Questione palestinese: origini e prima guerra arabo

Questione palestinese: origini e prima guerra arabo-israeliana
(1800 – 1949)
Il conflitto arabo-israeliano abbraccia circa un secolo di tensioni politiche e di ostilità1. Esso
riguarda la creazione del movimento sionista e la successiva creazione del moderno Stato di
Israele nel territorio considerato dal movimento panarabo come appartenente ai palestinesi, e che
il popolo ebraico considera la sua patria storica. Da qui il fatto che la cosiddetta “questione”
palestinese ha costituito e costituisce tuttora una delle questioni più delicate e complesse del
nostro tempo.
Uno sguardo all’antica Palestina
E’ raro che nel narrare le vicende di un fatto storico, quantunque complesso, dell’ultimo secolo si
debbano richiamare eventi tanto lontani nel tempo, ma nel caso della Palestina e della storia che
la riguarda può essere utile far memoria di quanto accadde tra il 70 e il 135 d. C. proprio in quella
regione.
A quell’epoca i dominatori dell’area erano i romani (la Palestina era – dal I sec. a.C. - una
provincia romana retta da un procuratore che risiedeva a Cesarèa Marittima2) e quello ebraico era
uno dei tanti popoli che abitavano il Medio
Oriente. Gli ebrei, però, non avevano mai
accettato la dominazione romana e non si
erano mai assimilati alla loro cultura.
L’opposizione che covava da decenni
sfociò tra il 67 e il 70 nella prima guerra
giudaica, che si concluse con la
distruzione del Tempio3 di Gerusalemme
da parte di Tito, figlio di Vespasiano
(imperatore dal 69 al 79) e futuro
imperatore egli stesso (79-81); quel che ne
rimase costituisce l’attuale Muro del Muro del pianto (Gerusalemme). E’ il muro di cinta
occidentale del Tempio, distrutto da Tito nel 70. Nelle fessure
pianto.
del muro gli ebrei infilano dei foglietti con sopra scritte delle
Questa prima guerra fu profondamente preghiere, ritenendo che quel luogo sia il più sacro della
Terra.
distruttiva: le fonti parlano di 600.000
morti e di decine di migliaia di ebrei venduti come schiavi. Tra il 132 e il 135 si combatté poi una
1 Convenzionalmente, ed è anche il punto di vista degli Arabi palestinesi, la cosiddetta “questione palestinese” si
fa iniziare a partire dal 1917 ovvero dalla Dichiarazione Balfour, che (dal nome del ministro degli Esteri Arthur James
Balfour) impegnava il governo inglese a creare in terra di Palestina una «sede nazionale» per il popolo ebraico. Con
essa la presenza ebraica in Palestina veniva ad ottenere un riconoscimento ufficiale e si legittimava, in qualche modo,
l’immigrazione degli ebrei verso quella regione; immigrazione che diede luogo già negli Anni 1920-21 ai primi violenti
scontri fra coloni ebrei e residenti arabi, insofferenti della minaccia portata ai loro diritti sulla Palestina. Erano i primi
segnali di un conflitto che avrebbe insanguinato la regione nei decenni successivi.
2 Situata sulla costa israeliana tra le città di Haifa, a nord, e di Tel Aviv, a sud, Cesarèa Marittima (così chiamata in
onore di Cesare Augusto) era un importante porto del Mediterraneo, base commerciale già all’epoca dei Fenici (IV sec.
a.C.). Divenuta, nel 13 a.C., capitale politica e militare della Giudea vi pose la propria sede il proconsole romano.
3 Quello distrutto nel 70 d.C. era il secondo Tempio di Gerusalemme. Il primo Tempio, edificato verso la metà del
X secolo a.C. al tempo del re Salomone, venne distrutto dai babilonesi nell’anno 586 a.C.
seconda guerra giudaica al termine della quale i romani (sotto l’imperatore Adriano) presero una
misura estremamente drastica: dispersero gli ebrei al di fuori della Palestina [la diaspora]4 al fine
di infrangere una volta per tutte la loro resistenza politica.
Da questo momento in poi gli ebrei non ebbero più una loro terra: comunità ebraiche sorsero
in moltissime parti dell’Impero romano, sia nelle zone europee sia nell’Africa del Nord e in
oriente, penisola arabica compresa. La decisione dei romani era stata dettata da ragioni politiche5,
non religiose, ma per gli ebrei si pose da allora il problema del mantenimento della loro identità
culturale e religiosa nelle nuove condizioni di dispersione.
Le origini
Per provare a capire qualcosa di quella che è probabilmente la “questione” più intricata della storia
contemporanea bisogna tornare indietro, al 1800. Dai tempi della rivoluzione francese, la
maggioranza dei paesi europei aveva soppresso le incapacità giuridiche e le ingiustizie sociali di
cui le comunità israelitiche avevano sofferto fin dal Medioevo6. In altri termini, gli ebrei erano
ormai giuridicamente sullo stesso piano degli altri cittadini, in quanto avevano lo stesso diritto di
votare, di presentarsi candidati alle elezioni, di muoversi liberamente, di esercitare qualunque
professione7.
In Russia, invece, quasi tutti gli ebrei erano costretti a vivere in tante aree, e incontravano
non minori ma crescenti difficoltà amministrative e giuridiche in questioni come il diritto di
scegliersi un mestiere. La politica zarista di matrice antiebraica conobbe una rinnovata
recrudescenza quando, dopo l’assassinio di Alessandro II nel 1881, una serie di violenti pogrom
(dal russo “devastazione” , il termine indica le sommosse popolari antisemite, fomentate dalle
4
Quella legata alle due guerre giudaiche è, propriamente, la seconda diaspora degli ebrei, la prima si era avuta tra
il 722 e il 568 a. C., cioè quando dopo una permanenza in Palestina durata più o meno mezzo millennio i due regni di
Israele (a Nord) e di Giuda (a Sud) erano stati conquistati dagli Assiri, prima, e dai Babilonesi poi e gli ebrei si erano
andati insediando sull’Eufrate, poi sul Tigri, in Ninive, quindi a Babilonia (esilio o cattività babilonese, tra il VII e il
VI sec.).
5 Animatori delle ribellioni contro il dominio romano furono gli zeloti, un movimento politico-religioso che – oltre
ad essere difensore dell’ortodossia e dell’integralismo ebraici (il nome deriva dal fatto di prendere a norma di vita lo
«zelo» per la Legge) - intendeva difendere anche a mano armata l’indipendenza politica del regno ebraico. Considerati
dai Romani alla stregua di terroristi e criminali comuni poiché si ribellavano con le armi alla presenza romana in
Palestina, nonostante godessero di libertà religiosa e di esenzione dal culto imperiale sia in Palestina sia in tutto il
territorio dell’impero, lo scontro era inevitabile.
