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Dalla crisi
alla speranza
Consiglio per la giustizia
e la pace della Conferenza
dei vescovi cattolici irlandesi
«Solidale con tutti coloro che soffrono
a causa della crisi economica», il Consiglio per la giustizia e la pace della
Conferenza episcopale irlandese ha
presentato il 21 febbraio scorso una
dichiarazione aggiungendo «la sua
voce a tutte quelle che si levano per domandare un cambiamento positivo
nella nostra società». L’attuale momento «di notevole inquietudine politico-finanziaria» viene analizzato –
alla luce dell’enciclica Caritas in veritate – con un’attenzione particolare ai
«costi umani» di una crisi i cui effetti
«sorprendenti e spaventosi» sono disoccupazione, insicurezza, «crollo della fiducia nelle istituzioni» e disperazione. Di fronte al fallimento di un
modello economico e culturale, consapevoli che non si uscirà dalla crisi
senza promuovere una «cultura della
speranza», i membri del Consiglio offrono un’alternativa ispirata ai valori
evangelici e alla dottrina sociale cristiana nella quale, tenendo conto «delle variabili presenti in ogni equazione
politica: efficienza economica, libertà
individuale, tutela dell’ambiente e giustizia sociale», anche «il principio di
gratuità e la logica del dono» trovano
spazio tra i criteri che possono e devono regolare l’attività economica.
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Stampa (23.8.2011) da sito web www.catholicbishops.ie. Nostra traduzione dall’inglese.
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a crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino,
a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità»
(BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 21; Regno-doc.
15,2009,465).
Prefazione
Ogni tentativo di studiare gli effetti della presente crisi
economica, sociale e politica in Irlanda, o una qualsiasi
analisi delle sue cause solleva inevitabilmente fondamentali questioni di giustizia sociale.
Nell’affrontare tali questioni, il Consiglio per la giustizia e la pace ha cercato di andare al di là delle semplici
analisi statistiche per concentrarsi sui costi umani. Evidenziando le conseguenze della crisi sui singoli, sulle famiglie, sulle comunità e sull’intera società, si chiarisce
meglio la necessità di dare una risposta fondata sul bene
comune e sulla tutela della dignità umana di ciascun
membro della nostra società.
Il riferimento frequente al bene comune nei discorsi
politici degli ultimi mesi richiede un’analisi di tale principio, e delle sue implicazioni a livello individuale e sociale,
secondo la prospettiva della Chiesa cattolica. L’enciclica
del 2009 di papa Benedetto XVI, la Caritas in veritate, ci
offre un quadro autorevole per una riflessione sulla nostra situazione attuale in Irlanda e sulle scelte che dovremo affrontare nel futuro.
Il rapido avvicinarsi delle elezioni sia nella Repubblica
d’Irlanda, sia nell’Irlanda del Nord, apre concrete opportunità per un cambiamento politico. Perché questo
cambiamento sia significativo e possa contribuire alla costruzione di un futuro migliore per tutti in Irlanda, occorre la disponibilità a esaminare gli errori del passato e
a garantire che essi non siano ripetuti.
Il messaggio del Consiglio per la giustizia e la pace è
fondamentalmente di speranza: una via migliore è possibile se ci assumiamo la responsabilità delle nostre azioni
– passate presenti e future – e prendiamo fermamente
l’impegno di operare per il bene comune di tutti nella nostra società.
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Voglio ringraziare sinceramente tutti i membri del
Consiglio per il loro apporto al presente documento.
Spero che esso possa offrire un valido contributo al dibattito in questo momento critico per la storia del nostro
paese.
✠ RAYMOND FIELD,
presidente del Consiglio per la giustizia e la pace
Sintesi del documento
1. In un tempo di notevole inquietudine politico-finanziaria da un capo all’altro dell’Irlanda, che ha portato sofferenza e disperazione per molte persone, il Consiglio per la giustizia e la pace della Conferenza
episcopale irlandese offre una visione per il futuro, basata sui valori del Vangelo e sulla dottrina sociale della
Chiesa cattolica.
2. Questa visione è ispirata dalla convinzione nell’inalienabile dignità di ogni individuo in quanto creato a
immagine e somiglianza di Dio, e offre una risposta all’attuale situazione dell’Irlanda, fondata sulla speranza e
sull’impegno per il bene comune. Questa concezione del
bene comune non deve essere confusa con il massimo
bene per il maggior numero di persone, ma è un richiamo
al dovere di ognuno di noi a rispettare la dignità umana
di tutte le persone.
3. In Irlanda oggi, ancora una volta si è messa in evidenza l’importanza di sostenere, tutelare e rafforzare la
famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna
nonché promuovere la vita umana in tutte le sue fasi.
4. Per i cattolici, la protezione del diritto inalienabile
alla vita del nascituro costituisce un valore non negoziabile per promuovere il bene comune. L’aborto è la negazione di quel diritto inalienabile.
5. Il punto di partenza di questa analisi è il riconoscimento dell’impatto devastante della crisi finanziaria
sugli individui e sulle famiglie in tutta l’Irlanda e la consapevolezza del crollo della fiducia nelle principali istituzioni, del Nord e del Sud – inclusa la Chiesa cattolica –
che ha contribuito all’attuale situazione. Il reale costo
della crisi non può essere compreso solo in termini di cifre
e statistiche, senza un riferimento ai costi umani – all’impatto sulla vita delle persone.
6. Un elemento chiave nell’analisi delle cause presentata nel documento è la crescita di un individualismo
più radicale in Irlanda, e l’impatto di questo cambiamento nella nostra società. Un’attenzione particolare è
attribuita al significato di «cultura del bonus» degli ultimi
decenni, alla risultante ineguaglianza e al danno per la
coesione sociale.
7. Nel delineare una soluzione per uscire dall’attuale
crisi, il documento trae ispirazione dall’enciclica di papa
Benedetto XVI, Caritas in veritate, sottolineando che la
crisi offre una preziosa opportunità per determinare un
cambiamento e disegnare un nuovo futuro. L’enciclica
evidenzia il principio del dono come principio fonda1
mentale per la vita sociale; non tutto è guadagnato, non
tutte le azioni sono motivate dal proprio interesse.
