1 Attivazione delle cellule B e produzione di anticorpi

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Attivazione delle cellule B e produzione di anticorpi
1.1
Caratteristiche generali della risposta umorale
• Il processo di attivazione delle cellule B è sequenziale. I linfociti B maturi e in grado di rispondere
agli antigeni si sviluppano da precursori midollari prima di incontrare l’antigene e popolano poi
i tissuti linfoidi periferici, sede della futura interazione antigenica. Gli antigeni legano le IgM
e IgD di membrana sui linfociti naive e li attivano; l’attivazione può avvenire sia in dipendenza
che in indipendenza dai linfociti T. L’attivazione può portare a proliferazione, cioè all’espansione
del clone antigene specifico, e a differenziazione, cioè alla generazione di plasmacellule e cellule
della memoria. Alcune cellule B attivate iniziano a produrre anticorpi diversi da IgM e IgD in
un fenomeno detto switching (switching dell’isotipo della catena pesante). I linfociti in grado di
produrre anticorpi con la più alta affinità per l’antigene vengono inoltre preferenzialmente espansi:
si parla di maturazione dell’affinità. Un singolo linfocita può, in sette giorni, dare origine a
quattromila plasmacellule che producono oltre 1012 anticorpi al giorno.
• Le risposte anticorpali agli antigeni proteici richiedono i linfociti T helper CD4+ che riconoscono
gli antigeni e hanno ruolo fondamentale nell’attivazione dei B. Per questo motivo le proteine sono
classificate come antigeni timo dipendenti.
• Le risposte anticorpali agli antigeni multivalenti, con epitopi polisaccaridici e lipidici, non richiedono
i linfociti helper. Per questo motivo gli antigeni polisaccaridici e lipidici sono definiti timo indipendenti.
• I linfociti attivati differenziano in plasmacellule, alcune delle quali continuano a produrre anticorpi per anni, e in cellule della memoria. Le risposte umorali originano agli organi linfoidi
periferici, ma alcune plasmacellule migrano da questi al midollo osseo dove si stabiliscono per
anni producendo bassi livelli di anticorpi che forniscono protezione immediata per i microbi da
essi riconosciuti.
• Lo switching degli isotipi e la maturazione dell’affinità sono tipici delle risposte T-dipendenti agli
antigeni proteici. Lo switching è stimolato direttamente dai segnali in arrivo dalle cellule T, tra i
quali la molecola CD40L e varie citochine. La maturazione riguarda la generazione di mutazioni
somatiche ad alta frequenza in geni Ig V riarrangiati e la consequente selezione delle cellule
B con grande affinità per l’antigene originale. La natura della risposta umorale varia inoltre in
funzione del distretto anatomico: ad esempio i tessuti linfoidi mucosali sono adattati a produrre
grandi quantità di IgA.
• Le risposte anticorpali primarie e secondarie differiscono quantitativamente e qualitativamente.
Le risposte primarie derivano dall’attivazione di cellule B naive, le secondarie dalla stimolazione di
cloni espansi delle cellule della memoria; per questo motivo le risposte secondarie sono più rapide
e legate a quantità maggiori di anticorpi. In aggiunta a questo sia lo switching che la maturazione
aumentano con ripetute esposizioni allo stesso antigene.
• Set differenti di linfociti rispondono preferenzialmente a diverse tipologie di antigene. Le cellule
B follicolari degli organi linfoidi periferici preferiscono gli antigeni proteici; le cellule della zona
marginale della milza riconoscono antigeni multivalenti.
1.2
Riconoscimento dell’antigene e attivazione antigene-indotta
I linfociti circolano attraverso i follicoli degli organi linfoidi periferici in cerca del loro antigene. L’ingresso nei follicoli è guidato dalla chemochina CXCL13 prodotta dalle cellule dendritiche follicolari e
da quelle stromali; questa molecola si lega al recettore CXCR5 e attrae i linfociti nella giusta sede. La
sopravvivenza dei linfociti follicolari dipende dai segnali in arrivo dal B cell receptor (BCR) ma anche
da quelli mediati da una citochina detta BAFF (appartenente alla famiglia del TNF); BAFF e il ligando
correlato, APRIL, possono attivare altri due recettori, TACI e BCMA, che hanno ruolo nelle fasi più
tardive della maturazione.
