Consiglio Sanitario Regionale Regione Toscana

Consiglio Sanitario Regionale
Regione Toscana
LINEE GUIDA PER LA DIAGNOSI E CURA
DELLA EPILESSIA
Coordinatore: L. Gabbani
Membri: A. Amadori, F. Ammannati, P. Balestri, M.R. Bardini, N. Battistini, A. Bianchi, A.
Bonelli, P. Bonanni, P. Brovedani, D. Buti, R. Campostrini, G. Cardamone, G. Carriero, N. Di
Lorenzo, A. Filippini, C. Fonda, C. Francois, R. Galli, P. Gallina, A. Gaudenzi, G. Graziani, M.
Guarnieri, A. Mariottini, E. Mazzeschi, L. Murri, G.C. Muscas, M. Paganini, P. Palumbo, B. Pucci,
A. Pupi, R. Rocchi, G.P Vatti, G. Zaccara, E. Zammarchi.
Indirizzo per la corrispondenza:
Data definitiva di stesura: Marzo 2003
1
Indice Analitico
I. Metodologia
7
1. Peso
8
2. Livelli di prova e forza delle raccomandazioni
9
3. Sintesi e raccomandazioni
9
II. Definizioni e alcuni dati epidemiologici
10
1. Crisi epilettica
10
2. Epilessia
12
3. Classificazione
14
4. Incidenza
15
5. Prevalenza
15
6. Eziologia
16
7. Prognosi
17
8. Mortalità
17
9. Costi
18
10. Sintesi e raccomandazioni
18
III. Diagnosi di epilessia
20
1. Si tratta di epilessia?
20
2. Definire il tipo di crisi ed i fattori precipitanti
20
3. Definire il tipo di sindrome e l’eziologia
21
4. Sintesi e raccomandazioni
23
IV. Esplorazioni neurofisiologiche
25
1. Elettroencefalogramma (EEG)
25
2. Strumentazione e materiali
27
3. EEG in età pediatrica
27
a. Pretermine
27
b. Neonati e bambini
28
4. Metodiche di registrazione
28
5. Monitoraggio EEG e video-EEG
29
6. EEG digitale e “jerk back averaging”
30
7. Potenziali evocati
31
8. Stimolazione magnetica transcranica
31
9. Magnetoelettroencefalografia
31
10. Referto EEG
32
2
11. Sintesi e raccomandazioni
V. Immagini cerebrali
32
35
1. Metodiche morfologiche
35
2. Metodiche funzionali
38
3. Sintesi e raccomandazioni
38
VI. Indagini di laboratorio e genetica
40
1. Indagini di laboratorio
40
2. Indagini cromosomiche e genetiche
41
3. Sintesi e raccomandazioni
42
VII. Neuropsicologia
45
1. Valutazione del livello cognitivo globale
45
2. Valutazione di idoneità a compiti specifici
45
3. Valutazione di disturbi soggettivi di rilevanza clinica
46
4. Valutazione delle competenze cognitive lobari
46
5. Valutazione neuropsicologica in età evolutiva
47
6. Sintesi e raccomandazioni
48
VIII. Terapia farmacologia
50
1. Quando iniziare una terapia antiepilettica
50
2. Probabilità di ricorrenza dopo una prima crisi
50
3. Primo farmaco da utilizzare nelle crisi parziali e tonico-cloniche
(sindromi epilettiche focali sintomatiche)
50
4. Epilessie focali benigne dell’età evolutiva (sindromi epilettiche
focali idiopatiche)
52
5. Primo farmaco da utilizzare nelle crisi generalizzate
(sindromi epilettiche generalizzate idiopatiche)
53
6. Epilessie generalizzate sintomatiche
53
7. Crisi non classificabili
55
8. Cosa fare se il primo farmaco è inefficace
55
9. Monitoraggio plasmatici dei farmaci antiepilettici
57
10. Interruzione della terapia
58
11. Sintesi e raccomandazioni
59
IX. Altre opzioni farmacologiche e terapie alternative
68
1. Stimolazione vagale
68
2. Dieta chetogena
69
3. Farmaci immunomodulanti e plasmaferesi
69
3
4. Calcio antagonisti
70
5. Acetazolamide
70
6. Stimolazione magnetica transcranica
70
7. Yoga
71
8. Trattamenti psicologici
7
9. Marijuana
71
10. Sintesi e raccomandazioni
71
X. Chirurgia delle epilessie
74
1. Indicazioni generali per la selezione di pazienti con epilessia intrattabile
potenziali candidati alla chirurgia
74
2. Valutazione prechirurgica
75
3. Specifici approcci chirurgici
76
4. Sintesi e raccomandazioni
77
XI. Crisi epilettiche acute o occasionali
79
1. Convulsioni febbrili
79
2. Crisi epilettiche associate al trauma cranico
82
3. Crisi acute in corso di affezioni mediche e chirurgiche
83
4. Sintesi e raccomandazioni
86
XII. Gli stati epilettici
91
1. Trattamento dello SEGC
92
a. Stato epilettico iniziale (primi 30 minuti)
92
b. Stato epilettico definito (>30 minuti fino a 60-90 minuti)
94
c. Stato epilettico refrattario
95
2. Sintesi e raccomandazioni
96
XIII. Epilessia nelle donne
99
1. Epilessia e ormoni sessuali
100
2. Contraccezione
100
3. Gravidanza
100
4. Parto e puerperio
102
5. Sintesi e raccomandazioni
103
XIV. Problemi medici e anestesiologici in pazienti con epilessia
106
1. Sintesi e raccomandazioni
107
XV. Disturbi psichiatrici ed epilessia
109
1. Comorbilità psichiatrica in epilessia
109
2. Utilizzo di farmaci psicotropi in pazienti con epilessia
110
4
3. Le crisi psicogene
111
4. Sviluppo cognitivo ed epilessia
112
5. Sintesi e raccomandazioni
112
XVI. Problematiche sociali, lavorative e medico-legali
115
1. L’approccio multidisciplinare
116
2. La scuola
116
3. Il lavoro
118
4. Il servizio militare
120
5. La patente di guida
120
6. Gioco e sport
120
7. Disabilità ed epilessia
121
8. Esenzione ticket
121
9. Associazioni
122
10. Sintesi e raccomandazioni
122
XVII. Bibliografia
124
XVIII. Allegati
159
-Allegato 1 – GLOSSARIO DEI TERMINI CHE DESCRIVONO LA SEMIOLOGIA
DELLE CRISI EPILETTICHE
159
-Allegato 2 – TIPI DI CRISI
166
-Allegato 3 – SINDROMI EPILETTICHE E CONDIZIONI CORRELATE
170
-Allegato 4 – MALATTIE SPESSO ASSOCIATE A CRISI E SINDROMI
EPILETTICHE
178
- Allegato 5 - DISTURBI CHE DEVONO ESSERE CONSIDERATI IN DIAGNOSI
DIFFERENZIALE DELLE CRISI EPILETTICHE
181ì0
- Allegato 6 – FARMACI UTILIZZATI NEL TRATTAMENTO DELLE
CRISI EPILETTICHE
182
- Allegato 7- PRINCIPALI INTERAZIONI FARMACOCINETICHE DEI FARMACI
ANTIEPILETTICI
187
- Allegato 8- PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO
192
- Allegato 9- PANEL DI ESPERTI
196
5
Glossario delle abbreviazioni significative
AAN: American Accademy of Neurology
CF: Convulsioni Febbrili
CFC: Convulsioni Febbrili Complesse
CFS: Convulsioni Febbrili Semplici
EEG: Elettroencefalogramma
fMRI: Risonanza magnetica funzionale
GOIF: Gruppo Operativo Interdisciplinare Funzionale
GOM : Gruppi Operativi Multi Professionali
Hp: Iperventilazione
ILAE: International League Against Epilepsy
IMAO: Inibitori della monoaminoossidasi
PCOS: Sindrome Dell’ovaio Policistico
PET: Tomografia ad emissione di positroni
RM: Risonanza Megnetica
SE: Stato Eilettico
SEGC: Stato Epilettico Generallizato Convulsivo
SENC: Stato Epilettico Non Convulsivo
SLI: Stimolazione luminosa intermittente
SPECT: Tomografia ad emissione di singolo fotone
SSRI: Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina
TC: Tomografia computerizzata
6
I. Metodologia
La malattia Epilessia scelta per queste Linee Guida è rilevante in termini epidemiologici e presenta
alti costi di gestione che possono variare notevolmente da situazione a situazione.
Questo documento non è stato ideato per essere, né deve costituire, uno standard per l’assistenza ai
pazienti con epilessia. Gli standard per l’assistenza sono determinati sulla base di tutti i dati clinici
disponibili per il singolo caso e sono soggetti a cambiare secondo i progressi della conoscenza
scientifica e tecnologica. I parametri pratici contenuti in queste Linee Guida sono stati scelti
analizzando le principali prove presenti in letteratura al momento della loro redazione ma non
includono tutti i metodi appropriati per l’assistenza ed è possibile che vi siano altri metodi in grado
ad ottenere gli stessi risultati. L’aderenza ai parametri riportati non assicura automaticamente un
esito favorevole in tutti i casi e nemmeno che la procedura o il piano di trattamento raccomandati
siano quelli più appropriati per quel singolo paziente. Lo scopo è solo quello di aiutare tutti gli
operatori ad avere un accesso rapido alle principali informazioni mentre il giudizio ultimo nel
singolo caso deve essere sempre effettuato dal professionista alla luce dei dati clinici presentati e
delle opzioni diagnostiche e terapeutiche disponibili in quel momento. Se tuttavia ci si discosta
dalle procedure raccomandate le ragioni dovrebbero essere documentate nelle note personali del
paziente al momento in cui una decisione rilevante viene presa.
La costituzione dei gruppi che hanno collaborato allo sviluppo di queste Linee Guida si è basata
sulla scelta di professionisti che per funzione esercitata all’interno del Sistema Sanitario Regionale
Toscano, per specifica competenza e curriculum fossero considerati esperti in questa malattia. Un
nucleo iniziale di membri convocati dal Consiglio dei Sanitari della Regione Toscana ha
successivamente coinvolto altri professionisti esperti su specifici argomenti. I gruppi sono stati
costituiti considerando la multiprofessionalità e le diverse specializzazioni mediche. I membri di
ciascun gruppo sono affiliati a varie società scientifiche. Ciascun membro che ha partecipato alla
stesura di queste Linee Guida ha dichiarato di non avere conflitti d’interesse tali da impedire la
partecipazione al progetto.
I quesiti specifici cui dare risposta sono stati stabiliti durante una prima riunione durante la quale
sono stati definiti anche i gruppi di lavoro. Sono state prese in considerazione, inizialmente, varie
Linee Guida presenti nella letteratura internazionale ed è stato deciso di fare principale riferimento
alle Linee Guida sulle Epilessie dello Scottish Intercollegiate Guideline Network (SIGN) (1) ed al
Manuale Metodologico del Programma Nazionale per le Linee Guida (2). Altri documenti
consultati sono stati: le Clinical Evidence distribuite dal Ministero della Salute (3), gli standard e le
Linee Guida dell’American Accademy of Neurology (AAN) (4) e dell’International League
Against Epilepsy (ILAE) (5).
7
Ai redattori è stato chiesto di basare le raccomandazioni sulle prove disponibili in letteratura. La
raccolta delle prove ha adottato una struttura gerarchica di ricerca e valutazione delle evidenze.
Queste sono state ricercate, innanzi tutto, nella Cochrane Library (6). Qualora questo tentativo si
fosse rilevato infruttuoso sono stati identificati singoli trial e/o studi comparativi non randomizzati
utilizzando il database MEDLINE (7). Sono stati considerate, infine, le opinioni condivise dalla
maggioranza della comunità scientifica riportate in review, monografie o libri. La ricerca è stata
limitata alla lingua inglese ed agli studi sull’uomo considerando gli studi definiti rilevanti dai
singoli gruppi di lavoro. Una volta raccolte e valutate le prove i vari gruppi hanno steso una prima
versione condivisa che è stata sottoposta all’attenzione di tutti i partecipanti per eventuali
commenti. La bozza è stata rivista e cambiata sulla base dei commenti ricevuti dopodiché è stato
designato un comitato di redazione per la stesura definitiva ed uniforme dei vari contributi.
Problemi ed opinioni ulteriori sono stati esaminati durante la seconda ed ultima riunione plenaria.
Nelle Linee Guida le raccomandazioni sono state quantificate con un certo grado di livello di prova
(LDP) e forza della raccomandazione (FDR) espressi rispettivamente in cinque livelli con numeri
romani e tre livelli in lettere da A a C. LDP si riferisce alla probabilità che un certo numero di
conoscenze sia derivato da studi pianificati e condotti in modo tale da produrre informazioni valide
e prive d’errori sistematici; la FDR è stata stabilita in accordo allo schema della US Agency for
Healthcare Research and Qualità (AHRQ) già utilizzata in altre Linee Guida (2).
1. Peso
Indicata
Tecnica diagnostica o terapia indispensabile in tutti i casi
Non indicata
Tecnica diagnostica o terapia non consigliabile
Indicata solo
Tecnica diagnostica o terapia da adottare in sottogruppi
di pazienti (specificandoli)
Ottimale
Tecnica diagnostica o terapia utile ma applicabile solo in
centri specializzati
Integrativa
Tecnica che porta ad una maggiore conoscenza delle
cause
In sospeso
Procedura sulla quale non è possibile dare un giudizio
definitivo. Il pannel d’esperti di queste Linee Guida
considera o non considera indicata una specifica
procedura sulla base della propria esperienza.
8
2. Livelli di prova e forza delle raccomandazioni
FDR
A
LDP
I
Prove ottenute da più studi clinici controllati randomizzati
con bassi falsi positivi e negativi e/o metanalisi e revisioni
sistematiche di studi randomizzati adeguatamente eseguite
B
II
Prove ottenute da studi controllati randomizzati con alti falsi
positivi o alti falsi negativi
III
Prove ottenute da studi non randomizzati contemporanei a
studi di coorte
C
IV
Prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con
controlli storici
V
Prove basate su serie di casi aneddotici, sull’opinione di
esperti autorevoli o su comitati di esperti come indicato in
linee guida o consensus conference, o basate su opinioni dei
membri del gruppo di lavoro responsabile di queste linee
guida.
3. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 1-1: Lo scopo di queste Linee Guida è di aiutare tutti gli operatori ad avere un
accesso rapido alle informazioni mentre il giudizio ultimo nel singolo caso deve essere
sempre effettuato dal professionista alla luce dei dati clinici presentati e delle opzioni
diagnostiche e terapeutiche disponibili in quel momento.
Sintesi 1-2: Le raccomandazioni riportate sono state quantificate con un certo grado di
livello di prova (LDP) e forza della raccomandazione (FDR) espressi rispettivamente in
cinque livelli con numeri romani e tre livelli in lettere da A a C.
9
II. Definizioni e alcuni dati epidemiologici
Le crisi epilettiche e l’epilessia sono disturbi neurologici molto frequenti. Si possono presentare a
qualsiasi età ma non sono ugualmente distribuiti nelle varie popolazioni con importanti differenze
tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
Uno dei problemi maggiori nell’interpretazione dei vari studi epidemiologici è rappresentato dalla
variabilità dei dati dovuta alla diversa metodologia utilizzata per definire e classificare i disturbi e
per accertare i casi. L’ILAE riporta una serie di precisazioni circa la terminologia e le misure
epidemiologiche raccomandate (8, 9). Considerando tali standard sono riportati di seguito alcuni
termini e misure epidemiologiche derivate dai principali studi presenti in letteratura.
1. Crisi epilettica
E’ un evento presumibilmente conseguente ad un’attività abnorme ed eccessiva di un gruppo di
neuroni cerebrali. La manifestazione clinica consiste in un fenomeno improvviso e transitorio che
è in relazione alle aree cerebrali coinvolte dalla scarica. Tali variazioni includono sintomi motori,
sensoriali, autonomici o mentali, rilevati dal paziente o da un osservatore, durante i quali il
paziente può o meno presentare una turba di coscienza (10-14) (vedi per la terminologia il
glossario riportato nell’Allegato 17.1).
Seguendo la classificazione ILAE del 2001 il tipo di crisi epilettica viene definito come un evento
ictale che si pensa rappresenti un unico meccanismo patofisiologico e substrato anatomico. Questa
è una entità diagnostica con implicazioni eziologiche, terapeutiche e prognostiche. Nello schema
derivato da questa classificazione e riportato nell’Allegato 17.2, vengono distinte crisi autolimitate
o continue (stati epilettici) (13). Si devono, inoltre, considerare altre due principali caratteristiche:
¾ Crisi focale. La semiologia iniziale della crisi indica, o è consistente, con l’iniziale attivazione
di una singola parte di un emisfero cerebrale. Il termine focale è sinonimo, ma da preferire, a
parziale. La distinzione tra crisi parziali semplici (senza disturbo di coscienza) e complesse (con
disturbo di coscienza o crisi dialeptica) non è più consigliata nell’ultima proposta classificativi
della ILAE (13, 14).
¾ Crisi generalizzata. La semiologia iniziale della crisi indica, o è consistente, con un
coinvolgimento più che minimo di entrambi gli emisferi cerebrali. In realtà nelle crisi generalizzate
il cervello non è colpito in modo totale e, a seconda del tipo di crisi, della sua partenza e del suo
sviluppo, alcune aree corticali possono essere interessate più o meno di altre. Tuttavia il termine
viene mantenuto per indicare sia la bilateralità sia la non focalità dei fenomeni. Una crisi che inizia
in modo focale può successivamente evolvere verso una secondaria generalizzazione (13, 14).
10
Altri termini utilizzati per descrivere alcune specifiche situazioni comprendono:
¾ Convulsione. E’ una manifestazione motoria tipica della crisi epilettica di grande male
caratterizzata dalla comparsa di movimenti ritmici delle estremità (movimenti clonici o clonie). Il
termine viene spesso utilizzato per indicare le crisi epilettiche che hanno una semiologia motoria
nell’ambito di specifiche situazioni come le convulsioni febbrili e gli stati epilettici convulsivi (813).
¾ Crisi febbrile. E’ una crisi epilettica che si verifica in un bambino di età superiore ad un mese,
in associazione con una malattia febbrile, non causata da un’infezione del sistema nervoso
centrale, in assenza di una precedente storia di crisi, o di crisi non provocate o di crisi acute
sintomatiche (8, 9, 13).
¾ Crisi neonatali. Sono crisi epilettiche che si verificano nelle prime quattro settimane di vita (8,
9, 13).
¾ Crisi non provocate. Sono crisi che insorgono spontaneamente in assenza di un danno acuto
cerebrale o di un fattore scatenante. La terminologia adottata negli studi per designare l’eziologia
distingue tra:
-
crisi remote sintomatiche conseguenti ad una condizione che ha determinato un danno
cerebrale non evolutivo. Tali casi si verificano in individui in cui l’epilessia insorge dopo la
risoluzione della fase acuta di un’infezione, di un trauma cranico, di un ictus, o di altre
patologie che causano, come esiti, una lesione statica.
-
crisi non provocate ad eziologia sconosciuta. In tali situazioni non può essere identificato
un chiaro antecedente. Ove possibile questi casi devono essere denominati in base alla
terminologia adottata dalla ILAE che distingue le epilessie idiopatiche da quelle
probabilmente sintomatiche (termine da preferire a criptogenetiche).
-
crisi sintomatiche di un’encefalopatia progressiva. Vengono compresi in questo gruppo i
casi conseguenti ad un disturbo cerebrale progressivo (tumori, infezioni, virus lenti, infezioni
da HIV, parassitosi, malattie autoimmuni, malattie metaboliche, malattie neurodegenerative)
(8, 9, 13).
¾ Crisi provocate (acute sintomatiche). Sono crisi che si verificano in una stretta associazione
temporale con un’alterazione acuta sistemica, metabolica o tossica (p.e. infezioni, neoplasie, ictus,
traumi cranici, emorragie cerebrali, intossicazioni acute o sospensione di alcool). Sono eventi
spesso isolati, associati ad una situazione acuta, ma possono anche ricorrere quando la condizione
acuta si ripresenta, come ad esempio nelle crisi da sospensione alcolica. Possono anche evolvere in
uno stato epilettico (8, 9, 13).
¾ Crisi riflesse. Sono crisi precipitate da stimoli sensoriali. Crisi riflesse isolate possono
presentarsi in situazioni che non implicano di per sé la diagnosi di epilessia. Crisi precipitate da
11
specifiche circostanze come la febbre, la sospensione di alcool, non sono da considerare crisi
riflesse (8, 9, 13).
¾ Crisi singola o isolata. E’ un termine utilizzato per indicare che una o più crisi si sono
presentate in un periodo non superiore alle 24 ore. Negli studi più crisi che si verificano in un
periodo di 24 ore sono considerati, per convenzione, un singolo evento (8, 9, 13).
¾ Eventi non epilettici. Sono le manifestazioni cliniche parossistiche che vengono considerate
non correlate alla scarica abnorme di un gruppo di neuroni cerebrali. Un termine molto utilizzato
in letteratura per definire tali eventi è quello di Manifestazioni Parossistiche non Epilettiche
(MPNE). Esse comprendono: a) disturbi della funzione cerebrale (vertigini, sincopi, disturbi del
movimento e del sonno, aure emicraniche, amnesia globale transitoria, enuresi notturna etc.) e b)
pseudocrisi (disturbi del comportamento, improvvisi, di origine non epilettica che vengono
considerati come di esclusiva natura psichica). Il termine di crisi psicogene è un termine utilizzato
per indicare l’esclusiva natura psichica dell’evento non epilettico e viene da molti preferito a
quello di pseudocrisi (8, 9). In Allegato 17.5 sono riportate alcune delle principali condizioni che
possono porre dei problemi di diagnosi differenziale con le crisi epilettiche.
¾ Stato epilettico. Viene definita come una stabile e duratura condizione epilettica caratterizzata
da una crisi di durata superiore a 30 minuti oppure da una serie di crisi ravvicinate senza recupero
delle funzioni corticali tra una crisi e la successiva. Un episodio di stato epilettico dove essere
considerato come un evento singolo (8, 9, 13).
2. Epilessia
Il termine collettivo Epilessia è comunemente impiegato per indicare i disturbi o le malattie che si
accompagnano a crisi epilettiche. Nella definizione proposta dalla Commissione ILAE per
l’epidemiologia l’epilessia è caratterizzata da crisi epilettiche ricorrenti (due o più), non provocate
da una causa immediatamente identificabile (8, 9). Alcuni dei termini comunemente utilizzati per
descrivere questi disturbi sono:
¾ Disordine epilettico. E’ una condizione neurologica caratterizzata da crisi epilettiche ricorrenti
non provocate da una causa immediatamente identificabile (13).
¾ Encefalopatia epilettica. E’ una condizione in cui si pensa che le anormalità epilettiche di per
sé contribuiscano al progressivo disturbo della funzione cerebrale (13).
¾ Epilessia (farmaco)resistente o intrattabile. E’ l’epilessia di un paziente le cui crisi
persistono nonostante l’utilizzo adeguato di farmaci antiepilettici con minimo due farmaci di prima
linea, sia come monoterapia sia in combinazione, appropriati per la sindrome epilettica. I farmaci
12
dovrebbero essere utilizzati fino al limite della tolleranza ed i livelli plasmatici dei farmaci
dovrebbero essere monitorizzati allo scopo di valutare la compliance (15).
¾ Epilessia attiva. Un caso prevalente di epilessia attiva è quello di un paziente che ha avuto per
lo meno una crisi epilettica nei cinque anni precedenti, indipendentemente dalla presenza del
trattamento con farmaci antiepilettici. Un caso prevalente sottoposto a trattamento è quello in cui
un soggetto con una diagnosi di epilessia, assume farmaci antiepilettici nel giorno di accertamento
(8, 9).
¾ Epilessia in remissione. Un caso prevalente di epilessia in remissione è quello di un paziente
in trattamento con farmaci antiepilettici senza crisi per ≥ 5 anni. Si distingue tra remissione in
trattamento farmacologico e senza trattamento farmacologico a seconda che il paziente assuma o
meno la terapia nel giorno di accertamento (8, 9).
¾ Malattia epilettica. E’ una condizione patologica che ha un’eziologia singola, specifica e ben
definita. Così la malattia di Unverricht-Lundborg rientra nel gruppo delle sindromi dell’epilessie
miocloniche progressive assieme alla malattia di Lafora, alla sialidosi e così via (13).
¾ Sindrome epilettica. Una sindrome rappresenta un complesso di segni o sintomi che, associati
tra di loro, determinano un’unica e caratteristica entità. Si distinguono anche:
− Sindrome epilettica idiopatica. E’ una sindrome caratterizzata dalla presenza di un
epilessia, comunemente ad insorgenza età-dipendente, in assenza di lesioni strutturali
encefaliche od altri segni o sintomi neurologici. Il termine idiopatico indica la presumibile
influenza genetica sulla suscettibilità alle crisi.
− Sindrome epilettica sintomatica. E’ una sindrome in cui le crisi epilettiche sono il
risultato di una o più lesioni cerebrali strutturali accertabili.
− Sindrome epilettica probabilmente sintomatica. E’ una sindrome in cui si ritiene che le
crisi epilettiche siano il risultato di una lesione cerebrale anche se questa non è stata
identificata. Probabilmente sintomatica è un termine sinonimo, ma da preferire, a
criptogenetico.
− Sindrome epilettica benigna. E’ una sindrome caratterizzata da crisi epilettiche facilmente
trattabili, o che non richiedono trattamento, ed in cui vi è una remissione senza sequele.
− Sindrome epilettica riflessa. E’ una sindrome in cui le crisi sono precipitate da stimoli
sensoriali (13, 14).
13
3. Classificazione
L’elaborazione di un sistema di classificazione delle crisi e delle sindromi epilettiche rappresenta
uno strumento indispensabile per consentire la comunicazione fra coloro che si occupano di
epilessia e per poter confrontare i dati ed i risultati degli studi e delle ricerche.
L’ILAE è l’organizzazione che ha dato i maggiori contributi alla classificazione ed alla
terminologia con cui indicare le crisi e le sindromi epilettiche (5). Quest’ultime nella
classificazione del 1989, ancora oggi spesso utilizzata, vengono distinte, in base al tipo di crisi, in
generalizzate e focali e, in base all’eziologia, in idiopatiche (non legate ad un danno cerebrale e
con presumibile base genetica) e sintomatiche/criptogenetiche (in cui è identificabile/presumibile
una lesione cerebrale alla base del disturbo) (14). Nel corso degli anni questo schema è stato rivisto
e nell’ultima stesura del 2001 viene proposto l’utilizzo di una terminologia standardizzata ma
sufficientemente flessibile da prendere in considerazione alcuni aspetti pratici e dinamici della
diagnosi (13). Lo schema proposto è diviso in cinque livelli od assi:
¾ L’Asse I riporta la descrizione fenomenologica delle sintomatologia ictale ed utilizza un
glossario standardizzato della terminologia descrittiva indipendente da altri fattori come l’EEG e
l’eziologia (Allegato 17.1) (12).
¾ L’Asse II riporta il tipo, od i tipi, di crisi presentati dal paziente. A questo proposito viene
individuata una lista di crisi che prevede una distinzione in crisi autolimitate e continue (forme di
stati epilettici) a loro volta classicamente distinte in generalizzate e focali. Viene inoltre indicata la
localizzazione per le crisi focali e i fattori scatenanti per le crisi riflesse (Allegato 17.2) (5, 13).
¾ L’Asse III riporta la diagnosi sindromica che viene derivata da una lista di sindromi epilettiche
ampiamente accettate e riconosciute. Viene tuttavia specificato che una diagnosi sindromica non è
sempre possibile in tutti i casi e che nella lista vengono identificate delle condizioni in cui la
presenza di crisi non implica di per se la diagnosi di epilessia (p.e. crisi neonatali benigne, crisi
febbrili). Inoltre viene sottolineata la presenza di sindromi ancora in discussione od in sviluppo.
(Allegato 17.3) (5, 13).
¾ L’Asse IV riporta, quando è conosciuta, l’eziologia derivata da una lista di malattie specifiche
frequentemente associate alle crisi e sindromi epilettiche. (Allegato 17.4) (5, 13).
¾ L’Asse V, tuttora in fase di preparazione, riporta il grado di compromissione causato dalla
condizione epilettica. Il riferimento attuale è quello derivato dallo schema proposto dalla WHO
ICIDH-2 (5, 13).
14
4. Incidenza
Le prime crisi non provocate nei paesi industrializzati hanno un valore aggiustato per età compreso
tra 18,9 e 69,5 per 100.000 (gli studi più recenti mostrano valori più alti) (16, 17). Combinando i
tassi d’incidenza per le convulsioni singole o isolate e le crisi ricorrenti, l’incidenza per tutte le
crisi epilettiche nello studio di Rochester, uno degli studi metodologicamente più completi, è
risultata essere compresa tra 72,9 e 86,1 (18). Nei paesi in via di sviluppo i tassi d’incidenza
possono risultare fino a 190 per 100.000 (19).
L’incidenza di epilessia nei paesi industrializzati è compresa tra 24 e 53 per 100.000 e sembra
essere simile nelle varie aree geografiche. Tuttavia in alcuni studi nei paesi in via di sviluppo sono
riportati valori che superano i 100 casi per 100.000. L’incidenza cumulativa di epilessia nei paesi
industrializzati è compresa tra 1,7 e 3,1% all’età di 80 anni (16).
Gli studi più recenti sull’incidenza rilevano, ma solo nei paesi industrializzati, alcune differenze di
distribuzione in relazione all’età. L’incidenza dell’epilessia e delle crisi non provocate è più alta
nel primo anno, successivamente decresce e si riduce ulteriormente durante l’adolescenza
rimanendo relativamente bassa durante l’età adulta per poi crescere nuovamente nell’età più
avanzata (16, 17). Questo tipo di distribuzione è anche tipico delle crisi acute sintomatiche il cui
rischio durante la vita è del 3,6% (20).
Le convulsioni febbrili sono il disturbo neurologico più frequente nell’età pediatrica dato che si
verificano fino nel 5% dei bambini entro il terzo anno di vita (21).
Riguardo al sesso alcuni studi riportano tassi d’incidenza per le prime crisi e l’epilessia maggiori
nel maschio che nella femmina (rapporto M/F: 1,2 – 1,7). Vi sarebbero anche delle differenze nella
razza rilevate soprattutto per gli stati epilettici. Tuttavia molti degli studi effettuati sono troppo
complicati da fattori socio-economici e le reali differenze legate sia al sesso sia alla razza non sono
ancora spiegabili in termini di fattori di rischio specifici per la malattia (16, 17). Sempre per gli
stati epilettici sono riportati, negli Stati Uniti per le forme convulsive, valori compresi tra 50.000 e
250.000 casi ogni anno (22, 23). L’incidenza degli stati epilettici sembra essere cresciuta per
l’aumento dei casi nell’anziano e degli stati mioclonici associati ad un danno cerebrale dopo un
arresto cardiaco (24, 25).
5. Prevalenza
La prevalenza è una misura epidemiologica che rappresenta più la gravità e la cronicità
dell’epilessia che la sua frequenza nella popolazione. Nella maggior parte degli studi la prevalenza
15
durante la vita esprime il numero sia dei pazienti con epilessia attiva sia con epilessia in
remissione.
Nei paesi industrializzati la prevalenza dell’epilessia attiva è compresa tra il 3,5 e 10,7 per 1.000
(16). Un esiguo numero di studi effettuati nei paesi in via di sviluppo mostra tassi di prevalenza
notevolmente più alti di quest’intervallo ma si tratta di piccoli studi effettuati in aree geografiche
isolate dove fattori genetici ed ambientali unici possono essere predominanti (16,17). Il punto di
prevalenza nei paesi industrializzati è compreso tra 3,7 e 8 (16).
6. Eziologia
L’accertamento dei casi e la conoscenza della malattia varia da paese a paese in relazione al
sistema sanitario in cui l’indagine è condotta e nei vari studi la causa della malattia non è sempre
riportata poiché essa richiede, comunemente, un minimo di indagini strumentali che non sono
sempre possibili. Per questo i casi d’epilessia attribuibili ai vari fattori eziologici variano
considerevolmente secondo il tipo di studio considerato, dall’età e dall’area geografica in cui viene
condotto (8, 9, 16, 17). L’Allegato 17.5 riporta l’elenco delle condizioni specifiche più
frequentemente associate ad epilessia. Nella maggior parte degli studi condotti nei paesi
industrializzati una causa specifica delle crisi epilettiche o dell’epilessia è riportata solo in circa il
25-30% dei casi (16, 17). I casi di epilessia ad insorgenza in età infantile hanno prevalentemente
un’eziologia genetica (epilessie idiopatiche) o sono secondari alla presenza di un’encefalopatia non
progressiva dovuta a lesioni cerebrali occorse in epoca prenatale o perinatale (16, 17, 26). In
relazione soprattutto a fattori genetici bisogna ricordare che il 10% dei soggetti tra i 7 e 19 anni
con crisi epilettiche hanno una fotosensibilità (27). Fino ai 3-4 anni di vita la febbre rappresenta la
causa che induce più frequentemente crisi epilettiche mentre nell’età adulta e nell’anziano
prevalgono i casi sintomatici di traumi e di ictus. Analogamente l’aumentata incidenza di crisi
epilettiche e di epilessia riportata nei paesi industrializzati nell’anziano è, probabilmente, in
relazione all’aumentata incidenza in questa età di malattie cerebrovascolari (16, 17, 20, 21). Il
rischio di sviluppare un’epilessia cronica dopo le convulsioni febbrili è del 2-7% (28). Le
convulsioni febbrili prolungate sono un fattore di rischio per lo sviluppo, in età giovanile-adulta, di
un’epilessia temporale associata alla presenza di una sclerosi mesiale temporale (29, 30). Bisogna
inoltre ricordare che in età infantile la febbre può essere un fattore scatenante per vere crisi
epilettiche, situazione diversa dalle convulsioni febbrili (31). Altri fattori di rischio importanti
nell’età adulta per lo sviluppo di crisi epilettiche sono l’abuso di alcool, o la sua sospensione (3234), le intossicazioni di farmaci o droghe (35-42) ed il trauma cranico (43). In pazienti in cui le
16
crisi si verificano entro una settimana da un trauma cranico il rischio di sviluppare una successiva
epilessia è considerato attorno al 25%, e del 33% se il paziente ha più di 16 anni (44). Le crisi che
si verificano subito dopo un evento non sembrano associate a successive ricorrenze (45). Se non si
verificano crisi precocemente dopo un trauma i fattori associati ad un alto rischio d’epilessia sono
la presenza di un ematoma (31%) e di una frattura depressa (15%) (44).
7. Prognosi
Il rischio di presentare una nuova crisi dopo una prima non provocata è alto (46, 47) anche se i
farmaci antiepilettici appaiono in grado di ridurre tale rischio (48). Tuttavia la prognosi
dell’epilessia riguardo al controllo delle crisi dopo trattamento farmacologico appare essere buona
e la maggioranza dei pazienti riesce ad ottenere una prolungata remissione (49-51). In alcuni casi è
possibile anche sospendere il trattamento ma i fattori di rischio per una ricaduta non sono
completamente identificati. Quello che sappiamo è che vi sono sindromi epilettiche a prognosi
buona, altre a prognosi incerta e cattiva e che il numero di pazienti che presenta ancora crisi
nonostante il trattamento farmacologico è tutt’altro che trascurabile (52, 53). Infatti è stata
riscontrata una prevalenza di pazienti con epilessia grave fino a 90 su 100000 (54) ed una
prevalenza di pazienti adulti con ≥ 12 crisi focali all’anno di 0,96 su 1000 (55).
8. Mortalità
I dati dei paesi industrializzati indicano che le persone con epilessia hanno una maggiore mortalità
rispetto a quelle senza epilessia. Il rischio è maggiore nelle persone con epilessia cronica, in
particolare giovani, ed in quelli con un’eziologia definita. In alcuni studi è riportato un rapporto
standardizzato di mortalità (SMR) di ≥ 8. Tale rapporto è lievemente più alto (SMR 1,6) anche
nelle epilessie idiopatiche. I traumi, i suicidi, le polmoniti, e le crisi sono le cause di morte più
frequenti nelle persone con epilessia rispetto alla popolazione generale (9). La morte improvvisa è
anch’essa una causa riconosciuta, specialmente nei pazienti con epilessia grave (56).
