VISIONE PEDAGOGICA - IC San Giovanni Bosco

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MINISTERO DELL’IST RUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RIC ERCA
Isti tu to Comprensivo “San Giovanni Bosco”
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VISIONE PEDAGOGICA
Costruire insieme agli insegnanti una scuola:
Dobbiamo farlo – possiamo farlo – vogliamo farlo…facciamolo insieme“.
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“LA MIA STORIA, I MIEI RAGAZZI, L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO E COME TUTTO E’
INIZIATO…”
Anche se dirigo il Centro per la Didattica Cooperativa e ho una formazione in psicopedagogia
scolastica, mi occupo da diversi anni di insegnamento.
Sono però un insegnante un po’ particolare, non solo per la mia formazione ma anche per i miei
studenti.
La mia passione formativa sono da sempre i ragazzi cosiddetti a rischio, quelli che per intenderci
non vanno a scuola, e se ci vanno si fanno sentire con comportamenti oppositivi, provocatori e
disturbanti.
Per questo, in collaborazione con diverse scuole, servizi sociali e enti educativi territoriali, ho ideato e
realizzato progetti di insegnamento finalizzati a prevenire e ridurre la dispersione scolastica.
Concretamente insegno e ho insegnato con l’apprendimento cooperativo tutte le discipline
scolastiche, così da preparare gli studenti per il conseguimento della licenza media inferiore.
Anche sei programmi sono quelli ministeriali le classi e i gruppi con cui lavoro sono composte
da studenti “feriti”:
•
•
•
•
feriti da vissuti famigliari complessi di abbandono, trascuratezza, separazioni, lutti o violenze;
feriti da disturbi o difficoltà dell’apprendimento che hanno minato la propria autostima personale e
scolastica;
feriti da disturbi del comportamento importanti quali ADHD, il disturbo oppositivo-provocatorio o
il disturbo della condotta;
feriti infine da difficoltà di integrazione che li hanno portati a respingere o attaccare per non essere
più gli ultimi o gli esclusi.
Le ferite come si sa sanguinano e per una legge di sopravvivenza emotiva questi ragazzi si sono
spostati dal dolore, spesso intollerabile e lacerante, alla rabbia, che quanto meno gli ha consentito di
non essere più vittime passive ma soggetti attivi, per quanto distruttivi.
Questo cocktail di dolore e rabbia ha pian piano lacerato il loro rapporto con la scuola, con
gli insegnanti e l’apprendimento.
Dovendo insegnare a dei gruppi così complessi mi sono subito reso conto che la didattica
trasmissiva basata sulla sola lezione frontale, non solo non era funzionale (visto il pessimo
rapporto di questi studenti con l’apprendimento), ma offriva un ottimo palcoscenico per i loro
meccanismi oppositivo-provocatori.
Così ho scoperto e approfondito l’Apprendimento Cooperativo, sviluppando negli anni un approccio
operativo, semplice quanto coinvolgente con cui arricchire le spiegazioni e le lezioni.
Una cosa però molto importante che ho compreso subito è che l’Apprendimento Cooperativo non è il
semplice lavoro di gruppo, ma è la sua evoluzione pedagogica, capace di garantire una reale
cooperazione e responsabilità da parte di tutti gli studenti.
Grazie alla cooperazione ho potuto constatare con mano risultati incredibili, ed inizialmente
impensabili, vista la particolare complessità dei miei gruppi.
Non solo questi ragazzi riprendevano a frequentare le lezioni, ma partecipavano con entusiasmo,
passione e buoni risultati.
Grazie alle diverse strategie di Apprendimento Cooperativo non dovevano più subire lunghe
spiegazioni, ma dopo spiegazioni mirate erano subito attivi: pensando insieme, studiando in
gruppo, esercitandosi e insegnandosi reciprocamente.
In questo modo si è passati pian piano dall’ “apprendimento come dovere e
fatica” all’ “apprendimento come piacere e persino desiderio”, perché la cooperazione permette di
alleggerire il carico cognitivo sfruttando il potenziale sociale della classe.
I ragazzi, da problemi e elementi di disturbo, sono diventati una risorsa preziosa, sia per i compagni
che per il sottoscritto.
Grazie ad una didattica più cooperativa ho così potuto risanare due grandi ferite: col mondo della
scuola e con loro stessi, perché finalmente hanno ripreso a sentirsi più competenti, auto-efficaci e
anche intelligenti.
Inoltre, visti i singoli vissuti di sofferenza famigliare, la classe è diventata da “malessere
aggiuntivo” a “luogo di benessere e riparo”, in cui finalmente potevano stare bene con gli altri e con
se stessi.
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L’esperienza con queste classi difficili mi ha poi fatto comprendere il potenziale formativo che
l’Apprendimento Cooperativo può avere anche con tutti gli altri studenti. Così ho orientato la mia
ricerca-azione sull’Apprendimento Cooperativo nella direzione tracciata da Wiggins rispetto
alla comprensione profonda e all’apprendimento significativo.
Lavorando, come voi, tutti in giorni in aula, con situazioni sempre più complesse e variegate, mi sono
reso conto che, se da un lato la nostra scuola aveva e ha bisogna di un apprendimento più
significativo, allo stesso noi insegnanti abbiamo bisogno di uno strumento duttile, versatile e di
immediato utilizzo in classe.
L’aforisma che al meglio rappresenta il mio lavoro è questa frase del grande scultore Costantino
Brancusi:
“La semplicità è una complessità risolta”
Ho iniziato così a sintetizzare un modello cooperativo che sia allo stesso tempo semplice da
applicare, perché basato su tecniche di didattica cooperativa già pronte all’uso, ma allo
stesso coinvolgente ed in grado di far acquisire ai nostri bambini e ragazzi quelle competenze
chiave per affrontare le sfide del presente ma soprattutto del futuro, in una società sempre più liquida e
complessa.
Credo fermamente che un buon metodo didattico debba essere quindi efficace, oggi questo significa
muoversi
nella
direzione
dell’apprendimento
significativo
e
delle
competenze,
ma
anche efficiente, cioè attuabile con semplicità e naturalezza dagli insegnanti di qualsiasi disciplina e
ordine scolastico.
Da questa prospettiva è partito circa 15 anni fa il mio lavoro di ricerca e formazione
sull’Apprendimento Cooperativo che ha portato alla nascita del Centro per la Didattica
Cooperativa.
Lo spirito che muove questo istituto può essere racchiuso in questa frase, con cui mi piacere
salutare chi ha voluto soffermarsi su questo mio breve estratto biografico:
“Costruiamo insieme la scuola che sogniamo…una scuola cooperativa, coinvolgente e
inclusiva…che dia agli insegnanti strumenti per generare un apprendimento autentico e
significativo e alle nuove generazioni le competenze per affrontare al meglio le complessità del
futuro”
“E’ giunto il tempo in cui:
•
•
•
dobbiamo farlo, data la società liquida
possiamo farlo, qui trovate una via spendibile
ma soprattutto vogliamo farlo, lo vedo negli occhi e nelle parole della migliaia di insegnanti
incontrati nei corsi di formazione dal nord al sud della nostra Italia.
Si, è giunto il momento … facciamolo insieme.”
Stefano Rossi
Direttore del Centro per la Didattica Cooperativa
IL NOSTRO APPROCCIO COOPERATIVO
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Cos’è l’apprendimento cooperativo?
Il modello che noi proponiamo è un insieme di tecniche didattiche che consentono di attivare la
cooperazione e l’apprendimento reciproco tra gli studenti.
Coincide con il lavoro di gruppo?
Non è la classica didattica laboratoriale, che pur avendo dei benefici presenta diversi limiti (scarsa
cooperazione, conflitti, ecc.). L’apprendimento cooperativo è invece l‘evoluzione scientifica del
lavoro di gruppo perché si basa su tecniche didattiche specifiche che garantiscono:
• un reale cooperazione tra gli studenti
• responsabilità individuale di ogni membro del gruppo
• l’acquisizione di competenze emotive e sociali
• la creazione di un clima piacevole ed accogliente.
Quale specificità ha il nostro approccio?
Il nostro approccio cooperativo si è sviluppato intrecciando:
la ricerca scientifica a partire dai più importanti modelli internazionali di cooperative learning
la nostra esperienza sul campo in più di un centinaio di progetti con classi e gruppi di studenti a
rischio in cui abbiamo utilizzato l’apprendimento cooperativo.
Grazie
alla
nostra
ricerca-azione abbiamo
puntato
a
una
didattica
cooperativa efficace, ma anche semplice da utilizzare in classe.
Per questo il nostro approccio cooperativo ha 3 peculiarità:
•
•
•
MORBIDO = perché non è contrario alla spiegazione frontale, ma la vuole arricchire
con attività cooperative ed inclusive
SEMPLICE = perché si basa su tecniche cooperative già pronte all’uso
COINVOLGENTE = perché prevede lezioni stimolanti che generano un apprendimento
significativo.
Come avviene la preparazione delle lezioni?
Nei nostri corsi presentiamo e facciamo sperimentare agli insegnanti numerose tecniche di didattica
cooperativa.
A differenza di altri modelli di cooperative learning non dovrete “costruire le attività cooperative” ma
semplicemente “scegliere le tecniche” più adatte alla vostra lezione.
Come è organizzata una lezione cooperativa?
Il nostro approccio è morbido e lascia all’insegnante la possibilità di usare in modo personale e creativo
le tecniche cooperative.
In linea di massima una lezione cooperativa e per competenze ha 3 fasi:
1. Spiegazione = frontale di 10-15 minuti o capovolta
2. Attività cooperative = in coppie e terzetti per 20-30 minuti
3. Condivisione = in plenaria riflettendo insieme su quanto appreso.
Quale tipo di cooperazione promuoviamo in classe?
Per noi la cooperazione non è una semplice divisione di ruoli all’interno di compiti strettamente
esecutivi.
Attivare la cooperazione in classe significa:
• attivare l’insegnamento reciproco
• creare un ambiente inclusivo per tutti
• generare una comprensione significativa e profonda (ben diversa dall’apprendimento meccanico e
superficiale)
• educare al senso critico e al pensiero riflessivo
• sviluppare grazie al lavoro quotidiano l’empatia e l’intelligenza emotiva
• valorizzare la creatività e tutte le intelligenze.
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Il nostro obiettivo è è trasformare la classe in una comunità di apprendimento in cui:
• si apprenda in modo autentico
• all’interno di un clima di classe piacevole e positivo.
Quale rapporto tra apprendimento cooperativo e altri metodi didattici?
La cooperazione sta alla base di tutti i più recenti metodi di insegnamento:
• insegnamento capovolto = il capovolgimento della lezione spalanca le porte per l’uso in classe
dell’apprendimento cooperativo (collaboriamo con FLIPNET con una specifica formazione per gli
insegnanti capovolti)
• didattica per competenze = l’apprendimento cooperativo è il metodo più semplice per insegnare
per competenze. Cooperando insieme bambini e ragazzi possono acquisire tutte le 8 competenze
chiave della cittadinanza europea (si veda il corso “Insegnare con facilità per competenze”)
• didattica digitale = le numerose applicazioni digitali hanno un reale valore pedagogico solo se
vengono impiegate in modo attivo, cooperativo e per competenze. Utilizzando queste nuove
opportunità con il vecchio dispositivo frontale-trasmissivo non faremmo altro che illuderci di
innovare la nostra didattica. L’apprendimento cooperativo 2.0 ci consente invece di integrare le
potenzialità della cooperazione con le nuove possibilità offerte dal digitale.