8. Le prossime elezioni, nel Nord e nel Sud, risaltano
come occasione chiave per un cambiamento politico. Il
compito di chi è in posizioni di potere, in particolare del
governo, è perseguire il bene comune. Le istituzioni finanziarie, a prescindere dalla loro importanza, dovrebbero essere al servizio della società. Si deve imparare la
lezione dagli errori del passato e bisogna mettere in
campo dei provvedimenti per assicurarsi che essi non si
ripetano.
9. Abbiamo tutti bisogno di assumerci responsabilità
e di lavorare per assicurare il corretto equilibrio tra libertà e solidarietà.
10. La nostra ultima fonte di speranza in tempi di sofferenza è la fede nell’inesauribile amore di Dio: «Ed ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
(Mt 28,20).
1. Introduzione:
promuovere una cultura della speranza
Il rischio di disordini a livello sociale
ci impone di dare una risposta.
Questo documento non va confuso
con un manifesto politico.
Al centro dell’attenzione esso non pone
le singole linee politiche,
ma piuttosto una visione per l’intero paese.
Il presente è innegabilmente un tempo di notevole inquietudine politico-finanziaria da un capo all’altro dell’Irlanda. Per molte persone si tratta di un momento di
sofferenza e disperazione e questa sofferenza deve essere
adeguatamente riconosciuta e indirizzata. Accanto alle
espressioni di sofferenza vi sono inviti al cambiamento, appelli a gettare uno sguardo critico sui valori che hanno condizionato la nostra società negli ultimi decenni e sulle
conseguenze di tale sistema di valori. Solidale con tutti coloro che soffrono a causa della crisi economica, in Irlanda
e in ogni parte del mondo, il Consiglio per la giustizia e la
pace intende aggiungere la sua voce a tutte quelle che si
levano per chiedere un cambiamento positivo nella nostra
società. Questa dichiarazione rappresenta il nostro contributo alla definizione di una nuova visione per il futuro basata sui valori del Vangelo e sulla dottrina sociale della
Chiesa cattolica. Si tratta di una visione ispirata dalla convinzione dell’inalienabile dignità di ogni individuo, dal momento del concepimento, in quanto creato a immagine e
somiglianza di Dio: «Essendo a immagine di Dio, l’individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno».1
Il valore fondamentale al centro di tale visione è il bene
comune, un valore che sottolinea l’essenziale uguaglianza
di tutte le persone a prescindere dal genere, dalla razza,
dal colore della pelle o dal credo religioso. Questa concezione del bene comune non deve essere confusa con l’idea
Catechismo della Chiesa cattolica (CCC), n. 357.
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del massimo bene per il maggior numero di persone. È
piuttosto un richiamo per tutti al dovere di assistenza, rispetto e valorizzazione della dignità umana di ogni persona, gruppi o individui. Tutti devono essere rispettati e le
loro esigenze primarie devono essere soddisfatte affinché
ciascuno possa «raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».2
Nel porre l’accento sulla dignità di tutte le persone la
Chiesa ci ricorda che «ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi
del bene comune dell’intera famiglia umana».3
Le imminenti elezioni al Dáil Éireann e alla Northern
Ireland Assembly fanno del presente un momento cruciale
di cambiamento politico; cambiamento che sta avvenendo
su un comprensibile sfondo di rabbia. È nostra convinzione
che le ferite generate dalla crisi siano profonde e che, se
trascurate, esse possano generare un clima culturale tale
da non potersi escludere lo spettro della frammentazione
sociale e della violenza. Chi come noi vive su quest’isola è
ben consapevole che se tale violenza dovesse scatenarsi sarebbe causa di sofferenze incalcolabili e preannuncerebbe
un periodo di instabilità politica e sociale che potrebbe richiedere anche molto tempo per essere risanato. È il riconoscimento di questa realtà preoccupante che motiva il
nostro documento. Come ci ricorda papa Benedetto XVI,
«la crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino» (Caritas in veritate, n. 21; Regno-doc. 15,2009,465); questo è il
nostro punto di partenza. L’amore per il prossimo e per la
patria ci spinge a offrire tale documento, in questo momento difficile, quale contributo alla promozione di una
cultura di speranza sull’isola d’Irlanda.
In questo documento riconosciamo il ruolo della religione nella vita sociale e politica: essa può risvegliare l’energia spirituale che permette alle persone di impegnarsi per
la giustizia nel mondo.4 Non si tratta di un manifesto politico. Al contrario, la nostra speranza è che questo documento contribuisca a focalizzare l’attenzione sulla più ampia
questione che concerne il tipo di paese che vogliamo. Il nostro obiettivo è sostenere la visione di una società impegnata
a realizzare il bene comune; intendiamo farlo attraverso
un’analisi che tenga conto delle variabili che sono presenti
in ogni equazione politica: efficienza economica, libertà individuale, tutela dell’ambiente e giustizia sociale. Ci sono
molti altri fattori che incidono sul bene comune della società
dal punto di vista della Chiesa cattolica, cosicchè l’analisi
qui presentata non pretende di essere esaustiva; si propone
piuttosto come una sintesi panoramica di alcune considerazioni fondamentali che dobbiamo tenere presente allorché
tentiamo di tracciare una nuova via.
2 . Il bene comune oggi in Irlanda
Questo documento è scritto nella prospettiva
della speranza piuttosto che in quella di gestire la crisi.
Il valore posto al centro di questo documento
è il bene comune.
Descritto da papa Benedetto XVI come la «via politica della carità»,5 il principio del bene comune è di
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indubbia importanza per la dottrina sociale cattolica.
Inoltre, l’idea di bene comune si ritrova in molte religioni e culture di tutto il mondo. Spinti dalla loro concezione della natura e del valore della società, i cattolici
condividono la preoccupazione per la dignità umana e
la giustizia non solo con gli altri cristiani o con chi professa una fede religiosa, ma anche con tutti gli uomini
e le donne di buona volontà. Pur riconoscendo una diversità di opinioni all’interno della nostra società su ciò
che s’intende con bene comune, le questioni sollevate
nel presente documento rimangono centrali per qualsiasi comprensione del suo significato a livello politico.
