Relazione di scienze
Che cos'è un fossile?
La parola fossile deriva dal latino fossilis, da fodere, scavare ,ed indica il resto o l'impronta di
organismi vegetali o animali, vissuti anteriormente all'epoca attuale, conservatosi negli strati della
crosta terrestre.
I resti di una specie estintasi in epoca storica non sono necessariamente fossili, così una specie
attualmente vivente può anche essere nota allo stato fossile.
Mentre i resti fossili provenienti da esseri recentemente estinti vengono definiti forme subfossili (ad
es. quelli dell'Aepyornis del Madagascar), si considerano propriamente fossili solo i resti di
organismi vissuti in epoca anteriore all'attuale. La natura e la conservazione dei fossili dipendono
principalmente dalla natura dei terreni nei quali sono inclusi, sia che siano stati completamente
sostituiti da sostanze inorganiche (pietrificati), sia che siano stati conservati nei ghiacci come i
mammut della Siberia. Anche sostanze secrete dagli organismi (es. ambra) o formatesi per
alterazione (es. ozocerite) possono essere considerate fossili. Lo studio dei fossili porta un notevole
contributo alle teorie dell'evoluzione e agli studi geologici: la geologia storica si basa, infatti,
soprattutto sui fossili guida.
La durata dell'esistenza di una specie animale o vegetale può essere molto varia ed è tanto più breve
quanto più è rapida l'evoluzione del gruppo cui essa appartiene; si conoscono specie esistite per un
periodo di tempo assai breve e che sono pertanto dei buoni fossili guida, caratteristici di un'epoca.
Essi permettono di definire i piani e i sottopiani e, quando presentano una distribuzione
verticale molto limitata nell'interno degli strati e sono anche relativamente frequenti, possono essere
utilizzati per la suddivisione in zone paleontologiche.
Se due strati affioranti in regioni differenti contengono le stesse specie, essi possono essere
considerati coevi. Per fare queste correlazioni è indispensabile quindi che i fossili presentino
un'ampia distribuzione geografica: ottimi fossili sono, per questo motivo, le ammoniti, i graptoliti,
alcuni foraminiferi.
Anche i fossili di facies assumono notevole importanza perché permettono di risalire alle
condizioni ambientali di formazione delle rocce in cui si rinvengono. I fossili sono infine utili anche
agli studi di paleogeografia poiché danno indicazioni sui paleoclimi e sulla distribuzione delle terre
e dei mari nei vari periodi geologici. Tra i vegetali, importanti sono i legni fossili che abbondano in
tutti i periodi a partire dal carbonifero: la loro struttura microscopica può essere perfettamente
conservata; se sono silicizzati, formano le cosiddette foreste pietrificate (es. Arizona); se
carbonizzati forniscono i carboni fossili.
La fossilizzazione
La fossilizzazione è il processo che permette la conservazione negli strati terrestri di
organismi animali o vegetali, o delle loro tracce, che si trasformano così in fossili.
Se un organismo si trova, dopo la sua morte, esposto al contatto dell'acqua o dell'aria umida
si decompone rapidamente e anche le parti più resistenti spariscono a poco a poco. Se, al contrario,
viene ricoperto subito dopo la morte da sedimenti, le sostanze minerali contenute in tali sedimenti
penetrano nell'interno dei tessuti dell'organismo e li sostituiscono o si depositano sulla sua
superficie dando origine a un fossile. È raro, però, che gli organismi possano conservarsi
integralmente; ciò è avvenuto solo per i mammut imprigionati nel ghiaccio; anche la pelle di alcuni
dinosauri ha subito inizialmente un processo di mummificazione per disidratazione, ma in un tempo
successivo è stata mineralizzata. Per lo più le parti molli dell'organismo non si conservano (così gli
insetti racchiusi nell'ambra hanno conservato solo l'esoscheletro) e spesso di esso non rimane che
l'impronta o il modello interno o esterno.
