SCIENTIFICO Aggiornamento Gli anticorpi monoclonali in terapia di Marco Racchi Dipartimento di Farmacologia Sperimentale ed Applicata Università di Pavia L Cosa sono gli anticorpi Gli anticorpi sono proteine che vengono prodotte dai linfociti B in seguito ad uno stimolo antige- nico derivante dal riconoscimento della presenza di un elemento estraneo all’organismo, da parte del sistema immunitario. Essi hanno una struttura complessa costituita da quattro catene polipeptidiche: due catene leggere identiche (a basso peso molecolare) e due pesanti ad alto peso molecolare. Agli estremi delle catene leggera e pesante vi sono delle regioni cosiddette “variabili”, che grazie alla loro struttura sono in grado di riconoscere l’antigene specifico (Figura 1). E’ stato calcolato che i linfociti B hanno la possibilità teorica di produrre 108 diversi anticorpi. La porzione costante dell’anticorpo determina la classe dell’anticorpo e le sue funzioni fisiologiche. Gli anticorpi appartengono alla classe di proteine dette “immunoglobuline” di cui esistono 5 nuovo Collegamento marzo 2007 51 e Biotecnologie moderne hanno avuto un notevole sviluppo nell’ultimo trentennio e uno dei maggiori campi di intervento è stato nel settore medico e nello sviluppo dei farmaci. Tra questi, si può considerare una pietra miliare la descrizione, da parte di Köhler e Milstein (1975) del metodo per l’ottenimento di anticorpi monoclonali. Già dalla prima descrizione del metodo apparve chiaro il potenziale di questa tecnica ai fini della produzione di anticorpi con attività terapeutica e di interesse per la ricerca diagnostica. SCIENTIFICO Aggiornamento nuovo Collegamento marzo 2007 52 classi distinte secondo struttura e funzioni nel contesto della risposta immunitaria dell’organismo. Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi prodotti da un singolo “clone”, cioè da una popolazione cellulare geneticamente identica perché derivata da un’unica cellula madre e riconoscono una sola struttura antigenica. Come si producono gli anticorpi monoclonali La tecnologia descritta da Köhler e Milstein è, almeno nella teoria, molto semplice. In un animale da laboratorio, normalmente un topo, si induce la risposta immunitaria verso un antigene specifico, somministrando lo stesso antigene agli animali. Una volta verificata l’avvenuta stimolazione della risposta immunitaria, vengono prelevati i linfociti B del topo immunizzato e queste cellule vengono poste in coltura con cellule derivanti da un tumore del sangue murino (un mieloma), non producente anticorpi. Le condizioni di coltura sono tali da favorire la fusione tra i linfociti e le cellule di mieloma. Inoltre il terreno di coltura è appositamente modificato così che solo le cellule derivanti dalla fusione di una cellula di mieloma e un linfocita B, chiamate “ibridomi”, sono in grado di sopravvivere, in quanto i soli linfociti non possono proliferare in assenza di stimoli antigenici e le cellule tumorali non proliferano in modo indipendente poichè sono deficitarie di alcuni enzimi per la sintesi delle basi nucleotidiche del DNA. Gli ibridomi mantengono quindi, da un lato la capacità, propria dei linfociti, di produrre anticorpi specifici, dall’altro assumono dal mieloma la proprietà, tipica di tutte le cellule tumorali, di dividersi pres- soché infinitamente. Con questa tecnica quindi, da un unico clone specifico si possono produrre elevate quantità dell’anticorpo. Le prime applicazioni e l’evoluzione tecnica Le prime applicazioni terapeutiche degli anticorpi monoclonali sono state fatte con anticorpi di derivazione murina. L’efficacia di questi anticorpi è risultata limitata da una serie di fattori fisiologici tra cui la inefficace funzione di riconoscimento reciproco tra l’anticorpo murino e il corrispondente recettore umano, una ridotta emivita e soprattutto lo sviluppo della risposta anticorpale umana contro gli anticorpi murini (human anti mouse antibodies HAMA), in quanto riconosciuti come estranei dal sistema immunitario. Quest’ultima è stata giudicata il maggiore ostacolo all’utilizzo degli anticorpi monoclonali in terapia, tuttavia si è riusciti ad aggirare questo problema grazie allo sfruttamento della tecnologia del DNA ricombinante che ha permesso di generare anticorpi costituiti dalla regione variabile STRUTTURE DI ANTICORPI MONOCLONALI Figura 1 Nella figura sono schematizzate le strutture di anticorpi monoclonali utilizzabili in terapia. Sono indicate soprattutto le differenze di struttura tra anticorpi murini/umani e gli anticorpi chimerici e umanizzati. Gli anticorpi chimerici sono ottenuti accoppiando le regioni variabili e di legame all’antigene derivanti dal gene murino con le regioni costanti di origine umana. Negli anticorpi umanizzati invece, le regioni di legame all’antigene di origine murina sono impiantate su una struttura interamente umana attraverso l’ingegnerizzazione (con la tecnica del DNA ricombinante) dei geni codificanti per le catene leggere e per le catene pesanti delle immunoglobuline. Gli anticorpi umani sono ottenibili attraverso la tecnica del “phage dysplay” oppure possono essere prodotti da topi transgenici che esprimono i geni delle immunoglobuline umane al posto di quelli delle immunoglobuline murine Il campo di impiego in ambito terapeutico e diagnostico è, almeno teoricamente vastissimo. Principalmente a scopo diagnostico, gli anticorpi monoclonali, grazie alla selettività di legame antigene-anticorpo, vengono utilizzati per la ricerca e la misurazione delle concentrazioni ematiche di numerose sostanze siano esse di rilevanza fisiologica o patologica. Gli anticorpi monoclonali sono abitualmente utilizzati per la determinazione di antigeni relativi alla presenza di agenti infettivi, per antigeni specifici di tessuti tumorali solidi e per lo studio di leucemie e linfomi; per lo studio e la rilevazione di antigeni coinvolti nelle patologie autoimmuni, nel diabete, nelle collagenopatie e nelle miopatie. Per quel che riguarda gli usi in terapia la specificità degli anticorpi monoclonali potrebbe prevedere un utilizzo molto esteso di queste molecole. Tuttavia in terapia non sono moltissimi i pro- Alcuni anticorpi monoclonali in uso terapeutico Le strategie terapeutiche con applicazione di anticorpi monoclonali che hanno ottenuto il maggior interesse e i maggiori successi sono dirette all’inibizione dell’attivazione della risposta immunitaria nel trapianto di organi, nella terapia antitumorale e nella terapia antivirale. Faremo ora alcuni brevi esempi di farmaci a base di anticorpi monoclonali attualmente approvati e utilizzati. Inibizione della reattività immunitaria nel trapianto d’organi Nel 1985 venne approvato per l’uso terapeutico il primo anticorpo monoclonale, noto con il nome di OKT3 (muromonab CD3), un anticorpo murino impiegato come immunosoppressore anti rigetto nel trapianto del rene, oggi la sua indicazione è limitata ai casi di rigetto resistente all’immunosoppressione con steroidi. L’anticorpo agisce contro una molecola (CD3) presente sulla membrana dei linfociti T e bloccando le funzioni impedisce di fatto l’attivazione della risposta immunitara. Cercando di svilup- SCIENTIFICO influenzali come febbre, brividi, mal di testa, dolori muscolari e articolari, nausea, vomito, spossatezza, che si manifestano poco dopo la somministrazione del farmaco e scompaiono dopo pochi giorni e che possono essere controllati con anti-infiammatori. Si possono avere inoltre reazioni allergiche tipicamente caratterizzate da eruzioni cutanee e prurito. Nelle prime fasi del trattamento potrebbe verificarsi una temporanea riduzione dei globuli bianchi, con conseguente maggiore esposizione al rischio di infezione. Aggiornamento Applicazioni in campo medico dotti che hanno superato con efficacia il vaglio della sperimentazione clinica. L’efficacia terapeutica degli anticorpi monoclonali dipende infatti da diverse variabili, quali le caratteristiche dell’antigene, le sue funzioni e la sua densità a livello cellulare. Non è possibile dimenticare le caratteristiche intrinseche dell’anticorpo stesso tra cui l’affinità per l’antigene fra le più importanti. Occorre sottolineare che spesso il meccanismo attraverso il quale l’anticorpo monoclonale esercita la sua attività, non è completamente noto. Tra i meccanismi postulati, il blocco della funzione dell’antigene per ingombro sterico, la citotossicità verso la cellula bersaglio attraverso meccanismi mediati dall’attivazione attraverso la via classica del complemento, o anche una fine modulazione delle funzioni di trasduzione del segnale dell’antigene stesso. In aggiunta a quanto precedentemente citato un’ulteriore applicazione prevede l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale come veicolante di una molecola in grado di sostenere un meccanismo citotossico (specialmente nelle applicazioni oncologiche). L’agente citotossico associato all’anticorpo è spesso una tossina catalitica, un agente chemioterapico o un radioisotopo. Il trattamento con anticorpi monoclonali può essere effettuato in forme e regimi terapeutici diversi. Per esempio l’anticorpo può essere somministrato come monoterapia, tuttavia esistono schemi di trattamento che prevedono la somministrazione dell’anticorpo in associazione ad una chemioterapia. La forma di somministrazione più comune è quella per infusione endovenosa. I tipici eventi avversi riscontrabili durante la somministrazione di anticorpi monoclonali comprendono sintomi simil 53 nuovo Collegamento marzo 2007 murina e dalla regione costante umana, cosiddetti anticorpi “chimerici”. Queste modificazioni si sono ulteriormente evolute fino ad ottenere anticorpi in cui la proteina murina è rappresentata solo in quelle parti dell’anticorpo che interagiscono con l’antigene (regione ipervariabile) mentre il resto della immunoglobulina è umano, in questo caso si parla di anticorpi “umanizzati”. Inoltre, grazie alle tecnologie disponibili per la creazione di animali transgenici, l’informazione genetica per la sintesi di immunoglobuline umane è stata trasferita in un topo creando pertanto un animale che produce (dopo esposizione ad un antigene) degli anticorpi identici a