Il metodo del dubbio e conclusioni derivanti

IL METODO DEL DUBBIO
E
CONCLUSIONI DERIVANTI
IN RENÉ DESCARTES
A cura di Barbara Bianchi
Introduzione
Il Discorso sul Metodo è la prima opera di Renato Cartesio, viene pubblicata per la prima volta a
Leida nel 1637 senza il nome dell’autore.
Egli vi approdava dopo una ricerca ventennale in cui si era dedicato a ricerche di fisica, algebra,
metafisica, studi sull’ottica, sulla meteorologia e geometria, grazie anche alle esperienze acquisite
nei nove anni di viaggi all’estero e di esercizi sul metodo.
La prima edizione del 1637 figurava come una prefazione ai tre Saggi di argomento scientifico
Dioptrique, Metéores e Géometrie.
Invece nell’edizione dell’opera cartesiana curata da Victor Cousin tra il 1824 e il 1826 i tre Saggi
sono staccati dalla loro Prefazione, considerata come un testo di filosofia.
Il Discorso è chiamato ormai a introdurre le Meditazioni metafisiche che manifestano
l’applicazione del metodo cartesiano e in particolare, della regola dell’evidenza.
A Cousin si può riconoscere il merito di aver portato alla luce il primato del Discorso come
manifesto del Cartesianesimo e come testo inaugurale della filosofia moderna.
Infatti evidenzia le due conquiste essenziali del Cartesianesimo, quali la liberazione della
ragione umana, rappresentata dalla regola dell’evidenza e il metodo applicato alla metafisica, al
quale si riferisce anche il carattere proprio della filosofia moderna.
L’opera viene scritta in francese perché secondo Cartesio la scelta della lingua volgare, in questo
caso il francese, anziché il latino è dovuta alla sua volontà di essere meglio compreso da tutti
coloro che non hanno pregiudizi e si impegnano ad usare l’ingegno e la ragione prima di
esprimere le loro opinioni.
Il metodo del dubbio
Cartesio nel Discorso sul Metodo esprime il principio fondante della sua filosofia, da lui espresso
nella decisione di ricercare l’indubitabile e di rifiutare come assolutamente falso tutto ciò che può
essere intaccato dal minimo dubbio.
Il suo procedimento consiste nell’esaminare tutte le opinioni per ordine e riprendere solo quelle
che può riconoscere come indubitabili e vere, così da ottenere uno svuotamento delle proprie
opinioni attraverso l’esercizio del dubbio.
Sottolinea che il suo progetto non è quello di insegnare il metodo che ciascuno deve seguire per
guidare rettamente la ragione, ma solo di mostrare in quale modo ha guidato la sua.
Vale a dire nell’applicazione del dubbio sistematico che ritroveremo in forma più radicale nelle
sue Meditazioni metafisiche in cui afferma di voler rifiutare come «assolutamente falso»1 tutto ciò che
comportava il minimo dubbio, le opinioni derivate dai sensi e attraverso di essi.
Sarà sufficiente che una sola opinione sia intaccata dal minimo dubbio per respingere l’intera
serie, così da respingere anche il verosimile come falso.
Il suo fine è quello di mettere in dubbio l’insieme delle certezze acquisite per giungere alla vera
conoscenza delle cose, attraverso il solo utilizzo della ragione, dell’ingegno, procedendo molto
lentamente e con circospezione, evitando così di cadere nell’errore.
Arriva così a definire la prima regola, il primo requisito del metodo, vale a dire la risoluzione di
non accogliere come vera nessuna conoscenza che non sia evidente.
Per questo la filosofia di Cartesio è stata definita “filosofia dell’evidenza”.
Questa regola mette in evidenza lo sforzo della mente, attenta all’intuizione del presente, ad
opporsi a giudizi affrettati, a dare assenso prima dell’evidenza, alla prevenzione, o persistenza di
giudizi irriflessi e oscuri per far sì che nei giudizi non vi sia più niente che non sia chiaro e distinto,
quindi asserisce che «le cose che noi concepiamo in modo chiaro e molto distinto sono tutte vere»2.
1
2
R. CARTESIO, Discorso sul Metodo, Milano, Rizzoli, 2010, p. 77.
Ivi, p. 83.
Soltanto se non si incorre in questi inconvenienti o errori non verrà intaccata la capacità di saper
distinguere il vero dal falso e di avere così una percezione chiara e distinta.
Così procedendo, decide di dedicarsi solo alla ricerca della verità, rigettando come
assolutamente falso tutto ciò di cui poteva avanzare il minimo dubbio, al fine di trovare tra le sue
convinzioni qualcosa di interamente indubitabile, da essere preso come fondamento.