Il processo di fossilizzazione più comune è quello di pietrificazione o mineralizzazione, nel quale le
sostanze organiche sono sostituite da sostanze minerali, per esempio da silice (silicizzazione). Un
altro processo è quello di carbonizzazione; vi sono poi il metodo dell'incrostazione, della
distillazione e dell'inglobamento.
La fossilizzazione per mineralizzazione
La mineralizzazione avviene in ambiente acquatico, o comunque dove c'è circolazione di soluzioni
acquose. La mineralizzazione avviene contemporaneamente alla diagenesi del sedimento nel quale
sono immersi i resti dell'organismo. La diagenesi (trasformazione subita da un deposito
sedimentario, in ambiente marino o continentale, a opera di acque di infiltrazione o di organismi
che lo consolidano attraverso processi di cementazione e di ricristallizzazione), è dovuta ai liquidi
che circolano tra le particelle del sedimento. Se questi liquidi sono soluzioni ricche di sostanze che
facilmente si depositano, il sedimento si trasforma in roccia, i resti dell'organismo rimangono
intrappolati e, grazie alla penetrazione nei minuscoli pori dell'organismo di queste soluzioni, si
pietrificano anch'essi e si trasformano in un fossile. La gran parte dei fossili di questo tipo risale
all'epoca Cenozoica.
La fossilizzazione per incrostazione
E' il processo per il quale un organismo o una roccia sono ricoperti di una crosta di sostanza
minerale, soprattutto di calcare o di silice, che vi aderisce fortemente.
L'acqua satura di biossido di carbonio, a pressione normale e a 10 °C, può disciogliere lo 0,088%
della sua massa di carbonato di calcio trasformandolo in bicarbonato solubile; se l'acqua evapora e
perde biossido di carbonio, con l'aumentare della temperatura depone lentamente sugli oggetti sui
quali essa scorre uno strato di calcio di spessore a mano a mano crescente. In seguito al processo di
incrostazione si formano gli alabastri calcarei e i travertini nelle grotte carsiche o in corrispondenza
di sorgenti e di cascate. Quando l'incrostazione avviene su di un organismo si ha un processo di
fossilizzazione, che, per lo più, permette soltanto la conservazione del modello negativo della forma
esterna dell'organismo, in quanto questo viene decomposto dalle acque circolanti nel deposito.
La fossilizzazione per inglobamento o sostituzione
Quando una conchiglia è rimasta inclusa in una roccia per un tempo maggiore, maggiori sono i
cambiamenti che ha potuto subire. Per esempio, una conchiglia depositatasi nel Mesozoico, tra 230
e 65 milioni di anni fa, ha potuto dissolversi completamente ed essere sostituita, pezzetto per
pezzetto, dai minerali del sedimento. Il fossile che ne risulta è praticamente una copia il pietra della
conchiglia originale. Il molti fossili questa sostituzione si effettua assai lentamente, molecola per
molecola, e allora vengono esattamente conservati anche i minimi dettagli dell'originale. Mentre le
parti dure vengono sostituite da molecole di minerali, gli spazi lasciati vuoti dalla decomposizione
delle parti molli possono essere riempiti da sedimento. Ne risulta che la leggera conchiglia di questi
animali diventa un oggetto solido e pesante, in grado di resistere benissimo alla pressione delle
rocce che lo racchiudono. Le cellule di un albero morto sono troppo piccole per essere riempite da
sedimento. Tuttavia vi possono penetrare dei minerali disciolti, come la silice, per sostituire la
materia legnosa e creare così quei fossili «di pietra» che riproducono esattamente la struttura interna
del legno. Per esempio in alcuni tronchi pietrificati (o silicizzati) sono perfettamente visibili anche i
cerchi annui legnosi.
La fossilizzazione per carbonizzazione
Un altro processo è quello di carbonizzazione, determinato da una fermentazione anaerobica a opera
di batteri che eliminano le sostanze volatili e provocano un arricchimento in carbonio.