Rimanendo immutato il carattere etico della dottrina sociale della Chiesa, ogni generazione deve reinterpretare e ridefinire l’insegnamento sociale cattolico
per rispondere alle esigenze particolari della propria situazione storica. Nella sua enciclica più recente, Caritas in veritate, papa Benedetto XVI prosegue in tal
senso il lavoro del suo predecessore. Pubblicata il 29
giugno 2009, al culmine dell’attuale crisi socio-economica, l’enciclica offre una prospettiva autorevole entro
la quale inquadrare l’analisi della situazione attuale in
Irlanda. Non solo in essa si richiama l’attenzione sull’inseparabilità di amore e verità nella ricerca della giustizia mondiale,6 ma si sottolinea anche la natura
ispiratrice dell’amore quale dono che spinge le persone
a dedicare la loro vita alla lotta per la giustizia e la pace:
«La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti
di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione» (Caritas in veritate, n. 6; Regno-doc. 15,2009,459).
Per l’Irlanda di oggi, il principio del dono (gratuità),
presentato nella Caritas in veritate come un principio
fondamentale della convivenza sociale, è un’intuizione
la cui importanza non dovrebbe essere sottovalutata.
Insieme a molti altri paesi del cosiddetto mondo sviluppato, la cui cultura è sempre più plasmata dalla
mentalità del capitalismo avanzato, rischiamo di dimenticare che non tutto è guadagnato e che non tutte
le azioni sono motivate dall’interesse personale, anche
se illuminato. La salute, la personalità, le doti fisiche e
intellettuali, per non parlare dell’amore ricevuto da
bambini, del primo ambiente scolastico e delle amicizie
che determinano la qualità della nostra vita di adulti:
sono tutte realtà ricevute come dono. Mettendo accanto a queste l’amore dei genitori e le innumerevoli
forme di volontariato che costituiscono il mondo della
cittadinanza attiva, si ha un’immagine efficace di
quanto sia importante la cosiddetta economia del dono.
L’economia del dono guida la società civile, promuove
l’idea di cittadinanza attiva e supporta le virtù civiche,
come l’ideale del servizio pubblico. Proprio per questo
se si coalizzano alcune forze per minare l’economia del
dono le ripercussioni vanno ben oltre l’ambito economico.
Unire la fiducia nell’autosufficienza dell’individuo
– ovvero la convinzione che tutto quanto si riceve è guadagnato/meritato – a un insieme di convinzioni che ritengono che il valore di un persona sia commisurato al
suo guadagno, si rivela una combinazione di fattori
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ideale per l’emergere di quella che è stata definita la
«cultura del bonus» (il meccanismo che lega la retribuzione dei dipendenti di un’impresa, in particolare dei
dirigenti di più alto livello, agli utili; ndt). In essa è estremamente difficoltoso tanto l’esercizio delle virtù civiche di una cittadinanza attiva quanto il servizio
pubblico, realtà che sono la linfa vitale di una democrazia partecipativa che sia efficace. È nostra ferma
convinzione che l’abbandono della dimensione del
dono nella vita sociale e privata sia alla radice di quanto
non ha funzionato nella società irlandese. Se questo è
vero, è necessaria una critica delle esagerate affermazioni di indipendenza/autosufficienza che hanno generato e sostengono la cultura del bonus.
La convinzione che corrobora questo nostro documento – riflessa nel suo titolo, Dalla crisi alla speranza:
impegnati a realizzare il bene comune – è che, nonostante
l’attuale malessere della società irlandese, il presente
può e deve essere visto attraverso la lente della speranza
piuttosto che nell’ottica della semplice gestione della
crisi. Tuttavia, questo sarà possibile solo se possiamo
imparare dagli errori del passato e fronteggiare il modello culturale capitalista che ha dominato negli ultimi
decenni – un modello consumistico di realizzazione
personale e sociale dove tutto e tutti hanno un valore
economico, e dove esiste poca o nessuna sensibilità
verso la semplice verità che le cose realmente importanti, come l’amore e la vita stessa, sono ricevute come
dono: cioè sono letteralmente senza prezzo.
Vi sono precedenti storici che offrono qualche speranza circa la possibilità di controllare gli eccessi del capitalismo avanzato: l’emergere di un robusto quadro di
norme e regole e della preoccupazione per lo stato sociale nei decenni successivi al crollo di Wall street del
1929 e alla Seconda guerra mondiale sono casi emblematici. Accanto ai successi ottenuti dal movimento laburista nel dopoguerra si possono anche evidenziare i
notevoli risultati della Democrazia cristiana, emersa
dalle rovine della Germania postbellica e motivata dal
desiderio di mantenere in equilibrio i principi fondamentali della libertà, dell’impresa e della responsabilità
sociale. Nei decenni seguenti, fino ai primi anni Ottanta, la presenza dei social-democratici e dei cristianodemocratici ha offerto un importante contrappeso agli
eccessi del consumismo/capitalismo.
Nella società odierna, tuttavia, è divenuto sempre
più difficile fronteggiare l’ethos sociale individualista/consumista. Per ironia della sorte, la natura decisa2
CCC 1906.
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. past. Gaudium et spes
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 26; EV 1/1399.
4
Cf. BENEDETTO XVI, lett. enc. Deus caritas est sull’amore cristiano, 25.12.2005, n. 28(b); EV 23/1584.
5
BENEDETTO XVI, lett. enc. Caritas in veritate sullo sviluppo
umano integrale nella carità e nella verità, 29.6.2009, n. 7; Regno-doc.
15,2009,459.
6
Queste frasi di apertura dell’enciclica di papa Benedetto XVI
Caritas in veritate offrono una forte affermazione del legame tra amore
e verità: «La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone
con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione,
è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e
3
mente pubblica del disagio provocato da quest’ultimo
crollo economico può spingere a una revisione del modello. In ogni caso, è nostra opinione che una critica
dell’eccessivo affidamento posto dalla società nel modello dell’analisi costi-benefici per decidere del valore di
ogni cosa sia una questione divenuta urgente già da
tempo.
3. L’impat to della crisi
Vi è la necessità di riconoscere l’interconnessione
delle economie in Irlanda.
Vi è la necessità di andare oltre semplici espressioni
di simpatia e di preoccupazione.
La velocità con la quale le conseguenze della crisi finanziaria hanno investito individui e famiglie in tutta
l’Irlanda è stata sorprendente e spaventosa. L’impatto
sull’economia, del Nord e del Sud, è molto grave e con
poche prospettive di miglioramento, almeno a breve termine, e i recenti sviluppi economici sono serviti soltanto
per evidenziare quanto entrambe le economie siano interconnesse. Naturalmente il costo reale della crisi non
è solo quello espresso dalle cifre che non fanno alcun riferimento all’impatto, a livello umano, su coloro che
hanno perso i posti di lavoro, i risparmi di una vita e
persino le case, o su coloro che sono stati costretti a emigrare in cerca di lavoro, lasciandosi alle spalle la famiglia
e gli amici.