Gli antigeni entrano negli organi linfoidi tramite le APC o in forma solubile e attivano i linfociti grazie
all’interazione con il BCR. Questo recettore ha due ruoli nella fase di attivazione:
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1. L’accumulo di recettori antigene-indotto rende possibile la segnalazione biochimica
2. Il recettore lega e internalizza l’antigene per processarlo in peptidi per la presentazione ai linfociti
T helper
1.2.1
Trasduzione del segnale
I recettori dei linfociti B naive, cioè IgM e IgD, hanno code citoplasmatiche troppo corte per trasdurre
il segnale, il compito viene infatti svolto da altre due molecole dette Igα e Igβ. Queste molecole sono
tra loro legate da ponti disolfuro e sono associate in modo non covalente alla membrana; sono anche
richieste per l’espressione superficiale delle molecole Ig e insieme ad esse formano il complesso recettoriale delle cellule B (complesso BCR). Igα e Igβ sono dunque analoghe a CD3 e ζ per i linfociti T. I
domini citoplasmatici di queste due molecole contengono i motivi ITAM già visti per le cellule T e sono
anche blandamente associati a tirosin chinasi della famiglia Src.
Il cross-linking delle Ig di membrana porta le chinasi citoplasmatiche ad avvicinarsi e questo le attiva
facendo loro fosforilare i domini ITAM. La fosforilazione di ITAM fornisce un sito di attacco per i domini
SH2 della tirosin chinasi Syk, l’equivalente nelle cellule B di ZAP-70 dei linfociti T. Syk attivata va a
fosforilare dei residui di tirosina su una proteina adattatrice detta SLP-65 facilitando il reclutamento
su questa di altri domini SH2 di vari enzimi. Le principali molecole che interagiscono con SLP-65 sono:
1. Il fattore SOS viene reclutato da SLP-65 e catalizza la sostituzione di GDP in GTP sulla proteina
RAS e sulla proteina RAC. Queste proteine in forma GTP-legata attivano la via della chinasi
JNK-MAP.
2. Una fosfolipasi, PLCγ2, viene attivata quando si lega a SLP-65 e viene fosforilata da Syk e Btk.
Questo enzima si porta a demolire il fosfatidilinositolo di membrana (PIP2) generando inositolo
3-fosfato e diacilglicerolo. L’inositolo mobilita il calcio, il DAG in presenza di calcio attiva la
protein chinasi C che fosforila varie altre proteine.
3. La protein chinasi C fosforila una proteina detta CARMA1 contentente un dominio CARD che ne
media le interazioni con le altre proteine. Le attività di CARMA1 culminano infine con l’attivazione
del complesso IKK (IκB chinasi); il complesso è critico per l’attivazione di NF-κB in quanto è in
grado di fosforilare IκBα, un inibitore di NF-κB, e destinarlo al proteasoma: in questo modo NF-κB
è libero di entrare nel nucleo.
4. Questa serie di cascate porta all’attivazione di fattori di trascrizione che inducono l’espressione di
geni i cui prodotti sono richiesti per le risposte delle cellule B.
Queste vie di segnalazione funzionano con qualsiasi recettore Ig, in quanto tutti si associano ad Igα e
Igβ per poter trasdurre il segnale.
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1.2.2
Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettori per le cellule B
I linfociti B esprimono un recettore per la proteina del complemento C3d che prende il nome di
CR2 o CD21. Il complesso C3d+antigene o quello C3d+antigene+anticorpo lega il linfocita in modo che
l’Ig riconosca l’antigene e CR2 riconosca la proteina del complemento. CR2 è espresso sotto forma di
complesso con altre due proteine, CD19 e CD81: questo complesso viene spesso chiamato complesso
corecettoriale delle cellule B perchè lega C3d allo stesso momento in cui BCR lega l’antigene. Il
legame di C3d al corecettore porta CD19 in prossimità delle chinasi associate al BCR e la coda di CD19
diventa in questo modo fosforilata; la fosforilazione risulta nel reclutamento della chinasi Lyn, che può
amplificare il segnale di BCR fosforilando direttamente i domini ITAM. CD19 fosforilata attiva anche
altre vie di segnalazione, tra le quali una legata a P IP3 , che aumentano ulteriormente i pathway aperti
dalle Ig. Il risultato netto è un grande stimolo della risposta della cellula B stimolata.
1.2.3
Risposte funzionali dei linfociti B agli antigeni
Il riconoscimento dell’antigene stimola l’ingresso delle cellule nella fase G1 del ciclo cellulare, uscendo
così dalla precedente fase G0. La sopravvivenza delle cellule B viene migliorata grazie all’induzione di
vari geni anti apoptotici. I linfociti B attivati mostrano un’aumentata espressione di molecole
MHCII e di costimolanti (B7-2 prima e B7-1 dopo, ed è questa la ragione per cui sono in grado di
attivare i linfociti helper). L’espressione dei recettori per le citochine derivanti dai linfociti T viene
anch’essa aumentata in modo da rendere le cellule B recettive, inoltre cambia anche l’espressione dei
recettori per le chemochine in modo da permettere la mobilitazione.