Questo processo di fossilizzazione, che coinvolge soprattutto i vegetali, ha dato origine ai
giacimenti di carbon fossile.
I carboni fossili
I carboni fossili derivano da una lenta e graduale decomposizione che, migliaia di secoli fa, ha subito il legno di
antichissime foreste, sommerse dalle acque e sepolte poi sotto la crosta terrestre. Questa decomposizione è avvenuta
in mancanza di aria, sotto l'azione di alte temperature e pressioni e in presenza di speciali batteri. I tessuti vegetali
sono costituiti in massima parte di cellulosa, sostanza formata di carbonio, idrogeno ed ossigeno. Durante la
decomposizione questi tessuti hanno perduto quasi tutto l'ossigeno e l'idrogeno e si sono trasformati in carbone.
I carboni fossili più antichi risalgono alla fine dell'era primaria, circa 200 milioni di anni fa: in quel periodo grandi
superfici della Terra erano occupate da immense foreste acquitrinose che, grazie ad un clima caldo e umido, si
svilupparono per migliaia di secoli. Nell'era successiva, l'era secondaria, a causa di giganteschi rivolgimenti della
crosta terrestre, questi grandi accumuli di legname furono ricoperti da detriti terrosi e sommersi dalle acque: così
cominciarono a formarsi i carboni più antichi come le antraciti ed i litantraci. I successivi sollevamenti della crosta
terrestre che formarono i continenti riportarono alla superficie i depositi carboniferi che oggi vengono sfruttati.
Questo ciclo (sviluppo di grandi foreste, alluvioni e rivolgimenti, formazione di carboni) continuò nelle ere terziaria
e quaternaria, l'era attuale.
Essendo diversa l'età dei vari carboni, diversa sarà anche la loro composizione chimica: il grado di fossilizzazione è
massimo per i carboni più antichi, minimo per quelli più recenti.
Il loro potere calorifico è tanto più alto quanto maggiore è il contenuto di carbonio: perciò i carboni più antichi sono
anche quelli che danno più calore.
I fossili guida
I Fossili guida, o caratteristici, sono quei fossili che hanno avuto un'esistenza breve e permettono
una datazione precisa degli strati in cui si rinvengono. Essi sono importantissimi per lo studio della
geologia, perché quando si rinviene ad un fossile guida si può immediatamente stabilire l'età della
roccia che lo contiene e si possono effettuare precise correlazioni con rocce di aree anche molto
lontane. La loro importanza venne evidenziata soprattutto a partire dai primi anni dell'Ottocento,
quando, dopo la morte del geologo scozzese James Hutton, l'ingegnere inglese William Smith diede
inizio ad alcuni scavi per la costruzione di canali.
Durante lo scavo degli alvei, gli operatori misero a nudo le rocce sedimentarie del sottosuolo. Smith
studiò queste rocce e si diede a collezionare i vari fossili che trovava.
Comprese che nelle rocce sedimentarie che non erano state influenzate dai movimenti terrestri, gli
strati più profondi (inferiori) dovevano essere più antichi degli strati sovrastanti.
Smith era un uomo meticoloso che annotava sempre l'esatto strato da cui estraeva ogni fossile.
Osservò che alcuni fossili, che apparivano in numerosi strati, dovevano essere i resti di piante o di
animali vissuti durante il vasto arco di tempo in cui questi diversi strati si erano formati. Altri fossili
invece si rinvenivano in uno strato soltanto, dimostrando così che certe specie di esseri viventi
erano apparse e scomparse durante il solo periodo in cui questo strato roccioso si stava formando.
Se i fossili guida compaiono in due strati, anche se questi strati distano tra loro molti chilometri e
sono formati da differenti tipi di rocce sedimentarie, si può essere certi che entrambi si sono formati
nello stesso periodo della storia terrestre.