6 «Prima dell’Ottocento – scrive Claudio Vercelli – le comunità ebraiche europee, sia ad Oriente che ad Occidente,
pur essendo parti costitutive del tessuto sociale avevano vissuto in una condizione di minorità. Il peso del pregiudizio
religioso di matrice cristiana, risalente al tardo Impero romano e poi diffusosi nel Medioevo, ne aveva condizionato gli
sviluppi. Un sistema articolato di interdizioni aveva impedito che alle minoranze ebraiche fossero garantite condizioni
di uguaglianza rispetto alla popolazione cristiana». (Claudio Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Editori
Laterza, 2010, p. 13). Unica “isola felice” per gli ebrei fu la Spagna durante la dominazione musulmana (secc. VIIIXV): gli arabi non facevano molte distinzioni fra cristiani ed ebrei, anzi si sentivano più vicini ai secondi per la rigida
concezione monoteistica e per la comunanza di alcune pratiche, come la circoncisione o i divieti alimentari. Ciò fece
sì che tra X e XIII secolo la cultura ebraica – filosofia, medicina, scienza – conoscesse nella penisola iberica una
straordinaria fioritura. Nei secoli successivi alla cacciata dalla Spagna e da tutti i suoi possedimenti europei, la storia
delle comunità ebraiche divenne storia di isolamento nei ghetti e di violenze subite. Poi la lenta integrazione a partire
dall’epoca illuministica.
7 «Se nella Francia della monarchia borghese di Luigi Filippo d’Orleans – leggiamo in Vercelli – l’emancipazione
fu riconfermata nel 1831, così come in Belgio e Olanda; in Svizzera ciò avvenne tra il 1866 e il 1874, in Austria nel
1867, in Inghilterra nel 1871, lo stesso anno della Germania, unificata sotto Guglielmo I. anche in Italia si dovette
attendere l’unificazione per uniformare il trattamento. Dopo il decreto emancipatorio del 1848, che interessò gli ebrei
del Regno di Sardegna, si pervenne alla totale completa parificazione nel 1870, con la definitiva caduta dello Stato
pontificio» (Claudio Vercelli, cit. p. 16). In quest’ultimo, il ghetto di Roma rimase infatti operante sino alla liberazione,
settembre 1870, della città.
autorità politiche e religiose, durante le quali si consumavano massacri e saccheggi)
attraversarono tutta la Russia occidentale. «L’inasprimento delle norme antigiudaiche giunse fino
al punto di impedire lo svolgimento delle attività artigianali, di accedere alle libere professioni,
di commerciare le bevande alcoliche, di lavorare nelle
campagne. Di fatto centinaia di migliaia di famiglie furono
costrette alla mendicità, entrando a far parte di un vasto
sottoproletariato urbano»8. Ciò provocò un processo
migratorio di ampie dimensioni che portò tantissimi ebrei a
lasciare la madrepatria per recarsi in paesi più ospitali9, tra
cui la Palestina, regione che allora, nel XIX secolo,
comprendeva l'intero territorio di Israele, Cisgiordania e
Striscia di Gaza e costituiva una società prevalentemente
musulmana (86%), ma anche cristiana (10%) ed ebrea
(4%).
Ai pogrom e alle persecuzioni verso gli ebrei in Russia, Theodor Herzl. Nato nel 1860 a
nel 1894 si aggiunge il famoso episodio del “caso Dreyfus”, Budapest da famiglia ebraica, esercitava la
propria attività di giornalista a Vienna
in Francia.
Di fronte a questa manifestazione di (dove si era trasferito per studiare diritto,
antisemitismo e ad altre che si diffondevano in altri paesi ma poiché processi e codici lo annoiavano
mortalmente preferì appunto il
europei, Theodor Herzl fu spinto a concepire l’idea di una giornalismo) quando nel 1894 esplose il
soluzione nazionale alla questione ebraica. Risultato di caso Dreyfus, la sua «via di Damasco».
questa «conversione» fu un piccolo libro, un pamphlet, dal Herzl, che paradossalmente era stato
sostenitore dell’ideale dell’assimilazione,
titolo Lo Stato Ebraico (Der Judenstaat), che Herzl si convinse infatti che gli ebrei avrebbero
pubblicò a Vienna nel 1896; in esso propugnava, appunto, potuto salvaguardare la loro identità
nazionale solo all’interno di un proprio
il progetto della riunificazione pacifica degli ebrei della stato. Sta in questo la sua innovazione
diaspora in una propria entità nazionale ispirata agli ideali rispetto ad altri precusori dell’idea
sionistica: egli fu infatti il fondatore del
democratici dei movimenti patriottici europeio del primo sionismo politico, perché in lui
l’aspirazione al ritorno in Palestina, nella
Ottocento.
Quale sede naturale dello stato ebraico Herzl pensava terra d’Israele, perdeva il carattere mistico
e religioso, nonché sociale, per diventare
alla Palestina10, ma inizialmente prese in esame altre ipotesi un progetto politico e laico. Morto il 3
quale l’Argentina del Sud (nei territori della Patagonia, luglio 1904, ad appena 44 anni, fu sepolto
a Döbling, Vienna, accanto al padre. Nel
disabitati a causa del clima), ma anche l’Uganda, 1950, in adempienza alle sue volontà
protettorato britannico dal settembre 1894. Nel 1897 (29 testamentarie, le sue ceneri vennero
traslate in Israele, a Gerusalemme. agosto) riuscì ad organizzare a Basilea il primo congresso
sionistico internazionale che, rifiutando la possibilità offerta dall’Argentina e dall’Uganda,
8
Claudio Vercelli, cit. p. 19.
Tra il 1881 e il 1914 «circa 2 milioni si recarono negli Stati Uniti, che all’epoca erano alla ricerca di manodopera
da impiegare nella colonizzazione dei territori. Non meno di 350 mila andarono invece a risiedere nell’Europa
occidentale. Una quota di molto minore, invece, ossia circa 70 mila ebrei, si recò nella Palestina ottomana» (Vercelli,
cit. p. 20).
10 «La Palestina - scrive Herzl in Lo Stato ebraico - è la nostra patria storica, che ci resterà sempre nel cuore. Questo
nome da solo sarebbe un segnale di adunata straordinariamente toccante per il nostro popolo. Se Sua Maestà il Sultano
ci concedesse la Palestina , ci potremmo impegnare, per sdebitarci, a risistemare le finanze della Turchia. In favore
dell’europa costruiremmo là una parte del vallo per difenderci dall’Asia, costituendo così un avamposto della cultura
contro la barbarie. Come Stato neutrale resteremmo in rapporto con tutta l’Europa, che dovrebbe garantire la nostra
esistenza».
9
definì il programma tendente alla creazione dello Stato ebraico in Palestina11. E negli stessi anni
iniziava l’immigrazione verso le terre palestinesi.
Finché i numeri dell'immigrazione restarono contenuti, la popolazione araba non reagì, le
cose cambiarono quando i sionisti iniziarono l'acquisto e l’occupazione di terre, che non potevano
più essere acquistate dalla popolazione araba. Nei primi dieci anni del 1900 nascono i primi
movimenti nazionalisti arabo-palestinesi con l'obiettivo di respingere quella che ormai sta
prendendo le forme di un'invasione.
