www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti IL FASCISMO Dopo la prima guerra mondiale Dopo la Prima Guerra Mondiale il presidente Wilson chiede agli italiani di ridimensionare le richieste di guerra. Nonostante le manifestazioni, campagne di stampa legata alla vittoria mutilata la delegazione è costretta a tornare alle trattative. Il governo Orlando ha fatto una pessima figura, e si dimette a metà di giugno del 1919. Diventa capo del governo Nitti, di sinistra. È di formazione un economista, era poco politico. Si trova ad affrontare il malcontento dell'opinione pubblica borghese, le richieste dei nazionalisti e deve fronteggiare le smanie di protagonismo di qualche velleitario intellettuale italiano come D'Annunzio. D'Annunzio occupa la città di Fiume nel settembre 1919 e il capo del governo deplora a parole l'impresa, anche se fa poco per farla rientrare. Consapevole di non riuscire a gestire la situazione si dimette, e sullo scenario non si sa chi trovare per sostituirlo. Si recupera il vecchio Giolitti che comunque ha molta esperienza. Nel novembre 1920 Giolitti firma il trattato di Rapallo per la quale la Jugoslavia ottiene la Dalmazia, l'Italia ottiene Istria e la città di Fiume diviene città libera. Situazione economica e sociale Al di là degli esiti insoddisfacenti delle trattative di pace, al di là del tema della vittoria mutilata strumentalizzata dai nazionalisti, l'Italia deve fare i conti come l'intera Europa con le conseguenze economiche e sociali della guerra. Particolarmente pesanti sono queste condizioni per uno stato giovane e fragile come quello italiano. 650.000 caduti, quasi mezzo milione di invalidi che vanno a colpire la fascia giovane. Circa un milione di giovani impossibilitati di lavorare su 36 milioni sono una percentuale altissima della popolazione. Sostenere la guerra per il nostro paese era stato difficile: il debito pubblico era passato dal 14 miliardi di lire a 95 miliardi. La lira, alla luce di questo debito, vale davvero poco e questo porta all'inflazione. Ciò ha ripercussioni sociali davvero macroscopiche sui ceti che erano l'ossatura portante dello stato italiano, quindi i piccoli proprietari terrieri e la piccola e media borghesia, che erano la parte più attiva della società. Dall'inizio alla fine della guerra la lira ha perso il 40% del valore mentre il costo della vita triplica. Ovvio che si crei una frattura tra chi può contare su qualche forma di difesa e chi no. L'industria italiana nel momento in cui si conclude la guerra ha il problema della riconversione industriale da industria bellica a industria di consumo. Per cui ci saranno problemi nell'industria italiana, ci sarà un momento in cui la disoccupazione incrementa, ma poi torna in sesto. Gli operai tornano gradualmente ad essere occupati e ingaggiano una lotta per la difesa dei salari. Hanno alle spalle un partito di massa come il Partito Socialista. Esso, dalle elezioni del 1913, continua ad avere una discreta rappresentanza in parlamento. Ci sono inoltre i sindacati operai. I ceti medi non hanno invece questa forma di difesa: impiegati pubblici e privati che avevano difeso il loro non essere proletariato vedono ridursi continuamente il potere d'acquisto dei loro stipendi. Il malcontento di questa fascia sociale che si è montata la testa durante la guerra è ampliato dalla delusione del mancato riconoscimento a livello sociale. Il fascismo rappresenta l'illusione di riscatto per questa classe, proponendo l'imposizione di un ordine. www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti Se il ceto medio non sta bene, non stanno bene neanche i contadini. Durante la guerra i più recalcitranti ad andare al fronte erano i contadini: non perché fossero dei vigliacchi, ma perché erano consapevoli delle conseguenze della mancanza di braccia per l'agricoltura. Perciò li si alletta con la speranza di diventare proprietari, si lascia loro intendere che, se avessero assolto appieno il loro compito di difesa della patria, poi la patria li avrebbe ripagati, consentendo di divenire proprietari. Quando tornano dal fronte credono di poter riscuotere la loro ricompensa, ma non è così. In buona sostanza abbiamo ancora in Italia oltre il 50% di popolazione che è impiegata nell'agricoltura, che produce lavorando la terra. Inoltre la maggior parte del territorio coltivato usa una coltivazione estensiva e molto arretrata. Considerando inoltre i 4 anni di guerra in cui sono mancate le forze giovani, molti terreni erano rimasti incolti. Anche dal punto di vista giuridico la situazione è drammatica: più del 90% dei proprietari terrieri italiani possedevano un ettaro di terreno, che è insufficiente per garantire anche un agricoltura di sussistenza. I contadini erano quindi costretti a prendere in affitto terreni posseduti da una proprietà medio-grande. Oppure erano costretti ad arrotondare i bassi redditi prestando l'opera ad altri proprietari come braccianti. La vita dei braccianti era tutt'altro che semplice in quanto mal retribuita, siccome vi era molta offerta di manodopera, era molto faticosa. I braccianti erano inoltre sempre precari. La fame di terra da coltivare era notevole, sopratutto da parte di chi ha combattuto in guerra. Grazie poi alle esigenze della guerra l'apparato industriale italiano aveva incrementato la produzione. Se le acciaierie di Genova nel 1914 hanno seimila addetti, quando arriviamo al 1919 ne hanno 110.000. La stessa FIAT, impegnata a costruire mezzi di trasporto per le truppe passa da 4000 addetti nel 1914 a 40.000 nel 1919. Il primo cliente delle industrie meccaniche e metallurgiche era lo Stato, che aveva accentrato su di sé la funzione di gestione e controllo economico. Dalla crescita economica enorme che era avvenuta il vantaggio era andato a pochi grandi speculatori. Questi si erano arricchiti mentre molti erano morti nelle trincee oppure subivano le conseguenze economiche della guerra. In Italia si impone il problema della riconversione della produzione. I 110.000 all'Ansaldo servivano solo fino a quando durava la guerra, dopodiché non si riesce a mantenerlo. Ciò ha come risultato la disoccupazione. Le grandi lotte sociali Le lotte sociali e le loro manifestazioni sono all'ordine del giorno. È significativa la crescita della forza dei sindacati: la CGIL, costituitasi nel primo decennio del Novecento e sostenuta dal governo Giolitti, arriva ad avere dai 250.000 iscritti nel 1915 a 2,2 milioni di iscritti nel 1920. La gente si rivolge al sindacato per avere tutela. Nel 1918 viene fondato il CIL (Confederazione Italiana Lavoratori), un sindacato di ispirazione cattolica – antenato della attuale CISL – esso cresce fino a raggiungere nel 1920 200.000 iscritti. Ci sono quindi masse operaie consapevoli del proprio ruolo sociale, intenzionate a rivendicare diritti e conseguire miglioramenti salariali. Tra il 19 e il 20 la condizione socio-economica del paese è incandescente, esplosiva. Nel 1920 si contano quasi duemila episodi di astensione dal lavoro, si sciopero, con una crescita esponenziale di aderenti. www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti Anche il mondo contadino arriva a darsi una protezione