Schema fossili guida
ERA
PERIODO
FOSSILE GUIDA
Quaternario
Non vi sono fossili guida
CENOZOICA
Terziario
Cretaceo
MESOZOICA
Giurassico
Ammoniti
Triassico
Permiano
Carbonifero
PALEOZOICA
Devoniano
Trilobite
Siluriano
Ordoviciano
Cambriano
PRECAMBRIANO
«Fig-Tree Cherts»
Principali fossili guida
Ammoniti: in paleozologia, con questo nome vengono indicati i rappresentanti della
sottoclasse ammonoidi; costituiscono un gruppo di molluschi cefalopodi completamente estinto che,
apparso nel periodo devoniano, ha raggiunto il suo apice nel mesozoico, scomparendo infine al
termine del periodo cretacico.
Di questi molluschi sono giunte a noi soprattutto le conchiglie pianospirali formate da un'unica
valva a forma di cono avvolta attorno ad un asse. Essa è costituita da una camera iniziale, o
protoconca, da un fragmocono, porzione centrale allungata divisa in camere da setti convessi, e da
una camera di abitazione, ove alloggiava l'animale vero e proprio. Le camere del fragmocono erano
riempite, nell'animale in vita, da una miscela gassosa che poteva subire variazioni di densità,
permettendo all'animale di appesantirsi o di alleggerirsi, e quindi di effettuare movimenti verticali
in seno alla massa liquida. Le intersezioni dei setti del fragmocono con la parte esterna della
conchiglia erano particolarmente complicate e formavano una linea (la sutura) che, variando da
gruppo a gruppo, può venire utilizzata per la classificazione. Ben poco si conosce delle parti molli:
in alcuni rari esemplari sono state rinvenute tracce della radulae del sacco di inchiostro, che
permettono di avvicinare questi molluschi ad alcuni dibranchiati attuali.
Per la forma della conchiglia delle ammoniti sono abbastanza simili al Nautilus attuale e, come
questo, dovevano essere perciò dotate di tentacoli e dovevano avere habitat pelagico. La conchiglia
delle ammoniti, a volte liscia, è molto spesso ornata da coste, da nodi, da spine o da altri elementi
che vengono utilizzati nella classificazione, unitamente alla forma generale della conchiglia stessa.
Questa, all'inizio dell'evoluzione nel paleozoico, era completamente dritta; si avvolse poi durante la
storia evolutiva del gruppo, giungendo verso la fine del cretacico a svolgersi nuovamente, dando
origine a forme aberranti.
Dal punto di vista paleontologico, le ammoniti sono molto utili alla datazione relativa dei terreni,
perché diedero luogo del corso della loro storia a un grande numero di specie di breve durata e di
vasta distribuzione geografica.
Ogni intervallo temporale dell'era mesozoica è caratterizzata da un certo numero di specie di
ammoniti che non si ritrovano in intervalli temporali anteriori o posteriori e che costituiscono
perciò un perfetto elemento di identificazione.
Dal punto di vista sistematico la sottoclasse ammonoidi comprende un solo ordine, Ammonitida,
diviso nei sottordini Anadcestina, Goniatitina, Ceratitina, Phylloceratina, Lytoceratina e
Ammonitina.
Trilobiti: Grande classe di artropodi con antenne, marini, noti solo nei depositi dell'era primaria,
così chiamati perché il loro corpo, composto di tre parti, capo, torace e pigidio o addome, è
suddiviso longitudinalmente in tre lobi.
Il capo dei trilobiti comprende un lobo centrale, la glabella, e due lobi laterali, le guance,
attraversate da una linea di minore resistenza, la sutura facciale, che separa le guance fisse unite alla
glabella dalle guance mobili che portano gli occhi semplici o composti.
Le guance talvolta si prolungano posteriormente in espansioni acute, punte o spine genali. La sutura
facciale viene definita gonatoparia se separa le guance fisse dalle mobili, terminando in
corrispondenza delle spine genali; opistoparia se le separa terminando dietro alle spine genali;
proparia se le divide terminando davanti a queste; ipoparia o protoparia se è spostata sulla faccia
inferiore del capo.