La storia del sionismo (da «Sion», nome con cui si indicava la collina di Gerusalemme dove
sorgevano il Tempio e la parte più antica della città; successivamente venne a indicare
estensivamente la città stessa) e quella della stessa Palestina, ebbero un cambiamento radicale
connesso alla definitiva crisi del dominio ottomano (dominio durato per quattro secoli: la regione
era passata sotto il dominio ottomano nel 1517, anno in cui fu sottratta ai mamelucchi)12 e quindi
agli eventi della prima guerra mondiale, quando l’Inghilterra e la Francia impostarono con la
Palestina un triplice gioco politico. Le due potenze, infatti, dapprima negoziarono con lo sceriffo
(da sharif “nobile”) della Mecca, Hussein, la neutralità araba - poi trasformata in cobelligeranza
- con la promessa (ottobre 1915) di creare un “Grande regno arabo” indipendente, che avrebbe
abbracciato il territorio fra Egitto e Persia (quindi Arabia, Irak, Siria e Palestina); successivamente
si impegnarono con la dichiarazione Balfur (2 novembre 1917) a riconoscere il diritto degli ebrei
a costituire un focolare nazionale13 (national home) in Palestina (promettendo così
contemporaneamente questa regione sia agli arabi sia agli ebrei); nel frattempo, però, stipulavano
segretamente gli accordi Sykes-Picot (1916), con l’obiettivo di spartirsi in zone d’influenza l’area
mediorientale dopo la fine del periodo ottomano. Cosa che avvenne, sostanzialmente, al termine
della prima guerra mondiale, quando con il trattato di Sevres (1920) la Società delle nazioni pone
sotto “mandato” della Francia Siria e Libano e sotto quello della Gran Bretagna i territori
palestinesi.
È in questa fase che la situazione si complica ulteriormente: qual è stato davvero il ruolo della
Gran Bretagna? Lo scopo doveva essere quello di aiutare la popolazione locale alla “democrazia
liberale”, ovvero a formare le proprie istituzioni, al fine di preparare gli arabi di Palestina
all’indipendenza. Di fatto continuò a favorire l’immigrazione ebraica: negli anni '20 gli ebrei
sono ormai il 10% (84 mila) del totale, alla fine degli anni '30 gli ebrei sono oltre 400 mila.
11 Durante il Congresso di Basilea fu creata l’Organizzazione internazionale sionista, dalla quale nel 1901 ebbero
vita due particolari istituzioni - la Banca coloniale ebraica, una banca nazionale con centinaia di migliaia di azionisti,
e il Fondo nazionale ebraico, nato dall’abnegazione del popolo – finalizzate a finanziare l’acquisto di terreni collettivi
in Palestina e permettere in tal modo il ritorno degli ebrei in questa regione.
12 Dall’arabo mamluk, “schiavo”, il termine m. indicava una singolare casta militare originatasi nel corso del XII
secolo, quando i sovrani siriani ed egiziani per fronteggiare la minaccia dei mongoli e dei crociati allevarono
giovanissimi schiavi, per lo più turchi, e li addestrarono come soldati di professione. Successivamente i mamelucchi,
consci della propria forza, divennero una dinastia militare, che finì per spodestare gli antichi padroni: intorno al 1250,
infatti, dopo essersi impossessati di Siria ed Egitto, cacciarono i crociati dalla Palestina, diedero inizio a una massiccia
opera urbanistica, consolidando la presenza dell’islam nel Vicino Oriente con un gran numero di moschee, scuole
coraniche (madrasa), ospizi per pellegrini e monasteri. Tra il 1515 e il 1517 gli ottomani conquistarono prima l’Egitto
e la Siria, quindi la Palestina.
13 Il termine "focolare nazionale", impiegato al posto di un più esplicito "Stato" o "Nazione", era tuttavia ambiguo
e la dichiarazione specificava anche che non dovevano essere danneggiati "i diritti civili e religiosi delle comunità nonebraiche della Palestina". L'interpretazione della Dichiarazione Balfour sarà pertanto, fin dall'inizio, causa di attriti tra
la popolazione islamica preesistente (che temeva la costituzione di uno Stato ebraico) e i sionisti, che la interpretavano
invece come un appoggio, da parte del governo britannico, al loro progetto.
Il tutto mentre il Territorio Palestinese è sempre sotto la guida britannica. La situazione non fa
che complicarsi con il passare del tempo, con scontri sempre più accesi tra i gruppi paramilitari
dell'una o dell'altra fazione (il punto critico si raggiunse con i moti palestinesi del 1929, quando
alcune centinaia di sionisti marciarono sul Muro del pianto rivendicando il controllo di
Gerusalemme, e scatenando così la risposta da parte araba).
Nel 1936 ha inizio la prima rivolta palestinese contro il dominio britannico e le continue
immigrazioni ebraiche. L’anno successivo arriva una svolta nella politica britannica: nel
rapporto redatto da una Commissione reale presieduta da Lord Robert Peel (pubblicato il 7 luglio)
si dichiarava che i doppi impegni presi con ebrei ed arabi erano inconciliabili e che il conflitto fra
arabi ed ebrei è ormai “insopprimibile”, pertanto si avanzava la proposta di dividere la Palestina
in due, uno Stato ebraico al nord e uno Stato arabo al sud. Ma il rapporto Peel viene respinto sia
dall’Alto Comitato, che guida il movimento palestinese, sia dal XX Congresso sionista (Zurigo 317 agosto 1937) . E subito dopo riesplode la rivolta14: gli anni 1936-39 sono quelli della “grande
rivolta araba” in tutta la Palestina, in risposta all’appoggio inglese all’immigrazione ebraica;
rivolta che l’esercito inglese, sostenuto dall’Haganah e dall’Irgun, reprime duramente.