L’importanza del BCR nelle risposte è diversa a seconda dell’antigene. Gli antigeni multivalenti
hanno di solito parecchi epitopi uguali sulla stessa molecola e sono quindi in grado di stimolare in
modo efficace il linfocita. Gli antigeni peptidici sono invece spesso dotati di un solo epitopo e quindi
non sono in grado di stimolare il linfocita: in questo caso il BCR si limita ad internalizzare l’antigene
per presentarlo al linfocita helper, il quale poi si occuperà di attivare la cellula B.
1.3
Risposte anticorpali helper-dipendenti ad antigeni proteici
Le prime fasi delle risposte helper-dipendenti avvengono ai bordi delle zone T e dei follicoli primari
e risultano nella proliferazione delle cellule B, nella secrezione di anticorpi iniziale e in un limitato
switching. Le fasi più tardive avvengono invece nei centri germinativi all’interno dei follicoli linfoidi e
risultano nella maturazione dell’affinità, nella generazione di cellule della memoria e nello switching
più evidente.
1.3.1
Sequenza degli eventi nelle risposte anticorpali T-dipendenti
1. Assunzione dell’antigene dalle cellule dendritiche e presentazione ai linfociti T helper.
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2. Attivazione degli helper e espressione di CD40L e citochine.
3. Migrazione degli helper verso il follicolo grazie alle chemochine.
4. Attivazione delle cellule B da antigeni solubili o presentati dalle cellule dendritiche.
5. Processamento e presentazione dell’antigene delle cellule B e migrazione verso la zona T grazie ai
recettori per chemochine.
6. Interazione tra cellule B e T e attivazione delle prime grazie a CD40L e citochine.
7. Inizio dello switching e della secrezione di Ig.
8. Migrazione delle cellule B attive verso il follicolo, formazione di centri germinali nel follicolo.
Nei centri germinali si ha marcato switching, mutazioni somatiche, maturazione dell’affinità e
generazione delle cellule della memoria.
9. Generazione di plasmacellule a lunga vita che migreranno poi nel midollo osseo.
1.3.2
Attivazione degli helper
Le cellule che per prime riconoscono l’antigene sono le cellule dendritiche, che lo processano e lo
caricano sulle molecole MHCII per farlo riconoscere ai linfociti CD4+ naive. Le cellule dendritiche sono
inoltre stimolate a produrre B7-1 e B7-2 che forniranno secondi segnali per l’attivazione degli helper.
I linfociti attivati dalle cellule dendritiche sono indotti a proliferare, esprimere CD40L e secernere
varie citochine. Queste cellule modificano inoltre il loro set di recettori per chemochine, aumentando
l’espressione di CXCR5 e diminuendo quella di CCR7; in questo modo la cellula segue il gradiende di
concentrazione di CXCL13, prodotto dalle cellule dendritiche follicolari, che la porta nel follicolo.
1.3.3
Presentazione dell’antigene dalle cellule B e migrazione
Il BCR è un recettore ad alta affinità in grado di internalizzare efficacemente l’antigene per endocitosi
rendendolo disponibile al processamento e al caricamento sull’MHCII. Sono molti i segnali secondari
che permettono ad un linfocita B di rispondere ad antigeni proteici dannosi e non a quelli innocui:
1. L’aiuto dagli helper viene fornito solo da linfociti T che hanno risposto a cellule dendritiche che
esprimono B7; l’espressione di B7 è a sua volta indotta dal coinvolgimento del TCR che riconosce
strutture non-self.
2. I linfociti B percepiscono direttamente i patogeni grazie alla presenza di uno o più TLR, tra i quali
TLR4, TLR5 e TLR9.
I linfociti B antigene attivati downregolano l’espressione di CXCR5 e aumentano l’espressione di CCR7:
questo comportamento, opposto a quello dei linfociti T CD4+ , li attira verso l’interfaccia T-B del
linfonodo.
In una qualsiasi risposta umorale le cellule B specifiche per l’antigene che ha iniziato la risposta
vengono attivate preferenzialmente; esistono varie ragioni per giustificare questo fatto:
1. Solo i linfociti B le cui molecole Ig legano l’antigene possono ricevere i segnali di attivazione.
2. I linfociti B sono in grado di presentare il loro antigene a concentrazioni anche 106 volte minori
rispetto all’antigene che non riconoscono in quanto l’internalizzazione via BCR è estremamente
efficiente.
3. I linfociti B nei coniugati cellula T-cellula B sono esposti ai segnali portati da CD40L e da alte
concentrazioni di citochine T-derivate, in parte per via della formazione delle sinapsi immunologiche.