quelli umani (Figura 1). SCIENTIFICO Aggiornamento nuovo Collegamento marzo 2007 54 pare molecole con maggiore specificità sono stati ottenuti due anticorpi, uno chimerico (Basiliximab) e uno umanizzato (Daclizumab) che hanno come bersaglio il recettore per interleuchina 2 (CD25), citochina fondamentale per l’espansione clonale dei linfociti T. Il primo agisce legandosi in modo specifico, all'antigene CD25 sui linfociti T attivati e impedisce il legame del recettore con l’interleuchina-2, bloccando quindi un segnale di proliferazione per i linfociti stessi. Daclizumab agisce sostanzialmente nello stesso modo legando con elevata affinità la subunità alfa del recettore di interleuchina 2, inibendo il legame e l’attività biologica della citochina. Trattamento delle patologie autoimmuni L’uso di anticorpi monoclonali è stato studiato anche per patologie che comprendono l’aberrante attivazione del sistema immunitario contro antigeni propri dell’organismo. I migliori risultati clinici sono stati ottenuti individuando come bersaglio il fattore di necrosi tumorale o TNF (tumor necrosis factor). Questa è una citochina che possiede un ampio spettro di attività biologiche tra le quali la regolazione di alcune importanti citochine e mediatori dell’infiammazione, in particolare nelle patologie come l’artrite reumatoide e il morbo di Crohn. Infliximab è un anticorpo chimerico con elevata affinità di legame nei confronti della forma solubile e transmembrana del recettore per il TNFalfa. Nel trattamento della artrite reumatoide Infliximab permette la riduzione dell'infiltrazione delle cellule infiammatorie nelle articolazioni dei pazienti. Allo stesso modo nei pazienti con morbo di Crohn trattati con Infliximab è possibile osservare diminuzione della concentrazione sierica di marcatori dell’infiammazione e una riduzione dell’infiltrazione di cellule dell'infiammazione nelle aree dell'intestino coinvolte. Trattamento oncologico Gli anticorpi monoclonali sono spesso utilizzati nei regimi terapeutici antitumorali. Alcune realtà promettenti fanno parte del bagaglio a disposizione degli oncologi. Il rituximab è uno dei primi approvati per il trattamento del cancro; è un anticorpo che si lega in modo specifico all’antigene CD20 che, presente sui linfociti B, è espresso nei linfomi non-Hodgkin a cellule B. L’antigene è espresso sulle cellule normali e sulle cellule tumorali ma non è espresso sulle cellule staminali che andranno a rigenerare il patrimonio di cellule B del paziente dopo che il farmaco avrà indotto la distruzione delle cellule esprimenti CD20. Alemtuzumab è invece un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro una glicoproteina della superficie dei linfociti denominata CD52. Alemtuzumab viene impiegato per il trattamento di pazienti affetti da leucemia linfocitaria cronica (LLC). L’indicazione attuale è per pazienti che hanno già ricevuto cicli di chemioterapia con agenti alchilanti e che presentano recidiva della malattia o che non hanno risposto ad altri trattamenti chemioterapici. Un’altra importante strategia antitumorale è quella di interagire con recettori per fattori di crescita importanti per le cellule tumorali. Su questa strategia si basa l’anticorpo trastuzumab, un anticorpo umanizzato diretto contro il dominio extracellulare del recettore HER2 e utilizzato principalmente nel trattamento del tumore alla mammella, da solo o in combinazione con altri farmaci citostatici. Terapie antitrombotiche e terapie antivirali I due ultimi anticorpi che verranno qui citati sono lo abcximab e palivizumab rispettivamente utilizzati nel trattamento delle complicazioni ischemiche in pazienti a rischio, sottoposti ad angioplastica e nel trattamento delle infezioni provocate dal virus respiratorio sinciziale (RSV) in bambini nati prematuri, Abcximab è un anticorpo monoclonale chimerico (un suo frammento) diretto contro il recettore glicoproteico IIb/IIIa a livello delle piastrine. Il trattamento con abcximab consente l’inibizione dell’aggregazione piastrinica prevenendo l’interazione tra fibrinogeno e altri fattori pro aggreganti e la membrana piastrinica. Palivizumab è invece un anticorpo umanizzato diretto contro un epitopo del virus respiratorio sinciziale (RSV). L’anticorpo ha una potente attività neutralizzante nei confronti del meccanismo di fusione di diversi ceppi di RSV. Commenti conclusivi A chiusura di questo breve escursus nel mondo degli anticorpi monoclonali va detto che le grandi potenzialità di questi agenti terapeutici e diagnostici, sono ancora in fervente fase di sviluppo. Tra questi gli sviluppi diagnostici nel campo dei tumori sono da segnalare come tra i più interessanti con anticorpi in uso per l’individuazione del carcinoma ovarico, del melanoma, del cancro al colon. Uno dei punti non ancora completamente risolti, ma per ovvie ragioni, è quello della sicurezza e del costo/beneficio dell’uso a lungo termine di queste molecole. Col tempo questi ultimi studi daranno ulteriore impulso all’ottimizzazione della produzione e utilizzo degli anticorpi monoclonali nella pratica clinica.