Capitolo 69.fm Page 1899 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM CAPITOLO Augusta Balzarini Salvatore Ferla 69 Principi di riabilitazione del paziente oncologico Introduzione Le recenti acquisizioni nella prevenzione e nella diagnosi precoce dei tumori, il miglioramento delle tecniche chirurgiche e l’impiego di nuovi farmaci chemioterapici hanno portato a un incremento significativo dei sopravvissuti e a un aumento della vita media dei pazienti con patologie tumorali. Di pari passo è aumentata l’attenzione alle problematiche funzionali legate agli esiti dei trattamenti causali e all’evoluzione della malattia oncologica. La riabilitazione è diventata in questi anni parte integrante dell’iter terapeutico del paziente, fornendo gli strumenti più idonei per la prevenzione e la cura delle sequele iatrogeniche, per il recupero delle funzioni lese, per la riduzione degli esiti cronici, per il miglioramento del benessere fisico, per l’acquisizione di nuove abilità e di nuovi equilibri psicofisici, per la riscoperta di potenzialità residue e per il mantenimento di una qualità di vita al più alto livello possibile. Il cancro e i trattamenti conseguenti (chirurgia, chemioterapia, radioterapia) sono responsabili in una percentuale rilevante di pazienti di lesioni anatomiche più o meno importanti (dovute al coinvolgimento diretto o indiretto di strutture vascolari, muscolari, nervose, ossee) che in molti casi determinano danni funzionali invalidanti e permanenti (compromissione della funzione respiratoria, fonatoria, deglutitoria, minzionale, deambulatoria, ecc.). A questi vanno aggiunte le problematiche psicologiche indotte dalla diagnosi di cancro e dovute alla paura della morte e dell’evoluzione della malattia, alla perdita dell’integrità psico-corporea, al disfiguramento, ai cambiamenti della relazione con il partner e i familiari, alla perdita del proprio ruolo all’interno della famiglia e nell’ambito sociale e lavorativo. Tutti questi aspetti, insieme alla valutazione funzionale del paziente e dello stato di malattia, vanno tenuti in considerazione nella definizione del programma riabilitativo che sarà di necessità individuale e multidisciplinare, coinvolgendo a seconda dei bisogni più figure professionali (fisiatra, fisioterapista, linfologo, neurologo, ortopedico, psicologo, tecnico ortopedico, logopedista, enterostomista, assistente sanitario, ecc.). La conoscenza delle caratteristiche della neoplasia (tipo istologico, sede, stadio, possibilità terapeutiche, prognosi, ecc.) è di estrema importanza dal momento che lo stato di malattia può condizionare il lavoro riabilitativo e richiedere adeguamenti del programma, degli obiettivi e delle scelte terapeutiche. Diversi saranno infatti gli interventi e le finalità nei pazienti a buona prognosi (in cui sarà previsto un trattamento intensivo di carattere funzionale) rispetto a quelli con limitata aspettativa di vita (in cui il trattamento potrà essere esclusivamente di tipo palliativo). Una corretta valutazione clinico-funzionale è sempre necessaria e va effettuata durante tutto l’iter della malattia per meglio adattare l’intervento riabilitativo all’evolversi della patologia e ai bisogni del paziente. Indispensabile quindi una valutazione delle condizioni generali del paziente, delle patologie concomitanti, un esame muscolare e articolare completo ma con particolare riguardo al territorio sede della neoplasia, una analisi dei deficit precoci e tardivi, una valutazione della postura generale, delle modalità di carico, della tipologia di deambulazione, della presenza di dismorfismi/paramorfismi a carico della colonna e degli arti, della dinamica respiratoria di base, delle funzioni cognitive, delle abilità e capacità a svolgere attività complesse. Particolare attenzione dovrà essere posta anche alla valutazione della personalità del paziente, al suo ruolo sociale e lavorativo, alle aree di maggiore interesse, alle motivazioni e alle aspettative, al grado di collaborazione, alle potenzialità che saranno di grande aiuto per lo sviluppo di strategie alternative in caso di deficit funzionali permanenti. Sulla base di tutti questi dati il fisiatra insieme al fisioterapista e al paziente potrà definire il programma riabilitativo, le modalità e il tipo di intervento, i tempi e le possibilità di recupero, coadiuvato quando necessario dagli altri componenti dell’équipe. Data l’ampiezza dell’argomento – ogni neoplasia si presenta infatti con quadri riabilitativi peculiari – abbiamo scelto di prendere in considerazione quelli di maggiore interesse riabilitativo e di più frequente osservazione nella pratica clinica. Neoplasie della mammella L’introduzione di tecniche chirurgiche meno demolitive, il ricorso sempre più frequente alla metodica della biopsia del linfonodo sentinella (BLS), la riduzione delle dosi e dei campi di radioterapia, la maggiore informazione alle pazienti Capitolo 69.fm Page 1900 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1900 69. PRINCIPI DI RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE ONCOLOGICO e la continua sensibilizzazione dei chirurghi hanno portato negli ultimi anni a una progressiva diminuzione dell’ incidenza e dell’entità degli esiti iatrogenici. Problematiche riabilitative sono comunque di osservazione frequente nelle pazienti sottoposte a chirurgia mammaria con dissezione ascellare ed è compito dello staff riabilitativo prevenirle e trattarle precocemente per salvaguardare la qualità di vita della paziente e per facilitarne la ripresa funzionale, sociale e lavorativa (Tab. 69.1) La prevenzione delle sequele inizia in sala operatoria: il chirurgo dovrebbe limitare il più possibile, pur nel rispetto della radicalità chirurgica, i danni funzionali ed estetici, evitando di posizionare l’arto in iperabduzione, conservando strutture muscolari e nervose, riducendo l’uso dell’elettrobisturi, evitando la tensione dei lembi di chiusura, confezionando medicazioni non troppo costrittive e limitanti. Allo staff riabilitativo spetta invece la valutazione precoce dei deficit funzionali e il loro trattamento specifico. Il dolore, sintomo di più comune osservazione (85% dei casi) nell’immediato postoperatorio, viene riferito dalla maggior parte delle pazienti all’articolazione scapolo-omerale, alla scapola, all’ascella, alla parete toracica, al braccio. È in genere dovuto alla posizione dell’arto durante la seduta operatoria, al trauma chirurgico, alla flogosi della capsula articolare e della cuffia dei rotatori (in particolare del sovraspinato), alle lesioni nervose, alle exeresi muscolari, alla presenza del drenaggio. Il posizionamento dell’arto in iperabduzione può determinare lo stiramento dei muscoli flessori del braccio con retrazione muscolo-tendinea, limitazione ai movimenti di flessione e abduzione del braccio e di estensione del gomito, dolore alla palpazione lungo i muscoli interessati. In alcuni casi può associarsi la retrazione della fascia muscolare o la flogosi dei linfatici in forma di sottili cordoni dolorosi visibili e palpabili al di sotto della cute dall’ascella al gomito. Sono anch’essi causa di dolore e limitazione al movimento della spalla e del gomito. Le limitazioni articolari