Il torace è composto di anelli nel lobo centrale, il rachide, che si continuano in pleure nei lobi
laterali. Il pigidio può essere ridotto al solo telson o essere formato da una dozzina di segmenti
saldati in un unico pezzo.
I segmenti toracici potevano sovrapporsi parzialmente o allontanarsi tra loro permettendo
all'animale di arrotolarsi come fanno i «porcellini di terra» attuali.
Sul capo si trovavano un paio di antenne, seguite da quattro paia di massillipedi; il torace invece
portava arti bifidi, adattati sia al nuoto sia alla respirazione.
Erano soggetti a mute e a metamorfosi, come si può dedurre dalle exuvie fossilizzate. Nelle più
recenti classificazioni la classe dei trilobiti comprende numerosi ordini. Non è più quindi adottata la
suddivisione in due soli ordini, miomeri e polimeri, basata sul numero dei segmenti toracici, che
pure ha avuto molto successo.
Ottimi fossili guida, già molto ben differenziati all'inizio del cambriano, ebbero la massima
espansione tra la fine del cambriano e l'inizio dell'ordoviciano, il che fa supporre un'origine molto
antica. Nel devoniano cominciarono a divenire meno frequenti e nel permiano scomparvero del
tutto.
Fig-tree Cherts: questi fossili, che sono le prime testimonianze della comparsa della vita
sul nostro pianeta, sono dei fossili molto rari perché si trattava di animali dal corpo molle e quindi
difficilmente conservabili.
Non abbiamo quindi molte testimonianze su questi antichissimi animali.
I fossili viventi
Con il termine "fossile vivente" vengono indicati animali e piante rimasti inalterati per milioni di
anni e ancora viventi ai nostri giorni.
Un esempio è il celacanto, un pesce ritenuto estinto finché, nel 1938, non ne venne pescato un
esemplare vivo.
Anche la Ginkgo biloba, una pianta ancora visibile nei nostri giardini, è considerato un fossile
vivente, poiché era già presente sul nostro pianeta circa 200 milioni di anni fa.
Altri esemplari di fossili viventi sono: lo sfenodonte, il limulo,il tuatara, la Cycas, le tartarughe
giganti e i licopodi.
LA DATAZIONE DEI REPERTI FOSSILI
La datazione assoluta
La datazione, nella geologia, è intesa come la determinazione dell'età assoluta di fenomeni
geologici e di rocce e della durata dei tempi geologici.
L'età assoluta di una roccia (e, di conseguenza, di un fossile in essa contenuta) è ricavabile
attraverso i metodi delle varve, della dendrocronologia, della fissione e, soprattutto, attraverso il
metodo radiometrico, cioè il metodo basato sulla radioattività di alcuni elementi chimici contenuti
nelle rocce.
La datazione si fonda su diversi metodi. I primi che furono usati per la datazione dell'età della Terra
sono ormai superati.
Un metodo geologico si basava sulla misurazione dello spessore dei sedimenti e sul suo confronto
con la velocità di sedimentazione; ma il valore della velocità non è costante, per cui i risultati così
ottenuti non sono attendibili.
Un metodo geochimico si basava sulla misurazione del tempo che sarebbe stato necessario per
raggiungere la salinità attuale degli oceani che si consideravano, erroneamente, dolci al tempo della
loro formazione.
Un metodo, che permette una datazione limitata all'ultima era, cioè a circa un milione di anni fa, ha
basi astronomiche. Esso è fondato sullo studio delle variazioni periodiche dell'inclinazione del
piano dell'equatore sul piano dell'orbita, dell'eccentricità dell'orbita e della posizione dell'asse
terrestre. Tali perturbazioni cicliche, infatti, determinano variazioni nell'intensità della radiazione
solare e perciò variazioni climatiche, messe in evidenza dall'alternanza, verificatasi nel quaternario,
dei periodi glaciali e interglaciali i quali possono quindi essere datati.