Rigettando tutte le sue opinioni precedenti come false inizia a volgere l’assenso in direzione
contraria, negando invece di affermare, falsifica così tutte le credenze spontanee, non solo nella
verità dei sensi, ma anche nelle dimostrazioni matematiche, oltre alla confusione tra i pensieri della
veglia e del sogno.
Giunge così all’affermazione della prima verità indubitabile nel Discorso, della prima certezza
metafisica, rappresentata nella formula diventata canonica del cogito ergo sum, penso dunque sono,
esisto, la quale è necessariamente vera perché fa parte di quelle nozioni che non rientrano nel
dubbio, poiché per pensare è necessario esistere. Questa formula può essere identificata come il
primo principio della sua filosofia, l’identificazione del soggetto con una sostanza la cui essenza è
il pensiero ed è indipendente dalle cose materiali.
Dal cogito poi Cartesio ricava la sostanzialità dell’anima «la cui essenza consiste solo nel
pensare»3, di qui poi la sua conclusione che l’anima deve essere di conseguenza interamente
distinta dal corpo.
Poi, constatando che il fatto stesso di dubitare dimostrava che il suo essere non era del tutto
perfetto, poiché il conoscere comporta una perfezione maggiore del dubitare, arriva alla
conclusione che deve esistere qualcosa di più perfetto di lui, dal quale lui stesso deriva e dipende,
che avesse in sé tutte le perfezioni di cui lui è manchevole.
Questa convinzione è sorretta dal ragionamento per assurdo, che se lui fosse stato solo e
indipendente avrebbe avuto tutte le perfezioni che gli sono mancanti e non avrebbe avuto il
dubbio che è anch’esso dovuto ad un’imperfezione, giunge così alla dimostrazione dell’esistenza
di Dio a partire dall’idea «di un essere più perfetto del mio»4, dimostrazione che l’esistenza può
derivare necessariamente dall’idea di un Essere perfetto.
Infatti afferma «Ora, se io fossi indipendente da ogni altro, e se fossi io stesso l’autore del mio
essere, certo non dubiterei di nessuna cosa, non concepirei più desideri, ed infine non mi
mancherebbe nessuna perfezione; perché mi sarei dato io stesso tutte quelle di cui ho in me
qualche idea, e così sarei Dio.»5
Da qui giunge alla conclusione che la natura di Dio non può essere composta, non può avere sia
la natura corporea che quella spirituale perché ciò comporterebbe dipendenza e quindi
imperfezione.
Quindi la Sua natura dovrà essere unicamente spirituale e intelligente essendo Lui dotato di
ogni perfezione e creatore di tutte le cose esistenti.
La difficoltà di molti, sostiene Cartesio nell’ammettere l’esistenza di Dio e della loro stessa
anima è dovuta dal non saper elevare la mente al di là delle cose sensibili e immaginabili.
Per rafforzare la sua tesi ricorre all’esempio del sogno.
Non tutto ciò che ci viene in mente nel sogno deve essere assolutamente falso, anzi se qualche
matematico durante il sonno perviene ad una qualche dimostrazione, il sogno non potrebbe
impedire ad essa di essere vera, quindi il sogno di per sé non è fonte di errore.
Allo stesso tempo anche da svegli possiamo venire ingannati dai sensi, infatti gli astri ci
appaiono molto più piccoli di quanto siano in realtà, quindi le percezioni della veglia non sono
garanzia di verità.
Pertanto sia nel sogno che nella veglia, conclude, dobbiamo affidarci solo all’evidenza e al
nostro ingegno, non certo all’immaginazione o ai nostri sensi e anzi piuttosto a riuscire ad elevare
la mente al di là delle cose sensibili.
R. CARTESIO, Discorso sul Metodo, cit., p. 81.
Ivi, pp. 84-85.
5 ID., Meditazioni metafisiche, Obbiezioni e risposte, 9, Ed. Roma, Bari, GLF Editori Laterza, 2002, p. 45.
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Anche se ammette che non essendo veri tutti i nostri pensieri è più probabile che quelli veri ci
giungano da svegli piuttosto che in sonno.
Con questo ordine egli ricava «i principi o cause prime»6 cioè le verità metafisiche invertendo il
procedimento e risalendo così dagli effetti alle cause, attraverso un ragionamento razionale, a
priori, che verrà approfondita meglio nelle sue Meditazioni metafisiche, con le obbiezioni e risposte
la cui stesura in latino viene ultimata nel ‘40.
Dubbio: Dio ingannatore o genio maligno
Nelle sei Meditazioni chiarisce meglio e amplia il discorso sui problemi metafisici e in particolare
affronta la questione del Dio ingannatore e del genio maligno.
Infatti mette in dubbio la possibilità stessa della ragione di raggiungere la verità per l’ipotesi di
un inganno da parte di Dio, onnipotente e quindi anche capace di creare una falsa certezza
nell’intelletto umano, conducendolo all’assenso anche di fronte a un’opinione falsa.