sindacale: viene fondata la FederTerra, che arriva alla occupazione dei terreni non coltivate, con un particolare successo nelle campagne meridionali e del Lazio. Nell'azione del sindacalismo agricolo si fa strada anche un movimento talmente composito, talmente articolato da diventare sfuggente ed etichettato come Bolscevismo bianco. Sono rappresentanti del mondo cattolico che propongono soluzioni non tanto diverse da quelle dei socialisti. Ci sarà un deputato cattolico che organizzerà l'occupazione delle terre incolte nella pianura padana, instaurando i cosiddetti “consigli di cascina”. Questa imponente sindacalizzazione darà i suoli risultati. Miglioramenti ci sono: riduzione della giornata lavorativa ad 8 ore. Quindi maggiore capacità occupazionale aumenti salariali per i braccianti parziale redistribuzione delle terre incolte occupate Passato il momento critico dell'impostazione della riconversione industriale, i miglioramenti salariali degli operai iniziano a seguire l'andamento dei prezzi. Se crescono i prezzi dei generi di prima necessità aumentano anche i salari operai. Quindi contadini ed operai, in virtù della attività sindacale riescono a contrapporsi alla crisi e alla inflazione. É tagliato fuori però il ceto medio. Non ci sono adeguamenti degli stipendi per gli impiegati. Nuovi partiti Se il dopoguerra è caratterizzato da questo rilievo assunto dai sindacati che sembra supplire ai vecchi sistemi dello stato liberale incapace di superare la situazione, era inevitabile che si sarebbero presentate nuove formazioni politiche. Ci volevano dei partiti nuovi. Allora il 1919 è caratterizzato dalla nascita di due nuove formazioni: il primo è un partito e il secondo è inizialmente solo un movimento. Partito popolare Il partito è il partito popolare. Dopo 2 mesi dalla fine della guerra Don Sturzo, prete siciliano che voleva che il mondo cattolico si desse una formazione politica e partitica, costituisce un partito cattolico. Esso coinvolge direttamente i cattolici nella vita politica italiana. Il Partito Popolare si costituisce come partito di massa, legato alla realtà sociale ed organizzativa della realtà cattolica. Costituisce un alternativa al partito socialista. Il programma di questo nuovo partito si rivolge ai piccoli proprietari terrieri, spaventati di fronte alle confische di terra avvenute in Russia. L'altro interlocutore era la piccola borghesia, tradizionalmente legata al cattolicesimo. La religione infatti preservava ed alimentava la tradizione, ed era un antidoto contro cambiamenti repentini. Il programma dei popolari contiene riforme sociali da realizzare pacificamente, attraverso il dialogo e collaborazione tra capitale e lavoro. Don Sturzo curerà in modo particolare la differenziazione tra il suo partito e quello dei socialisti e liberali. Dei socialisti non condivide la critica nei confronti della proprietà privata né la lotta di classe. Dei liberali egli non condivide il sostanziale disinteresse verso la www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti miseria che grava sulle classi lavoratrici così come non aver portato avanti forme di decentramento politico-amministrativo, non aver creato enti locali per essere più vicino alle singole comunità. Troviamo nel programma del partito popolare anche un indicazione atta a cementare meglio il rapporto tra capitale e lavoro. Don Sturzo ribadisce che le aziende, quando avesse ottenuto degli utili, dovevano spartirlo anche tra i lavoratori. L'elemento di novità della posizione dei popolari, che giustifica perché i papi fino a Benedetto XV hanno messo i bastoni tra le ruote, è la distinzione dell'appartenenza ecclesiale e la appartenenza elettorale. Quindi il partito è aconfessionale. I popolari non chiedono il consenso sulla base di personali convinzione di fede, ma sulla base di un progetto politico del partito. Il partito può quindi essere rappresentato anche da chi non frequenti i sacramenti ma si riconosca in ogni caso sulla dottrina sociale in qualche modo coincidente con l'etica cristiana. Laico, non confessionale, non classista, perfettamente rispettoso dei valori costituzionali: questi i pilastri del partito. La Chiesa non è più nella sponda opposta a Don Sturzo, perché capisce che può frenare l'avanzata del partito socialista. Il Fascismo Nasce il fascismo, che inizialmente è il movimento dei fasci di combattimento. Il fondatore è Benito Mussolini, socialista massimalista poi espulso dal partito siccome aveva assunto forti colorazioni interventisti nel momento della neutralità italiana. Mussolini fa nascere nel Marzo del 1919 i fasci di combattimento. È un gruppo politico piccolissimo, caratterizzato da un'ideologia confusa che non impressiona minimamente l'opinione pubblica. È talmente confuso che sembra collocarsi politicamente a sinistra, propugnando radicali riforme sociali. Il manifesto politico di questo movimento è il programma di San Sepolcro. Si chiama programma di San Sepolcro perché la sede è inizialmente nella Piazza San Sepolcro a Milano. La coerenza, il calcolo degli obbiettivi programmatici è assolutamente inesistente. Propongono: il minimo salariale la riduzione della giornata lavorativa la partecipazione alla gestione delle aziende dei lavoratori l'introduzione di un'imposta progressiva sul capitale (oggi applicata). Verrà poi messa da parte estensione del voto alle donne (poi esclusa) Questo programma ha la durata di qualche settimana. Mussolini si sbarazza velocemente di questi obbiettivi e il movimento comincerà a caratterizzarsi per la grande violenza verbale contro la classe dirigente liberali e contro i socialisti. La violenza come tratto caratteristico del movimento sarà subito messo in atto. Dopo 3 settimane dalla fondazione viene incendiata la sede dell'“Avanti”, l'organo di stampa socialista. La presenza dei popolari si fa subito sentire. Elezioni del 1919 Dopo le elezioni del novembre 1919 la presenza dei fascisti non lascia al momento traccia. Sono le prime elezioni del dopoguerra, e le prime elezioni che utilizzano una riforma elettorale, fortemente voluta dai socialisti e dai popolari che utilizza il sistema proporzionale, e non più il sistema maggioritario. Ovvero: ciascun partito ottiene seggi in www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti parlamento proporzionali alla percentuale di voti realizzati. Non ci sono sbarramenti. È il sistema che garantisce meglio la democrazia, ma porta ad una grande frammentazione nel parlamento. Per risolvere la situazione si arriva a governi di coalizione, che però molte volte portano a situazione instabili politicamente. I governi di coalizione stanno in piede finché ci sono obbiettivi comuni. Era stato Nitti che, presidente del consiglio dopo le dimissioni di Vittorio Emanuele Orlando, aveva portato al proporzionale. Le elezioni del proporzionale portano a risultati: partito socialista 32% voti – 156 seggi (triplo rispetto al 1913) partito popolare 100 seggi (si presenta per la prima volta) liberali (molto ridimensionati) Questi risultati non danno stabilità ma frammentano le forze politiche. Non si riesce ad ottenere maggioranze omogenee. Se è uscito come primo partito sarebbe dovuto