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1.3.4
Effetto aptene-carrier
Gli apteni, come il dinitrofenolo, sono piccole molecole che possono legare anticorpi specifici ma non
sono immunogeni da soli. Se un aptene si lega ad una proteina carrier il loro complesso diventa però
immunogeno. Tre sono le caratteristiche importanti delle risposte anticorpali verso questi complessi:
1. Sono necessarie sia cellule B specifiche per l’aptene che per il carrier.
2. Per avere risposta carrier e aptene devono essere fisicamente associati, la somministrazione separata non fornisce reazione.
3. L’interazione è MHCII ristretta, cioè gli helper collaborano solo con i linfociti B che esprimono
queste molecole che vengono riconosciute come self dai T.
I linfociti aptene-specifici legano l’antigene attraverso il determinante dell’aptene, lo internalizzano e
presentano i peptidi derivati dalla proteina carrier ai linfociti T carrier-specifici: i due linfociti cooperanti
riconoscono dunque due epitopi diversi dello stesso antigene. L’effetto carrier-aptene è alla base dello
sviluppo dei vaccini coniugati.
1.3.5
Attivazione delle cellule B helper-dipendente
I linfociti helper attivati esprimono una molecola detta CD40L, il cui recettore è CD40, espresso sui
linfociti B che presentano l’antigene: l’interazione tra i due è alla base dell’attivazione. CD40 è un
membro della famiglia dei recettori TNF; CD40L è una proteina trimerica. CD40 è espresso in modo
costituivo dalle cellule B mentre il suo ligando viene espresso dagli helper solo dopo che questi sono
stati attivati. Il legame tra ligando e recettore induce alterazioni conformazionali dei trimeri di CD40 e
questo causa l’associazione di una proteina citosolica detta TRAF; TRAF inizia una cascata enzimatica
che porta all’attivazione e alla traslocazione nucleare dei fattori di trascrizione, tra i quali NF-κB e
AP-1. L’induzione dei fattori di trascrizione CD40-dipendente è cruciale per la formazione dei centri
germinativi e anche per l’espressione di un gene codificante la deaminasi attivazione-indotta (AID),
un enzima critico per lo switching e le mutazioni somatiche. Questo sistema di risposta cellulare
contatto-mediata è il meccanismo generale di attivazione di cellule bersaglio da parte degli helper e non
è dunque unico per la produzione di anticorpi.
Il virus di Epstein-Barr (EBV) infetta i linfociti B e ne induce proliferazione che può portare a linfoma.
La coda citoplasmatica di una proteina trasformante del virus, LMP1, si associa alle stesse molecole
TRAF attivate da CD40 e in questo modo stimola la proliferazione dei linfociti.
I linfociti helper attivati secernono citochine che agiscono insieme a CD40L per stimolare la proliferazione e la produzione di anticorpi di diversi isotipi. Le citochine servono per due scopi principali in
ambito di risposte anticorpali:
1. Aumentano la proliferazione e la differenziazione delle cellule B
2. Promuovono lo switching verso differenti isotipi delle catene pesanti
Il riconoscimento dell’antigene nei linfociti B aumenta l’espressione dei recettori per le citochine, molecole
presenti ad alte concentrazioni nelle sedi di contatto con il linfocita helper. Le citochine helper-derivate,
soprattutto IL-2, IL-4 e IL-21, potenziano proliferazione e differenziazione dei linfociti B, allo stesso
modo delle citochine BAFF e APRIL della famiglia del TNF. La citochina IL-6, prodotta da macrofagi, linfociti T e altre cellule, è invece un fattore di crescita per cellule B già differenziate e secernenti
anticorpi.
L’attivazione contribuisce all’iniziale formazione di foci extrafollicolari di cellule B attivate che possono andare incontro a differenziazione e switching dell’isotipo. Ognuno dei foci formati contiene
qualche centinaio di plasmablasti e plasmacellule, i cui anticorpi prodotti possono contribuire a formare immunocomplessi che hanno un ruolo nell’iniziare la reazione di formazione del centro germinale.
1.3.6
Reazione del centro germinativo
L’iniziale risposta agli antigeni dei linfociti B si ha nella zona tra i follicoli linfoidi e le zone T; dopo
quattro-sette giorni dall’esposizione alcuni dei linfociti B attivati migrano in profondità del follicolo e
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iniziano a proliferare rapidamente, formando il centro germinativo. All’interno del centro germinativo
la zona scura contiene cellule B rapidissime a proliferare: in cinque giorni un singolo linfocita può
generare cinquemila cellule figlie. Ogni centro germinativo contiene cellule derivate da un unico clone
o al massimo da un paio. La progenie, formata da cellule più piccole, va incontro a differenziazione e
selezione nella zona chiara del centro.
