Il Colosseo, meraviglia architettonica del mondo antico, universalmente conosciuto come simbolo di Roma, era denominato dai Romani, “Amphitheatrum Flavium”, dal nome della famiglia imperiale dei Flavi che lo fece edificare. La sua costruzione fu, infatti, iniziata nell’anno 72 d.C., durante il regno dell’imperatore Vespasiano e terminata, dopo solo otto anni di intenso lavoro, da suo figlio Tito nell’anno 80 d.C. L’inaugurazione fu celebrata magnificamente e sontuosamente con giochi e combattimenti che durarono 100 giorni, durante i quali furo- no uccise alcune migliaia di animali feroci. Per capire come mai, in tutto il mondo antico, non fosse stato concepito prima un edificio come l’anfiteatro, con simili caratteristiche planimetriche ed architettoniche, tipicamente romane, bisogna considerare che la passione per questa nuova forma di spettacolo, il combattimento gladiatorio con le fiere, poteva essere soddisfatta solo nel periodo della massima espansione dell’Impero Romano. Infatti, soltanto in seguito alla conquista delle nuove lontane province dell’Asia e dell’Africa è stato possibile, per le popolazioni del mondo latino, conoscere l’aspetto strano, inconsueto e terrificante delle fiere. La loro ferocia, le loro dimensioni e l’agilità dei loro movimenti stimolavano la curiosità ed affascinavano il pubblico che apprezzava sempre di più questo svago emozionante, specie se nel confronto con le belve erano coinvolti uomini coraggiosi. Le prime rappresentazioni collettive vennero organizzate nei circhi, ove le masse di spettatori, affollati sugli spalti, oltre a rischiare la vita per la mancanza di qualsiasi genere di protezione, spesso non riuscivano neppure a vedere , data la distanza, a volte notevole, fra il luogo del combattimento ed i posti sulle gradinate. Infatti il “circo”, era stato concepito per le corse dei cavalli e delle bighe e per le competizioni atletiche, non certo per gare di lotta accentrate in aree circoscritte e limitate. All’inizio del I secolo a.C. la crescente passione per questi spettacoli stimolò gli architetti romani a concepire un tipo di edificio pubblico innovativo. Vale la pena ricordare che il più antico anfiteatro stabile costruito in pietra è quello di Pompei (80 a.C.). L’ubicazione centrale del Colosseo era estremamente funzionale per il suo tempo, considerato che non esistevano mezzi di trasporto e fu resa possibile, soprattutto, a seguito del disastroso incendio del 64 d.C., durante il regno di Nerone. Infatti la città, cresciuta a dismisura e disordinatamente, era ancora in gran parte edificata in legno e manteneva un aspetto primitivo. L’incendio della città si espanse incontrollabile per oltre sette giorni (dal 18 al 25 luglio), devastando soprattutto la parte più antica. Quando il fuoco cessò di bruciare, grandi spazi furono disponibili proprio nel cuore di Roma e questo ha consentito agli urbanisti di ridisegnare il centro cittadino con criteri finalmente moderni. La responsabilità di questo immane disastro è attribuita alla volontà di Nerone che, secondo gli storici, intendeva realizzare la totale ricostruzione della capitale del suo impero. Infatti è probabile che la “Domus Aurea”, incredibile e grandiosa residenza imperiale che occupava tutta questa vasta zona prima che il Colosseo fosse edificato, sia stata concepita ben prima dell'incendio. Morto Nerone (68 d.C.) e salito al potere Vespasiano l’anno successivo, ha finalmente inizio una grande opera di ricostruzione che trasformerà Roma in “Caput Mundi”, la straordinaria capitale del mondo antico. La “Domus Aurea” neroniana, appena terminata sulle pendici del Colle Oppio, viene distrutta per cancellare qualsiasi testimonianza del suo ideatore e, mentre si lavora intensamente per ricostruire le abitazioni civili, in mattoni, più durature ed igieniche delle precedenti, si pianifica con grande audacia la costruzione del più grande anfiteatro