coinvolgono sia l’articolazione scapolo-omerale che la scapolo-toracica. La loro incidenza varia dal 15 al 50% dei casi. Ne sono causa le flogosi della capsula e della cuffia dei rotatori, il dolore locale, la tensione della ferita, la paura di sentire dolore, la presenza del drenag- Tab. 69.1. Esiti riabilitativi nel carcinoma mammario. Chirurgia Chirurgia ricostruttiva Radioterapia Chemioterapia Evoluzione Dolore Limitazioni articolari Retrazioni fasciali Lesioni nervose Linfedema Dolore Limitazioni articolari Alterazioni posturali Radiodermite acuta Fibrosi cutanee Plessopatia Linfedema Neuropatie Flebiti chimiche Metastasi ossee Plessopatie evolutive Compressioni midollari Sindromi da allettamento Linfedema maligno gio, le lesioni nervose (toracico lungo, toracici anteriori, intercostobrachiale, plesso brachiale), la sclerosi dei linfatici, le cicatrici retraenti e aderenti, le retrazioni fasciali. Per favorire la ripresa funzionale dell’arto e per evitare l’instaurarsi di atteggiamenti di protezione rigidamente antalgici è buona norma iniziare già nei primi giorni successivi all’intervento una mobilizzazione attiva e passiva dell’arto superiore e del rachide cervico-dorsale, sia al letto della paziente sia in palestra. La mobilizzazione non dovrà superare all’inizio i 90° di flessione per evitare l’eccessiva trazione dei lembi e la maggiore produzione di siero. In questa fase potranno essere impiegati farmaci antinfiammatori, terapie fisiche (laser, magnetoterapia, ultrasuoni) o manuali per ridurre il dolore e per favorire la circolazione linfatica e venosa. Retrazioni fasciali, dolore, limitazioni articolari e sclerosi linfatiche si possono osservare anche dopo BLS, ma in una limitatissima percentuale di pazienti e solo nelle prime settimane dopo l’intervento. La lesione del nervo toracodorsale è assai poco frequente e comporta deficit del muscolo grande dorsale con limitazione ai movimenti di adduzione e rotazione interna del braccio. La sofferenza dei nervi toracici anteriori causa ipovalidità dei muscoli grande e piccolo pettorale, con riduzione nell’immediato della mobilità della spalla e del braccio. A più lunga distanza l’ipotrofia dei muscoli può compromettere un successivo intervento ricostruttivo. Il deficit del toracico lungo si verifica nel 17-30% dei casi. L’incidenza risulta più elevata negli interventi conservativi per una maggiore difficoltà a isolare il nervo in un campo operatorio più ristretto. Il deficit nervoso comporta alaggio del margine mediale della scapola, spostamento mediale e superiore del suo angolo inferiore, dolore in regione scapolare, contrattura dei muscoli agonisti e antagonisti (trapezio, elevatore della scapola, romboidi), limitazione all’elevazione dell’arto al di sopra della testa con gomito esteso. Il deficit è in genere completamente recuperabile entro 6 mesi dall’intervento. Per facilitare questo recupero andranno impostati precocemente esercizi di attivazione della muscolatura funzionalmente valida e di rilassamento di quella contratta per evitare l’instaurarsi di blocchi articolari, di dolori cronici e di alterazioni posturali. La lesione del nervo intercostobrachiale, presente nel 5070% delle pazienti subito dopo l’intervento, è responsabile di una sintomatologia algico-disestesica variabile per intensità, durata e distribuzione. Le pazienti riferiscono ipoestesia o anestesia al cavo ascellare e alla faccia mediale del braccio, sensazione di intorpidimento, di cuscinetto, di spillo. Queste sensazioni tendono a diminuire gradualmente nel corso del primo anno, ma nel 5-7% possono peggiorare con comparsa di iperestesia, allodinia, dolore costrittivo, lancinante, a morso di cane. Il dolore, se particolarmente intenso, può comportare limitazioni articolari e/o posizioni antalgiche, può interferire nelle attività quotidiane, può provocare o aggravare uno stato ansioso-depressivo. Le terapie fisiche (magnetoterapia, elettrostimolazioni transcutanee) e quelle farmacologiche (antidepressivi triciclici, L-acetilcarnitina, gabapentina) danno risultati in genere soddisfacenti ma duraturi solo in una percentuale limitata di pazienti. Lo stiramento del plesso brachiale si verifica nello 0,5-1% dei casi ed è dovuto all’abduzione dell’arto oltre i 90° e alla rotazione controlaterale del capo. Coinvolge i contingenti alti del plesso: n. muscolocutaneo (m. bicipite e coracorachiale), meno frequentemente l’ascellare (m. deltoide) e il mediano (m. flessori dell’avambraccio). Capitolo 69.fm Page 1901 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1901 Neoplasie della mammella Le plessopatie brachiali sono di comparsa tardiva e riconoscono per lo più una genesi postattinica. I sintomi più caratteristici sono deficit motorio da coinvolgimento dei contingenti alti del plesso, ad andamento prossimo-distale, alterazioni sensitive (ipoestesia, parestesie), linfedema a lento sviluppo e di consistenza fibrosa e dolore di comparsa tardiva e di intensità lieve-moderata. Nei casi particolarmente compromessi si potrà arrivare alla plegia dell’arto e alla comparsa di distrofie cutanee e ungueali. Le modalità di insorgenza, le caratteristiche del dolore e del linfedema saranno di grande aiuto nella diagnosi differenziale con le forme evolutive (Tab. 69.2). Il trattamento riabilitativo delle plessopatie postattiniche sarà diretto al contenimento dell’edema e al recupero della funzionalità dell’arto, facendo ricorso a terapie motorie, neuromotorie, drenanti, compressive-contenitive, ortesiche. Il linfedema costituisce la complicazione tardiva più frequente degli interventi di dissezione ascellare. L’incidenza varia dal 20 al 30% dopo sola chirurgia e dal 50 al 60% dopo chirurgia e radioterapia sulle stazioni linfonodali limitrofe alla sede di intervento (sovraclaveari, ascella, catena mammaria). Dopo biopsia del linfonodo sentinella l’incidenza di linfedema varia dal 3 al 5%. Sul piano fisiopatologico le conseguenze della chirurgia e della radioterapia si traducono in un sovraccarico funzionale del circolo linfatico, che porta a un accumulo anomalo di liquido e macromolecole proteiche a livello dell’interstizio, il cui ristagno richiama per effetto osmotico altro liquido nell’interstizio e causa, nei componenti connettivali, una reazione infiammatoria locale con iperproduzione di tessuto connettivo e ispessimento fibrotico dei tessuti. La stasi linfatica crea inoltre un ottimo terreno per lo sviluppo di infezioni batteriche acute e croniche che portano a fenomeni perilinfangiosclerotici e ostruzioni endoluminari, con conseguente ulteriore aggravamento dell’edema. Nei casi sottoposti a radioterapia, la fibrosi dei tessuti cutanei e sottocutanei provoca ostacolo al flusso linfatico, compromissione della contrattilità del vaso linfatico e inibizione della rigenerazione dei linfatici superstiti. Oltre alla chirurgia e radioterapia, altri fattori possono giocare un ruolo predisponente o favorente: le variazioni anatomiche del sistema linfatico, la presenza o assenza delle vie collaterali, il numero di linfonodi asportati, alcune complicazioni postoperatorie (sieroma, ematomi, infezioni, ritardo di cicatrizzazione, trombosi venose profonde, limitazioni e blocchi articolari), le