• didattica inclusiva = il miglior modo per includere i numerosi e differenti bisogni educativi speciali
che abbiamo in classe è la cooperazione. Con l’apprendimento cooperativo è possibile costruire
un ambiente di apprendimento inclusivo per tutti, perché grazie all’aiuto reciproco ciascuno
studente è valorizzato per le proprie risorse indipendentemente dalle proprie difficoltà.
Ci sono dei testi di riferimento?
I nostri testi sono volutamente operativi, non manca la contestualizzazione scientifico-teorica, ma
sono ricchi di tecniche didattiche ed educative da utilizzare nel quotidiano lavoro in classe.
“Tutti per uno, uno per tutti: il potere formativo della collaborazione“ S. Rossi (Ed. La
Meridiana)
“Classi e studenti difficili: insegnare ed educare gli adolescenti oppositivi, aggressivi e
iperattivi” S. Rossi (Ed. La Meridiana).
A quale fasce d’età si rivolge la formazione?
La cooperazione migliora l’apprendimento in tutte le fasce d’età, chiaramente con specifiche
ricalibrature. Ci occupiamo di formazione degli insegnanti dalla scuola dell’infanzia alla secondaria
di II° grado.
Dove tenete i corsi di formazione?
La sede del Centro Didattico è a Lodi (in Lombardia), ma realizziamo i nostri corsi in tutte le regione
d’Italia e abbiamo già formato più di un migliaio di insegnanti.
A P P R E N D I M E N T O C O O P E R AT I V O - C AS S E T T A D E G L I AT T R E Z Z I
Il modello di apprendimento cooperativo che proponiamo si basa su specifiche tecniche didattiche:
•
EFFICACI = perché prese dai migliori approcci cooperativi e affinate e ricalibrate dalla nostra
lunga esperienza sul campo
•
TRASVERSALI = a tutte le discipline scolastiche ed ordini di scuola. Riguardano i processi
cooperativi indipendentemente dai differenti contenuti
•
SPECIFICHE = per diverse azioni didattiche (apertura e chiusura della lezione, esercitarsi insieme,
insegnarsi a vicenda, pensare e creare insieme, l’uso del digitale, ecc.)
•
SEMPLICI = perché sono già pronte all’uso, uno dovrete creare da zero delle attività cooperative,
ma vi basterà scegliere semplicemente la tecnica didattica più adatta al vostro bisogno.
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Di seguito trovate alcune “macrocategorie” all’interno del quale vi sono differenti tecniche cooperative.
Per noi le tecniche didattiche sono dei pennelli con cui potrete colorare le vostre lezioni con la
bellezza e la potenzialità della cooperazione.
1 2 B E N E FI CI
L’ Apprendimento Cooperativo è stato (ed è ancora oggi) oggetto di numerosi studi, svolti dalle più
importanti università e centri di ricerca di tutto il mondo. Vediamo alcuni tra i più importanti effetti della
cooperazione in classe.
1. Prestazione = i fratelli David e Robert Johnson dell’Università del Minnesota hanno svolto 754
meta-analisi in cui hanno paragonato la prestazione scolastica tra lezione frontale, lavoro di gruppo e
apprendimento cooperativo. Il dato che è emerso è stato schiacciante e ha rilevato che l’approccio
cooperativo, in tutte le discipline, genera una prestazione nettamente superiore alla didattica
tradizionale. Se le classi utilizzano la cooperazione per diverse settimane il divario con il modello
meramente trasmissivo cresce esponenzialmente.
2. Condivisione = numerosi studi in ambito psicologico e pedagogico ci hanno ormai spiegato
che insegnare agli altri è una via estremamente efficace per apprendere. L’apprendimento
cooperativo, in particolare il modello da noi proposto, prevede anche dei format per l’insegnamento
reciproco, in cui l’apprendimento è condiviso e co-costruito dagli studenti, sviluppando così
quotidianamente quelle competenze comunicative estremamente utili per la vita come per il lavoro.
3. Motivazione = numerosi ricercatori, tra cui Sharan dell’Università di Tel Aviv, hanno dimostrato
che l’apprendimento cooperativo genera una più alta motivazione intrinseca da parte di tutti gli
studenti (sia ad alto rendimento che con difficoltà). A generare questo risultato concorrono vari fattori:
la possibilità di essere protagonisti attivi dell’apprendimento, il supporto dell’aiuto reciproco, il piacere
del fare insieme, l’aggancio con l’esperienza di vita degli studenti e la possibilità di svolgere compiti
autentici e significativi.
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4. Attenzione = una delle più grosse difficoltà che ogni insegnante incontra è mantenere l’attenzione
delle proprie classi. E’ però ormai risaputo da numerosi studi di psicologia dell’apprendimento,
che dopo 20-30 minuti l’attenzione cala drasticamente, anche negli studenti più dotati. Per ovviare
questo problema fisiologico bisogna inserire dei tempi di recupero ogni venti minuti in cui, spezzare il
frontale con attività cooperative. Questo tempo di recupero cooperativo aumenta del 60% la
capacità degli studenti di ritenzione delle informazioni.
5. Apprendimento significativo = l’Apprendimento Cooperativo esprime il suo massimo potenziale
didattico quando si passa dalla cooperazione esecutiva (es. leggere, studiare e esercitarsi insieme…)
alla cooperazione su compiti avanzati in cui gli studenti pensano, discutono, riflettono e creano
insieme. Queste attività cooperative generano quella che gli studiosi definiscono come
comprensione autentica/profonda, ben diversa dal mero apprendimento meccanico/ripetitivo.
6. Inclusione = Come può un insegnante includere nella propria didattica 5-6-7 bisogni educativi
speciali differenti? Personalizzare dal basso e a posteriori è sostenibile solo se in classe abbiamo solo
uno o due bisogni speciali. Bisogna creare un ambiente di apprendimento inclusivo per
tutti. Questo è possibile solo con la cooperazione, grazie all’aiuto reciproco i compagni si compensano
e valorizzano a vicenda.
7. Competenze = l’Unione Europea, in linea con i più recenti studi pedagogici, ha chiesto alle scuole
dei diversi Paesi di impostare i curricoli e le lezioni passando dall’approccio sulle conoscenze a quello
delle competenze. La prospettiva della didattica per competenze è rivoluzionaria e fortemente
formativa, ma in Italia non ha avuto ancora una vasta diffusione, perché la progettazione delle
lezioni per competenze può sembrare complessa e articolata. Il nostro approccio cooperativo,
basato su tecniche didattiche già pronte all’uso, consente all’insegnante di comporre in pochi
minuti lezioni e unità di apprendimento su tutte le 8 competenze europee.
Le didattica per competenze è splendida, ma deve essere realizzata in modo semplice quanto efficace.
8. Innovazione digitale = con l’avvento dei tablet e degli smartphone c’è la possibilità di innovare e
arricchire la nostra didattica. Il rischio però è utilizzare questi nuovi strumenti, con il vecchio modello
passivo-trasmissivo. Con l’Apprendimento Cooperativo possiamo sfruttare il grande potenziale
creativo del digitale realizzando una didattica digitale – capovolta – per competenze.
9. Prevenzione della dispersione scolastica = l’Italia è tra i paesi europei con il più alto tasso di
dispersione scolastica. A questo dato oggettivo vanno aggiunti anche gli studenti che sono in
“dispersione passiva”, perché pur frequentando hanno perso ogni motivazione. La cooperazione in
classe tra studenti competenti e con difficoltà permette a entrambi gli schieramenti di arricchirsi
reciprocamente. Grazie a questo apprendimento reciproco si realizza un’inclusione didattica concreta
e quotidiana, che permette anche agli studenti più fragili di non perdere il treno della scuola, e forse
della vita.
10. Studenti difficili = per gli studenti con problemi comportamentali (oppositivo-provocatori, impulsivi,
iperattivi o con disagio emotivo-famigliare) la scuola è probabilmente l’ambito di maggiore difficoltà e
insuccesso. Il meccanismo della didattica esclusivamente frontale è per questi ragazzi spesso
insostenibile. La platea della classe offre poi un’occasione ghiotta per scaricare la propria irrequietezza
emotiva, dando vita ad azioni che vanno dal semplice disturbo, all’opposizione, fino alla sfida diretta
dell’autorità del docente. La classe cooperativa crea un ambiente accogliente in cui tutti gli
studenti, compresi quelli difficili, imparano meglio ed insieme.
11. Life skills = qualche anno fa un team di esperti incaricati dall’O.M.S. ha svolto diverse ricerche per
stabilire come prevenire i comportamenti a rischio e le diverse forme di disagio psicologico in età
evolutiva. Quello che scoprirono i ricercatori fu che per prevenire le diverse forme di disagio, sempre
più diffuse nella nostra società, non bisognava informare ma promuovere delle competenze sociali che
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fungessero da fattore protettivo nella crescita di ogni adolescente. Data l’importanza di queste
competenze vennero definite competenze di vita o life skills: autoefficacia, gestione delle emozioni,
prosocialità, empatia, gestione dei conflitti, risoluzione di problemi, prendere decisioni, creatività e
senso
critico.
Qui entra in gioco la cooperazione: grazie all’Apprendimento Cooperativo la classe diventa una
vera e propria palestra socio-emotiva, in cui gli studenti, svolgendo le normali attività
scolastiche, acquisiscono giorno dopo giorno tutte queste life skills!
12. Prevenzione bullismo e clima di classe = come la psicologia sociale ci ha dimostrato ogni gruppo
ha due dimensioni:
• Dimensione visibile =delle prestazioni scolastiche e dei comportamenti manifesti
• Dimensione invisibile = delle emozioni e delle relazioni sociali.
Nella nostra scuola si tende ancora a sottovalutare l’impatto delle emozioni e delle relazioni sociali e in
questa zona invisibile crescono anche numerosi conflitti, che alla lunga possono tramutarsi in bullismo
e/o disagio psicologico.
Arricchendo le proprie spiegazioni con attività cooperative si andrà pian piano costruire
un clima di classe accogliente e positivo, in cui non solo gli studenti stanno bene, ma
imparano anche meglio. Solo così di può educare alla convivenza prevenendo tutte le forme di
bullismo.
E V O LU ZI O NE D E L L AV O R O D I G RU P P O
Oltre ad essere una filosofia educativa l’Apprendimento Cooperativo è anche una vera e propria
metodologia didattica.
Come metodo può essere definito come un insieme di tecniche di apprendimento che sfruttano il
potenziale della cooperazione in coppie e piccoli gruppi di studenti.
Va fatta però una precisazione importante: anche se il Cooperative Learning utilizza il lavoro in
piccoli gruppi NON E’ IL TRADIZIONALE LAVORO DI GRUPPO.
Anzi possiamo dire che l’Apprendimento Cooperativo è l’evoluzione pedagogica del lavoro di
gruppo, perché amplifica i suoi punti di forza azzerandone le criticità.
La ricerca scientifica ha prodotto a livello internazionale diversi modelli, o declinazioni, di Cooperative
Learning, che hanno prodotto numerose tecniche di insegnamento/apprendimento.(Johnson, Cohen,
Slavin, Sharan, Kagan, ecc.).
Tutti questi modelli applicativi sono però accomunati da 6 elementi di base che ritroviamo in ogni
tecnica cooperativa.
Questi 6 elementi di base evidenziano in modo netto l’evoluzione dal Cooperative Learning al
tradizionale lavoro di gruppo.