La curva di Milankovic, basata su tale metodo, dà le variazioni della radiazione estiva lungo il 65º
parallelo nord calcolate per gli ultimi 600.000 anni: i minimi della curva coinciderebbero con i
periodi glaciali.
Il metodo delle varve
Un metodo, che permette di risalire nella datazione fino a circa 15.000 anni fa in Scandinavia e fino
a 27.000 anni fa in America, è quello ideato dal naturalista svedese G. J. De Geer alla fine del
secolo scorso e successivamente perfezionato. Tale metodo si basa sullo studio dei depositi
argilloso-sabbiosi, detti varve, lasciati dalle acque di fusione dei ghiacciai: i depositi hanno un ciclo
annuale; sono infatti formati dall'alternanza di straterelli chiari, sabbiosi, depositatisi in estate, e di
straterelli più scuri e più sottili, argillosi, depositatisi in inverno.
Si studiano le varve contandone il numero, misurandone lo spessore, la granulometria e altre
caratteristiche fisiche.
I risultati vengono riportati su diagrammi che permettono di correlare le varve di diverse località e
di mettere in relazione le loro caratteristiche con fenomeni geologici che possono essere così datati.
Ad esempio una varva di notevole potenza individuata nella località di Ragunda (Svezia) dove un
tempo vi era un lago e messa in relazione con la fine del pleistocene, ne ha permesso la datazione:
la fine del pleistocene in Svezia sarebbe avvenuta nel 6839 a.C.
Il metodo della dendrocronologia
Un metodo di datazione, limitato solo agli ultimi millenni, utile alle ricerche preistoriche negli Stati
Uniti, è quello della dendrocronologia
Tale metodo era basato sulla determinazione dell'età di una pianta, per mezzo del conteggio e della
misurazione dello spessore degli anelli di accrescimento annuale.
La dendrocronologia è un metodo, messo a punto dall'americano Douglass fin dal 1901, usato nelle
ricerche preistoriche in America per datare le abitazioni e gli oggetti in legno e quindi le varie fasi
culturali; la sua possibilità d'impiego per epoche molto remote è limitata non tanto per la breve
durata della vita di una pianta (è stato infatti possibile correlare fra loro piante vissute in periodi
successivi), quanto per la difficoltà di conservazione nel suolo dei resti legnosi.
Il metodo della radioattività
I metodi più moderni, e che permettono di datare anche i tempi geologici più remoti, sono quelli
radioattivi.
Uno di tali metodi si basa sulla trasformazione dell'uranio in piombo: determinando il rapporto tra
le quantità di uranio e di piombo contenute in un minerale e conoscendo il periodo di dimezzamento
si può calcolare il tempo trascorso dalla cristallizzazione del minerale e quindi dalla formazione
della roccia alla quale esso appartiene.
Metodi analoghi sono basati sulla trasformazione del rubidio in stronzio e del potassio in argon.
Tali metodi hanno permesso anche di calcolare la durata dei tempi geologici, i principali
avvenimenti geologici e le variazioni climatiche.
Un metodo radioattivo che permette una datazione limitata solo alle ultime decine di migliaia di
anni, ma che ha notevole importanza nelle ricerche preistoriche, è quello del carbonio 14
radioattivo.
Fu ideato e perfezionato dall'americano Libby nel 1947 e si basa sulla misurazione, nei resti fossili
di organismi vegetali, del rapporto tra la quantità del C¹4 radioattivo e di C¹² non radioattivo. Tale
rapporto è costante negli organismi viventi e uguale a quello esistente nell'atmosfera con la quale
avvengono gli scambi gassosi, e diminuisce dopo la morte dell'organismo perché il carbonio 14 si
trasforma in azoto 14 e non può più essere assorbito dall'atmosfera. Conoscendo il periodo di
dimezzamento, si può valutare il tempo trascorso dalla morte dell'organismo.