del mondo. Il luogo ideale ove costruirlo è l’alveo del grande lago artificiale della “Domus Aurea” (stagnum neronis) che, oltre a dare all’immenso edificio la necessaria centralità nel tessuto urbano, ne facilita l’esecuzione degli scavi per le fondamenta. L’opera fu iniziata nel 72 d.C. seguendo i piani elaborati da un geniale e sconosciuto architetto il cui progetto risponde in tutto e per tutto alle esigenze del suo impiego. Si pensi al numero degli spettatori, oltre 60.000 secondo alcuni studiosi, ai quali dovevano essere facilitati al massimo sia l’ingresso che l’uscita, assicurando la migliore visuale possibile da ogni ordine di posti, anche nei piani alti, oltre a servizi igienici e di ristoro, indispensabili perché durante la buona stagione gli spettacoli si prolungavano per giornate intere. Inoltre, come tutti gli anfiteatri, era dotato del “Velarium”, una copertura mobile che proteggeva gli spettatori dai cocenti raggi del sole. Della sua esistenza non vi è alcun dubbio dato che, oltre a numerose fonti letterarie ed iscrizioni ritrovate sui muri di Pompei che ne danno testimonianza, è visibile un famoso affresco dell’anfiteatro pompeiano in cui l’immagine della straordinaria attrezzatura è chiaramente enfatizzata. Nel corso dei secoli, con l’avvento del Cristianesimo e la progressiva decadenza dell’Impero Romano, l’attività dell’anfiteatro andò gradualmente scemando ed il glorioso monumento si ritrovò, nel Medio Evo, al centro di una metropoli spopolata ed in rovina. Cominciò così a subire continue, pesanti spoliazioni da parte dei barbari invasori e degli stessi abitanti. A seguito del disastroso terremoto che squassò Roma nel settembre del 1349, crollò una notevole parte dei muri e degli archi esterni di sostegno; i blocchi di travertino che formavano l’ossatura primaria dell’edificio furono asportati in grande quantità ed utilizzati per la ricostruzione degli edifici abbattuti. Poco a poco il Colosseo, ormai completamente abbandonato, fu prima trasformato in fortezza contro le invasioni barbariche e, successivamente, in cava quasi inesauribile di materiali. Di fronte a tanto degrado, il Papa Sisto V pensò di abbatterlo definitivamente ma poi, per fortuna, preferì inserirlo nell’itinerario delle Basiliche. Il saccheggio sistematico ha avuto termine nel XVIII secolo, quando il Papa Benedetto XIV (1740-1758) decise di dedicare l’Anfiteatro Flavio alla passione di Cristo e fece erigere il crocifisso che svetta nella parte centrale dell’edificio, a lato dell’arena. A dispetto di tutti questi eventi tragici, ciò che rimane di questa meraviglia dell’architettura romana è tale che ci permette di capire con quale spirito il venerabile Beda, vissuto nell’VIII sec.d.C., abbia pronunciato la famosa profezia “Quamdiu stabit Colyseus, stabit et Roma; quando cadet Colyseus, cadet et Roma; quando cadet Roma, cadet et mundus”, cioè “Finchè esisterà il Colosseo esisterà Roma; quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma; quando cadrà Roma cadrà anche il mondo”. Quale sia stata l’origine del cambiamento del nome antico “Anfiteatro Flavio” in “Colosseo” ed il preciso momento storico in cui ciò sia avvenuto non è possibile determinare con esattezza. I primi documenti in nostro possesso nei quali il monumento viene menzionato alternativamente con i due nomi o semplicemente con l’altisonante soprannome “Colos- seum” risalgono all’VIII sec. d. C.. A parte la profezia del venerabile Beda, altri scritti del medesimo periodo testimoniano l’uso di questo nome, è, quindi, ipotizzabile che già da anni fosse entrato nell’uso comune popolare. Ma da dove proviene? Le teorie elaborate dagli studiosi sono basate sull’etimologia del termine “colossus” o “xolossòs” dal greco, quindi, verosimilmente, la spiegazione può risalire alla grandiosità colossale dell’edificio oppure alla vicinanza di una statua gigantesca (alta circa 50 metri) che