Nel 1939, però, alla risposta militare gli inglesi fanno seguire anche quella politica: al fine di
ovviare alla crescente anglofobia araba cambiano atteggiamento: la politica inglese in Palestina
si fa in buona misura filo-araba: nel loro nuovo Libro Bianco, infatti, provano a porre un freno
all'immigrazione, ponendo ancora cinque anni di tempo per gli ebrei che volessero raggiungere
la Palestina e in un massimo di 75 mila; inoltre limitano drasticamente il diritto degli ebrei di
acquistarvi terre15. Ciò fece sì, ovviamente, che gli ebrei già presenti in Palestina vedessero ora
come nemici non soltanto gli arabi, ma anche le autorità britanniche. Intanto, però, erano gli anni
di Hitler e delle persecuzioni antisemite in Europa: gli ebrei ignorano il Libro bianco16 e grazie
14 Se fino ad allora durante le rivolte arabe i coloni ebrei in genere non avevano dato luogo a rappresaglie in nome
della teoria dell’Havlaga (moderazione), nel novembre del ’37 all’ organizzazione clandestina paramilitare ebraica
creata nel giugno 1920, l’ Haganah (“difesa”: difesa degli immigrati ebrei in territorio palestinese), si aggiunse una
milizia della destra sionista, l’Irgun, che cominciò un’opera di sistematico terrorismo con lancio di bombe nei mercati,
fucilate contro gli autobus ecc. A proposito di questo gruppo paramilitare (la cui denominazione completa era Irgun
Zwai Leumi, “Organizzazione militare nazionale”, detto anche Bet Haganah, “Haganah non ufficiale” o Haganah
Leumit, “Difesa nazionale”), ricordiamo che nasce nel 1931 ad opera di Avram Tehomi in polemica con la politica
troppo moderata dell’Haganah e le sue propensioni socialiste. Programma della nuova organizzazione era la lotta
armata per costituire lo Stato del Grande Israele (Erez Israel) in Palestina. In occasione dello scoppio della “grande
rivolta palestinese” del ’36 nel gruppo dell’Irgun si ebbe - aprile ’37 - una spaccatura tra quanti (lo stesso Tehomi,
seguito da ca. la metà dei 3 mila combattenti) ritenevano di unirsi all’Haganah e di collaborare con le autorità
britanniche per far fronte comune dinnanzi agli attacchi arabi, e quanti invece, su posizioni radicali, rimasero nel
vecchio gruppo, che conservò il nome Irgun, impegnato a combattere sia gli arabi che gli inglesi. Una nuova spaccatura
nell’Irgun si ebbe nel giugno 1940 tra chi, ritenendo Hitler nemico numero uno del popolo ebraico, sosteneva la
necessità di collaborare con gli inglesi, e chi, ritenendo invece gli inglesi principale nemico (opinione rafforzata dalla
pubblicazione del libro bianco nel maggio ’39), si opponeva a tale scelta. A capo della prima posizione, maggioritaria,
era David Raziel, alla cui morte, il 20 maggio ’41, capo dell’Irgun divenne Menachem Begin (primo ministro di Israele
dal 1977 al 1983 e premio Nobel nel 1978); l’ala minoritaria, guidata da Avraham Stern, diede vita al “gruppo Stern”
(v. nota 22), che concentrò i suoi attacchi esclusivamente contro obiettivi britannici.
15 Nel Libro bianco, detto il “Libro bianco di MacDonald”, pubblicato il 17 maggio del ’39 «si affermava che
l’Inghilterra non voleva né creare uno stato ebreo, né uno stato arabo della Palestina e prevedeva la fine del mandato
per il 1949. In quell’anno si sarebbe accordata l’indipendenza alla Palestina con un governo diviso tra Palestinesi ed
Ebrei. L’immigrazione sarebbe terminata con l’immissione di 75.000 nuovi Ebrei nei successivi cinque anni e il
governo avrebbe regolamentato severamente il trasferimento delle terre» (Renata Ameruso, “La questione palestinese”,
in Percorsi di Storia, Editrice La Scuola, Brescia 2001, p.157).
16 Da segnalare che il XXI Congresso del sionismo, svoltosi a Ginevra nell’agosto 1939, rifiutò il Libro bianco
inglese, che limitava l’immigrazione ebraica in un momento drammatico.
all'appoggio degli Stati Uniti raggiungono in massa la futura Israele. Alla fine della seconda
guerra mondiale, gli ebrei sono il 30% del totale della popolazione (560.000 ebrei e 1.250.000
arabi).
La “questione” rimessa all’Onu
Nel febbraio 1947 la Gran Bretagna, provata dalla guerra mondiale e da una serie di attentati17,
decise di “internazionalizzare” il problema rimettendo il mandato palestinese nelle mani
delle Nazioni Unite, cui venne affidato il compito di risolvere l'intricata situazione. L'Onu dovette
quindi affrontare la situazione che dopo trent'anni di controllo britannico era diventata pressoché
ingestibile, visto che oramai la popolazione ebraica costituiva un terzo dei residenti in Palestina
(608 mila ebrei su una popolazione totale di 1.850.000), anche se possedeva solo una minima
parte (il 12%) del territorio.
Allo scopo di trovare una soluzione alla questione della Palestina fu creata l'UNSCOP (United
Nations Special Committee on Palestine), una Commissione incaricata dall’Assemblea generale
dell’Onu ad indagare sulle cause del conflitto in Palestina e
trovarne, spprattutto, una possibile soluzione. Essa
comprendeva 11 nazioni (Canada,
Cecoslovacchia,
Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay, India, Iran,
Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, Australia) da
cui erano escluse le nazioni "maggiori", per permettere una
maggiore neutralità.
Sette di queste nazioni (Canada, Cecoslovacchia,
Guatemala, Olanda, Perù, Svezia, Uruguay) votarono a
favore di una soluzione con due Stati divisi e Gerusalemme
sotto controllo internazionale, tre per un unico stato
federale (India, Iran, Repubblica Socialista Federale di
Jugoslavia), e una si astenne (Australia).
Nella sua relazione l'UNSCOP si pose il problema di
come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla Spartizione della palestina. Nella 181 al futuro Stato ebraico
conclusione che era "manifestamente impossibile", ma che risoluzione
viene assegnata una porzione di territorio
era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una di 14 mila km² di ampiezza, comprendente
una popolazione di 558 mila ebrei e 405
delle due posizioni. L'UNSCOP raccomandò anche che la mila arabi. Allo Stato arabo, imvece, erano
Gran Bretagna cessasse il prima possibile il suo controllo attribuiti 11.500 km², con 804 mila arabi e
10 mila ebrei. Oltre che più esteso di
sulla zona, sia per cercare di ridurre gli scontri tra la quello previsto per lo Stato arabo, lo Stato
popolazione di entrambe le etnie, sia per cercare di porre ebraico disponeva delle terre migliori. fine agli attriti presenti tra le comunità ebraiche e il governo mandatario.
17
La Gran Bretagna «aveva più soldati in Palestina che nel subcontinente indiano ed era stata coinvolta,
costantemente, in scontri diretti con entrambe le leadership. […] Non fu comunque – scrive Ilan Pappe – il terrore a
cacciare i britannici. L’inverno particolarmente rigido del 1946-1947 e l’atteggiamento rigoroso degli americani nei
confronti del debito britannico innescarono una crisi economica che spinse la Gran Bretagna ad avviare un limitato
processo di decolonizzazione, prevalentemente in India e in Palestina» (Ilan Pappe, Storia della Palestina moderna.
Una terra, due popoli. Einaudi, Torino 2005, p.148).