•
•
•
•
•
•
Interdipendenza positiva = gli studenti sono vincolati nella cooperazione con ruoli e informazioni
complementari. Nessuno può svolgere l’attività da solo o senza il contributo dei compagni
Responsabilità individuale = l’insegnante è sempre in grado di individuare e riconoscere il
contributo di ogni singolo.
Abilità sociali = con semplici accorgimenti gli studenti acquisiscono nel lavoro di gruppo abilità
e competenze sociali quali l’accoglienza, l’aiuto reciproco, la collaborazione e la responsabilità.
Clima di gruppo = sono previste attività di teambuilding che ogni insegnante può utilizzare a sua
discrezione per migliorare tra gli studenti la conoscenza reciproca, l’empatia e il senso di gruppo.
Valutazione individuale = la valutazione si integra con quella individuale. Gli studenti apprendono
e si esercitano insieme, ma verranno anche valutati con le tradizionali interrogazioni e verifiche
individuali.
Piccoli gruppi = si utilizzano esclusivamente coppie, terzetti e al massimo quartetti. La
dimensione dei gruppi cresce in progressione in base all’esperienza degli studenti.
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LAVORO DI GRUPPO
Libera e senza interdipendenza
–> individualismo/competizione
APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Strutturata con interdipendenza positiva
cooperazione
Cooperazione
Del gruppo
si sentono responsabili solo gli studenti Individuale
già bravi
tutti si sentono responsabili
Responsabilità
Non insegnate
conflitti
Insegnate
intelligenza emotiva e prosocialità
Abilità sociali
Non sviluppato
gruppo spesso poco coeso
Teambuilding
dal gruppo al team
Clima di gruppo
Valutazione di gruppo
alimenta conflitti
Valutazione individuale e di gruppo
valorizza sia l’impegno personale che le
competenze sociali
Valutazione
Coppie e terzetti in progressione
meglio gestibili dall’insegnante e più semplici
Dimensione dei
gruppi
Gruppi anche di 4-5 studenti
caotici e disorganizzati
per gli studenti
1. INTERDIPENDENZA POSITIVA
Uno dei limiti principali del tradizionale lavoro di gruppo è che la cooperazione è lasciata libera.
L’insegnante invita gli studenti a “lavorare insieme” ma la realtà è che senza un vincolo preciso
alcuni, solitamente i più bravi e motivati, si impegneranno nell’attività, mentre gli altri delegheranno il
compito senza partecipare attivamente. In questo modo il lavoro di gruppo diventa una struttura di
ingiustizia, perché pochi si fanno carico del lavoro di tutti.
L’Apprendimento Cooperativo risolve questo problema con l’interdipendenza positiva, perché il
compito su cui gli studenti lavoreranno li vincolerà, in modo positivo, alla cooperazione.
Ogni tecnica cooperativa (e in particolare quelle che propone il nostro centro, si veda il testo “Tutti per
uno e uno per tutti) è già strutturata prevedendo in modo semplice e funzionale la distribuzione di ruoli
complementari.
Ecco alcuni esempi di interdipendenza positiva per capirci meglio:
• ruoli complementari (A legge, B propone cosa sottolineare e C scrive il riassunto)
• risorse complementari (A lavora al pc, B ha il libro C il quaderno)
• informazioni complementari (A lavora al primo paragrafo B al secondo e C al terzo)
Questo significa che tutte le attività cooperative sono strutturate in modo tale che:
– nessuno studente può svolgere il compito da solo
– il compito può essere svolto se tutti forniscono il loro contributo.
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2. RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE
Nel lavoro di gruppo tradizionale vi è una responsabilità collettiva o di gruppo. Questo aspetto
però si presta ad un pericoloso meccanismo di delega della responsabilità individuale. In altri
termine dietro lo stesso lavoro possono anche esserci degli studenti che non hanno partecipato
adeguatamente.
L’Apprendimento Cooperativo supera questo problema sostituendo la responsabilità di gruppo
con la responsabilità individuale.
L’insegnante è sempre in grado di individuare e riconoscere il contributo che ogni studente ha portato al
gruppo. Questo fa si che nessuno si possa “nascondere” stimolando così ogni membro ha partecipare
con impegno.
Un esempio semplice e immediato è l’uso di penne di colori differenti. Se una coppia sta lavorando ad
un riassunto o ad una mappa cooperativa, A userà la biro blu e B quella nera. In questo modo sarà
evidente all’insegnante quantità e qualità del contributo di ciascuno.
Ci sono diversi esempi per strutturare la responsabilità individuale, ciascuno per ogni tecnica
cooperativa.
3. ABILITÀ SOCIALI E GESTIONE DEI CONFLITTI
Un errore diffuso nel lavoro di gruppo è dare per scontato che gli studenti abbiano già le abilità
sociali utili per collaborare insieme.
Questo errore di valutazione fa sì che il lavoro di gruppo, invece di essere una piacevole esperienza
cooperativa, diventi a volte luogo di conflitto e tensione.
L’Apprendimento Cooperativo risolve in modo eccellente questo aspetto trasformandolo da
limite in preziosa risorsa educativa, perché insegna direttamente le abilità sociali nel lavoro di
gruppo.
Mentre gli studenti lavorano insieme hanno l’obiettivo di mettere in pratica concretamente abilità sociali
quali l’accoglienza, l’empatia, l’aiuto reciproco, la responsabilità e la gestione delle divergenze. In
questo modo si possono prevenire tutte le forme di bullismo e violenza.
La classe lavora su una singola abilità sociale per diverse settimane, così che gli studenti si allenino
concretamente all’importanza e alla bellezza di queste competenze.
Il tutto senza richiedere compiti aggiuntivi all’insegnante, che monitorando il lavoro dei gruppi solleciterà
gli studenti a utilizzarla.
In questo modo non solo migliorerà il lavoro cooperativo e il clima di classe, ma gli studenti
apprenderanno competenze utili anche per la vita sociale e lavorativa.
Come sognava Dewey “Una scuola come palestra di democrazia”.
4. CLIMA DI GRUPPO
Nel lavoro di gruppo tradizionale il clima si dà per scontato, senza svolgere attività specifiche.
Gli studi sull’Apprendimento Cooperativo hanno dimostrato che svolgendo, anche solo
saltuariamente, delle attività di team building (costruzione del gruppo), non solo migliorano le
relazioni sociali degli studenti, ma migliorano nettamente le prestazioni scolastiche.
Per questo il Cooperative Learning prevede semplici tecniche per migliorare la conoscenza reciproca,
l’accoglienza, la collaborazione e il senso di appartenenza al gruppo e alla classe.
Ogni insegnante è libero di impiegare queste tecniche se e quanto vuole, applicandole però si può
trasformare la classe in uno spazio di benessere, in cui si apprende con piacere in un clima di
accoglienza e valorizzazione reciproca.
5. VALUTAZIONE ANCHE INDIVIDUALE
Il quinto errore dei gruppi tradizionali è la sola valutazione collettiva. Questa infatti non è
sempre veritiera e valida per tutti i membri del gruppo.
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Nell’apprendimento cooperativo questo problema viene aggirato tramite l’interdipendenza
positiva ed una valutazione su due livelli:
• La valutazione individuale, tramite le classiche verifiche e interrogazioni. In questo caso gli studenti
imparano insieme durante la lezione ma il classico test di fine capitolo viene svolto in modo
individuale.
• La valutazione di gruppo per quanto concerne le attività per competenze, in cui l’insegnante
valuterà tra le diverse competenze anche la capacità di collaborare e lavorare in team.
Come nella vita gli studenti apprenderanno che bisogna essere in grado di cooperare con gli altri, ma
ciascuno deve anche saper rispondere anche in prima persona delle proprie azioni e prestazioni.
6. MICRO-GRUPPI
Un’altra causa del fallimento della tradizionale didattica per gruppi è la dimensione.
Spesso i docenti che si avvicinano alla didattica laboratoriale organizzano attività in quattro, o
addirittura cinque o sei studenti per gruppo.
In gruppi così numerosi è difficile cooperare e coordinarsi e solitamente il risultato è che pochi fanno
per tutti.
Gli studi sull’Apprendimento Cooperativo hanno rilevato fin da subito che maggiore è il numero dei
componenti del gruppo e maggiore sarà la difficoltà nella collaborazione tra gli studenti.
Per questo il Cooperative Learning predilige il lavoro in coppie e terzetti. In gruppi così piccoli gli
studenti riescono a collaborare con più facilità, c’è una più alta partecipazione individuale e per
l’insegnante è molto più semplice monitorare il lavoro di ogni gruppo.
ARTICOLI RECENTI
S C U S I C H E M AT E R I A I N S E G N A? C O S T R U Z I O N E D I S P E R AN Z A
“Costruttori di speranza e costruttori di futuro”
Mi piace di l’idea di usare questa newsletter natalizia per lanciare un abbraccio e un sorriso a tutti
questi dirigenti ed insegnanti che forse in punta di piedi oppure con grande energia stanno ri-innovando
la nostra amata scuola.
Solo da settembre con la mia preziosa Leila abbiamo fatto un tour formativo che ha toccato quasi tutte
le regioni del Bel Paese.
In questo splendido viaggio abbiamo incontrato diverse migliaia di uomini e donne di scuola, ma il
nostro saluto va in particolare a quei dirigenti coraggiosi e a quegli insegnanti ottimisti, che alla paura
del cambiamento hanno preferito una buona dose di coraggio e un pizzico di follia per tentare sentieri
nuovi e possibili.
Cambiamento d’altronde è la parola d’ordine di questo nuovo millennio, è una parola che ad alcuni fa
paura mentre ad altri fa letteralmente arrabbiare, perché cambiare il modo di fare scuola se sono
decenni che si va avanti così?
Forse perché è cambiata e sta cambiando ancora la nostra società, il mondo del lavoro, le relazioni
affettive, ma anche il modo di comunicare, le nuove tecnologie ma anche la stessa la famiglia in un
mondo globalizzato che sembra correre all’impazzata chissà poi verso dove.
E la scuola? La scuola non può permettersi di rimanere indietro, non può farlo perché ha il dovere e la
mission di costruire un futuro ai nostri caotici quanto fragili millennials.
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Già i nostri millennials, esuberanti ma fragilissimi, iperconnessi ma spesso profondamente soli,
secondo me lo sentono … sentono che il mondo è cambiato e va davvero di fretta, una fretta che ad un
livello non sempre consapevole crea quell’ansia che in classe diventa agitazione, scarsa attenzione e
persino insofferenza.
Fino a quindicina di anni fa le classi erano davvero diverse, ricordo i miei compagni di studi seduti nei
loro banchi, qualcuno con poca voglia di studiare qualcun’altra più motivato, ma non c’era quella
frenesia e agitazione che respiriamo oggi tutti i giorni.
In fondo nel millennio precedente, perché agitarsi nel proprio banco? Si era un po’ come in sala
d’aspetto, ognuno sapeva che sarebbe venuto il proprio turno, c’era spazio in abbondanza per tutti.
Adesso è diverso, sembra quasi che i nostri ragazzi sentano che lo spazio si è ristretto, quindi
scalpitano, non vogliono stare li fermi, hanno come un’agitazione che li divora dentro.
C’è una cura per questa agitazione, una cura che si chiama speranza e che si può somministrare solo
con un modo diverso di fare scuola.
Se il futuro è incerto e nebuloso dobbiamo armare i nostri ragazzi di molte più risorse, le sole
conoscenze non sono sufficienti servono molte competenze.