Forse un qualche Dio aveva potuto darmi una natura tale che m’ingannassi anche sulle cose, che mi
sembrano le più manifeste.
Ma tutte le volte che questa opinione, di sopra concepita, della sovrana potenza di un Dio, si presenta al
mio pensiero, io sono costretto a confessare che gli è facile, se lo vuole, di fare in guisa che io m’inganni
anche sulle cose che credo di conoscere con una evidenza grandissima. 7
Il caso dell’inganno prodotto dai sensi viene attribuito a Dio o a un’illusione da parte del
demonio o genio maligno.
Il dubbio di Cartesio deriva dalla possibilità da lui evidenziata di un soggetto responsabile degli
errori fallaci dei sensi e del sonno-veglia, quindi in grado di produrre in noi rappresentazioni
erronee della realtà tali da indurci all’inganno.
Queste illusioni dell’intelletto vengono attribuite all’azione di un Dio ingannatore o del
demonio.
In questo modo arriva a mettere in discussione anche l’evidenza attuale delle rappresentazioni
relative alla realtà materiale.
Pone così il problema di differenziare le due figure e la loro forza ingannatrice, arrivando alla
conclusione che tanto la figura del Dio ingannatore e tanto la figura del genio maligno, sono
considerati esseri superiori all’uomo e dotati di poteri tali da mettere in crisi l’intelletto umano.
Essi possono sostituire all’universo reale un universo truccato, o addirittura, nel caso di Dio, far
vacillare lo stesso universo della realtà intelligibile.
Ricorre a queste due figure metafisiche o artifici metodologici per indurre l’ipotesi della
limitatezza dell’intelletto umano e quindi della propensione all’errore, inducendo così il dubbio su
ogni conoscenza umana.
Affermando così che è possibile l’ipotesi che Dio essendo onnipotente, possa creare una
proposizione falsa, immetterla nell’intelletto umano e provocare l’assenso, così da condurlo
all’errore, così Cartesio rende legittimo il dubbio su ogni conoscenza umana.
Ancora si ribella a quest’ipotesi dicendo:
Poiché, in primo luogo, io riconosco che è impossibile che Dio m’inganni mai, ché in ogni frode ed
inganno si trova qualche specie d’imperfezione. E sebbene sembri che poter ingannare sia segno di
sottigliezza, o di potenza, tuttavia voler ingannare testimonia, senza dubbio, debolezza o malattia. E
pertanto, ciò non può trovarsi in Dio.8
R. CARTESIO, Discorso sul Metodo, cit., p.155.
ID., Meditazioni metafisiche, Obbiezioni e risposte, cit., p. 34.
8 Ivi, pp. 50-51.
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Ma poiché Dio è causa prima, afferma Cartesio (nelle risposte alle Obbiezioni), essendo dotato di
bontà infinita, è Dio stesso a fondare la legge morale, quindi la nozione stessa del bene e del male,
per cui tutto ciò che fa non può essere male.
Quindi non si tratta di malvagità né di ingiustizia ma del volere di Dio e tutto ciò che Dio vuole
è buono e giusto.
«Sul piano etico si tratta del rapporto tra Dio e la legge morale: da questo secondo punto di
vista, poiché non vi è un ordine morale anteriore o superiore a Dio, ma è Dio che fonda la legge
morale, non può dirsi che Dio vuole il bene in quanto bene, ma che il bene è tale perché Dio lo
vuole.»9
Poi afferma di seguito che non è Dio che ci inganna ma è l’uomo stesso che è condotto all’errore
dagli inganni dei sensi, azione che può essere esercitata dal demonio.
Se l’intelletto umano giudica presente un oggetto che presente non è, ciò non significa che Dio inganni,
perché in lui non vi è voluntas fallendi e l’errore è solo da attribuire all’imprudenza dell’uomo che ha troppo
precipitosamente giudicato.
È l’azione del demonio che agisce in modi diversi, non creatori, sui sensi dell’uomo. 10
Afferma che il demonio potrebbe nasconderci gli oggetti sensibili o modificarli, come nei malati
di mente e nei sogni.
Poi però si contraddice ancora insistendo sulla possibilità che Dio può tutto e quindi può anche
ingannare, immettendo direttamente nella mente umana opinioni fallaci, come Cartesio dirà nelle
risposte alle Obiezioni, (vedi paragrafo successivo).
Resta così fermo nella sua indeterminazione perché fermo sulla sua convinzione dell’assoluta
potenza e dell’onnipotenza di Dio e della negazione di un ordine necessario.
Resta così indiscusso il problema se l’inganno è provocato nell’uomo per volere di Dio o per
l’azione del genio maligno.
Cartesio e il suo rapporto con lo scetticismo
Partendo dagli stessi presupposti del pirronismo scettico, del dubitare di ogni conoscenza
prodotta dai sensi e dalla ragione umana, Cartesio nel Discorso sul metodo approda invece al
fondamento della conoscenza umana.