linfangiti ricorrenti, i dismetabolismi (ipertensione arteriosa, obesità, diabete), le attività lavorative faticose e ripetitive, i traumi e i microtraumi ripetuti. La diagnosi Tab. 69.2. Diagnosi differenziale nelle plessopatie brachiali. Plessopatia postattinica Deficit sensitivi (ipoestesia, parestesie) Deficit motori prossimali (deltoide, bicipite, tricipite) Coinvolgimento contingenti alti Linfedema a componente linfatica Dolore di linfedema è soprattutto clinica e strumentale. La valutazione delle modalità di insorgenza, dell’intervallo di comparsa, delle dimensioni dell’arto e della consistenza, del colore, della presenza di calore, di dolore, di sclerosi tissutale, di fovea, della funzionalità del cingolo superiore, del trofismo muscolare, dello stato della cute, di eventuali patologie concomitanti potrà fornire importanti informazioni per un corretto inquadramento diagnostico e per la definizione del piano di trattamento. A completamento dell’esame clinico potranno essere effettuate indagini strumentali, quali ad esempio l’ecografia ad alta risoluzione (per definire sede, entità dell’edema, grado di imbibizione e/o di fibrotizzazione), l’eco-color-Doppler (nei casi di sospetta compromissione del circolo venoso) e la linfoscintigrafia (per lo studio anatomico e funzionale del circolo linfatico superficiale e profondo). TC e RM andranno invece riservate ai casi in cui vi sia il sospetto clinico di una recidiva loco-regionale di malattia come causa del linfedema. Il trattamento del linfedema deve essere personalizzato, individualizzato e prevedere l’impiego di più metodiche (manuali, meccaniche, compressive, contenitive, motorie, farmacologiche) tra loro variamente combinate (Tab. 69.3). Il linfodrenaggio è sicuramente il trattamento di scelta nei linfedemi di qualsiasi stadio e dimensione, in quanto in grado di favorire il riassorbimento dei liquidi e delle proteine dall’interstizio e di accelerare il flusso linfatico. Le tecniche possono essere diverse (Vodder, Foldi, Leduc), ma se correttamente applicate risultano ugualmente efficaci. La terapia deve essere completata dall’applicazione di un bendaggio multistrato, confezionato utilizzando bende monoelastiche, a medio o corto allungamento, applicate in strati sovrapposti in modo da realizzare la massima azione di compressione durante il lavoro muscolare. In alcuni casi al di sotto del bendaggio possono essere usati degli spessori in lattice per ridurre la pressione in corrispondenza di eminenze ossee (gomito, polso) o per aumentare la compressione nelle aree in cui l’edema è di maggiori dimensioni e consistenza. Se ben tollerato, il bendaggio va mantenuto in sede fino alla seduta successiva. Al termine del ciclo di trattamento il bendaggio verrà sostituito da un tutore elastico il cui scopo è quello di mantenere e migliorare i risultati ottenuti. Sono disponibili in commercio bracciali al polso, al metacarpo, guanti confezionati su misura o preconfezionati, a pressione graduata da distale a prossimale e di diversa classe di compressione (dalla I che esercita pressioni distali di 20-30 mmHg, fino alla III con pressioni di 40-50 mmHg). Nella scelta del tipo e della classe di compressione vanno tenuti in considerazione l’entità, la distribuzione dell’edema, l’età della paziente, lo stile di vita, l’attività lavorativa. Nei casi in cui il linfodrenaggio non dia risultati soddisfacenti e duraturi nel tempo si può associare la pressoterapia sequenziale. Il trattamento prevede sedute giornaliere di 3060 minuti ciascuna con pressioni variabili da 40 a 50 mmHg: Plessopatia evolutiva Dolore Tab. 69.3. Terapia del linfedema. Deficit sensitivi Terapia di attacco Linfedema a componente venosa Deficit motori Terapia di mantenimento Coinvolgimento C8-T1 Sindrome Claude Bernard-Horner Linfodrenaggio manuale Bendaggio multistrato Chinesiterapia Linfodrenaggio manuale Supporto elastico Chinesiterapia Terapia farmacologica Terapia meccanica Capitolo 69.fm Page 1902 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1902 i tempi di applicazione, le pressioni e la durata del trattamento vanno definiti sulla base delle dimensioni e della consistenza dell’edema. Per evitare fenomeni di ingorgo linfatico e fibrosi alla radice dell’arto, la pressoterapia sequenziale non deve mai essere impiegata da sola ma sempre in associazione a linfodrenaggio, bendaggio o altri trattamenti drenanti. La terapia motoria viene utilizzata per facilitare il flusso linfatico attraverso la contrazione muscolare e le variazioni di pressione endoaddominale ed endopleurica indotte dagli atti respiratori. Consente di migliorare il trofismo muscolare dell’arto e la funzionalità del cingolo scapolare e di correggere eventuali alterazioni posturali. Viene in genere effettuata al termine delle sedute di trattamento e sotto elastocompressione. Per mantenere e migliorare i risultati ottenuti dalle terapie può essere utile, in alcuni casi, ricorrere a un trattamento farmacologico di supporto. Gli α-benzopironi (cumarina e derivati) e i y-benzopironi (diosmina, rutina) si sono dimostrati i farmaci più attivi, specie se utilizzati negli stadi iniziali del linfedema quando la parete del vaso ha conservato la sua contrattilità e quando non si sono ancora instaurati fenomeni fibrotici a carico dell’interstizio. Le eparine a basso peso molecolare trovano indicazione nella terapia e nella profilassi delle trombosi venose profonde. Gli antibiotici e gli antinfiammatori vanno prescritti in caso di complicazioni flogistiche, linfangiti, erisipela. Sono da preferire le penicilline, le cefalosporine e i macrolidi, somministrati a dosaggio pieno per almeno 7-10 giorni, in associazione ad antipiretici e antinfiammatori. Nei casi gravi può essere utile uno steroide: betametasone 4 mg per 3 giorni e successivamente 2 mg per 4 giorni. Nelle forme ricorrenti (più di tre episodi acuti l’anno) è indispensabile instaurare un trattamento preventivo con penicillina ad azione prolungata, alla dose di 1.200.000 UI ogni 15-21 giorni per almeno un anno. Problematiche funzionali si possono osservare anche dopo interventi ricostruttivi con protesi a espansione o con lembi miocutanei di retto addominale o grande dorsale. Nel primo caso è frequente la presenza di dolore in sede di intervento, limitazione nei movimenti della spalla e nella dinamica respiratoria, con atti respiratori più brevi e superficiali, contratture muscolari e posture scorrette. Un adeguato controllo del dolore con farmaci antinfiammatori e miorilassanti, associato a una rieducazione motoria precoce, consente di riprendere e mantenere la funzionalità del cingolo scapolotoracico e di ridurre lo stato miotensivo. Negli interventi di ricostruzione con lembi miocutanei il trattamento riabilitativo deve essere diretto soprattutto al controllo del dolore locale, generalmente avvertito al torace e alla scapola nelle ricostruzioni con grande dorsale, alla colonna e all’addome in quelli con retto addominale. In questi ultimi il dolore può essere di maggiore intensità e durata ed è legato alla necessità di mantenere, nei primi giorni, posizioni obbligate semisedute e con arti inferiori flessi. Esercizi attivi e passivi, di rinforzo e di