L’architettura dei follicoli linfoidi e dei centri germinativi dipende dalla presenza delle cellule dendritiche follicolari. Le FDC si trovano solo nei follicoli ed esprimono recettori per il complemento (CR1,
CR2 e CR3) e per Fc ma non esprimono molecole MHCII. Le lunghe code citoplasmatiche di queste cellule formano un’impalcatura attorno alla quale si forma il centro germinativo. Le cellule B proliferanti
si posizionano nella zona scura del centro, che presenta poche FDC, mentre la progenie si distribuisce
nelle zone più esterne.
La formazione del centro germinativo è impedita in soggetti con difetti nello sviluppo dei linfociti T o
con mutazioni in CD40 o CD40L; questo fenomeno è dovuto al fatto che il centro viene costruito solo a
partire da cellule B attivate, e l’interazione CD40:CD40L è fondamentale nelle prime fasi dell’attivazione.
1.3.7
Switching dell’isotipo delle catene pesanti
In risposta a CD40 e alle citochine, alcune delle cellule figlie dei linfociti B attivati (che esprimono solo
IgD ed IgM) vanno incontro a switching, portando alla produzione di altre catene pesanti quali γ, α, ε.
In soggetti KO per CD40 si nota come lo switching sia deficitario e le risposte anticorpali siano dominate
da anticorpi IgM.
Le citochine hanno ruolo essenziale nello switching di particolari isotipi. IL-4 è il principale agente
inducente la produzione di IgE, mentre la produzione di IgG2 nel topo è dipendente dall’interferone γ
secreto da linfociti T e cellule NK.
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Il principale meccanismo grazie al quale CD40 induce lo switching è lo stimolo alla trascrizione del
gene AID. Il gene AID viene dunque trascritto dietro stimolo di CD40, sono però le varie citochine
a indurre i fattori di trascrizione che identificano quale catena pesante sarà il target dello switching
mediato da AID.
Lo switching in risposta a diverse tipologie di microbo è regolato dal tipo di cellula helper che viene
attivata dai microbi stessi, ad esempio:
• Batteri con capsule ricche in polisaccaridi stimolano la produzione di IgM i quali poi favoriscono
il complemento, la fagocitosi e l’opsonizzazione.
• Gli antigeni polisaccaridici, che non necessitano l’aiuto degli helper, stimolano IgM.
• Molti virus e batteri stimolano la produzione di IgG, che bloccano l’ingresso dei patogeni nella
cellula e ne facilitano la fagocitosi. Virus e batteri attivano gli helper del sottogruppo TH 1 che
producono interferone γ, il principale induttore di switching a catena γ nelle cellule B.
• I parassiti elmintici generano risposte di tipo principalmente IgE, anticorpi che partecipano all’uccisione eosinofilo-mediata dei patogeni. Gli anticorpi IgE sono anche alla base delle reazioni
allergiche. Gli elminti attivano gli helper del sottogruppo TH 2 i quali producono IL-4, principale
induttore di switching verso la catena pesante ε.
In aggiunta a questo meccanismo, anche la sede anatomica influenza lo switching. I linfociti B delle
mucose producono soprattutto IgA, l’anticorpo più efficace nell’essere trasportato attraverso gli epiteli;
lo switch è stimolato dal transforming growth factor β (TGF-β ) prodotto da parecchie cellule nelle
mucose. Il recettore TACI (substrato sia per APRIL che per BAFF) ha anch’esso un ruolo critico nello
switch verso IgA.
Il principale meccanismo molecolare di switching è un processo detto ricombinazione switch in
cui il segmento genico riarrangiato VDJ di una cellula B si ricombina con un gene della regione C
a valle mentre il DNA in mezzo viene eliminato. Questi eventi ricombinatori coinvolgono sequenze
nucleotidiche dette regioni switch poste negli introni J-C alle estremità 5’ di ogni locus CH ; queste
regioni sono lunghe 1-10kb, contengono numerose ripetizioni di GC e si trovano a monte di ogni gene
codificante catene pesanti ad eccezione del gene δ. A monte di ogni regione di switch c’è un piccolo
esone detto esone I (per iniziatore della trascrizione) preceduto da un promotore. CD40 e le citochine
stimolano lo switching rendendo più accessibile il DNA di una specifica regione C e inducendo poi la
trascrizione attraverso l’esone I, la regione di switch e l’esone CH . Questi trascritti, detti trascritti
germinali, non codificano proteine ma hanno un ruolo fondamentale nello switch.