essere il partito socialista a guidare le coalizioni, ma il partito socialista non accetta di entrare in un governo di coalizione con i partiti borghesi. L'unica alleanza possibile sarà tra liberali e popolari, che nasce male e cresce peggio, anche se guiderà il paese (con cambi continui di presidenti del consiglio) fino all'ottobre del 1922. Sindacati “ordine nuovo” Intanto la società italiana è in fermento. Le difficoltà economiche hanno eccitato le attività sindacali a protezione sia del mondo contadino sia del mondo operaio. Ci saranno scioperi, l'occupazione di terre. Arriveremo nel 1920 all'occupazione delle fabbriche. Le tensioni sono grandi, i sindacati sperimentano anche lo sciopero bianco (gli operai entrano in fabbrica ma non producono). Gli industriali, convinti di avere la meglio, chiudono le fabbriche. Più di trecento fabbriche vengono occupate da mezzo milione di lavoratori, che occupano gli stabilimenti facendoli funzionari e organizzano difesa delle fabbriche. Molti si convincono che sia arrivato il momento per una rivoluzione che comporti l'abolizione della proprietà privata e soluzioni di tipo bolscevico. Gli speranzosi di una simile svolta avevano però scarsi strumenti di analisi: il movimento era debole, concentrato in una sola area e non aveva una strategia precisa. C'è un gruppo rivoluzionario di universitari torinesi che forma “l'ordine nuovo”, che organizzerà una secessione dal partito socialista dando vita al partito comunista. Sono intellettuali che hanno idealizzato l'esperienza bolscevica, ne vedono gli aspetti esclusivamente positivi. Sono entusiasti della fondazione dei soviet, i consigli dei lavoratori per garantire il controllo sulle aziende e sulla società. Non c'erano in Italia le condizioni che avevano caratterizzato il colpo di mano dei bolscevichi. Di fronte a tali instabilità prodotte dalle elezioni e di fronte alla questione fiumana, Nitti da le dimissioni e viene recuperato l'anziano Giolitti. Egli persegue la sua intelligente politica nel confrontarsi con i dissidi tra capitale e lavoro. Giolitti ha strumenti di decodifica, si rende conto che l'Italia non rischia nessuna rivoluzione. Perciò Giolitti sta a guardare attirandosi contro le ire della destra, realizzando un intelligente opera di mediazione, di riconciliazione tra la CIL e gli industriali: gli operai ottengono aumenti salariali e qualche promessa alla www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti partecipazione della produzione e si riprende il lavoro. Certamente questa conclusione per molti versi va nella direzione giusta ma lascia sul campo tensioni e paure. Hanno paura gli industriali perché si sono sentiti vicini ad una rivoluzione socialista. Ma hanno paura anche gli operai perché non hanno ricavato quello che credevano. Ma non c'erano certamente le condizioni per la rivoluzione quindi tali preoccupazioni e speranze erano vane. Non c'è un solo partito che aveva le idee chiare come i bolscevichi, e il socialismo italiano continua a scontare gli effetti delle divisioni interne. I socialisti inneggiano alla rivoluzione russa per arrivare ad un autentico moto rivoluzionario. I riformisti hanno leader importanti ma sono ancora in minoranza. Quando arriviamo al gennaio del 1921 al congresso di Livorno le contraddizioni interne al socialismo italiano letteralmente esplodono, anche perché Lenin fa pervenire al congresso una richiesta di estradizione dei riformisti. I massimalisti si rendono conto che sarebbe un taglio troppo grande, ed è in questo contesto che l'”ordine nuovo” fonda il partito comunista italiano, ispirato al modello sovietico, formato da quelli che si definiscono i professionisti della rivoluzione, convinti che la borghesia fosse ormai una classe agonizzante. Non avevano capito nulla della rigenerazione del modello capitalistico del Novecento e che la guerra aveva affermato. La prospettiva rivoluzionaria stava tramontando non solo in Italia ma in tutta Europa. Non si rendono conto che la rivoluzione di stampo sovietico si realizza in un solo paese. Comunque le tensioni capitale/lavoro si chiudono. Nascita del fascismo agrario Il mondo contadino, attraverso le cooperative e con i miglioramenti salariali (che non saranno l'obbiettivo della socializzazione delle terre), riesce ad ottenere spazi migliori. È il mondo contadino che sta tirando su la testa e dove avremmo i primi episodi di fascismo. Diventa un fenomeno di rilievo preoccupante il fascismo. Fino a questo momento la società italiana non si era accorta dei fasci di combattimento, ma dal 1920 iniziano a farsi notare. Bologna era diventata centro propulsore del movimento sindacale, soprattutto dei movimenti agricoli. La pianura padana aveva avuto uno sviluppo che altre realtà non avevano avuto. Nell'autunno 1920 nelle amministrative del comune i socialisti tengono una vittoria schiacciante. Il giorno dell'insediamento nel palazzo comunale si determinano degli episodi gravi. Quando il sindaco si affaccia sulla piazza partono dalla folla dei colpi di pistola. Si determina un fuggi fuggi e i socialisti incaricati del servizio d'ordine, presi alla sprovvista, sparano sulla folla, provocando una decina di morti. Questo evento è definito l'”atto di nascita del fascismo agrario”. Fino a questo momento il movimento non aveva dato prova della propria esistenza. Accantonato il programma di San Sepolcro vengono formate le squadre d'azione. Esse sono strutture paramilitari che hanno l'obbiettivo di intimidire e di colpire duramente il movimento socialista, in particolare le cooperative contadine. Lo squadrismo ottiene il sostegno finanziario della proprietà terriera, desiderosa di una rivalsa rispetto al mondo contadino. I militanti di questa formazione vengono reperiti tra gli ex combattenti (che faticavano a trovare una collocazione nella vita civile), tra i giovani (delusi dagli esiti della www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti guerra). Le frustrazioni dei giovani trovano sfogo nella volontà di impegnarsi in queste violente attività. Inoltre trovano sostegno nella piccola borghesia, che cerca spazi attraverso i quali rivendicare la propria diversità rispetto alle masse proletarie. Le spedizioni punitive delle squadre d'azione tornano a colpire sempre di più. Disponevano di armi e mezzi con cui andarono a picchiare socialisti, bruciare campi ed edifici. Molti socialisti iniziarono a scappare dall'Italia. Non c'è però l'obbiettivo dell'eliminazione fisica dell'avversario, ma anche l'umiliazione del soggetto (Per esempio cogliere un soggetto in un agguato e fargli bere con l'imbuto olio di ricino e purganti). Concorrono al successo dello squadrismo: la neutralità o il sostegno della classe dirigente l'indifferenza delle forze dell'ordine (che sono piccola borghesia) che ritengono il proletario il nemico di classe tolleranza da parte dei liberali, che vedono il loro potere attaccato dalla violenza di massa, e pensano che lo squadrismo possa abbattere i nemici per avere il controllo della situazione. Pensano che lo squadrismo sia un fenomeno transitorio, che può essere superato facilmente. Giolitti, presidente del consiglio, accetta la composizione