rilassamento, esercizi respiratori e deambulazione assistita andranno impostati per il ripristino della funzionalità dei cingoli, superiore per gli interventi con grande dorsale e inferiore per gli interventi con retto addominale, della deambulazione e della dinamica respiratoria e per evitare retrazioni tissutali e alterazioni posturali del rachide. Nelle pazienti sottoposte a radioterapia possono comparire manifestazioni cutanee locali che vanno dall’eritema all’edema, alla desquamazione secca e umida fino alle ulcere. In alcuni casi può essere necessaria la sospensione temporanea del trattamento, ma nella maggior parte delle pazienti il 69. PRINCIPI DI RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE ONCOLOGICO quadro si risolve spontaneamente o ricorrendo all’applicazione di creme emollienti, pomate cortisoniche o a sedute di laser e magnetoterapia. Più tardivamente possono comparire iperpigmentazione, teleangectasie, fibrosi cutanee e sottocutanee responsabili a volte di blocchi o limitazioni articolari, plessopatie brachiali, linfedema e, meno frequentemente, fibrosi polmonari, polmoniti, pericarditi (1%). Tutte queste complicazioni possono essere evitate, o ridotte di intensità, instaurando o proseguendo anche durante la radioterapia un programma motorio che consenta di mantenere la funzionalità articolare, la circolazione linfatica e venosa e l’elasticità tissutale. In caso di fibrosi marcata e di cicatrici retraenti può risultare utile associare terapie fisiche (magnetoterapia, ultrasuoni) o manuali (massaggio di scollamento, linfodrenaggio, stretching, chinesiterapia). L’impiego di alcuni chemioterapici (cisplatino, taxani) può determinare la comparsa di neuropatie periferiche, per lo più di tipo sensitivo, con parestesie, iperestesia alle mani e ai piedi, disturbi dell’equilibrio e della deambulazione, impaccio motorio, diminuzione dei riflessi profondi. Il danno sensitivo è in genere completamente reversibile a distanza di alcuni mesi dall’interruzione della terapia. Il recupero può essere accelerato da un trattamento motorio-propriocettivo e dall’impiego di farmaci quali antidepressivi triciclici (amitriptilina) e antiepilettici (gabapentina, pregabalin). Le flebiti chimiche da fuoriuscita accidentale di chemioterapici possono presentarsi con quadri diversi in relazione al tipo, alla quantità di farmaco stravasato, alla sensibilità locale e allo stato generale del paziente. Si potrà avere dolore, arrossamento, edema, necrosi. Tardivamente potranno comparire fibrosi, retrazioni, limitazioni articolari. La terapia dovrà essere instaurata precocemente e dipenderà dal tipo di lesione: laser, magnetoterapia, antinfiammatori, antibiotici, antidolorifici; in caso di fibrosi o retrazione: terapie motorie, massaggio di scollamento, ultrasuoni. Neoplasie dei tessuti molli L’introduzione di tecniche chirurgiche conservative ha permesso di ricorrere sempre meno a interventi demolitivi e invalidanti (amputazioni, disarticolazioni) ma non ha ridotto l’incidenza delle complicazioni. L’importanza delle strutture anatomiche coinvolte dall’intervento (ossee, nervose, muscolari, vascolari) e dalle terapie complementari richiede che il fisiatra lavori in stretta collaborazione con l’équipe chirurgica e con i radioterapisti per ridurre al minimo i danni funzionali pur nel rispetto della radicalità oncologica. In quest’ottica il chirurgo può essere considerato il primo riabilitatore, dal momento che deve porre particolare attenzione alla conservazione delle strutture nervose, vascolari e muscolari necessarie alla stabilità di un’articolazione o all’allestimento di un moncone funzionalmente valido, alla salvaguardia dei muscoli agonisti, al ripristino delle linee di trazione dopo trasposizione di fasci muscolari, all’integrità delle strutture ossee indispensabili al carico o all’utilizzo di un arto. Nelle amputazioni le problematiche riabilitative sono soprattutto quelle legate alla necessità di arrivare a una protesizzazione rapida ed efficace. Questa richiede da un lato l’allestimento di un moncone adeguato e di un livello ottimale di amputazione e dall’altro un programma riabilitativo mirato e impostato precocemente. Terapie motorie, fisiche, manuali Capitolo 69.fm Page 1903 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1903 Neoplasie del distretto cervico-facciale (massaggio di sfioramento, linfodrenaggio), contenitive (bendaggio elastico) e farmacologiche andranno messe in atto per il controllo del dolore postoperatorio e da arto fantasma, per evitare posizioni scorrette del moncone, per mantenere tono e trofismo muscolare e per prevenire l’edema. A partire dalla 20a-30a giornata potrà essere utilizzata la protesi: inizialmente fornita di una invasatura provvisoria per adattarsi alle eventuali modifiche del moncone e per rendere la cute anelastica nei punti di appoggio, successivamente modificata e sostituita da quella definitiva. Le protesi classiche ad armatura metallica hanno subito una progressiva evoluzione grazie alle nuove acquisizioni tecnologiche e all’uso di materiali (fibre di carbonio, polipropilene, leghe di titanio) che uniscono caratteristiche di leggerezza, robustezza, resistenza e durata. Particolarmente interessanti si sono dimostrate le protesi mioelettriche e quelle “intelligenti” capaci di adattarsi automaticamente alle diverse velocità di cammino. Anche gli interventi conservativi possono portare a sequele riabilitative importanti ed estremamente diversificate a seconda della sede interessata. Le demolizioni in regione glutea causano destabilizzazione dell’articolazione coxofemorale, mancato controllo del bacino in stazione eretta e durante la deambulazione, ipovalidità all’estensione, abduzione e rotazione esterna della coscia, difficoltà a fare le scale e nel passaggio dalla posizione seduta a quella eretta. L’exeresi parziale o totale del quadricipite o la lesione completa del nervo femorale può compromettere pesantemente lo svolgimento delle attività quotidiane, quali deambulazione, salita e discesa delle scale e corsa, a causa della mancata stabilità del ginocchio. Al contrario, le demolizioni della regione adduttoria non alterano la funzionalità dell’arto ma comportano sierosità abbondanti, flogosi locali, infezioni che riducono l’autonomia dei pazienti nei mesi immediatamente successivi all’intervento. Anche se meno frequenti le exeresi a carico delle formazioni muscolari dell’arto superiore possono coinvolgere i muscoli che hanno inserzione sulla scapola (sovra e sottospinato, sottoscapolare, grande e piccolo rotondo, romboidi, trapezio, deltoide, dentato anteriore), sulla clavicola (scaleni, sternocleidomastoideo) e sull’omero prossimale (grande dorsale, grande pettorale). In questi casi, oltre a un marcato deficit funzionale a carico del cingolo scapolo-toracico, si potranno avere ripercussioni funzionali gravi sia sull’assetto del cingolo stesso sia sulla colonna, specie a livello cervico-dorsale. La complessità e la variabilità di questi quadri clinici richiede programmi riabilitativi precoci, precisi e mirati, tali da consentire una rapida risoluzione del deficit o un suo adeguato compenso. Potranno essere impiegate tecniche motorie, di facilitazione