Sono molto pochi quelli che non hanno sofferto finanziariamente. Ripetiamo la nostra preoccupazione per
tutti coloro che non si sono arricchiti nel periodo della
«Tigre celtica»7 ed esprimiamo nuovamente la nostra
preoccupazione per coloro che stanno sperimentando ora
l’insicurezza finanziaria e la povertà a causa della recessione. L’attuale crisi ha lasciato un gran numero di disoccupati da entrambe le parti del confine, aumentando
l’insicurezza e gettando alcuni persino nella disperazione.
Negli ultimi tre anni non solo sono triplicati i tassi di disoccupazione nella Repubblica, ma secondo il Live Register (vi sono iscritte le persone in cerca di occupazione
e/o che richiedono sussidi o integrazioni del salario –
come lavoratori part-time, stagionali, occasionali –, ma
anche orientamento o formazione professionale; ndt) tale
quota è aumentata di oltre il 40% soltanto negli ultimi
due anni.8 Nello stesso periodo, e nonostante il cosiddetto
«dividendo di pace» (i benefici economici legati al prodell’umanità intera. L’amore – “caritas” – è una forza straordinaria,
che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel
campo della giustizia e della pace» (BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 1; Regno-doc. 15,2009,457)
7
Cf. la presa di posizione della COMMISSIONE IRLANDESE PER LA
GIUSTIZIA E GLI AFFARI SOCIALI, In the Wake of Celtic Tiger: Poverty in
Contemporary Irland, Veritas, Dublino 2009.
8
Le statistiche del Central Statistical Office (CSO) rivelano che
negli ultimi tre anni, il numero di disoccupati nella Repubblica d’Irlanda è passato dal 4,8% (2007) della popolazione attiva al 13,2%
(2010) ed è attualmente pari a oltre 280.000 unità. Inoltre, il numero
di persone sul Live Register ammonta a 435.000 unità – circa il 20%
della popolazione adulta totale in età lavorativa (16-65 anni).
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cesso di pacificazione), l’Irlanda del Nord continua a registrare il più alto tasso di stagnazione economica nel
Regno Unito.9
L’impatto della crisi economica sulla vita e sulla salute degli imprenditori nonché dei lavoratori non dev’essere minimizzato. Tutti stanno lottando per sopravvivere
in questo difficile ambiente economico e alcune persone
non più giovani temono di perdere per sempre l’impiego
a causa della maggiore concorrenza per i posti di lavoro.
Tale dolorosa realtà genera una comprensibile paura del
ritorno a ristrettezze già conosciute negli anni Ottanta;
una percezione rafforzata dai crescenti livelli di emigrazione.
Molti di coloro che hanno perso il lavoro sono gli stessi
che negli ultimi tre anni hanno visto dimezzarsi il valore
delle proprie case, incluse le giovani coppie per cui è sempre più difficile pagare il mutuo, e questo senza tener
conto del prossimo, quasi inevitabile aumento dei tassi
d’interesse nel Regno Unito e da parte della Banca centrale europea, tassi che restano al momento su livelli storicamente bassi. Per molti irlandesi oggi la casa, anziché
essere il simbolo del calore e della sicurezza, è diventata
un peso, una fonte di insicurezza e un costante richiamo
a debiti insormontabili.
Per molti le perdite vanno ben oltre le questioni finanziarie e incidono sul tessuto della vita familiare e sociale. Può essere un momento estremamente difficile per
i genitori, molti dei quali stanno cercando di provvedere
a tutti i bisogni dei loro figli nelle mutate circostanze.10
Come risultato delle crescenti pressioni economiche molti
genitori potrebbero ritrovarsi «poveri di tempo» così
come di mezzi materiali, e questo potrebbe avere un impatto negativo sulle relazioni genitori-figli. In particolare si deve richiamare la situazione delle famiglie monoparentali, la grandissima parte delle quali vive in
condizioni di povertà. La dottrina sociale cattolica insiste
particolarmente sull’importanza della famiglia, come delineato nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa
(n. 211): «Illuminata dalla luce del messaggio biblico, la
Chiesa considera la famiglia come la prima società naturale, titolare di diritti propri e originari, e la pone al centro della vita sociale».11 Riconoscendo la centralità del
soggetto-famiglia per la società irlandese – come sancito
dalla nostra Costituzione –12 chiediamo un’analisi adeguata dell’impatto delle politiche economiche e sociali,
per garantire che esse contribuiscano alla protezione e al
rafforzamento della vita familiare, piuttosto che determinarne la frammentazione.
Tutte queste persone meritano molto di più che semplici espressioni di simpatia e di preoccupazione. Data
l’urgenza della questione, abbiamo bisogno di esplorare
nuove vie sulle quali progredire tutti insieme verso una
società più prospera nel senso pieno del termine. Ciò richiederà:
I. il sostegno alle imprese attraverso il prestito responsabile e le pratiche di investimento;
II. una risposta giusta, equa e compassionevole ai debitori in situazione di insolvenza;
III. l’introduzione di misure appropriate per garantire che gli errori del passato non siano ripetuti.
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4. Il tradimento della fiducia
Il crollo della fiducia nelle istituzioni della società
potrebbe portare a minare il tessuto stesso della democrazia.
Vi è la necessità di riconoscere e di assumersi la responsa
bilità per gli errori del passato.
Quante volte abbiamo sentito commenti che attribuiscono la maggior parte della responsabilità degli attuali
gravi problemi della Repubblica alla crisi internazionale
che ha colpito le banche, o altri secondo i quali non dovremmo essere troppo allarmisti nel fare previsioni sulle
prospettive di recupero, perché in fondo saremmo solo ritornati indietro ai livelli di benessere del 2002. Ciò che
hanno in comune questi giudizi è il dare per scontato che
il malessere attuale dell’Irlanda non sia che una crisi economica, che può essere risolta attraverso un uso appropriato delle leve economiche del potere. Crediamo che le
future generazioni di irlandesi saranno destinate a ripetere gli errori di oggi, se presupposti come quelli appena
descritti restano incontestati.