dei “blocchi nazionali”, convinto che i socialisti e i popolari si ridimensionassero. Il governo Bonomi I socialisti subiscono una flessione, ma non molto, subendo gli effetti della secessione. I fascisti ottengono 35 seggi, e la speranza dei liberali di riacquistare una maggioranza viene delusa, e per questo Giolitti decide di rinunciare alla formazione di un nuovo governo. Il capo del governo sarà Bonomi. Quando arriviamo all'autunno del 1921 Mussolini decide di trasformare il movimento in partito Nazional Fascista. Con esso cerca di imporsi nell'opinione pubblica come un leader assolutamente credibile ed affidabile. Questa strategia è necessaria per controllare l'ala più intransigente dello squadrismo. Riesce a limitare la libertà d'azione di quest'ala anche se non può farne a meno. Il governo Facta In sede politica il governo Bonomi non dura neanche sei mesi. Non riesce ad operare in senso utile al paese. Viene sostituito con Luigi Facta, persona assolutamente scialba. Egli guida il paese fino all'Ottobre del 1922, ma è un governo debolissimo perché non c'è un effettivo collante ad unire liberali e popolari che costituivano la maggioranza. Mussolini sfrutta l'inconsistenza di questo governo per un'operazione di restyling per modificare ancora in modo radicale il programma. Il partito Nazional Fascista diventa decisamente monarchico. I fasci di combattimento che avevano contestato il capitalismo ora accantonano la critica nei confronti del capitalismo e sostengono l'opportunità di una politica economica liberista. Mussolini inoltre si permette di attaccare il partito popolare considerato tutore non convinto del potere della chiesa. Queste posizioni rendono il Partito Nazional Fascista associabile ad una forza di governo. Si trattava solo di forzare i tempi. La marcia su Roma Nell'ultima settimana di Ottobre del 1922 egli riunisce a Napoli gli squadristi per prendere www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti accordi in vista di una marcia su Roma che avrebbe consentito l'assunzione del potere con la forza. Informato di quel che sta succedendo, il presidente del consiglio chiede immediatamente al re di intervenire con l'esercito per bloccare l'azione degli squadristi. Il re, che comincia a crede che dall'azione di forza possa venire prestigio alla dinastia regnante, rifiuta di firmare il documento dello stato d'Assedio. Il 28 di Ottobre le colonne fasciste entrano a Roma, mentre Mussolini era a Milano (per scappare in caso se fosse andato a male). Da Milano torna a Roma, dove riceve ufficialmente, secondo quanto prevede lo statuto Albertino, l'incarico di governo. Comincia allora il governo Mussolini. Il governo Mussolini Tra il 1922 e il 1924 si svolge la fase legalitaria del fascismo, che prepara la dittatura che partirà dal 1925. Ci sono i fascisti, i popolari, i liberali nella coalizione di governo. Sappiamo che ci sono solo 35 deputati fascisti, ma può contare su: la corte gli apparati dello stato : l'esercito, la magistratura, gli alti burocrati gli industriali e gli agrari I liberali continuano a pensare che il fascismo sia solo una temporanea terapia utile per dare autorità allo stato e per contrastare l'avanzata socialista. A metà di novembre del 22 Mussolini si presenta in Parlamento con un discorso vuoto di contenuto ma ridondante di retorica e arroganza per il quale ottiene la maggioranza. 306 voti favorevoli, 116 contrari. Per realizzare ciò che aveva promesso ai gruppi politici conservatori che lo avevano sostenuto Mussolini abbandona la politica economica di Giolitti, scioglie le amministrazioni comunali in mano ai socialisti e ai popolari, elimina le cooperative rosse e comincia a porre forti limitazioni alle libertà sindacali. Comincia poi a vagheggiare, a propagandare una serie di misure economiche per rivalutare la lira, che ha un contesto marginale in contesto europeo. Allora le transizioni si facevano con la sterlina. Per una sterlina ci volevano 150 lire. Era poco più che carta straccia. Attraverso queste promesse egli può organizzare la sua attività di governo. Non solo le opposizioni ma anche una parte degli alleati, sopratutto i popolari, chiedono lo scioglimento delle squadre fasciste. Mussolini risponde con un escamotage, perché le squadre non si vogliono sciogliere e Mussolini ne ha ancora bisogno. Le squadre d'azione vengono trasformate in Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Legalizza così le squadre d'azione che diventano una forza armata di regime. Nel 1923 di fronte a questa piega del fascismo i popolari escono dal governo. Il discorso di Don Sturzo a Torino viene accettato e i popolari escono dalla maggioranza. Mussolini non ha problemi circa l'indebolimento significativo della maggioranza. Fino al 24 avrà un atteggiamento altalenante: a volte sarà garante della pace sociale, altre volte lascia intendere l'intenzione di dar vita ad una nuova presa di posizione analoga alla marcia su Roma. In questo modo riesce a legittimarsi sul piano internazionale come uomo di destra, come conservatore, senza però palesare le tendenze totalitarie proprie del fascismo. Anche la Francia e l'Inghilterra accettano il governo di destra dell'Italia, perché è www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti un freno nei confronti del pericolo comunista. Continuano le violenze, ed iniziano le morte illustri. Anomalie del governo Mussolini Il governo continua a lasciare il massimo spazio allo squadrismo e alle sue violenze, alle sue prevaricazioni, ma si tratta di un governo istituzionale. Rientra nelle prerogative fissate dallo Statuto Albertino. Quello che è il presidente del consiglio tra il 1922 e il 1924 è quello che gli storici definiscono un Mussolini moderato che cerca un po' di accreditare la sua immagine di leader perfettamente omogeneo al quadro istituzionale, anche se non solo le squadre d'azione hanno ricevuto una legittimazione diventando praticamente l'espressione armata del regime, ma sopratutto le violenze di cui la nuova milizia è protagonista sono all'ordine del giorno. Comunque si tratta di una situazione politica che come in altre realtà europee ha chiaramente subito una svolta a destra senza però assumere connotato alcuno associabile al totalitarismo. Ci sono delle cose che dovrebbero però insospettire: una riforma elettorale: la legge Acerbo viene approvata, che riforma il sistema elettorale proporzionale in senso maggioritario: la lista che ha conquistato la maggioranza relativa con uno sbarramento al 25% dei voti avrebbe automaticamente ottenuto il 66%, ovvero i due terzi dei seggi alla camera. Approvata nel 23. Una istituzione dell'istruzione superiore: fino a questo momento l'Italia non aveva avuto degli Istituti di Istruzione Statale di tipo generalista (non aveva licei) che permettessero di formare la classe dirigente. Viene allora nel 23 approvata la riforma Gentile, dal nome di un filosofo fiorentino, ministro della pubblica istruzione al momento. È stata fatta secondo la concezione tipica di un filosofo di destra, desiderosa di alimentare una visione elitaria dello studio, prendendo il modello degli studi gesuiti. Nasce il liceo classico, mentre lo