti e bassorilievi: tutto concorre, pagina dopo pagina, a ricreare la realtà e
il clima di questi spettacoli. Nelle pagine finali, l’autore fa anche un breve resoconto
sulle sorti del Colosseo dopo la caduta dell’impero romano e sulla filmografia relativa
all’argomento, soffermandosi in particolare su Spartacus, film del 1960 di Stanley
Kubrick, e su Il gladiatore, film realizzato nel 2000 da Ridley Scott.
Ma cosa era riservato a chi prendeva posto sulle gradinate? Annunciato con tanta
enfasi tramite affissioni murali, il programma di un’intera giornata al Colosseo offriva
ai Romani uno spettacolo ancora più ricco, violento e irresistibile. Dal mattino fino al
tardo pomeriggio migliaia di spettatori eccitati potevano assistere ad alcuni tra i
momenti più crudeli e atroci dei ludi dell’antica Roma. Si cominciava con i selvaggi
combattimenti tra fiere, si alleggeriva lo spettacolo con esibizioni di animali
ammaestrati, quindi ancora violenza con vere e proprie battute di caccia (venationes).
L’arena si trasformava in uno spiazzo di sangue con centinaia di animali morti, ma
appena riprendeva un aspetto più pulito poteva iniziare un nuovo spettacolo.
All’ora di pranzo era previsto un intervallo. Alcuni spettatori abbandonavano
l’anfiteatro per ritornarci nel primo pomeriggio, all’inizio degli altri combattimenti.
Molti invece, per non farsi mancare nulla o per evitare di perdere il posto, rimanevano
seduti a godersi le esecuzioni dei condannati a morte, inframmezzate da brevi gare di
atletica e numeri comici. Chi era cittadino romano veniva processato per mezzo della
spada (ad gladium), mentre i non cittadini e gli schiavi morivano crocifissi, bruciati vivi
o gettati in pasto alle fiere (ad bestias).
Per tenere ancora più vivo l’interesse degli spettatori, gli organizzatori
collocavano spesso le esecuzioni in una cornice mitologica, così i condannati a morte
erano costretti a rappresentare celebri miti che si concludevano con la morte del
protagonista. Qui davanti, la fine dell’inconsolabile Orfeo dilaniato dalle Menadi era
inscenata da un prigioniero che, legato ad una roccia, era assalito da animali feroci. Più
in là, la vittima che impersonava Dedalo veniva depositata, tramite una sorta di gru, nel
recinto di un orso affamato, proprio a richiamare la sorte del leggendario personaggio
privato delle sue ali.
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Nel primo pomeriggio, dopo che tutti gli spettatori avevano ripreso posto, una
processione (pompa) cerimoniale segnava l’inizio del piatto forte del programma: i
combattimenti dei gladiatori.
Provenienti da tutte le province dell’impero romano, prigionieri di guerra o
schiavi condannati a morte per gravi delitti e posti al gradino più basso della scala
sociale, i gladiatori erano reclutati da apposite scuole di proprietà del lanista, e qui
addestrati alla lotta e alla violenza. Venivano poi, a loro volta, suddivisi in categorie,
riconoscibili in base alle armi utilizzate, all’equipaggiamento e alle tecniche di
combattimento.
Anche se la loro condizione era pressoché disperata – tanto da far sembrare la
lotta una pena capitale solo rinviata –, quanto più vincevano, tanto più accrescevano la
loro fama e il compenso. Molti di loro diventavano dei beniamini delle folle,
accendendo la fantasia degli spettatori, proprio come avviene oggi negli stadi con i
calciatori e gli atleti. Anche le donne, come attesta Giovenale, facevano follie per loro.
Non è difficile capire il perché del loro successo. In un certo senso, i protagonisti
di questo sanguinoso reality show riproponevano al pubblico ciò che gli stessi Romani
avevano fatto nel mondo conosciuto e conquistato: combattere all’ultimo sangue. E chi
assisteva alle loro imprese non poteva non riconoscere una grande dignità nel
comportamento. Cicerone ad esempio ne apprezzava la temerarietà e lo sprezzo della
morte, Seneca vedeva nella loro audacia un esempio di saggezza. E il popolo si
divertiva e vi accorreva, come anche i senatori e l'aristocrazia, tant'è che si ebbe, in
diverse parti dell’impero d’Occidente, una vera e propria proliferazione di anfiteatri sul
modello del Colosseo.
La lettura di Meijer è consigliata non solo in ambito specialistico, ma anche, e
soprattutto, a scopo divulgativo. Aneddoti e citazioni, interpretazioni e polemiche,
divagazioni e curiosità si susseguono, regalando all’appassionato di storia romana
qualche ora di puro piacere intellettuale in cui poter immaginare un passato ormai
lontano e ricreare la folla urlante di cinquantamila spettatori seduta sulle gradinate
dell’anfiteatro.
Col tempo anche il valore di questi spettacoli si trasformò. Durante l’età imperiale
erano considerati massima espressione del potere dell'imperatore – che era il
finanziatore e organizzatore delle giornate al Colosseo – e volevano affermare la
grandezza di Roma. In epoca più tarda mutò persino la condizione severa ed arcaica del
gladiatore e la sua reputazione: anche uomini liberi per scelta si “degradarono” al rango
di lottatori e la carriera gladiatoria, per quanto terribile, cominciò ad avere una via
d’uscita: la riconquista della libertà, l’affrancamento da delitti, il ritorno alla dignità.
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