17
9. Costi
Molti pazienti con epilessia presentano disabilità significative e complicazioni fisiche,
neuropsicologiche e comportamentali (57, 58). La conoscenza della dimensione del problema
appare necessaria per la programmazione sanitaria e per contribuire ad allocare le risorse nei vari
settori (farmaceutico, diagnostico, riabilitativo, sociale etc.) che consideri i reali costi-benefici
degli interventi. In un recente studio condotto in Lombardia è stato riscontrato che i costi
dell’epilessia variano notevolmente a seconda si considerino i pazienti di nuova diagnosi, i pazienti
che presentano differenti risposte ai farmaci ed i candidati alla chirurgia. Le maggiori differenze
dei costi per paziente variano in relazione alla severità ed alla frequenza delle crisi (59). Inoltre in
altri studi condotti in differenti situazioni sanitarie (Dipartimenti Universitari, Ospedali Generali,
Servizi Ambulatoriali) è stato osservato anche che i costi differenti dipendevano anche dal tipo di
struttura di riferimento (60)e che i costi diretti erano significativamente più alti nei pazienti sotto i
18 anni rispetto agli anziani (61). Le ammissioni ospedaliere ed i farmaci appaiono la maggiore
fonte di spesa (62).
Considerando la grande variabilità di condizioni che sottendono i disturbi epilettici, anche allo
scopo di controllare da una parte l’appropriatezza degli interventi e dall’altra la spesa, è
consigliabile che i pazienti affetti da queste malattie siano prevalentemente gestiti da neurologi o
da altri specialisti esperti. Essi devono, cioè, aver conseguito durante il proprio curriculum
formativo un’esperienza specifica nella gestione di questi pazienti e devono essere impegnati in un
continuo aggiornamento professionale (4, 5).
10.Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 2-1: Le crisi epilettiche e l’epilessia sono disturbi neurologici molto frequenti. Nei paesi
industrializzati le prime crisi non provocate hanno un valore aggiustato per età compreso tra 18,9 e
69,5 per 100.000 (gli studi più recenti mostrano valori più alti). L’incidenza cumulativa di epilessia
nei paesi industrializzati è compresa tra 1,7 e 3,1% all’età di 80 anni.
Sintesi 2-2: Gli studi più recenti sull’incidenza mostrano alcune differenze di distribuzione in
relazione all’età. Nei paesi industrializzati l’incidenza dell’epilessia e delle crisi non provocate è
più alta nel primo anno, successivamente decresce e si riduce ulteriormente durante l’adolescenza
rimanendo relativamente bassa durante l’età adulta per poi crescere nuovamente nell’età più
avanzata. Questo tipo di distribuzione è anche tipico delle crisi acute sintomatiche.
18
Sintesi 2-3: Nei paesi industrializzati la prevalenza dell’epilessia attiva è compresa tra il 3,5 e 10,7
per 1.000.
Sintesi 2-4: I casi di epilessia ad insorgenza in età infantile hanno prevalentemente un’eziologia
genetica (epilessie idiopatiche) o sono secondari alla presenza di un’encefalopatia non progressiva
dovuta a lesioni cerebrali occorse in epoca prenatale o perinatale.
Sintesi 2-5: Fino ai 3-4 anni di vita la febbre rappresenta la causa più frequente di crisi epilettiche
mentre nell’età adulta e nell’anziano prevalgono i casi sintomatici di traumi e di ictus.
Analogamente l’aumentata incidenza di crisi epilettiche e di epilessia nell’anziano è,
probabilmente, in relazione all’aumentata incidenza in questa età di malattie cerebrovascolari e di
altre malattie legate all’invecchiamento.
Sintesi 2-6: Vi sono sindromi epilettiche a prognosi buona, altre a prognosi incerta e cattiva. La
prevalenza di pazienti che presenta ancora crisi nonostante il trattamento farmacologico è stimabile
in circa 1 caso su 1.000.
Sintesi 2-7: Le persone con epilessia hanno una maggiore mortalità rispetto a quelle senza
epilessia. Il rischio è maggiore nelle persone con epilessia cronica.
Sintesi 2-8: Molti pazienti con epilessia presentano disabilità significative e complicazioni fisiche,
neuropsicologiche e comportamentali. La conoscenza della dimensione del problema appare
necessaria per la programmazione sanitaria e per contribuire ad allocare le risorse nei vari settori
(farmaceutico, diagnostico, riabilitativo, sociale etc.) che consideri i reali costi-benefici degli
interventi.
Raccomandazione 2.1. (Grado C)
E’indicato che i pazienti affetti da epilessie siano prevalentemente diagnosticati da neurologi o da
altri specialisti esperti i quali devono aver conseguito durante il proprio curriculum formativo
un’esperienza specifica nella gestione di questi pazienti e devono essere impegnati in un continuo
aggiornamento professionale.
19
III. Diagnosi di epilessia
Nella diagnosi di un paziente con sospetta epilessia vi sono due importanti passi da effettuare. Il
primo è stabilire il tipo di crisi presentate dal paziente, il secondo è quello di stabilirne la causa e
l’eventuale inquadramento sindromico.
1. Si tratta di epilessia ?
Il primo passo verso la diagnosi di epilessia è quello di stabilire se l’evento clinico presentato può
essere compatibile con una crisi epilettica. Una storia accurata interrogando il paziente o un
testimone fornisce informazioni insostituibili per la diagnosi ed i medici di medicina generale, i
pediatri di famiglia, i medici dell’emergenza territoriale e dell’accettazione ospedaliera giocano un
ruolo unico nell’ottenere questi dati (63, 65). Infatti distinguere una crisi epilettica da un evento
non epilettico, in particolare una sincope o una crisi psicogena, non è sempre facile (66, 67). Una
sincope può essere associata a scosse miocloniche, versione degli occhi verso l’alto e brevi
automatismi (67-70) e le crisi psicogene possono imitare molto bene una crisi epilettica
(particolarmente quelle di origine frontale) (71-73). D’altra parte una crisi epilettica può
manifestarsi con una sintomatologia simile alla sincope, con sintomi bizzarri che mimano una crisi
psicogena o anche con sintomi che possono essere associati ad altri disturbi come l’emicrania (7387). L’Allegato 17.5 riporta le principali condizioni che possono porre dei problemi di diagnosi
differenziale con l’epilessia.
2. Definire il tipo di crisi ed i fattori precipitanti
Le crisi epilettiche possono presentarsi in modo drammatico o subdolo, essere autolimitate,
continue, isolate o ricorrere a breve distanza (8-14). L’Allegato 17.3 riporta l’elenco dei vari tipi di
crisi epilettiche e le loro principali caratteristiche cliniche. Vengono anche riportati alcuni degli
stimoli che possono indurre crisi epilettiche.
Crisi epilettiche minori come le assenze, le crisi miocloniche, alcune crisi focali, possono non
essere diagnosticate per molti anni od essere considerate dal paziente, o da i suoi familiari, come
eventi non patologici. Al contrario una crisi maggiore, come la generalizzata tonico-clonica, viene
sottoposta precocemente all’attenzione del medico (46-48, 88-90).
20
La descrizione delle crisi deve includere i sintomi preictali incluse le variazioni affettive e del
comportamento prima della crisi, le sensazioni soggettive del paziente (aura), i sintomi vocali
(stridore/pianto, emissione di parole rallentate, frasi deformate), i sintomi motori (versione della
testa o degli occhi, tipo di postura, presenza di scosse -ritmiche- o d’irrigidimento, automatismi,
movimenti focali o generalizzati), il tipo di respirazione (variazioni del pattern, arresto, cianosi), le
variazioni autonomiche (dilatazione pupilare, ipersalivazione, variazioni nella frequenza
respiratoria o cardiaca, pallore, vomito) e le variazioni del livello di coscienza o l’incapacità a
comprendere il linguaggio (10-12, 91). E’ consigliato utilizzare nei report la terminologia riportata
nel glossario dei sintomi ictali delle crisi riportata in Allegato 17.1. Altri elementi da annotare sono
i sintomi postictali che comprendono l’eventuale amnesia per l’evento, la confusione, lo stato di
sopore o di sonnolenza, la cefalea e i dolori muscolari, le paralisi transitorie (di Todd), la nausea o
il vomito (10-12, 63-66, 91).
Oltre che la descrizione delle crisi, altre notizie importanti da apprendere riguardano l’età
d’insorgenza (alcune crisi sono caratteristiche dell’età infantile e altre, come gli spasmi, si
verificano solo in quest’età e non più in età adulta), la distribuzione circadiana (al risveglio, la
notte, il giorno) ed i fattori precipitanti (luci intermittenti, deprivazione di sonno, abuso di alcool,
uso ed abuso di farmaci, stress, lettura etc.) delle crisi (10-13, 31).
3. Definire il tipo di sindrome e l’eziologia
La diagnosi di una sindrome epilettica può fornire informazioni sulla prognosi a breve e lungo
termine e fornire le basi per lo studio dei fattori eziologici, della storia naturale, e del trattamento
di questi disturbi (52, 53). Nell’Allegato 17.3 viene riportata un elenco di sindromi epilettiche e le
loro principali caratteristiche, mentre nell’Allegato 17.4 viene riportato un elenco di malattie
frequentemente associate a crisi epilettiche.
Oltre che il tipo di crisi altri principali elementi da indagare per definire l’eziologia e il tipo di
sindrome sono: l’età d’esordio, la storia familiare, il tipo e il livello di sviluppo (fisico e
neurologico), il comportamento e lo stato di salute all’esordio inclusa l’eventuale presenza di
malattie febbrili e di precedenti stati di malessere (31, 91). Crisi epilettiche provocate sono
conseguenti a una condizione acuta come l’ipoglicemia, l’ingestione di tossici, le infezioni
intracraniche, il trauma cranico o di altri fattori precipitanti. Le crisi non provocate si manifestano
in assenza di tali fattori. La loro eziologia può essere idiopatica (genetica) remota sintomatica (preesistenza di un danno o di un’anomalia cerebrale) e probabilmente sintomatica/criptogenetica
(senza causa conosciuta) (8-14). Bisogna poi ricordare che le crisi focali sono presenti in tutte le
21
età, anche se la loro incidenza aumenta dopo i 60 anni (16, 17) e che l’insorgenza di un’epilessia
generalizzata idiopatica dopo i 25 anni è rara (90-99).
Nei bambini l’età è un fattore critico nel determinare le caratteristiche cliniche ed
elettroencefalografiche dell'epilessia poiché molte sindromi epilettiche sono manifestazioni etàdipendenti della suscettibilità epilettica. In particolare le epilessie che iniziano nei primi due anni
di vita, e soprattutto nel primo anno, possono essere difficilmente classificabili fin dall’esordio
come sindromi epilettiche note e in molti casi si può arrivare ad una diagnosi sindromica solo
valutando l’evoluzione nell’arco di diversi mesi o anni (31, 100-108). Per tale motivo è importante
individuare particolari fasce di età utili per l’inquadramento diagnostico in una sindrome epilettica
piuttosto che un’altra. Convenienti categorie di età potrebbero essere:
¾ neonatale (fino a 44 settimane di età concezionale)
¾ infantile (1 mese- 2 anni)
¾ prescolare (2-5 anni)
¾ scolare (5-10 anni)
¾ giovanile (> 10 anni)
Le crisi epilettiche nel bambino possono essere particolarmente polimorfe con un’ampia variabilità
della fenomenologia tra un soggetto e un altro. Esse tendono, anche, a variare nel tempo nello
stesso soggetto mentre con l’aumentare dell’età, e quindi con la progressiva maturazione, le crisi
tendono a diventare più organizzate e meno diverse da un soggetto ad un altro. Altro fattore
fondamentale per la diagnosi sindromica è la valutazione dell’integrità del funzionamento
neurologico. Nel bambino è sempre opportuno valutare lo sviluppo psicomotorio precedente
l’esordio dell’epilessia, la comparsa di un arresto o di una regressione o, viceversa, la preesistente
storia di ritardo e/o di altri disturbi neurologici. La presenza di questi disturbi orienta per
un’eziologia sintomatica, un’encefalopatia epilettogena o di entrambe. Al contrario la presenza di
un’anamnesi personale e di un esame obiettivo generale e neurologico nella norma sono elementi a
favore per la diagnosi di un’epilessia idiopatica. Infine, sempre nel bambino, bisogna ricordare che
l’esame obiettivo generale, che deve includere necessariamente la valutazione del fenotipo (che
può indirizzare verso una sindrome genetica) e della cute/annessi cutanei (alla ricerca di alterazioni
discromiche e dismorfiche il cui rilievo può indicare la presenza di una sindrome
neuroectodermica), dovrebbe essere sempre ripetuto nel tempo giacché alcune segni specifici
potrebbero comparire in età successive (31, 100-108).
22
4. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 3-1: La diagnosi di crisi epilettica e di epilessia è, prima di tutto, clinica e, in assenza di
un’osservazione diretta, si basa sulla storia del disturbo ictale riferito dal paziente o da un
testimone. A volte può essere difficile stabilire, fin dall’inizio, una diagnosi corretta poiché diverse
condizioni possono simulare una crisi epilettica e, viceversa, il racconto di una crisi epilettica può
essere simile a quello di un evento non epilettico.
Raccomandazione 3.1 (Grado C)
Nel sospetto di crisi epilettiche è indicato che i medici di medicina generale, i pediatri di famiglia,
il personale dei mezzi di soccorso, i medici dell’emergenza territoriale e dell’accettazione
ospedaliera raccolgano dal paziente o dai testimoni delle crisi tutte le informazioni utili ad una
precoce diagnosi differenziale.
In un paziente con il sospetto di crisi epilettiche è indicato indagare i seguenti elementi:
Raccomandazione 3.2 (Grado C)
La descrizione delle crisi riferita dal paziente deve includere:
¾ frequenza delle crisi;
¾ circostanze, fattori scatenanti e eventi morbosi acuti (p.e. trauma cranico, intossicazioni,
febbre, malattie in corso e stati di malessere, deprivazione di sonno);
¾ sintomi prima e durante le crisi (p.e. aure sensoriali e psichiche, disturbi di coscienza);
¾ durata dei sintomi ictali;
¾ sintomi successivi alle crisi (p.e. amnesia per l’evento, confusione, sopore, sonnolenza, cefalea
e dolori muscolari, paralisi di Todd, nausea o vomito);
¾ traumi, morso della lingua ed incontinenza.
Raccomandazione 3.3 (Grado C)
La descrizione delle crisi riferita da un testimone deve includere:
¾ frequenza delle crisi;
¾ descrizione il più dettagliata possibile di quanto osservato prima e durante le crisi (p.e.
comportamento, grado di responsività, fenomeni motori, vocalizzazione, colore della cute, respiro,
polso);
¾ descrizione il più dettagliata possibile dei segni e del comportamento successivo alle crisi (p.e.
amnesia per l’evento, confusione, sopore, sonnolenza, cefalea e dolori muscolari, paralisi di Todd,
nausea o vomito).
23
Raccomandazione 3.4 (Grado C)
L’anamnesi deve comprendere anche le seguenti notizie rilevanti
¾ età, sesso;
¾ storia familiare;
¾ storia di sofferenza o infezioni prenatali e perinatali;
¾ tappe e livello dello sviluppo fisico e neurologico;
¾ età d’esordio e storia medica precedente, inclusi precedenti convulsioni febbrili, infezioni del
sistema nervoso, traumi cranici e altre malattie neurologiche o sistemiche;
¾ comportamento, storia psichiatrica precedente, storia sociale;
¾ uso di alcool e farmaci.
Raccomandazione 3.5 (Grado C)
La ricerca dei segni obiettivi deve includere:
¾ la valutazione dello stato mentale e cognitivo e il rilievo di altri segni che possono essere
espressione di un disturbo neurologico di cui le crisi epilettiche rappresentano un sintomo;
¾ l’aspetto fenotipico del soggetto (che può indirizzare verso una sindrome genetica) e la
valutazione della cute e degli annessi cutanei alla ricerca di alterazioni discromiche e dismorfiche.
Nell’infanzia il fenotipo e i segni cutanei devono essere rivalutati nel tempo.
Sintesi 3-2: La definizione del tipo di crisi e degli eventuali fattori precipitanti fornisce
informazioni sulla prognosi e ha importanti ripercussioni su come impostare la richiesta di esami
diagnostici e sulla scelta del trattamento.
Raccomandazione 3.6 (Grado C)
Nei casi di dubbio inquadramento clinico è indicata la gestione diagnostica da parte di medici
esperti.
Raccomandazione 3.7 (Grado C)
La definizione dell’eziologia e della sindrome non è sempre possibile fin dall’inizio e, soprattutto
per l’età pediatrica, è indicato che l’evoluzione del disturbo sia seguita nel tempo da parte di
medici esperti.
24
IV. Esplorazioni neurofisiologiche
1. Elettroencefalogramma (EEG)
Per risultare utile l’EEG deve essere richiesto sulla base di specifiche indicazioni, escludendone un
uso routinario in tutti i pazienti che presentano manifestazioni critiche neurologiche non definite
od un’epilessia già diagnosticata. L’attività EEG deve essere registrata quando esiste un sospetto
clinico di epilessia, per definirne cause, diagnosi differenziale ed inquadramento sindromico.
Inoltre l’EEG ha lo scopo di registrare un’attività intercritica e/o critica e di definirne la
localizzazione, la frequenza e la morfologia. Può essere d’ausilio nell’individuare la presenza di
un’encefalopatia (metabolica, infettiva, degenerativa), lesioni cerebrali focali (vascolari, tumori) o
un difetto di maturazione cerebrale mentre risulta scarsamente utile nel valutare l’effetto dei
farmaci antiepilettici sull’attività parossistica intercritica, poiché poco sensibile alla loro azione
(109-111). Fanno eccezione l’epilessia con assenze, in cui la quantificazione delle scariche di
punta-onda permette di monitorizzare l’efficacia del trattamento, e alcune encefalopatie epilettiche
dell’infanzia, tra cui la sindrome di West nella quale la scomparsa del pattern ipsaritmico si
accompagna al miglioramento dei sintomi (31, 108).
In pazienti con epilessia l’EEG presenta anomalie specifiche solo in un certo numero dei soggetti
esaminati. Negli adulti con epilessia, una singola registrazione mostra anomalie nel 29-38% dei
casi, se ripetuta si può raggiungere il 59-77%, ma oltre la quinta registrazione l’incremento
dell’informazione è modesto. Esistono anche falsi positivi, in quanto l’1,8-4% della popolazione
che non ha mai avuto crisi epilettiche, può avere un’attività EEG di tipo epilettiforme. La
specificità dell’EEG è almeno del 96% mentre la sensibilità raggiunge rispettivamente il 29 e 59%
alla prima registrazione e dopo registrazioni ripetute. La percentuale di positività dell’EEG
intercritico è comunque in funzione della prevalenza dell’epilessia nella popolazione esaminata (1,
109-119).
La possibilità di rilevare anomalie specifiche con l’EEG di routine aumenta fino al 90% con la
durata della registrazione, l’esecuzione di prove di attivazione (iperventilazione, stimolazione
luminosa intermittente), ma soprattutto deprivazione di sonno e registrazione durante il sonno
(111). Tuttavia nella letteratura l’effetto attivante del sonno non è quantitativamente ben definito e
spesso confuso con l’effetto di registrazioni ripetute o con la deprivazione di sonno. Ancor meno
studiato è l’effetto di tali metodiche di attivazione, nei soggetti sani.
La polisonnografia trova una particolare indicazione nelle forme di epilessie idiopatiche del
bambino e dell’adolescente, nella sindrome di Lennox-Gastaut, nella sindrome delle punte-onde
continue durante il sonno e nelle epilessie parziali dell’adulto. Nella sindrome di West, il pattern
25
della ipsaritmia varia in funzione del ciclo sonno-veglia. Gli stadi di sonno lento leggero
rappresentano una fase del sonno con elevata incidenza di anomalie rispetto ad altre fasi, ma il
relativo valore localizzatorio rispetto all’area epilettogena, è più alto nella fase REM (31).
In alcuni selezionati casi in cui l’EEG di routine e l’EEG con prove di attivazione, e deprivazione
di sonno, non rilevassero anomalie, è indicato il monitoraggio video-EEG a lungo termine che
aumenta la probabilità di registrare anomalie intercritiche ed eventi critici (109, 110).
L’EEG di routine in caso di specifiche necessità di diagnosi differenziale dovrebbe includere, a
seconda delle esigenze, canali poligrafici per l’elettrocardiogramma, l’attività respiratoria e
l’attività muscolare (109). La poligrafia ha una complessità variabile in relazione al numero di
gruppi muscolari registrati e costituisce l’esame neurofisiologico di scelta nelle sindromi
miocloniche generalizzate (epilessie miocloniche) o focali (sindrome di Kojewnikow) (31).
Sul piano prognostico l’EEG può fornire indicazioni utili. La presenza di anomalie epilettiformi
registrate poche ore o poche settimane dopo una prima crisi epilettica, rappresenta un fattore di
rischio per una seconda crisi, se non trattata, a differenza dei pazienti che non mostrano anomalie
epilettiformi o con EEG normale. Studi effettuati su popolazioni di bambini (119-122) ed adulti
(123-125) mettono in evidenza che l’EEG eseguito entro le prime 24 ore da una prima crisi offre
un’elevata possibilità di rilevare anomalie, anche se deve essere tenuto presente che nelle prime
24-48 ore, c’è un’alta probabilità di evidenziare anomalie transitorie (rallentamento post-ictale) e
quindi da interpretare con cautela. L’EEG eseguito a distanza da una prima crisi non risulta,
invece, predittivo del rischio di ricorrenza (47, 123, 126). Nei bambini, l’EEG mostra anomalie
con maggior frequenza rispetto agli adulti (91). La presenza di anomalie generalizzate si associa ad
un maggior rischio di ricaduta, rispetto ad anomalie focali (124). Questi aspetti devono essere presi
in considerazione nel consigliare l’inizio della terapia dopo una prima crisi.
Nel caso di crisi ripetute l’EEG può fornire ulteriori informazioni se le crisi mostrano un
cambiamento nel tipo e nella frequenza (110).
Il valore prognostico dell’EEG in caso di sospensione della terapia, è controverso e considerato di
secondaria importanza rispetto ad altri fattori clinici (127-129). Una recente revisione metanalitica
ha messo in evidenza che solo 7 studi su popolazioni pediatriche erano in grado di fornire elementi
per un corretto timing d’interruzione della terapia antiepilettica. Tra i parametri sfavorevoli
emergeva la presenza di un EEG anormale e la presenza di crisi parziali. Non vi erano evidenze
sufficienti, invece, circa il ruolo dell’EEG per le epilessie generalizzate dell’infanzia e per la
popolazione adulta (130).
26
2. Strumentazione e materiali
La diagnostica elettroencefalografica in epilettologia richiede un minimo di 21 elettrodi, collocati
secondo il Sistema Internazionale 10-20. Per le epilessie parziali sono richiesti strumenti con
almeno 16 canali, mentre per le epilessie generalizzate il numero può essere anche ridotto. I
montaggi disponibili devono includere i bipolari, longitudinali e trasversali, e referenziali (ad
esempio con gli elettrodi di ciascun emisfero riferiti al lobo auricolare omolaterale). Una
particolare attenzione deve essere posta nel rispettare l’equidistanza e la simmetria tra elettrodi per
evitare false differenze in ampiezza. Gli elettroencefalografi digitali permettono di applicare in
replay montaggi diversi ad una stesso esame, ma ciò non deve indurre a diminuire il tempo di
registrazione (almeno 30 min. liberi da artefatti) in quanto si riduce anche la possibilità di
registrare potenziali patologici. E’ auspicabile che si raggiunga uno standard nei montaggi
impiegati nei diversi laboratori per facilitare la lettura ed il confronto tra materiale proveniente da
fonti diverse.
I parametri di acquisizione sono stabiliti da linee guida internazionali. E’opportuno evitare filtri
per l’attività muscolare ed il notch, in quanto si incorre nel rischio di alterare la morfologia dei
parossismi rapidi e di perdere, p., le punte di bassa ampiezza. La velocità di scorrimento deve
essere di 15 e 30 mm/sec, tenendo presente che le basse velocità possono limitare la
visualizzazione di potenziali lenti o la valutazione di minime asimmetria interemisferiche (109).
3. EEG in età pediatrica
a. Pretermine
Le condizioni del paziente dovrebbero essere chiaramente indicate all’inizio e durante il corso
della registrazione. Nonostante le dimensioni ridotte della testa, il numero di elettrodi deve essere
pari almeno a 9, con montaggi bipolari longitudinali e trasversali. E’ preferibile utilizzare elettrodi
a coppetta e applicati con pasta o collodio; le impedenze devono essere monitorizzate durante la
registrazione. In relazione alla presenza di frequenti artefatti ambientali ed alla peculiarità dei
pazienti, è utile ridurre al massimo la lunghezza dei cavi elettrodici, avvicinando la testina di
preamplificazione alla testa del paziente e registrare, ove necessario, anche canali poligrafici per
l’elettro-oculogramma, l’elettroencefalogramma, l’elettromiogramma e il respiro. La registrazione
deve comprendere fasi di veglia e sonno, con durata pari ad almeno 1 ora. La reattività deve essere
esplorata mediante stimolazione luminosa ripetitiva, stimoli somato-sensoriali (tapping) ed uditivi
(109, 131).
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b. Neonati e bambini
Anche in questa fascia di età è utile segnalare le condizioni del paziente all’inizio e durante il corso
della registrazione. Il numero di elettrodi deve essere il maggiore possibile e simile a quello
dell’età adulta, in quanto aumenta la possibilità di esplorare diverse aree cerebrali. Poiché i
bambini tendono a muoversi molto, risulta spesso utile utilizzare elettrodi a coppetta, applicati con
pasta o collodio, monitorizzando le impedenze durante la registrazione. La registrazione deve
comprendere periodi con occhi chiusi alternati a periodi con occhi aperti e, fasi di veglia e sonno,
possibilmente spontaneo, per aumentare la quantità di informazioni e ridurre gli artefatti (109,
131).
In età pediatrica, secondo alcuni autori, fino al 40% dei pazienti con epilessia che si rivolgono allo
specialista, presentano dubbi interpretativi con sole registrazioni EEG standard intercritiche. In
questi casi è spesso necessario registrare gli episodi dubbi tramite una long-term video-EEG
monitoring che consente di valutare, simultaneamente, l’evento clinico e l’EEG (111).
4. Metodiche di registrazione
La registrazione standard deve iniziare con la calibrazione seguita da prove di apertura-chiusura e
blink oculari (indicati sui tracciati), per il riconoscimento di artefatti da movimenti oculari nel
corso della registrazione. Un utile metodo per il riconoscimento di ritmi delle aree centrali motorie
è l’apertura-chiusura indipendente, della mano destra e sinistra. Le procedure di attivazione
correnti sono:
¾ l’iperventilazione (Hp) per 3 min., seguita da almeno 2 min. di registrazione senza attivazioni,
da ripetere se priva di effetti e se il quesito clinico è di epilessia con assenze. La risposta alla Hp
dipende dalla partecipazione del paziente e dalla maturazione cerebrale. Un’eccessiva
ipersincronizzazione deve porre il sospetto di ipoglicemia.
¾ la stimolazione luminosa intermittente (SLI) deve essere effettuata in treni successivi di 10
sec., intervallati da almeno 7 sec. Ciascuna sequenza di flash comprende 5 sec. ad occhi aperti
seguiti da 5 con occhi chiusi. La lampada deve essere posta ad una distanza di 30 cm. circa. La SLI
non deve essere effettuata durante o prima di 3 min. dalla Hp. Le frequenze ideali sono 1, 2, 4, 6,
8, 10. 12, 14, 16, 18, 20, 60, 50, 40, 30, 25. Alcuni strumenti non hanno un ampio spettro di
frequenze luminose per cui molti laboratori adottano sequenze ridotte, incorrendo nel rischio di
falsi negativi. La SLI deve essere interrotta allorché il paziente avverte una sensazione di
malessere o compare un’attività epilettiforme sull’EEG.
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¾ il sonno aumenta la possibilità di registrare anomalie epilettiformi e può essere richiesto
quando l’EEG standard non mostra alterazioni, nonostante sussista un fondato sospetto clinico per
epilessia, in particolare per un’epilessia focale. Va ricordato che la deprivazione di sonno,
impiegata come mezzo di attivazione o per indurre un sonno spontaneo, può favorire l’insorgenza
di crisi. Sostanze ipnoinducenti vengono talora usate in soggetti poco collaborativi o quando il
sonno non viene raggiunto spontaneamente, ma possono alterare l’EEG (attenuazione di
parossismi od induzione di attività rapida).
¾ la deprivazione di sonno. Negli adulti questo tipo d’attivazione dovrebbe comprendere l’intera
notte, mentre per i ragazzi sopra i 12 anni deve essere il massimo possibile. In molti laboratori,
viene richiesto ai pazienti una deprivazione parziale, che risulta sufficiente se gli ambienti offrono
un buon isolamento e confort e la registrazione avviene nella fase postprandiale. La registrazione
deve contenere fasi di veglia, sonnolenza, ed almeno 40 min. di sonno (possibilmente con stadi 1 e
2). Oltre all’EEG, vanno acquisiti elettrocardiogramma, elettromiogramma submentoniero, elettrooculogramma, talora respirogramma, per escludere artefatti oculari sulle aree frontali e ottenere
uno staging del sonno. La poligrafia consente di affinare le correlazioni fra gli eventi motori
registrati in periferia mediante l’elettromiogramma di superficie e gli eventi cerebrali registrati
dall’EEG. In particolare trova indicazione nell’individuazione del mioclono epilettico.
¾ la polisonnografia per l’intera notte, trova indicazione per la diagnosi di eventi notturni e per
differenziarli da eventi non epilettici; in tali casi è opportuno associare la video-registrazione
(109).
5. Monitoraggio EEG e video-EEG
Nel caso che registrazioni EEG standard o con attivazioni non producano elementi utili alla
diagnosi si deve procedere, in casi selezionati, con registrazioni di lunga durata che possono
andare da alcune ore sino a diversi giorni o settimane.
Questo tipo di esame può essere effettuato con strumenti portatili, al proprio domicilio od in
regime di ricovero, quando vi sia un elevato rischio di crisi o nel caso si voglia osservare in modo
più definito, anche gli aspetti comportamentali.
La registrazione ambulatoriale (EEG dinamico o ambulatoriale) ha il vantaggio di essere effettuata
durante attività abituali, ma contiene molti artefatti, che vengono in genere annullati allorché il
paziente si corica. L’esame è particolarmente utile per quantificare l’attività parossistica
soprattutto in pazienti con epilessie generalizzate o con crisi che sopraggiungono in situazioni
particolari non riproducibili in laboratorio.
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Altra metodica è la video-EEG, utilizzata per esaminare in sincronia comportamento ed attività
bioelettrica cerebrale. Questa può essere applicata per alcune ore in pazienti con crisi frequenti od
impiegata per lo studio long-term video-EEG monitoring, nei casi in cui è richiesta una diagnosi
differenziale tra crisi e pseudocrisi o per studi pre-chirurgici (15, 132, 133). Per quest’ultima
applicazione è necessario un particolare training del tecnico di Neurofisiopatologia, che deve, oltre
ad essere in grado di operare un montaggio soddisfacente con elettrodi con il collodio, seguire il
paziente nel corso della registrazione e testare lo stato neurologico (livello di coscienza, vigilanza,
linguaggio, etc.) e trascrivere i segni clinici (tono muscolare, mioclonie, movimenti distonici o
altre modificazioni motorie positive o negative, deficit del campo visivo, segni vegetativi, etc.)
durante gli eventi critici, oltre che nel corso di attività EEG patologica apparentemente senza
equivalente clinico (109).
6. EEG digitale e jerk back averaging
Per ovviare alla soggettività dell’analisi visiva, è stata proposta una quantificazione dei diversi
parametri dell’ EEG. Tuttavia la loro applicazione clinica, a seconda del tipo di esame, non è
ancora entrata nella routine diagnostica per motivi diversi, quali la mancanza di una validazione, la
complessità tecnica e la relativa rarità dei casi che necessitano di tali indagini.
Le tecniche del dipolo sono le più promettenti. Il modello matematico che rende conto in modo
ottimale dell’attività intercritica è rappresentato sotto forma di uno o più dipoli equivalenti inscritti
in coordinate tridimensionali in una sfera che rappresenta la testa del paziente. Le coordinate
possono essere riportate sulla RM del soggetto. Si realizza in questo modo un approccio non
traumatico di riconoscimento della sorgente del segnale, che integrata con altri segnali di
neuroimaging, può essere utilizzata nel pianificare gli interventi di neurochirurgici e per
migliorarne efficacia e sicurezza (134). Tali metodiche, tuttavia, sono ancora a livello sperimentale
e non sono incluse negli standard per la selezione dei pazienti candidati alla neurochirurgia (15,
135).
La tecnica di jerk back averaging, praticata sempre più spesso dopo l’avvento delle registrazioni
digitali, consente di affinare le correlazioni fra gli eventi motori registrati in periferia mediante
l’elettromiogramma di superficie e gli eventi cerebrali registrati dall’EEG. In particolare nelle
mioclonie di origine corticale consente il calcolo delle latenze fra il potenziale cerebrale e il suo
correlato muscolare periferico. Nel caso di mioclonie corticali o sottocorticali è possibile
l’estrazione progressiva, a partire dall’attività di base, di un potenziale correlato di bassa ampiezza,
assente o mal definito nel corso dell’analisi visiva normale (136, 137).
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7. Potenziali evocati
I potenziali evocati vengono registrati come l'EEG con elettrodi di superficie posizionati sulla testa
e consistono nella reazione elettrica a determinati stimoli sensitivi. Questi potenziali sono
normalmente non riconoscibili in quanto hanno un voltaggio molto basso e sono mascherati
dall'attività EEG. Con una particolare tecnica (ripetizione degli stimoli e sovrapposizione
elettronica o averaging dei singoli tracciati ottenuti) si riesce a filtrare il segnale dei potenziali
evocati dal tracciato EEG. I potenziali evocati vengono utilizzati in epilettologia per determinare
l’eccitabilità corticale. In particolare sono di particolare rilevanza diagnostica i potenziali evocati
somestesici nelle epilessie miocloniche progressive e nelle epilessie parziali idiopatiche per
individuare componenti evocate di ampiezza gigante (138, 139). I potenziali evocati multimodali
possono essere, inoltre, utili nell’iter prechirurgico dell’epilessia per individuare aree corticali di
interesse funzionale (p.e. per definire l’area sensitivo-motoria quando i potenziali evocati sono
associati alla stimolazione magnetica transcranica ed alla risonanza magnetica funzionale).
8. Stimolazione magnetica transcranica
La stimolazione magnetica transcranica è una procedura durante la quale l’attività elettrica del
cervello è influenzata da un campo magnetico temporaneo. La stimolazione magnetica transcranica
è una metodica d’indagine non invasiva che permette, tramite la somministrazione di impulsi
magnetici, di verificare l’integrità funzionale delle vie motorie centrali e di studiare la
localizzazione e le connessioni di aree corticali. Nel campo dell’epilessia la stimolazione
magnetica transcranica trova alcuni specifici campi di applicazione nello studio dell’eccitabilità
corticale e nella determinazione della dominanza emisferica per il linguaggio (140).
9. Magnetoelettroencefalografia
La magnetoelettroencefalografia rileva i campi magnetici prodotti da correnti elettriche all’interno
della corteccia cerebrale. Tale metodica si sta rivelando utile nello studio della localizzazione dei
focolai epilettici, soprattutto di quelli posti in profondità (140). Tuttavia la sua applicabilità nella
selezione e nell’inquadramento dei pazienti candidati ad un intervento di chirurgia delle epilessie è
ancora da definire (15, 135).