Non va mai dimenticato che i danni collaterali di questa crisi sono molto maggiori del vantaggio comparativo
che possiamo trarne come paese. Negli ultimi tre anni
l’Irlanda (compresa l’Irlanda del Nord come parte del sistema del Regno Unito) ha sofferto un significativo indebolimento delle sue istituzioni – una perdita di fiducia
nelle banche, nelle authorities di garanzia e in molti altri
enti pubblici, tra i quali lo stesso governo. La cultura del
bonus, che purtroppo è tuttora una caratteristica delle
banche e delle istituzioni finanziarie in Irlanda e nel
Regno Unito, è stata per noi causa di una brusca caduta
e ha originato dinamiche che si possono descrivere soltanto come sconsiderate pratiche di gioco d’azzardo. Tali
pratiche hanno provocato enormi sofferenze a molti cittadini e non dovrebbero trovare spazio nell’Irlanda di domani. Inoltre, come ci ricorda la Caritas in veritate (n.
32), l’aumento della disuguaglianza sociale, conseguenza
inevitabile di tale cultura del bonus e del conseguente indebolimento istituzionale, porta con sé il grave rischio di
provocare una frattura di quella coesione sociale che sta
alla base sia di un corretto funzionamento della democrazia sia di un’economia ordinata.13
Se, da un lato, l’attuale crisi ci offre l’opportunità di riprogettare il cammino della nostra società verso una
nuova e più giusta visione del futuro, d’altro lato il crollo
della fiducia derivante dall’indebolimento istituzionale ci
obbliga a farlo. Nell’affrontare tale questione siamo del
tutto consapevoli che la Chiesa cattolica rientra tra le
principali istituzioni che hanno subito, nell’Irlanda degli
ultimi anni, un crollo considerevole della fiducia. Presentando questo documento, nel quale si fa appello allo sviluppo di una cultura della speranza in vista di una società
più equa, siamo consapevoli che la Chiesa dovrà tener
conto delle proprie mancanze e saper praticare i principi
di giustizia sociale che insegna. Ci impegniamo a farci carico degli errori del passato e a garantire che non si ripetano.
L’enciclica Caritas in veritate ci ricorda che il tentativo
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di disegnare una nuova visione del futuro avranno successo nella misura in cui riconosceremo che con le nostre
azioni o inazioni abbiamo contribuito al clima culturale
che ha generato l’attuale crisi. Occorre riconoscere l’esistenza di diversi gradi di responsabilità a livello sociale
per la crisi attuale; occorre altresì riconoscere che la responsabilità maggiore per questa situazione spetta a coloro che nel recente passato hanno esercitato, e in alcuni
casi ancora esercitano, ruoli di leadership nella nostra società. Tuttavia, non sarà possibile nemmeno iniziare ad
affrontare le cause della crisi al fine di tracciarne una via
d’uscita se prima non riconosceremo che non siamo semplicemente vittime, ma che abbiamo in qualche modo
contribuito alla cultura nella quale tale crisi è nata. La
mancanza di consapevolezza da parte di chi ha beneficiato della ricchezza degli ultimi anni, la mancanza di un
atteggiamento critico nei confronti dei processi politici,
la preoccupazione eccessiva per le questioni politiche locali che ha ignorato le esigenze di solidarietà e di bene
comune: sono questi i fattori che hanno contribuito alla
situazione in cui oggi ci troviamo.
Con le elezioni imminenti al di qua e al di là del confine, siamo consapevoli dell’importanza di cogliere l’«occasione di discernimento e di nuova progettualità»
(Caritas in veritate, n. 21; Regno-doc. 15,2009,465) che ci
si presenta. Tuttavia, ciò sarà possibile solo nella misura
in cui resisteremo alla tentazione di premere il pulsante di
reset per riportare il paese allo stato di benessere economico precedente il boom immobiliare. Una tale prospettiva concentrata sulla competitività ha mostrato, nel
recente passato, scarsa sensibilità per le ricadute pratiche
dell’idea che l’economia deve essere al servizio della società.
Con la crescita dell’economia di mercato e la consapevolezza del fallimento dell’alternativa economica del
socialismo di stato, il capitalismo si è progressivamente
radicato nella nostra cultura. Tale modello economico
non è stato privo di benefici. Il capitalismo, infatti, favorisce gli ideali di meritocrazia – che premiano l’efficienza,
il duro lavoro e il successo – e ha generato un ottimismo
culturale fondato sulla capacità di dominio tecnologico
dell’ambiente. Promuovendo attraverso il mercato l’accesso diffuso a prezzi ragionevoli a ogni tipo di prodotto,
la cultura consumistica del capitalismo avanzato ha portato immensi benefici al genere umano. Tuttavia, non
tutti gli aspetti del modello capitalista possono essere visti
in tale luce positiva. Come dimostra la recente crisi economica, col crescente dominio culturale dell’ethos consumista che è proprio del capitalismo avanzato abbiamo
perduto l’equilibrio tra le quattro variabili essenziali di
un modello economico giusto e sostenibile: libertà, efficienza, solidarietà e tutela dell’ambiente. Mentre storicamente l’economia era subordinata alla società, il
capitalismo funziona efficacemente in un sistema politico
dove mercati auto-regolati subordinano la società alla
loro logica.
Per sua natura l’attenzione del consumismo è su obiettivi pragmatici e a breve termine. Tuttavia un tale contesto culturale nasconde sempre il pericolo che l’obiettivo
dell’efficienza economica estrometta considerazioni etiche di vitale importanza e valori fondamentali, come la
solidarietà e il bene comune. Si tratta di un clima culturale che purtroppo può favorire l’errata convinzione che
la felicità umana sia realizzabile a prescindere dalla necessità di occuparsi di quelle questioni etiche che ci legano all’orizzonte più ampio delle nostre vite, come ad
esempio la considerazione dei doveri e delle responsabilità che abbiamo nei confronti dell’intera comunità. In
un tale contesto consumistico, l’efficienza sarà sempre avvertita come più importante della correttezza, e la necessità economica di controllare i costi avrà sempre la
precedenza sulla preoccupazione per il benessere dei lavoratori. Portato agli estremi, tale modello lascia poco
spazio per i valori di un commercio equo, sia interno sia
con i paesi in via di sviluppo, e non premia la fedeltà di
servizio e/o l’impegno di tutta una vita in una stessa
azienda.