scientifico nasce dalla sostituzione della seconda lingua classica con la seconda lingua moderna (la lingua allora internazionale - il francese). Le elezioni del 1924 Quando arriviamo al 24 allora scade la tornata elettorale. Nelle nuove elezioni la posizione governativa è rappresentata da un listone controllato dai fascisti a cui partecipano anche la maggioranza dei liberali (i più conservatori) e anche una parte dei cattolici (la componente più conservatrice). Sulla carta sembra che si riproponga con pochissime variazioni l'esperienza dei blocchi nazionali del 1921. C'è però una differenza : mentre nel 21 sono i fascisti che si inseriscono nelle liste altrui adesso il rapporto è rovesciato: sono i liberali ad aderire alle liste fasciste. Le forze di opposizione danno una prova di sé stesse. Tanto i liberali di sinistra, quelli guidati dal vecchio Giolitti quanto gli altri si presentano giocando il tutto per tutto per precisare le loro distinzioni ideologiche, non facendo fronte comune e arrivando quindi alla sconfitta. www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti I fascisti organizzano la campagna elettorale usando la violenza, anche all'interno delle urne, all'interno dei seggi elettorale. Per questo la vittoria del listone è clamorosa: non ha neanche bisogno di avere il premio di maggioranza perché ottiene il 65% dei voti, e circa i tre quarti dei seggi. L’omicidio Matteotti e la secessione dell’Aventino Alla fine del 24 c'è l'insediamento del nuovo parlamento e qui prende la parola Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario (così si chiama dopo la scissione del 21). Egli pronuncia un coraggioso discorso alla camera denunciando le violenze fasciste e frequenti azioni di broglio a favore dei fascisti. Matteotti denuncia e 10 giorni dopo viene rapito a Roma da un gruppo di squadristi e ucciso nell'auto che lo ha prelevato. Il cadavere viene nascosto, ritrovato solo 2 mesi dopo nelle pinete che da Roma vanno verso il litorale. Improvvisamente l'opinione pubblica sembra rendersi conto delle responsabilità dei fascisti. vengono arrestati ma i mandanti non vengono mai scoperti. C'è un crollo della popolarità di Mussolini le opposizioni non sanno approfittare dalla svolta, soprattutto per le fortissime divisioni interne. I comunisti propongono lo sciopero generale ma gli altri non ci stanno. Si escogita una strategia che è fallimentare: l'opposizione sceglie di non partecipare ai lavori del parlamento ma si riunisce separatamente in altra sede, dichiarando la propria disponibilità di entrare in parlamento quando fosse disciolta la milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Nasce la speranza che il Re, responsabile della costituzione, intervenisse ritirando la fiducia a Mussolini, ma il re se ne guarda bene. Il re ha bisogno del ”uomo forte”, convinto che in qualche modo sappia riscattare le sorti della monarchia. L'opposizione che non prende le misure al sovrano si dimostra sprovveduta, e sciocca la secessione dell'Aventino. Viene detta così perché c'è un riferimento alla storia romana, dove la plebe si ritira per protestare contro i patrizi. È una scelta di alto valore morale, ma inconsistente a livello politico. Senza costituire un’alternativa politica credibile l'opposizione ha lasciato spazio al governo Mussolini nel suo iter di riconversione in dittatura.Di fronte a questa situazione l'ondata antifascista rientra nei ranghi e Mussolini decide di contrattaccare. Quando si riaprono le attività della camera con il nuovo anno, nel 1925 Mussolini in un esagitato discorso dice di assumersi la responsibilità politica, morale e storica di tutto quello che era successo, gettando le basi per la dittatura. “Se il fascismo è una associazione a delinquere, sono io il capo di quella associazione. Il mio governo d'altra parte è perfettamente in grado di stroncare definitivamente la secessione aventiniana”. In pochi giorni arresti e restrizioni rendono impossibile la vita dell'opposizione e dei loro organi di stampa. La data di morte di Matteotti è la data di morte della democrazia liberale. Nasce quindi la dittatura fascista. www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti Caratteri della dittatura fascista La dittatura fascista passa attraverso: 1. l'approvazione delle leggi fasciste che fanno divenire il governo una dittatura. Sarà Alfredo Rocco a confezionare il nuovo quadro legislativo. 2. Riconoscimento a livello Statale un unico partito: il partito Nazional Fascista; tutti gli altri partiti sono fuorilegge. 3. Il presidente del consiglio diventa capo del governo (che non risponde al parlamento ma solo al re). Rispetto al passato risulta rafforzata l'autorità del capo del governo rispetto agli altri ministri. 4. La cosa più interessante e pericolosa è il riconoscimento al capo del governo del potere legislativo. Non vi è più la tripartizione dei poteri ma la sovrapposizione di due poteri. 5. Vengono eliminate le autonomie locali: eliminato il sindaco e sostituito con il podestà, incaricato direttamente dal governo. 6. Chiusi tutti i giornali antifascisti 7. Dati poteri ampissimi alla polizia segreta, OVRA, incaricata di arrestare ed individuare gli oppositori 8. Istituzione del tribunale speciale per la difesa dello stato, che ha condannato 4596 persone per antifascismo ,con una pena complessiva di 28.000 anni di carcere 9. Normalizzazione del partito: una volta che il fascismo non aveva più concorrenti la violenza squadrista non era né necessaria né opportuna. Viene tolta la direzione del partito a Farinacci, violento e radicale. Le cariche gerarchiche vengono distribuite direttamente da Mussolini. Il partito si organizza da una struttura in cui ci sono i prefetti, al cui vertice c'era il gran consiglio del fascismo, unico organo del partito in cui c'è un minimo di discussione, di confronto sulla linea politica. È l gran consiglio che garantisce il collegamento tra il partito e le istituzioni. 10. Lo Statuto Albertino, che dava al re la prerogativa di dare il capo del governo, viene coperto dal ruolo del consiglio che incaricava il capo del governo. 