La creazione dello Stato d’Israele
La definitiva risposta da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite alla questione palestinese
fu data il 25 novembre 1947, giorno in cui fu messa ai voti la proposta della divisione della
palestina; proposta che ottenne la maggioranza. E così dopo aver discusso come operare questa
divisione il 29 novembre 1947 fu approvata – sulla base del piano di maggioranza UNSCOP - la
risoluzione 181 (che ottenne 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astenuti)18 con la quale si
raccomandò la spartizione del territorio conteso tra uno Stato arabo-palestinese, uno ebraico e una
terza zona, che comprendeva Gerusalemme, amministrata direttamente dall'Onu. Nel decidere su come spartire il territorio - va detto - l'UNSCOP considerò, per evitare
possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la necessità di radunare tutte le zone dove
i coloni ebraici erano presenti in numero significativo nel futuro territorio ebraico, a cui venivano
aggiunte diverse zone disabitate (per la maggior parte desertiche) in previsione di una massiccia
immigrazione dall'Europa, per un totale del 56% del territorio. Le reazioni alla risoluzione
dell'Onu furono diversificate: la maggior parte dei gruppi ebraici l'accettò, pur lamentando la non
continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo stato ebraico. Gruppi più estremisti la
rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che era considerata
"la Grande Israele" e al controllo internazionale di Gerusalemme. Tra i gruppi arabi la proposta
fu rifiutata, ma con diverse motivazioni: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione
di uno stato ebraico, altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i
territori assegnati alla popolazione araba (oltre al fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto
sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea, quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona),
altri ancora erano contrari per via del fatto che a quella
che per ora era una minoranza ebraica fosse assegnata
la maggioranza del territorio.
Le nazioni arabe fecero ricorso alla Corte
Internazionale di Giustizia19, sostenendo la non
competenza dell'Assemblea delle Nazioni Unite nel
decidere la ripartizione di un territorio andando contro
la volontà della maggioranza dei suoi residenti, ma il
David Ben Gurion (1886-1973) a Tel Aviv, città
ricorso fu respinto. La decisione delle Nazioni Unite fondata dagli ebrei nel 1909, alla presenza dei
del Consiglio nazionale ebraico proclama
fu seguita da un'ondata di violenze senza precedenti delegati
la costituzione dello Stato d’Israele. Nella
da parte dei gruppi militari e paramilitari, sionisti e proclamazione di indipendenza sottolinea, tra
l’altro, il legame storico tra gli Ebrei e la
arabi, che fece precipitare nel caos la Palestina nel Palestina: «La terra di Israele fu la culla del
1948. Nel medesimo anno Londra ritirò le proprie popolo ebraico. Qui fu formata la sua entità
spirituale, religiosa e nazionale».
truppe, lasciando così il Paese in balia del caos e dei
gruppi paramilitari. Le organizzazioni combattenti israeliane (che miravano a conquistare il
18
Fra le 33 nazioni che diedero l’assenso alla risoluzione 181 vi erano Usa e Urss, mentre tra quanti si astennero
nella votazione ci fu (oltre a Cina e Jugoslavia, tra gli altri) anche la Gran Bretagna, la quale riteneva che il piano di
divisione si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il
14 maggio 1948.
19 La Corte Internazionale di Giustizia (da non confondere con la Corte di giustizia, organo dell’Unione europea
creato nel 1952) è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Fondata nel 1945, con sede nel Palazzo della
pace all’Aia (Paesi Bassi), la sua principale funzione è quella di dirimere le dispute fra Stati membri delle Nazioni
Unite.
maggior territorio possibile per il proprio Stato, inducendo alla fuga ed espellendo i residenti
arabi) e le forze arabe (che miravano a conquistare la totalità del territorio assegnato all'etnia
ebraica, di fatto espellendola e bloccando ogni futura immigrazione) si scontrarono così col
massimo della violenza e dell'odio reciproco, il tutto ai danni dell'indifesa popolazione rurale e
urbana palestinese di entrambe le etnie20.
La prima guerra arabo-israeliana
Il 14 maggio ’48, ultimo giorno del mandato britannico, David Ben Gurion, presidente
dell’Agenzia Ebraica (l’organizzazione sionista creata negli anni Venti per facilitare
l’immigrazione degli ebrei in Palestina e che nel corso del tempo divenne una specie di “governo
ombra” della comunità ebraica in Palestina sotto il mandato britannico), proclamò la nascita dello
“Stato ebraico in terra di Israele” e gli Stati arabi, che non volevano riconoscere la presenza
dell’«intruso», reagirono subito attaccandolo militarmente.
Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano e Siria (paesi membri della
Lega araba, fondata al Cairo il 22 marzo nel 1945 allo scopo di
rinsaldare la solidarietà panaraba) riunirono i propri eserciti
sotto un unico comando e invasero Israele. Cominciava così la
prima delle molteplici guerre arabo-israeliane. Il segretario della
lega araba, Rahman Azzab (Pascià), dichiara: “Sarà una guerra
Folke Bernadotte. Uomo politico e
di sterminio” e “Non importa quanti sono gli ebrei. Li diplomatico svedese, il 20 maggio
ributteremo a mare”. Dopo gli effimeri successi iniziali delle 1948 (sei giorni dopo la dichiarazione
di indipendenza di Israele), prese
truppe arabe, «la prima guerra arabo-israeliana (maggio ’48- l'incarico di mediatore delle Nazioni
gennaio ’49) si risolse però con la sconfitta delle forze arabe mal Unite in Palestina. Il suo mandato era
di “promuovere un pacifico
equipagiate e mal coordinate fra loro, e segnò la definitiva aggiustamento della futura situazione
in Palestina” e permettere un
affermazione del nuovo Stato ebraico. […]
negoziato oltre i termini del Piano di
Con la guerra del ’48, lo Stato ebraico si ingrandì rispetto al Spartizione. Riuscì ad imporre un
piano di spartizione dell’Onu, occupando anche la parte paio di tregue, ma nulla di più. Il 17
settembre, dopo aver fermato il suo
occidentale di Gerusalemme. La Transgiordania – che mutò il convoglio – composto di tre auto –
suo nome in quello di Giordania – incamerò i territori occupati ad un blocco stradale a Gerusalemme
Ovest, controllato dagli ebrei, un
dalle sue truppe durante il conflitto, sottraendoli all’ipotizzato gruppo di estremisti sionisti della
Stato arabo di Palestina. Quest’ultimo non vide la luce. Un banda Stern, ostili ad ogni sua
proposta di rinegoziazione, lo uccise
milione di profughi arabi abbandonarono i territori occupati da insieme ad un ufficiale francese
Israele e ripararono nei paesi vicini, per lo più la Giordania. seduto al suo fianco.
Cominciò così il dramma palestinese, sul quale si sarebbe concentrato da allora il conflitto araboisraeliano»21. 20 Fra il 30 novembre 1947 e il 1° febbraio 1948 furono uccisi 427 arabi, 381 ebrei e 46 britannici, mentre il numero
dei feriti ammontò a oltre 1000 arabi, 725 ebrei e 135 britannici. Il 19 marzo 1948, in seguito all’ampiezza dei disordini
e per evitare un bagno di sangue, il delegato americano chiese al Consiglio di sicurezza dell’Onu di sospendere la
spartizione e il 1° aprile il consiglio di sicurezza votò all’unanimità una tregua e decise di convocare per il 16 aprile
una sessione speciale dell’Assemblea generale sulla questione palestinese, ma il 4 aprile forze miste delle
organizzazioni terroristiche paramilitari sioniste Irgun e Stern passarono all'attacco (è del successivo 9 aprile la
distruzione del villaggio arabo di Deir Yassin, nei pressi di Gerusalemme, con un numero di morti che secondo le fonti
varia da 100 a 250. Al di là del numero di morti , si trattò di uno degli episodi di terrorismo finalizzati a seminare panico
tra gli arabi palestinesi e a farli fuggire “finché si era in tempo”. Certo è che dopo Deir Yassin il numero di profughi
palestinesi passò da 60.000 a 350.000 in un solo mese).