Questo metodo presenta la maggiore difficoltà nella rivelazione del decadimento beta del C¹4 e,
recentemente, è stata adottata una nuova tecnica che consiste nel determinare la percentuale di
carbonio 14 mediante la ionizzazione degli atomi del campione in esame, la loro accelerazione, per
esempio mediante un acceleratore Van de Graaff, e susseguente separazione del C¹4 dagli altri
atomi ionizzati con metodi elettromagnetici classici. I vantaggi principali di questo metodo rispetto
a quello tradizionale consistono nella possibilità di utilizzare minori quantità del campione e di
ottenere risultati in tempi molto più brevi.
Il metodo della fissione
Un altro metodo fisico di datazione di recente introduzione è quello che sfrutta le tracce di fissione,
basandosi sul fatto che tutti i materiali contengono, anche se spesso in quantità minime, impurezze
di varia natura, tra cui impurezze di uranio. L'uranio si fissiona spontaneamente in due frammenti
pesanti e veloci che cedono la loro energia mediante ionizzazione al materiale circostante. Se questo
materiale è di tipo opportuno — cristalli di mica, vetri vulcanici, ecc. — la ionizzazione provoca
alla sua struttura un microdanno permanente, che può essere reso visibile al microscopio mediante
trattamenti chimico-fisici. Poiché la probabilità che un nucleo si fissioni in un dato intervallo di
tempo è nota, dalla percentuale di nuclei fissili presenti nel campione e dal conteggio delle tracce
lasciate dai frammenti di fissione si può risalire all'età del materiale. Il metodo può essere applicato
per misurare età su ampi intervalli, da pochi anni a milioni di anni, in relazione anche al tipo di
materiale e alla concentrazione di nuclei fissili.
La datazione relativa
Nel caso in cui le rocce non contengano quantità rilevabili di atomi radioattivi non è possibile
risalire all'età assoluta. Il metodo radiometrico ha dunque dei limiti.
Per cercare di ricostruire in modo completo la storia del nostro pianeta bisogna fare ricorso anche a
un criterio relativo di datazione.
Il criterio relativo per la datazione delle rocce si fonda su due semplici concetti.
Il principio di sovrapposizione
Il primo concetto è il principio di sovrapposizione, in base al quale i rapporti tra le posizioni delle
rocce si possono interpretare come rapporti di tempo.
In una successione di sedimenti stratificati i sedimenti deposti per primi sono coperti da quelli più
recenti; ciò significa che ogni strato è più vecchio di quello che gli sta sopra e più giovane quello
che gli sta sotto.
Oltre alle rocce sedimentarie, anche le rocce magmatiche e metamorfiche possono essere utilizzate
per stabilire l'età relativa. La presenza di rocce magmatiche all'interno di rocce di altro tipo, ad
esempio, indica che l'intrusione del magma è stato un evento successivo alla formazione delle rocce
circostanti.
Il principio di correlazione
Il principio di correlazione è il secondo concetto fondamentale su cui si basa la datazione relativa.
Questo principio tiene conto dei fossili e del fatto che gli organismi si sono modificati ed evoluti nel
corso del tempo. Ogni epoca geologica è caratterizzata da rocce con un particolare contenuto di
fossili. Poiché l'età di un fossile è la stessa della roccia in cui di è formato, si può affermare che
strati rocciosi contenenti gli stessi fossili hanno la stessa età. In questo modo è possibile correlare
rocce che affiorano in aree diverse, ma che si sono formate nello stesso periodo.
Particolarmente utili per la datazione relativa delle rocce secondo il metodo di correlazione sono
quei fossili, chiamati fossili guida, che sono ristretti a un periodo geologico limitato e si rinvengono
in aree molto vaste. Gli organismi da cui derivano i fossili guida sono vissuti per un tempo
relativamente breve, durante il quale erano già largamente e abbondantemente diffusi.
Quando si rinviene un fossile guida si può immediatamente stabilire l'età della roccia che lo
contiene e si possono effettuare precise correlazioni con rocce di aree anche molto lontane.