Già…Queste benedette competenze, maltrattate da super esperti super teorici e di conseguenza mal
digerite dagli insegnanti, sono la chiave, la chiave per fare in modo che i nostri ragazzi potranno
costruirsi un futuro solido in un mondo liquido.
I nostri ragazzi dovranno imparare per tutta la vita, essere creativi e pieni di spirito di iniziativa,
dimostrando di essere autonomi quanto capaci di lavorare in molteplici team su molteplici progetti. Non
solo dovranno saper comunicare in modo efficace a tutti livelli, imparando a parlare e a creare anche
con la lingua del digitale, ma dovranno avere anche un’empatia, un pensiero critico e consapevolezza
culturale che getti le basi per una società inclusiva e responsabile.
E’ per questo che amo la prospettiva per competenze, mi permette e ci permette di dare speranza ai
nostri ragazzi, una speranza concreta di potersi costruire il proprio futuro, qualsiasi esso sia.
Da questo punto di vista la visione viene prima della metodologia (che come sapete è corposa nei mie
corsi) perché la deve ispirare e guidare.
L’insegnante del nuovo millennio deve essere un costruttore di speranza e futuro, un futuro che nel
nostro piccolo ciascuno di noi sta contribuendo a creare.
Che si tratti di cooperazione, capovolto, compiti di realtà o chissà cos’altro lo stiamo facendo per i nostri
ragazzi….forse non lo sapete, ma siamo davvero in tanti, forse non siamo rumorosi ma come un’onda
silenziosa stiamo esplorando nuovi territori.
Un augurio di sincero a tutti i costruttori di futuro che abbiamo incontrato quest’anno e a un 2017 in cui
ciascuno di voi trovi possa proseguire in questa direzione.
Stefano Rossi e Leila Bresciani
Centro per la Didattica Cooperativa
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B AM B I N I O P P O S I T I V I , 5 R E G O L E D ’ O R O P E R ‘ G E S T I R L I ’ A C AS A
Quando un bimbo è oppositivo? La definizione si applica a una personalità che manifesta
atteggiamenti di sfida o aggressivi, difficili da gestire per genitori e docenti. Ma come
gestire un bambino così? Per esempio occorre essere gentile ma fermi allo stesso tempo o
lodarlo quando fa bene qualcosa.
Una domenica pomeriggio, un bimbo gioca tranquillo con la playstation. Dopo la merenda, il papà lo
invita a spegnerla perché deve finire i compiti. Lui reagisce con un ‘no’ secco: il genitore insiste con
pazienza, fino a quando, stanco e frustrato, alza la voce. A quel punto, il figlio salta in piedi, corre verso
di lui e gli dà un calcio alla caviglia.
In una classe della primaria, un insegnante chiede a un alunno di completare una scheda e colorarla.
Lui rifiuta e alle ripetute richieste risponde urlando: ‘No, non lo faccio!’. Anche l’insegnante alza il tono e
il bimbo lancia il diario per terra dicendo una parolaccia.
Quando un bambino agisce così, come in questi due esempi, oggi si usa sempre più spesso il termine
‘oppositivo’ che compare anche a scuola nelle schede di valutazione del comportamento.
La definizione si applica a una personalità che manifesta atteggiamenti di sfida o aggressivi, difficili da
gestire per genitori e docenti.
Attenzione, però, a non confondere (o etichettare subito) comportamenti del genere con la patologia
specifica, ovvero il disturbo oppositivo-provocatorio (DOP) che necessita di una precisa diagnosi.
In sostanza, ogni bimbo oppositivo, incline a comportarsi male, non è per forza un ‘caso clinico’.
A spiegarlo è Stefano Rossi, psicopedagogista, formatore, che di bimbi e ragazzi cosiddetti ‘difficili’ ha
una lunga esperienza sul campo, autore di un libro sul tema (in uscita nei prossimi mesi per le edizioni
La Meridiana).
“A volte, questi atteggiamenti sono legati al temperamento: c’è chi non tollera le frustrazioni e mal
sopporta le regole – dice Stefano Rossi.
L’impulsività, per esempio, fa parte del temperamento, di fatto ognuno di noi ha il suo e non si può
cambiare, ma è possibile intervenire sull’aspetto educativo che fa la differenza”.
Ecco 5 regole d’oro per gestire a casa bambini oppositivi
1. Valorizzare è meglio di punire: il rinforzo positivo è molto più potente della sanzione
Il problema principale con il bambino oppositivo è che si attiva un circolo vizioso: l’adulto dà delle
regole, a casa, a scuola o nello sport, lui fatica a rispettarle, si sente ‘cattivo’, e si comporta male. Ecco,
allora, arrivare una punizione da parte del genitore o dell’insegnante che trasforma la relazione tra i due
in “una prova di forza muscolare”, come la chiama Stefano Rossi.
Secondo l’esperto, la sanzione rafforza l’idea del bambino che tutti ce l’abbiano con lui, e l’unico modo
per difendersi sia essere sempre il più forte.
Per spezzare questo circolo vizioso, la strategia più efficace è cercare di valorizzare il bimbo adottando
un approccio empatico, basato sull’autorevolezza.
“Io dico sempre che ‘il più batte il meno’ che non vuol dire, però, rinunciare a dare dei limiti che
sono necessari per la crescita. Quello che conta è essere gentili ma fermi allo stesso tempo”, spiega
Stefano Rossi.
2. Trascorrere tempo di qualità con lui: aiuta il bimbo oppositivo a sentire che l’adulto gli vuole bene
anche se spesso si comporta male
Un buon modo per prevenire e ‘ammorbidire’ gli atteggiamenti del bimbo oppositivo è passare ogni
giorno del tempo di qualità con lui. “Non è tanto importante cosa si fa, ma il fatto di condividere
alcuni momenti speciali – afferma Rossi.
Stare bene insieme aiuta il bimbo a sentire che teniamo a lui, anche se spesso si comporta male.
Questo gli permette anche di ‘ripulire’ un po’ l’immagine negativa che ha di sé stesso”.
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3. Lodare il bambino quando fa bene qualcosa e invitarlo a svolgere piccoli compiti migliora la sua
autostima
Le ‘parole che curano’, per esempio ‘è bello guardarti mentre disegni’, ‘sono fiero che nuoti come un
pesce!’ compensano i giudizi negativi che il bimbo oppositivo riceve. E’ molto importante, secondo
Rossi, dire frasi del genere al figlio, legandole sempre a un motivo concreto, poiché lo aiutano a
riequilibrare la sua fragile autostima.
Un altro stratagemma per valorizzare il bimbo (alimentando la sua autostima) è invitarlo a svolgere
piccole azioni a cui lui si può prestare senza rimostranze. ‘Mi passeresti quel piatto, per favore?’, ‘Ti va
di venire con me un attimo in cantina?’. “In questo modo, il bimbo scopre che è piacevole essere
obbedienti nelle piccole cose, che non è debolezza ma un bel momento nella relazione che l’adulto
riconosce”, spiega Rossi.
4. Una letterina del cuore o un piccolo oggetto sono efficaci per rafforzare ogni progresso
Quando il bimbo ha fatto un piccolo progresso, sottolinearlo non solo a parole, ma anche con un
bigliettino scritto è una strategia semplice ed efficace. “Anche un piccolo oggetto, per esempio, una
pallina magica, si può trasformare nel simbolo del cambiamento”, dice l’esperto.
5. L’azione educativa deve essere coerente nel tempo per ‘smorzare’ gli atteggiamenti oppositivi
I genitori dovrebbero ignorare gli atteggiamenti lievemente oppositivi del figlio e intervenire
solo verso quelli più forti. “Se l’adulto si irrigidisce per ogni cosa, alimenta il meccanismo della sfida”,
spiega Rossi. Per questo, è opportuno decidere quali comportamenti sono inaccettabili e cosa invece è
meno grave o tollerabile.
Quando le trasgressioni sono lievi, per esempio, l’esperto consiglia di usare l’ironia per “spegnere il
fuoco”. (‘Ah, c’è fango ovunque, ma oggi vuoi proprio far lavorare tanto la mamma!’).
Nei casi gravi, invece, è meglio mostrarsi dispiaciuti più che arrabbiati: “in questo modo, si attiva
l’empatia anche nel bimbo che prova lo stesso senso di dispiacere per l’adulto”, dice Rossi. Tuttavia,
anche un buon approccio non assicura risultati immediati e può essere faticoso (e talvolta frustrante)
per l’adulto. “In ogni caso, per modificare i comportamenti oppositivi ci vuole tempo, è indispensabile
che l’azione educativa diventi una prassi quotidiana coerente e consolidata”, conclude l’esperto.
L’ AP P R E N DIM EN TO COOP ER ATI VO
AL L E E SP E RIE NZE DI D AT TI C H E
PER
RI D AR E
SENSO
E
VI T AL I TÀ
La didattica trasmissiva fatica e trova sempre maggiori difficoltà nella quotidiana sfida di appassionare
e coinvolgere gli studenti. Una concreta alternativa pedagogica è l’Apprendimento Cooperativo, che
permette di far partecipare attivamente gruppi studenti nella costruzione sociale dell’apprendimento.
L’Apprendimento Cooperativo, o Cooperative Learning, è un metodo di insegnamento largamente
diffuso negli Stati Uniti, in Canada ed in Australia ma ancora poco diffuso nel panorama scolastico
italiano.
L’approccio del Cooperative Learning è utilizzabile con tutte le fasce d’età, dalla scuola d’infanzia
all’università e consiste nell’integrare o sostituire la tradizionale lezione frontale, con un gruppi di
cooperazione, in cui gli studenti partecipano e co-costruiscono l’apprendimento.
Il senso di una gestione cooperativa della classe permette di rivitalizzare sia i processi didattici che
quelli socio-educativi.
La sola didattica trasmissiva presenta infatti svariati problemi: difficoltà di attenzione, bassa
motivazione all’apprendimento e problemi comportamentali come risultante delle precedenti
problematiche, oltre alla complessa integrazione nel percorso formativo di studenti con DSA, disabilità
o bisogni educativi speciali.
L’Apprendimento Cooperativo permette di coinvolgere maggiormente gli studenti, che non sono più visti
come dei vasi da riempire ma piuttosto come delle fiaccole da accendere. Alla passività della didattica
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trasmissiva e verticale, si propone una didattica partecipativa e costruttivista, in cui gli studenti, non
solo ricevono l’apprendimento, ma lo possano elaborare, sviluppare e co-costruire collettivamente.
In termini didattici vi è, quindi, una partecipazione non solo maggiore in termini quantitativi ma anche
migliore dal punto di vista qualitativo.
La didattica tradizionale infatti coinvolge gli studenti solo dal punto di visto cognitivo, mentre con
l’Apprendimento Cooperativo si attivano e coinvolgono diverse intelligenze, come quella emotiva e
sociale.
Facciamo un esempio per capirci meglio: lezione di storia sulla Seconda Guerra Mondiale ed in
particolare su quanto accaduto agli ebrei. Con la didattica tradizionale l’insegnante si limita a
trasmettere informazioni che gli studenti devono saper ripetere e ricordare. Con la didattica
cooperativa si può integrare l’aspetto informativo, che può essere veicolato dall’insegnante o dallo
studio cooperativo nei gruppi, con un lavoro ulteriore sul piano emotivo e sociale. Dopo avere introdotto
gli aspetti storici della Seconda Guerra Mondiale, si può proporre alla classe un’attività cooperativa in
cui gli studenti, divisi in piccoli gruppi da quattro, provano a scrivere la storia o la pagina di diario di una
famiglia ebrea di quel periodo. Capite bene che un lavoro di questo tipo coinvolge gli studenti sia sul
piano emotivo, perché sono chiamati ad immedesimarsi in persone in carne ed ossa, che hanno vissuto
le atrocità del nazismo, ma anche sul piano sociale, perché il lavoro non è di tipo individuale ma è di
gruppo e va quindi sviluppato e co-costruito insieme.