21 A.Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, Nuovi profili storici, Vol. 3, tomo due, Ed. Laterza, 2012, pp. 612-613.
Un episodio avvenuto a pochi mesi dall’inizio della guerra che merita di essere ricordato è
l’uccisione dell’inviato dell’Onu in Palestina come mediatore, Folke Bernadotte (1895-1948),
conte di Wisborg. Inviato nella regione il 29 maggio ’48, Bernadotte era intento ad approntare
un nuovo piano di spartizione della Palestina che venisse accettato da entrambe le parti e che
prevedeva una qualche riduzione della parte di territorio che era stato assegnato a Israele. Ma
nessuna sua proposta viene accettata. In particolare Israele non ammetteva di discutere la
limitazione delle immigrazioni ebraiche e il rientro dei rifugiati palestinesi che in settembre
Bernadotte impose a Israele con l’obbligo di ricostruire le loro abitazioni. Pochi gioni dopo (il 17
settembre) Bernadotte viene ucciso a Gerusalemme assieme al suo assistente da terroristi ebrei
del gruppo Stern22.
L’assassinio di Bernadotte oltre che «la caduta di prestigio internazionale di Israele […] comportò
i primi urti con le Nazioni Unite sino
I confini tracciati da Israele
ad allora apertamente filosioniste»23. alla fine del primo conflitto
comprendevano
il 78% del
Gli accordi armistiziali firmati a
Rodi
territorio della Palestina
Rodi
separatamente,
pur
non
costituendo
mandataria,
ovvero il 50%
in più di quanto le
costituendo trattati di pace (poiché i
paesi, garantivano il
concedeva il piano di
spartizione
dell’Onu. La il
Paesi
arabi
continuavano
a
considerarsicessate
striscia di Gaza e la
considerarsi in guerra con gli ebrei),
gara
Cisgiordania
furono
occupate
rispettivamente
garantivano il cessate il fuoco tra i
contendenti.
Il primo di
da Egitto e Transgiordania;
contendenti. Il primo di essi fu
Gerusalemme divisa tra
giordani e israeliani: la
stipulato con l’Egitto (24 febbraio
zona assegnata agli arabi
1949), quindi si sucedettero quelli
palestinesi non esiste più.
firmati con il Libano (23 marzo), con
la Transgiordania (3 aprile) e, infine, il
20 luglio quello firmato con la Siria24. Nel corso dei combattimenti Israele aveva perso 6.373
persone (circa 4 mila militari, la parte millitari, la parte restante civili). I morti in campo arabo
22 Il gruppo Stern (o «Stern Gang», come preferivano chiamarla gli inglesi per sottolinearne la metodologia
terroristica) era una formazione paramilitare sionista che seminò il terrore prima tra i britannici, poi tra la popolazione
palestinese. Prese il nome da Avraham Stern che dopo aver militato nell'Irgun ne uscì, nel 1940, con un gruppo di
seguaci contrari alla collaborazione con la Gran Bretagna (considerata da Stern il principale nemico degli ebrei,
specialmente dopo la pubblicazione, nel maggio ’39, del libro bianco) durante la Seconda guerra mondiale;
collaborazione decisa dai sionisti e accettata dalla stessa Irgun oltre che dalla Haganah. Diversamente da queste ultime,
finanziate dall'Agenzia ebraica e da ebrei ricchi della Palestina e degli Usa, il gruppo Stern, privo di risorse, ricorreva
alle rapine per procurarsi fondi; braccato da britannici e sionisti, lo stesso fondatore venne ucciso nel 1942 dalla polizia
inglese. I suoi seguaci si riorganizzarono e continuarono le operazioni antibritanniche, arrivando a uccidere in un
attentato al Cairo (6 novembre 1944) il responsabile di Londra per il vicino Oriente, lord Moyne. Dopo aver compiuto
altre clamorose imprese antibritanniche, nel 1946 (22 luglio) la banda Stern (assieme all’Irgun) attuò l’attentato
dinamitardo alla sede del comando britannico nel King David Hotel di Gerusalemme, provocando 91 morti. Da ultimo,
col nuovo nome di Lehi (acronimo di “Combattenti per la libertà d’Israele”) si rese protagonista del massacro (9 aprile
’48) di un intero villaggio palestinese: Deir Yassin. Tra le vittime - un numero imprecisato tra 120 e 250 persone - si
contano un grande numero di anziani, donne e bambini. Il crimine venne condannato dall’Haganah, la principale forza
paramilitare ebraica. Dopo la nascita dello Stato di Israele la maggior parte dei suoi uomini, come pure quelli
dell’Irgun, entrarono nella Haganah, o meglio nelle Forze armate israeliane, note con l’acronimo IDF (“Forze di Difesa
Israeliane”).
23 Ilan Pappe, cit., pp. 165-166.
24 Frattanto lo Stato di Israele era stato riconosciuto sia da tutti gli Stati occidentali, sia dall’Unione Sovietica, e
l’11 maggio 1949 esso fu riconosciuto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e accolto come stato membro.
Viceversa il previsto Stato arabo non vide mai la luce.
non sono mai stati contati ma le stime variano da un minimo di 5 mila a un massimo di 15 mila
vittime.
Profughi arabi: di chi la responsabilità?
L’esodo dei palestinesi, alla fine della prima guerra, verso i Paesi arabi che li ospitarono fu causato
da Israele che, cacciandoli da casa loro, ne fece dei profughi o piuttosto fu voluto e incentivato
dai più importanti capi politici e religiosi arabi? Più brevemente: espulsione o fuga volontaria
istigata dai leader arabi? Su tale annosa questione esistono, ovviamente, due versioni, quella
israeliana e quella araba. A esemplificazione
della prima riportiamo il parere di Indro
Montanelli, storico e giornalista che non ha
mai nascosto la sua linea filoebraica. «Il primo
esodo degli arabi palestinesi avvenne nel 1947
quando l’Onu riconobbe lo stato di Israele. Ma
a provocarlo – scrive il grande giornalista25 non furono gli israeliani. Furono gli stati arabi
circonvicini che, coalizzati per schiacciare
Israele sul nascere, alluvionarono i confratelli Profughi palestinesi abbandonano la loro terra
palestinesi di messaggi radiofonici, invitandoli
a raggiungere il loro esercito che li avrebbe ricondotti in patria da vincitori e vendicatori. I
palestinesi ci credettero, partirono in massa, e dopo la disfatta rimasero fuori di casa. Da allora
sono trascorsi venticinque anni. Che cosa hanno fatto, gli Stati arabi, di questa povera gente, dopo
averla adescata ad abbandonare il loro focolare?