La conseguenza forse più dannosa del crescente dominio culturale del capitalismo consumista è l’enfasi posta
sul guadagno inteso come misura del valore personale –
9
Nel 2006 il tasso di inattività economica in Irlanda del Nord, al
27%, era il più alto nel Regno Unito. UFFICIO DEL PRIMO MINISTRO E
VICE PRIMO MINISTRO (OFMDFM), Lifetime Opportunities: Government’s Anti-poverty and Social Inclusion Strategy for Northen Ireland,
Belfast 2006. Negli anni successivi questo quadro non è migliorato. I
dati per ottobre 2010 rivelano che il tasso di inattività economica in
Irlanda del Nord per le persone di età compresa tra i 16 e i 64 anni è
pari a 28,8%. Questo dato è significativamente superiore al tasso medio
del Regno Unito (23,2%) e rimane il più alto tra le 12 regioni del Regno
Unito. MINISTERO DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DEGLI INVESTIMENTI (DETI; UK), Labour Market Summary (seasonally adjusted),
ottobre 2010.
10
Una relazione del 2009 dell’OFMDFM ha rivelato che quasi
un bambino su quattro in Irlanda del Nord potrebbe essere considerato
tra coloro che vivono in povertà, con il 12% dei bambini che vivono in
«povertà assoluta», dove il reddito familiare è inferiore alla metà della
media nazionale (UK). Rapporto dell’OFMDFM (11.2.2009), citato
in Challenging Poverty in Northern Ireland, St. Mary University College, Belfast 2010, 21.
11
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 211.
12
Bunreacht na hÉireann, articolo 41, in www.taoiseach.gov.ie.
13
Cf. il seguente passaggio: «L’aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali (…) non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha
anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili
ad ogni convivenza civile» (Caritas in veritate, n. 32; Regno-doc.
15,2009,469-470).
5. Perdere l’equilibrio:
liber tà, efficienza, solidarietà
e tutela dell’ambiente
Dobbiamo resistere alla tentazione
di premere il pulsante di reset
per riportare il paese allo stato di benessere economico
precedente il boom immobiliare.
Le banche e altri istituti finanziari devono essere
al servizio della società e contribuire al bene comune.
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enfasi che ha dato luogo alla cosiddetta cultura del bonus.
E se l’economia monetaria avesse bisogno del dono per
funzionare correttamente? E se Adam Smith si fosse sbagliato nella sua convinzione che l’economia funziona
sulla base di un interesse personale illuminato e degli obblighi nei confronti dello stato? Che cosa ne è del tema
della soddisfazione nel lavoro o del piacere di dare un
servizio a un altro o di contribuire al bene della società?
Papa Benedetto XVI ha sostenuto che «l’attività economica non può prescindere dalla gratuità, che dissemina
e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si
tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di
democrazia economica» (Caritas in veritate, n. 38; Regnodoc. 15,2009,473).
Le banche e le altre istituzioni finanziarie sono una
componente essenziale per un’economia funzionante e
per una cultura della prosperità e, di conseguenza, hanno
bisogno di essere sostenute. Tuttavia, devono essere al servizio della società e devono contribuire al bene comune.
6. Guardare al futuro
dalla prospet tiva del bene comune
Dobbiamo stare attenti al pericolo che nel clima attuale
concetti come il bene comune possano essere strumentalizzati
nel contesto degli appelli a «condividere il peso»
della crisi economica.
Il compito di ogni governo è quello di servire il bene comune
proteggendo i deboli e i vulnerabili,
e promuovendo lo sviluppo umano integrale per tutti.
Nel mezzo della crisi attuale appare chiaro che, come
società, abbiamo condiviso preoccupazioni e ansie, abbiamo condiviso la rabbia per l’assenza di una regolamentazione adeguata e per la fuga dalle responsabilità; ma,
al di là del comune sentimento di rabbia e preoccupazione,
vediamo emergere speranze condivise fondate sulla volontà di individuare una più giusta via da seguire. La sfida
della crisi che affrontiamo è che essa ci offre l’opportunità
di verificare in quale considerazione teniamo la dignità
della persona umana, il grado di giustizia della società e lo
sviluppo di una rinnovata visione del bene comune.
Nel clima attuale c’è il pericolo che concetti come il
bene comune possano essere strumentalizzati nel contesto degli appelli a «condividere il peso» della crisi economica. Il legame tra politica ed etica è importante per
comprendere qualsiasi discussione sul bene comune, perché «il compito di ogni governo, locale e centrale, [è] di
garantire che le scelte politiche servano il bene comune
proteggendo i deboli e i vulnerabili, e promuovano lo sviluppo umano integrale di tutti».14 Il concetto di bene comune dà una chiara definizione dello scopo della politica,
della centralità della giustizia e dell’equità in ogni forma
di governance, e dell’esigenza che chi è al potere presti
particolare attenzione ai membri più vulnerabili della società, per esempio coloro che sono in condizione di debolezza quando si tratta di difendere i propri diritti e di
sostenere i propri legittimi interessi.15
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Suggerendo una risposta che tracci una via da seguire per una rinnovata Irlanda, non c’è nulla di astratto
o di opaco nel proporre una visione che si fondi sul concetto di bene comune. Ciò che non dev’essere dimenticato
è che il riferimento alla ricerca della promozione del bene
comune forma parte del preambolo del Bunreacht na
hÉireann e la crisi odierna ci richiama a riconsiderare
l’impegno costituzionale alla «dignità e alla libertà dell’individuo (...) e al vero ordine sociale».16
Nell’Irlanda di oggi, il bene comune sarà perseguito
solo nella misura in cui verrà fatto uno grande sforzo per
ripristinare la fiducia nel nostro quadro istituzionale, attraverso l’attenzione al posto che nella governance spetta
all’etica e riconoscendo che il bene comune è danneggiato da quelle politiche economiche che colpiscono i più
vulnerabili nella nostra società. L’importanza di quest’ultimo punto è evidenziata dalla crescente attenzione
internazionale su ciò che con l’andar del tempo è stata
descritta come «soglia della decenza» – un livello sotto il
quale nessun cittadino dovrebbe trovarsi a vivere.17 In
questo contesto, ci sono domande da porre che riguardano la riduzione del salario minimo annunciata nel bilancio dello stato per il 2011 che colpisce una piccola
proporzione della popolazione attiva – soprattutto gli immigrati, che non sono rappresentati dai sindacati e non
hanno alcun potere.