La trascrizione germinale è accompagnata dall’accessibilità di un particolare gene C a rotture e
riparazioni del DNA; come risultato l’esone riarrangiato VDJ giusto a monte della regione di switch µ si
accoppia con la regione C a valle trascrizionalmente attiva.
L’enzima chiave richiesto per lo switching è la deaminasi attivazione-indotta (AID). AID è una
DNA deaminasi che converte la citosina in uracile all’interno di template di DNA a singolo filamento.
La trascrizione produce sempre una piccola bolla di DNA a singolo filamento mentre il complesso della
polimerasi scorre lungo il filamento codificante; dato che il DNA nella bolla è a singolo filamento ecco
che può subire l’azione di AID. Un enzima detto uracil N-glicosilasi rimuove a questo punto i residui
di uracile creati da AID generando siti abasici che vengono eliminati dall’endonucleasi Ape1. I buchi
su entrambi i filamenti contribuiscono alle rotture sia alla regione Sµ che al locus a valle coinvolto nello
switching di quel particolare isotipo. L’esistenza di rotture nelle due regioni di switch causa la delezione
del DNA interposto e l’unione delle due giunzioni da parte dei sistemi di riparazione di questo tipo di
danno.
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1.3.8
Maturazione dell’affinità
Il processo di maturazione dell’affinità genera anticorpi con crescente capacità di legare gli antigeni
e quindi di neutralizzare i microbi. I linfociti helper e le interazioni CD40:CD40L sono richieste per
procedere e quindi la maturazione avviene solo in risposta ad antigeni proteici T-dipendenti.
Nella zona scura proliferativa dei centri germinativi i geni IgV vanno incontro a mutazioni puntiformi ad un tasso di una ogni 103 coppie di geni, cioè da mille a diecimila volte più frequentemente del
normale: questo significa che ci sarà una mutazione nelle regioni V in media ogni divisione cellulare.
Le mutazioni nel gene continuano anche nella progenie, quindi ogni clone di cellula B può accumulare
parecchie mutazioni nella sua vita al centro germinativo.
I meccanismi di mutazione somatica sono poco conosciuti. Si sa che il DNA Ig VDJ diventa altamente
mutabile probabilmente a seguito di legame con fattori mutageni. Non si sa se i centri germinativi
forniscano segnali contatto-mediati o citochine per stimolare le mutazioni ma si sa che l’enzima AID è
fondamentale. I residui di uracile creati da AID possono essere convertiti a residui di timina o possono
essere eliminati dalla glicosilasi, in ogni caso favorendo la mutazione.
In sostanza si crede che le ripetute esposizioni all’antigene generino parecchie mutazioni, di cui
la maggior parte inutili mentre alcune effettivamente portano ad un anticorpo più efficace: il passo
successivo è dunque la selezione delle cellule che producono gli anticorpi migliori.
Le cellule dendritiche follicolari dei centri germinativi presentano gli antigeni, e le cellule B che sono
in grado di legarli con alta affinità vengono selezionate per la sopravvivenza. La prima fase di risposta
all’antigene è la produzione di anticorpi, alcuni dei quali formano complessi con l’antigene e attivano il
complemento. Le FDC hanno recettori per la porzione Fc dell’anticorpo e per i prodotti di attivazione
del complemento; questi recettori legano e presentano gli antigeni complessati con anticorpi o prodotti
del complemento. Nel frattempo i linfociti B dei centri germinativi che hanno subito le mutazioni
migrano verso la zona ricca di FDC: queste cellule moriranno di apoptosi se non verranno salvate dal
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riconoscimento dell’antigene. In questo modo le cellule che riconoscono in maniera specifica l’antigene
mostrato sulle FDC sono selezionate per vivere. L’aumento della produzione di anticorpi va di pari
passo con l’eliminazione dell’antigene che sarà sempre più raro sulle FDC: si ha dunque necessità di
linfociti B sempre più specifici per la sopravvivenza perchè dovranno avere un’affinità sempre più alta
per legare i pochi antigeni rimasti.
Le mutazioni somatiche avvengono nella zona scura basale del centro germinativo nei centroblasti
che contengono l’enzima AID; terminata la mutazione le cellule migrano verso la zona chiara apicale
dove vengono selezionate dalle FDC e possono andare incontro ad un ulteriore switching. Le cellule
escono infine dal centro germinativo e diventano cellule della memoria o plasmacellule ad altissima
affinità.
1.3.9
Differenziazione dei linfociti B in plasmacellule secernenti anticorpi
La sintesi degli anticorpi, come la proliferazione dei linfociti B, è stimolata da segnali mediati da CD40
e dalle citochine. Molte citochine, tra le quali IL2, IL4 e IL6, sono state individuate come stimolatrici di
questo processo.