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10. Referto EEG
Un referto completo, oltre alla semiologia EEGrafica, deve contenere elementi clinicamente utili e
coerenti al quesito posto dal medico richiedente. Il report dovrebbe indicare:
¾ lo stato del paziente, i problemi neurologici ed internistici, la terapia e, se disponibili,
l’obiettività neurologica e le indagini neuroradiologiche;
¾ il numero di elettrodi, gli elettrodi speciali, lo stato di coscienza del paziente nel corso della
registrazione, le attivazioni eseguite e gli eventuali artefatti;
¾ la descrizione dell’EEG inerente il ritmo postcentrale, l’attività di fondo, asimmetrie, attività
epilettiformi od altre attività patologiche, effetti delle manovre di attivazione;
¾ una conclusione che correli il pattern EEG ad un contesto clinico, possibilmente al quesito
clinico ed alla eventuale prognosi (109).
La terminologia nel referto deve attenersi al glossario proposto dalla International Federation of
Clinical Neurophysiology (142).
11. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 4-1: Nel sospetto di crisi epilettiche l’EEG è utilizzato a scopo diagnostico per
differenziare una crisi epilettica da altri eventi non epilettici, per definire il tipo di crisi e di
sindrome e per stabilire la prognosi del disturbo. Tale esame può, inoltre, fornire indicazioni circa
la necessità di effettuare successivi studi di neuroimmagine ed influenzare, così, la gestione del
paziente.
Sintesi 4-2: La specificità dell’EEG è alta (>95%) mentre la sensibilità raggiunge valori superiori
al 50% solo dopo registrazioni ripetute. La percentuale di positività dell’EEG intercritico è
comunque in funzione della prevalenza dell’epilessia nella popolazione esaminata (più alta nel
bambino).
In un paziente con una prima crisi epilettica l’esecuzione di un EEG è indicata:
Raccomandazione 4.1 (Grado C)
Per definire l’eziologia del disturbo e per stabilire la presenza di un’eventuale sofferenza cerebrale
Raccomandazione 4.2 (Grado C)
Per definire il tipo di crisi e di sindrome
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Raccomandazione 4.3. (Grado C)
In caso di negatività di un primo EEG e di dubbio inquadramento diagnostico è indicato che la
modalità d’esecuzione di un nuovo esame sia consigliata da medici esperti.
In un paziente con epilessia nota l’esecuzione di un EEG è indicata solo:
Raccomandazione 4.4 (Grado C)
Per definire la presenza di crisi subcliniche o valutare una variazione della semiologia delle crisi
Raccomandazione 4.5 (Grado C)
Per definire un’eventuale tossicità della terapia farmacologia
Raccomandazione 4.6 (Grado C)
Per valutare l’efficacia della terapia nelle crisi di assenza e in alcune encefalopatie epilettiche (p.e.
sindrome di West).
Raccomandazione 4.7 (Grado C)
Soprattutto per l’età pediatrica il pannel di esperti di queste linee guida considera indicato
eseguire un EEG per valutare il rischio di ricaduta durante la sospensione della terapia
antiepilettica.
Raccomandazione 4.8 (Grado C)
L’esecuzione d’indagini EEG complesse (polisonnografia, EEG dinamico, video-EEG, long term
video-EEG monitoring) è indicata solo in casi selezionati da medici esperti per ottenere una
diagnosi differenziale tra crisi epilettiche e non epilettiche o per definire più precisamente il tipo di
crisi e d’epilessia.
Raccomandazione 4.9 (Grado C)
La registrazione delle crisi epilettiche tramite long term video-EEG monitoring è indicata solo nei
casi selezionati da medici esperti nell’ambito di una valutazione prechirurgica sia per la
localizzazione dell’area epilettogena che per distinguere le crisi epilettiche dagli eventi non
epilettici.
Altre esplorazioni neurofisiologiche sono da considerarsi integrative per:
Raccomandazione 4.10 (Grado C)
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Confermare la diagnosi di alcune forme di epilessia con alterazioni neurofisiologiche specifiche
(p.e. jerk back averaging e potenziali evocati somestesici nell’epilessie miocloniche)
Raccomandazione 4.11 (Grado C)
Definire aree funzionali corticali nella diagnostica prechirurgica (p.e. potenziali evocati
multimodali, stimolazione magnetica transcranica, dipolo-EEG, magnetoencefalografia).
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V. Immagini cerebrali
Le metodiche di imaging consentono oggi l’acquisizione di dati morfologici e funzionali per
l’identificazione delle anomalie strutturali e le alterazioni di funzione dell’encefalo.
1. Metodiche morfologiche
Le metodiche morfologiche comprendono, in età neonatale fino all’incirca i 18 mesi di età epoca
in cui le fontanelle craniche si chiudono, l’ecografia transfontanellare, la Tomografia
Computerizzata (TC) e la Risonanza Magnetica (RM).
L’ecografia transfontanellare esplora l’encefalo avvalendosi della finestra acustica costituita dalla
fontanella anteriore. Più recentemente sono stati considerati altri approcci oltre a quello
transfontanellare quali, ad esempio, il retromastoideo. Nei pazienti con presenza di discontinuità
ossee relative a pregressi traumi o accessi neurochirurgici la tecnica ecografica può essere
utilizzata anche nella popolazione adulta. Altro impiego delle metodiche ecografiche è quello in
sede operatoria dove vengono utilizzate per il repere di piccole focalità sottocorticali. Accanto al
dato puramente morfologico possono essere impiegate le tecniche che misurano la velocità del
flusso ematico (doppler, ecocolordoppler, power doppler) nei vari distretti encefalici, la cui
riduzione, o il cui aumento in caso di malformazioni vascolari, possono essere correlate alla zona
epilettogena (143-147).
L’ecografia non permette, però, con completezza l’analisi strutturale dello sviluppo corticale, ed è
scarsamente sensibile nel rilevare precoci alterazioni alla base di eventuali encefalopatie
metaboliche epilettogene.
La TC è oggi considerata metodica rapida e sicura. Consente diagnosi di un processo espansivo
neoplastico ed è in grado di evidenziare anomalie vascolari (p.e. aneurismi del circolo encefalico o
malformazioni arterovenose) tramite le acquisizioni di angiografia TC. La sensibilità di questa
metodica nell’evidenziare e nel precisare displasie corticali è bassa mentre è alta nel rilevare la
presenza di calcificazioni parenchimali come quelle riscontrabili nella sclerosi tuberosa, nelle
infezioni da citomegalovirus o in alcune malattie metaboliche come ad esempio la sindrome di
Cockhaine (143, 144, 91, 148-151).
Nella valutazione di anomalie vascolari o nel sospetto di processi espansivi è necessaria l’indagine
dopo somministrazione di mezzo di contrasto endovena. I mezzi di contrasto iodati non ionici oggi
in commercio consentono, grazie alla loro bassa osmolarità, l’impiego in tutte le situazioni, fatta
salva la cautela nei casi di insufficienza degli emuntori parenchimali o nel caso di diatesi allergiche
per le quali deve essere fornita all’operatore adeguata informazione per la necessaria preparazione.
35
In pediatria l’impiego di radiazioni ionizzanti è generalmente sconsigliato (lo prevede anche il
decreto legislativo 187/2000) qualora vi siano altre metodiche che possano fornire l’indirizzo
diagnostico senza l’impiego di dette radiazioni. Pertanto in età pediatrica la TC (diretta) viene
richiesta generalmente in seconda istanza per la ricerca di eventuali calcificazioni endocraniche,
non sempre rilevabili allo studio con RM (143).
L’impiego della TC in pediatria e in età adulta è indicato nelle situazioni di urgenza-emergenza,
qualora si consideri possibile che sia necessario
un intervento chirurgico immediato, nella
traumatologia importante e nella ricerca di emorragie subaracnoidee, per le quali la metodica è
particolarmente sensibile (144, 148-151).
Con la TC possono essere eseguiti studi di perfusione in fase ictale e postictale nell’ambito di
pochi secondi o minuti tramite la studio del mean transit time del mezzo di contrasto
somministrato per vena e la valutazione del rCBF e del Rcbv.
La RM è da considerarsi la metodica di scelta nella valutazione delle sindromi epilettiche per la
sua alta sensibilità anche se a fronte di una specificità non alta. Nei pazienti con epilessia, con
questa metodica, possono essere identificate alcune lesioni strutturali non identificate alla TC. Esse
includono molti casi di sclerosi mesiale temporale, un numero significativo di displasie corticali e
un piccolo numero di altre lesioni che includono alcuni tumori del lobo temporale e gli angiomi
cavernosi (1, 91, 152-173).
La RM permette di evidenziare la tipologia dello sviluppo corticale, sia sotto sia sopratentoriale, lo
stato della mielinizzazione durante l’età dello sviluppo e le sue alterazioni sia di maturazione sia
conseguenti a danni vascolari, tossici, metabolici o genetici. Per la valutazione dello sviluppo
corticale e delle sue anomalie sono indicate le tecniche a strato sottile nelle sequenze tipicamente
morfologiche, e cioè T1 dipendenti. Lo studio con le tecniche gradient echo volumetriche consente
un’analisi fine della morfologia corticale permettendo ricostruzioni multiplanari, e il 3D rendering.
Secondo le varie ditte produttrici di apparecchi di Risonanza vengono denominate con diversi
acronimi, indicanti tuttavia la stessa tipologia di immagine: SPGR, MP-RAGE, 3D- T1 FFE etc.
Le sequenze non in tecnica 3D utilizzabili in cui esiste un alto contrasto tra sostanza bianca e
sostanza grigia, in particolare per il rilievo di focolai di eterotopia neuronale, sono le sequenze FSE
– IR (inversion ricovery).
Per la valutazione delle aree focali di alterato segnale quali, ad esempio, nelle displasie tipo
Taylor, nelle distrofie muscolari congenite, negli astrocitomi, etc., le sequenze T2 sono più
sensibili sia nella versione classica delle sequenze a doppio echo in densità protonica (DP) che in
quelle a lungo echo T2 dipendenti, sia nelle sequenze FSE T2 dipendenti o nelle sequenze FLAIR,
con annullamento del segnale proveniente dal liquor.
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La somministrazione di mezzo di contrasto è richiesta tutte le volte che vi sia il sospetto di
un’alterazione di barriera su base infiammatoria, vascolare, infettiva o neoplastica.
Le controindicazioni all’impiego della RM sono le compromesse capacità vitali che richiedano
l’impiego di numerose linee vitali essenziali, la presenza di stimolatori elettronici e tutto ciò di
ferromagnetico presente all’interno dell’organismo. L’impiego di tecniche ultraveloci consente,
tuttavia, l’acquisizione di scansione nei tre piani dello spazio in un tempo inferiore al minuto e può
costituire una metodica di screening veloce alternativa alla TC.
In particolare l’impiego delle acquisizioni in diffusione permette di evidenziare le aree di alterata
mobilità e diffusione delle molecole d’acqua conseguenti al blocco delle pompe di membrana
(diffusione isotropica). La durata delle acquisizioni in DWI è dell’ordine di poche decine di
secondi e consente di evidenziare alterazioni parenchimali in fase acuta più precocemente delle
altre metodiche (2 ore). L’estensione delle alterazioni può essere tuttavia sopravalutata rispetto
all’alterazione definitiva.
L’impiego della perfusione in RM si avvale di due metodiche, una corrente e l’altra sperimentale.
La metodica corrente si basa sull’utilizzo di mezzo di contrasto somministrato in vena in bolo e
dell’impiego di sequenze echoplanari ad alta risoluzione temporale, consentendo così lo studio
della dinamica vascolare. La metodica sperimentale, denominata Arterial Spin Labelling, consente
di marcare magneticamente gli eritrociti e di seguirne il percorso intracranico, permettendo studi di
perfusione senza l’impiego di mezzo di contrasto.
La spettroscopia in RM permette di valutare la presenza di marcatori metabolici del pool neuronale
(NAA), del pool delle membrane (Cho) e del pool gliale (mI), riferita più frequentemente alla Cr,
la cui stabilità di concentrazione consente di considerarla come referente interno. I pazienti
epilettici evidenziano una riduzione dei valori medi di NAA ed un incremento dei valori di Cho
con conseguente diminuzione del rapporto NAA/Cho + Cr rispetto alla popolazione normale. La
spettroscopia protonica può contribuire alla definizione della lateralità del focus epilettico e alla
identificazione della patologia bilaterale. La spettroscopia con altri metaboliti quali il glutammato,
il GABA ed altri neurotrasmettitori sono oggetto di studio (174, 175).
La RM funzionale (fMRI) consente attraverso la tecnica BOLD, di valutare l’eventuale
attivazione, o deattivazione, metabolica di aree corticali attraverso la somministrazione di
paradigmi specifici. L’impiego clinico maggiore nell’epilessia è quello di valutare la funzionalità
di varie aree corticali in pazienti candidati alla chirurgia (15, 135).
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2. Metodiche funzionali
La SPECT e la PET sono due metodiche funzionali che dovrebbero essere utilizzate nei pazienti
con epilessia solamente quando vi è un’indicazione chirurgica (176, 177).
Per quanto riguarda la SPECT gli studi intercritici non consentono un’affidabile localizzazione del
focolaio epilettogeno, mentre è accurato nella individuazione del focolaio lo studio SPECT durante
la fase critica in caso di crisi focali non precisamente localizzabili. Questo non è di facile
realizzazione dato che l’iniezione del tracciante deve avvenire esattamente all'esordio della crisi e
quindi in fase di monitoraggio continuo. Le immagini ottenute in corso di crisi devono essere
comparate con gli studi effettuati in fase interictale per evidenziare modificazioni anche di grado
modesto. La coregistrazione delle immagini SPECT con quelle RM può aumentare le capacità
localizzatorie.
Per quanto riguarda la PET attualmente solo gli studi intercritici effettuati con FDG e con
Flumazenil si sono dimostrati markers affidabili per la localizzazione del focolaio epilettogeno.
Sebbene con la PET si possano ottenere dati quantitativi del metabolismo del glucosio è più
importante misurare l'utilizzazione relativa del glucosio nelle regioni sospettate di essere
epilettogene comparandole con le regioni controlaterali. In tali situazioni appare utile monitorare
l’EEG durante la fase di uptake cerebrale di FDG (15, 135, 150, 170-172, 176, 177).
3. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 5-1: La RM dell’encefalo è l’esame di scelta per l’identificazione di lesioni strutturali
cerebrali. Nelle situazioni acute e nei pazienti scarsamente collaboranti, o che presentino
controindicazioni all’esecuzione di una RM, la TC cranio rappresenta una valida alternativa.
L’utilizzo di mezzi di contrasto aumenta la sensibilità di tali metodiche nell’identificare anomalie
vascolari o processi espansivi. Nei neonati l’ecografia transfontanellare è considerato l’esame
iniziale più opportuno. La TC è particolarmente utile quando si ricerchino eventuali calcificazioni
endocraniche, non sempre rilevabili dalla RM.
Raccomandazione 5.1 (Grado C)
L’esecuzione di una RM è indicata per definire l’eziologia delle crisi epilettiche soprattutto nelle
seguenti situazioni:
¾ esordio in qualsiasi età di crisi focali sulla base della storia o dell’EEG;
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¾ esordio di crisi inclassificabili o apparentemente generalizzate nel primo anno di vita o
nell’adulto;
¾ presenza di un deficit focale neurologico o neuropsicologico persistente;
¾ difficoltà ad ottenere il controllo delle crisi con farmaci di prima scelta;
¾ perdita del controllo delle crisi con i farmaci o variazioni nel pattern delle crisi che induca il
sospetto di una malattia progressiva.
Raccomandazione 5.2 (Grado C)
In un paziente con crisi epilettiche od epilessia una valutazione tramite TC o RM è indicata come
urgente in presenza di:
¾ un deficit neurologico postictale che non si risolve rapidamente e non è sostenuto da una causa
metabolica evidente;
¾ storia di trauma recente, cefalea persistente, neoplasia, disturbi della coagulazione, stati
d’immunodeficienza.
Sintesi 5-2: Le immagini funzionali RMf, SPECT e PET forniscono informazioni circa il
metabolismo ed il flusso cerebrale. Esse possono essere utilizzate nello studio dei disturbi epilettici
ma sono di limitata utilità clinica nella maggioranza dei pazienti con epilessia. Esse hanno un
importante ruolo complementare nello studio dei pazienti candidati ad un intervento chirurgico.
Raccomandazione 5.3 (Grado C)
L’esecuzione d’immagini funzionali (RMf, SPECT e PET) è ottimale in pazienti valutati da medici
esperti quando, in una prospettiva chirurgica, vi siano dubbi circa l’area di origine delle crisi o per
valutare specifiche funzioni cerebrali a rischio durante l’intervento.
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VI. Indagini di laboratorio e genetica
1. Indagini di laboratorio
Nel bambino, e probabilmente anche nell’adulto, in fase diagnostica iniziale gli esami
ematochimici routinari (emocromo, glucosio, elettroliti, calcio, magnesio, azoto, creatinina,
transaminasi) non appaiono indispensabili in tutti i casi ma dovrebbero essere sempre effettuati in
presenza di una storia, o del riscontro clinico, di una malattia che si associa a vomito, diarrea,
disidratazione, o difficoltà nel tornare allo stato di coscienza precedente (91, 178-180). Possono
essere di una qualche utilità nella diagnostica differenziale tra crisi epilettiche ed eventi non
epilettici la determinazione dei livelli plasmatici di creatininchinasi (elevati nel caso di una crisi
tonico-clonica, normali nella sincope), il dosaggio della prolattina (può essere elevata in caso di
crisi epilettica tonico-clonica, mai elevata nell’isteria), e la determinazione dell’equilibrio acidobase (è possibile il riscontro di un’acidosi sistemica nel caso di una crisi convulsiva) ma nessuno di
questi test è sufficientemente affidabile da poter essere utilizzato di routine (91).
Nei parametri pratici per l’esecuzione di una rachicentesi riportati dall’AAN non vi è, sia nei
bambini sia negli adulti, indicazione che derivi dalla presenza di sole crisi non febbrili. In un
soggetto che presenti una prima crisi epilettica una rachicentesi dovrebbe essere eseguita solo nel
sospetto di una meningite o di una encefalite (91, 181-182).
In caso di una prima crisi uno screening tossicologico dovrebbe essere effettuato, a prescindere
dall’età del soggetto, quando vi sia un qualsiasi sospetto d’assunzione di farmaci o di abuso di
sostanze (91).
Esami specifici alla ricerca di un’eventuale patologia del metabolismo devono essere riservati alle
forme
di
epilessia
che,
per
tipo
di
manifestazioni
critiche,
per
caratteristiche
elettroencefalografiche, per eventuale associazione di arresto/regressione o di ritardo di sviluppo
psicomotorio e/o per presenza di una facies particolare, inducono a sospettare che si tratti di forme
sintomatiche di patologie cerebrali.
In particolare una malattia metabolica ereditaria dovrebbe essere presa in considerazione in
presenza di un bambino con crisi epilettiche intrattabili, spasmi infantili, crisi miocloniche, micro o
macrocefalia, consanguineità, morti non spiegate nella fratria (p.e. SIDS), disturbo neurologico
simile e/o ritardo mentale in un fratello o in parenti stretti, episodi ricorrenti di perdita di
coscienza, associazione di paresi spastica, atassia, disturbi extrapiramidali, cecità o sordità,
progressione o fluttuazione dei sintomi, ritardo del linguaggio, malattia psichiatrica (183, 184).
Quando una malattia metabolica si presenta in epoca neonatale, essa deve essere prontamente
riconosciuta in quanto mette il neonato a rischio di vita o di danni neurologici gravi e irreversibili.
40
Si tratta, pertanto, di una vera situazione d’emergenza. Una patologia metabolica in un neonato
può manifestarsi alla nascita o dopo un intervallo libero variabile che precede l’inizio
dell’alimentazione, e può esprimersi mediante il manifestarsi precoce di difficoltà ad alimentarsi,
diarrea, vomito, polipnea, deficit di crescita, irritabilità, ipotonia o ipertonia, turbe dei movimenti
oculari, mioclono, opistotono, manifestazioni motorie afinalistiche, convulsioni, letargia, coma,
acidosi metabolica, epatomegalia, singhiozzo insistente, dismorfismi.
Le principali indagini di laboratorio che dovrebbero essere eseguite nella pratica clinica nel
sospetto di una malattia metabolica sono:
¾ nel plasma: glucosio, ammonio, aminoacidi, acido lattico, acido piruvico, rapporto
lattato/piruvato, equilibrio acido-base, elettroliti (per la valutazione del GAP anionico), acido
urico, enzimi lisosomiali, (VLCFA), acidi grassi non esterificati (NEFA), spot per acil-carnitine.
¾ nelle urine: ricerca di chetoni e di sostanze riducenti, ricerca di acidi organici (nel sospetto di
un’aciduria organica anche in assenza di acidosi), ricerca dell’acido orotico, test per i
mucopolisaccaridi e per gli oligosaccaridi (quando l’osservazione di una facies gargoile e/o di
epatosplenomegalia e alterazioni scheletriche facciano sospettare una malattia da accumulo), test
della dinitrofenilidrazina (DNPH).
2. Indagini cromosomiche e genetiche
In un soggetto con epilessia l’esecuzione del cariogramma, è indicata quando l’esame obiettivo
pone il sospetto di un’anomalia cromosomica e quando la malattia è associata a ritardo mentale
non diversamente spiegabile. Infatti patologie cromosomiche, compresa la sindrome dell’X fragile
che può interessare entrambi i sessi ma è più frequente nei maschi, sono presenti in una
percentuale rilevante (circa il 10%) dei soggetti con ritardo moderato o grave (185).
Altre situazioni che richiedono un’indagine cromosomica sono la presenza di una storia familiare
di frequenti ed inspiegate sofferenze neonatali o morti in epoca neonatale, di micro o macrocefalia
e ipotonia muscolare con iporiflessia profonda, di malformazioni o dismorfismi e deficit di
accrescimento staturale, e quando non sia possibile una precisa diagnosi eziologica alternativa.
Nelle epilessie idiopatiche, dove è presunta un’eziologia genetica, viene segnalato un maggior
rischio di sviluppo di epilessia per la fratria di un probando affetto nell’ordine del 5%, rispetto al
rischio cumulativo della popolazione generale dell’1-2%. Il rischio aumenta se nella famiglia vi
sono più casi affetti e se il probando presenta un tratto EEG di tipo epilettico. Il rischio per un
nuovo nato da un genitore con epilessia è nell’ordine del 4-6%, più alto se è la madre ad essere
41
affetta. Nelle epilessie sintomatiche, certe o presunte, il rischio familiare è solo lievemente più alto
rispetto alla popolazione generale ed attorno al 2-3 % (26, 186).
In questi anni lo studio di genetica molecolare ha permesso di individuare diverse mutazioni
geniche in rare forme di epilessia idiopatica con trasmissione genetica mendeliana ed in alcune
gravi forme sintomatiche d’encefalopatia epilettogena quali le epilessie miocloniche progressive.
Al momento sono state individuati mutazioni dei canali del potassio voltaggio-dipendenti KCNQ2
e KCNQ3 nelle crisi neonatali benigne familiari (187, 188), mutazioni del canale voltaggio
dipendente SCN2A nelle crisi neonatali-infantili benigne familiari (189), mutazioni delle subunità
alfa-4 e beta-2 del recettore nicotinico dell’acetilcolina nella epilessia autosomico dominante
notturna del lobo frontale (190. 191), mutazioni dei canali del sodio voltaggio dipendenti SCN1A,
SCN2A , SCN1B e della subunità gamma-2 del recettore GABA-A nella epilessia generalizzata
con crisi febbrili plus (192-195), mutazioni del gene della subunità alfa-1 del recettore GABA-A
nella epilessia mioclonica giovanile autosomica dominante (196) e mutazioni del canale del sodio
voltaggio-dipendente SCN1A nella epilessia mioclonica severa dell’infanzia (197). Tali scoperte
hanno fatto inserire queste forme di epilessia tra le canalopatie. Tuttavia, recentemente,
l’individuazione di mutazioni del gene LGI1 o Epitempina, un gene deleto nei tumori gliali,
nell’epilessia autosomico dominante temporale laterale ha evidenziato che altre strutture funzionali
possono essere coinvolti nella patogenesi di queste malattie (198).
Tra le epilessie miocloniche progressive segnaliamo nella malattia di Unverricht-Lundborg la
presenza di mutazioni nel gene che codifica la Cistatina B (199), nella malattia di Lafora mutazioni
di una proteina tirosin-fosfatasi (Laforina) (200), nella epilessia mioclonica a fibre raggiate
(MERRF) mutazioni del DNA mitocondriale (201) e altre mutazioni individuate nelle più rare
forme di Sialidosi e Ceroidolipofuscinosi (202).
3. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 6-1: Gli esami ematochimici routinari sono spesso normali dopo una prima crisi non
provocata o non mostrano alterazioni significative correlate alla malattia. Il dosaggio della
creatinchinasi, della prolattina e la valutazione dell’equilibrio acido base possono essere d’aiuto
per distinguere una crisi convulsiva da un evento non epilettico ma nessuno di questi test è
sufficientemente affidabile per essere utilizzato di routine per questo scopo.
Raccomandazione 6.1 (Grado C)
42
L’esecuzione di esami ematochimici di routine è indicata solo quando si sospetti che la crisi sia
provocata da un’alterazione metabolica soprattutto in presenza di anamnesi o di riscontro clinico
di:
¾ vomito
¾ diarrea
¾ disidratazione
¾ difficoltà nel recuperare lo stato di coscienza precedente
Raccomandazione 6.2 (Grado C)
L’esecuzione di una rachicentesi è indicata solo se vi è il sospetto clinico che la crisi epilettica sia
sintomatica di una meningite o di un’encefalite.
Raccomandazione 6.3 (Grado C)
L’esecuzione di esami ematochimici per uno screening tossicologico è indicato solo quando vi sia
un qualsiasi sospetto d’assunzione di farmaci o di abuso di sostanze che possono aver indotto la
crisi epilettica.
Sintesi 6-2: La maggioranza dei pazienti con epilessia non presenta alterazioni metaboliche e/o
genetiche conosciute.
Raccomandazione 6.4 (Grado C)
L’esecuzione di specifici test di laboratorio e di genetica è indicata solo in casi valutati da
personale esperto quando si sospetti che le crisi epilettiche siano sintomatiche di una malattia
associata a tali alterazioni, spesso caratterizzata anche da:
¾ resistenza al trattamento
¾ peculiare pattern EEG
¾ arresto, regressione o ritardo di sviluppo psicomotorio
¾ presenza di dismorfismi facciali o somatici
Sintesi 6-3: Nelle forme più comuni di epilessia idiopatica non vi sono controindicazioni ad una
nuova gravidanza anche se il rischio di sviluppare un’epilessia nel nuovo nato è maggiore rispetto
a quello della popolazione generale.
43
Raccomandazione 6.5 (Grado C)
In pazienti con epilessia che desiderino programmare una gravidanza è indicata una consulenza da
parte di medici esperti per indicare la percentuale del rischio della trasmissione genetica della
malattia e per conoscere la possibilità d’effettuare, preliminarmente, test diagnostici specifici.
44
VII. Neuropsicologia
La valutazione neuropsicologica non è essenziale per la diagnosi di crisi epilettiche o di epilessia.
Tuttavia può divenire utile, o anche necessaria, in relazione a specifici eventi che intervengono nel
corso della vita di questi pazienti. Nell’esecuzione di ciascuna valutazione non si può prescindere
dalle notizie che riguardano le crisi, la sindrome epilettica e la terapia in corso (203-206).
1. Valutazione del livello cognitivo globale
Può rendersi necessario quando sia richiesto d’obiettivare un giudizio di disabilità. Non esiste un
consenso sull’utilità di applicare tale giudizio, anche quando richiesto per fini d’accesso a benefici
assistenziali generici, per le inevitabili ricadute negative che possono essere comunque presenti.
Tali ricadute sono legate a fattori culturali e sociali riguardanti la percezione della malattia
epilettica nella popolazione generale ed a fattori locali (p.e. l'atteggiamento delle commissioni di
invalidità o delle commissioni militari rispetto all'equivalenza tra la condizione di invalidità o
riforma e capacità di guida, o preclusione di accessi accademici o lavorativi). La valutazione
cognitiva globale di un paziente con epilessia è, quindi, da considerarsi non neutrale ai fini degli
esiti.
Test di livello cognitivo sono inseriti in quasi tutte le batterie per l'epilessia. Le valutazioni per
gruppi hanno dimostrato la presenza di una correlazione inversa tra livello cognitivo ed età di
esordio delle crisi (207) mentre una correlazione più debole è stata riscontrata con il numero totale
di crisi generalizzate tonico-cloniche presentate dal soggetto (208).
I test più frequentemente utilizzati per la valutazione di livello sono le Matrici Progressive di
Raven nelle varie forme (PM38, CPM, PM47, PM47 advanced), la WAIS-R per adulti e la
versione per bambini (203-308).
2.Valutazioni di idoneità a compiti specifici.
La valutazione di competenze specifiche richiederebbe, formalmente, la disponibilità di confronti
di popolazione (epilessia verso non epilessia) per ogni singola attività certificata. Tali confronti
sono però disponibili solo per la guida di autoveicoli (209, 210) e mancano per le altre attività
professionali e ricreative. Possono essere rilevanti al fine della valutazione la stima delle risorse
attentive e della memoria di lavoro, in particolare quando il giudizio d’idoneità si riferisce ad
operazioni nelle quali la tempistica della risposta è critica per il risultato (211). Le abilità cognitive
45
implicate (attenzione sostenuta e divisa, suscettibilità all'interferenza, soluzione di problemi,
programmazione e pianificazione) sono valutabili con strumenti standardizzati nella popolazione
italiana (212).
La ricerca della presenza di un disturbo cognitivo transitorio, può essere consigliata quando siano
difficilmente obiettivabili le manifestazioni cliniche delle crisi, siano presenti scariche EEG
relativamente frequenti e con durata <3 sec. e/o vi sia il sospetto di un disturbo cognitivo non
percepito (213). Tale valutazione può richiedere l'esecuzione dei test neuropsicologici
monitorizzando contemporaneamente l’EEG ed è opportuna la rilevazione di tempi di reazione
semplici e con scelta, e l’esecuzione di prove di attenzione continua, sostenuta, con compiti
distraenti (paradigma di Brown-Peterson). Critico il criterio di continuità del test che deve coprire
un tempo sufficientemente lungo e con livelli di performance relativamente costanti. La memoria a
breve termine sembra particolarmente sensibile alle scariche subcliniche (214).
3.Valutazione di disturbi soggettivi di rilevanza clinica.
Il disturbo di gran lunga più frequentemente lamentato dai pazienti con epilessia è quello di
memoria che spesso, se indagato, è più propriamente un disturbo di memoria di lavoro o di
recupero degli item, probabilmente legato ad un deficit d’estensione della codificazione
dell’informazione verbale (215). Dall'affermazione precedente deriva la necessità di non limitarsi
ad esami elettivi di alcune funzioni specificatamente riferite deficitarie, ma di considerare, anche,
il contributo delle altre componenti (indagine di profilo) (207).
Nella valutazione di un disturbo soggettivo interferente e persistente deve essere anche considerato
il possibile effetto dei farmaci antiepilettici e delle crisi paucisintomatiche o subcliniche (207, 208,
216, 217).
4.Valutazione delle competenze cognitive lobari.
Questa valutazione è generalmente attinente alle procedure di trattamento chirurgico ed è orientata
a valutare le abilità specifiche del soggetto in relazione sia alla patologia di organo sottostante,
quando presente, che agli effetti locali ed a distanza della scarica epilettica. La localizzazione della
dominanza emisferica e delle aree sensibili del linguaggio è il principale obiettivo in funzione
dell'intervento (203-205, 218).
46
La valutazione neuropsicologica perichirurgica consta sia dell'esame esteso delle funzioni
strumentali che di un esame di livello cognitivo. Essa è poi associata ad una valutazione
neuropsicologica delle manifestazioni cliniche delle crisi che non può prescindere dalla
valutazione in video-EEG. In casi dubbi la valutazione della dominanza emisferica deve essere
effettuata ricorrendo al test di Wada (15, 135).
L’esame neuropsicologico in funzione della chirurgica, è anche condizionato dalla necessità di
valutare le variazioni indotte dall’intervento chirurgico.
5.Valutazione neuropsicologica in età evolutiva
Una valutazione neuropsicologica estesa, che comprenda l’assessment dell’intelligenza, delle
abilità linguistiche, mnesiche, percettive, attentive e dell’apprendimento scolastico è spesso
indicata in età evolutiva. Questa ha lo scopo di stabilire un livello base di funzionamento verso il
quale confrontare un eventuale cambiamento legato a fattori inerenti il paziente (età cronologica,
fase di sviluppo, livello di plasticità del sistema nervoso centrale al momento dell’insorgenza
dell’epilessia) e l’epilessia (patologia sottostante, tipo, gravità e frequenza delle crisi, terapia).
Scopo dello studio neuropsicologico del bambino con epilessia è quindi quello di identificare il
profilo del funzionamento cognitivo attraverso un’analisi delle aree di maggiore capacità e di
debolezza al fine d’intervenire tempestivamente per ridurre le eventuali disabilità. La valutazione
cognitiva/neuropsicologica, inoltre, dovrebbe essere svolta il più precocemente possibile e quindi
anche nel bambino in fase pre-scolare, al fine di documentare l’emergenza o meno delle principali
funzioni (p.e. linguaggio), tracciandone il percorso al fine di identificare sviluppi lenti, in ritardo o
atipici (204-205).
La valutazione del funzionamento cognitivo e adattativo dovrebbe essere rivolta a tutti i pazienti
con epilessia in età pediatrica, a prescindere dall’età cronologica e dalla gravità dell’epilessia,
attraverso strumenti età-specifici che, tuttavia, non sono sempre disponibili per la popolazione
italiana. Pazienti d’età prescolare e pazienti gravemente compromessi, in virtù della
farmacoresistenza e del quadro neuroradiologico, dovrebbero essere valutati abbastanza
precocemente con scale di profilo cognitivo e di abilità comunicative globali, quali le Griffiths
Developmental Scales e questionari sullo sviluppo linguistico redatti dai genitori (219). I pazienti
con epilessie unilobari possono necessitare, invece, di valutazioni neuropsicologiche più selettive
tese ad evidenziare anche i disturbi minimi del linguaggio, della memoria, dell’attenzione, delle
abilità spaziali che però possono interferire, nelle prime fasi dell’età scolare, con l’apprendimento
della lettura, della scrittura e del calcolo.
47
Alcuni standard per la valutazione cognitiva/neuropsicologica del bambino sono stati proposti
all’interno del gruppo di studio di neuropsicologia della Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE)
(220). Le prove del protocollo neuropsicologico di primo livello sono state selezionate sulla base
della loro sensibilità nel rilevare i deficit che più comunemente si associano all’epilessia in età
evolutiva, alla loro congruenza con i modelli teorici cognitivistici delle funzioni mentali, alla
disponibilità di dati normativi sulla popolazione italiana e alla facile reperibilità degli strumenti
psicodiagnostici. Le prove forniscono informazioni sul funzionamento intellettivo e sulle funzioni
cognitive di base (memoria, attenzione, percezione, linguaggio), pre-requisiti dei successivi
apprendimenti.
6. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 7-1: L’esame neuropsicologico è spesso normale in pazienti con epilessia e non è utile per
porre o confermare la diagnosi di crisi epilettiche. La sua esecuzione può, tuttavia, risultare
necessaria in relazione a specifici eventi che intervengono nel corso della vita di questi pazienti.
Nell’esecuzione di ciascuna valutazione non si può prescindere dalle notizie che riguardano le
crisi, la sindrome epilettica e la terapia in corso.