11. Una nuova legge elettorale che affida al gran consiglio il compito di preparare la lista dei candidati. Le elezioni diventano una farsa. Vita sotto una dittatura Come fa un paese, pur essendo stato molto arretrato sia a livello culturale che a livello economico e poco coinvolto nella vita civile, ad accettare i caratteri e il profilo di una dittatura? La dittatura fascista, pur essendo espressione di una visione retrograda e repressiva, sa governare con maestria i tasti della modernità. Sa infatti gestire bene la propaganda garantendosi il consenso. Il nuovo ruolo del partito unico è dedicarsi alla conquista e il mantenimento del consenso della società italiana, condizionando fortemente i costumi e la mentalità delle persone. Per vivere come cittadino non basta essere cittadino italiano sul documento di identità, ma bisogna avere la tessera di iscrizione al partito Nazional fascista. Qualora si sia privi della tessera non si è cittadini, si è emarginati, non si può far carriera e non si possono rivendicare i diritti di cittadinanza. Vengono create organizzazioni in cui inserire gli italiani come pedine da manovrare a proprio piacimento. L'obbiettivo è non www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti lasciare un minuto libero agli italiani, perché se hanno tempo libero la gente pensa con la propria testa e può maturare atteggiamenti critici. Nasce quindi l'organizzazione dopo lavoro, la quale propone gare, gite e altre forme di intrattenimento in cui c'è sempre qualcuno che indirizza dal punto di vista ideologico. Viene fondato il comitato olimpico nazionale italiano, che stimola le attività sportive ma controlla anche le persone. Quello che era portato avanti da società private passa sotto il controllo di Stato, e quindi del partito. Vengono poi costituiti i fasci giovanili, i gruppi universitari fascisti, l'associazione Balilla (815 anni) e quelli indirizzati ai ragazzi più grandi, detti Avanguardisti. Vengono educati i ragazzi alla dottrina fascista, al culto di Mussolini. Tutti i sabati per tre ore questi i bambini in divisa erano costretti a marce e parate militari. Inoltre il partito prende il controllo dell'informazione in modo capillare: non c'è stampa libera, ma è sottoposta a censura e molti giornali vengono fatti saltare. C'è il sistema delle Veline, che erano copie leggere dell'articolo di giornale, che dovevano essere controllate dal partito prima della pubblicazione. Se l'articolo andava bene veniva stampato. Viene fondata nel 29 l'EIAR – Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche - strumento efficacissimo delle informazioni del regime per gli italiani. I discorsi di Mussolini, in cui pullulano gli aggettivi, vengono mandati via radio alle case e ai posti pubblici dell'Italia. Anche il cinema viene asservito a scopi propagandistici. Dal 1926 ogni sala del cinema viene obbligato a proiettare prima e dopo della proiezione i cinegiornali dell'istituto Luce, alle dirette dipendenze del partito. In questi giornali viene dato solo spazio alle gesta eroiche di Mussolini, evidenziando la fortuna che l'Italia ha di avere una tale guida. Nel 1929 viene istituito il Min-cul-pop, il Ministero della Cultura Popolare, che ha l'obbiettivo di controllare tutti gli aspetti della vita culturale italiana, e gli italiani sono d'accordo: l'arretratezza del popolo a livello culturale ed economico porta al consenso, siccome vede aumentare le opportunità di intrattenimento, di gite, gare, sport, le colonie estive per bambini. Rapporto con la Chiesa Non ha proprio antagonismi il fascismo? Uno è la Chiesa cattolica, perché in molte zone le parrocchie sono l'unico centro di aggregazione e quindi guardano con preoccupazione le istituzioni del dopo lavoro, della fondazione Balilla che portano all'allontanamento dalle parrocchie. La chiesa rischia di divenire un avversario? Meglio batterlo in partenza. Fin dal 1870 la Chiesa di Roma si considerava imprigionata. Adesso Mussolini pensa che sia arrivato il momento di chiudere il contrasto e cominciano le trattative con la santa sede. Queste iniziano nel 1926 e si chiudono nel 11 settembre 1929 con la firma dei patti lateranensi. La firma è quella di Mussolini e del cardinal Gasparri. Questo documento era diviso in tre: Un trattato internazionale, in cui la Chiesa riconosceva come legittimo lo stato italiano, ottenendo la sovranità sulla Città del Vaticano, che diventava uno Stato autonomo. Una convenzione finanziaria, che impegnava l'Italia a risarcire in denaro il Vaticano della perdita territoriale dei territori del Lazio. Un concordato, il quale doveva regolare i rapporti tra Stato e Chiesa, favorevole alla chiesa. Per esempio si sostiene che quella cattolica è religione di Stato, tanto è vero www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti che lo stato si impegna a diffonderla attraverso l'insegnamento di ogni ordine e stato. Si parla anche di religione cattolica come fondamento e coronamento dell'istruzione delle scuole italiane. Inoltre, il concordato riconosce i diritti civili del matrimonio. Fino a questo momento succedeva che il matrimonio religioso non aveva effetti civili. Anche se ci si sposa in chiesa dal punto di vista civile non viene riconosciuto, mentre se ci si sposa in comune i coniugi erano ritenuti dalla chiesa due conviventi nel peccato. In un caso portava problemi di diritto, nell'altro problemi morali. Il concordato risolve questa situazione (situazione odierna). Ciò ha aperto la questione sulle tasse sugli immobili non corrisposti da parte dei titolari del patrimonio edilizio della chiesa. Alla Chiesa il concordato consente libertà amministrativa dei beni, alla scelta dei vescovi, che però devono giurare libertà allo stato partitico. Vengono tenute le organizzazioni come l'AC. Il Papa del tempo, Pio XI, è entusiasta, parlando di Mussolini come uomo della Provvidenza. È evidente che quello che interessa al papa è il fatto di trovarsi di fronte ad un uomo che è antitesi rispetto al socialismo e al laicismo liberale. Don Sturzo guarda con amarezza di questo accordo, soffrendo terribilmente. Egli capisce le finalità in virtù delle quali Mussolini è stato così generoso con la chiesa cattolica, ovvero cercare di portare dalla sua il vertice della Chiesa La politica economica Andiamo a considerare la politica economica del fascismo. Nei primi tre anni la politica economica fascista non si discosta dal modello applicato dai modelli precedenti, e quindi applica una politica economica di stampo esplicitamente liberista. Vengono concessi sgravi fiscali alle imprese, incentivata l'iniziativa privata e ridotta la spesa pubblica. C'è bassa conflittualità sociale, i sindacati vengono messi fuori legge. Gli anni venti devono contemplare una ripresa dell'economia mondiale dopo la Guerra, per cui qualche risultato la politica economica del Governo Mussolini li garantisce, anche se sono risultati non sufficienti, che non riescono a frenare l'inflazione né a stabilizzare la moneta. L’instabilità della moneta inizia a preoccupare i risparmiatori e gli investitori esteri. Ma se la gente non risparmia non c'è possibilità di mettere il denaro in circolo. Per cui l'instabilità della moneta scoraggia sia i risparmiatori che gli investitori stranieri. Così nel 26 Mussolini decide di cambiare la linea politica, sostituisce il ministro delle finanze De Stefani con Giuseppe Volpi, il quale provvede ad impostare una nuova politica economica incentrandola su: 1. la stabilizzazione della lira 2. adozione di misure protezionistiche 3. ricava allo stato quello che il liberismo economico non permetteva, ovvero l'intervento dello stato in economia. Nell'estate 26 Mussolini può fare un annuncio sensazionale: la rivalutazione della lira. Questa operazione viene fatta non sulla base di un aumento della produttività, ma sul valore della sterlina, moneta di scambio globale. Fino al 1920 una sterlina erano 150 lire, e Mussolini li riduce a 1 sterlina = 90 lire. www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti La battaglia del grano Il progetto di Mussolini è quello di riruralizzare la società italiana. Vuole creare una società contadina vicina alla tradizione, poco critica, che è quindi più facile da controllare. É più facile