All’interno degli organi linfoidi le plasmacellule si trovano soprattutto in sede extrafollicolare, come
la polpa rossa della milza o la midollare del linfonodo. Le plasmacellule sono linfociti B differenziati in
maniera terminale e destinate alla sola produzione di anticorpi. Lo sviluppo di queste cellule dipende
all’induzione di un fattore di trascrizione detto BLIMP-1. Esistono due tipologie di plasmacellula. Le
plasmacellule a vita breve vengono ritrovate negli organi linfoidi secondari e nei tessuti non linfoidi
periferici. A seguito della reazione del centro germinale alcune plasmacellule ottengono la capacità di
dirigersi al midollo osseo dove vengono mantenute grazie al recettore BCMA, e queste cellule prendono il
nome di plasmacellule a vita lunga. Tipicamente dopo due o tre settimane dall’infezione da parte di un
antigene T-dipendente il midollo diventa una sede chiave di produzione di anticorpi. Le plasmacellule
midollari continuano a secernere antibodi per mesi o anni dopo la scomparsa dell’antigene per fornire
protezione immediata in caso di nuovo incontro; quasi la metà degli anticorpi circolanti di un adulto è
prodotto da plasmacellule a vita lunga. Gli anticorpi secreti entrano nella circolazione e nelle secrezioni
delle mucose ma le cellule che li hanno prodotti non sono circolanti.
Le molecole Ig secrete e di membrana differiscono per via della loro regione carbossi terminale. Ad
esempio nelle IgM secrete il dominio Cµ 4 è seguito da una coda contenente aminoacidi polari. Nelle IgM
di membrana invece lo stesso dominio è seguito da una sequenza più corta e idrofobica transmembrana
e da una coda citoplasmatica di tre aminoacidi. La transizione da Ig di membrana a secreta riflette
una variazione nel processing dell’RNA messaggero per la catena pesante. Il trascritto primario di
tutte le cellule B produttrici di IgM contiene infatti VDJ, i quattro esoni Cµ per i domini costanti e
due esoni per i domini citoplasmatici e transmembrana. Il processing dell’RNA determina se gli esoni
transmembrana e citoplasmatico saranno o meno inclusi nell’mRNA finale. In sostanza tutti i linfociti B
possono sintetizzare anticorpi sia di membrana che di secrezione; con il procedere della differenziazione
la quantità di anticorpi di secrezione tende però ad aumentare. I segnali che regolano il processo dello
splicing alternativo non sono conosciuti. Nota: la forma secretoria della catena pesante δ è raramente
espressa, infatti le IgD sono tipicamente proteine di membrana.
1.3.10
Generazione di cellule della memoria e risposte umorali secondarie
Alcuni dei linfociti B attivati acquisiscono l’abilità di sopravvivere per lunghi periodi apparentemente
senza stimolazione antigenica: sono le cellule della memoria. Alcune di queste cellule possono rimanere negli organi linfoidi mentre altre ricircolano tra la milza ed i linfonodi. Le cellule della memoria
tipicamente portano recettori antigenici ad alta affinità e molecole Ig di isotipi switch con più frequenza
dei linfociti naive.
Molte delle caratteristiche delle risposte umorali secondarie riflettono la precedente attivazione dei
linfociti B da parte degli helper CD4+ . Lo switching delle catene pesanti è tipico delle risposte secondarie
in quanto indotto dai linfociti helper e dalle loro citochine. La maturazione dell’affinità è anch’essa secondaria all’attivazione T-dipendente dei linfociti B. Per neutralizzare molti microbi e le loro tossine sono
richiesti anticorpi ad alta affinità; un vaccino effettivo contro tali microorganismi deve dunque indurre
maturazione dell’affinità e produzione di cellule della memoria: entrambi questi processi avverranno
solo in caso di attivazione degli helper. Nel caso di infezioni batteriche in cui l’antigene bersaglio è un
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polisaccaride (incapace di stimolare i linfociti T), si sfrutta il sistema aptene-carrier e si parla di vaccini
coniugati.
1.4
Risposte anticorpali ad antigeni T-indipendenti
Gli anticorpi prodotti in questo tipo di risposte hanno generalmente bassa affinità e sono soprattutto
IgM con un limitato switch verso alcuni sottotipi di IgG.
I più importanti antigeni TI sono polisaccaridi, glicolipidi ed acidi nucleici, tutti in grado di
indurre produzione specifica di anticorpi in animali privi di linfociti T. Tutti questi antigeni non possono
essere processati sulle molecole MHC e quindi essere riconosciuti dagli helper. La maggior parte degli
antigeni TI è polivalente, e questo induce cross-linking massimale del complesso BCR sui linfociti B,
portando ad attivazione senza aiuto degli helper. In aggiunta molti polisaccaridi attivano il complemento
seguendo la via alternativa, generando C3d che lega l’antigene e aumenta l’attivazione dei linfociti B.