Nell’adulto con epilessia l’esecuzione di specifici test neuropsicologici è indicata solo come
valutazione integrativa per:
Raccomandazione 7.1 (Grado C)
Valutazioni globali del livello cognitivo in relazione alla necessità d’individuare disabilità o
comunque condizioni di svantaggio nell’ambito dell’apprendimento e del conseguimento
d’obbiettivi scolastici o lavorativi
Raccomandazione 7.2 (Grado C)
Valutazioni d’idoneità a compiti specifici nell’ambito delle attività quotidiane, lavorative e
ricreative
Raccomandazione 7.3 (Grado C)
Valutazione di disturbi soggettivi di rilevanza clinica (generalmente attenzione e memoria) che
possono essere in relazione sia agli effetti del trattamento farmacologico, che all’occorrenza di
crisi subcliniche.
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Raccomandazione 7.4 (Grado C)
Nel bambino con epilessia l’esame neuropsicologico è indicato per valutare l’interferenza della
malattia sulle tappe dello sviluppo cognitivo e sull’apprendimento.
Raccomandazione 7.5 (Grado C)
Nel bambino e nell’adulto con epilessia l’esame neuropsicologico è indicato per la valutazione
delle competenze cognitive lobari in ambito perichirurgico.
49
VIII.Terapia farmacologica
1. Quando iniziare una terapia antiepilettica
La decisione di iniziare o meno una terapia antiepilettica deve tenere conto sia dei rischi derivanti
dalla probabilità che altre crisi possano presentarsi che dei possibili effetti tossici (allergici ed
idiosincrasici o cronici) conseguenti all’uso dei farmaci antiepilettici. Fattori psicologici e sociali
devono essere attentamente valutati. E’ necessario fornire al paziente tutte le informazioni e
coinvolgerlo in modo determinante in questo processo decisionale. In Allegato 17.6 sono riportati i
principali farmaci antiepilettici utilizzabili in Italia.
2. Probabilità di ricorrenza dopo una prima crisi
Vari studi sono stati condotti per calcolare il rischio di una seconda crisi dopo una prima crisi
tonico-clonica non provocata. La variabilità dei risultati osservati, ed alcuni possibili problemi
metodologici, non consentono di formulare stime assolute del suddetto rischio. Alcuni autori (46)
hanno osservato che la probabilità di presentare una nuova crisi entro il quinto anno è del 30%
nelle epilessie idiopatiche e del 45% nelle forme remote sintomatiche. Tuttavia, negli studi in cui il
reclutamento dei pazienti era stato effettuato entro una settimana dalla prima crisi la probabilità di
ricaduta risultava essere molto più elevata (fino all’80%) (88, 90).
Uno studio italiano ha dimostrato che il rischio di ricaduta dopo una prima crisi tonico-clonica non
provocata è ridotto dal 51% al 25% se è stata iniziata una terapia con farmaci antiepilettici (48).
3. Primo farmaco da utilizzare nelle crisi parziali e tonico-cloniche (sindromi
epilettiche focali sintomatiche)
Il primo studio clinico che ha confrontato quattro farmaci antiepilettici tradizionali (fenitoina,
carbamazepina, primidone, fenobarbital) in pazienti adulti di nuova diagnosi (pazienti in cui per la
prima volta viene deciso di trattare farmacologicamente l’epilessia) è stato eseguito nel 1985 da
Mattson et al (221). In questo studio la retention analysis (una misura globale di efficacia e
tollerabilità) ha evidenziato che il fenobarbital, la fenitoina e la carbamazepina hanno un rapporto
efficacia/tollerabilità non significativamente diverso nel controllare le crisi tonico-cloniche mentre
50
il primidone è meno tollerato. Nel trattamento delle crisi parziali, la carbamazepina e la fenitoina
risultano migliori del fenobarbital e del primidone.
In uno studio successivo, anch’esso eseguito in pazienti di nuova diagnosi, il valproato è stato
confrontato alla carbamazepina. E’ stato osservato che il valproato e la carbamazepina erano
egualmente efficaci nel controllare le crisi tonico-cloniche secondariamente generalizzate. La
carbamazepina, tuttavia, era significativamente più efficace del valproato nel controllare le crisi
parziali sia semplici che complesse (222).
Per alcuni dei nuovi farmaci antiepilettici (oxcarbazepina, lamotrigina, vigabatrin) sono stati
eseguiti e sono stati pubblicati studi clinici in pazienti di nuova diagnosi in cui il nuovo farmaco è
stato confrontato ad un farmaco tradizionale, che nella maggior parte dei casi era la
carbamazepina.
In uno degli studi comparativi il vigabatrin è risultato essere significativamente meno efficace del
farmaco di riferimento (carbamazepina) in una delle misure primarie di efficacia (tempo intercorso
tra l’inizio del trattamento e la recidiva delle crisi) (223).
Nei quattro studi clinici che sono stati effettuati con la oxcarbazepina (224-227) tale farmaco è
sempre risultato essere di efficacia non differente rispetto al farmaco di riferimento. Tuttavia in tre
dei quattro studi, la oxcarbazepina era meglio tollerata.
Per quanto riguarda la lamotrigina sono stati pubblicati cinque studi clinici (228-232). Anche in
questo caso la lamotrigina è sempre risultata essere di efficacia non differente rispetto al farmaco
di riferimento ma meglio tollerata. Infatti solo nello studio di Steinert et al. (232) non è stata
osservata una diversa tollerabilità tra lamotrigina e fenitoina. In un recente studio, infine, la
lamotrigina ed il gabapentin sono risultati essere di efficacia e tollerabilità non significativamente
differente (233).
Per valutare se esistono differenze significative di efficacia e/o tollerabilità tra i farmaci
comunemente utilizzati come di prima scelta sono state eseguite alcune metanalisi. Sono stati
valutati tutti gli studi in cui sono stati confrontati in questa popolazione di pazienti la
carbamazepina con la fenitoina (234), la fenitoina con il valproato (235), la carbamazepina con il
fenobarbital (236), la fenitoina con il fenobarbital (237) e la carbamazepina con il valproato (238,
239). In estrema sintesi le misure pure di efficacia (tempo intercorso tra la randomizzazione e la
crisi successiva, numero di pazienti che non presentano crisi per 6 e/o 12 mesi, etc.) hanno
evidenziato differenze significative solo tra la carbamazepina ed il valproato. La carbamazepina è
risultata più efficace del valproato nel trattamento delle crisi parziali (239). In tutti gli altri
confronti le misure di efficacia non hanno evidenziato alcuna differenza significativa tra i farmaci
confrontati. La retention analysis ha evidenziato una differenza significativa solo tra
carbamazepina o fenitoina e fenobarbital. I pazienti randomizzati a quest’ultimo farmaco
51
sospendevano il trattamento con maggiore frequenza rispetto ai pazienti randomizzati a
carbamazepina (236) o fenitoina (237). In assenza di differenze significative sulle misure di
efficacia, questo dato potrebbe essere interpretato come conseguenza di una minore tollerabilità del
fenobarbital.
In conclusione il fenobarbital, la fenitoina, il primidone, la carbamazepina ed il valproato sono
sempre stati usati come farmaci di prima scelta nel trattamento dei pazienti di nuova diagnosi
affetti da crisi parziali e/o crisi tonico cloniche secondariamente generalizzate. Per due nuovi
farmaci (oxcarbazepina, lamotrigina) vi sono informazioni che complessivamente mostrano una
efficacia comparabile ma in alcuni casi una migliore tollerabilità rispetto ai farmaci tradizionali.
In assenza di una chiara dimostrazione di diversa efficacia, la scelta deve quindi orientarsi sulla
base del criterio della tollerabilità, della facilità d’utilizzo e dei costi. Poiché la tollerabilità dei
farmaci antiepilettici sembra essere diversa in diverse popolazioni (anziani, bambini, sesso
femminile in particolare durante il periodo fertile) e la modalità d’utilizzo può essere condizionata
dalle diverse situazioni cliniche, la scelta del farmaco più opportuno nel singolo paziente pone
problemi complessi e non può essere sempre considerato di primo impiego un solo farmaco in tutte
le circostanze. Bisogna anche considerare il costo che è molto più elevato per i nuovi farmaci,
oxcarbazepina, lamotrigina e gabapentin, e che uno di essi, il gabapentin, non ha l’approvazione
come monoterapia mentre la lamotrigina non è stata ancora approvata in Italia come monoterapia
sotto i 12 anni.
E’ stato recentemente pubblicato il risultato di un’indagine condotta su 50 esperti epilettologi
americani (240) in cui veniva richiesto di esprimere una preferenza per il farmaco di scelta in vari
contesti clinici. La carbamazepina è risultata essere il farmaco di prima scelta nel trattamento delle
epilessie con crisi parziali semplici, parziali complesse e secondariamente generalizzate. La
fenitoina, oxcarbazepina e lamotrigina, nell’ordine, sono stati i farmaci considerati di prima scelta
subito dopo la carbamazepina.
4. Epilessie focali benigne dell’ eta’ evolutiva (sindromi epilettiche focali
idiopatiche).
In queste sindromi non è stata rilevata superiorità fra fenobarbital, carbamazepina e valproato o
nessun trattamento (241) e l’utilizzo di un farmaco dovrebbe essere considerato solo in soggetti
con crisi frequenti e/o crisi durante la veglia o quando le crisi comportino importanti problemi
psicologici e di gestione all’interno della famiglia (242). I farmaci più utilizzati in queste sindromi
sono la carbamazepina e il valproato (31).
52
5. Primo farmaco da utilizzare nelle crisi generalizzate (sindromi epilettiche
generalizzate idiopatiche)
La carbamazepina e la fenitoina non sono efficaci nel trattamento delle crisi di assenza e delle crisi
miocloniche e sono poco efficaci per il trattamento delle crisi tonico-cloniche che si presentano nel
contesto di una epilessia mioclonica giovanile (92-97). Non vi sono evidenze d’efficacia nelle
epilessie generalizzate per la maggior parte dei nuovi farmaci quali vigabatrin, oxcarbazepina,
gabapentin, felbamato, tiagabina, levetiracetam. Vi sono invece alcune osservazioni secondo cui in
alcune sindromi epilettiche generalizzate alcuni farmaci possono aggravare la frequenza e/o
l’intensità delle crisi (243). In particolare questo è stato osservato per la carbamazepina (244), la
fenitoina (245), il vigabatrin (246), la lamotrigina (247) e la tiagabina (248).
Il valproato è efficace su tutti i tipi di crisi epilettiche generalizzate e, inoltre, solo eccezionalmente
è stato considerato come possibile causa di un aggravamento delle crisi (249). L’etosuccinimide è
efficace per il trattamento delle crisi di assenza ma non delle crisi generalizzate (250). Anche la
lamotrigina è efficace per il trattamento delle crisi d’assenza (251, 252) tuttavia tale farmaco non
ha ancora in Italia l’approvazione per essere utilizzato nei pazienti con età inferiore a 12 anni.
Nonostante non vi siano sicure evidenze che indichino il valproato come farmaco di prima scelta
nelle epilessie generalizzate (239), la valutazione degli esperti lo considera tale in tutti i tipi di crisi
generalizzate sia per quanto riguarda le forme idiopatiche che quelle sintomatiche. Sono
considerati come possibile alternativa al valproato la lamotrigina ed il topiramato per il trattamento
delle crisi tonico-cloniche e delle crisi miocloniche. Questi stessi farmaci sono stati, nell’ordine,
considerati come possibile alternativa al valproato per il trattamento delle assenze atipiche nelle
epilessie generalizzate sintomatiche. Alternative al valproato nel trattamento delle assenze tipiche
delle forme idiopatiche potrebbero essere invece nell’ordine la etosuccinimide e la lamotrigina
(240).
6. Epilessie generalizzate sintomatiche
Nella sindrome di West, per quanto sia riportata una evoluzione favorevole spontanea nel 10% dei
pazienti (253), una terapia precoce e personalizzata in rapporto alla patologia di base è quasi
sempre necessaria per ottenere il controllo delle crisi e delle anomalie parossistiche
elettroencefalografiche. I farmaci più efficaci sono considerati gli steroidi ed il vigabatrin. Alcuni
pazienti, inoltre, possono rispondere positivamente al trattamento con valproato, benzodiazepine
53
(soprattutto nitrazepam), lamotrigina, alte dosi di piridossina, topiramato, zonisamide (254). La
carbamazepina, invece, può aggravare il quadro clinico (255).
Per l’utilizzo di steroidi, sono in uso vari schemi terapeutici, sia per quanto riguarda il tipo che la
dose e la durata del trattamento. Sono stati pubblicati, tuttavia, solo pochi studi comparativi. In uno
studio in doppio cieco (256) ACTH ad alte dosi per un ciclo di 2 settimane si è dimostrato
superiore a 2 settimane di prednisone mentre un altro studio (257) precedente non aveva trovato
tale differenza. La percentuale di risposta (cessazione degli spasmi) è simile sia in pazienti trattati
con alte dosi di ACTH (150 U.I. m2/die) che con basse dosi (20-30 UI die) se si combinano i
risultati degli studi di Hrachowy (258) e Yanagaki (259) che riportano valori di cessazione degli
spasmi nei due regimi terapeutici rispettivamente del 79.5% e 76.5%. Nei due studi anche la
percentuale di recidiva non varia molto in base alla dose somministrata. L’efficacia dipende anche
dalla durata del trattamento (260). Dopo il primo ciclo di terapia le recidive vanno dal 33% (251)
al 56% (261).
Il vigabatrin è efficace negli spasmi infantili di ogni eziologia, come dimostrato da uno studio in
doppio cieco versus placebo (261). Nei pazienti con sclerosi tuberosa la risposta con tale farmaco è
superiore alla terapia con steroidi (263).
La percentuale di soppressione degli spasmi nei casi di nuova diagnosi senza precedente ritardo
psicomotorio dipende dalla eziologia. Il vigabatrin è efficace nel 90% dei casi con sclerosi
tuberosa e displasia corticale focale e nel 70% dei casi criptogenici. In questa popolazione la
percentuale di successo raggiunge il 100% se si aggiungono gli steroidi ai pazienti che non
rispondono al vigabatrin in monoterapia (264-265). Tuttavia la durata del trattamento con
vigabatrin dovrebbe essere limitata per i possibili effetti del farmaco sui campi visivi. Recenti
segnalazioni suggeriscono una possibile efficacia del vigabatrin anche per trattamenti ≤ a 6 mesi
(266).
Nella Sindrome di Lennox-Gastaut il trattamento farmacologico è generalmente insoddisfacente ed
è spesso necessaria una politerapia a causa della presenza di più tipi di crisi. Le benzodiazepine,
soprattutto clobazam, e il valproato sono i farmaci consigliati dalla maggior parte degli autori. Il
valproato è efficace nelle assenze; nelle assenze amiotoniche può essere utile l’aggiunta di
etosuccimide. Le benzodiazepine sono efficaci in tutti i tipi di crisi incluse le crisi toniche, tuttavia
l’efficacia spesso transitoria obbliga a utilizzarle alternativamente con altri farmaci (267). Alcuni
dei nuovi farmaci si sono dimostrati efficaci come terapia aggiuntiva: la lamotrigina è efficace su
tutti i tipi di crisi maggiori (268), il topiramato è efficace nel ridurre i drop attack e le crisi motorie
(269-270), il felbamato si è dimostrato efficace (271) ma è utilizzabile solo in casi selezionati a
causa del maggior rischio di grave tossicità (vedi dopo). La stimolazione vagale (272), terapie
immunomodulatorie e molti tipi di dieta, inclusa la dieta chetogena, sono stati utilizzati ma non
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esistono studi controllati (273-275). Alcuni pazienti possono essere considerati per interventi
chirurgici di resezione di una lesione sottostante localizzata (276) o di callosotomia (15).
7. Crisi non classificabili
Se le crisi non sono classificabili viene consigliato di iniziare il trattamento con valproato Le crisi
non classificabili possono essere considerate focali sintomatiche/probabilmente sintomatiche se
iniziano dopo 25 anni. In tale caso possono essere utilizzati carbamazepina o gli farmaci indicati su
questo tipo di crisi (1).
8. Cosa fare se il primo farmaco è inefficace
Un recente studio mostra che il 47% dei pazienti trattati con dosaggi appropriati di un farmaco
antiepilettico di prima scelta riesce ad ottenere un completo controllo delle crisi (277). La
probabilità di non rispondere alla terapia iniziale è in relazione a molti fattori, ma soprattutto varia
in relazione alla sindrome di cui il soggetto è affetto. In caso di non risposta al primo farmaco una
discreta percentuale di pazienti trae giovamento da una monoterapia con un altro farmaco
antiepilettico (277) oppure dall’aggiunta di un nuovo farmaco alla terapia precedente (278). Non vi
sono dati che mostrino quale delle due opzioni sia preferibile (280). Da una indagine condotta per
indagare le preferenze di un gruppo di esperti emerge che quasi tutti gli esperti considerano
preferibile, se inefficace il primo farmaco, provare una seconda monoterapia con un altro farmaco
di prima scelta (240). Dopo il fallimento di una seconda monoterapia l’accordo su cosa fare è
molto minore. Alcuni preferiscono provare una terza monoterapia mentre altri optano per
l’aggiunta di un altro farmaco (biterapia). Non vi sono studi che confrontino direttamente quale
tipo di terapia d’associazione preferire e la scelta, nel singolo caso, si basa, prevalentemente, su
considerazioni circa il tipo di sindrome epilettica e i meccanismi d’azione, le caratteristiche
farmacocinetiche e di tollerabilità dei farmaci da associare.
Nelle forme di epilessia sintomatica, con crisi parziali e/o secondariamente generalizzate, oltre che
i tradizionali farmaci antiepilettici (carbamazepina, fenitoina, valproato e fenobarbital) tutti i nuovi
farmaci in commercio in Italia (felbamato, gabapentin, levetiracetam, lamotrigina, oxcarbazepina,
tiagabina, topiramato, vigabatrin) sono efficaci come terapia d’associazione. Le valutazioni
metanalitiche effettuate sugli studi clinici controllati verso placebo che hanno preceduto l’entrata
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in commercio dei nuovi farmaci indicano che non vi sono significative differenze tra di loro anche
se sono stati osservati importanti trend a favore di alcuni di questi (280-282).
La presenza di differenti effetti collaterali e l’assenza di chiare prove di una differente efficacia
precludono la possibilità di formulare delle indicazioni incontrovertibili su quale farmaco preferire
come primo da aggiungere ad una precedente monoterapia. Bisogna, tuttavia, sottolineare che, per
il maggior rischio di reazioni avverse idiosincrasiche gravi, il vigabatrin ed il felbamato devono
essere usati solo in casi particolari.
Come abbiamo già detto è infatti oggi noto che il vigabatrin causa una riduzione concentrica dei
campi visivi in circa un terzo dei pazienti trattati che è sempre irreversibile, anche se asintomatica
nella maggior parte dei casi. In pazienti trattati con tale farmaco è pertanto necessario effettuare
controlli periodici (circa ogni sei mesi) dei campi visivi con perimetria cinetica di Goldman o
statica di Humphrey (283). Per l’età pediatrica sono state recentemente formulate delle
raccomandazioni concernenti sia l’uso del vigabatrin sia l’esecuzione dei controlli del campo
visivo. In queste viene ribadito che il vigabatrin deve essere prescritto con cautela nei bambini,
soprattutto se coesistono altri fattori di rischio di sviluppare un difetto del campo visivo, e solo
quando altre associazioni farmacologiche sono risultate inefficaci. Nei bambini di età cognitiva
superiore a 9 anni dovrebbe essere eseguito l’esame dei campi visivi ogni sei mesi. Per bambini di
età cognitiva inferiore non sono ancora disponibili tecniche standardizzate, anche se sembrano utili
l’elettroretinografia e i potenziali evocati visivi con particolari sistemi di stimolazione (284).
Il trattamento con felbamato, è stato invece associato ad anemia aplastica e ad epatotossicità con
una incidenza calcolata essere rispettivamente di 1/5,000 e 1/26,000 pazienti trattati (285). I
pazienti sottoposti a tale trattamento dovrebbero essere istruiti a riconoscere i segni precoci degli
effetti del farmaco sul sistema ematopoietico o sul fegato (aumento del tempo di sanguinamento,
cambiamento del colore della pelle, stanchezza, febbre, cambiamento del colore delle feci, etc.). E’
inoltre indicato il monitoraggio dell’emocromo e degli enzimi epatici all’inizio della terapia ed
ogni 7-14 giorni durante il primo anno di terapia anche se non vi sono prove che il monitoraggio di
questi esami sia un’efficace misura preventiva (286).
Per tali motivi vigabatrin e felbamato possono essere utilizzati nel trattamento di gravi forme di
epilessie generalizzate dell’infanzia, il vigabatrin nel trattamento della sindrome di West e il
felbamato nella sindrome di Lennox-Gastaut, o focali, anche dell’adulto, ma solo quando sono già
state provate senza successo altri farmaci o quando si ritenga che il rischio degli effetti avversi sia
giustificato dai possibili vantaggi.
Le epilessie generalizzate idiopatiche sono controllate da una monoterapia con valproato in una
elevata percentuale di casi. Nell’epilessia con assenze tipiche dell’infanzia, le assenze sono ben
controllate dal solo valproato in circa il 90% dei casi (287). Nel caso di persistenza delle assenze si
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può provare ad associare etosuccimide (288). Se sono presenti assenze e crisi tonico-cloniche ed il
valproato è causa di effetti avversi che ne precludono l’uso, all’etosuccinimide è indispensabile
associare un farmaco efficace sulle crisi tonico-cloniche (250).
Nelle epilessie con crisi miocloniche è stata dimostrata l’efficacia della terapia aggiuntiva con
lamotrigina (289). La lamotrigina (290) e il topiramato (291) sono risultati efficaci come terapia
aggiuntiva delle crisi tonico-cloniche. Il clonazepam è efficace sia sulle crisi miocloniche sia sulle
generalizzate tonico-cloniche ma è potenzialmente sedativo e spesso si determina tolleranza
all’effetto farmacologico (292). E’ stato anche osservato che l’associazione della lamotrigina al
valproato può essere particolarmente vantaggiosa (252).
Nelle epilessie parziali benigne dell’infanzia, se vi è una resistenza al trattamento con
carbamazepina o se questa non è tollerata, può essere utilizzato il valproato od anche il sultiame
(293) che, però, non è più in commercio in Italia. Quando, invece, si assiste ad una evoluzione
verso un quadro elettroclinico più o meno atipico (p.e. verso un’epilessia con punte onde continue
durante il sonno profondo od una epilessia parziale benigna atipica) i farmaci da preferire sono,
nell’ordine, clobazam (293), sultiame (294) ed etosuccimide (295). In questi pazienti è stata
descritta anche l’efficacia del trattamento con immunoglobuline e con cortisonici (296).
10. Monitoraggio plasmatico dei farmaci antiepilettici
Non vi sono studi prospettici disegnati per valutare in modo specifico l’eventuale relazione tra la
concentrazione plasmatica e l’effetto terapeutico di un farmaco antiepilettico (297). Tuttavia il
monitoraggio dei livelli plasmatici dei farmaci antiepilettici tradizionali è largamente utilizzato
anche se recenti dati di letteratura indicano che questa tecnica, in una popolazione relativamente
ampia di pazienti epilettici, non determina apprezzabili vantaggi sia in termini di miglior controllo
clinico che di minori effetti collaterali (298). Ciò non dimostra tuttavia l’inutilità del monitoraggio
in particolari sottopopolazioni di pazienti.
In generale possiamo ritenere che il dosaggio dei farmaci antiepilettici può essere utile nelle
seguenti situazioni: pazienti affetti da patologie epatiche o renali in cui il metabolismo dei farmaci
può essere modificato, pazienti in politerapia in cui si può ritenere che siano possibili interazioni
clinicamente rilevanti, pazienti in cui può essere difficile effettuare un controllo clinico degli
effetti collaterali e/o delle crisi epilettiche (pazienti con ritardo mentale), bambini, pazienti in
gravidanza ed infine se sono presenti segni di tossicità. Il rilievo della concentrazione plasmatica
degli antiepilettici in pazienti in cui la terapia è stata ottimizzata può essere utile per conoscere
quel valore di concentrazione che si associa al completo controllo delle crisi. Qualora le crisi
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dovessero ripresentarsi, la conoscenza di questo dato potrebbe facilitare la comprensione di quanto
accaduto (299-300).
Tuttavia una valutazione specifica deve essere condotta per ciascun farmaco. Sulla base delle
caratteristiche farmacocinetiche e dei dati clinici, per quanto riguarda i farmaci tradizionali, si
ritiene utile utilizzare il dosaggio plasmatico per ottimizzare le dosi della fenitoina (301). Il
dosaggio della carbamazepina, dei barbiturici e della etosuccinimide hanno, in generale, una
minore utilità. Il dosaggio del valproato e delle benzodiazepine possono essere di una qualche
utilità solo per il controllo della compliance. Per quanto riguarda i nuovi farmaci, considerazioni
basate solo su pareri di esperti e di pochi studi retrospettivi, portano a ritenere potenzialmente utile
il dosaggio della lamotrigina, probabilmente di qualche utilità il dosaggio di topiramato, tiagabina
e felbamato. Di scarsa o nessuna utilità il dosaggio del vigabatrin, del gabapentin
o della
oxcarbazepina. In tutti casi si suggerisce che l’interpretazione dei risultati sia eseguita da personale
esperto nel trattamento di pazienti affetti da epilessia (297).
11. Interruzione della terapia
I pazienti che, in corso di trattamento con farmaci antiepilettici non hanno crisi, possono essere
considerati candidati ad una graduale sospensione della terapia. Non è, tuttavia, stabilito dopo
quanto tempo quest’eventualità può essere presa in considerazione anche se vengono considerate
opzioni proponibili sia l’interruzione precoce (>2 anni senza crisi) che tardiva (>5 anni senza
crisi). Una recente revisione metanalitica indica che nei bambini, particolarmente se il paziente
presenta crisi parziali ed ha un’EEG alterato, bisogna aspettare 2 anni o più senza crisi prima di
sospendere la terapia. Sempre nella popolazione pediatrica in presenza di crisi generalizzate le
evidenze sono insufficienti per indirizzare quando proporre la sospensione. Anche nell’adulto non
vi sono evidenze che indichino quando tentare una sospensione (130).
Vari studi sono stati condotti per indagare il rischio che questi pazienti possano ripresentare delle
crisi e per individuare eventuali fattori predittivi che possano consentire di stabilire, nel singolo
paziente, la percentuale di tale rischio. Una valutazione metanalitica evidenzia che circa i due terzi
dei pazienti che sospendono il trattamento rimangono liberi da crisi. La maggior parte delle
ricadute si verifica durante o subito dopo la sospensione. Nel 50% dei casi questa si verifica entro i
primi sei mesi e nella grande maggioranza dei casi entro il primo anno successivo alla sospensione
(302). I fattori più rilevanti associati alla più alta probabilità di ricaduta sono risultati essere: una
storia di crisi generalizzate tonico-cloniche, il trattamento con più di un farmaco antiepilettico,
pazienti che hanno avuto una o più crisi dopo l’inizio della terapia, una storia di crisi miocloniche,
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presenza nella storia di sole crisi parziali che non hanno mai generalizzato, storia di crisi neonatali,
durata di trattamento maggiore di dieci anni. Un fattore che viceversa è associato ad una
probabilità di ricaduta più bassa è costituito dall’essere stato libero da crisi per più di 5 anni (129).
Sulla base dei dati analizzati risulta che la decisione di sospendere o meno la terapia antiepilettica,
e la scelta del momento in cui procedere alla sospensione, dovrebbe essere presa in accordo con il
paziente dopo aver discusso tutti gli aspetti. E’ consigliabile che la sospensione della terapia venga
effettuata gradualmente e nel caso che il paziente sia in trattamento con più farmaci, è preferibile
iniziare con la progressiva sospensione del farmaco ritenuto essere il meno efficace. Nei pazienti
affetti da epilessie generalizzate potrebbero essere utili alcuni controlli dell’EEG durante la
progressiva sospensione in quanto la ricomparsa di anomalie parossistiche specifiche indicherebbe
una maggiore probabilità di ricaduta. Nei pazienti affetti da epilessie con crisi parziali, i controlli
dell’EEG non forniscono, in genere, informazioni utili (127-130).
12. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 8-1: Una prima crisi epilettica può rimanere isolata o può ricorrere nel tempo. La
ricorrenza di crisi non provocate configura la diagnosi di epilessia. I farmaci antiepilettici utilizzati
in modo continuativo riducono il rischio di ricorrenza di successive crisi ma non sembra
modifichino la prognosi a lungo termine del disturbo.
Sintesi 8-2: E’ difficile dopo una crisi singola non provocata stabilire se sia trattato di un evento
isolato o la prima manifestazione di un’epilessia. Nella decisione se iniziare o meno il trattamento
va considerato sia la possibile pericolosità legata alla ricorrenza delle crisi epilettiche sia il
potenziale effetto dannoso dell’uso dei farmaci antiepilettici.
Sintesi 8-3: Per la maggior parte dei pazienti la terapia con un solo farmaco (monoterapia)
antiepilettico è da considerare la scelta iniziale preferibile.
Raccomandazione 8.1 (Grado C)
Non è indicato trattare in modo continuativo con farmaci antiepilettici le crisi provocate (da
alcool, da fattori metabolici, da farmaci o da deprivazione di sonno).
Raccomandazione 8.2 (Grado C)
59
Il trattamento continuativo con farmaci antiepilettici è indicato solo quando la diagnosi è ritenuta
certa e la ripetitività delle crisi è suggestiva per una sindrome epilettica.
Il trattamento continuativo con farmaci antiepilettici nel caso di una prima crisi tonico-clonica
generalizzata è indicato solo se:
Raccomandazione 8.3 (Grado A)
Sono presenti anche altre crisi (assenze, mioclonie, crisi parziali).
Raccomandazione 8.4 (Grado C)
Il paziente considera inaccettabile il rischio di una recidiva.
Raccomandazione 8.5 (Grado C)
Il trattamento continuativo delle sole crisi focali (parziali semplici o complesse) è indicato per
ridurre la frequenza e la gravità delle crisi e dipende dalla scelta del paziente.
Il trattamento delle crisi presenti nelle epilessie focali benigne dell’età evolutiva è indicato solo se:
Raccomandazione 8.6 (Grado C)
Le crisi sono frequenti e pericolose od interferiscono con lo sviluppo cognitivo.
Raccomandazione 8.7 (Grado C)
Se i familiari dei bambini, adeguatamente informati circa le caratteristiche del disturbo ed i
rischi/benefici della terapia, richiedano d’iniziare il trattamento.
Per il trattamento delle crisi focali (parziali semplici, parziali complesse, secondariamente
generalizzate) è indicato l’uso di:
Raccomandazione 8.8 (Grado A)
Carbamazepina (scelta preferibile).
Raccomandazione 8.9 (Grado A)
Fenitoina, fenobarbital, oxcarbazepina, lamotrigina e valproato (possono essere utilizzati in
alternativa alla carbamazepina sulla base delle diverse situazioni cliniche).
Raccomandazione 8.10. (Grado C)
60
E’ indicato utilizzare il fenobarbital solo in situazioni particolari (urgenze, gravidanza, non
utilizzabilità di altri farmaci) in quanto l’uso cronico di barbiturici è, generalmente e soprattutto in
età pediatrica, meno tollerato.
Raccomandazione 8.11. (Grado C)
Per il trattamento delle crisi generalizzate (assenze, mioclonie, tonico-cloniche) è indicato l’uso di
valproato.
Sintesi 8-4: Se il valproato non è tollerato, o controindicato, la scelta del farmaco alternativo
dipende dal tipo di crisi e dal contesto clinico. Bisogna ricordare che in una sindrome epilettica
generalizzata carbamazepina e fenitoina, sebbene efficaci nel controllo delle crisi tonico-cloniche,
potrebbero, tuttavia, causare un aggravamento della frequenza delle crisi miocloniche e/o delle
assenze o la loro comparsa.
Oltre al valproato (scelta preferibile) per il trattamento delle crisi generalizzate tonico-cloniche è
indicato l’uso di:
Raccomandazione 8.12 (Grado A)
Lamotrigina (non approvato sotto i 12 anni).
Raccomandazione 8.13 (Grado A)
Topiramato.
Raccomandazione 8.14 (Grado C)
Fenobarbital (precauzione d’uso in quanto meno tollerato).
Raccomandazione 8.15 (Grado A)
Carbamazepina, fenitoina, oxcarbazepina (precauzione d’uso per possibile aggravamento della
frequenza di crisi miocloniche e/o assenze).
Oltre al valproato (scelta preferibile) per il trattamento delle crisi di assenza sono indicati:
Raccomandazione 8.16 (Grado C)
Etosuccimide.
Raccomandazione 8.17 (Grado A)
Lamotrigina (non approvato sotto i 12 anni).
61
Oltre al valproato (scelta preferibile) per il trattamento delle crisi miocloniche sono indicati:
Raccomandazione 8.18 (Grado C)
Lamotrigina (non approvato sotto i 12 anni).
Raccomandazione 8.19 (Grado C)
Clonazepam.
Raccomandazione 8.20 (Grado C)
Per il trattamento delle crisi non classificabili è indicato l’uso di valproato (dopo i 25 anni di
valproato o di carbamazepina).
Raccomandazione 8.21 (Grado C)
Se il primo farmaco utilizzato è inefficace prima di considerare una monoterapia alternativa, o una
biterapia, è indicato valutare se il dosaggio del farmaco in corso è appropriato, la compliance e la
diagnosi.
Sintesi 8-5: Obiettivo della terapia è il controllo delle crisi a parità di qualità di vita
somministrando al paziente il minor numero di farmaci necessario. Quando un altro farmaco deve
essere introdotto è opportuno considerare, pertanto, la possibilità di sospendere la precedente
terapia.
Sintesi 8-6: In Italia i farmaci che hanno l’approvazione per essere utilizzati in monoterapia per il
trattamento delle crisi parziali e/o tonico cloniche secondariamente generalizzate sono:
carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, lamotrigina, oxcarbazepina, topiramato e valproato. Questi
farmaci sono approvati anche come terapia d’associazione. Altri farmaci approvati come terapia
d’associazione sono: felbamato, gabapentin, levetiracetam, tiagabina e vigabatrin. Felbamato e
vigabatrin presentano un maggiore rischio di tossicità ed il loro uso deve essere limitato a
situazioni particolari dopo aver valutato i rischi e benefici.
Se il paziente è affetto da crisi parziali e/o tonico cloniche secondariamente generalizzate non
controllate da una monoterapia con un farmaco di prima scelta (carbamazepina, fenobarbital,
fenitoina, lamotrigina, oxcarbazepina e valproato) è indicato proporre:
Raccomandazione 8.22 (Grado C)
Una monoterapia alternativa.
62
Raccomandazione 8.23 (Grado C)
L’associazione tra di loro di 2 o più farmaci attivi sulle crisi parziali.
Sintesi 8-6: Non vi sono prove sufficienti su quale sia l’associazione farmacologia preferibile nelle
varie situazioni cliniche. In questo vanno considerati:
¾ le caratteristiche farmacocinetiche dei farmaci assunti dal paziente;
¾ l’efficacia dei farmaci su quello specifico tipo di crisi ed il loro meccanismo d’azione;
¾ la tollerabilità e la sicurezza dei singoli farmaci e dell’associazione proposta nella specifica
situazione.
Raccomandazione 8.24 (Grado C)
L’associazione del vigabatrin alla terapia è indicata solo in pazienti in cui è stato attentamente
valutato il rapporto rischio/beneficio (attenzione d’uso per rischio di restrizione concentrica del
campo visivo causata dal farmaco).
Raccomandazione 8.25 (Grado C)
L’associazione del felbamato alla terapia è indicata solo in pazienti in cui è stato attentamente
valutato il rapporto rischio/beneficio (attenzione d’uso per più alto rischio d’anemia aplastica ed
insufficienza epatica).
Se il paziente è affetto da crisi generalizzate tonico-cloniche non controllate da una monoterapia
con valproato è indicato associare:
Raccomandazione 8.26 (Grado A)
Lamotrigina (non approvato sotto i 12 anni).
Raccomandazione 8.27 (Grado A)
Topiramato.