muscolare, propriocettive, di rilassamento, esercizi specifici per la muscolatura residua, per i passaggi posturali, per il controllo del cammino e della stazione eretta. Dove necessario si potrà ricorrere ad ausili ortesici quali canadesi, stabilizzatori di ginocchio, carrozzine, reggibraccia, immobilizzatori, o a bendaggi elastici per favorire il ritorno venoso ed evitare l’edema. L’intervento riabilitativo sarà ancora più efficace se nella fase preoperatoria è stata fornita un’adeguata informazione al paziente sui possibili danni funzionali, sulle possibilità di compenso, sugli eventuali deficit residui permanenti e soprattutto se è stata effettuata un’accurata valutazione fisiatrica relativa all’assetto e alla funzionalità della colonna, del bacino, delle principali articolazioni e strutture muscolari, alle modalità di innervazione, alla tipologia di cammino, alla presenza di dolore. Neoplasie del distretto cervico-facciale La complessità anatomica della regione cervicale rende ragione della maggior parte delle sequele postchirurgiche. Strutture muscolari, nervose e vascolari possono essere interessate direttamente o indirettamente dall’atto chirurgico o dalle terapie complementari ad esso associate. Disfunzioni uditive e vestibolari possono conseguire al trattamento chemioterapico. Gusto e olfatto possono essere alterati dalla radioterapia e da alcuni farmaci chemioterapici. Il cambiamento dell’aspetto fisico, il disfiguramento conseguente ad alcuni interventi ampiamente demolitivi, la perdita della voce, delle capacità lavorative o socio-relazionali possono instaurare stati depressivi fino all’autoisolamento e rendere difficile il rapporto con i terapeuti. Le funzioni motorie, la masticazione, la deglutizione, la fonazione possono essere compromesse dalla radioterapia, ma soprattutto dalla chirurgia. I quadri clinici potranno essere di entità differente a seconda che l’intervento sia conservativo (del nervo accessorio-spinale e delle strutture muscolari) o demolitivo. Sia in un caso che nell’altro avremo deformazione del profilo del collo, rigidità ai movimenti del rachide cervicale, contrattura da stiramento dei muscoli romboidi, angolare della scapola, dei legamenti dell’articolazione scapolo-omerale, delle radici del plesso cervicobrachiale, dolore al collo, alla scapola, al moncone della spalla, amiotrofia da paralisi (in caso di sezione del nervo spinale) della porzione superiore del trapezio, abbassamento del moncone della spalla, scapola alata, limitazione dei movimenti di flessione e abduzione del braccio, parestesie, disestesie in regione laterocervicale e deltoidea, edema localizzato al volto. Nei casi in cui all’intervento chirurgico faccia seguito la radioterapia, i quadri clinici sopra ricordati possono subire aggravamenti più o meno marcati. Al deterioramento funzionale possono associarsi manifestazioni quali mucosite, disfagia, disgeusia, xerostomia ed edema locale, che portano ad un ulteriore peggioramento della deglutizione, dell’alimentazione e delle condizioni generali del paziente. Data la complessità delle problematiche è sempre necessario ricorrere a un trattamento riabilitativo adeguato alle necessità del paziente, mirato alla prevenzione e riduzione dei danni iatrogenici e, dove possibile, multidisciplinare, coinvolgendo figure come il logopedista, il dietologo, lo psicologo. Potranno essere impiegate tecniche respiratorie (per migliorare la ventilazione, la dinamica toracica e addominale, favorire l’eliminazione delle secrezioni in assenza del riflesso della tosse); esercizi attivi e passivi per il cingolo scapolare (per favorire il rilassamento, evitare posture scorrette, contratture muscolari, per il recupero della funzionalità della spalla e del collo); metodiche quali lo stretching multidirezionale, il pompage, il massaggio, il linfodrenaggio; terapie fisiche (magnetoterapia, laser, ultrasuono) per ridurre i tempi di recupero, evitare l’instaurarsi di dolori cronici, prevenire e ridurre le fibrosi cutanee e sottocutanee da radioterapia. Nei pazienti con problemi di deglutizione l’impiego di tecniche logopediche e di strategie compensatorie è di fondamentale importanza per il recupero della funzione e per eliminare il rischio di complicazioni da aspirazione. Il trattamento prevede esercizi attivi e passivi per mantenere e incrementare la funzionalità delle strutture residue, il tono muscolare, l’elasticità dei tessuti, procedure di integrazione motoria, stimolazioni tattili e termiche, manovre Capitolo 69.fm Page 1904 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1904 specifiche di deglutizione, nonché strategie di compenso posturale, miglioramento degli imput sensitivi, cambiamenti nelle caratteristiche dei cibi (viscosità, consistenza, volume, temperatura, sapore). Neoplasie polmonari In questi tipo di neoplasie il trattamento riabilitativo riveste un ruolo fondamentale per la prevenzione di complicazioni a breve e lungo termine. In tutti i pazienti candidati a chirurgia il piano di trattamento deve prevedere una fase preoperatoria e una fase da proseguire nel postoperatorio e durante le eventuali terapie complementari. Prima dell’intervento occorre valutare le condizioni generali del paziente, lo stato cardiocircolatorio, le pregresse patologie respiratorie (asma, enfisema, bronchite cronica), gli esami ematochimici (emoglobina, ematocrito, elettroliti plasmatici), lo stadio della malattia, la presenza di metastasi a distanza. In modo specifico andrà studiata la dinamica respiratoria di base, il tipo di respiro (toracico, diaframmatico), la validità della tosse, la presenza e il tipo di secrezioni, la postura, gli eventuali dimorfismi della colonna. Il paziente andrà istruito sulle principali tecniche respiratorie e ne andrà spiegata l’utilità in modo chiaro e facilmente comprensibile. La presa di coscienza del proprio respiro, la comprensione delle tecniche e la collaborazione del paziente saranno fondamentali nella fase postoperatoria per migliorare la dinamica respiratoria, per facilitare la tosse e l’eliminazione delle secrezioni, per controllare il dolore, per ridurre il rischio di complicazioni broncopneumoniche. Subito dopo l’intervento il programma riabilitativo andrà proseguito con esercizi specifici, impiego di incentivatori respiratori, terapie farmacologiche (mucoliti, fluidificanti, espettoranti), manuali e fisiche in presenza di dolore, contratture muscolari antalgiche, esercizi per gli arti superiori e inferiori, tosse assistita, umidificazione, controllo della postura. Neoplasie colo-rettali Solo gli interventi che comportano l’allestimento di una colostomia rappresentano indicazione al trattamento riabilitativo. A causa della rilevanza del danno subito dal paziente e dell’entità delle sequele, il trattamento riabilitativo deve essere multidisciplinare per garantire al paziente stomizzato un regime di vita il più normale possibile e per aiutarlo nell’accettazione della menomazione. Presupposto fondamentale dell’intervento riabilitativo deve essere una corretta informazione al paziente e alla sua famiglia sul tipo di intervento, sulle sue complicazioni, sulla funzione della colostomia, sulle possibilità riabilitative e