Come vedete da questo semplice esempio, la didattica mediata dai gruppi cooperativi permette di
ricucire la distanza che spesso vi è tra i libri e la vita reale degli studenti. La famosa domanda “A cosa
mi serve studiare questo argomento” non può essere liquidata con risposte pedagogicamente fragili e
sguarnite come “Lo devi studiare perché è così”.
La didattica tradizionale e razionalista rischia infatti di perdere proprio il cuore dell’apprendimento, che
è il significato. Un apprendimento significativo è qualcosa che è in grado di allargare l’orizzonte
cognitivo e affettivo degli studenti, è un apprendimento ricco e potente che permette di sviluppare
l’intera persona.
Per facilitare un insegnamento che tragga forza dal significato di ciò che si vuole far apprendere, le
informazioni e le nozioni non bastano. Sono solo il punto di partenza di un percorso che non può
limitarsi all’immagazzinamento di dati e che deve procedere da questi per favorire la riflessione e la
crescita dei nostri ragazzi e studenti.
Con l’Apprendimento Cooperativo la classe, da insieme di singoli che apprendono individualmente,
diviene un laboratorio di ricerca e approfondimento, in cui la cultura viene manipolata nel senso
artigianale del termine. I gruppi di discussione, di problem solving, di ricerca, o di sviluppo, permettono
ai ragazzi di dare senso all’apprendimento, che diviene significativo perché coinvolge le loro risorse
cognitive, emotive, biografiche e sociali. Offrendo agli studenti delle esperienze cooperative di senso,
sarà possibile ricucire la distanza tra apprendimento scolastico e la vita reale e, forse, si sentirà meno
frequentemente la domanda “A cosa mi serve studiare tutto questo”.
Bibliografia
Rossi S. (2014),Tutti per uno e uno per tutti. Il potere formativo della collaborazione, La Meridiana, Bari.
C O O P E R AZ I O N E 2 . 0 E F L I P P E D L E AR N I N G
Cos’è l’insegnamento capovolto?
Il flipped learning, o insegnamento capovolto, è un metodo innovativo e rivoluzionario di insegnare.
Nato negli Stati Uniti si basa su un’idea semplice quanto potente: ribaltare la nostra le nostre lezioni.
Invece di spiegare in classe assegnando poi per casa esercizi di compito da svolgere individualmente
nella classe capovolta:
•
prima a casa = gli studenti guardano e studiano una video-lezione preparata dal docente e fruibile
su qualsiasi supporto digitale
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•
poi in classe = si esercitano insieme, in modo cooperativo e con la facilitazione dell’insegnante.
Perché capovolto e cooperativo insieme?
Il vero potenziale del flipped learning è l’apprendimento cooperativo, infatti se gli studenti hanno
già visionato a casa la lezione si liberano tempo e risorse per praticare in classe la cooperazione e la
didattica per competenze.
In questo modo si riesce a sintetizzare e connettere una didattica capovolta delle conoscenze (a casa e
in versione 2.0 e perfetta per i nostri nativi digitali) e una didattica cooperativa delle competenze (in
classe insieme all’insegnante).
PUNTI DI FORZA
• Esperienza di docente capovolto, sia in classe che nella formazione degli insegnanti
• Perfetto connubio tra apprendimento cooperativo e capovolto
• Dal libro del dr. Rossi “Classi e studenti difficili” in cui si trattano diversi modelli di innovazione
didattica, tra cui il flipped learning.
• Dal libro del dr. Rossi “Tutti per uno, uno per tutti” il cui focus è la cooperazione in classe.
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Nella didattica capovolta la lezione avviene PRIMA a casa, tramite video e approfondimenti dal testo
che scaldano i motori per il lavoro in classe; la vera rivoluzione però si gioca DOPO, in aula, dove
l’ambiente si trasforma in una COMUNITA’ DI APPRENDIMENTO in cui si impara insieme sviluppando
numerose competenze.
Nel Metodo Rossi la classe capovolta è a tutti gli effetti una classe cooperativa, in cui giorno dopo
giorno si intrecciano le conoscenze disciplinari con quelle competenze chiave che aiuteranno i nostri
studenti ad affrontare le sfide del nuovo millennio.
Due sono le stelle a cui guarda questo approccio: le competenze da un lato ma la semplicità dall’altro.
Per questo troverete nel testo un ricco SET di STRUMENTI per condurre con semplicità la classe
capovolta.
Il Metodo Rossi si basa infatti su un set di format cooperativi che attivano naturalmente le
competenze europee, dovrete semplicemente scegliere quello più adatto alla vostra lezione e il
capovolgimento è fatto.
Un testo per innovare la propria didattica…con semplicità e gradualità.
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101 storie che guariscono. L'uso di narrazioni in psicoterapia
George W. Burns
Editore: Erickson
Le storie possono giocare un ruolo importante nella terapia con bambini e adolescenti, perché li aiuta a
focalizzare meglio gli obiettivi e ad affrontare con serenità le difficoltà della vita. In alcuni casi,
addirittura, le favole risultano essere l'unico modo per far loro affrontare determinati temi di cui non
vogliono parlare direttamente. Questo volume fornisce suggerimenti su come utilizzare le favole e le
metafore nella terapia con ragazzi e bambini. L'autore si sofferma in particolare su come narrare in
modo efficace, cosa dire e come modulare la voce in modo da catturare i bambini e condurli nel viaggio
verso la guarigione.
George W. Burns
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Storie che guariscono. Per...
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AU T O R I CO O P E R AT I V I
Nella storia della pedagogia quasi tutti i più grandi pedagogisti hanno valorizzato il potere didattico,
educativo e socio-affettivo della cooperazione tra gli studenti.
Di seguito una rassegna degli “autori cooperativi” distinti in quattro categorie:
AUTORI DEL COOPERATIVE LEARNING
Il Cooperative Learing è stato ed è ancora attualmente oggetto di numerose ricerche condotte da
pedagogisti, psicologi dell’apprendimento e dell’educazione di tutto il mondo.
Per questo all’interno del costrutto generale si sono sviluppati diversi modelli applicativi, accomunati
però dagli elementi di base descritti in precedenza.
Nei corsi di formazione che propone il nostro centro promuoviamo invece un approccio integrato,
che tragga spunto dalle migliori tecniche di A.C. dei diversi modelli.
Breve descrizione dei “padri del cooperative learning“.
David e Robert Johnson possono essere considerati i padri del Cooperative Learning. Entrambi
docenti universitari presso l’Università del Minnesota hanno sviluppato un modello di A.C. denominato
“Learning Together”. I fratelli Johnson però non si sono limitati alla ricerca teorica ma hanno realizzato
numerose ricerche empiriche e meta-analisi, che hanno dimostrato la maggior efficacia della
cooperazione rispetto ai modelli di apprendimento tradizionali (lezione frontale / apprendimento
individuale).
Il loro lavoro è poi andato oltre la cooperazione in classe, elaborando un modello di scuola cooperativa
in cui la cooperazione non fosse solo tra studenti, ma anche tra docenti.
Elizabeth Cohen dell’Università di Stanford ha invece sviluppato un approccio cooperativo denominato
“Complex Instruction”. Questo tipo di apprendimento cooperativo si basa infatti su compiti
complessi/avanzati che richiedono l’utilizzo di diverse competenze e intelligenze. In questo modo ogni
membro del gruppo e della classe, non solo viene valorizzato per le proprie risorse, ma si risolve il
problema dello status sociale, per cui gli studenti bravi diventano sempre più bravi mentre gli altri
mantengono le proprie difficoltà. Grazie ai gruppi eterogenei e l’interdipendenza di ruoli si possono
valorizzare tutti gli studenti.
Yael e Shlomo Sharan dell’Università di Tel-Aviv hanno creato il modello cooperativo del “Group
Investigation”. La loro ricerca si è sviluppata costruendo un modello di apprendimento collaborativo che
sfrutti l’enorme potenziale della motivazione intrinseca. La gran parte degli studenti studia infatti per
dovere (motivazione estrinseca), questo però non è responsabilità dei soli allievi ma dei docenti. Per
questo Sharan ribalta l’impostazione della lezione: invece del modello tradizionale in cui è l’insegnante
che decide cosa spiegare, si parte dagli interessi degli studenti. Nel Group Investigation l’argomento
curriculare viene proposto alla classe, che elaborerà liberamente gli interrogativi più interessanti da
ricercare. Individuati gli interrogativi si formano i gruppi per interesse, in cui gli studenti coopereranno
per approfondire quella parte di argomento per loro più stimolante. In conclusione ogni gruppo
presenterà la propria ricerca alla classe, realizzando delle lezioni stimolanti e coinvolgenti.
Robert Slavin dell’Università Johns Hopkins ha analizzato invece il potere della motivazione
estrinseca. Il suo modello è lo “Student Team Learning” e prevede attività cooperative in piccoli gruppi
eterogenei. Le tecniche cooperative ideate da Slavin sfruttano infatti premi, valorizzazioni e
riconoscimenti individuali e di gruppo. Questa strategia dei rinforzi positivi nell’apprendimento consente
di motivare inizialmente anche gli studenti più difficili, il cui rapporto con la scuola è burrascoso e fonte
di disagio. I gruppi si basano sull’interdipendenza e sulla cooperazione tra studenti competenti e altri
con difficoltà. Nel gruppo ogni studente è responsabile di una parte del lavoro e se tutti faranno la loro
parte il team riceverà premi e riconoscimenti diversificati per età. In questo modo non solo gli studenti
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più bravi hanno successo, ma anche quelli a rischio possono sperimentare il piacere e la bellezza del
sentirsi competenti.
Spencer Kagan dell’Università della California ha sviluppato invece l’ “Approccio strutturale”, un
modello che si basa su specifiche strategie (strutture) che garantiscono, non solo la cooperazione tra
gli studenti, ma la responsabilità di ciascuno studente. Il merito di Kagan è aver divulgato numerose
strutture didattiche fruibili dagli insegnanti di qualunque disciplina e ordinamento scolastico.
I GIGANTI DELLA COOPERAZIONE
John Dewey (1859 – 1952)
“La scuola deve essere una palestra di democrazia”
Dewey è stato uno dei più grandi pedagogisti del ‘900 ed è riconosciuto come il padre dell’educazione
progressiva. A lui va anche il merito di aver teorizzato per la prima volta la pedagogia come una
scienza autonoma e sperimentale.
Nato a Baltimora nel Vermont si forma alla John Hopkins University, specializzatosi in studi psicologici,
pedagogici e filosofici.
Nel 1984 inizia ad insegnare all’Università di Chicago creando parallelamente nella stessa città la
Laboratory School, un progetto innovativo di scuola sperimentare che ospitava un centinaio di bambini
e ragazzi dai 4 ai 13 anni.
La Scuola Laboratorio di Chicago è stato uno dei primi e più riusciti esempi di scuola nuova, in cui è
stato utilizzato l’attivismo pedagogico e l’educazione progressiva.