Raccomandazione 8.28 (Grado C)
Fenobarbital (precauzione d’uso in quanto meno tollerato).
Raccomandazione 8.29 (Grado C)
Carbamazepina, fenitoina, oxcarbazepina (precauzione d’uso per possibile aggravamento della
frequenza di crisi miocloniche e/o assenze).
63
Se il paziente è affetto da crisi d’assenza non controllate da una monoterapia con valproato è
indicato associare:
Raccomandazione 8.30 (Grado C)
Etosuccimide.
Raccomandazione 8.31 (Grado C)
Lamotrigina (non approvato sotto i 12 anni).
Raccomandazione 8.32 (Grado C)
Clonazepam.
Sintesi 8-7: Le crisi presenti nelle sindromi epilettiche generalizzate sintomatiche (encefalopatie
epilettogene dell’infanzia) sono di difficile trattamento e necessitano, spesso, di un’associazione di
più farmaci.
Per il trattamento degli spasmi della sindrome di West è indicato:
Raccomandazione 8.33 (Grado A)
Un ciclo di ACTH o di prednisone.
Raccomandazione 8.34 (Grado A)
Vigabatrin (precauzioni d’uso per i possibili effetti sul campo visivo).
Sintesi 8-8: Nei bambini con sindrome di West in caso di terapia con vigabatrin sono indicate
alcune precauzioni che includono l’utilizzo del farmaco per brevi cicli tenendo presente l’attuale
impossibilità di monitorizzare il campo visivo fino all’età di 7-9 anni.
Per il trattamento delle crisi della sindrome di Lennox-Gastaut sono indicati:
Raccomandazione 8.35 (Grado C)
Valproato e benzodiazepine (scelta preferibile).
Raccomandazione 8.36 (Grado C)
Lamotrigina (non approvato sotto i 12 anni).
Raccomandazione 8.37 (Grado C)
64
Topiramato.
Raccomandazione 8.38 (Grado C)
Felbamato (precauzione d’uso per il maggior rischio di tossicità ematica e epatica).
Raccomandazione 8.39 (Grado C)
Fenobarbital (attenzione d’uso in quanto meno tollerato).
Raccomandazione 8.40 (Grado C)
Carbamazepina, fenitoina e oxcarbazepina (precauzioni d’uso per il possibile aggravamento di
crisi d’assenza e mioclonie).
Sintesi 8-9: I farmaci antiepilettici possono causare eventi avversi che devono essere monitorizzati
prevalentemente in base ai sintomi clinici presentati dal paziente. Tuttavia in alcune situazioni può
essere opportuna l’esecuzione di specifici test od esami di laboratorio.
Raccomandazione 8.41 (Grado C)
Nei pazienti trattati con vigabatrin è indicato eseguire almeno ogni sei mesi un esame dei campi
visivi.
Raccomandazione 8.42 (Grado C)
Nei pazienti trattati con felbamato è indicato monitorizzare l’emocromo e gli enzimi epatici.
Raccomandazione 8.43 (Grado C)
Nei pazienti trattati con gli altri farmaci antiepilettici l’esecuzione di test di laboratorio
(emocromo, transaminasi, ammoniemia, elettroliti, PTT, APTT, proteine, creatinemia, azotemia,
glicemia e altri) è indicata solo quando vi sia il sospetto clinico che alcune anormalità siano
imputabili all’uso dei farmaci o per conoscere i fattori che possono influenzarne la farmacocinetica
ed il metabolismo.
Raccomandazione 8.44 (Grado C)
E’indicata l’esecuzione dei livelli plasmatici della fenitoina per ottimizzare la dose del farmaco.
Per tutti gli altri farmaci antiepilettici l’esecuzione dei livelli plasmatici è indicata solo:
Raccomandazione 8.45 (Grado C)
65
Per la valutazione della compliance, di eventuali effetti tossici, d’interazioni farmacocinetiche e
della risposta terapeutica in pazienti in cui risulta difficile ottenere un controllo clinico degli effetti
collaterali e/o delle crisi epilettiche.
Raccomandazione 8.46 (Grado C)
Per valutare variazioni della farmacocinetica legate alla presenza di patologie epatiche e renali, alla
gravidanza, a particolari stadi della crescita dell’età pediatrica.
Sintesi 8-10: Dopo che le crisi sono state controllate dalla terapia antiepilettica è possibile, in
alcuni casi, sospendere la terapia antiepilettica. I fattori più rilevanti associati alla più alta
probabilità di ricaduta sono risultati essere: una storia di crisi generalizzate tonico-cloniche, il
trattamento con più di un farmaco antiepilettico, pazienti che hanno avuto una o più crisi dopo
l’inizio della terapia, una storia di crisi miocloniche, presenza nella storia di sole crisi parziali che
non hanno mai generalizzato, una storia di crisi neonatali, durata di trattamento maggiore di dieci
anni. Un fattore che viceversa è associato ad una probabilità di ricaduta più bassa è costituito
dall’essere stato libero da crisi per più di 5 anni.
Raccomandazione 8.47 (Grado C)
E’indicato discutere con il paziente la possibilità di sospendere la terapia antiepilettica dopo che le
crisi siano state controllate per almeno due anni.
Raccomandazione 8.48 (Grado C)
Prima di procedere alla sospensione è indicato valutare tutti i fattori che possono meglio definire il
rischio di ricaduta.
Raccomandazione 8.49 (Grado C)
E’indicato valutare con il paziente tutte le possibili conseguenze, anche sociali e psicologiche,
derivanti dalla scelta di sospendere o meno la terapia.
Il pannel d’esperti di queste Linee Guida consiglia di:
Raccomandazione 8.50 (Grado C)
Sospendere la terapia gradualmente, nel corso di alcuni mesi. Se il paziente assume una
politerapia, è preferibile procedere prima alla sospensione del farmaco ritenuto essere meno
efficace.
66
Raccomandazione 8.51 (Grado C)
Eseguire un controllo EEG durante la sospensione almeno nelle epilessie generalizzate dell’età
infanto-giovanile.
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9. Altre opzioni farmacologiche e terapie alternative
1. Stimolazione vagale
La stimolazione vagale è una metodica d’introduzione relativamente recente impiegata nel
trattamento dell'epilessia farmaco-resistente, quando la terapia di resezione del focolaio
epilettogeno non è indicata o non è gradita dal paziente.
Tecnicamente consiste in una stimolazione intermittente del nervo vago di sinistra, a livello del
collo, ottenuta mediante elettrodi connessi ad un generatore di impulsi impiantato in una tasca
sottocutanea in regione sottoclaveare. Il generatore può funzionare in maniera automatica o a
richiesta, quando il paziente avverte l'inizio di una crisi. In ambedue i casi i parametri di
stimolazione (intensità della corrente in mA, durata delle fasi on ed off in secondi-minuti,
frequenza di stimolazione in Hz) possono essere programmati dall'operatore mediante un computer
esterno.
La stimolazione vagale è stata approvata dalla Food and Drug Administration nel 1997 e dalle
Agenzie di Registrazione Europee e Canadese come terapia aggiuntiva per ridurre la frequenza di
crisi in soggetti adulti ed in adolescenti di età maggiore ai 12 anni con crisi parziali refrattarie ai
farmaci antiepilettici. Successivamente il suo uso è stato esteso anche a pazienti con forme
farmaco-resistenti di epilessia generalizzata sintomatica.. Ad oggi questa procedura terapeutica ha
trovato un discreto impiego tanto che al momento attuale il numero di pazienti impiantati nel
mondo è di circa 16.000 (240, 282, 3033-310).
Per quanto riguarda l'efficacia viene descritta nei pazienti trattati una riduzione mediana delle crisi
del 34% dopo 3 mesi dall'impianto e del 45% dopo 12 mesi. In particolare, a distanza di un anno
dall'impianto, il 20% dei pazienti presenta una riduzione delle crisi del 75% od anche maggiore
(303). Una recente revisione metanalitica conclude che la stimolazione vagale appare una modalità
di trattamento efficace e ben tollerata. Gli eventi avversi associati al trattamento (abbassamento
della voce, tosse, dolore, parestesia e dispnea) appaiono ragionevolmente ben tollerati e i drop-out
non sono frequenti. Gli eventi avversi tipici degli antiepilettici come l’atassia, le vertigini, la
stanchezza, la nausea e la sonnolenza non sono statisticamente associati al trattamento (310).
68
2. Dieta chetogena
Negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati numerosi studi finalizzati alla valutazione
dell’efficacia della dieta chetogena nei pazienti con epilessia farmaco-resistente. Tale modalità di
trattamento è stata proposta per la prima volta nel 1921 con lo scopo di riprodurre e prolungare gli
effetti benefici che il digiuno aveva mostrato sul controllo delle crisi. Si tratta di una dieta ad alto
contenuto di grassi e basso contenuto di proteine e carboidrati, misurata sul soggetto e rigidamente
controllata dal medico e dal nutrizionista.
Studi retrospettivi non controllati (311, 312) hanno mostrato che una percentuale compresa tra il
60 ed il 75% dei bambini con epilessia farmaco-resistente trattati con la dieta in aggiunta alla
terapia farmacologia, mostrava una riduzione delle crisi >50%. Uno studio prospettico su 150
bambini ha recentemente confermato l'efficacia della dieta mostrando che il 32% dei bambini
otteneva una riduzione delle crisi >90% dopo 6 mesi ed il 27% continuava a presentare tale
riduzione dopo un anno di trattamento (313).
Tale procedura è, tuttavia, anche gravata di importanti effetti collaterali che nel breve termine
comprendono disidratazione, ipoglicemia, vomito diarrea e anoressia e nel lungo termine
nefrolitiasi (5-8% dei bambini trattati), infezioni ricorrenti, alterazioni metaboliche (iperuricemia,
ipocalcemia, riduzione degli aminoacidi plasmatici, acidosi, ipercolesterolemia) irritabilità, letargia
ed altre (314, 315). Per tale motivo si ritiene indispensabile un’attenta valutazione delle procedure
e una sorveglianza continua da parte di personale esperto.
Meno definiti sono i risultati della dieta chetogena nell’adulto in cui è, comunque, più difficile
raggiungere la condizione di chetosi e modificare le abitudini dietetiche. Vi sono, tuttavia, alcuni
dati che mostrano una qualche efficacia della dieta chetogena anche nell'adulto (316, 317).
3. Farmaci immunomodulanti e plasmaferesi
Studi di laboratorio e osservazioni cliniche suggeriscono una genesi autoimmune per alcune forme
d’epilessia umana e sperimentale tanto da far ipotizzare l'esistenza di differenti sottotipi di
sindromi epilettiche caratterizzate da anomalie specifiche del sistema immune. Su questa base è
stato proposto, nel trattamento di alcune particolari forme di epilessia con crisi resistenti, l'utilizzo
di farmaci con azione immunomodulante come gli steroidi, la ciclofosfamide, alte dosi d’IgG per
via venosa o della plasmaferesi. Per questo tipo di terapie, attualmente, vi sono prove d’efficacia
che riguardano quasi esclusivamente l’utilizzo di prednisone o di ACTH nel trattamento della
sindrome di West mentre altri tipi d’indicazioni, come l’utilizzo delle IgG nella sindrome di West,
69
nella sindrome di Lennox Gastaut, nella sindrome di Landau-Kleffner o nella sindrome di
Rasmunsen, non sono ancora standardizzate e sono necessari studi controllati su casistiche più
ampie che prevedano, anche, il monitoraggio di markers immunologici, per precisare le reali
indicazioni e di ottimizzare i protocolli di somministrazione (296, 318).
4. Calcio antagonisti
E’ stato dimostrato che il calcio ha un ruolo significativo nella regolazione dell’eccitabilità
neuronale, nell’inizio, mantenimento e propagazione della scarica epilettica sia come modulatore
della trasmissione sinaptica che come secondo messaggero (319). Su questa base teorica i calcioantagonisti sono stati proposti come potenziali farmaci antiepilettici. Tuttavia gli effetti clinici di
questi farmaci sono dubbi. Gli studi effettuati mostrano che il trattamento con flunarizina ha un
debole effetto sulla frequenza delle crisi ma è gravato da un elevato tasso d’interruzione per effetti
avversi. Non esistono, inoltre, prove convincenti per l’uso di nimodipina e nifedipina nei pazienti
con crisi epilettiche resistenti ai classici anticonvulsivanti (320).
5. Acetazolamide
L’acetazolamide ha proprietà anticonvulsivanti nell’animale ed esistono alcune osservazioni
sull’uomo, prevalentemente in aperto, che suggeriscono la possibilità di utilizzo del farmaco sia
nelle crisi parziali che generalizzate, incluse le assenze e le mioclonie. Tuttavia valutare la reale
utilità di questo farmaco è difficile in quanto il trattamento cronico induce tolleranza (321).
6. Stimolazione magnetica transcranica
Questa metodica è ancora in fase sperimentale ma alcuni ritengono che possa avere una certa
efficacia nelle epilessie farmaco-resistenti. Il razionale del suo utilizzo si basa sull’osservazione
che l'applicazione di stimoli magnetici ripetuti, mediante un apposito coil di stimolazione posto in
corrispondenza del vertice del cranio, ha mostrato capacità d’inibire l'eccitabilità cerebrale per
periodi di tempo relativamente lunghi dopo la fine dell'applicazione. Due segnalazioni in aperto
(322, 323) hanno mostrato che la stimolazione magnetica ripetitiva era ben tollerata, in grado di
ridurre significativamente la frequenza delle crisi e di migliorare l’EEG attraverso riduzione delle
70
spike intercritiche (323). Gli effetti benefici duravano in media quattro settimane dopo la fine del
trattamento (322). Tali osservazioni dovrebbero, tuttavia, essere confermate in studi controllati.
7. Yoga
Lo yoga è un atteggiamento psico-filosofico-culturale di conduzione di vita d’antica tradizione
indiana che è ritenuto in grado di favorire il rilassamento. Lo stress è ritenuto un fattore
precipitante le crisi epilettiche e, di conseguenza, lo yoga, considerando anche l’assenza di effetti
collaterali e l'accettazione interiore da parte del paziente, è stato proposto come una piacevole
opzione terapeutica per l'epilessia (324). Tuttavia gli studi clinici effettuati fino ad oggi non
rendono possibili conclusioni definitive circa la possibile efficacia della metodica (325).
8. Trattamenti psicologici
Interventi psicologici come la terapia di rilassamento, la terapia cognitivo-comportamentale,
l'EEG-biofeedback sono stati impiegati, singolarmente o in combinazione, nel trattamento
dell'epilessia per ridurre la frequenza delle crisi e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Gli studi
sinora condotti, risultando poveri dal punto di vista metodologico e limitati ad un ristretto numero
di pazienti. Non è possibile, quindi, trarre conclusioni circa l'efficacia dei suddetti trattamenti
nell'epilessia (326).
9. Marijuana
Nonostante alcuni studi non controllati abbiano suggerito che questo cannabinoide possa esercitare
un effetto antiepilettico nell'uomo, attualmente i dati disponibili per stabilire la reale efficacia di
tale sostanza in pazienti con epilessia non sono sufficienti. Sono pertanto necessari studi su più
ampie casistiche per valutare l'eventuale utilità di tale opzione terapeutica (327).
10. Sintesi e raccomandazioni
La stimolazione vagale è un’opzione terapeutica indicata solo:
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Raccomandazione 9.1 (Grado A)
Nei pazienti con epilessia parziale resistente ad almeno due farmaci di prima scelta usati in
monoterapia, o in associazione, e che presentino controindicazioni o rifiutano l’approccio
chirurgico classico.
Raccomandazione 9.2 (Grado C)
In pazienti con epilessia generalizzata sintomatica (sindrome di Lennox-Gastaut) con crisi atoniche
farmaco-resistenti prima di ricorrere ad una callosotomia.
Raccomandazione 9.3 (Grado C)
La dieta chetogena ha mostrato una certa efficacia in pazienti in età pediatrica con epilessia
farmaco-resistente. Tale opzione terapeutica è, tuttavia, gravata da importanti effetti collaterali ed è
indicato che venga proposta ed effettuata solo da personale esperto dopo che siano stati valutati i
rischi e benefici.
Sintesi 9-1: Studi di laboratorio e osservazioni cliniche suggeriscono una genesi autoimmune per
alcune forme d’epilessia umana e sperimentale tanto da far ipotizzare l'esistenza di differenti
sottotipi di sindromi epilettiche caratterizzate da anomalie specifiche del sistema immune. Le
principali evidenze circa l’efficacia di terapie immunomodulanti riguardano l’uso del prednisone o
dell’ACTH nel trattamento della sindrome di West.
Raccomandazione 9.4 (Grado C)
Le IgG per via venosa sono indicate solo per il trattamento di rare specifiche sindromi epilettiche
(p.e. encefalite di Rasmussen, sindrome di Landau Kleffner) di particolare difficile gestione
selezionate da personale esperto.
Sintesi 9-2: E’ ipotizzato che la stimolazione magnetica transcranica possa avere una certa
efficacia nel ridurre la frequenza delle crisi epilettiche nei pazienti con epilessia farmacoresistente. Non vi sono, tuttavia, prove sufficienti che giustifichino il suo utilizzo a tale scopo.
Sintesi 9-3: Non vi sono prove sufficienti per stabilire che la tecnica dello yoga sia efficace nel
trattamento dell’epilessia.
Sintesi 9-4: Non vi sono prove sufficienti per stabilire se i trattamenti psicologici siano efficaci nel
controllo delle crisi epilettiche.
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Sintesi 9-5: L'efficacia della flunarizina come antiepilettico è debole ed il farmaco non è ben
tollerato come terapia aggiuntiva. Non vi sono, inoltre, prove d’efficacia antiepilettica per altri
calcio-antagonisti come la nimodipina e la nifedipina.
Sintesi 9-6: L’acetazolamide ha proprietà anticonvulsivanti nell’animale e nell’uomo. Tuttavia
valutare la reale utilità di questo farmaco è difficile in quanto il trattamento cronico induce
tolleranza.
Sintesi 9-7: L'efficacia della marijuana come antiepilettico non è dimostrata.
Raccomandazione 9.10 (Grado C)
Il pannel degli esperti di queste linee guida non considera indicati nel trattamento delle epilessie:
la stimolazione magnetica transuranica, lo yoga, i trattamenti psicologici, i calcio antagonisti,
l’acetazolamide e la marijuana
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X. Chirurgia delle epilessie
La Chirurgia delle Epilessie è definita come qualsiasi intervento neurochirurgico che ha come
obiettivo primario il miglioramento di un’epilessia altrimenti non trattabile. Per conseguire tale
obiettivo è necessario identificare la zona epilettogena responsabile dell’origine delle crisi e
provvedere alla sua completa e precisa resezione. Solo se questo non appare possibile, o non
completamente ottenibile, possono essere utilizzate procedure chirurgiche alternative. Queste
comprendono la callosotomia, le resezioni multiple subpiali e gli interventi di lesione o
stimolazione cerebrale profonda.
In accordo con stime conservative viene stimato che almeno 1,7/100.000 abitanti potrebbe essere
candidato ad un intervento di resezione chirurgica (328). La procedura chirurgica più estesamente
studiata riguardo agli esiti è quello di resezione del lobo temporale. Dati ottenuti da fonti multiple
suggeriscono che il 55-70% dei pazienti sottoposti a tale intervento, e circa il 30-50% dei pazienti
sottoposti a resezione extratemporale, possono ottenere un completo controllo delle crisi (329331).
Nonostante che nell’ultimo decennio vi sia stato un considerevole sforzo nel cercare di definire più
precisamente le evidenze a favore della sicurezza e dell’efficacia della chirurgia delle epilessie vi è
un solo studio controllato, e solo in pazienti con epilessia del lobo temporale, che analizza le
differenze tra il trattamento medico e chirurgico. Questo studio ha mostrato la superiorità della
chirurgia sulla terapia medica riguardo al controllo delle crisi, alla qualità della vita, alla possibilità
di occupazione e di seguire un corso scolastico (322). Meno definibili in termini di evidenze
appaiono le percentuali di successi delle resezioni extratemporali e soprattutto delle procedure
chirurgiche alternative (15, 135, 333-335).
1. Indicazioni generali per la selezione di pazienti con epilessia intrattabile
potenziali candidati alla chirurgia.
Non c’è un preciso accordo circa la definizione di epilessia intrattabile. In questo devono essere
considerate la frequenza, il tipo e la gravità delle crisi e l’impatto del ripetersi delle crisi sulla
qualità della vita. Le crisi parziali sono di più difficile trattamento delle crisi tonico-cloniche. La
frequenza di crisi parziali può variare, da paziente a paziente, da poche il mese o la settimana a
plurigiornaliere. Anche le diverse manifestazioni cliniche possono variare: in alcuni casi solo il
paziente può accorgersi di avere avuto una crisi, mentre in altri le crisi possono compromettere
notevolmente le comuni attività, l’apprendimento, il livello occupazionale, ed i rapporti familiari e
74
sociali. Tutti questi fattori devono essere considerati nella selezione dei pazienti per un intervento
chirurgico. Gli altri fattori che devono essere considerati sono:
¾ l’età del paziente preferibilmente compresa tra 1 e 60 anni ma possono esservi eccezioni al
di fuori di questi limiti;
¾ la durata della malattia. Negli adulti la durata di malattia non dovrebbe essere inferiore a
due anni, ma nelle situazioni acute di pericolo per la vita è accettabile una durata più breve,
ma sufficiente, per stabilire la non trattabilità. Nei bambini potrebbe essere appropriato un
periodo inferiore ai due anni. Dovrebbero essere considerati, in questo, gli effetti a lungo
termine dell’attività epilettica sul cervello, particolarmente in certi stadi cruciali dello
sviluppo;
¾ documentata resistenza al trattamento farmacologico. Questa è definita come la persistenza
delle crisi nonostante l’utilizzo adeguato di farmaci antiepilettici con minimo 2 farmaci di
prima linea, sia come monoterapia sia in combinazione, appropriati per la sindrome
epilettica. I farmaci dovrebbero essere utilizzati fino al limite della tolleranza ed i livelli
plasmatici dei farmaci dovrebbero essere monitorizzati allo scopo di valutare la compliance
(15, 135).
2. Valutazione prechirurgica.
L’obiettivo primario della valutazione prechirurgica è quello d’identificare i candidati per la
chirurgia di resezione. Per tale motivo il lavoro prechirurgico deve includere:
¾ ottenere la storia medica e dei segni e sintomi inter-ictali/ictali con lo scopo di stabilire la
diagnosi di epilessia e di classificarla. Il tipo di epilessia può influenzare le successive indagini ed
essere chiarito da esse;
¾ l’identificazione del tipo, della localizzazione anatomica, e dell’estensione morfologica/
strutturale della lesione. Sono indispensabili immagini cerebrali di alta qualità e la MRI appare la
modalità d’indagine d’elezione;
¾ documentazione di qualsiasi deficit funzionale e dei deficit potenziali che possono essere
rilevati dalle seguenti procedure: test neuropsicologici appropriati, SPECT ictale, PET e fMRI. In
particolari pazienti è utile ottenere una transitoria inattivazione di regioni cerebrali attraverso
l’utilizzo di farmaci (ad esempio test selettivi con amobarbital intracarotideo);
¾ localizzazione elettrofisiologica della zona epilettogena, che include la registrazione di tipici
episodi ictali e, in particolari pazienti, l’uso di registrazioni intracraniche. Gli standard attuali per
la localizzazione della zona d’origine delle crisi richiede l’utilizzo di metodiche di monitoraggio in
video-EEG utilizzando elettrodi di registrazione sullo scalpo sufficienti a registrare l’abituale
75
pattern delle crisi del paziente. La video-EEG può essere utilizzata anche per stabilire la natura
epilettica o meno delle manifestazioni critiche. Ulteriori metodiche di monitoraggio, con minore o
maggiore invasività, possono essere necessarie in alcuni pazienti. Può non essere necessaria la
registrazione delle crisi in video-EEG in quei pochi pazienti in cui non vi sono dubbi circa la
natura epilettica delle crisi ed in cui vi è assoluta concordanza tra i dati clinici, EEG,
neuropsicologici e le immagini cerebrali. Le registrazioni intracraniche devono essere prese in
considerazione quando vi è discordanza tra i dati non invasivi e/o un grado di precisione maggiore
viene richiesto e questo non è ottenibile con metodiche non invasive. L’utilizzo di tecniche
invasive richiede un’accurata analisi dei rischi benefici che, ovviamente, dipende dall’esperienza
specifica.
¾ tecniche neurofisiologiche ausiliari utilizzabili prima e durante gli interventi includono: i
potenziali evocati, le mappe funzionali, la stimolazione magnetica, la magnetoencefalografia e
l’elettrocorticografia.
¾ attenta valutazione dello stato psichiatrico del paziente, utilizzando, se appropriato, scale
psichiatriche accettate (15, 135).
3. Specifici approcci chirurgici.
Differenti tipi di crisi richiedono differenti procedure chirurgiche. Gli interventi possibili sono i
seguenti:
¾ resezione della zona epilettogena. L’estensione della resezione è determinata da dati clinici,
neuropsicologici, neurofisiologici e di neuroimmagine. Sono possibili interventi di
lesionectomia volti a rimuovere lesioni isolate come i tumori o le malformazioni congenite
vascolari, che sono state identificate essere la sede di origine delle crisi. Se le crisi originano da
aree circostanti la lesione sono indicati interventi di lesionectomia allargata. Altri tipi
d’interventi includono interventi di lobectomia parziale o totale. Pazienti che presentano crisi
che originano dalla parte anteriore del lobo temporale sono quelli che possono beneficiare
maggiormente dalla chirurgia poiché le loro crisi originano da una zona circoscritta che può
essere rimossa senza danneggiare funzioni superiori come quelle della memoria, del linguaggio
e della motricità;
¾ interventi chirurgici per rimuovere od isolare la corteccia di un emisfero globalmente alterato
(emisferectomia). Quanto della corteccia di tale emisfero deve essere resecata, disconnessa, o
una combinazione di entrambe, dipende dalla tecnica utilizzata. I pazienti dovrebbero
76
presentare una patologia unilaterale con un deficit neurologico severo e l’evidenza che le crisi
originano esclusivamente dall’emisfero alterato;
¾ resezioni multiple subpiali. Questa è una tecnica che può essere utilizzata in combinazione con
la resezione, e in particolari circostanze, da sola, per trattare le crisi che originano da aree
corticali nelle quali la resezione potrebbe causare deficit inaccettabili;
¾ callosotomia. Questa include la parziale o totale sezione del corpo calloso. Le indicazioni
comprendono crisi toniche, tonico-cloniche, atoniche che comportino cadute e frequenti
lesioni;
¾ altre metodiche utilizzate includono interventi per determinare lesioni in stereotassi, compresa
la radiochirurgia, e di stimolazione profonda di varie strutture sottocorticali (15, 135).
4. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 10-1: La chirurgia delle epilessie è un opzione terapeutica applicabile in pazienti con crisi
non trattabili con interventi medici od in cui l’uso cronico di farmaci antiepilettici interferisce
pesantemente con la qualità di vita, anche in assenza di una provata resistenza ai farmaci.
L’identificazione dei pazienti con maggiori possibilità di successo, e di quelli che con maggiore
probabilità non otterrebbero miglioramenti apprezzabili, aiuterebbe a potenziare un impiego
razionale dei vari tipi d’intervento.
Sintesi 10-2: L’intervento di lobectomia temporale è quello che ha dimostrato risultati migliori. Le
indicazioni ad altri tipi di resezione e, soprattutto, di procedure chirurgiche alternative
(callosotomia, resezioni multiple subpiali, interventi di lesione o stimolazione cerebrale profonda e
gli interventi di emisferectomia) non sono ancora definite e tali procedure dovrebbero essere
considerate solo come estrema possibilità terapeutica.
Raccomandazione 10.2 (Grado C)
E’indicato che l’eventuale opzione ad un intervento di chirurgia dell’epilessia venga valutata
appropriatamente da parte di personale esperto attraverso le seguenti procedure:
¾ valutazione della storia personale e della malattia inclusa quella dei precedenti trattamenti
¾ documentazione della resistenza al trattamento farmacologico ottenibile anche attraverso il
monitoraggio dei livelli plasmatici dei farmaci
¾ identificazione del tipo, della localizzazione anatomica, e dell’estensione morfologica/
strutturale di un’eventuale lesione tramite MRI di alta qualità
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¾ documentazione di qualsiasi deficit funzionale e dei deficit potenziali che possono essere
rilevati dalle seguenti procedure: test neuropsicologici appropriati, SPECT ictale, PET e fMRI
¾ localizzazione elettrofisiologica della zona epilettogena che include la registrazione dei tipici
episodi ictali tramite la video-EEG
¾ valutazione dello stato psichiatrico del paziente.
78
XI. Crisi epilettiche acute o occasionali
Le Convulsioni febbrili (CF) sono il disturbo neurologico più frequente nell’infanzia (21). Al pari
di queste le crisi epilettiche indotte da un danno acuto cerebrale hanno anch’esse un’elevata
incidenza e, nonostante l’eziologia vari notevolmente con l’età, le cause più frequenti sono il
trauma e l’ictus seguite, nell’ordine, dalle cause legate all’assunzione di alcool-farmaci-droghe
(abuso e sospensione), dalle infezioni del sistema nervoso centrale, dalle alterazioni metaboliche,
dalle neoplasie cerebrali e dall’ipossia-ischemia (20).
Una CF, o una crisi acuta, può rimanere isolata od evolvere verso uno stato epilettico. Al pari di
questi i principali protocolli terapeutici prevedono, se le crisi tendono a ripetersi, oltre che al
trattamento ed alla correzione della malattia di base, l’utilizzo di benzodiazepine e di antiepilettici
maggiori come fenitoina, fenobarbital, carbamazepina e valproato (336). In queste situazioni i
farmaci antiepilettici vengono utilizzati sia per bloccare le crisi sia a scopo preventivo nell’ipotesi
che essi possano prevenire l’epilettogenesi (il processo per il quale il cervello diventa epilettico od
inizia a produrre crisi spontanee) (337).
1. Convulsioni febbrili
Con il termine CF ci si riferisce a crisi epilettiche a semiologia variabile, ma generalmente tonicoclonica, che si presentano durante un episodio di febbre non dovuto ad una affezione acuta del
sistema nervoso in un bambino senza precedenti neurologici (ovvero senza fattori eziologici
indicativi di danno cerebrale pre-, peri- o post-natale, con normale sviluppo psicomotorio e assenza
di precedenti convulsioni afebbrili). Non è necessario che la febbre sia stata rilevata prima della
crisi, ma deve essere presente almeno nell’immediato periodo post-critico. L’età in cui tale
disturbo si manifesta è compresa tra 6 mesi e 5 anni (21, 28, 182, 338-339). Nell’ambito delle CF
si possono distinguere:
¾ convulsione febbrile semplice (CFS). E’ una crisi convulsiva generalizzata di durata non
superiore a 15 minuti, e non ripetuta nelle 24 ore;
¾ convulsione febbrile complessa (CFC). E’ una crisi convulsiva focale o generalizzata
prolungata, ovvero di durata superiore a 15 minuti, o ripetuta entro le 24 ore, e/o associata ad
anomalie neurologiche post-ictali, fra le quali più frequentemente una paresi post-critica (paralisi
di Todd) (182, 340, 341). Il bambino al quale viene somministrata terapia anticonvulsivante (p.e.
diazepam) per interrompere la crisi in atto rientra, in ogni caso, in questo gruppo. Se la CFC è
caratterizzata da una crisi di durata superiore a 30 minuti, o da crisi seriate più brevi ma senza
ripristino della coscienza tra una crisi e l’altra, si parla di stato di male febbrile (341, 342).
79
Dal punto di vista della predisposizione genetica le CF vanno considerate come un gruppo
eterogeneo composto da almeno tre condizioni diverse: CF occasionali; famiglie con sole CF;
famiglie con CF associate ad altre forme d’epilessia (Generalized Epilespy with Febbrile Seizures
Plus o GEFS+) (343).
La diagnosi di CF si basa, principalmente, sulla valutazione anamnestico-clinica in assenza di
accertamenti strumentali e di laboratorio ed il ricovero non è sempre necessario anche al primo
episodio di CFS in un bambino di età superiore a 18 mesi, se clinicamente stabile e se non vi sono
segni o sintomi che richiedono ulteriori indagini. Per l’età inferiore a 18 mesi il ricovero è, invece,
opportuno e deve essere considerata attentamente l’esecuzione di una rachicentesi a scopo
diagnostico nel sospetto di una meningite o di un’encefalite, soprattutto nei bambini di età inferiore
ai 12 mesi (182). Nel caso di una CFS già diagnosticata il ricovero non è in genere necessario, ma
va verificato che i genitori siano adeguatamente istruiti (vedi gestione domiciliare delle recidive)
(182, 338). Va sottolineato, comunque, che una storia di pregresse CFS non esclude che la crisi in
corso sia da attribuire a patologie infettive acute del sistema nervoso centrale (182).
Il ricovero per accertamenti va sempre previsto in caso di CFC data la grande variabilità di
condizioni sottese a questo evento (344). Una CF che sia stata interrotta farmacologicamente nei
primi 15 minuti va considerata, in termini di appropiatezza del ricovero, al pari di una CFC. Per
considerare interrotta farmacologicamente una crisi, bisogna considerare che il diazepam, farmaco
di primo impiego in questa patologia, impiega almeno 3 minuti a raggiungere una concentrazione
cerebrale efficace se somministrato per via rettale e 10 secondi se somministrato per via
endovenosa (345).
Nella maggior parte dei casi la decisione circa l’esecuzione dei vari accertamenti, di laboratorio,
EEG o neuroimmagine, deve essere rivolta all’identificazione della causa della febbre. La puntura
lombare deve essere eseguita in presenza di segni meningei o fortemente considerata in soggetti in
trattamento con antibiotici nei giorni precedenti la convulsione per il possibile mascheramento di
segni e sintomi di meningite. Infatti in pazienti con età inferiore ai 12 mesi i segni e sintomi clinici
di meningite possono essere minimi od assenti. Fra 12 e 18 mesi i segni e sintomi clinici di
meningite possono essere sfumati mentre sopra i 18 mesi sono, in genere, individuabili (182).
La CFS, non prolungata, in ragione della sua breve durata non consente né richiede alcun
trattamento. Un trattamento è, invece, indicato se la CF è prolungata. In tali casi può essere
considerata anche la necessità di una prevenzione farmacologica delle eventuali recidive.
Le benzodiazepine, quali diazepam, lorazepam, e midazolam (vedi anche capitolo sul trattamento
degli stati epilettici) sono considerati farmaci efficaci nelle situazioni acute (342, 345-347).
Il rischio generico di recidiva di CF viene stimato intorno al 30-40% (21, 341). I fattori di rischio
per la recidiva, probabilmente simili per le CFS e CFC, sono:
80
¾ età precoce di insorgenza (<15 mesi) (341, 348, 349),
¾ presenza d’epilessia (341, 348) o di convulsioni febbrili (341, 348, 349) in parenti di primo
grado
¾ frequenti episodi febbrili (341, 348)
¾ bassa temperatura all’esordio della CF (348, 349).
La frequenza di recidiva per CF in un soggetto senza fattori di rischio è del 10%, del 25-50% in
presenza di 1-2 fattori di rischio e del 50-100% con 3 o più fattori di rischio (341).
Il rischio di evoluzione verso l’epilessia viene stimato attorno al 1-1,5% dei soggetti con CFS
(349) solo di poco superiore all’incidenza nella popolazione generale (0.5%). Il rischio di
evoluzione verso l’epilessia nei soggetti con CFC viene, invece, stimato tra il 4 ed il l5% (340,
350). Non vi sono evidenze che la terapia sia in grado di prevenire l’evoluzione verso l’epilessia
(341, 351) tuttavia diversi studi, comprese alcune revisioni metanalitiche, hanno dimostrato che la
somministrazione continua di un farmaco anticonvulsivante, quali fenobarbital e acido valproico, è
efficace nel prevenire le recidive (337, 338, 350, 352, 353). Esistono, peraltro, controindicazioni a
tale somministrazione, quali la scarsa compliance, aspetti economici e psicologici e soprattutto gli
effetti collaterali potenziali dei farmaci che potrebbero essere tali da superare i benefici del
trattamento. Anche la terapia intermittente con diazepam somministrata all’esordio della febbre è
efficace nel prevenire le recidive (339, 352, 353). Anche in questo caso, comunque, sono
inevitabili moderati effetti collaterali (transitoriamente lieve atassia, agitazione o letargia;
raramente depressione respiratoria, bradicardia o ipotensione).