E’ un problema – continua Indro Montanelli - su cui mi sento di pronunciare un giudizio
obbiettivo e di prima mano perché l’ho studiato sul posto, facendo a più riprese il giro dei campi
di concentramento in cui i governi egiziano, giordano siriano e libanese avevano ammassato gli
sciagurati profughi. E’ vero: erano, anzi sono ghetti, nei quali non può incubare la disperazione.
Perfino il visitatore ne veniva contagiato. Ricordo che al termine della mia prima visita, andai
indignato a parlare coi rappresentanti delle Nazioni Unite per chiedere come mai queste non
facevano nulla per alleviare le condizioni di quei disgraziati. «Nulla?» mi risposero. E mi
mostrarono l’elenco degli aiuti, in materiali e in denaro, distribuiti fino allora. Non ne ho qui sotto
mano i dati. Ma chiunque voglia non farà fatica a recuperarli. E si tratta di cifre che avrebbero
consentito un’esistenza più che decente a una popolazuione anche doppia. A un patto si capisce:
che quegli aiuti arrivassero a destinazione. E questo era l’inghippo che non mi fu difficile
appurare, un po’ perché era abbastanza scoperto, un po’ perché nei Paesi arabi una mancia ha il
potere di sciogliere qualsiasi lingua.
Le Nazioni Unite, è ovvio, non potevano distribuire direttamente gli aiuti a i profughi.
Dovevano passare attraverso i governi degli Stati che li ospitavano e che si guardavano bene dallo
smistarli ai destinatari. Tutta la borsa nera di generi alimentari, vestiario, medicinali ecc., che
25
Indro Montanelli, “Quel no di Israele”, in Domenica del corriere del 26 settembre 1972. fioriva (e come fioriva!) al Cairo, ad
Amman, a Damasco, a Beirut, era
alimentata da questi soccorsi. E quanto al
denaro, quello che non scompariva in tasca
ai funzionari locali, finiva in armamenti
per la grande rivincita, che poi si è
conclusa come sapete.
Tutto questo avveniva non soltanto per
la disorganizzazione e la corruzione, che
non sono (noi ne sappiamo qualcosa)
un’esclusiva dei Paesi arabi, ma che nei
Paesi arabi trovano la loro sublimazione;
ma anche perché questi paesi si volevano
di proposito, lasciando i profughi nella
loro miseria, alimentare il potenziale di
odio che essi poi contavano di rovesciare
contro Israele»26.
Quella di Montanelli è - per così dire
Indro Montanelli. «Che i profughi palestinesi siano delle
- la “versione filoisraeliana” della povere vittime, non c’è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi,
questione dei profughi palestinesi. A fronte non d’Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne
hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto
di essa sta, ovviamente, quella degli storici apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo
allegramente e di loro propria scelta. Oggi,
palestinesi e arabi, per i quali si trattò di vendettero
ubriacato da una propaganda di stampo razzista e
una espulsione bella e buona. Secondo nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l’odio
che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo
loro, la maggioranza dei rifugiati (valutati sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell’altro,
fra i settecentomila e i novecentomila) fu bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i
responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli
costretta a partire nel corso degli scontri fra «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e
israeliani e palestinesi e poi della guerra giuridicamente falso» (Indro Montanelli, Corriere della Sera,
16 settembre 1972).
arabo-israeliana, nel quadro di un piano
politico-militare d’espulsione contrassegnato dai massacri.
La versione dei “nuovi storici” israeliani
Ma quel che merita qui di essere registrato è il fatto che già negli anni ’50, e soprattutto dopo la
seconda metà degli anni ’80, alcune stesse personalità israeliane, in particolare i due giornalisti e
ricercatori Ilan Pappe e Benny Morris (definiti i “nuovi storici”), hanno contestato la versione
26
A Montanelli, in questa sua lettura dei fatti, fa eco Sergio Romano secondo il quale è vero che «i vincitori [della
prima guerra palestinese] incoraggiarono e talora provocarono l’esodo arabo»; ma è altresì vero che «i Paesi “fratelli”
che li ospitarono non fecero quasi nulla per integrarli nella loro società. Due di essi, in particolare, Siria e Giordania,
aspiravano al possesso della Palestina e avevano interesse a coltivare nei rifugiati la rabbia per la terra perduta e la
speranza del ritorno» (Sergio Romano, Come e quando nacque la nazionalità palestinese, Corriere della sera, 7 marzo
2006).
fornita dalla storiografia israeliana “ufficiale” o, se si
preferisce, tradizionale, rivisitando in chiave non-sionista la
storia di Israele.
Della nuova “versione” dei fatti storici relativi all’esodo
palestinese prodotta dai due citati autori israeliani,
riportiamo una sintesi della ricostruzione fattane dallo
storico francese Dominique Vidal nel suo libro, pubblicato
nel 1998, Il peccato originale d’Israele.
«Pur con opinioni e metodi diversi - scrive Vidal - ciò
che unisce questi intellettuali è l’obiettivo di rivedere il mito
della storia d’Israele, per ristabilire la verità sull’esodo dei
palestinesi. Il che, ovviamente, è abbastanza per attirare l’ira
degli storici tradizionali. Ciò che stimola queste ricerche è
l’apertura degli archivi israeliani pubblici e privati. Per
Ilan Pappe. Nato ad Haifa nel 1954, è un
intellettuale e storico di sinistra,
antisionista, uno dei più noti
rappresentanti della “Nuova storiografia
israeliana”. A proposito dell’esodo
palestinese del 1948 sostiene,
dissentendo dalle tesi più caute di Benny
Morris, che si è trattato di un’operazione
di “pulizia etnica”, conseguenza di una
politica pianificata da Ben Gurion e
messa in opera dai suoi consiglieri;
politica applicata fin dal dicembre del
1947, ben prima quindi della
proclamazione dello Stato d'Israele. Più
specificamente, condivide l'opinione
degli storici palestinesi, in particolare
quella di Walid Khalidi, secondo cui il
Piano Daleth sarebbe stato "un progetto
di distruzione della società palestinese”.
contro, i ricercatori sembrano ignorare interamente gli
archivi degli Stati arabi così come la memoria orale dei
palestinesi che altri intanto hanno cominciato a raccogliere.
Ma ciò è sufficiente per contraddire la tesi tradizionale
che descrive una debole comunità ebrea di Palestina male
armata, minacciata di sterminio da un mondo arabo unito e
superarmato: Davide di fronte a Golia. Al contrario i “nuovi
storici” sono d’accordo nel porre in rilievo la
decomposizione della società palestinese, le divisioni del
mondo arabo e l’inferiorità delle sue forze armate, il vantaggio strategico rappresentato per Israele
dall’accordo con l’emiro Abdallah di Transgiordania, l’appoggio della Gran Bretagna e il
sostegno degli Stati Uniti e dell’’Unione
Sovietica, la simpatia dell’opinione pubblica
mondiale ecc.