la scelta di una idonea posizione della stomia, elemento indispensabile per la sua gestione e la riabilitazione postoperatoria. Il primo passo della riabilitazione è quello di far prendere confidenza al paziente con la propria stomia e insegnarne la gestione, ad esempio istruendolo sulle manovre di preparazione e di pulizia della cute, di applicazione e di sostituzione della sacca. Per venire incontro alle diverse esigenze dei pazienti sono stati messi in commercio vari tipi di presidi stomali: sacche impermeabili agli odori, antifruscio, con filtro per i gas, con adesivi meno allergizzanti, con barriere protettive totali. La scelta del prodotto dipenderà 69. PRINCIPI DI RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE ONCOLOGICO dal tipo di stomia, dal tipo di pelle, dalla quantità del materiale evacuato, dai “gusti” del paziente, dall’utilizzo o meno dell’irrigazione. Quest’ultima rappresenta infatti il mezzo migliore per il controllo delle evacuazioni e per la regolarizzazione delle funzioni intestinali. La metodica dovrebbe essere iniziata solo quando la stomia è meglio consolidata (circa un mese dopo l’intervento) e il paziente più collaborante. All’inizio dovrebbe essere effettuata quotidianamente per un periodo di 10-15 giorni per valutarne l’efficacia e la tollerabilità. In seguito, la frequenza andrà adattata alle esigenze del paziente e all’attività intestinale (ad es., ogni 2-3 giorni). Anche l’alimentazione può giocare un ruolo terapeutico importante, soprattutto per prevenire problemi quali eccessiva eliminazione di gas, cattivi odori, scarsa continenza ed eccessiva frequenza delle evacuazioni, stipsi. L’alimentazione dovrà essere il più libera possibile e adattata ai gusti e alle abitudini del paziente, pur tenendo conto di eventuali intolleranze e restrizioni specifiche legate a patologie concomitanti. Saranno da evitare regimi dietetici troppo restrittivi, mentre andranno favoriti l’introduzione di fibre grezze e di un corretto apporto di liquidi per facilitare la motilità intestinale e prevenire la stipsi. La resezione del retto può comportare inoltre complicazioni minzionali, in particolare ritenzione e incontinenza urinaria. Nel primo caso le cause vanno ricercate nel trauma della vescica e dell’uretra con conseguente deficit neurologico parziale, nella lesione del pavimento pelvico o nell’interruzione intraoperatoria delle fibre autonome con denervazione totale della vescica, perdita della sensibilità e della motilità del detrusore, impossibilità alla minzione se non con l’ausilio del torchio addominale e con la pressione manuale in ipogastrio. L’incontinenza (da stress o da urgenza) può essere dovuta alla lesione delle fibre simpatiche e parasimpatiche e alla dislocazione della vescica. Sia in un caso sia nell’altro andranno diagnosticate precocemente mediante esame urodinamico per monitorarne l’evoluzione e per valutare l’efficacia delle terapie. In caso di ritenzione il paziente andrà istruito a mingere a intervalli regolari, a controllare giornalmente il bilancio idrico e periodicamente il residuo postminzionale e andrà instaurata una terapia farmacologica per aumentare la capacità contrattile del detrusore. Il trattamento dell’incontinenza sarà invece basato sull’impiego di miolitici vescicali e sulla rieducazione dei muscoli del pavimento pelvico per migliorare il controllo volontario della continenza. Neoplasie del sistema nervoso Il sistema nervoso può essere sede di tumori primitivi o metastatici. Anche se la prognosi di questi tumori è in genere infausta, molti pazienti possono avere sopravvivenze relativamente lunghe. Durante questo tempo la riabilitazione gioca un ruolo importante nel ridurre i deficit neurologici e le disabilità derivanti, migliorando la qualità di vita. I danni dovuti alla presenza di una lesione encefalica o midollare potranno essere di tipo motorio, sensitivo o misto: l’entità, la tipologia e la prognosi di questi deficit dipenderanno sostanzialmente dalla localizzazione e dal tipo del tumore primitivo. Il danno motorio potrà presentarsi come emiparesi, paraparesi o tetraparesi, a seconda che sia coinvolto un emisoma, gli arti inferiori o i quattro arti. I disturbi potranno andare da una lieve paresi di uno o più gruppi muscolari a una franca e grave plegia. Accanto ai disturbi motori potranno essere presenti alterazioni delle Capitolo 69.fm Page 1905 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1905 Neoplasie in fase avanzata funzioni cognitive, del linguaggio e della parola (afasia, disartria), della memoria, della personalità, deficit sensitivi e di coordinazione, turbe del controllo sfinterico. Nel caso di compressione midollare le problematiche neurologiche saranno diverse a seconda del livello di lesione: dolore locale, radicolare o riferito a distanza, deficit motori (paraparesi flaccida o spastica, tetraparesi nelle lesioni da C1 a C6), sensitivi, sfinterici (precoci nel coinvolgimento della cauda) (Tab. 69.4). Nelle lesioni centrali il trattamento riabilitativo dovrebbe essere preceduto da un esame fisiatrico e neurologico completo, anche attraverso test specifici di valutazione del linguaggio, della scrittura, dell’attenzione, della memoria, i cui risultati serviranno per formulare il piano di trattamento individuale e per valutarne i progressi. Le strategie riabilitative non saranno dissimili da quelle utilizzate per il trattamento di altre sindromi neurologiche: esercizi passivi, attivi assistiti, facilitazioni neuromuscolari, esercizi propriocettivi, esercizi di riadattamento alla stazione eretta e al cammino, tecniche logopediche, terapie fisiche e manuali. Nei casi di recupero parziale della motilità o di gravi disabilità potranno essere impiegati ausili ortesici e protesici (canadesi, deambulatori, carrozzine, ausili ergonomici) e attrezzature speciali all’interno degli ambienti domestici. Nelle compressioni midollari il trattamento riabilitativo sarà soprattutto indirizzato al controllo del dolore, al recupero della motilità, dell’autonomia, della stazione eretta e della deambulazione. Il piano di trattamento andrà definito sulla base delle condizioni generali del paziente, sull’entità del deficit neurologico e del coinvolgimento metastatico e dovrà comprendere esercizi attivi e passivi, passaggi posturali, deambulazione assistita, uso di ortesi. Nei casi di grave danno neurologico il trattamento riabilitativo avrà il solo scopo di mantenere il trofismo muscolare, evitare posture scorrette e prevenire lesioni da decubito. Nelle lesioni a carico del sistema nervoso periferico (plessopatie e neuropatie) da compressione/infiltrazione di masse tumorali, da esiti di chemio e radioterapia, si potranno ottenere risultati significativi quando il trattamento motorio, propriocettivo e farmacologico sia associato a quello della malattia di base. Tab. 69.4. Presidi ortesici. Lesione ossea C1-C2 Collare Philadelphia Immobilizzatore cervicale Minerva Lesione C3-C6 Collare in plastica Collare in gommapiuma Lesione C7-T1 Collare Philadelphia Immobilizzatore cervico-dorsale Immobilizzatore Minerva Lesione T1-T3 Immobilizzatore cervico-sternale Supporto sternotoracico per collare Philadelphia Corsetto semirigido