che non ci siano dissensi all'interno della vita contadina, composta da gente più manovrabile e rispettabile. Questo obbiettivo non si riesce a tradurre però in pratica. L'Italia non dà slancio all'industria, ma rispetto al decollo dell'età industriale non si può fare retromarcia. Le scelte fatte condizioneranno in negativo a lungo la società italiana, che non riuscirà a riscattarsi sotto il profilo italiano se non negli anni 50. Se a partire dal 1925 abbiamo la svolta politico-istituzionale, nel 1927 si ha la svolta economica. Cominciamo a fare i conti con una politica economica di stampo decisamente antitetico rispetto al passato. Lo scopo della salvaguardia della rivalutazione della lira si rivelerà essere un aspetto negativo. Uno dei primi provvedimenti sarà l'elevazione dei dazi sui cereali. L'America e altri stati erano in grado di mettere a disposizione cereali a bassi costi e acquistarli sarebbe più economico, anziché pensare di trasformare in coltivazioni cerealicole il territorio italiano. I costi della coltivazione sarebbero stati maggiori di quelli di acquisti. Per spingere alla cerealicoltura si elevano dazi locali sulle importazioni di cereali. Mussolini ha in testa la “battaglia del grano” che avrebbe dovuto garantire l'autosufficienza relativa ai cereali. Si poteva raggiungere il risultato solo aumentando i territori coltivabili e migliorando le tecniche. La bonifica, avviata nel 28 in diverse realtà, è uno dei punti chiave del programma, che permette di rendere abitabili molti territori. Togliere le paludi significava togliere progressivamente la malaria. Il “progetto di bonifica integrale” non viene raggiunto totalmente ma sono comunque significativi gli interventi realizzati. Tra i risultati vi sono numerose bonifiche nel Veneto Orientale, in alcune zone del Piemonte e in alcune zone dell'Emilia. Conseguenze della politica economica La battaglia del grano con annessa opera di bonifica è il primo passo della cosiddetta politica dell'autarchia o autosufficienza. L'Italia avrebbe dovuto essere in grado di produrre autonomamente ciò di cui aveva bisogno evitando la dipendenza dalle importazioni estere. Poteva un paese come il nostro, sprovvisto di materie prime, fare a meno delle materie prime dall'estero? No, e questa è una delle ipoteche negative che caratterizzeranno la nostra economia per decenni. É stato promosso un sistema di consumi assolutamente asfittico, perché doveva rinunciare ai prodotti esteri. Nelle campagne, fino agli anni 60, si manterrà uno stile di vita tipico della fine dell'Ottocento. (Il mondo va a pane e marmellata e corn flakes e noi andiamo ancora con la polenta). Tutte queste misure economiche considerate alla luce della logica si riveleranno fallimentari. Hanno costi sociali incredibilmente alti. La rivalutazione delle imprese favoriscono le grandi imprese, l'accentramento delle industrie e tutto il modello capitalistico. Soffoca però la media e piccola impresa, che in Italia era molto diffusa. I ceti medio-bassi risultano bastonati nella misura in cui subiscono una diminuzione della loro capacità di acquisto. La battaglia del grano qualche risultato lo raggiunge: è vero che si producono più cereali rispetto a prima, ma vengono ridotte altre coltivazioni tipiche di www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti regioni collinose. Le maggiori coltivazioni dell’Italia centrale sono vino e olio, prodotti solitamente al centro dell'esportazione, diminuiscono le loro produzioni. Viene meno anche l'allevamento, che permetteva una migliore coltivazione grazie al concime. La cerealicoltura ha una serie di svantaggi quindi per l'agricoltura e per l'allevamento. L'autarchia è l'arma sbaglia per un paese povero di materie prime come il nostro, che porta all'indebolimento del sistema produttivo nazionale. Per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro facciamo, con il fascismo, passi indietro rispetto alla sindacalizzazione che l'Italia aveva conosciuto nel primo novecento, e che poi aveva avuto un grossissimo slancio nel biennio rosso. Anche qui si è cambiato registro: i rapporti tra lavoratori e imprenditori sono regolati dalla logica del corporativismo. Il fascismo condanna la lotta di classe, ogni forma di contrattazione e libertà. Nell’ottobre del 1925 i sindacati fascisti e la Confindustria (associazione che rappresenta gli industriali) raggiungono un accordo che prevede validità giuridica solo a quei contratti sottoscritti dai sindacati fascisti. Viene impedita l'azione ai sindacati socialisti e cattolici, molto presenti nel mondo del lavoro italiano. Datori di lavoro e lavoratori dovevano collaborare nell'interesse della nazione, e ciò viene propagandata come novità per rivendicare la distinzione sia dalle idee socialiste che dalle idee liberali. Questa posizione viene detta corporativismo, che aveva già caratterizzato le corporazioni medievali. L'ordinamento corporativo arriva ad essere enunciato in modo ufficiale in una carta del lavoro nel 1927. Tutti i settori del lavoro devono essere organizzati in corporazioni di lavoratori e datori, inquadrati all'interno dello stato controllati ad un apposito ministero, ministero delle corporazioni. Al di là delle ufficializzazioni questo ordinamento non funzionerà mai del tutto e gli unici a trarne beneficio sono gli imprenditori che riescono a mantenere basso il costo del lavoro ed influenzare a proprio vantaggio le scelte politiche, senza rendersi conto che fino a che i salari sono bassi ci sono poche possibilità di stimolare i consumi. Rispetto al liberismo, dove lo stato deve stare a guardare (la seiz faire), ora l'intervento dello stato in campo economico diventa sempre più massiccio. É vero che tutti i paesi sono costretti negli anni 30 a prevedere degli interventi di stato per fronteggiare la crisi del 29 però l'intervento dello stato fascista in economia è pesante, soprattutto per i condizionamenti a medio e lungo termine. Viene creato l'IMI (istituto mobiliare italiano), istituto di credito pubblico sostituendosi alle banche sostenendo le industrie in difficoltà. Un'industria in crisi solitamente cerca di modificare la propria organizzazione, investendo in tecnologia, mentre in questo caso ciò non avviene perché è comunque aiutata da contributi statali. Nel 33 viene creato l'IRI, istituto per la ricostruzione industriale, che diventa azionista di maggioranza di banche in crisi e acquista il controllo di grandi aziende italiane come ILVA, Ansaldo, Terni, ... Decine di imprese vengono salvate grazie ai contributi statali per cui gli imprenditori possono dormire sonni tranquilli. Siccome ci si rende conto di quello che si sta facendo si ha l'accortezza di affermare che l'IRI avrebbe dovuto essere provvisorio: usciti dalla crisi del 29 lo stato avrebbe smesso di sostituirsi alle imprese nel finanziarle. Dal 1937 l'IRI diventa però permanente, caratterizzando la politica italiana anche nel dopoguerra. É stato liquidato e chiuso negli anni 90 da Romano Prodi. Sono passati quindi 60 anni di elargizioni di denaro pubblico alle imprese, che non si sono sentite in obbligo di incentivare la produttività. Anziché investire gli industriali