Secondo questa concezione pedagogica il bambino e gli studenti in generale non devono essere dei
soggetti passivi, ma devono partecipare attivamente ai processi di apprendimento tramite esperienze
concrete di learning by doing.
Contrario ad una didattica meramente trasmissiva e lontana dalla vita, propone una didattica basata su
numerose attività pratiche, prediligendo in particolare l’apprendimento in piccoli gruppi collaborativi.
Le esperienze non vengono però imposte dall’alto, al contrario partono da quelli che Dewey chiama gli
impulsi naturali degli alunni. Questi sono raggruppabili in quattro categorie: l’istinto sociale, l’istinto
indagatore, l’istinto operativo del fare e l’istinto artistico.
L’apprendimento non va quindi imperniato sulle sole nozioni, ma anche sulle attitudini o quelle che la
ricerca pedagogica attuale definisce come competenze.
La Laboratory School è pensata e costruita come una grande laboratorio permanente, in cui con
esperienze diversificate si contribuisce a promuovere quello che è e dovrebbe essere il vero mandato
della scuola: la crescita dello studente e la sua educazione sociale.
Per Dewey la scuola deve essere soprattutto una palestra di democrazia, in cui non solo si trasmette
cultura ma la si costruisce socialmente e attivamente.
Gli studenti non subiscono passivamente le nozioni ma sono costantemente attivi: pensando insieme,
riflettendo, discutendo e svolgendo numerose attività di gruppo in cui apprendere concretamente valori
democratici quali la responsabilità, la solidarietà, il rispetto e la collaborazione.
La scuola non deve limitarsi a preparare alla vita ma dev’essere vita stessa, cioè un’esperienza sociale,
cooperativa ed attiva.
La pedagogia deweyana è inoltre una pedagogia puerocentrica, che a differenza dell’adultismo, non
vede il bambino come un adulto incompleto, ma come un soggetto proprio.
Per questo Dewey riprende gli studi di psicologia evolutiva di Hall stabilendo diverse attività
pedagogiche progressive da svolgere in ambito scolastico.
Il pensiero pedagogico, filosofico e sociale di Dewey è divenuto in breve famoso in tutto il mondo.
Ancora oggi è estremamente attuale e grazie ai recenti studi sull’Apprendimento Cooperativo può
finalmente trovare il giusto compimento.
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Célestin Freinet (1896 – 1966)
“Non separate la scuola dalla vita”
Nato e vissuto in Francia è stato, non solo il fautore della pedagogia popolare, ma può essere a buon
grado considerato uno dei più grandi pedagogisti cooperativi.
Fin dalle prime esperienze didattiche come maestro elementare ha introdotto la cooperazione nei
processi di insegnamento e apprendimento.
Tuttavia il suo approccio rivoluzionario ed innovativo trovò ostilità e opposizione nella scuola pubblica.
Convinto del potenziale didattico, educativo e sociale della cooperazione non si perse d’animo e nel
1934 apre una sua scuola Vence, in Francia.
Qui realizza il suo approccio pedagogico basato sulla cooperazione educativa degli studenti.
A differenza degli altri autori della scuola attiva, Freinet propone degli strumenti didattico/educativi
concreti e direttamente spendibili nel lavoro in classe.
Una prima grande innovazione è l’abolizione del libro di testo, considerato uno strumento di
apprendimento passivo, limitante e poco naturale.
Per questo lo sostituisce con uno degli strumenti per lui più importanti: la tipografia scolastica.
Invece di apprendere dal libro in modo artificiale e asettico i suoi studenti apprendono insieme,
svolgendo ricerche, facendo osservazioni sulla natura, utilizzando discussioni e altri stimoli da cui
partire per costruire direttamente il proprio giornalino scolastico.
Questo giornale viene co-costruire collettivamente e diviene il prodotto culturale realizzato dalla classe.
Grazie alla tipografia scolastica i ragazzi, non solo costruiscono socialmente l’apprendimento, ma
sviluppano in modo attivo e coinvolgente competenze quali leggere, scrivere, studiare, analizzare e
sintetizzare.
Il giornalino di classe diviene così uno strumento cooperativo flessibile e utilizzabile per tutte le
discipline, dalla storia alla geografia ma anche letteratura, scienze, così via.
Grazie alla corrispondenza interscolastica il giornale prodotto da una scuola viene condiviso con
altre, fornendo ulteriori stimoli e spunti per l’apprendimento.
Freinet rifiuta i programmi didattici tradizionali che non tengono presente i desideri di conoscenza
degli studenti e propone un metodo di apprendimento cooperativo coinvolgente e attivo che sfrutti gli
interessi e le motivazioni degli studenti.
L’utilizzo della cooperazione non ha però solo incredibili vantaggi nell’apprendimento ma diventa un
potente strumento educativo.
Collaborando insieme nella costruzione della conoscenza i ragazzi sperimentano concretamente e
quotidianamente valori come l’accoglienza, la solidarietà, il rispetto dell’altro.
Il tutto all’interno di un ambiente di apprendimento cooperativo piacevole in cui gli studenti stanno bene
e crescono insieme.
Jerome Bruner (1915)
“La mente crea la cultura, ma la cultura crea la mente”
Bruner è uno psicologo statunitense che ha dato un grande contributo alla psicologia cognitiva e alla
psicologia dell’educazione, con importanti ricadute anche in ambito pedagogico.
Fin da subito si dedica agli studi di psicologia sociale e cognitiva, partendo dal lavori di Piaget e
Vygotskij.
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Sviluppa negli anni il suo approccio di psicologia culturale, secondo cui la nostra impostazione
mentale viene formata dalla cultura in cui cresciamo.
Questo comporta che l’educazione e l’apprendimento scolastico debbano essere culturalmente
contestualizzati.
Dato il continuo mutamento del contesto socio-culurale in cui viviamo bisogna offrire agli studenti la
possibilità e gli strumenti per analizzare la realtà in cui vivono.
Per assolvere a questo compito culturale la scuola non può limitare alla sola trasmissione di
informazioni ma deve promuovere lo sviluppo dell’intelligenza.
Si passa così da una didattica nozionistica ad una didattica costruzionista, in cui gli studenti
costruiscono e attribuiscono significati a ciò che stanno apprendendo.
L’apprendimento va quindi co-costruito socialmente ed il modo migliore per farlo è utilizzare il lavoro in
piccoli gruppi cooperativi in cui i ragazzi pensano insieme, discutono, si confrontano e risolvono
problemi.
I vantaggi pedagogici sono innumerevoli.
Innanzitutto, l’apprendimento da superficiale e meccanico diventa significativo e coinvolgente, perché
gli studenti comprendo il senso di ciò che stanno apprendendo.
Bruner suggerisce anche di partire sempre dalle preconoscenze ed esperienze degli allievi, così che il
singolo apprendimento scolastico diventi ancora più motivante e stimolante.
Da un punto di vista educativo e culturale si va così ad arricchire ed implementare la mappa cognitiva
di bambini e ragazzi, che acquisiscono strumenti per comprendere la propria realtà.
Uno degli obiettivi della didattica è anche imparare ad imparare, una competenza fondamentale se si
considera i repentini mutamenti socio-culturale della nostra società.
Grazie a questa competenza culturale si potenzia quindi, non solo l’intelligenza, ma anche l’autostima.
Gli studi di Bruner hanno portato un contributo importante non solo alla pedagogia ma anche alla
psicologia cognitiva, sociale ed educativa.
Lev Semënovič Vygotskij (1896 – 1934)
“E’ dalla discussione che nasce il ragionamento”
E’ stato lo psicologo russo che ha maggiormente contribuito alla concezione storico-culturale dello
sviluppo cognitivo, gettando anche le prime basi scientifiche dell’Apprendimento Cooperativo.
Per Vygotskij lo sviluppo cognitivo del bambino non avviene in modo individuale, ma grazie
all’interazione sociale. L’apprendimento avviene in due fasi: la prima è tipo sociale e avviene
nell’interazioni con gli altri mentre la seconda è individuale. Per meglio spiegare la sua teoria elabora il
concetto di Zona di Sviluppo Prossimale, che chiama in causa proprio l’Apprendimento Cooperativo.
La Zona di Sviluppo Prossimale può essere definita come la distanza tra il livello attuale del bambino o
del ragazzo ed il suo livello di sviluppo potenziale. Il passaggio dallo stadio attuale a quello potenziale
può però avvenire solo grazie ad una interazione sociale, in particolare con soggetti (adulti o pari) che
abbiano un livello di competenza maggiore. In ambito didattico ed educativo bisogna quindi proporre
agli studenti dei compiti sfidanti leggermente più alti delle competenze possedute. In questo sono
spinti a spostarsi dallo stadio attuale al loro potenziale di sviluppo e crescita. Grazie all’aiuto
dell’adulto(scaffolding) lo studente è in grado di svolgere quel compito che individualmente non era in
grado di risolvere. Dopo questa interazione sociale (prima fase) sarà poi in grado di svolgerlo
autonomamente e individualmente (seconda fase). L’Apprendimento Cooperativo si presta quindi
perfettamente alla creazione di Zone multiple di Sviluppo Prossimale. I compagni che hanno un
diverso livello di apprendimento fungono così da preziosa risorsa cognitiva. L’utilizzo di ruoli
interdipendenti e con funzioni diversificate consente così un apprendimento migliore per tutti, perché gli
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studenti del gruppo si fanno da leva e scaffolding reciproco, muovendosi insieme dal proprio stadio
attuale a quello potenziale. Le competenze acquisite prima socialmente diventeranno
successivamente, patrimonio individuale del singolo studente, e come diceva Vygotskij: “Ciò che i
bambini sanno fare oggi insieme, domani sapranno farlo da soli”.
Paulo Freire (1921 – 1997)
“Nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme”
Freire è stato un pedagogista brasiliano divenuto famoso per il suo approccio: la pedagogia degli
oppressi.
La sua riflessione pedagogica ed il suo impegno quotidiano si è rivolto ai lavoratori e alle persone che
vivevano situazioni di disagio, marginalità e fragilità. Dopo aver lavorato alcuni anni come insegnante
nella scuola secondaria è stato poi nominato direttore del Dipartimento per l’Espansione Culturale
dell’Università di Recife. Grazie al suo approccio pedagogico trecento braccianti e lavoratori di canna
da zucchero riuscirono ad apprendere a leggere e a scrivere in 45 giorni. Il governo brasiliano, colpito
da questo risultato, attivò nel 1962 la creazione di migliaia di centri culturali finalizzati a combattere
l’analfabetismo del paese. Pochi anni dopo però un colpo di stato bloccò questo progetto su larga
scala e Freire fu costretto a fuggire dal Brasile. In questo periodo scrisse il suo libro più famoso “La
pedagogia degli oppressi”, che ottenne subito un positivo riscontro a livello internazionale.
Venne invitato ad insegnare in diverse università e partecipò come consulente a diversi progetti sociali
ed educativi, per ritornare in Brasile solo nel 1979, dove si unì al Partito dei Lavoratori. Qui continuò la
sua incessante opera di alfabetizzazione degli adulti, fino a diventare Segretario dell’Educazione per lo
stato di Sao Paolo. Nella sua pedagogia degli oppressi Freire ha sempre criticato fortemente quella
che chiama educazione bancaria in cui l’insegnante, l’educatore o il genitore deposita arbitrariamente
e dall’alto il proprio sapere nell’educando. A questa impostazione monolitica propone invece un
approccio di educazione nuova, in cui tramite il dialogo educatore ed educando crescono insieme.