Nerone aveva fatto erigere a sua gloria e che, sopravvissuta alla distruzione della Domus Aurea, si era venuta a trovare lì accanto, trasformata in effige del Dio Sole, finendo distrutta dai barbari che misero Roma a ferro e fuoco. Il solo modello architettonico del passato a cui gli ingegneri romani potessero far riferimento era il teatro greco, nel quale la verticalizzazione dell’edificio, necessaria per raggruppare il maggior numero di spettatori in prossimità della scena, era ottenuta sfruttando il declivio naturale delle colline a cui veniva addossato. Ed è stupefacente la genialità con la quale i progettisti, consapevoli delle enormi possibilità edilizie, acquisite nel corso dei secoli grazie alla costante evoluzione delle tecniche costruttive ( archi e volte ) e della tecnologia, favorita da rivoluzionari e pratici materiali da costruzione (i laterizi ), concepiscono un nuovo edificio a sviluppo verticale: unendo le strutture portanti di due teatri dal lato della scena (da qui l’origine del nome “amphitheatron”), creano un nuovo edificio a tutto tondo che risponde pienamente alla necessità pratica di raggruppare una grande massa di spettatori intorno ad una arena, limitata nello spazio, ove accentrare lo svolgimento dello spettacolo. Il numero degli anfiteatri più o meno grandi edificati nelle varie province dell’Impero è notevole e testimonia quanto popolari e diffusi fossero questi spettacoli, soprattutto nel periodo che va dal I° a parte del III° sec. d.C. La forma del Colosseo in pianta è un ovale poco allungato con il rapporto di 1,22 fra asse maggiore ed asse minore, media adottata dagli architetti romani per dare agli anfiteatri la migliore visibilità. Le dimensioni esterne sono di m. 190,25 di lunghezza per m. 157,50 di larghezza, mentre l’altezza dal piano stradale è di m. 50. Tutt’intorno al Colosseo si trova un’area lastricata con travertino dell’ampiezza di m.17,60, al cui limite esterno erano dislocati 160 cippi, costituiti da un unico blocco di travertino (m. 1,75 x 0,76 x 0,60), di cui ne sono rimasti solo cinque nella zona Est. Il numero totale dei cippi, perfettamente allineati, è desunto dalla distanza, costante, di m. 3,40 l’uno dall’altro. Con molta probabilità costituivano il punto di ancoraggio e di manovra delle corde del Velarium, una delle più straordinarie dotazioni dell’anfiteatro. La facciata esterna dell’edificio, sopraelevata dal livello stradale da tre ampi gradini, è composta di quattro parti ben distinte che si sviluppano con armonia l’una sull’altra. Le prime tre file di ampie arcate, decorate sui pilastri di sostegno con mezze colonne di ordini architettonici susseguenti, dorico, ionico e corinzio, creano un incredibile senso di leggerezza, perché il vuoto prevale sul pieno. Alla sommità di ciascun arco del livello stradale sono scolpiti nel travertino i numeri degli ingressi, che rivelano l’esistenza di “tesserae”(biglietti), necessari per la distribuzione degli spettatori nei diversi settori di posti. La quarta parte della facciata, “l’attico”, a tutto pieno e delimitato da due cornicioni, è alleggerito da un ritmato susseguirsi di “paraste”(pilastri sporgenti) corinzie, alternate da grandi medaglioni di bronzo, tutti trafugati nel medio evo, e da finestroni che servivano a dare luce ai passaggi interni, dietro le gradinate. Inoltre, ben visibili nella parte conservata della facciata, la serie continua e la decorazione del vasellame greco e etrusco conferma tale consuetudine. Con il trascorrere dei secoli questo cerimoniale, una delle più cruente usanze antiche, si è trasformato poco a poco in una competizione atletica spettacolare, suscitando interesse ed entusiasmo dei cittadini di ogni censo e cultura. I “ludi” potevano essere pubblici, voluti dalle autorità di Stato per celebrare avvenimenti particolari, oppure organizzati da un privato, previa autorizzazione del Senato. A parte