Ci sono molte altre questioni che emergono una volta
che si invoca il bene comune. Queste comprendono:
I. il diritto alla vita, che deriva dalla dignità di ogni
persona umana in quanto creata a immagine e somiglianza di Dio, dal momento del concepimento fino al
suo termine naturale;
II. l’equilibrio tra pari opportunità e pari risultati; le
pari opportunità sono, naturalmente, un bene pubblico,
e tuttavia, non tutti sono dotati allo stesso modo di salute
o anche di talenti e quindi una società più equa non sarà
mai veramente favorita senza la preoccupazione per i pari
risultati;
III. una politica dei redditi fondata sul principio di solidarietà; tale politica avrebbe difficoltà a tollerare l’attuale posizione in cui stipendi a sei cifre continuano a
essere assegnati a dirigenti di imprese semi-statali nello
stesso momento in cui vengono operati dei tagli sul salario minimo, sugli assegni d’invalidità e sulle pensioni statali;
IV. il rapporto tra servizi pubblici e pressione fiscale:
come è possibile avere dei servizi pubblici al livello degli
standard europei con delle tasse che sono sensibilmente
inferiori rispetto alla maggior parte dei nostri vicini continentali?
V. i problemi riguardanti il rispetto dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro coniugi – le questioni riguardanti l’occupazione e il ricongiungimento familiare, che
chiaramente rimandano all’idea di bene comune globale,
permangono irrisolte;
VI. l’uso responsabile delle risorse della terra, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e più vulnerabili e delle future generazioni di tutto
il mondo;18
VII. infine, l’accettazione del bene comune globale ci
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impone, anche in tempi di difficoltà economica, di mantenere gli stessi livelli degli aiuti allo sviluppo e di proteggere il bene comune globale attraverso la difesa delle
popolazioni più povere e più vulnerabili.
7. La sfida: trovare il giusto equilibrio
tra liber tà e solidarietà
Ci sono segni nell’Irlanda d’oggi della crescita,
all’interno della società, di un etica più individualista.
Il potenziale impatto sulla società irlandese
di questo cambiamento culturale
non dovrebbe essere ignorato.
Quante volte abbiamo sentito la seguente affermazione: «Io sono solo un individuo e non sono responsabile
dei mali della società irlandese (del Nord e del Sud). Spetta
al governo farci uscire dalla crisi». O ancora: «Come possono banchieri e politici rovinare la vita di coloro che fanno
il loro lavoro occupandosi dei fatti propri e senza fare del
male a nessuno?».
Sono parole che rappresentano l’intera gamma dei pareri in merito alla crisi, e nel loro insieme hanno in comune
il senso di indignazione per la constatazione che sarà il pubblico, il cittadino medio, la gente della strada, che non ha
fatto niente di sbagliato e che è in senso proprio una vittima dei fallimenti o degli illeciti di altre persone, a pagare
il prezzo. Inoltre hanno in comune il presupposto indiscusso
che, pur rimanendo cittadini irlandesi, essi sono principalmente degli individui. In questo, condividono i costumi culturali di un’epoca liberale, che a sua volta forma sempre
più le credenze e i valori del mondo occidentale.
Non c’è bisogno di ripetere i vantaggi dell’individualismo liberale. Nel dare alla luce l’idea di democrazia liberale e nel sostenere i diritti umani, l’individualismo liberale
non solo ha promosso una società più tollerante, ma una
società che sancisce il rispetto per la libertà umana così faticosamente conquistata. Tuttavia, come tutti gli sviluppi
culturali, neanche questo è immune da critica e il legame
tra capitalismo e individualismo è un esempio calzante. Per
oltre un secolo, vari filoni del socialismo si sono uniti nel
mettere in discussione la priorità che il capitalismo riconosce all’efficienza economica e alla libertà individuale rispetto alla giustizia sociale e alla preoccupazione per la
coesione sociale. Man mano che è venuta meno l’influenza
del socialismo nel panorama politico degli ultimi trent’anni, altri riscontri hanno indicato che stiamo assistendo
per la prima volta all’emergere di un individualismo più
radicale che ha scarsamente il senso della natura e del significato dell’appartenenza a una società.
14
CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI D’INGHILTERRA E GALVote for the Common Good, 2001.
15
«Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da
una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che
strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente
il vivere sociale, che in tal modo prende forma di polis, di città» (Caritas in veritate, n. 7; Regno-doc. 15,2009,459).
16
Bunreacht na hÉireann, preambolo.
17
Cf. Caritas in veritate, n. 63; Regno-doc. 15,2009,485.
LES,
La persistenza tra gli irlandesi di un forte senso di solidarietà con i più vulnerabili è in questo momento ciò che
ci richiama l’incapacità della parola «individuo» a cogliere
l’ampia risonanza dello spirito umano.
Come ha affermato papa Giovanni Paolo II: «Solidarietà (...) è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di
ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di
tutti».19
Nonostante la solidarietà/cittadinanza attiva sia manifesta nel livello relativamente alto di volontariato che attualmente esiste in Irlanda, tuttavia, ci sono prove che
suggeriscono che la società irlandese non è immune da
quelle forze culturali della società occidentale che promuovono una cultura individualista più radicale. Per esempio, si potrebbe sostenere che l’attuale crisi in Irlanda può,
almeno in parte, essere spiegata facendo riferimento alla
crescente accettazione sociale – anche se da parte di un
nucleo molto ristretto in confronto con altri paesi europei
– di ciò che è stato descritto come un radicale o dichiarato
individualismo.20 Nella misura in cui tale tendenza culturale è confermata nella pratica, quasi inevitabilmente viene
seguita da una perdita del giusto equilibrio nella nostra
auto-comprensione come individui e come membri della
società – un allentamento dei vincoli di solidarietà. Per non
cadere nella tentazione di presupporre che questo sia un
problema di scarsa rilevanza pratica per la vita quotidiana
delle persone, non bisogna dimenticare il rapporto tra servizi pubblici e pressione fiscale. Nel recente passato, è stata
opinione diffusa che ci saremmo potuti permettere di avere
tasse basse e servizi sociali pubblici di prima categoria.
Oggi siamo più consapevoli. Ci sono scelte da compiere, e
non è affatto certo che gli irlandesi oggi sceglierebbero preferibilmente la solidarietà sociale rispetto a una pressione
fiscale più bassa.