dorsolombare con/senza Lesione T5-T12 spallacci Corsetto semirigido dinamico Corsetto elastico toracolombare Busto rigido Taylor Busto rigido per iperestensione a 3 punti Corsetto semirigido lombare e lombosacrale Lesione L1-S1 Corsetto semirigido dinamico Corsetto elastico lombare Busto rigido Knight Neoplasie in fase avanzata Anche nei pazienti con cancro avanzato la riabilitazione ha un ruolo importante nel ripristinare l’autonomia, nel recuperare le funzioni danneggiate dalla malattia e dalle terapie, nel preservare una qualità di vita accettabile e garantire una morte dignitosa. In questa fase della malattia il programma terapeutico riabilitativo dovrà essere individualizzato e definito sulla base dello stadio della malattia, sull’aspettativa di vita, sulla presenza di complicazioni neurologiche od ortopediche, sulle condizioni generali del paziente, sui sintomi presentati, sulle patologie concomitanti. La valutazione del paziente e del suo stato di malattia consentirà di individuare il livello funzionale, i bisogni e i sintomi più problematici. L’allettamento è sicuramente il problema più importante da affrontare in questi pazienti. La prolungata immobilità cui spesso sono costretti a causa del dolore, di lesioni neurologiche, di fratture patologiche, può portare ad alterazioni funzionali anche gravi a carico dell’apparato cardiocircolatorio (ipotensione, edemi da non uso, trombosi venose profonde), respiratorio (atelettasie, ridotta clearance bronchiale, stasi di secrezioni, fenomeni broncopneumonici), muscolo-scheletrico (ipercalcemia, rigidità articolari, retrazioni muscolotendinee, posture scorrette, sindromi dolorose, ipotrofia muscolare). Per prevenire e ridurre l’entità di queste complicazioni occorre impostare precocemente un programma riabilitativo mirato a mantenere e facilitare le funzioni respiratorie e cardiocircolatorie, a recuperare il tono e il trofismo muscolare, a ripristinare la funzionalità articolare, a prevenire lesioni da decubito. Del programma dovranno far parte esercizi attivi assistiti e contro resistenza, esercizi passivi, rieducazione al cammino, passaggi posturali, esercizi respiratori, istruzione all’uso di presidi ortesici. Durata, numero e cadenza delle sedute andranno valutate di volta in volta e comunque non dovranno superare la tolleranza del paziente per evitare dolore o affaticamento. Particolare attenzione andrà posta alla posizione del paziente: dovrà essere confortevole, anche con l’aiuto di sostegni esterni, dovrà consentire la mobilizzazione e favorire l’espansibilità toracica, facilitare il ritorno linfatico e venoso. Nei soggetti defedati, con disturbi cognitivi o con lesioni ossee a rischio di frattura andrà preferita una chinesiterapia passiva per mantenere la funzionalità articolare, per prevenire contratture e posture scorrette. Gli esercizi attivi andranno impiegati nei soggetti giovani o in quelli in condizioni generali non particolarmente compromesse e potranno essere effettuati anche contro resistenza o con l’ausilio di macchine, quali ad esempio una cyclette statica a bassa resistenza. Indispensabile per il ripristino della deambulazione e per il recupero dell’autonomia sarà la rieducazione al cammino. A seconda delle necessità potranno essere impiegati bastoni, canadesi o deambulatori. Per il trattamento delle contratture muscolari, dei dolori di intensità non elevata, degli edemi declivi potranno trovare indicazione il massaggio di sfioramento, tecniche di rilassamento, il linfodrenaggio manuale, terapie strumentali (ultrasuoni, laser, elettroterapia, TENS). Le complicazioni respiratorie potranno essere prevenute e trattate attraverso esercizi di mobilizzazione globale, tecniche di respirazione toracica, addominale, umidificazione, tosse assistita. Nei casi in cui questa risulti ipovalida, si potrà ricorrere a manovre di clapping, di vibrazione, a tecniche di espirazione forzata, se tollerate e se non inducono dolore o dispnea. Saranno invece da evitare il drenaggio posturale e la Capitolo 69.fm Page 1906 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1906 broncoaspirazione in quanto causa di disagio per il paziente e di possibili episodi di ipossia. Viceversa, potranno essere utili l’aerosolterapia con farmaci mucolitici e gli umidificatori d’ambiente. Del programma riabilitativo dovranno infine far parte l’istruzione del paziente e dei familiari all’uso dei presidi ortesici per gli spostamenti, dentro e fuori casa, e dei sistemi antidecubito (materassi, cuscini) e l’impiego di accorgimenti o attrezzature speciali (maniglioni, docce manuali, sedili) per facilitare i movimenti all’interno della casa. Un altro problema di frequente riscontro nei pazienti terminali è costituito dalle ulcere da decubito. La loro prevenzione è possibile ricorrendo ad alcune semplici pratiche infermieristico-riabilitative: mobilizzazione sistematica del paziente con cambi di postura ogni 2-3 ore, controllo periodico delle condizioni della biancheria del letto, dello stato della cute, utilizzando in casi di necessità creme emollienti o idratanti, pulizia della regione genitale e perineale nei soggetti incontinenti, controllo della reclinazione del letto e della posizione del tronco, utilizzo di cuscini sotto la schiena, le ginocchia e i piedi per evitare scivolamenti, frizione della cute, impiego di materassi antidecubito (in schiuma di lattice, in gel, ad aria, ad acqua, fluidizzati), correzione degli squilibri elettrolitici, metabolici e nutrizionali, istruzione dei familiari sull’uso dei presidi, sulla gestione dei cateteri e dei drenaggi e sulle tecniche di medicazione. Il trattamento delle ulcere da decubito è soprattutto topico e basato sull’impiego di sostanze enzimatiche (collagenasi, fibrinolisina), battericide (iodopovidone, ipoclorito di sodio), batteriostatiche, cicatrizzanti (idrocolloidi). Anche le terapie fisiche (magnetoterapia, laserterapia) si sono dimostrate utili nell’accelerare i processi riparativi e favorire la produzione del tessuto di granulazione. Nei pazienti con metastasi ossee le problematiche che richiedono un intervento riabilitativo sono quelle legate al rischio di fratture patologiche e/o di compressioni midollari, al dolore, alla perdita della capacità a deambulare in modo autonomo, all’immobilità (ipotrofia muscolare, limitazioni articolari, contratture muscolari, retrazioni tendinee, posture scorrette). Nella scelta del tipo di programma si dovrà tener conto delle variabili connesse alla morfologia delle lesioni (litiche, addensanti, miste), alla sede (rachide, ossa lunghe, bacino), alla diffusione (unicità, molteplicità delle localizzazioni), alla sintomatologia algica (intensità, sede, irradiazione), alla evolutività della malattia, alle condizioni generali del paziente, all’aspettativa di vita. Il programma si basa sull’impiego di presidi ortesici, terapie motorie e neuromotorie, terapie fisiche strumentali, farmacologiche. Qualunque sia il tipo prescelto (Tab. 69.4), il presidio ortesico deve garantire la stabilità della struttura ossea interessata, limitare la mobilità del segmento coinvolto, controllare il dolore, ma al contempo deve essere leggero, modellabile per adattarsi alle variazioni di peso e