In tutti gli ambiti quindi, scuola compresa, il processo educativo è visto come un processo di
apprendimento reciproco, in cui non solo lo studente apprende dall’insegnante, ma anche l’insegnante
stesso apprende dalla relazione educativa con i propri ragazzi. Per Freire quindi non può esserci
insegnamento senza apprendimento.
Per realizzare questo progetto pedagogico lo strumento elettivo ed imprescindibile è il dialogo. In
classe l’insegnante non si limita a depositare il proprio sapere ma stimola gli studenti a riflettere e
pensare insieme.
Si passa così dall’educazione depositaria, tipica delle impostazioni tradizionali, ad un’educazione
problematizzante, capace di coscientizzare e liberare le persone da tutte le forme di oppressione.
La pedagogia critica di Freire si oppone quindi all’idea di educazione quale valore assoluto, che
invece deve essere calato nelle specificità di ogni singolo contesto. La scuola e gli insegnanti devono
abbandonare l’approccio asettico di studio della realtà, favorendo un’analisi problematizzante, inter e
transdisciplinare capace di dialogare ed agganciarsi all’esperienza esistenziale degli studenti.
L’educazione non dev’essere quindi un processo di adeguamento passivo ma deve essere
un’esperienza di coscientizzazione che liberi e faccia crescere l’intera persona.
È in questo modo che la pedagogia degli oppressi si concretizza come una pedagogia dell’autonomia
e della speranza.
MAESTRI ITALIANI DELLA COOPERAZIONE
Mario Lodi (1922 – 2014)
“La
scuola
deve
essere
il
luogo
dove
si
entra
competitivi
e
dopo
aver
lavorato insieme si esce rispettosi degli altri e tolleranti”
Lodi è stato un maestro, scrittore e pedagogista Italiano che ha dedicato il suo lavoro ai bambini per
una scuola creativa e democratica.
Nato a Piadena (Cremona), viene incarcerato durante la Guerra per motivi politici e una volta liberato si
dedica ad attività culturali che testimoniano il suo impegno civile.
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Divenuto insegnante in una scuola elementare si rende ben presto conto dei limiti di un approccio
pedagogico meramente trasmissivo, aspetto che stona con il potenziale creativo insito in ogni bambino.
Nel 1950 inizia a collaborare con il Movimento di Cooperazione Educativa, un gruppo di insegnanti
molto attivi nel divulgare e diffondere nella scuola italiana l’approccio cooperativo del pedagogista
francese Célestine Freinet.
Trasferitosi nella scuola elementare di Vho di Piadena, suo paese natale, insegna per altri 22 anni
costruendo giorno dopo giorno una scuola sempre più cooperativa, in cui i bambini imparano insieme
svolgendo attività pratiche ed esperienziali che liberino la loro creatività.
Lodi ha documentato il proprio lavoro tramite diversi racconti realizzati anche insieme ai suoi bambini,
come l’ormai famoso Cipì, oltre a diversi scritti pedagogici.
Non si limita però al solo lavoro in classe e negli anni realizza numerose esperienze culturali, civiche e
pedagogiche.
Per citarne alcune:
– dirige il gruppo della Biblioteca di Lavoro, che pubblica diversi quaderni finalizzati a rendere la scuola
più attiva e cooperativa
-dirige la Scuola della Creatività, dove adulti e bambino avevano l’occasione di sperimentare diverse
tecniche creative
-fonda la Casa delle Arti e del Gioco, che prevede un laboratorio di sperimentazione di tutti i linguaggi
umani, un centro studi sulla cultura del bambino, oltre a pubblicare 67 libretti contenenti racconti che
educhino alla cooperazione, la felicità, il rispetto, l’ecologia e l’intercultura.
In virtù della qualità del proprio lavoro didattico ed educativo ottiene riconoscimenti nazionali e
internazionali.
Può essere considerato a buon titolo uno dei più importanti pedagogisti italiani, nonché profondo
conoscitore ed esponente del valore pedagogico della cooperazione in classe.
Don Lorenzo Milani (1923 – 1967)
“Se si perde gli ultimi la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i
sani e respinge i malati”
Nato a Firenze nel 1923 è stato un’insegnante, educatore e sacerdote divenuto famoso per il suo
progetto educativo: la Scuola di Barbiana.
A seguito di dissapori con la Curia di Firenze venne mandato nel Mugello, nel piccolo borgo di Barbiana
di Vicchio.
Qui fonda una scuola popolare basata sulla cooperazione e l’insegnamento reciproco.
Come diceva lui stesso, nella sua scuola non c’è era un insegnante, ma ben 23 maestri, perché esclusi
i pochi studenti più piccoli tutti gli altri diventavano insegnanti dei compagni.
L’esperienza di Barbiana è stata quindi un esempio potente e magico di apprendimento cooperativo,
sia nello spirito di lavoro, con il cartello I CARE appeso nell’aula, ma anche nei metodi didattici.
I bambini e i ragazzi di Don Milani imparavano insieme ed in modo attivo tramite attività collaborative:
discutevano gli argomenti dei quotidiani, si confrontavano sulle questioni etiche e morali, leggevano
insieme i classici della filosofia e scrivevano insieme dei testi collettivi.
A Barbiana non c’era l’intervallo e si faceva scuola fino a sera, sette giorni su sette. La scuola
appunto “si faceva”, concretamente e tramite esperienze attive e cooperative.
Grazie a questo approccio di didattica collaborativa La scuola di Barbiana ha permesso di portare
l’istruzione anche ai ragazzi semianalfabeti, dimenticati dalla scuola tradizionale.
Con i suoi studenti scrisse anche l’ormai celebre “Lettera ad una professoressa”, in cui criticava la
scuola italiana, rea di essere un ospedale che cura i sani e respinge i malati, ovvero gli studenti
provenienti da contesti fragili e socialmente difficili.
Don Milani morì prematuramente all’età di 44 anni a causa di un cancro, ma fino alla fine volle stare
accanto ai suoi ragazzi, così che come diceva, “Potessero imparare cos’è la morte”.
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Ancora oggi Barbiana rimane un esempio di scuola attiva, cooperativa ed inclusiva, che non solo ha
precorso molti studi scientifico-pedagogici, ma che può insegnare ancora molto ad insegnanti ed
educatori di oggi e di domani.
Gianni Rodari (1920 – 1980)
“La mente è una sola, la sua creatività va coltivata in tutte le direzioni”
Piemontese di nascita è stato un insegnante, giornalista e scrittore italiano divenuto famoso per la
sua pedagogia della fantasia e della creatività.
I suoi racconti per bambini e ragazzi sono diventati ormai dei classici. Tradotto in numerose lingue è
stato anche insignito del prestigioso Premio Andersen, il massimo riconoscimento internazionale nel
campo della letteratura infantile.
Per diversi anni ha collaborato anche con il gruppo di insegnanti del Movimento di Cooperazione
Educativa, tenendo conferenze e incontri nelle scuole italiane.
Il grande merito di Rodari, come riportato nel suo celebre testo “La Grammatica della fantasia”, è
stato riportare la creatività al centro dei processi didattici ed educativi.
In linea con l’Apprendimento Cooperativo ha sognato e lavorato per una scuola attiva in cui gli studenti
siano meno consumatori e più creativi e creatori.
Grazie ad un uso pedagogico intelligente e operativo la fantasia può infatti diventare un’incredibile
motore del e per l’apprendimento, capace di formare non solo futuri lavoratori ma uomini e donne
completi.
L’insegnamento di Rodari è ancora oggi quanto mai attuale e valido e ci ricorda che la creatività e la
fantasia non siano riconosciute solo come diritti dell’infanzia, ma anche come potenti e doverosi
strumenti pedagogici.
Loris Malaguzzi (1920 – 1994)
“I bambini costruiscono la propria intelligenza”
Malaguzzi è stato un pedagogista italiano che ha ideato il Reggio Emilia Approach, un metodo
pedagogico di valorizzazione delle intelligenze per la scuola dell’infanzia.
Il suo percorso d’innovazione pedagogica inizia nel 1945, collaborando con un gruppo di genitori che
volevano costruire e gestire una scuola per bambini nella periferia di Reggio Emilia.
Da questa scuola ne scaturirono poi altre, sempre autogestite, mentre Malaguzzi, specializzatosi come
psicologo scolastico, inizia a lavorare anche per il comune come consulente per l’infanzia.
A partire dagli anni 60 apre e inizia a gestire diverse scuole comunali dell’infanzia, a cui si aggiungono
nel 1971 anche gli asili nido.
Malaguzzi dirige così per molti anni una rete educativa di servizi in cui applica quello che verrà definito
come l’Approccio di Reggio Emilia.
Secondo il Reggio Emilia Approach i bambini non apprendono per ricezione, ma tramite dirette e
concrete esperienze di apprendimento attivo.
Celebre la sua frase per cui sono i bambini stessi a costruire la propria intelligenza. Compito dell’adulto
non è quindi istruire ma predisporre un ambiente di apprendimento funzionale.
Nelle scuole che utilizzano l’Approccio di Reggio Emilia i bambini vengono coinvolti fin nella scelta delle
attività da fare durante il giorno.
La scuola deve essere quindi un grande laboratorio dove non può mancare un atelier creativo, un
luogo gestito da un educatore specializzato in cui i bambini posso sperimentare ed esplorare
tramite attività espressive diversificate quelle che Malaguzzi chiama le 100 intelligenze.
Anche la cooperazione ha un ruolo importante, infatti i bambini sono incoraggiati a lavorare e
collaborare insieme nello svolgimento delle varie attività.
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La bontà del metodo Malaguzzi è stata certificata anche dalla rivista americana Newsweek, che nel
1991 nomina l’Asilo di Diana di Reggio Emilia come la più avanzata istituzione per la prima
infanzia al mondo.
Da quel momento insegnanti educatori e genitori provenienti da diverse nazioni si interessano
all’Approccio di Reggio Emilia, portando così il metodo di Malaguzzi fuori dai confini nazionali.
PRECURSORI COOPERATIVI
Andrew Bell (1753 – 1832)
Bell fu un pedagogo scozzese che nel ‘800 creò un approccio collaborativo di mutuo insegnamento
denominato Sistema di Madras.
Il nome fu preso dalla città Indiana di Madras in cui gli fu assegnata la gestione di un orfanotrofio.
Camminando sulla spiaggia vide per la prima volta alcuni ragazzini più grandi insegnare ai più piccoli
l’alfabeto, che lo scrivevano nella terra sotto la supervisione dei più grandi.
Ebbe così l’intuizione di sfruttare il mutuo insegnamento anche nel suo centro.
Creò un metodo didattico in cui gli studenti più grandi o più competenti insegnavano quanto appreso
agli altri. I risultati da lui riscontrati furono molto incoraggianti e rientrato in Inghilterra pubblicò un libro
che ispirò il lavoro di Joseph Lancaster.
Joseph Lancaster (1778 – 1838)
Pedagogo inglese che, ispirandosi al metodo di Bell, sviluppò un proprio modello di mutuo
insegnamento.
Lancaster doveva gestire una scuola in quartiere povero di Londra. A corto di insegnanti pensò di
trasformare questo problema in risorsa, sfruttando la cooperazione tra studenti.