alcune giornate nei mesi invernali, i periodi più ricchi di spettacoli erano primavera, estate (salvo il mese di agosto che era dedicato alle ferie) e autunno. Le lotte con le belve erano molto cruente ed emozionanti perché vi erano coinvolti numerosi animali di razze diverse che, eccitati e spaventati dal fragore della folla, attaccavano inferociti, emettendo versi impressionanti. Naturalmente questi spettacoli esigevano un’enorme organizzazione e comportavano costi altissimi. Immaginiamo le difficoltà per catturare le fiere in Africa e in Asia, per trasportarle fino a destinazione e ripartirle nei numerosi “vivaria” dislocati nelle province dell’Impero, attrezzati per accogliere e mantenere centinaia fra elefanti, tigri indiane, rinoceronti, ippopotami, leoni, pantere, giraffe, leopardi, bufali, orsi, coccodrilli, cervi, struzzi ecc.. Prendono il nome dalla corta spada, il gladio, che adoperavano nei combattimenti. La caserma dove vivevano si chiamava “Ludus gladiatorius”. I gladiatori erano raggruppati in scuole chiamate “Familiae” ove apprendevano le varie tecniche di lotta e curavano la loro preparazione atletica sotto la guida di esperti maestri: i “lanistae”,veterani sopravvissuti a cento battaglie, che insegnavano ai giovani i trucchi del mestiere e le tecniche di combattimento. La maggior parte dei combattenti era composta da schiavi o da condannati per reati comuni ma non mancavano uomini liberi che, rischiando la vita, cercavano di conquistare il successo con questa rischiosa professione che permetteva di arrivare ai vertici della notorietà. La popolarità dei campioni era davvero enorme: il pubblico li seguiva con una passione pari a quella che oggi è rivolta ai beniamini del calcio. Nei mosaici del II e del III secolo d.C. a lato delle figure dei gladiatori è scritto il soprannome di ciascuno, familiarmente attribuito dai sostenitori per sottolineare il carattere o la fisionomia della persona oppure il suo modo di combattere (licensiosus, callimorius, cupido, baccibus etc.). I gladiatori si addestravano all’uso di armi diverse che comportavano differenti tecniche di assalto o di difesa. A seconda del tipo di armamento erano chiamati con nomi distinti: Cetervari, Secutores, Reziari, Mirmillones, Traces. A Roma vi erano quattro scuole: Ludus Matutinus, Ludus Gallicus, Ludus Dacicus e Ludus Magnus, di quest’ultima sono stati ritrovati resti archeologici nei pressi del lato nord del Colosseo. Il primo spettacolo gladiatorio di cui si ha notizia risale al 264 a. C. Nel 327 d. C. l’imperatore Costantino, convertitosi al Cristianesimo, li proibì. Da allora sopravvissero in semi-clandestinità fino al VI° secolo, epoca di Teodorico. PER VISITARE IL COLOSSEO Orario: 9-1h prima del tramonto Ingresso:e 8,00 (biglietto valido anche per il Palatino) Visite didattiche per singoli e, su prenotazione, per gruppi Informazioni e prenotazioni: tel. 0639967700 Sono disponibili audioguide Dalla Stazione Termini: Metro linea B – Colosseo oppure bus n. 75 . E' vietata la riproduzione non autorizzata, parziale o totale, di testo ed immagini. DISTRIBUZIONE GRATUITA Stampa: C.S.R. Roma Grafica: Marco Filippetti Dato il grandissimo interesse che i “Ludi” ebbero nel mondo romano, è naturale che molti degli antichi scrittori latini abbiano loro riservato una grande parte nelle opere letterarie che ci hanno lasciato. Queste numerose testimonianze ci danno la possibilità di comprendere l’origine e l’evoluzione di questi spettacoli nel corso dei secoli. A volte potrebbe sembrare che alcune delle informazioni riportate siano contraddittorie ma dobbiamo tener conto delle epoche diverse in cui vivevano gli scrittori e, quindi, le discordanze che si possono riscontrare nei loro testi sono dovute all’evoluzione nel tempo degli spettacoli. Generalmente la derivazione dei giochi, o celebrazioni, ha sempre avuto un substrato religioso, propiziatorio o