italiani si intascavano i soldi dei www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti finanziamenti. Un altro aspetto negativo del dirigismo di stato, nell'intervento dello stato in economia è la moltiplicazione degli enti pubblici che ha segnato la storia italiana. Nascono enti previdenziali, pensionistici, e l'amministrazione pubblica viene appesantita da una gestione burocratica dove vale il clientelismo. (Tu mi assicuri dei voti? Sistemo i tuoi amici con posti di lavoro nell'amministrazione pubblica). L'intenzione di garantirsi il consenso dei ceti imprenditoriali è certificata dall'istituzione di tutta una serie di organismi atti a sostenere, certamente in un momento di crisi internazionale come il crollo della borsa del 29, gli interventi dello Stato a favore delle imprese. Viene indotta una prassi assolutamente nefasta per cui l'imprenditoria non viene stimolata ad essere più competitiva proprio a causa dello stato. È una prassi che caratterizza la società italiani creando convivenze tra politica ed economia che si ripercuotono anche nei nostri giorni. La politica estera Fin da subito il fascismo è stato caratterizzato dalla fortissima nazionalizzazione, presente sin dal programma di San Sepolcro. Il partito stesso comprende il nome “Nazional”. Il fatto che sia caratterizzato da una forte componente nazionalista è un dato certo. Quando si deve insistere sulla figura del Duce durante la dittatura, si presenta Mussolini come l'uomo in grado di far rivivere le glorie della Roma imperiale, riscattando in questo modo il paese dalle sberle ricevute dalle trattative di pace seguite alla prima guerra mondiale. Fino agli anni 30 però i proclami nazionalisti, continuamente ricorrenti, rimangono velleità, tanto è vero che dal punto di vista diplomatico sembra che l'Italia perpetui le alleanze messe a punto nel primo conflitto mondiale. Automaticamente ci si libera dell'impegno con la triplice alleanza e si entra nello schieramento dell'intesa. Fino agli anni 30 manteniamo relazioni diplomatiche di amicizia con Francia e Inghilterra. Le cose cambiano nel 34, quando Mussolini si mette in testa di emulare Roma. Vuole rivolgere quindi le mira espansionistiche verso l'Africa. Il Duce intende dare all'Italia un impero ampliando i possedimenti acquisiti durante l'epoca Crispina e Giolittiana, quindi l'eritrea e la Libia. Al solito viene alimentata l'illusione conquista (la meta prescelta è l'Etiopia). L'Italia aveva già messo in piedi nell'Ottocento una campagna che si era conclusa nel marzo 1896 in modo tragico nella battaglia di Adua, che aveva portato Crispi alle dimissioni. La prima volta dunque non aveva funzionato. Ma l'Etiopia non presentava grossi problemi, in quanto aveva un vertice politico di facciata e vigeva un controllo e una divisone di tipo tribale. Sulla carta la conquista dell'Etiopia avrebbe dovuto essere facile. Si tratta di organizzare le cose adeguatamente, con la solita illusione che la conquista avrebbe potuto funzionare come carta assorbente per l'Italia, dando possibilità di sfruttamento delle risorse, risollevando la situazione economica, che lo stato Fascista aveva peggiorato. Si prepara tutto: le truppe italiane invadono l'Etiopia nell'ottobre del 1935. Grazie all'abbondanza di uomini e di mezzi Addis Abeba, la capitale etiope, viene conquistata in giro di 6 o 7 mesi. Nei primi di maggio del 36 il vertice dell'Etiopia Hailé Selassié fugge in Inghilterra. www.mambrettinet.altervista.org – Lorenzo Mambretti Come tutte le nostre conquiste anche questo si traduce in un colossale bluff. Come nel caso della Libia abbiamo vinto ma non siamo mai riusciti a fare i conti con la guerriglia che contro di noi le tribù organizzavano sistematicamente. La situazione è uguale: si entra trionfalmente ad Addis Abeba ma prende il via una logorante guerriglia che i fascisti non riusciranno mai a debellare completamente. Mussolini aveva agito in modo spavaldo, convinto che avrebbe ottenuto l'assenso di Francia e Gran Bretagna. Invece, pochi giorni dopo l'inizio dell'invasione, la Società delle nazioni interviene, condannando l'Italia in quanto aveva aggredito l'Etiopia, anch’essa appartenente della società delle nazioni. Essa condanna lo Stato Italiano a sanzioni, vietando la vendita di mezzi militari. Ma queste sanzioni non hanno alcun effetto sul potenziale bellico italiano. In compenso queste sanzioni offrono a Mussolini l'opportunità di assumere atteggiamenti vittimistici, denunciando un tentativo di strangolare l'Italia, impendendo di ottenere il suo posto al sole. Mussolini ha un ottimo strumento propagandistico che garantisce il consenso pubblico nazionale, che desidera resistere alle sanzioni. Ci sono manifestazioni entusiastiche nel confronto del governo e manifestazioni di disprezzo nel confronto degli inglesi. Gli italiani sono coinvolti e accettano con entusiasmo la richiesta di dare contributi al finanziamento della spedizione africana, con la donazione di preziosi. Le famiglie italiane si spoglieranno delle suppellettili in rame, metallo tradizionalmente utile per la produzione di pentole, e naturalmente in oro. Chi ha solo la fede d'oro va a depositarla, avendo in cambio un anello di ferro. In questo momento mussolini gode del massimo consenso. Le conseguenze della guerra di Etiopia Nel 36 c'è l'ingresso trionfale ad Addis Abeba, e Mussolini annuncia la fondazione dell'Impero dell’Africa orientale italiana. Dal punto di vista economico però l'Etiopia non può rispondere alle attese. Non è adatto all'agricoltura, se non con grandi investimenti. Dal punto di vista economico è un buco nell'acqua. Ma dal punto di vista politico è una impresa riuscita. Nel 36 viene riconosciuto l'impero italiano e le sanzioni ritirate. Sembra che i fascisti siano riusciti a imporre la propria volontà. In realtà gli inglesi semplicemente avevano fatto delle petizioni di principio, ma non erano disposti a difendere l'Etiopia. La Società delle nazioni, non dotata di un esercito, manifesta la sua impotenza nel risolvere controversie di tale portata. Ci si illude di essere diventati una potenza coloniale. La conseguenza più grave è però l'avvicinamento di Mussolini a Hitler. La Germania sostenne con mezzi militari la guerra di Etiopia. Nel ottobre 36 si firma un patto di amicizia, l'asse Roma-Berlino. Mussolini voleva usare questo accordo per far pressione sulle altre potenze europee per ottenere maggiori vantaggi nel campo coloniale per l'Italia. Egli è convinto di “usare” Hitler, ma in realtà è da subito irretito nel piano della Germania. Inoltre la Germania, fin dal 33, ma in modo formale dal 35 con le leggi di Norimberga, ha introdotto pesanti leggi raziali contro gli ebrei. Nel 38 vengono imposte le leggi razziali anche in Italia, che impediscono di frequentare la scuola pubblica, di svolgere diverse professioni, ecc. In Italia però non c'era una tradizione antisemita. Tutte le grandi città avevano una realtà commerciale perfettamente integrata, e quindi tali discriminazioni portano a perplessità e ad una condanna da parte della Chiesa. Se la spedizione in Etiopia rappresenta la Climax, le leggi razziali portano poi alla crisi del regime.