Su queste considerazioni non è raccomandato l’uso di alcuna terapia, continuativa o intermittente,
per la profilassi delle recidive delle CF (338, 339, 341, 351, 352). Vi può essere, tuttavia,
l’indicazione ad una terapia profilattica in un ristretto gruppo di pazienti per i quali le crisi sono
considerate inaccettabili in relazione alla loro elevata frequenza. Dobbiamo perciò considerare tre
possibili scenari:
¾ pazienti con assenza di fattori di rischio di recidiva e 1 o 2 episodi di CFS. In questi casi è
indicata una sorveglianza attiva (principio del “wait and see”) ed è raccomandato l’astenersi dalla
somministrazione di farmaci anticonvulsivanti, limitandosi semplicemente a monitorizzare nel
tempo l’andamento naturale del disturbo (341).
¾ pazienti con almeno una delle seguenti condizioni:
•
storia di CF di durata superiore a 15 min;
•
presenza di due o più fattori di rischio di recidiva e una storia di due o più episodi di
CF;
•
frequenti CF in un breve periodo di tempo (3 o più volte in 6 mesi, 4 o più volte in
un anno)
81
In questi casi è raccomandata la somministrazione rettale (prima scelta) o orale di una
benzodiazepina (diazepam) in modo intermittente all’esordio della febbre. La dose
consigliata è di 0,4-0,5 mg/Kg per via rettale, ripetibile una seconda volta se persiste la
febbre dopo 8 ore; in condizioni cliniche particolari può essere richiesta una terza dose,
trascorse almeno 24 ore dalla prima (341). La dose di diazepam per via orale invece, è
di 0,33 mg/Kg ogni 8 ore da continuare per 48 ore dopo la comparsa della febbre (351).
Anche in questo caso possono essere presenti degli effetti collaterali quali una
frequenza elevata di non compliance, irritabilità, atassia, sonnolenza, aumento dello
stato d’ansia dei genitori che tendono a controllare troppo frequentemente la
temperatura.
¾ pazienti con almeno una delle seguenti condizioni:
•
precedente storia di 2 o più episodi di CF con febbre < 38°;
•
precedente storia di CF di durata superiore a 15 min, in presenza di genitori che
abbiano dimostrato di non essere in grado d’individuare l’esordio febbrile
tempestivamente ai fini della somministrazione della terapia;
•
precedente storia di CF di durata superiore a 15 min e con il fallimento della terapia
con diazepam intermittente, nonostante fosse somministrata appropriatamente.
In questi casi è consigliata la terapia continuativa anticonvulsivante con valproato o
fenobarbital (341). Il valproato viene utilizzato alla dose di 20-30 mg/Kg/die, in 2-3
somministrazioni (342). Il fenobarbital viene consigliato alla dose di 3-5 mg/Kg/die in
1-2 assunzioni. Anche se il fenobarbital è efficace in questa situazione (337) il suo uso
dovrebbe essere limitato in quanto può causare disturbi cognitivi (353, 354). Non
risultano efficaci la carbamazepina e la fenitoina (338, 351). Non è dimostrato che l’uso
di farmaci antipiretici, somministrati anche frequentemente, e le manovre per ridurre la
febbre, sebbene necessarie per ridurre lo stato di malessere, diminuiscano la frequenza
degli episodi convulsivi (338, 341, 355).
2. Crisi epilettiche associate al trauma cranico
Il trauma cranico grave (Glasgow Coma Scale ≤ 8) è associato ad un alto rischio di successiva
epilessia (43) e in alcuni modelli sperimentali vari farmaci antiepilettici proteggono dall’instaurarsi
dei danni cerebrali causati dalle crisi epilettiche (356). Sulla base di queste osservazioni la
somministrazione di farmaci antiepilettici è stata proposta come profilassi dell’epilessia successiva
al trauma cranico. Tuttavia gli studi controllati condotti su pazienti seguiti subito dopo l’evento
82
traumatico non hanno dimostrato che il precoce trattamento protegge veramente da tale evento.
Quello che è stato, invece, dimostrato è che il trattamento con antiepilettici, fenitoina e
carbamazepina ma anche, probabilmente, fenobarbital e valproato, riduce il rischio di crisi che si
verificano precocemente (entro 7 giorni dall’evento traumatico) (357-368). In considerazione di
tali osservazioni, e della possibilità che l’attività epilettica nell’immediato periodo post-traumatico
possa causare danni cerebrali secondari (come conseguenza di richieste metaboliche aumentate, di
aumento della pressione intracranica e di eccessivo rilascio di neurotrasmettitori), l’utilizzo di tale
modalità di profilassi è stata più volte consigliata (369). Tuttavia la miglior pratica anche riguardo
a questo punto è tutt’altro che definita (365-367). Una recente revisione metanalitica indica che
l’utilizzo di antiepilettici è efficace nel ridurre l’incidenza di crisi precoci ma non vi sono prove
sufficienti che indichino che il trattamento profilattico con questi farmaci riduca la percentuale di
pazienti in cui si verificano crisi tardive, o abbia un effetto sulla morte e la disabilità neurologica
(368).
3. Crisi acute in corso di affezioni mediche e chirurgiche
Crisi epilettiche in pazienti con malattie cardiache sono, prevalentemente, correlate a lesioni
ischemiche cerebrali anche se in pazienti trattati con anticoagulanti o agenti trombolitici
l’emorragia cerebrale può spesso esserne la causa (370, 371). Farmaci cardiologici, specialmente
alcuni antiaritmici ad alte dosi e livelli plasmatici, possono precipitare crisi epilettiche (35, 42).
Pazienti cardiologici che hanno presentato una ipossia-ischemia cerebrale globale possono
presentare un coma difficile da valutare in quanto associato a minimi movimenti convulsivi,
mioclono od ad anomalie periodiche EEG. Le benzodiazepine o altri schemi di trattamento
possono essere impiegati per trattare questo tipo di crisi ma questi pazienti hanno una prognosi
estremamente sfavorevole a prescindere dal trattamento (25, 372, 373).
Encefalopatie ipertensive e altre condizioni correlate ad una tossiemia gravidica possono essere
associate a crisi epilettiche. Il controllo della pressione arteriosa è un aspetto critico del trattamento
ma l’utilizzo delle benzodiazepine, della fenitoina o di altri antiepilettici appare quasi sempre
citato nei protocolli terapeutici. Per quanto riguarda la pre-eclampsia e l’eclampsia alcune revisioni
metanalitiche (374-376) hanno mostrato che il solfato di magnesio è preferibile all’uso di
anticonvulsivanti, probabilmente come conseguenza di un effetto diretto sulla pressione arteriosa o
su altri meccanismi fisiopatologici (377).
In presenza di una neoplasia endocranica è stata suggerita l’indicazione ad un trattamento
profilattico con antiepilettici allo scopo di prevenire le crisi frequentemente associate a questa
83
condizione. Tuttavia, anche in questo caso, la reale utilità non è dimostrata e l’uso di antiepilettici
dovrebbe essere considerato solo se il soggetto viene sottoposto a craniotomia in quanto, nel
periodo perioperatorio, essi hanno mostrato una certa efficacia nel prevenire le crisi (337, 378,
379). Tale modalità di profilassi andrebbe, tuttavia, interrotta precocemente (dopo la prima
settimana) soprattutto se il paziente è stabile e presenta effetti avversi derivanti dall’uso di questi
farmaci (379).
I trapianti cardiaci, ma anche di altro tipo, possono rappresentare un rischio di crisi epilettiche
anche in relazione alla tossicità neurologica dei farmaci immunosoppressivi (soprattutto
ciclosporina) o alla possibilità d’infezioni causate dall’immunodepressione (380).
Dei pazienti con malattie metaboliche croniche, quelli con uremia sono a maggior rischio di crisi
epilettiche. La frequenza di disturbi elettrolitici sufficienti a causare crisi epilettiche è diminuita
con il miglioramento delle tecniche dialitiche. Tuttavia alterazioni dei livelli di magnesio, sodio o
calcio si osservano ancora come anche lesioni encefaliche correlate alle alterazioni della
coagulazione od all’immunosopressione. In questi pazienti la gestione della terapia antiepilettica
cronica può essere difficile e fenomeni d’intossicazione o d’inefficacia legati alle variazioni dei
livelli plasmatici dei farmaci e della loro quota libera non sono rari. In alcuni casi viene consigliato
l’uso profilattico di benzodiazepine prima della dialisi. Le crisi epilettiche sono meno frequenti in
corso di malattie epatiche, ma possono presentarsi come conseguenza di alterazioni metaboliche
acute, come l’ipoglicemia, o di alterazioni della coagulazione che possono causare emorragie
intracraniche. Con bassi livelli di albumina la quota libera di alcuni farmaci antiepilettici può
essere più elevata; mancano tuttavia studi controllati circa i farmaci da preferire in queste
situazioni (336).
Fra le alterazioni metaboliche l’iponatremia è probabilmente la più importante. L’insorgenza di
crisi non è ben documentata finchè i livelli di sodio non scendono sotto i 125 mEq/dl. Il
trattamento con farmaci antiepilettici non è, in genere, consigliato finchè l’anomalia metabolica
sottostante può essere corretta; la correzione troppo rapida, tuttavia, deve essere evitata per il
rischio di mielinolisi centrale pontina (381-384). Alcune alterazioni disioniche combinate con
bassi livelli di magnesio, calcio e fosfati possono causare crisi epilettiche in una varietà di disturbi
gastrointestinali o in altre malattie sistemiche; anche in questi casi il trattamento dipende dalla
possibilità di correggere il disturbo elettrolitico e la condizione patologica che ne sta alla base
(336).
L’ipoglicemia è frequentemente indotta da farmaci (raramente da una malattia epatica o da un
insulinoma) e può causare convulsioni precedute, generalmente, da prodromi autonomici con
sudorazione, ansietà, tremore, e ottundimento della coscienza. L’iperglicemia non chetotica può
essere frequentemente associata a crisi epilettiche. Sono crisi spesso focali e può manifestarsi
84
un’epilessia parziale continua (385-387). L’idratazione è la scelta terapeutica più importante; l’uso
di fenitoina potrebbe anche peggiorare la situazione interferendo con la secrezione insulinica e
perciò il suo uso è sconsigliato. La chetoacidosi diabetica molto raramente è associata a crisi
epilettiche probabilmente per via dell’effetto protettivo dell’acidosi o degli stessi corpi chetonici
(dieta chetogena). Le malattie della tiroide, specialmente il coma mixedematoso (ora raro),
possono essere associate a crisi epilettiche; anche in queste il trattamento dipende dalla malattia di
base (336).
Le malattie del connettivo, come il LES e più raramente l’artrite reumatoide o la sindrome di
Sjögren o di Bechet, possono associarsi a crisi epilettiche (388-395). Il trattamento con
immunosoppressori e con farmaci antiepilettici è frequentemente indicato. Non ci sono dati certi
che i farmaci che possono raramente causare sindromi lupus-like siano controindicati in queste
situazioni (336).
Le crisi indotte da farmaci sono frequentemente presenti in molte delle patologie citate in
precedenza. Sia gli stimolanti prescritti come uso terapeutico che illeciti possono essere causa di
crisi e, alcune volte, di stati epilettici (35-42). Eccetto che per l’insulina gli altri farmaci mancano
di uno specifico antidoto ed è, generalmente, necessario l’utilizzo di farmaci antiepilettici. I metodi
per facilitare l’eliminazione degli agenti tossici sono importanti e possono includere
l’alcalinizzazione per i triciclici, la dialisi per la teofillina. Tra le crisi correlate all’abuso di
sostanze vengono incluse anche le crisi da sospensione. Se queste appaiono correlate alla brusca
sospensione di benzodiazepine o barbiturici la scelta terapeutica più ovvia è quella di reintrodurre
sotto controllo il composto che è stato tolto. L’uso di fenitoina è da considerare non corretto a
meno che non si verifichi uno stato epilettico e se la benzodiazepina di prima scelta non controlli le
crisi. Per le crisi d’astinenza alcolica, che si verificano in genere 6-48 ore dopo l’ultima assunzione
di alcool, l’idratazione e l’apporto di tiamina e glucosio sono scelte terapeutiche da fare
precocemente assieme alla somministrazione di benzodiazepine (396). Oltre ai farmaci-droghe e
alcool le crisi epilettiche possono essere causate anche da alcune sostanze, come i contrasti iodati,
utilizzate nella diagnostica (42). Una recente revisione metanalitica mostra che la
somministrazione profilattica di diazepam può ridurre questo rischio (337).
Le convulsioni dovute alla malaria cerebrale tendono ad essere protratte e a ricorrere molte volte
durante la stessa fase di malattia. Studi osservazionali hanno rilevato che pazienti con malaria
cerebrale che hanno convulsioni protratte e ripetute hanno una peggiore prognosi (397, 398). E’
possibile che le convulsioni nella malaria cerebrale contribuiscano alla maggiore mortalità
determinando un peggioramento dell’anossia cerebrale e dell’edema e causando un aumento della
pressione cerebrale. Su queste osservazioni è stato suggerito che l’uso di antiepilettici dovrebbe
essere utilizzato di routine in questi pazienti (399). Come nelle crisi febbrili il fenobarbital ha
85
dimostrato efficacia nel ridurre il rischio di crisi nella malaria cerebrale (337) tuttavia i risultati di
una revisione metanalitica indicano che nonostante questo la mortalità sarebbe più alta nei pazienti
trattati con questo farmaco e questo dato impone la necessità di ulteriori studi (400).
Ulteriori studi sono anche necessari per dimostrare l’utilità degli anticonvulsivi per prevenire la
mortalità e la morbilità nei neonati a termine con encefalopatia iposso-ischemica, condizione
spesso associata a crisi epilettiche (401).
4. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 11-1: Crisi epilettiche possono essere indotte acutamente dalla febbre oppure da numerose
altre condizioni che, nell’adulto e nel bambino, causano direttamente un danno o alterazioni della
perfusione e/o del metabolismo cerebrale
Raccomandazione 11.1 (Grado C)
Se le crisi rimangono isolate è indicato il trattamento della condizione che ha causato la crisi ma
non l’utilizzo di farmaci antiepilettici
Raccomandazione 11.2 (Grado A)
Se le crisi si ripetono e se si configura uno stato epilettico è indicato il trattamento in acuto con
benzodiazepine e/o farmaci antiepilettici maggiori
Sintesi 11-2: La diagnosi di CF si basa essenzialmente sull’esame obiettivo e sull’anamnesi.
In caso di CF il ricovero ospedaliero è indicato:
Raccomandazione 11.3 (Grado C)
In un bambino che presenti una CFC, vista la grande variabilità di condizioni sottese a
quest’evento
Raccomandazione 11.4 (Grado C)
Quando la CF si verifica in un paziente in cui le condizioni ambientali e/o socio-culturali sono
inadeguate (p.e. bambini privi di contesto familiare affidabile)
Raccomandazione 11.5 (Grado C)
86
In caso di CF sono indicati gli esami di laboratorio volti all’identificazione della causa della
febbre e delle eventuali alterazioni sistemiche sospette
Raccomandazione 11.6 (Grado C)
Nei casi di CF l’esecuzione di una rachicentesi è indicata solo quando vi sia il sospetto
clinico di un’encefalite o meningite
Sintesi 11-3: Nei casi di CF la presenza di un’encefalite o meningite deve essere fortemente
considerata non solo in presenza di sintomi e segni specifici (cefalea, meningismo, alterazioni
dello stato di coscienza etc.) ma anche:
¾ in presenza di CFC;
¾ quando il bambino sia stato trattato con antibiotici nei giorni precedenti per il possibile
mascheramento di sintomi e segni di meningite;
¾ in pazienti con età < 12 mesi e, in misura minore, in soggetti di età tra 12 e 18 mesi.
Sintesi 11-4: Sia l’EEG che le neuroimmagini (TC o RM) sono frequentemente normali nelle CF.
Raccomandazione 11.4 (Grado C)
L’esecuzione di un EEG è indicata nei casi di CFC.
Raccomandazione 11.5 (Grado C)
Il pannel d’esperti di queste Linee Guida non considera indicata l’esecuzione di un EEG di
routine nei casi di CF al primo episodio.
Raccomandazione 11.6 (Grado C)
Il pannel d’esperti di queste Linee Guida considera indicata l’esecuzione di una TC e/o RM nei
casi di CFC e comunque in tutti i casi di CF con EEG alterato in cui si sospetti la presenza di una
lesione strutturale cerebrale.
Sintesi 11-5: In genere una CF, in ragione della sua breve durata, non consente il trattamento in
acuto.
Raccomandazione 11.7 (Grado C)
Se la CF è prolungata è indicato il trattamento con benzodiazepine immediato (possibilmente <5
minuti) per interrompere la crisi. Diazepam per via rettale rappresenta la scelta preferibile.
87
Raccomandazione 11.8 (Grado C)
La terapia profilattica delle recidive con farmaci antiepilettici è indicata solo in presenza di:
¾ storia di convulsioni con durata superiore ai 15 minuti;
¾ presenza di due o più fattori di rischio (età d’insorgenza <15 mesi, presenza d’epilessia o di
convulsioni febbrili in parenti di primo grado, frequenti episodi febbrili, bassa temperatura
all’esordio della CF) di recidiva e storia di due o più episodi convulsivi;
¾ frequenti convulsioni in un breve periodo di tempo (3 o più volte in 6 mesi, 4 o più volte in un
anno).
Raccomandazione 11.9 (Grado C)
Come trattamento di prima scelta della profilassi delle CF è indicato la somministrazione di
diazepam per via rettale in modo intermittente.
Sintesi 11-6: Oltre al diazepam intermittente per via rettale sono considerate alternative efficaci la
somministrazione intermittente di diazepam per via orale e di altre benzodiazepine come il
lorazepam (anche per via rettale) ed il midazolam (intramuscolare). Tuttavia ques’ultimi due
farmaci non sono approvati con questa indicazione.
Raccomandazione 11.9 (Grado C)
E’ indicato il trattamento continuativo delle CF con valproato (scelta preferibile) solo in presenza
di:
¾ due o tre episodi convulsivi con febbre < 38°C
¾ di episodi convulsivi di durata superiore a 15 minuti
¾ di genitori che abbiano dimostrato di non essere in grado d’individuare l’esordio della febbre ai
fini della somministrazione intermittente di una benzodiazepina
¾ di una precedente storia di episodi convulsivi di durata superiore ai 15 minuti nei quali la
somministrazione intermittente di benzodiazepine, nonostante la corretta somministrazione, abbia
fallito.
Sintesi 11-7: Il trattamento continuativo con fenobarbital è efficacie nel ridurre le ricorrenze di CF
ma deve essere considerato un’alternativa in quanto meno tollerato.
Sintesi 11-8: Fenitoina e carbamazepina hanno dimostrato un’efficacia nel prevenire le crisi
precoci dopo un trauma cranico grave ma, probabilmente, anche fenobarbital e valproato hanno
88
efficacia comparabile. Tuttavia il loro utilizzo in questa situazione è opzionale in quanto le prove
attuali non indicano che la prevenzione delle crisi precoci migliora l’esito di questi pazienti.
Raccomandazione 11.9 (Grado C)
Il pannel d’esperti di queste Linee Guida considera indicato il trattamento profilattico con dintoina
delle crisi epilettiche precoci dopo un trauma cranico grave (Glasgow Coma Scale ≤8) solo se non
sono presenti situazioni cliniche che potrebbero essere aggravate dall’uso del farmaco (p.e.
ipotensione, aritmie cardiache).
Raccomandazione 11.8 (Grado A)
L’uso profilattico di fenitoina, carbamazepina, fenobarbital e valproato non è indicato per
prevenire l’insorgenza di crisi epilettiche tardive dopo un trauma cranico grave.
Raccomandazione 11.9 (Grado C)
Se i farmaci antiepilettici vengono utilizzati in assenza di crisi epilettiche il pannel d’esperti di
queste linee guida considera indicato sospendere il trattamento entro il primo mese per non
sottoporre il paziente al rischio di effetti collaterali.
Sintesi 11-9: Non vi sono prove sufficienti per stabilire i rischi ed i benefici della
somministrazione di anticonvulsivanti nelle donne con pre-eclampsia.
Raccomandazione 11.10 (Grado A)
Se un anticonvulsivante deve essere utilizzato nelle donne con pre-eclampsia il solfato di magnesio
è indicato come scelta preferibile.
Raccomandazione 11.11 (Grado A)
Nelle crisi epilettiche in corso di eclampsia Il solfato di magnesio è indicato come scelta
preferibile rispetto al diazepam e alla fenitoina.
Sintesi 11-10: Si sono dimostrati efficaci nella prevenzione di crisi sintomatiche:
¾ fenobarbital nelle crisi associate alla malaria cerebrale
¾ diazepam nelle crisi indotte da mezzi di contrasto
¾ fenitoina nelle crisi a seguito di craniotomia
¾ lorazepam nelle crisi correlate ad abuso di alcool
89
Tuttavia la loro reale utilità in queste specifiche situazioni non appare sempre sufficientemente
definita.
Raccomandazione 11.12 (Grado C)
Il pannel d’esperti di queste Linee Guida considera indicato il trattamento profilattico con dintoina
delle crisi epilettiche precoci a seguito di craniotomia. In assenza di crisi epilettiche tale
trattamento andrebbe sospeso entro il primo mese per non sottoporre il paziente al rischio di effetti
collaterali.
Raccomandazione 11.13 (Grado C)
Il pannel d’esperti di queste Linee Guida considera indicato il trattamento delle crisi correlate
all’uso di alcool con lorazepam.
90
XII. Gli stati epilettici
Lo stato epilettico (SE) è un’emergenza medica che comporta un significativo rischio di morte o di
danni neurologici permanenti (24). L’anossia, l’ictus, le infezioni del sistema nervoso centrale e i
disturbi metabolici sono associati ai peggiori esiti mentre i bassi livelli di farmaci antiepilettici in
pazienti con epilessia nota, le patologie correlate all’alcool ed ai traumi cranici, sono associati ad
una mortalità più bassa, indicando che la prognosi dipende prevalentemente dall’eziologia. Altri
fattori prognostici sfavorevoli sono considerati la durata maggiore di un’ora e l’età avanzata
mentre non è dimostrata una diversa mortalità nello SE generalizzato rispetto al focale (402, 403).
E’ tuttavia ammesso che vi sia una morbilità maggiore nello SE generalizzato convulsivo (SEGC)
(con alterazione di coscienza, irrigidimento degli arti e scosse muscolari) rispetto alle forme non
convulsive (con o senza alterazione di coscienza e senza irrigidimento degli arti e scosse
muscolari) (SENC) anche se dall’analisi dei dati di letteratura emergono molti fattori confondenti
(23, 25, 373, 404-405).
Nel 1993 la Epilepsy Foundation of America (EFA) Working Group sullo SE stabilì che la
somministrazione di farmaci antiepilettici doveva iniziare se una crisi durava per più di 10 minuti
(406). Basandosi su studi clinici che mostravano che una singola crisi raramente durava più di 2
minuti (66), è stato suggerito che una definizione operativa potrebbe essere la seguente: negli
adulti e nei bambini con età >5 anni, viene considerata la presenza di uno SEGC se sono presenti 5
minuti di crisi continue o due o più crisi discrete tra le quali vi è un incompleto recupero della
coscienza (23, 407-408).
Questa definizione ha il principale scopo di enfatizzare il problema che le crisi prolungate hanno
un alto rischio di complicazioni e necessitano, quindi, di un tempestivo ed efficace trattamento (22,
23, 403).
Sempre dal punto di vista della terapia appare importante distinguere i vari tipi di SE sia sulla base
delle diverse eziologie sia in base alle loro caratteristiche cliniche. Per esempio uno SEGC tonico
che si verifica nell’ambito di una sindrome di Lennox-Gastaut può essere indotto dalla
somministrazione di benzodiazepine utilizzate per trattare uno SE di assenza (409). Lo SE di
assenza non sembra causi danni del sistema nervoso centrale anche se ha una durata molto lunga
(410). Inoltre, se le complicazioni della terapia devono essere evitate, per il trattamento di questa
condizione potrebbero essere indicati schemi di utilizzo delle benzodiazepine meno aggressivi e,
probabilmente, farmaci molto attivi su questo tipo di crisi, come il valproato, oppure altri schemi
terapeutici ancora non testati in studi controllati. Sempre il valproato potrebbe rappresentare,
assieme alle benzodiazepine, il farmaco di scelta negli SE mioclonici che si verificano in corso di
epilessie generalizzate (31) mentre lo SE mioclonico, conseguenza di un danno cerebrale anosso-
91
ischemico, ha, di per sé, una prognosi infausta e non condizionabile dalla terapia antiepilettica (24,
25, 372, 373). Per un clinico non esperto è, poi, soprattutto senza l’ausilio dell’EEG, non sempre
facile distinguere uno SE psicomotorio da SE di assenza, come può essere difficile diagnosticare
uno SENC in un paziente in coma in una terapia intensiva e distinguere le forme “subtle” degli
SEGC dagli SEGC mioclonici e dal mioclono non epilettico. Lo SE focale semplice convulsivo
clonico rappresenta una situazione spesso autolimitata nel tempo ed il clono che si osserva nella
sua forma più persistente, l’epilessia parziale continua di Kojewnikow, risponde poco alla
somministrazione di farmaci antiepilettici. In tale situazione deve essere attentamente valutato il
rischio di un trattamento che causi un’eccessiva sedazione (31). Prevalentemente empirico è anche
il trattamento degli stati di male neonatali dove mancano studi adeguati e dove la presenza di
fattori particolari legati a quest’età rende l’interpretazione dei segni clinici e delle modificazioni
fisiopatologiche del tutto peculiari (31, 411). Anche il trattamento degli SEGC nei bambini è, per
lo più se non completamente, basato su indicazioni derivate da studi sull’adulto e i vari protocolli
proposti utilizzano estrapolazioni verso il basso del dosaggio dei farmaci da utilizzare. Questo
appare spesso non corretto per un numero di ragioni che includono l’ampia variabilità del peso
corporeo presente in quest’età, il differente metabolismo e le modalità utilizzate nel somministrare
i farmaci (p.e. uso delle benzodiazepine per via rettale) (346, 347, 412-414).
1. Trattamento dello SEGC
L’obiettivo del trattamento è quello di controllare il ripetersi delle crisi e deve sempre affiancarsi
ad alcune misure generali di gestione del paziente critico che includono, anche, il trattamento della
patologia che causa lo SE. Per praticità clinica, ma anche con il supporto di dati neurofisiologici, la
terapia dello SEGC viene frequentemente divisa in tre fasi:
¾ iniziale (primi 30 minuti)
¾ definito (dopo 30 minuti nonostante il trattamento iniziale fino a 60-90 minuti)
¾ refrattario (dopo 60-90 minuti dall’inizio della terapia) (326)
Diversi esperti hanno fornito differenti raccomandazioni sul migliore protocollo terapeutico da
applicare (22, 326, 407, 415-417). Tuttavia, soprattutto per le forme di SE definito e refrattario, le
prove di queste raccomandazioni non sono, spesso, chiare. Considerando questi limiti abbiamo
cercato di riassumere alcune delle proposte tratte dai principali protocolli terapeutici consultati
riportando, anche, la posologia consigliata per i farmaci considerati di riferimento.
a. Stato epilettico iniziale (primi 30 minuti)
92
I principali obiettivi di questa fase sono: supportare le funzioni vitali; identificare e trattare i fattori
causali e precipitanti; far terminare le crisi. Per quest’ultima necessità le benzodiazepine sono
considerate, attualmente, i farmaci di primo impiego poiché agiscono velocemente e sono facili da
utilizzare. Lorazepam e diazepam sono le due benzodiazepine di prima scelta (418-420). In
alternativa alcuni prevedono l’utilizzo di clonazepam (422) o midazolam (423-424). Tuttavia il
primo non è più in commercio in Italia nella forma iniettabile ed il secondo è registrato solo in
ospedale per l’uso in terapia intensiva. Anche lorazepam nella forma iniettabile è registrato solo
per l’uso ospedaliero.
La prima priorità è quella di garantire il mantenimento della respirazione e della circolazione. Il
paziente deve essere protetto dalla possibilità di causarsi lesioni, devono essere rimosse ostruzioni
delle vie respiratorie e applicare le classiche procedure del Basic Life Support (BLS). Vi sono poi
un certo numero di domande cui rispondere prima d’iniziare il trattamento: vi è il sospetto di
alcoolismo o di una ipoglicemia? E’ uno stato epilettico o psicogeno? Quale è la causa/prognosi?
Vi è necessità di un trattamento intensivo?
I protocolli in uso presso i principali dipartimenti ospedalieri comprendono, tutti od in parte, le
seguenti procedure:
¾ appena possibile somministrare ossigeno, assicurare un accesso venoso e prelevare campioni di
sangue per test di routine (glucosio, elettroliti, emocromo, funzionalità epatica e renale,
tossicologia e farmaci), ed iniziare il monitoraggio dei parametri vitali;
¾ trattare l’ipotensione (l’ipertensione non dovrebbe essere corretta finchè lo SE non è
controllato poiché la cessazione dello SE può correggerla e molti farmaci utilizzati nel trattamento
dello SE producono ipotensione). Trattare la grave acidosi. Nel sospetto d’ipoglicemia infondere
glucosio preceduto da tiamina 100 mg in pazienti con storia, o sospetto, di abuso di alcool, poiché
l’infusione endovenosa di glucosio potrebbe scatenare un’encefalopatia tipo Wernicke in pazienti
predisposti. Piridossina (100-200 mg) dovrebbe essere somministrata sistematicamente all’inizio
del trattamento nei bambini con meno di 24 mesi di età e, certamente, prima d’iniziare i farmaci a
lunga durata d’azione, se non può essere esclusa la rara condizione di crisi da carenza di
piridossina (22, 415, 416);
¾ per interrompere le crisi lorazepam e diazepam sono le due benzodiazepine considerate di
prima scelta. Le dosi e modalità di somministrazione consigliate sono: lorazepam (0,1 mg/Kg e.v.
a 2 mg/min), diazepam e.v. (10-20 mg a 2-5 mg/min negli adulti e 0,25-0,50 mg/Kg a 2-5 mg/min
nei bambini) (415). Alcuni protocolli utilizzati nei bambini includono la possibilità di
somministrare diazepam e lorazepam per via rettale. Il diazepam è considerato il farmaco di
riferimento con questa modalità di utilizzo (347). Midazolam intramuscolare (non è ancora
93
sufficientemente standardizzato l’uso per via nasale o buccale) viene da alcuni preferito grazie alla
più facile modalità di somministrazione (413, 421, 423-424).
b. Stato epilettico definito (>30 minuti fino a 60-90 minuti)
L’obiettivo della terapia di questa fase è anche quello di prevenire una eventuale ripresa delle crisi
utilizzando un farmaco antiepilettico che mantenga la sua efficacia nel tempo. Tuttavia se come
farmaci di prima linea le benzodiazepine hanno dimostrato una chiara efficacia non vi sono
evidenze certe che guidino circa il farmaco da scegliere se lo SE persiste dopo la somministrazione
di lorazepam (o di un’altra benzodiazepina). In Italia sono disponibili tre preparati iniettabili di
antiepilettici maggiori: fenitoina, fenobarbital, valproato. Le esperienze cliniche maggiori sono
state effettuate con fenobarbital sodico e la fenitoina per via endovenosa e tra i due, quest’ultimo è
frequentemente considerato di prima scelta per la sua efficacia e la sua relativa mancanza di
sedazione (408, 416, 417, 425). Inoltre il valproato, sebbene utilizzato in alcuni studi (426, 427),
non ha ricevuto ancora l’approvazione per l’uso negli SE. Alternativa alla fenitoina potrebbe
essere il profarmaco fosfenitoina non ancora registrato in Italia. Le misure da adottare in questa
fase comprendono:
¾ la stabilizzazione dei parametri vitali, la correzione degli squilibri metabolici e lo stabilire la
causa dello SE. In molti protocolli è contemplato l’inizio del monitoraggio EEG per confermare la
diagnosi e verificare l’efficacia della terapia. Predisporre, se possibile, il trasferimento in Unità
Intensiva se i parametri vitali indicano una criticità non affrontabile;
¾ infondere fenitoina (15-18 mg/Kg e.v. ad una velocità non superiore a 50 mg/min negli adulti 20 mg/min negli anziani, 20 mg/kg ad una velocità di 1 mg/kg/min nei bambini; rallentare la
velocità d’infusione se si verifica ipotensione). Ricordare che la fenitoina: non deve essere diluita
soprattutto in una soluzione glucosata; deve essere monitorizzata la frequenza cardiaca e la
pressione arteriosa (è controindicata in presenza di blocco atrio-ventricolare o grave ipotensione);
deve essere infusa utilizzando un accesso venoso indipendente (un grosso vaso per ridurre il
rischio di flebite); possono essere somministrati ulteriori 5 mg/kg e.v. in caso di mancato controllo
delle crisi (22, 23, 406, 408, 415-417);
¾ se non vi è risposta alla fenitoina alcuni consigliano di utilizzare fenobarbital o l’infusione di
midazolam (vedi dopo). Se utilizzato per terminare lo SE fenobarbital può essere impiegato negli
adulti alla dose di 10 mg/kg alla velocità di 100 mg/min (generalmente negli adulti una dose di
600-800 mg), seguita da un mantenimento di 1-4 mg/kg/die. Nei bambini e nei neonati la dose
endovenosa è di 15-20 mg/kg seguita da un mantenimento di 3-4 mg/kg/die. Dosi di carico più alte
possono essere utilizzate nei neonati. Fenobarbital può essere anche utilizzato fin dall’inizio del
94
trattamento. In questo caso la dose utilizzata negli adulti è di 3-5 mg/kg con una seconda dose
analoga effettuata in caso di persistenza delle crisi 15-30 minuti dopo l’iniezione (in caso di non
risposta possono essere necessarie dosi più alte fino a 20-30 mg/kg). La velocità d’infusione
nell’adulto non dovrebbe eccedere i 100 mg/min (22, 23, 396, 406, 408, 415-417, 428, 429).
c. Stato epilettico refrattario
Abbiamo visto che se lo SE non risponde al trattamento con benzodiazepine e fenitoina in dosi
adeguate, alcuni protocolli indicano la possibilità di utilizzare fenobarbital o midazolam. Vi è
comunque un consenso che se le crisi persistono dopo 30 minuti di trattamento con fenitoina o
fenobarbital vi è l’indicazione a provare un’anestesia generale. La scelta di quest’opzione dipende,
ovviamente, dalla disponibilità del trasferimento in una terapia intensiva e dalla valutazione dei
fattori prognostici complessivi. L’anestesia controlla i movimenti convulsivi, riduce l’attività
epilettica cerebrale e le richieste metaboliche. Può essere ottenuta con anestetici barbiturici e non
barbiturici (l’anestesia per inalazione ha una serie d’inconvenienti e richiede l’utilizzo di
particolari ambienti e agenti anestetici). Le misure generali dell’intervento terapeutico in terapia
intensiva sono:
¾ mantenere le funzioni vitali (sono necessarie intubazione e ventilazione artificiale) e prevenire
le complicanze dello SE, incluse quelle iatrogene, sia a livello cerebrale che extracerebrale. Appare
necessario, oltre alla monitorizzazione delle funzioni vitali e della temperatura corporea, anche il
monitoraggio dell’EEG per verificare l’efficacia della terapia che va continuata fino alla
risoluzione delle crisi o all’ottenimento di una modificazione del tracciato EEG definito come
burst suppression. In questi pazienti risulta utile non praticare la miorisoluzione;
¾ praticare l’anestesia generale. I farmaci più frequentemente utilizzati sono pentobarbital,
tiopental, propofol e midazolam. In Italia la scelta è prevalentente indirizzata all’uso di tiopental,
propofol e midazolam. La dose e le modalità di somministrazione sono: tiopental (negli adulti 100250 mg e.v. in 20 sec. seguiti da 50 mg ogni 2-3 min e successivo mantenimento con 3-5
mg/kg/ora per mantenere la condizione di “burst suppression”); propofol (carico di 1-3 mg/kg e
mantenimento con 6-12 mg/kg/ora); midazolam (carico di 0,15-2 mg/kg e mantenimento con 0.052 mg/kg/ora). L’infusione dei farmaci deve essere continuata per almeno 24 ore dopo che l’attività
epilettica si è risolta. Midazolam e propofol dovrebbero essere ridotti gradualmente in non meno di
6-24 ore. Altre opzioni terapeutiche proposte negli SE refrattari includono l’uso di lidocaina,
ketamina e di anestetici gassosi (isoflurano) (22, 23, 396, 406, 408, 415-417, 430, 431, 432-439).