Le risposte delle cellule B dipendono infine dai segnali in arrivo dai recettori della famiglia BAFF che
rispondono a fattori di crescita prodotti dalle cellule dendritiche, dai macrofagi e dai TLR.
Le risposte agli antigeni TI sono diverse a seconda del sito anatomico; possono avere inizio nella
milza, nel midollo, nel peritoneo o nelle mucose. I macrofagi in associazione alla milza sono particolarmente efficienti nell’intrappolare polisaccaridi. Le cellule B della zona marginale sono un sottogruppo
delle cellule B che risponde soprattutto ai polisaccaridi producendo IgM. Un’altra linea di cellule B che
risponde bene agli antigeni TI è quella delle cellule B B-1, in gran parte derivate dalle cellule staminali
del fegato fetale e sono esposte all’antigene principalmente nel peritoneo e nelle mucose.
Il senso pratico degli antigeni TI è che molti polisaccaridi parietali dei batteri vi appartengono;
individui con deficienze congenite o acquisite dell’immunità umorale sono infatti molto suscettibili ad
infezioni di batteri capsulati, quali Pneumococcus, Meningococcus e Haemophilus. In aggiunta gli
antigeni TI contribuiscono alla generazione degli anticorpi naturali, normalmente presenti in circolo
e apparentemente indotti senza esposizione ai patogeni. La maggior parte degli anticorpi naturali ha
bassa affinità ed è prodotta dalle cellule B di tipo B-1 del peritoneo stimolate dai batteri del tratto GI.
Alcuni antigeni TI inducono isotipi diversi da IgM. Nell’uomo l’anticorpo principale indotto dal
polisaccaride di capsula del pneumococco è IgG2. In assenza di cellule T, BAFF e APRIL possono
indurre nelle cellule di origine mieloide (cellule dendritiche, macrofagi) la sintesi di AID per dar luogo
allo switch.
Nonostante l’incapacità di attivare gli helper, molti vaccini polisaccaridici producono immunità protettiva di lunga durata. Risposte secondarie rapide e ampie tipiche della memoria si sviluppano per
esposizione secondaria a questi antigeni. Il fenomeno della memoria IgM è stato dimostrato e in topi
e uomo è possibile evidenziare le cellule B della memoria per antigeni TI; nell’uomo queste cellule
esprimono alti livelli di CD27 e IgM o IgD.
1.5
Feedback anticorpale: regolazione della risposta umorale da parte dei recettori Fc
Gli anticorpi secreti inibiscono la continua attivazione delle cellule B formando complessi antigeneanticorpo che si legano in simultanea ai recettori antigenici ed ai recettori Fc sui linfociti B antigene
specifici: questa è la spiegazione del fenomeno di feedback anticorpale, cioè della downregolazione
della produzione di anticorpi da parte delle IgG secrete. Gli anticorpi IgG inibiscono i linfociti formando appunto complessi che si legano ad un recettore per la forzione Fc della molecola chiamato
recettore FcγII (FcγRIIB o CD32). Il dominio citoplasmatico del recettore contiene un dominio a sei
amminoacidi condiviso con altri recettori di questo tiipo che mediano segnali negativi; per analogia
con gli ITAM questo dominio viene chiamato ITIM (Immunoreceptor Tyrosin-based Inhibition Motif).
Quando il recettore viene stimolato il dominio ITIM viene fosforilato formando un sito di attacco per
l’inositolo 5-fosfatasi SHIP; SHIP idrolizza un fosfato su PIP3 e in questo modo termina la risposta del
linfocita all’antigene. Il complesso antigene anticorpo interagisce simultaneamente sia con il recettore
antigenico che con quello per la porzione Fc, portando la fosfatasi inibitoria vicina al recettore antigenico da bloccare. L’importanza dell’inibizione attraverso FcγRIIB è dimostrata nei topi KO per questo
gene. Un polimorfisfmo in questo gene è stato collegato al lupus eritematoso sistemico nell’uomo.
I linfociti B esprimono un altro recettore inibitorio detto CD22, una lectina che lega acido sialico. Il
ligando naturale non è conosciuto e non si sa come si attivi ma si sa che topi KO mostrano una enorme
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attivazione dei linfociti B. Il lato citoplasmatico della molecola contiene un ITIM che da fosforilato lega
la tirosin fosfatasi SHP-1; questa fosfatasi si porta a rimuovere un fosfato sui domini ITAM e quindi
blocca il segnale del BCR.
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