Dovendo gestire classi numerose pensò di istruire gli studenti più brillanti per ogni disciplina. Ogni
studente competente e formato gestiva un piccolo gruppo di compagni, in cui avrebbe insegnato
quanto appreso dall’insegnante. Il metodo venne organizzato sapientemente bilanciando le
competenze degli studenti più dotati con la formazione di piccoli gruppi di allievi più piccoli, il tutto sotto
la sua regia e supervisione.
Sull’onda degli ottimi risultati ottenuti scrisse alcune pubblicazioni che contribuirono a diffondere il
mutuo insegnamento anche nelle scuole delle classi più agiate.
Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)
“La
rigenerazione
sociale
dipende
dall’educazione
del
cuore
prima
ancora che della mente”.
Pestalozzi è stato un educatore e pedagogista svizzero che ha avuto il merito di dare continuità e
nuove traiettorie al pensiero pedagogico di Rousseau.
Secondo Pestalozzi l’essere umano attraversa tre precisi stadi evolutivi:
Stadio naturale = in cui è in preda alla sua parte maligna ed istintuale
Stadio sociale = perché cerca, non sempre riuscendoci, un adattamento al contesto in cui vive
Stadio morale = dove grazie all’educazione apprende l’accoglienza, la solidarietà e la capacità di
stare con gli altri.
Differentemente da Rousseau non considera l’uomo buono di natura perché nello stadio iniziale è
egocentrico ed eccessivamente istintuale.
•
•
•
Solo grazie all’educazione è possibile quindi far evolvere bambini e ragazzi verso lo stadio sociale e
soprattutto morale.
In questo passaggio però Pestalozzi rivaluta l’educazione del cuore, che considera persino più
necessaria dell’educazione della mente.
In quel periodo molti bambini e ragazzini rimasero orfani a causa della guerra e molti correvano il
rischio di intraprendere strade pericolose e delinquenziali.
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Pestalozzi decise così di aprire e gestire diversi istituti e scuole in cui ricreò un ambiente famigliare
ed affettivo, capace di educare e istruire tutti questi ragazzi.
Dal punto di vista didattico utilizzò con successo il mutuo insegnamento in cui gli studenti più dotati
insegnavano agli altri. Come usava spesso dire “I fanciulli imparano volentieri dagli altri fanciulli”.
La sua convinzione era che l’insegnamento dovesse avvenire con meno parole e
più esperienza, perché solo tramite un approccio attivo bambini e ragazzi possono padroneggiare
davvero la conoscenza.
Oltre alle lezioni scolastiche c’era anche una vera e propria educazione al lavoro, i ragazzi
imparavano a lavorare nei campi mentre le ragazze a cucinare e a svolgere le attività domestiche.
Il modello pedagogico di scuola attiva, cooperativa ed integrale di Pestalozzi divenne a quell’epoca
molto famoso e attirò anche l’interesse di un giovane Froebel.
Roger Cousinet (1882 -1973)
“Perchè i fanciulli vivano felici col maestro occorre che lui sia felice di vivere
con i fanciulli”
Maestro francese e docente di psicologia e pedagogia all’ Università di Parigi ha sviluppato un
modalità’ di insegnamento basato sul lavoro in piccoli gruppi.
Dal 1920 al 1942 ha applicato e sperimentato il suo metodo cooperativo in diverse scuole francesi.
Come gli altri esponenti della scuola attiva critica fortemente la didattica tradizionale e frontale ritenuta
eccessivamente rigida, verbosa e poco stimolante.
Al contrario credeva fermamente nelle potenzialità della cooperazione dal punto didattico e educativo.
Il dispositivo del piccolo gruppo di apprendimento permette infatti di rispondere a due bisogni educativi
diversificati ed importanti: il bisogno sociale, che si esprime nella relazione con gli altri e il bisogno di
autonomia, che porta bambini e ragazzi a essere via via più indipendenti e sicuri.
La sua convinzione era che gli studenti (dopo i 9 anni) fossero in grado di organizzarsi autonomamente
per le attività che li sapevano interessare.
Nel suo apprendimento cooperativo gli studenti costituiscono spontaneamente piccoli gruppi di
lavoro.
Questi gruppi non sono fissi ma si ricompongono continuamente migliorando così anche la conoscenza
e le relazioni sociali tra gli studenti.
Il ruolo dell’insegnante cambia e si rinnova: non è più l’unico protagonista ma colui che costruisce
un ambiente di apprendimento in cui gli studenti imparano e studiano insieme.
Prima della lezione predispone diversi materiali che stimoleranno la ricerca e l’approfondimento nei
piccoli gruppi. Gli studenti scelgono tra le diverse proposte quella che più li incuriosisce ed
interessa. Ci lavorano poi insieme organizzandosi in modo autonomo. L’insegnante monitora il loro
operato e gli offre supporto dove necessario. I procedimenti svolti vengono annotati sul quaderno di
gruppo e una volta terminato ogni gruppetto scriverà alla lavagna i risultati del proprio lavoro, che
vengono revisionati insieme e condivisi con la classe.
Cousinet distingue due topologie di attività cooperative in due tipologie: i lavori di conoscenza che
riguardano lo studio in piccolo gruppo di tutte le discipline scolastiche e i lavori di creazione artigianale
e artistica.
Nelle attività creative gli studenti possono esprimersi sia individualmente che socialmente.
Anton Semenovyč Makarenko (1888 – 1939)
“Educare è sempre più facile che rieducare”
Makarenko è riconosciuto come il più importante educatore sovietico.
Si è dedicato in particolare alla rieducazione di ragazzi difficili, che avevano intrapreso carriere
devianti e delinquenziali.
Dopo le prime esperienze come maestro ha diretto e lavorato in diversi centri rieducativi sovietici.
Gestisce per diverso tempo la Comune Derginskij in cui la giornata dei ragazzi era distribuita tra
studio, lavoro in fabbrica, oltre ad attività sportive e cooperative.
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La comune era gestita secondo un approccio di autogestione che prevedeva anche un consiglio dei
comandanti, composta dagli allievi migliori.
Makarendo utilizza un approccio educativo di tipo collettivistico: i ragazzi dovevano affrontare delle
mete precise, delle vere e proprie sfide, che potevano superare solo tramite una collaborazione
solidale e condivisa.
L’obiettivo del suo approccio collettivistico era sradicare i comportamenti individuali devianti, così che
le attività di gruppo fungessero da palestra morale e sociale per tutti i ragazzi.
Queste esperienze contribuivano a creare giorno dopo giorno anche un comune senso di appartenenza
e solidarietà.
La sua metodologia di lavoro va contestualizzata all’interno del sistema socialista sovietico, tuttavia è
stato un esempio concreto dell’efficacia della cooperazione anche nella rieducazione di ragazzi devianti
e difficili.
Adolphe Ferrière (1879 – 1960)
“L’apprendimento si costruisce attorno agli interessi degli studenti”
E’ stato un pedagogista francese che ha contribuito in modo significativo alla diffusione in tutto il mondo
dell’attivismo
pedagogico.
Nel 1899 fonda a Ginevra l’Ufficio Internazionale delle Scuole Nuove e insieme ad altri studiosi nel
1921 crea a Calais la Lega Internazionale delle Scuole Nuove poi divenuta l’Ufficio Internazionale
dell’Educazione, che è ancora oggi l’istituto pedagogico più importante d’Europa.
Il suo pensiero pedagogico trae spunto da diversi grandi pedagogisti quali Rousseua, Dewey e Bergson
e ritiene che l’apprendimento debba avvenire tramite esperienze che muovano dagli interessi di
bambini e ragazzi.
Nella pedagogia di Ferrière questi interessi sono classificati e diversificati in base all’età:
• Fascia 0 – 3 anni =◊ interessi sensoriali
• Fascia 4 – 6 anni = ◊interessi sparsi legati al gioco
• Fascia 7 – 9 anni = ◊interessi immediati che si esprimono tramite la curiosità
• Fascia 10 – 12 anni =◊ interessi speciali concreti approfonditi con lo studio
• Fascia 13 – 15 anni =◊ interessi astratti semplici da cui parte l’insegnamento tradizionale
• Fascia 16 – 18 anni =◊ interessi astratti complessi legati allo studio delle discipline teoriche più
avanzate.
In virtù di questi interessi gli studenti svolgono diverse attività di lavoro intellettuale e manuale.
La giornata comprende attività di studio, attività di socializzazione oltre ad esperienze di falegnameria,
allevamento, giardinaggio, ceramica e tessitura.
Da un punto di vista didattico l’apprendimento avviene tramite l’analisi di fonti che vengono rielaborate
individualmente e cooperativamente. Ogni giorno la classe compila il proprio quaderno della vita in cui
si annoteranno le riflessioni e gli apprendimenti legati alla lezione-discussione collettiva.
Le attività cooperative sono altrettanto importanti perché consentono di educare socialmente bambini
e ragazzi, promuovendo una crescita morale ma anche civica.
Tra le diverse tecniche utilizzate utilizza anche esperienze di autogoverno che promuovono la
responsabilità individuale e sociale degli studenti.
William Heard Kilpatrick (1871 – 1965)
“Non dimenticate che la scuola è il prolungamento della famiglia”
Kilpatrick fu il più brillante allievo di John Dewey e ideò una metodologia di apprendimento per
progetti.
L’incontro tra i due avvenne alla Columbia University dove il giovane Kilpatrick frequentava tutti i corsi
del padre dell’educazione progressiva.
Terminata la formazione universitaria presso il Teachers College inizia a collaborare attivamente con
Dewey.
Nel 1918 idea il suo metodo dei progetti, che ha finalità non solo didattiche ma anche sociali.
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Secondo Kilpatrick l’avvento dell’industrialismo ha indebolito fortemente il ruolo educativo della famiglia,
di conseguenza la scuola ha l’obbligo pedagogico di sopperire a questa carenza proponendo anche
un’educazione affettiva e sociale.
Nel suo metodo di insegnamento gli studenti devono essere i protagonisti attivi e dovranno apprendere
in piccoli gruppi.
La classe lavora via via a diversi piani di ricerca che vengono sviluppati in progetti minori correlati.
Nel metodo per progetti le singole discipline sono collegate ad un argomento comune attorno al
quale si svolge un’attività unitaria (oggi si parlerebbe di Unità di Apprendimento interdisciplinari).
L’argomento dell’attività unitaria viene poi sviluppato tramite quattro tipologie di progetti: progetti di
produzione, progetti di consumo, progetti del problema e progetti di addestramento.
L’intera classe lavora in piccolo gruppi di apprendimento omogenei per capacità.
In questo modo anche se tutta la classe collabora allo stesso progetto, è possibile individualizzare
l’apprendimento differenziandolo in base alle diverse risorse degli studenti.
Kilpatrick ha svolto tutta la sua carriera presso il Teachers College della Columbia e venne anche
soprannominato Million Dollar Professor, perché le sue lezioni attive attiravano all’università numerose
iscrizioni.
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Margot Sunderland
È direttrice dell’Institute for Arts in Therapy and Education di Londra. Insegnante e psicoterapeuta, lavora come
operatrice e consulente nel campo dello sviluppo personale e dell’educazione affettiva. Per le Edizioni Erickson ha
pubblicato Disegnare le emozioni (1997), Raccontare storie aiuta i bambini (2004), Aiutare i bambini... che hanno
paura (2004), Aiutare i bambini... a seguire sogni e speranze (2004), Aiutare i bambini... a superare ansie o ossessioni
(2005), Aiutare i bambini... che fanno i bulli (2005).
IL DIRIGENTE SCOLASTICO
Filippo Quitadamo
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