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2. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 12-1: Lo SEGC è un’emergenza da affrontare prontamente in maniera adeguata per ridurre
la morbilità e, possibilmente, anche la mortalità.
Raccomandazione 12.1 (Grado C)
E’indicato iniziare il trattamento di uno SEGC quanto più precocemente possibile già nella fase di
preospedalizzazione.
Sintesi 12-2: Lo SENC focale complesso può, anch’esso, essere associato ad un’alta morbilità.
Mancano per questa specifica forma protocolli di trattamento condivisi.
Raccomandazione 12.2 (Grado C)
Il pannel di esperti di queste Linee Guida considera indicato il trattamento delle forme di SENC
focale complesso ad esordio acuto con gli schemi terapeutici utilizzati nello SEGC iniziale e
definito.
Sintesi 12-3: Lo SE di assenza, gli SE mioclonici in corso di un’epilessia mioclonica, gli SE focali
non associati ad alterazione della coscienza e gli SENC focali complessi in pazienti con epilessia
nota non presentano i caratteri dell’emergenza come gli SEGC ma necessitano, comunque, di un
trattamento appropriato.
Raccomandazione 12.3 (Grado C)
Il pannel di esperti di queste Linee Guida considera indicato il trattamento delle forme di SE di
assenza, di SE mioclonici in corso di un’epilessia mioclonica, di SE focali non associati ad
alterazione della coscienza e di SENC focali complessi in pazienti con epilessia cronica con
schemi terapeutici utilizzati nello SEGC iniziale e definito ma personalizzati in base alle diverse
situazioni cliniche (p.e. negli SE di assenza e negli SE mioclonici in corso di un’epilessia
mioclonica l’uso di valproato potrebbe essere preferibile).
Sintesi 12-4: Lo SEGC mioclonico in un paziente con encefalopatia post-anossica ha di per sé una
prognosi infausta e, probabilmente, non modificabile dalla terapia.
Raccomandazione 12.4 (Grado C)
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Il pannel di esperti di queste Linee Guida non considera indicato il trattamento SEGC mioclonico
in un paziente con encefalopatia post-anossica con alte dosi di farmaci antiepilettici.
Sintesi 12-5: Fenitoina, fenobarbital, diazepam, lorazepam e midazolam sono efficaci nel
trattamento degli SEGC iniziali e definiti. Per la maggior maneggevolezza le benzodiazepine sono
considerati i farmaci di primo impiego.
Raccomandazione 12.5 (Grado A)
Lorazepam o diazepam per via endovenosa sono indicati per il trattamento dello SEGC iniziale.
Lorazepam per via endovenosa è, probabilmente, la scelta preferibile.
Sintesi 12-6: In fase di preospedalizzazione se non fosse possibile la somministrazione di
benzodiazepine per via endovenosa sia lorazepam che diazepam possono essere somministrati per
via rettale ma non per via intramuscolare. Solo midazolam può essere somministrato per via
intramuscolare ma il suo uso è approvato solo per la sedazione e anestesia.
Raccomandazione 12.6 (Grado A)
In caso di SEGC se non fosse possibile la somministrazione di benzodiazepine per via endovenosa
è indicata la somministrazione di diazepam o lorazepam per via rettale. Soprattutto nel bambino
diazepam per via rettale rappresenta, probabilmente, la scelta preferibile.
Sintesi 12-7: Se le crisi persistono dopo la somministrazione di lorazepam, o di un’altra
benzodiazepina, la maggior parte dei protocolli consiglia l’utilizzo di fenitoina o fenobarbital per
via endovenosa.
Raccomandazione 12.7 (Grado C)
Dopo la somministrazione di benzodiazepine è indicata la somministrazione di un antiepilettico a
più lunga durata d’azione. Tra fenitoina e fenobarbital, fenitoina è, probabilmente, la scelta
preferibile.
Raccomandazione 12.8 (Grado C)
Se fenitoina o fenobarbital non possono essere utilizzati è indicato l’uso di valproato o midazolam.
Entrambi i farmaci non sono, tuttavia, approvati per questo uso.
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Sintesi 12-8: Gli SE refrattari hanno una mortalità molto alta che è correlata, prevalentemente,
all’eziologia. Per tale motivo la scelta dei pazienti da sottoporre ad anestesia generale deve essere
valutata caso per caso considerando anche i rischi e i benefici di tale procedura.
Sintesi 12-9: Negli SE refrattari l’infusione di farmaci anticonvulsivanti fino ad ottenere la
soppressione del fondo EEG (isoelettrica o burst suppression), sembra essere più efficace di altre
strategie terapeutiche. Tuttavia tali interventi sono associati, anche, con un aumento della
frequenza di ipotensione e non è stato osservato nessun effetto sulla mortalità.
Sintesi 12-10: I barbiturici anestetici, il propofol e il midazolam sono le opzioni terapeutiche più
frequentemente consigliate nei protocolli di trattamento dello SE refrattario. Non esistono studi
comparativi tra queste tre opzioni ed un consensus circa la modalità di trattamento migliore non è
ancora emerso.
Raccomandazione 12.9 (Grado C)
Negli SEGC refrattari è indicato l’uso di barbiturici, propofol e midazolam in una terapia intensiva
solo dopo aver valutato i rischi e benefici derivanti da tale procedura.
Sintesi 12-11: L’uso di ketamina, lidocaina, isoflurano si è dimostrato efficace nel trattamento di
alcuni SE refrattari. Tuttavia non esiste uno standard circa le modalità di utilizzo di tali composti.
Raccomandazione 12.10 (Grado C)
L’uso di ketamina, lidocaina, isoflurano per il trattamento degli SE refrattari deve essere
attentamente valutato ed è indicato che venga eventualmente effettuato solo da personale esperto
quando le altre opzioni terapeutiche hanno fallito e dopo aver valutato i fattori prognostici generali
dello specifico caso da trattare.
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XIII.Epilessia nelle donne
1. Epilessia e ormoni sessuali
E’ conosciuta la relativa frequenza di crisi epilettiche durante il ciclo mestruale e/o all’ovulazione,
fino a, peraltro rare, forme d’epilessia con crisi che si verificano esclusivamente in questi momenti
del ciclo riproduttivo femminile. Studi in vitro sull’attività degli ormoni sessuali femminili a
livello del sistema nevoso centrale hanno dimostrato che gli estrogeni (440) possiedono un’attività
eccitatoria (probabilmente mediata da un loro effetto indiretto sul GABA, i suoi recettori e i
recettori NMDA dell’ippocampo) a livello corticale mentre i progestinici hanno un effetto opposto
(441).Alcune più recenti osservazioni in aperto condotte su piccoli gruppi di pazienti, sembrano
indicare che una relativa insufficienza di secrezione progestinica sia responsabile di crisi
prevalentemente o esclusivamente catameniali (442) e che la somministrazione di progesterone
naturale (per supposta) o medrossiprogesterone (per via intramuscolare) è efficace nel determinare
una riduzione del numero delle crisi epilettiche (443, 444). Da rilevare, tuttavia, che nell’ipotesi di
una futura gravidanza la somministrazione di progesterone è controindicata.
Per molti farmaci antiepilettici (fenobarbital, primidone, fenitoina, carbamazepina, oxcarbazepina,
tiagabina, felbamato, topiramato) il cui metabolismo è completamente o parzialmente citocromo
P450-dipendente, è stata descritta, un’interazione con il livello plasmatico degli ormoni steroidei.
Tale interazione, sebbene non sempre clinicamente rilevante, avviene con meccanismi che
coinvolgono anche l’ipotalamo e la competizione per il legame alle proteine plasmatiche. Questi
dati spiegherebbero il frequente rilevamento d’irregolarità mestruali nelle donne con epilessia e la
relativa insicurezza di una contraccezione orale con queste terapie (444-448).
Nelle pazienti con crisi epilettiche sono state descritte, peraltro, alterazioni ormonali anche in
pazienti che non assumevano farmaci antiepilettici e che venivano imputate, senza ancora chiara
dimostrazione, all’interferenza della scarica corticale a livello dei releasing-factor ipotalamici.
Alcuni studi hanno rilevato, poi, una più alta incidenza d’associazione della sindrome dell’ovaio
policistico (PCOS) con la terapia con valproato. La storia naturale della PCOS è tuttora dibattuta.
Non è chiaro se tale disturbo sia, oltre che responsabile d’infertilità, anche espressione di possibili
alterazioni precancerose dell’ovaio oppure, viceversa, esse stesse si esprimano precocemente con
una PCOS (445, 449-451). In queste pazienti può, comunque, essere preferibile utilizzare farmaci
(gabapentin, levetiracetam e lamotrigina) che mostrano una ridotta interazione, clinica ed umorale
con i livelli degli ormoni steroidei e ritenuti meno probabilmente correlati alla sindrome (446,
448).
99
2. Contraccezione
All’inizio di una terapia antiepilettica in una donna in età fertile, è opportuno discutere l’eventuale
preferenza verso una contraccezione orale e la necessità di programmare una gravidanza. Questo,
in ottemperanza all’obbligo deontologico d’informazione e di scelta consapevole, al fine di
consentire, tra i farmaci indicati per le crisi della paziente, la selezione di quelli che non presentino
interazioni con gli ormoni steroidei (446, 448). Alternativamente andrebbero consigliati prodotti
con dosi più alte di estrogeni (50 mcg) che però sono correlati ad un maggior rischio di trombosi
venose profonde (452).
3. Gravidanza
Per tutti i farmaci antiepilettici tradizionali vengono segnalate potenzialità teratogene (le
malformazioni maggiori riportate comprendono la spina bifida, le malformazioni cardiache e del
massiccio facciale) senza, però, indicazioni precise sui singoli farmaci. Infatti, nonostante esista
un’ampia letteratura al riguardo, essa è prevalentemente costituita da segnalazioni sporadiche o da
piccoli gruppi, spesso prive di un adeguato monitoraggio ostetrico/neurologico, e quindi incapace
di fornire prove certe. L’uso di valproato in gravidanza viene, comunque, sconsigliato dalla
maggior parte degli esperti. Per quanto riguarda, poi, i farmaci di più recente introduzione, i dati
disponibili sono ancora numericamente scarsi.
Negli ultimi anni, in più paesi, sono stati istituiti registri nazionali e sono stati posti in opera studi
osservazionali policentrici multinazionali, tuttora in corso, che potranno dare nei prossimi anni
indicazioni più precise (453).
Considerando tali incertezze appare necessario programmare attentamente una gravidanza per:
¾ selezionare le pazienti che per la loro storia abbiano la possibilità di sospendere la terapia
(epilessia in remissione);
¾ apportare modifiche terapeutiche sia come posologia sia come numero di farmaci;
¾ decidere una sospensione temporanea della terapia qualora il tipo di crisi materne non comporti
rischi per il feto (è nota la potenziale lesività fetale solo delle crisi toniche e tonico-cloniche per
l’ipossia placentare che possono causare) (454).
Una volta che la gravidanza sia iniziata, è necessario tener presente che in questo periodo si
rilevano variazioni importanti sulla farmacocinetica di molti dei farmaci antiepilettici. Infatti la
presenza di modificazioni metaboliche e fisiche (livelli degli ormoni steroidei, diverso volume di
distribuzione sia per incremento della massa corporea acquosa sia per l’incremento fisiologico
100
della frequenza cardiaca, variazioni del legame proteico plasmatico ma con quota libera stabile)
renderà necessario, un adeguamento posologico, almeno a partire dall’inizio del secondo trimestre,
alle variazioni di peso della madre (tenendo presenti i parametri farmacocinetici noti per quel
farmaco) ed un monitoraggio plasmatico almeno trimestrale. I farmaci che presentano un
metabolismo citocromo P450-dipendente sembrano i più influenzati. Nell’ultimo mese sembra
consigliabile eseguire almeno due controlli del livello plasmatici di questi farmaci (455-456).
Quando sia necessario confermare la terapia con valproato viene suggerito, sulla base di
estrapolazioni da dati sperimentali ottenuti sull’animale, di frazionare il più possibile la dose
giornaliera della terapia, in modo da ottenere il più basso picco plasmatico (457, 458).
Uno degli effetti teratogeni più importanti probabilmente correlati all’utilizzo del valproato, ma
forse anche alla carbamazepina ed ad altri farmaci antiepilettici, è la spina bifida. E’ probabile che
quest’effetto sia, almeno parzialmente, legato al meccanismo di base che caratterizza le proprietà
dei farmaci antiepilettici (stabilizzazione del potenziale di membrana, effetto che tende a ridurre
quantitativamente le mitosi). Questo effetto è anche parzialmente legato alle interazioni di questi
farmaci con l’acido folico (460-463).
Da ciò deriva la raccomandazione di assumere acido folico (5 mg/die secondo la maggioranza
degli autori) almeno da tre mesi prima del concepimento e per tutto il primo trimestre.
Nel cordone ombelicale di feti le cui madri assumano farmaci antiepilettici citocromo P450dipendente, è documentata la presenza di forme inattive di fattori della coagulazione vitamina Kdipendenti. Il motivo di questo reperto non è chiarito, ma il rilievo di un’alta incidenza in questi
neonati di sindrome emorragica neonatale, e la normalizzazione dei fattori suddetti dopo
somministrazione di vitamina K, ha finora giustificato l’utilizzo di vitamina K alla fine della
gravidanza. Esiste, comunque, un recente dibattito sulla reale necessità di questa misura, che
potrebbe, potenzialmente, determinare un incremento del rischio trombofilico materno, presente in
modo importante al termine della gravidanza.
Quest’indicazione comunque non sostituisce l’indicazione generale alla somministrazione
intramuscolare di Vitamina K, alla nascita, a tutti i neonati (464, 465).
Qualora sia prevedibile una nascita prematura, è comunemente indicata, come prevenzione della
sindrome da distress respiratorio neonatale, la somministrazione, alla madre di beclometasone alla
posologia di 24 mg, mentre nelle gestanti che assumono farmaci antiepilettici con metabolismo
citocromo P450-dipendenti si dovrà utilizzare un dosaggio doppio, cioè 48 mg (466).
Esiste, in Italia, uno standard di controlli clinico-strumentali per la prevenzione delle patologie
materno-fetali più comuni utilizzato per il monitoraggio di tutte le gravidanze. Nel caso di pazienti
con epilessia in trattamento farmacologico esiste anche la necessità di programmare un attento
101
monitoraggio strumentale e clinico per rilevare precocemente eventuali effetti teratogeni in modo
che possano essere prese decisioni sulla prosecuzione o meno della gravidanza.
Nelle donne con epilessia, il rischio malformativo sembrava circa doppio rispetto alla popolazione
generale, qualunque sia il farmaco utilizzato, ed anche a prescindere dall’assunzione o meno di
farmaci. Tuttavia i dati più recenti su donne con epilessia non in trattamento farmacologico,
smentiscono che questo rischio sia legato direttamente all’epilessia (467). Come già detto le
malformazioni maggiori comunemente riferite all’uso di antiepilettici riguardano la spina bifida, le
malformazioni cardiache e del massiccio faciale. Le forme più gravi possono essere individuate in
utero mediante controlli ecografici mirati e la valutazione dell’andamento dell’alfa-fetoproteina
(454, 459, 460, 464).
E’ quindi assolutamente fondamentale il lavoro coordinato tra neurologo ed ostetrico, se possibile
con la determinazione di automatismi operativi che rendano routinaria la gestione del problema. A
scopo esemplificativo si allega uno schema di protocollo diagnostico-preventivo orientato verso le
problematiche malformative correlate all’uso degli antiepilettici:
¾ X°-XII° settimana: esecuzione ecografia per controllo spina dorsale (rilievo spina bifida
conclamata);
¾ XVI° settimana: determinazione alfa-fetoproteina ematica (o eventualmente sul liquido
amniotico);
¾ XVIII-XX° settimana: esecuzione ecografia per lo studio del massiccio facciale (si evidenziano
difetti di saldatura come labiopalatoschisi etc.);
¾ XXII°-XXIV° settimana: esecuzione toco-ecocolor cardiaco (previa consulenza per gravidanza
a rischio) per eventuali difetti cardiaci (indicata soprattutto quando ci sia una storia familiare in tal
senso).
4. Parto e puerperio
Non ci sono indicazioni a programmare un parto cesareo d’elezione per la sola presenza
d’epilessia.
Secondo le varie casistiche, l’1-2% delle donne con epilessia presenta una crisi generalizzata
tonico-clonica durante il parto o nelle 24 ore successive. Poiché non esiste nessuna prova di un
rapporto causa-effetto tra il parto e le crisi (ad eccezione della presenza di un’eclampsia), le ipotesi
formulate al riguardo sono legate all’alterazione del ritmo sonno-veglia durante il travaglio, alla
presenza di acidosi e all’eventuale presenza d’ipoglicemia.
102
Il trattamento della crisi è, generalmente, effettuato con benzodiazepine anche se non vi sono
indicazioni al loro utilizzo a meno che le crisi tendano a ripetersi. Non vi sono, infatti, particolari
rischi fetali a meno che non si sviluppi un’acidosi materna (336, 454, 468, 469).
Ovviamente si deve garantire l’assunzione della terapia anche durante il travaglio e se questo
determina la comparsa di vomito si dovrà considerare la possibilità di utilizzare benzodiazepine
per via rettale o endovena (diazepam o lorazepam) o, se necessario, con antiepilettici maggiori per
via endovenosa (fenitoina o valproato).
Nel puerperio (soprattutto nei primi 60-90 giorni) la terapia deve essere lasciata immodificata
qualora si effettui allattamento al seno, poiché l’assetto ormonale e le modificazioni fisiche indotte
dalla gravidanza si mantengono ancora stabili. Dal 60°-90° giorno, previo eventuale dosaggio dei
livelli plasmatici degli antiepilettici, si può iniziare un lento ritorno della posologia ai livelli
pregestazionali (454, 468, 469).
5. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 13-1: Le donne con epilessia necessitano di particolari attenzioni legate, soprattutto, alla
scelta della terapia che può interferire sulla funzione endocrina-riproduttiva e sulla contraccezione.
Prima d’iniziare una terapia antiepilettica in una donna con epilessia è indicato:
Raccomandazione 13.1 (Grado C)
Valutare la storia ginecologico-ormonale.
Raccomandazione 13.2 (Grado C)
Chiarire i desideri della paziente rispetto ad un’eventuale contraccezione orale.
Raccomandazione 13.3 (Grado C)
Chiarire i desideri della paziente rispetto ad un’eventuale gravidanza.
In una donna con epilessia che desideri programmare una gravidanza è indicata una consulenza da
parte di medici esperti per:
Raccomandazione 13.4 (Grado C)
Indicare la percentuale del rischio della trasmissione genetica della malattia e per conoscere la
possibilità d’effettuare, preliminarmente, test diagnostici specifici.
103
Raccomandazione 13.5 (Grado C)
Informare circa il rischio teratogeno dei farmaci antiepilettici.
In una paziente con epilessia in trattamento con farmaci antiepilettici è indicato pianificare la
gravidanza in modo da:
Raccomandazione 13.6 (Grado C)
Sospendere eventualmente la terapia qualora l’epilessia possa considerarsi guarita oppure le crisi
siano tali da non mettere a rischio la madre e la prosecuzione della gravidanza.
Raccomandazione 13.7 (Grado C)
Sostituire i farmaci fino allora assunti, se a più alto rischio teratogeno, con altri ad analogo spettro
d’azione ma per i quali vi siano relative sicurezze d’impiego nel periodo dell’organogenesi (primo
trimestre) [p.e. nella maggior parte delle pazienti il fenobarbital può essere considerato
un’alternativa al valproato].
Raccomandazione 13.8 (Grado C)
Ridurre il numero dei farmaci utilizzati e, se possibile, attuare una monoterapia.
Raccomandazione 13.9 (Grado A)
Iniziare l’assunzione di folati (almeno 5 mg/die d’acido folico per os).
In una paziente in trattamento con farmaci antiepilettici, è indicato durante la gravidanza:
Raccomandazione 13.10 (Grado A)
Continuare l’assunzione di folati almeno per tutto il primo trimestre.
Raccomandazione 13.11 (Grado C)
Programmare controlli clinici e strumentali mirati ad evidenziare le forme più gravi di
malformazioni correlabili all’uso di antiepilettici.
Raccomandazione 13.12 (Grado C)
Se è assunto valproato frazionare la posologia giornaliera in diverse assunzioni nell’arco delle 24
ore, per ridurre i picchi plasmatici che s’ipotizzano correlati alla frazione d’assorbimento
transplacentare (per estensione potrebbe essere consigliato frazionare la dose giornaliera anche
degli altri farmaci).
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Raccomandazione 13.13 (Grado C)
Se necessario al controllo delle crisi i farmaci antiepilettici a più alto rischio teratogeno possono
essere reintrodotti dopo il primo trimestre (periodo dell’organogenesi).
Raccomandazione 13.14 (Grado C)
Somministrare 10 mg/die di vitamina K dalla 36° settimana di gestazione per prevenire rischi
emorragici nel neonato.
Raccomandazione 13.15 (Grado C)
Se sussiste rischio di una nascita prematura somministrare alle gestanti che assumano farmaci
antiepilettici inducenti 48 mg di beclometasone come prevenzione della sindrome da distress
respiratorio neonatale.
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XIV. Problemi medici e anestesiologici in pazienti con epilessia
I pazienti con epilessia presentano una morbilità generale per affezioni mediche o chirurgiche più
alte della popolazione di riferimento della stessa età e stato socio-economico (58, 472). Questo
comporta, tra l’altro, che questi pazienti debbano sottoporsi a diverse terapie mediche od interventi
chirurgici.
Per i pazienti che non possono assumere i loro farmaci abituali per via orale, o per sondino nasogastrico, sono disponibili in Italia per via iniettabile, oltre alle benzodiazepine, fenitoina,
fenobarbital e valproato. La gestione della terapia farmacologia in corso di malattie sistemiche e
chirurgiche non è standardizzata e appare necessario, di solito, una conoscenza adeguata non solo
del tipo di crisi e sindrome epilettica presentata, ma anche delle caratteristiche farmacocinetiche e
farmacodinamiche di tutti i farmaci assunti allo scopo di poter individualizzare la terapia in
relazione alle caratteristiche della malattia sistemica e della varia tipologia dei farmaci assunti. In
Allegato 18.7 è riportata una tabella riassuntiva delle più frequenti interazioni dei farmaci
antiepilettici.
Un altro dei problemi più importanti nei pazienti con epilessia coinvolge le caratteristiche
dell’anestesia da approntare quando, per una qualsiasi ragione, questi si debbano sottoporre ad un
intervento chirurgico. I maggiori testi d’anestesia consultati concordano sul fatto che il controllo
delle crisi dovrebbe essere ottenuto prima di sottoporre il paziente all’intervento e che i farmaci
antiepilettici devono essere assunti a dosi sicuramente efficaci tenendo come riferimento il range
terapeutico. Inoltre, nei giorni precedenti, occorre garantire la necessaria tranquillità anche con
l’uso di farmaci, p.e. benzodiazepine, allo scopo di evitare situazioni, come la deprivazione di
sonno, che possono aumentare il rischio di crisi epilettiche. Durante l’operazione bisogna
considerare che l’intervento chirurgico può necessitare di rimpiazzo volemico con cristalloidi,
colloidi, sangue e plasma. In conseguenza i livelli ematici dei farmaci antiepilettici possono
diminuire e aumentare il rischio per il verificarsi di crisi nel post-operatorio. In questi pazienti,
pertanto, il risveglio andrebbe dilazionato in una terapia intensiva/subintensiva (473-474).
Riguardo al tipo d’anestesia da consigliare non vi sono evidenze certe. Sono segnalati in letteratura
casi aneddotici di vari anestetici che possono causare crisi epilettiche durante l’anestesia o nel
post-operatorio (430, 475-477). In alcuni casi è segnalata solo comparsa d’anomalie epilettiche
all’EEG o d’attività motorie seizure-like (478-481). Tuttavia dall’analisi dei casi segnalati non
emerge un tipo d’anestesia assolutamente controindicata in pazienti con epilessia.
Il methoexitale e l’etomidate sono anestetici non-oppioidi endovenosi che determinano attività
epilettiforme sia all’induzione sia durante anestesia e possono provocare, inoltre, convulsioni nel
post-operatorio (430, 482). L’uso della ketamina è controverso. E’ stato dimostrato che produce
106
attività epilettica in pazienti con epilessia nota (483), tuttavia è stato descritto il suo utilizzo anche
per interrompere uno stato di male (439, 484). Fra gli anestetici volatili l’alotano ha documentate
proprietà anticonvulsive (anche se esistono alcune vecchie segnalazioni di convulsioni associate ad
anestesie con alotano), così come l’isoflurano del quale è stata dimostrata la capacità di sopprimere
l’attività epilettica intraoperatoria e di stati di male refrattari (430, 431, 438).
Il sevorane è un anestetico volatile introdotto in epoca relativamente recente. Sono apparse in
letteratura segnalazioni che mostrano una maggiore attività epilettogena rispetto all’isoflurano sia
nell’induzione a maschera in adulti sani e in bambini che in anestesie di lunga durata con livelli
MAC (Minima Concentrazione Alveolare) 2 (485-487). Il desflurane produce una depressione
EEG simile a quella dell’isoflurane (474).
Gli anestetici oppioidi sono al momento utilizzati sia nella fase d’induzione sia di mantenimento
dell’anestesia poiché sembra che non predispongono ad attività epilettica. Fra i miorilassanti
l’atracurium provoca una riduzione della soglia epilettogena come risultato dell’accumulo del
metabolita laudanosina, questo effetto è in ogni caso ritenuto di scarso significato clinico488-489.
Attualmente nei pazienti epilettici sono in ogni caso utilizzati altri curari di più recente
introduzione privi di questa attività.
Nel postoperatorio la terapia antiepilettica in corso dovrebbe essere ripresa al più presto secondo lo
schema d’assunzione precedente l’intervento. Nei casi in cui non sia possibile, o la nutrizione
enterale o la somministrazione di alcuni farmaci interferisca con l’assorbimento orale degli
antiepilettici, è da ritenersi utile la somministrazione endovenosa di uno dei farmaci antiepilettici
disponibili per questa via.
1. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 14-1: I pazienti con epilessia presentano più frequentemente della popolazione generale
problemi medici e chirurgici. In loro devono essere considerate sia gli aspetti della malattia e del
suo trattamento che la modalità di esecuzione delle diverse procedure mediche e anestesiologiche
necessarie.
Raccomandazione 14.1 (Grado C)
Nei pazienti con epilessia che presentino comorbillità è indicato la scelta del trattamento più
opportuno per il quale vanno considerati:
¾ l’efficacia dei farmaci antiepilettici sullo specifico tipo di crisi presentate
¾ le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di tutti i farmaci assunti
107
¾ le caratteristiche della malattia associata che può condizionare l’assorbimento, la distribuzione
ed il metabolismo dei farmaci
¾ la tollerabilità e la sicurezza dei singoli farmaci e dell’associazione proposta nella specifica
situazione
Raccomandazione 14.2 (Grado C)
Nei pazienti con epilessia in cui è necessario un intervento chirurgico sono indicate specifiche
attenzioni che riguardano sia la conduzione dell’anestesia sia l’assistenza nel post-operatorio
(risveglio, continuazione della terapia, etc.).
108
XV. Disturbi psichiatrici e epilessia
1. Comorbilità psichiatrica in epilessia
Molti studi, seppure con alcune riserve legate alla metodologia impiegata, sembrano confermare
che la prevalenza dei disturbi psichiatrici è superiore nei pazienti con epilessia rispetto alla
popolazione generale (490-492).
I disturbi depressivi sono considerati più frequenti in soggetti con epilessia e gli episodi di
depressione maggiore, e le terapie ad essa correlate, rappresenterebbero un fattore di rischio sei
volte maggiore per la comparsa di crisi epilettiche (493). D’altra parte le caratteristiche
neurobiologiche e psicosociali dell’epilessia, e lo stesso trattamento con farmaci antiepilettici,
possono rappresentare potenziali fattori di rischio per sviluppi depressivi (494). In un paziente con
epilessia sentimenti di depressione, esperienze d’ansia e di angoscia o manifestazioni psicotiche si
possono manifestare come un fenomeno ictale durante una crisi, oppure come fenomeni perictali
(es. paura anticipatoria di poter avere una crisi), o interictali rappresentando una modificazione
psicopatologica non in stretta relazione temporale con le crisi (495). La relazione tra epilessia e
psicosi interictali è interessante ma poco definita. I limiti della comprensione di quest’associazione
riflettono la mancanza di una standardizzazione della terminologia psichiatrica e dei criteri
diagnostici impiegati. Molte osservazioni suggerirebbero che la frequenza delle psicosi similschizofreniche nei pazienti con epilessia sarebbe maggiore rispetto alla popolazione generale (496)
mentre l’opinione per cui vi sarebbe una relazione antagonista tra epilessia e schizofrenia
sembrerebbe dimostrata da recenti studi epidemiologici (497). Riguardo a questo tipo di psicosi nei
pazienti con epilessia sono state evidenziate, inoltre, alcune caratteristiche psicopatologiche
peculiari che comprenderebbero l’assenza di sintomi negativi, come l’apatia e l’impoverimento
affettivo, ed il decorso più benigno. Anche recentemente, viene poi riconsiderato il fenomeno della
psicosi che si accompagna alla forzata normalizzazione dell’EEG (498, 499). Nella letteratura
classica viene riportata nei pazienti con epilessia una maggiore incidenza di deliri cronici
sistematizzati, spesso a tema religioso (500). Tuttavia i dati più recenti non citano tale aspetti (496)
mentre una caratteristica che viene spesso evidenziata è la presenza di un disturbo disforico
antecedente e concomitante (501, 502). Alcuni studi riportano come fattori di rischio per lo
sviluppo di una psicosi in un paziente con epilessia la presenza di molti tipi di crisi, di uno stato
epilettico, di una farmacoresistenza, del sesso femminile, dell’insorgenza dell’epilessia tra i 13 e
18 anni e di una storia familiare di schizofrenia (496). Vanno poi considerati i possibili effetti
positivi e negativi dei farmaci antiepilettici assunti cronicamente da questi pazienti (503).
109
L’idea di una personalità peculiare della persona con epilessia, caratterizzata dallo stereotipo di
vischiosità, perseverazione, bradipsichismo, disturbi del linguaggio, povertà dell’eloquio e reazioni
esplosive è attualmente criticata. Alcuni tratti di personalità osservati in soggetti con epilessia del
lobo temporale (seriosità di portamento, linguaggio ponderato, orientamento etico e spirituale)
possono essere considerati, alcune volte, attributi positivi (504). Tuttavia quando coesiste un
disturbo disforico intercritico si può verificare l’emergere di un’aggressività parossistica che,
normalmente, non caratterizza la persona (501, 502). Attualmente il comportamento dei pazienti
con epilessia viene semplicemente, spesso, definito come non congruo o diverso poiché nessuna
specifica costellazione di sintomi sembra esserne caratteristica. In questo, comunque,
sembrerebbero prominenti le alterazioni delle emozioni e degli affetti (505). E’ da notare che
alcune caratteristiche della personalità sarebbero presenti non solo in pazienti con lesioni strutturali
cerebrali poiché soggetti con epilessia cronica non lesionale sottoposti a test di personalità
ampiamente standardizzati come MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory)
mostrerebbero rispetto a controlli un più alto indice di personalità schizotipiche, depressive e
paranoiche (506).
Anche i bambini, gli adolescenti con epilessia presenterebbero un più elevato tasso di disturbi
mentali, la cui entità resta, comunque, mal definita (507). Diversi studi sui bambini con epilessia
hanno mostrato che essi presentano una frequenza da due a quattro volte maggiore di disturbi
mentali rispetto ai bambini senza epilessia (508). La tipologia di questi disturbi è estremamente
varia. Essa include più frequentemente l’iperattività (spesso associata a sintomi quali distraibilità,
ridotta capacità attentiva, labilità d’umore) seguita da disturbi dell’umore e disturbi d’ansia (509).
Nella determinazione dei sintomi, oltre alle variabili biologiche e farmacologiche, possono entrare
in gioco fattori ambientali quali il rapporto all’interno della famiglia e le tecniche educazionali
(83).
2. Utilizzo di farmaci psicotropi in pazienti con epilessia
Molti farmaci psicotropi sono stati associati al manifestarsi di crisi epilettiche e nonostante non vi
siano studi controllati che dimostrino una maggiore pericolosità di un farmaco rispetto ad un altro
nel trattamento farmacologico dei disturbi psichici associati all’epilessia è importante, comunque,
utilizzare alcune precauzioni. I farmaci psicotropi andrebbero utilizzati ad un dosaggio iniziale più
basso e la dose andrebbe aumentata lentamente. Altre precauzioni includono quella di seguire il
paziente regolarmente, di non salire troppo velocemente con la posologia, di utilizzare la dose
minima efficace, di conoscere le interazioni farmacologiche (alcuni farmaci psicotropi possono
110
innalzare i livelli plasmatici dei farmaci antiepilettici e, questi ultimi, possono ridurre i livelli
plasmatici dei farmaci psicotropi) e di ricorrere, quando necessario, al monitoraggio dei farmaci
antiepilettici (35, 36, 39, 41, 42, 510).
In genere si ritiene che tutti gli antidepressivi (eccetto gli IMAO) possono abbassare la soglia
convulsivante. Gli SSRI sembrano più sicuri dei triciclici in questo senso. Tra i triciclici la
clomipramina sembra abbastanza epilettogena. Il bupriopone, la maprolitina sarebbero gli
antidepressivi con maggiore attività proconvulsivante ed andrebbero evitati in questi pazienti.
L’uso degli IMAO (eccetto la moclobemide) non è consigliato quando il paziente è in trattamento
con carbamazepina. Tutti gli antipsicotici possono ridurre la soglia convulsivante. Alcuni autori
suggeriscono che tra gli antipsicotici tipici l’aloperidolo e la flufenazina sembrano i meno
epilettogeni, mentre la clorpromazina sarebbe la più epilettogena. Tra i nuovi antipsicotici la
clozapina dovrebbero essere evitata o somministrata con molta attenzione. Inoltre bisogna
considerare che alcuni pazienti possono avere una particolare suscettibilità agli effetti epilettogeni
dei farmaci psicotropi, per esempio: pazienti anziani, con insufficienza mentale, o con una storia di
trauma cranico, abuso di sostanze o alcool e pazienti che stiano riducendo il dosaggio di
benzodiazepine o barbiturici (496, 510-512).
3. Le crisi psicogene
La maggior parte dei centri di epilettologia riporta che tra il 10 ed il 30% di tutti i pazienti visitati
per epilessia presenterebbero, in realtà, crisi psicogene o pseudocrisi (82). Talvolta, nel medesimo
paziente queste due condizioni possono coesistere anche se alcuni autori ritengono tale
associazione molto rara (73, 81). La diagnosi di crisi psicogene può spesso essere difficile e
richiedere la registrazione durante l’EEG, o la video-EEG, della crisi. In alcuni casi può essere
utile indurre la crisi psicogena con manovre suggestive (84).