forma del paziente, di facile impiego e facilmente estraibile. Il suo utilizzo è indicato durante tutto il periodo delle terapie complementari, chemio e radioterapia, e comunque fino al consolidamento dell’osso. Una volta raggiunto un sufficiente grado di riparazione, il presidio semirigido o rigido può essere sostituito da un tipo più leggero e se ne può limitare l’uso solo in determinate situazioni (durante l’attività lavorativa, negli spostamenti in auto, in caso di stazione eretta prolungata). Nelle lesioni al rachide cervicale, a seconda della localizzazione, possono essere utilizzati collari in polietilene, immobilizzatori cervicali (controindicati in caso di lesioni allo sterno o alla mandibola) o cervicosternali, collari in plastica con o senza appoggio mentoniero, collari in gommapiuma 69. PRINCIPI DI RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE ONCOLOGICO sagomati (indicati nei pazienti con modesta sintomatologia dolorosa o quando non sia consentito l’utilizzo di altri tipi di presidio). La stabilizzazione della colonna dorsolombare può essere ottenuta con corsetti semirigidi o busti rigidi. I primi comprendono i tipi lombari, lombosacrali, dorsolombari, con o senza spallacci, in stoffa o in tessuto elastico più leggeri e più facili da indossare. Tra i busti rigidi, quelli di più frequente impiego sono il dorsolombare alto con spallacci (Taylor) e senza (Knight) e quello per iperestensione a 3 punti (C35). Nei casi in cui vi siano lesioni costali o quando non sia tollerata la compressione addominale è da preferire il C35. In caso di coinvolgimento del bacino e/o dei femori, con dolore al carico o rischio di frattura, vanno impiegati 1 o 2 bastoni canadesi con appoggio antibrachiale. Nei pazienti debilitati o in quelli con difficoltà di coordinazione si deve ricorrere all’uso di un deambulatore con o senza ascellari o a una carrozzina ortopedica nei casi di fratture inoperabili, nei deficit neurologici gravi e nel coinvolgimento massivo degli arti superiori e inferiori. Oltre ai presidi ortesici, la terapia motoria è parte integrante del trattamento riabilitativo. In presenza di lesioni a rischio di frattura, complicazioni neurologiche e di sindromi algiche che condizionano prolungati allettamenti è buona norma impostare un programma motorio basato sul controllo della postura per evitare rigidità articolari e contratture muscolari, su esercizi attivi isometrici, con o senza resistenza (per il recupero della stenia e dei deficit motori e per la prevenzioni di complicazioni tromboemboliche), su esercizi passivi che coinvolgano anche il segmento interessato, sulla massoterapia per migliorare la circolazione locale e per mantenere il trofismo cutaneo e muscolare, sui passaggi posturali, sulla rieducazione al cammino. Nella fase di attesa della risposta delle terapie causali, l’impiego di terapie strumentali (ultrasuoni, laser, magnetoterapia, elettrostimolazioni transcutanee) si è dimostrato utile per il controllo di dolori derivanti da contratture muscolari o malposizioni o per il trattamento dei disturbi neurologici da chemioterapia e degli esiti cutanei della radioterapia (radiodermiti acute, fibrosi cutanee e sottocutanee). Molti tumori in fase avanzata si complicano con un linfedema evolutivo maligno. È per lo più dovuto alla compressione linfatica e/o venosa a opera di adenopatie metastatiche o di masse neoplastiche, all’infiltrazione dei vasi linfatici cutanei e sottocutanei, a trombosi neoplastiche, a tromboflebiti migranti. L’edema evolutivo compare per lo più acutamente, progredisce rapidamente e molto spesso è accompagnato o preceduto da dolore neuropatico e sintomi neurologici (ipostenia prossimo-distale a carico dei cingoli scapolare e pelvico, parestesie, iperestesia, allodinia). Si presenta con cute tesa, traslucida, di colorito eritematoso o subcianotico, di consistenza molle con fovea marcata. Sono in genere presenti teleangectasie e circoli collaterali alla radice dell’arto, alla parete toracica o addominale. I quadri clinico e sintomatologico sono, nella maggior parte dei casi, sufficienti a porre diagnosi di linfedema evolutivo. Nei casi dubbi la TC o la RM forniscono importanti informazioni circa la sede e l’entità del coinvolgimento metastatico. Il trattamento del linfedema maligno non è dissimile da quello del linfedema postchirurgico, anche se in questi casi sarà soprattutto diretto al controllo dei sintomi di accompagnamento, a prevenire ulteriori incrementi dimensionali, a mantenere e recuperare la funzionalità dell’arto. Le terapie potranno essere manuali, contenitive, compressive, motorie, Capitolo 69.fm Page 1907 Thursday, April 26, 2007 9:33 AM 1907 Neoplasie in fase avanzata farmacologiche, ortesiche. Dovranno tenere conto delle condizioni generali del paziente e locali dell’arto e andranno di volta in volta adattate e modificate nelle loro modalità di applicazione. In questo tipo di pazienti particolare attenzione andrà posta all’igiene della cute per evitare lesioni, escoriazioni, sovrainfezioni batteriche o fungine, specie nei casi di linforrea abbondante. Il linfodrenaggio manuale o il massaggio leggero possono essere utilizzati per ridurre le dimensioni dell’edema, le sensazioni di tensione dolorosa, anche se per alcuni autori la presenza di una ripresa di malattia ne controindica in modo assoluto l’effettuazione. Solo in caso di massivo coinvolgimento cutaneo o di lesioni ulcerative e sanguinanti il linfodrenaggio non dovrà essere effettuato. L’impiego del bendaggio e/o del tutore elastico si è dimostrato particolarmente utile per ridurre il disagio del paziente a causa dell’eccessivo peso e della tensione dell’arto, per evitare ulteriori incrementi dimensionali e per controllare la linforrea. Sono da preferire supporti elastici di bassa classe di compressione (I o II) e bendaggi monostrato o leggeri. In caso di intolleranza potranno essere utilizzate bende tubolari elastiche, facili da indossare, morbide e poco traumatizzanti per la cute, anche in doppio strato. Esercizi attivi e passivi trovano specifica indicazione per prevenire rigidità articolari, posture scorrette, la comparsa di ulcere da decubito nei pazienti allettati e per favorire il ritorno linfatico e venoso. Nei casi di edema di grosse dimensioni potranno essere impiegati presidi ortesici: reggibraccia per l’arto superiore quando è associata una plessopatia brachiale, canadesi per la deambulazione per l’arto inferiore, carrozzine per gli spostamenti fuori casa. La terapia meccanica (pressoterapia), utilizzata a bassi regimi pressori e per tempi di seduta non superiori ai 30 minuti, andrà effettuata solo in casi selezionati e con particolare cautela specie se è presente una documentata ostruzione al circolo linfatico e/o venoso (impegno adenopatico delle stazioni sovraclaveari, ascellari, inguinali, pelviche, ecc.). Per il controllo del dolore potranno essere somministrati diuretici, eparine a basso peso molecolare, antinfiammatori, cortisonici, antidepressivi triciclici, antiepilettici e analgesici oppiodi. Dosi, tempi e durata della terapia andranno definiti sulla base del quadro sintomatologico. BIBLIOGRAFIA AA.VV. 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