Se durante le prime settimane che
seguirono l’adozione del piano di spartizione
della Palestina il carattere volontario della fuga
di migliaia di Palestinesi agiati è fuor di
dubbio, che cosa avvenne in seguito? Nelle
prime pagine di The Birth of the Palestinian
Refugee Problem, Benny Morris scrive: “Non
esiste una prova che attesti che gli Stati arabi e
l’Alto Comando Arabo desiderassero un esodo
di massa o che essi avessero pubblicato una
direttiva generale o appelli che invitavano i
Palestinesi a fuggire. Anche se, in certe zone,
gli abitanti di villaggi specifici ricevettero dagli
Benny Morris. Nato l’8 dicembre 1948, è uno dei più
influenti rappresentanti dei Nuovi Storici post-sionisti, un
gruppo di ricercatori universitari che ha rimesso in
discussione alcune visioni dei conflitti arabo-israeliani.
Relativamente all’esodo palestinese Morris, a differenza
di Ilan Pappe, propone un sistema più articolato di cause:
esso appare come dovuto alla contemporanea
congiunzione di una pluralità di cause (dallo storico
analizzate puntualmente).
arabi l’ordine di partire essenzialmente per ragioni strategiche”. Al contrario, i fuggiaschi erano
minacciati di punizioni severe.quanto alle famose esortazioni alla fuga diffuse dalle radio arabe,
l’ascolto dei loro programmi registrati dalla BBC, dimostra che furono semplicemente inventate
per fini di propaganda. Benny Morris analizza in dettaglio la prima fase dell’esodo grazie al
rapporto redatto dai Servizi d'informazione dell’esercito israeliano del 30 giugno 1948. Questo
documento stima 391.000 Palestinesi che avevano
lasciato i territori e valuta le ragioni della loro
partenza: il 73% dei casi è provocato direttamente
dagli Israeliani e solo il 5% dei casi è dovuto agli
appelli arabi alla fuga. La conclusione di Morris è che
gli ebrei condussrero in modo premeditato e
sistematico una campagna che mirava all’espulsione
completa della popolazione palestinese autoctona27.
Il governo israeliano sviluppò per giunta una
politica inflessibile per impedire ad “ogni costo” termine usato dallo stesso Ben Gurion - il ritorno dei
rifugiati, cosa che l’Assemblea delle Nazioni Unite
esigeva dall’11 dicembre 194928. I villaggi furono Dominique Vidal. Saggista francese (è nato a
Parigi nel 1950) di origine ebraica, è animatore
distrutti o occupati da emigranti ebrei, le terre divise in Francia e altrove del dibattito sulle vicende
tra nomadi Kibboutzim. La legge sulla proprietà ebraico-europee e sul conflitto israelopalestinese. Il testo riportato sulle posizioni dei
abbandonate legalizzò questa confisca generalizzata. “nuovi storici” israeliani è parte di una relazione
Circa 400 borgate arabe furono cancellate dalla carta o tenuta da Vidal a Parigi nel 2003.
ebreizzate come la maggior parte dei quartieri arabi delle città miste.
Secondo un bilancio del 1952, Israele mise le mani su 73.000 stanze nelle case abbandonate,
7.800 negozi, botteghe e magazzini, 5 milioni di libri palestinesi, conti in banca e soprattutto su
300.000 ettari di terra. L’allora direttore del dipartimento fondiario del Fondo Nazionale Ebraico,
Yosef Weitz, ebbe un ruolo fondamentale in questa situazione. Nel 1948 orchestrò l’espulsione
dei palestinesi con la costituzione di un comitato che doveva supervisionare la distruzione dei
villaggi abbandonati o il ripopolamento con nuovi immigrati ebrei, e infine impedire il ritorno dei
rifugiati.
27 A sostegno della tesi secondo la quale l’espulsione dei palestinesi fu premeditata, si cita il cosiddetto piano Dalet
(“Piano D”), di cui è ritenuto padre il Primo ministro israeliano David Ben Gurion. Il piano, che rappresenterebbe una
strategia d’espulsione degli arabi dalla Palestina, non sarebbe stato concepito all’improvviso: l’espulsione era
considerata uno dei tanti mezzi di rappresaglia dopo gli attacchi arabi contro i convogli e gli insediamenti ebrei. Il testo
stesso del Piano D non lascia nessun dubbio sulle intenzioni di Ben Gurion e dei suoi amici. Esso prevede «delle
operazioni contro i centri della popolazione nemica situati nel seno del nostro sistema di difesa o in prossimità, al fine
di impedire che siano utilizzati come basi di una forza armata attiva. Queste operazioni possono essere condotte nei
modi seguenti: distruggendo i villaggi (appiccando fuoco o la dinamite e deponendo le mine nei resti) oppure
conducendo operazioni di rastrellamento secondo le linee direttive seguenti: accerchiamento del villaggio e indagine
all’interno. In caso di resistenza, la forza armata deve essere annientata e la popolazione espulsa subito dalle frontiere
dello stato». Il piano Dalet pare sia stato messo in atto, tra il dicembre 1947 e il maggio ’48, dalle due organizzazioni
paramilitari ebraiche, la Banda Stern e l’Irgun, che non accettarono (a differenza dell’autorevole Agenzia Ebraica, che
accettò in pieno la risoluzione 181) né l’idea di uno Stato arabo limitrofo ad Israele, né la rinuncia a Gerusalemme.
28 Si tratta certamente di un refuso tipografico; il riferimento è infatti alla risoluzione 194 dell’Assemblea generale
dell’Onu dell’11 dicembre 1948 che stabiliva, appunto, il «ritorno dei profughi nelle loro case alla prima data possibile»
ed eventuale indennizzo «per le proprietà di coloro che scelgono di non tornare»; ma l’esortazione era destinata a
rimanere lettera morta.
Questa è la conclusione a cui pervengono i “nuovi storici” israeliani. Bisogna dunque
sottolineare il coraggio di cui hanno dato prova. Perché questa non è una pagina di storia come le
altre. Ciò che è stato messo a nudo è il “peccato originale” d’Israele. Il diritto dei sopravvissuti al
genocidio hitleriano a vivere sicuri in uno Stato doveva escludere quello delle figlie e dei figli
della Palestina a vivere, anch’essi, in pace nel loro Stato?»29.
Bibliografia
Claudio Vercelli, Storia del conflitto israelo-palestinese, Editori Laterza, 2010
Ilan Pappe, Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli. Einaudi, Torino 2005.
Renata Ameruso, “La questione palestinese”, in Percorsi di Storia, Editrice La Scuola,
Brescia 2001.
A. Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, Nuovi profili storici, Vol. 3, tomo due, Editori Laterza,
Roma-Bari 2012.
M. Palazzo – M. Bergese, “I palestinesi se ne andarono o vennero espulsi?”, in Clio
Magazine, Vol. 3B, Editrice La Scuola, Brescia 2003.
29 Il lungo testo qui riportato, relativo alla “versione dei nuovi storici israeliani”, nella ricostruzione fatta da Vidal,
è tratto da: M. Palazzo – M. Bergese, Clio Magazine, Vol. 3B, Edistrice La Scuola, Brescia 2003, pp. 122-123.