Grazie al permanere di una forte identificazione con
la parrocchia/comunità locale e il rilevante contributo ai
gruppi sportivi e alle comunità di volontariato21 non si deve
esagerare nella valutazione di quanto diffusamente, in Irlanda, abbiamo adottato il modello culturale individualista/consumistico. Tuttavia, come rivela il crescente grado
di popolarità di cui gode una vasta gamma di programmi
televisivi, il mito del successo individuale e la paura del fallimento individuale non è qualcosa che si limita al mondo
dell’alta finanza. Se infatti in questo caso un numero significativo di giovani adulti ha accettato acriticamente il
paradigma culturale individualista e altamente competitivo del tardo capitalismo, non è qualcosa che può essere
derubricato come di poca importanza. L’autostima è il più
delle volte un traguardo fragile, e come ci ricorda il tragico
panorama del numero di suicidi tra i giovani, un senso di
18
Cf. CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI IRLANDESI, The Cry of
the Earth: A Pastoral Reflection on Climate Change (2009), in www.catholicbishops.ie.
19
GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Sollicitudo rei socialis nel ventesimo anniversario della Populorum progressio, 30.12.1987, n. 38; EV
10/2650.
20
Cf. le statistiche sul volontariato in Irlanda, sia del Nord sia del
Sud, in The Common Good in an Unequal World, a cura di Eoin Cassidy, Veritas, Dublino 2007, 24.
21
Ivi.
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appartenenza è fondamentale al benessere sia personale
sia sociale.
In questo contesto, oggi in Irlanda ancora una volta
sottolineiamo l’importanza di sostenere, tutelare e rafforzare la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e
una donna, nonché a promuovere la vita umana in tutte
le sue fasi.
«La famiglia si propone come spazio di quella comunione, tanto necessaria in una società sempre più individualistica, nel quale far crescere un’autentica comunità
di persone».22
Per i cattolici, la protezione dell’inalienabile diritto
alla vita del bambino non nato costituisce una componente non negoziabile della promozione del bene comune. L’aborto è la negazione di quel diritto inalienabile.
L’«apertura alla vita è al centro del vero sviluppo.
Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio
del vero bene dell’uomo».23 Inoltre, come afferma il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, con l’aborto si
diffonde «una mentalità contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e democratica convivenza sociale».24
Alla luce della crisi che ha travolto attualmente l’Irlanda, non siamo forse costretti a rivedere l’immagine autosufficiente dell’individualismo radicale, il quale non è in
grado di comprendere l’importanza del senso di appartenenza per la realizzazione individuale o sociale? Esso rende
le persone sorde al coro di voci che chiedono una società
più equa e, ancora peggio, è poco sensibile alle interrelazioni che caratterizzano l’universo in cui viviamo, un atteggiamento che ci rende ciechi o indifferenti alle ingiustizie
nel resto del mondo. Tale ethos, nella misura in cui ha contribuito all’attuale crisi in Irlanda, deve essere messo in discussione a favore di un ethos che dia il legittimo spazio alla
solidarietà sociale e ad azioni che incoraggiano un modello
di società valoriale che promuova di preferenza il bene comune rispetto a il «massimo bene» per il «maggior numero». «Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e,
vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio
cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1Gv 3,17).
8. Conclusione: promuovere una cultura
della speranza in Irlanda
«La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta
emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo
tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla
crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di
pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o
attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della
fraternità possono e devono trovare posto entro la normale
attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione
economica. Si tratta di una esigenza a un tempo della ca-
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rità e della verità». (Caritas in veritate, n. 36; Regno-doc.
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Negli ultimi anni l’Irlanda, del Nord e del Sud, è stata
fonte d’ispirazione e ha dato segni di speranza a molti, sia
in termini politici sia economici. Ora, in circostanze diverse, gli occhi del mondo sono diretti verso l’Irlanda per
vedere come risponderemo a queste nuove sfide. Il tempo
presente richiede una forte leadership radicata nella giustizia, preoccupazione per il bene comune e impegno per difendere i più vulnerabili nella nostra società.
Come abbiamo sottolineato all’inizio del documento,
bisogna mettere fine alla cultura del bonus che è così distruttiva delle virtù civili. Nelle parole di papa Benedetto XVI
citate sopra si considera quella che è «un’esigenza dell’uomo
nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di un’esigenza a un tempo della
carità e della verità». È nostra ferma convinzione che ciò sarà
raggiunto solo se saremo in grado di mettere efficacemente
in discussione la validità della cultura del bonus sensibilizzando nuovamente la società all’importanza del «principio
di gratuità e della logica del dono come espressione della fraternità (...) un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma
anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta
di un’esigenza a un tempo della carità e della verità». (Caritas in veritate, n. 36; Regno-doc. 15,2009,472).
L’errata accettazione dei cosiddetti meriti della cultura
del bonus da parte di molti uomini di governo e d’affari è
una delle cause principali dell’attuale malessere della società irlandese. Non solo essa continua a minare l’adesione
al valore degli ideali di servizio pubblico/civile, ma in più
dà direttamente luogo all’esistenza di divari di reddito
sproporzionati tra i diversi settori della società, cosa che
più di qualunque altra mina la solidarietà sociale, la quale
è a sua volta il fondamento di una società stabile.
Sì, siamo nel bel mezzo di una crisi. Molte persone soffrono, lottano e hanno paura. Ma noi non dobbiamo perdere la speranza. La nostra storia è quella di un popolo che
resiste e quello spirito è ancora con noi. Inoltre in Irlanda,
la lunga tradizione di adesione alla fede cristiana ci dà le
risorse che rendono possibile concepire la possibilità di ricreare le condizioni che favoriscono relazioni di buon vicinato e di sviluppare una più giusta società. Ora più che mai
abbiamo bisogno di riconoscere la nostra capacità di fare la
differenza e lavorare per contribuire al cambiamento positivo nella nostra società. È il momento di mettere un più
forte accento sull’assunzione di responsabilità e sulla solidarietà, che dovrebbero partire da ognuno di noi.
Infine, dobbiamo riconoscere che, come cristiani, siamo plasmati dalla convinzione che è solo nell’amore di Dio
per noi e solo attraverso di esso che è possibile ogni cambiamento positivo. Crediamo che, anche in momenti di
sofferenza, la speranza e l’amore rimangono nei nostri
cuori per mezzo dello Spirito santo25 come ci ricorda la
promessa di eterna presenza di Cristo: «Io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
22
Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 221.
BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 28; Regno-doc.
15,2009,468 .
24
Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 233.
25
Cf. Rm 5,5.
23