Nelle Meditazioni metafisiche il livello di dubbio raggiunge picchi molto più elevati di qualsiasi
scettico.
Infatti egli, non solo dubita della conoscenza sensibile, delle esperienze del sogno, ma arriva
anche ad introdurre l’ipotesi del demone capace di distorcere ogni nostra forma di conoscenza, ma
anche la nostra facoltà stessa di ragionare.
In tal modo, procedendo per negazione, arriva a dubitare della conoscenza umana, anche delle
certezze matematiche incontrovertibili perché potrebbero apparirci evidenti solo grazie all’inganno
del demone.
Ma quando io consideravo qualche cosa di assai semplice e facile riguardante l’aritmetica e la geometria,
per esempio che due e tre, sommati assieme, producono il numero cinque, ed altre cose simili, non le
concepivo io almeno abbastanza chiaramente per asserire che erano vere? Certo, se ho poi giudicato che si
poteva dubitare di queste cose, non è stato per altra ragione, se non perché mi veniva in mente che, forse, un
qualche Dio aveva potuto darmi una natura tale che m’ingannassi anche sulle cose, che mi sembrano le più
manifeste.11
T. GREGORY, Mundana sapientia: forme di conoscenza nella cultura medievale, Roma, Edizioni di storia e letteratura,
1992, p. 424.
10 Ivi, pp. 416-417.
11 R. CARTESIO, Meditazioni metafisiche, Obbiezioni e risposte, cit., p. 34.
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Così inserisce anche la possibilità che un Dio ingannatore o un demone maligno possano
rendere fallace la nostra conoscenza anche delle cose evidenti.
Egli è convinto che per sconfiggere gli scettici deve arrivare a portare all’estremo il loro
ragionamento in modo da incanalarli nel livello successivo, quello di scoprire se esiste una verità
esente da ogni dubbio.
A differenza degli scettici, il dubbio di Cartesio, non mira ad una sospensione del giudizio, ma a
farci approdare ad una certezza assoluta, ad una verità inoppugnabile.
Trasformando il dubbio scettico nella negazione completa di qualsiasi forma di conoscenza,
raggiunge il suo obiettivo di arrivare ad affermare la realtà del cogito ergo sum, una verità cui
nessun dubbio scettico avrebbe mai potuto negare.
Gli scettici a differenza di Cartesio, dubitano solo per dubitare, sospendendo il loro giudizio e
non arrivando mai a nessuna conclusione, invece Cartesio, servendosi del metodo del dubbio e del
procedimento per negazione arriva a raggiungere l’unica certezza assoluta, che è l’esistenza, di qui
tutte le altre verità metafisiche.
Così demolisce la tesi scettica dell’incertezza della realtà.
In questo sviluppo, arriva anche alla dimostrazione dell’esistenza di Dio.
Né si può dire che, forse, quest’idea di Dio è materialmente falsa, e che, per conseguenza, io la posso
trarre dal niente, e cioè che essa può trovarsi in me perché a me manca qualcosa, come sopra ho detto delle
idee del caldo e del freddo, e d’altre cose simili: perché, al contrario, essendo quest’idea assai chiara e
distinta, e contenendo in sé più verità oggettiva di ogni altra, non ce n’è nessuna che di per sé sia più vera, né
che possa essere meno sospettata d’errore e di falsità.12
E ancora prosegue:
Mentre dal solo fatto che io non posso concepire Dio senza esistenza, segue che l’esistenza è inseparabile
da lui, e, pertanto, che egli esiste veramente.
Poiché non è in mio arbitrio concepire un Dio senza esistenza (cioè un essere sovranamente perfetto senza
sovrana perfezione.)
E non si deve dire, qui, che è necessario che io riconosca che Dio esiste, sol perché avevo supposto in
precedenza che egli possedesse ogni perfezione, e tale è l’esistenza. 13
Da qui poi arriva a sostenere che Dio è fondamento ultimo e quindi garanzia di certezza.
12
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R. CARTESIO, Meditazioni metafisiche, Obbiezioni e risposte, cit., p. 43.
Ivi, p. 62.
Bibliografia
R. CARTESIO, Discorso sul Metodo, Milano, Rizzoli, 2010.
ID., Meditazioni metafisiche, Obbiezioni e risposte, 9, Ed. Roma, Bari, GLF Editori Laterza, 2002.
T. GREGORY, Mundana sapientia: forme di conoscenza nella cultura medievale, Roma, Edizioni di
storia e letteratura, 1992.
R. H. POPKIN, La storia dello scetticismo: da Erasmo a Spinoza. Introduzione di Simona Morini,
traduzione dall’inglese di Rodolfo Rini, Milano, Anabasi, 1995.