commemorativo, quindi il loro evolversi nel tempo ha avuto variazioni fondamentali, sia come significato che come svolgimento. I “Ludi” potevano essere di quattro tipi e venivano indicati distintamente come “teatrali”, “circensi”, “atletici” e “venatori”. Questi ultimi, che si svolgevano negli anfiteatri, comprendevano le lotte dei gladiatori, chiamate “munera” e le cacce con animali feroci, le “venationes”, ed erano i più richiesti ed apprezzati dai romani, dopo le corse dei carri e dei cavalli nel circo. La passione per le lotte gladiatorie ha origine antichissima e alcuni studiosi vogliono farle risalire all’abitudine funeraria di sacrificare vittime umane, schiavi o prigionieri di guerra, sulle tombe di defunti illustri. Infatti, oltre alle descrizioni di tali cerimonie nei poemi omerici, anche Illustrazioni: Ilaria Vescovo Il resto dell’edificio è costituito da serie di archi, volte digradanti e muri intermedi, sia in mattoni che in blocchi di tufo e calcestruzzo, conformemente alle esigenze tecniche, in collegamento con le parti di sostegno. Tutto ciò allo scopo di creare i pendii su cui costruire le gradinate in marmo, le zone di rispetto e di transito, le scale di accesso e per determinare la separazione netta fra i quattro settori, dei quali l’ultimo in alto era costruito tutto in legno per diminuire la pressione esercitata sul muro perimetrale esterno. Ancora oggi, nella parte meglio conservata, si vedono chiaramente i fori quadrati ove erano inserite le travi di sostegno. L’arena di m.79 di lunghezza e m. 46 di larghezza, era contornata da un passaggio protetto largo m.2,50, delimitato da una serie di travi poste verticalmente a sostenere una rete metallica; gli insediamenti per le travi sono ancora visibili al livello sottostante l’arena. Questa zona protetta serviva quasi certamente agli inservienti che potevano così ripararsi nel corso dei combattimenti. Tutte le mura al centro, ravvicinate nello spazio, sostenevano il solido tavolato dell’arena che si poteva facilmente aprire per arieggiare la zona sottostante. Durante le rappresentazioni, gli uomini addetti alle manovre, a mezzo di argani, pulegge, ascensori e piani inclinati disponibili nel sottosuolo, erano in grado di fornire i materiali per la costruzione degli scenari e di far affluire le fiere nell’arena per i combattimenti. Testo: Enzo Manzione ritmata di mensole corrispondenti ai buchi quadrati del cornicione terminale. Queste indicano con certezza dove erano inserite le 240 grosse travi di legno che sostenevano l’impianto del Velario. La struttura interna del Colosseo è formata da sei grossi muri concentrici e digradanti, affondati nell’ovale di calcestruzzo che contorna lo spazio dell’arena. Questa è l’ossatura di tutto l’edificio e può essere considerata equivalente allo scheletro di cemento armato degli edifici moderni; era costituita da muri con arcate costruiti con grossi blocchi di travertino, posti uno sull’altro senza alcuna malta di coesione. La serie ininterrotta di arcate, che formano i muri concentrici a sviluppo ovoidale, equilibra e scarica l’enorme peso strutturale complessivo di tutto l’anfiteatro sui grossi pilastri quadrangolari di travertino. Nel marmo di pilastri e arcate di travertino si notano frequentemente dei buchi irregolari situati al punto di unione fra i blocchi. Questi sono stati praticati nel periodo medievale allo scopo di asportare i numerosi e preziosi perni di bronzo che erano saldati verticalmente ai blocchi sottostanti con una notevole quantità di piombo, colato in coppe scolpite nella pietra. La tecnica di inserire questi perni quadrangolari di bronzo fra i blocchi, era il più avanzato sistema antisismico sviluppato dai Romani, in virtù del piombo che, colato in notevole quantità intorno alla base dei perni, esercitava un’essenziale funzione di ammortizzatore delle scosse. 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