Nel manifestarsi di questi disturbi entrano in gioco fattori quali un’elevata suggestionabilità,
fenomeni di conversione e di dissociazione della coscienza. Viene riportato che questi pazienti
presentano spesso una storia di abusi sessuali, violenze fisiche e disinteresse (73-84, 513, 514).
Il problema delle pseudocrisi rimanda al trattamento dell’isteria, che nelle categorie nosografiche
attuali viene compresa nei disturbi di conversione e disturbi dissociativi.
111
4. Sviluppo cognitivo ed epilessia
Le disfunzioni cognitive rappresentano un problema diffuso in corso di epilessia dal momento che
il processo morboso in sé e le terapie possono implementarle. E’ stato rilevato che pazienti con
epilessia riferiscono spesso problemi di memoria e considerano le loro difficoltà mnesiche una
fonte di estremo disagio (515, 516). Giovani con crisi parziali complesse, rapportati a gruppo di
controllo, mostrano prestazioni cognitive significativamente peggiori. Esse includono: memoria
verbale, memoria non verbale, linguaggio, successo scolastico, problem solving, abilità motorie ed
efficienza mentale (517). Studi su popolazioni di bambini hanno mostrato percentuali di
prevalenza di epilessia nel 6% di soggetti con ritardo mentale lieve (QI 50-70), nel 24% con ritardo
severo (QI <50) e 50% con ritardo profondo (QI<20) (57). Bisogna considerare, però, che vi sono
molte eziologie nelle epilessie e, di conseguenza, una consistente variabilità del tipo di
compromissione legato alle varie eziologie e danni cerebrali. La maggioranza dei deficit cognitivi
si osservano in pazienti con crisi generalizzate rispetto alle focali, con insorgenza più precoce, con
più lunga durata di malattia e con maggiori anormalità dell’EEG. Queste alterazioni possono
essere indipendenti dall’uso dei farmaci antiepilettici ma anche questi possono, molte volte,
contribuire ai deficit riscontrati. In particolare si ritiene che le terapie d’associazione, i barbiturici e
le benzodiazepine possono influire negativamente su molte funzioni cognitive mentre gli effetti su
queste funzioni di monoterapie con carbamazepina, fenitoina e valproato sembrano più modesti
così come quelli di alcuni nuovi farmaci antiepilettici (206, 518).
Un altro importante aspetto dei rapporti tra disturbi cognitivi ed epilessia deriva dall’osservazione
che il quoziente intellettivo di pazienti con epilessia del lobo temporale intrattabile di più lunga
durata sembra più compromesso. Questo dato indicherebbe che l’epilessia temporale intrattabile è
associata ad un lento ma progressivo deterioramento cognitivo. Un fattore capace di contrastare
questo fenomeno sembrerebbe essere la presenza di un più elevato livello d’istruzione (519)e tali
osservazioni sono state recentemente considerate a supporto della scelta di un precoce intervento
chirurgico nell’epilessia temporale resistente (520).
5. Sintesi e raccomandazioni
Sintesi 15-1: La prevalenza dei disturbi psichiatrici è maggiore nei pazienti con epilessia rispetto
alla popolazione generale. In particolare i disturbi depressivi sono più frequenti in soggetti con
epilessia e gli episodi di depressione maggiore, e le terapie ad essa correlate, rappresentano un
fattore di rischio per la comparsa di crisi epilettiche.
112
Raccomandazione 15.1 (Grado C)
Nella diagnosi e nel trattamento dei pazienti con epilessia che presentano disturbi psichici è
indicato un lavoro coordinato tra medici neurologi e psichiatri, o i vari professionisti (psichiatri,
psicologi e neuropsichiatri infantili) del Dipartimento di Salute Mentale (DSM), che favorisca
l’adozione di automatismi operativi per rendere routinaria la gestione di questi pazienti.
Raccomandazione 15.2 (Grado C)
Nei pazienti con epilessia è indicato valutare l’eventuale presenza di una comorbillità psichiatrica
anche allo scopo di scegliere, tra le possibili opzioni terapeutiche, quella più appropriata.
Raccomandazione 15.3 (Grado C)
Nei disturbi di personalità, nei disturbi d’ansia e nel disagio in età evolutiva è indicata la
psicoterapia e l’intervento sulla rete familiare e sociale. Negli altri disturbi psichici queste tecniche
possono affiancare la terapia farmacologia
Sintesi 15-2: L’assunzione di molti farmaci psicotropi può associarsi a crisi epilettiche ma, anche
se vi sono probabilmente importanti differenze, non vi sono studi controllati che mostrino un
maggior rischio di crisi epilettiche indotte da un farmaco rispetto ad un altro.
Nei pazienti con epilessia in cui è necessario utilizzare farmaci psicotropi è indicato utilizzare
alcune precauzioni che includono:
Raccomandazione 15.4 (Grado C)
La scelta di farmaci che hanno meno interferenze farmacocinetiche con i farmaci antiepilettici.
Raccomandazione 15.3 (Grado C)
Evitare i farmaci che più frequentemente sono stati associati a rischio di crisi.
Raccomandazione 15.4 (Grado C)
Evitare una titolazione rapida dei farmaci a maggior rischio di convulsioni utilizzando la dose
minima efficace.
Sintesi 15-3: La diagnosi di crisi psicogene può essere difficile e richiedere, alcune volte, la
registrazione contemporanea dell’EEG, o della video-EEG, durante la crisi.
113
Raccomandazione 15.5 (Grado C)
Una volta esclusa la natura epilettica e definita la natura esclusivamente psicogena delle crisi è
indicato il confronto con la diagnosi e l’astensione da ricoveri, esami, farmaci e visite non
necessarie.
Raccomandazione 15.6 (Grado C)
Il pannel di esperti di queste Linee Guida considera indicato il trattamento psicoterapico dei
pazienti con crisi psicogene.
Raccomandazione 15.7 (Grado C)
Nel bambino con epilessia sono indicate valutazioni neuropsicologiche e prove psicoeducazionali
al fine d’identificare risorse o carenze per le quali impostare specifici approcci educativi.
114
XVI. Problematiche sociali, lavorative e medico legali
La discriminazione dei pazienti con epilessia, frutto della non conoscenza della malattia, è
tutt’oggi esistente. Il pregiudizio psicosociale e l’associato stereotipo negativo, affondano le
proprie radici in secoli di storia, in cui la mancanza di comprensione scientifica della malattia,
comportò spesso, l’associazione di questa, con vecchie e fantasiose credenze popolari, che
ritenevano spiriti o comportamenti immorali come le cause della malattia (521).
Un’indagine condotta nello stato di Kentucky (USA), dimostra come i genitori considerino in
maniera più negativa l’epilessia in una aula scolastica, rispetto ad altre malattie, come ad esempio
l’asma bronchiale (522).
Molti stati dei paesi europei e nordamericani hanno abrogato, di recente, norme e disposizioni
legislative basate su secoli di pregiudizi. Basti pensare, che nel Regno Unito, fu abrogata solo nel
1970, una legge che impediva il matrimonio ai soggetti con epilessia.
Le restrizioni legislative sono state molto significative anche nei confronti dell’inserimento del
mondo del lavoro e della vita sociale e di relazione. Fino agli anni 70, ad esempio, negli Stati
Uniti, era ancora legale proibire alle persone con epilessia l’accesso nei ristoranti, teatri, centri
ricreativi ed altri luoghi pubblici. Le limitazioni imposte da provvedimenti legislativi hanno
contribuito alla persistenza dello stigma nel tempo (523-525).
Oggi le problematiche psicosociali più rilevanti sono presenti nelle relazioni interpersonali e nel
lavoro, e queste, spesso, non sono in relazione con la gravità delle crisi, ma con la disinformazione
su questa malattia.
Ciò può determinare conseguenze su ogni tappa dello sviluppo individuale ed in ogni ambito
sociale, alimentando la persistenza di uno stigma sociale di considerevole entità. Le reazioni
psicologiche sfavorevoli possono facilitare lo sviluppo di comportamenti inadeguati come ad
esempio nascondere o rifiutare la diagnosi, cercare un’iperprotezione.
Recenti studi hanno dimostrato che esistono minori problemi psico sociali se si sviluppano
strategie attive nell’affrontare la malattia (526, 527), e che i problemi emotivi sono strettamente
correlati alla qualità della vita, indipendentemente dal controllo delle crisi (528).
Per migliorare le conoscenze e combattere lo stigma sono necessarie campagne di informazione.
La recente Dichiarazione Europea sull’Epilessia del 1998 considera, tra l’altro, prioritarie
iniziative di divulgazione, a sostegno di interventi immediati, individuando l’audience di
riferimento nei datori di lavoro, nel personale medico, nelle autorità pubbliche del settore
sociosanitario e anche nel grande pubblico (529).
115
1. L’approccio multidisciplinare
L’epilessia è una malattia spesso cronica che frequentemente comporta importanti limitazioni
sociali (precoce pensionamento, disoccupazione, impieghi sottoqualificati etc.) come conseguenza
alla paura del manifestarsi delle crisi, alle conseguenze fisiche di queste e alla terapia con
antiepilettici. C’è, dunque, un bisogno all’approccio globale alla cura ed all’assistenza di queste
persone che renda ottimale il suo trattamento e la gestione delle varie problematiche emergenti
durante il corso della vita di un paziente affetto (525).
Negli Stati Uniti, un intervento di questo tipo, è denominato comprehensive care e viene descritto
come un’organizzazione in cui un team multispecialistico (medici, psicologi, infermieri, assistenti
sociali e tecnici specializzati) è impegnato nel fornire un approccio organizzato alla gestione di
persone con problemi complessi relativi all’epilessia (530).
In Europa programmi di questo tipo sono stati introdotti negli anni novanta e, sebbene limitati ad
alcuni centri particolarmente organizzati, si fondano sulla collaborazione tra più servizi per un
approccio integrato alla malattia.
I programmi di comprehensive care richiedono una terapia individuale, pianificata, orientata alla
qualità della vita e allo sviluppo di servizi regionali (531). Interventi di questo tipo hanno, in
genere, un miglior gradimento da parte dei pazienti rispetto ad un approccio basato sulla gestione
delle singole necessità all’interno di servizi di neurologia o di medicina generale e offrono una
risposta ai principali problemi riferiti in molti questionari di soddisfazione. Altri specifici approcci
globali alla malattia sono rappresentati da due modelli di assistenza. I due modelli non sono
mutuamente esclusivi e si basano, il primo, su cliniche specialistiche per pazienti ambulatoriali,
l’altro su liason attraverso personale infermieristico tra il medico di medicina generale e i servizi
ospedalieri di secondo/terzo livello. Attualmente né per il primo né per il secondo modello
d’assistenza è possibile definire i reali benefici mancando studi sistematici che analizzino i vari
esiti (532-533).
2. La scuola
L’epilessia può esordire in età prescolare e scolare e può provocare, nel bambino, alcune difficoltà
tanto che è riportato che da un quarto a metà dei bambini con epilessia incontrino un ritardo
nell’apprendimento (534-536).
La scuola si articola attraverso l’interazione tra bambini, genitori ed insegnanti e appare opportuno
che quest’ultimi abbiano un’adeguata conoscenza della malattia che tuteli il percorso educativo.
116
Ad esempio, le assenze del piccolo male (picnolessia) possono essere individuate dall’insegnante o
possono, se misconosciute, essere erroneamente interpretate come scarso rendimento. Inoltre
l’integrazione scolastica del bambino può essere ostacolata da pregiudizi nei confronti della
malattia. Per tali motivi appare importante che l’informazione e la formazione degli insegnanti
rientri nei programmi di prevenzione delle complicanze psicosociali dell’epilessia. Tale
formazione dovrebbe comprendere anche semplici nozioni sulla terapia farmacologica, dei loro
effetti collaterali e di come questi possano interferire sul comportamento, sulle funzioni cognitive e
psicologiche.
Anche i genitori, come primi insegnanti dei loro figli, devono essere adeguatamente informati e
formati. La non conoscenza, la paura ed il pregiudizio potrebbero portare, infatti, a nascondere agli
insegnanti l’epilessia del loro bambino. Il pericolo di iperprotezione, quando i genitori cedono nel
concedere dei vantaggi, come ad esempio nella richiesta d’esonero dall’educazione fisica o da
attività tecnologiche, può determinare uno svantaggio per il bambino.
Parallelamente è importante garantire anche ai bambini un’adeguata conoscenza sulla loro
condizione di salute, sottolineando che l’epilessia non è una barriera al successo scolastico, al
raggiungimento di traguardi ed alla realizzazione delle proprie aspirazioni.
E’ auspicabile che i programmi educativi nei confronti dei bambini siano rivolti a tutti (e quindi
anche ai non affetti), dando l’opportunità di conoscere questa condizione e favorendo lo sviluppo
di immagini positive (525).
A volte l’epilessia può essere grave (forme farmacoresistenti) o complicata da importanti effetti
collaterali farmacologici o associata a quadri neurologici più complessi di cui l’epilessia può essere
solo uno dei sintomi. In questi casi l’amministrazione scolastica può prevedere l’intervento
dell’insegnante di sostegno in rapporto alla gravità del caso.
Quando l’epilessia non comporta complicazioni, legate alla malattia stessa o alla assunzione dei
farmaci, non è necessario alcun aiuto didattico specifico. Nei casi in cui vanno somministrati i
farmaci durante le ore scolastiche è necessaria un’idonea certificazione dello specialista di
riferimento, il quale certificherà il tipo di farmaco, la dose e l’orario di assunzione. Sarà poi
l’amministrazione scolastica che autorizzerà gli insegnanti alla somministrazione del farmaco.
Quando l’epilessia si associa a situazioni di handicap è previsto l’intervento del Gruppo Operativo
Interprofessionale, previsto dalla CM n°258/83. A tale gruppo partecipano il direttore didattico o
preside, gli specialisti dell'ASL, gli operatori educativo-assistenziali e/o tecnici dell'Ente Locale.
Il Gruppo si riunisce in date prestabilite almeno tre volte l'anno. Ai sensi dell'art. 6 del DPR
24.2.94, alla stesura ed alla verifica del profilo dinamico funzionale e del progetto educativo
personalizzato è prevista la partecipazione della famiglia.
117
Inoltre, per ogni Circolo o Istituto è costituito il gruppo di lavoro previsto dall'art. 15, punto 2,
della L. 104/92, con il compito di stimolare e coordinare i progetti e le azioni positive messe in atto
da ogni unità scolastica per favorire l'integrazione. Di tale gruppo fanno parte il direttore didattico
o preside, un rappresentante dell'ASL, uno dell'Ente Locale, uno dei docenti, uno degli studenti
(scuole medie di II grado), uno dei genitori di alunni con handicap o un rappresentante di
Associazione da loro indicato e un rappresentante dei genitori eletto nel Consiglio di Circolo (537).
3. Il lavoro
L’epilessia, nella gran parte dei casi, non determina compromissione della capacità lavorativa e di
guadagno. Tuttavia molti dati sull’occupazione suggeriscono che le persone con epilessia non
hanno la stessa capacità di quelli senza la malattia.
Vi possono, pertanto, essere problemi sia nel reperimento che nel mantenimento di un’occupazione
lavorativa (46, 538-540).
Le cause che possono determinare difficoltà lavorative sembrerebbero molteplici: la gravità e la
frequenza delle crisi, il livello di educazione, i deficit neuropsicologici, l’isolamento sociale, i
comportamenti negativi dei genitori e della società (541).
La commissione per l’occupazione dell’International Bureau for Epilepsy (IBE) consiglia una
politica non discriminante nell’assunzione di persone con epilessia. La commissione specifica che
né la diagnosi di epilessia, né l’insorgenza delle crisi dovrebbe impedire a una persona di ottenere
un lavoro retribuito (542-544).
Nel nostro paese non esiste una legislazione specifica per l’inserimento sociale e lavorativo dei
soggetti con epilessia.
In Italia esistono due tipi di collocamento:
¾ il collocamento ordinario, con iscrizione della persona in cerca di lavoro presso gli Uffici del
Lavoro e della Massima Occupazione.
¾ il collocamento obbligatorio in base alla L. 482/68 (invalidità civile). Possono iscriversi gli
invalidi civili con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% (D.L. n° 509/88 art. 7).
L'obbligo di assunzione riguarda i datori di lavoro privati, le Amministrazioni, le Aziende e gli
Enti Pubblici con più di 35 dipendenti. Il collocamento avviene tramite l'Ufficio Provinciale del
Lavoro sezione Invalidi Civili. La richiesta d'iscrizione deve essere presentata al citato ufficio
dagli interessati.
La G.U. n. 43 del 1992 pubblica la tabella che definisce, in relazione alle diverse forme di epilessia
e della frequenza delle manifestazioni cliniche, il riconoscimento di percentuali di invalidità:
118
¾ epilessia generalizzata con crisi annuali in trattamento: 20% fisso
¾ epilessia generalizzata con crisi mensili in trattamento: 46% fisso
¾ epilessia generalizzata con crisi plurisett/quotidiane in trattamento:100% fisso
¾ epilessia focale con crisi in trattamento: 10% fisso
¾ epilessia focale con crisi mensili in trattamento: 41% fisso
¾ epilessia focale con crisi plurisettett/quotidiane in trattamento: da 91 a 100%
La tabella necessita di una revisione che non tenga solo in considerazione il numero di crisi ma
anche la loro qualità e le peculiarità del caso clinico.
Il datore di lavoro, anche attraverso l’intervento del medico del lavoro, deve sapere che:
¾ esistono differenti manifestazioni dell’epilessia;
¾ va sempre considerata la capacità lavorativa specifica in stretta connessione con le
caratteristiche della forma epilettica e della peculiarità delle crisi;
¾ per quei lavori in cui c’è un rischio elevato, a livello fisico, per il lavoratore o per terze
persone, le organizzazioni competenti dovrebbero essere sentite per tentare una riduzione del
rischio potenziale ad un livello accettabile;
¾ alcune forme epilettiche possono essere completamente controllate con una terapia
farmacologica adeguata;
¾ molti farmaci antiepilettici non producono effetti negativi sulle prestazioni lavorative e quando
questi esistono possono essere corretti con un intervento terapeutico appropriato;
¾ malattie, assenze ed incidenti sul lavoro non sono sempre più frequenti in soggetti con
epilessia;
¾ i lavoratori affetti da epilessia non necessitano di un particolare tipo di assicurazione.
I datori di lavoro dovrebbero essere obbligati a identificare e rendere pubblici i requisiti funzionali
e di salute richiesti per i singoli lavori e le condizioni mediche destinate ad escludere alcune
persone dall’impiego in particolari posizioni. Ciò darebbe la possibilità ai soggetti con epilessia
non solo di giudicare la loro idoneità lavorativa, ma anche di valutare la validità delle richieste.
Sarebbe utile favorire l’inserimento lavorativo dei pazienti con epilessia mediante programmi di
training occupazionali. Questi comprendono una valutazione neuropsicologica, un training
attitudinale, l’adozione di tecniche di comunicazione (incluse le modalità per dichiarare la propria
condizione) e di programmi specializzati di collocamento e post collocamento.
Con specifici programmi d’inserimento le persone con crisi possono trovare un’occupazione
soddisfacente (525).
119
5. Il servizio militare
L’epilessia è una di quelle patologie per le quali, in Italia, è prevista l’inabilità al servizio di leva
(L. n. 446, 28.05.1964). La non idoneità viene, di norma, dichiarata dopo un anno di rivedibilità.
L’esonero per epilessia non si accompagna alla esplicitazione della malattia sul foglio di congedo,
ai sensi della legge n. 890, 22.11.1977. Solo con il consenso scritto dell’interessato può essere
rilasciato il foglio di congedo originale, ove è riportata la motivazione dell’esonero. E’ probabile
che tali norme dovranno essere riconsiderate con l’entrata in vigore della nuova legge sul servizio
militare volontario (537).
6. La patente di guida
Il paziente con epilessia che non presenta crisi da almeno due anni può ottenere il rilascio della
patente di guida per le categorie A e B, indipendentemente dall’assunzione dei farmaci
antiepilettici.
È la Commissione Medica Locale l’organismo preposto a rilasciare il nulla osta sanitario (L.
18.03.1988, n.111 – DM 286/1991). La validità della patente non può essere superiore a due anni.
Chi è affetto da epilessia non può, invece, ottenere il rilascio delle patenti C - D - E.
In riferimento alle norme sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi (D.P.R. 575/94),
l’utente con epilessia, che chiede il rilascio o il rinnovo della patente di guida, deve effettuare solo
la visita medica presso la Commissione Medica Locale, mentre è stato abolito il certificato
anamnestico del medico curante.
Le restrizioni alla guida di autoveicoli dovrebbero essere correlate alla distinzione tra i vari tipi di
crisi, così come accade in Olanda e Germania (Council Directive 91/439 CEE, 1991) (545).
7. Gioco e sport
Le attività ludiche e sportive possono essere praticate liberamente dai bambini con epilessia.
Esistono limitazioni, solo per gli sport, come ad esempio, l’alpinismo ed il paracadutismo, che
potrebbero mettere a rischio l’incolumità del soggetto nell’evenienza di una crisi epilettica. Altre
attività (come ad esempio il nuoto e lo sci) possono essere praticati, purché ciò avvenga sotto la
diretta sorveglianza dell'adulto. Tuttavia la possibilità di praticare un’attività sportiva è
condizionata, ovviamente, dal tipo di epilessia, dalla persistenza o meno delle crisi e dalla presenza
120
di eventuali fattori che possono scatenarle. Il Decreto Ministeriale 18.2.1982 limita la pratica
dell’attività sportiva di tipo agonistico ai soggetti con epilessia (546).
7. Disabilità ed epilessia
In alcuni casi l'epilessia si associa alla presenza di gravi deficit cognitivi o neuromotori come ad
esempio nelle encefalopatie epilettiche, nelle epilessie miocloniche progressive, nelle cerebropatie
pre- peri- e post-natali. In queste situazioni di disabilità si viene a determinare una condizione di
svantaggio con limitazione nella vita di relazione e quindi di handicap. La legge quadro n. 104 del
5-2 1992 ha definito i criteri guida per l'assistenza, l'integrazione sociale, i diritti della persona con
handicap ed i relativi benefici normativi. Per promuovere nel modo più opportuno la presa in
carico ed i relativi interventi abilitativi-riabilitativi la Regione Toscana ha previsto la presenza in
ogni Azienda Sanitaria di un Gruppo Operativo Interdisciplinare Funzionale (GOIF) dove sono
presenti le competenze specialistiche in diverse aree disciplinari dalla neurologia, alla
riabilitazione funzionale, all’assistenza sociale, alla medicina e pediatria di base con lo scopo di
elaborare e programmare nelle diverse zone l'impostazione degli interventi. Il GOIF si articola a
livello distrettuale, locale e comunale nei diversi Gruppi Operativi Multiprofessionali (GOM) che
attivano lo specifico Progetto Abilitativo Riabilitativo Globale (PARG) per ogni singolo caso,
curandone l'evoluzione e la verifica (547).
9. Esenzione ticket
L'epilessia rientra nelle categorie delle patologie previste per ottenere l'esenzione dai ticket sanitari
(DMS 28-5-99 n. 329). L'esenzione consente di ottenere l’assistenza farmaceutica per i farmaci
antiepilettici, le visite specialistiche, il monitoraggio dei farmaci antiepilettici, gli esami
ematochimici di routine, l’EEG di base e con tecniche di attivazione, gli esami neuroradiologici
8548).
121
10. Associazioni
In Italia esiste una società scientifica, la Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE), composta
prevalentemente da medici. L’obiettivo statutario è quello di contribuire alla cura e all'assistenza
dei pazienti con epilessia nonché al loro inserimento nella società, promuovendo e attuando ogni
utile iniziativa per il conseguimento di tali finalità (537).
E’ attiva, inoltre, un’associazione, di pazienti e cittadini, denominata Associazione Italiana Contro
l’Epilessia (AICE) che ha lo scopo di promuovere e favorire l’integrazione socio lavorativa,
l’assistenza e la cura delle persone con epilessia. La sede nazionale è in via Tommaso Marino 7 20121 Milano tel. 02/809299 - tel.-fax. 02/809799 (549).
11. Sintesi e raccomandazioni
Raccomandazione 16.1 (Grado C)
E’ indicato che i medici forniscano ai pazienti con epilessia al momento della diagnosi le maggiori
possibili informazioni sulla malattia e sulle conseguenze ed attenzioni che essa comporta.
Raccomandazione 16.2 (Grado C)
E’ indicato sensibilizzare le istituzioni sanitarie a fornire le risorse per le campagne
d’informazione pubblica sull’epilessia.
Raccomandazione 16.3 (Grado C)
E’indicato favorire campagne d’informazione ed aggiornamenti per i medici, la famiglia ed il
personale d’insegnamento scolastico in modo che essi siano in grado d’identificare i disturbi,
inclusi quelli emotivi, presentati da queste persone e a fare, eventualmente, riferimento per questi a
personale esperto.
Raccomandazione 16.4 (Grado C)
Per i casi di difficile trattamento è indicato favorire lo sviluppo di team multidisciplinari orientati
ad una presa in carico che comprenda le varie necessità dei pazienti.
Raccomandazione 16.5 (Grado C)
122
E’ indicato sperimentare la reale efficacia di quest’approccio sia mediante l’analisi dell’immediata
soddisfazione dell’utenza che attraverso il raggiungimento, a medio e lungo termine, di un più
oggettivo miglioramento della qualità della vita dei pazienti.
Raccomandazione 16.6 (Grado C)
E’ indicato sensibilizzare gli organi politici ad una legislazione più moderna che preveda una
migliore corrispondenza tra gravità, tipo d’epilessia, limitazioni legislative e regolamenti in tema
di: il diritto allo studio, lavoro, patente di guida e partecipazione ad attività ludiche e sportive.
123
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based survey in a area of high unemployment. J. Neurol Neurosur Psychiatry 1991; 54:200-3.
157
539. Bahrs O. Epilepsie und Arbeitswelt: Zusammenfassende Darstellung eine empirisschen
Untersuchung unter besonderer Berucksichtichung von Wirklichkeit und Moglichkeit beruflicher.
Rehabilitation 1990; 29:100-11.
540. Reuvekamp M, de Boer HM, Bult I, Overweg J. Employment of people with epilepsy: is
there a problem? 23rd Epilepsy Congress. Jansen–Cilag Medical – Scientific News, 1999; 6:175–79.
541. Schultz U, Thorbecke R. Rehabilitationsprognose bei Epilepsiebeginn nach Eintritt ins
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542. International Bureau for Epilepsy. http://www.ibe-epilepsy.org/.
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2002;43(S6):7-8.
545. Council Direttive CEE. http://www.patente.it/codice/cee_439-91.htm.
546. Zamponi N, Cardinali C. Epilessia ed attività sportiva.
http://www.upservice.com/atti_cardoni/18.htm.
547. Regione Toscana. http://www.minori.it/leggi%20regionali_2000/Toscana%202000.pdf.
548. Esenzione Ticket. http://www.agd.it/leggi/ticketesen/1elenco.htm; http://www.agd.it/leggi/
ticketesen/017.htm.
549. Lega Italiana contro l’Epilessia. http://www.lice.it.
158
XVIII. Allegati
1. Glossario dei termini che descrivono la semiologia delle crisi epilettiche
Crisi motorie
Coinvolgono la muscolatura in ogni forma. L’evento motorio può consistere in un incremento
(positivo) o in un decremento (negativo) della contrazione muscolare tale da produrre un
movimento. I seguenti termini sono aggettivi che specificano la crisi motoria o la crisi (p.e. “crisi
motoria tonico-clonica” o “crisi distonica”).
¾ Crisi motoria elementare: è un singolo tipo di contrazione di un muscolo o di un gruppo di
muscoli, generalmente stereotipata e non scomponibile in fasi (vedi comunque tonico-clonica,
sequenza motoria elementare).
− Tonica: è una contrazione sostenuta della muscolatura che dura da pochi secondi a
qualche minuto. Può esservi anche una vibrazione dovuta alla contrazione muscolare
sovramassimale; la contrazione può essere bilaterale e simmetrica, con partecipazione della
muscolatura assiale, oppure asimmetrica, e può accompagnarsi ad alterazioni della postura a
causa di contrazione di diversi gruppi muscolari differenti; quando è interessata la
muscolatura facciale la crisi tonica si accompagna ad una grimance particolare data dalla
contrazione dei muscoli pellicciai e dalla prevalenza della contrazione del muscolo platisma,
da cui deriva una particolare espressione con apertura della bocca e stiramento degli angoli
della bocca verso il basso.
− Spasmi epilettici (Ex- Spasmi Infantili): sono caratterizzati da un’improvvisa flessione,
estensione o flesso-estensione dei muscoli prevalentemente prossimali e del tronco,
generalmente più sostenuta di un movimento mioclonico, ma non così sostenuta quanto una
crisi tonica (p.e., ~1 s.). Si possono osservare forme circoscritte: digrignamento, flessoestensione della testa. Gli spasmi epilettici spesso si presentano in serie.
− Posturale: è l’assunzione di una postura che può essere simmetrica o asimmetrica (come
nella “postura dello schermitore”).
− Versiva: indica una rotazione o una deviazione laterale dalla linea mediana, sostenuta e
forzata, coniugata degli occhi, del capo e/o del tronco.
− Distonica: indica una contrazione sostenuta di muscoli agonisti ed antagonisti
contemporaneamente, producente movimenti atetosici o alternanti che, se prolungati nel
tempo, possono produrre posture anomale.
159
− Mioclonica (aggettivo); Mioclono (sostantivo): è una contrazione muscolare breve (< 100
msec), improvvisa, involontaria, singola o multipla, di uno o più muscoli o gruppi muscolari,
con topografia variabile (assiale, degli arti prossimale o distale,) che causa un rapido
spostamento di uno o più segmenti corporei.
− Mioclono negativo: indica l’interruzione di un’attività muscolare tonica per meno di 500
msec, senza evidenza di una mioclonia precedente; diviene perciò visibile solo quando l’arto
o il segmento corporeo viene messo in contrazione.
− Clonica: indica una serie di scosse miocloniche in rapida successione regolare e
ripetitiva, coinvolgente gli stessi gruppi muscolari, con una frequenza di ~2-3 c/s.
Solitamente interessa segmenti corporei prossimali con contrazioni di una certa intensità.
Sinonimo: mioclono ritmico.
− Marcia Jacksoniana: è un termine che descrive tradizionalmente movimenti clonici che
diffondono attraverso parti del corpo contigue dello stesso lato. Descrive perciò
la
propagazione dell’attività epilettica: ad esempio contrazioni muscolari che coinvolgono
inizialmente solo una mano e successivamente si estendono a tutto il braccio o a tutta una
parte del corpo, con progressione graduale.
− Tonico-clonica: è una sequenza costituita da una fase tonica seguita da una fase clonica.
Possono osservarsi anche varianti come quella clonica-tonico-clonica.
− Crisi generalizzata tonico-clonica (Sinonimo: Crisi tonico-cloniche bilaterali. Ex- crisi di
grande male): è il prototipo della crisi epilettica generalizzata ed è caratterizzata da una
contrazione tonica bilaterale, seguita da contrazioni cloniche bilaterale dei muscoli somatici,
generalmente associata a fenomeni autonomici.
− Atonica: improvvisa perdita o diminuzione del tono muscolare, apparentemente non
preceduta da mioclonie o contrazioni toniche, di durata maggiore di 1-2 secondi,
coinvolgente la muscolatura della testa, della mandibola, del tronco, o degli arti.
− Astatica: perdita della stazione eretta che può conseguire ad una crisi atonica, mioclonica
o tonica. Sinonimo: drop attack.
− Sincrona (asincrona): evento motorio che si realizza (o non si realizza) nello stesso
tempo o nella stessa maniera in diverse parti del corpo.
¾ Crisi con automatismi: il sostantivo “automatismi” indica attività motorie più o meno
coordinate e ripetitive che si manifestano durante o dopo le crisi, solitamente in una situazione di
perdita di contatto con l’ambiente e dei quali spesso non rimane memoria. Talvolta consistono in
azioni complesse e apparentemente programmate e possono rappresentare la continuazione
inappropriata di un’attività in corso prima della crisi. I seguenti aggettivi sono di solito utilizzati
per descrivere gli automatismi.
160
− Oroalimentari: schioccamento delle labbra, succhiamento, atti masticatori, sbuffamenti,
digrignamento dei denti, deglutizione, leccamento, apertura e chiusura della bocca, sbadiglio.
− Mimici: espressioni facciali tipiche di uno stato emozionale, spesso di paura.
− Manuali e dei piedi: 1) indicano una componente principale distale, uni- o bi-laterale. 2)
strofinare, tamburellare, armeggiare, movimenti di manipolazione.
− Gestuali: spesso unilaterali. 1) movimenti delle mani di esplorazione o di fregamento,
diretti verso se stessi o verso l’ambiente. 2) movimenti che assomigliano a quelli finalizzati a
conferire un valore emotivo al discorso.
− Ipercinetici: 1) coinvolgono prevalentemente la muscolatura prossimale degli arti o
assiale, producendo movimenti irregolari e sequenziali, di tipo ballistico come il
pedalamento, movimenti di spinta, scuotimento, o dondolamento del bacino. 2) aumento
nella frequenza di movimenti in atto o rapide performance inappropriate di un movimento
− Ipocinetici: decrescendo di ampiezza e/o intensità, o arresto, di un’attività motoria in
corso.
− Disfasici: compromissione della comunicazione che coinvolge il linguaggio senza
disfunzione delle vie motorie o sensitive primarie, che si manifesta come deficit della
comprensione, anomie, parafasie, o una combinazione di queste.
− Disprassici: incapacità a compiere un movimento appreso, spontaneamente, su comando,
o su imitazione, pur essendo integre le vie motorie e sensitive e con adeguata capacità
comprensiva e di cooperazione.
− Gelastici: scoppi di riso o sorriso senza un appropriato tono affettivo e in mancanza di
uno stimolo adeguato.
− Dacristici: scoppi di pianto inadeguati e senza appropriato tono affettivo.
− Vocali: emissione singola o ripetitiva di suoni come borbottii o grida.
− Verbali: emissione singola o ripetitiva di parole o frasi comprensibili o confuse.
− Spontanei: stereotipie che riguardano virtualmente solo se stessi, indipendenti dalle
influenze esterne.
− Interattivi: non stereotipati, coinvolgenti non solo se stessi, influenzati dall’ambiente
esterno.
Crisi non motorie
¾ Aura: il sostantivo “aura” indica un fenomeno ictale soggettivo che, in un determinato
paziente, può precedere una crisi obiettivabile; se presente da sola costituisce una crisi sensoriale.
161
¾ Sensoriale: esperienza percettiva non causata da stimoli appropriati nell’ambiente esterno.
Specifica la “crisi” o l’“aura”.
− Elementare: termine generale per indicare un fenomeno che coinvolge una singola
modalità sensoriale primaria (p.e. somatosensoriale, visiva, uditiva, olfattoria, epigastrica,
gustativa, o cefalica).
− Somatosensoriale: crisi con interessamento delle strutture centrali specifiche della
sensibilità, che provoca la comparsa di dispercezioni sensoriali di formicolio, pesantezza,
elettricità, dolore, senso di movimento, o desiderio di muoversi.
− Visiva: lampi o luci intermittenti, macchie, pattern semplici, scotomi o amaurosi.
− Uditiva: suoni, fischi, ronzii, musiche o toni singoli.
− Olfattiva: odori, solitamente spiacevoli.
− Gustativa: sensazione di sapore, inclusi l’acido, l’amaro, il salato, il dolce o il metallico.
− Epigastrica: sensazione spiacevole addominale con nausea, sensazione di svuotamento,
tensione, agitazione, malessere, dolore, fame. La sensazione può salire verso il torace o la
gola. Alcuni fenomeni possono riflettere una disfunzione autonomia ictale.
− Cefalica: sensazione di testa vuota, testa che si muove o cefalea.
− Autonomica: sensazione che origina dal coinvolgimento del sistema nervoso autonomo,
che
include
le
funzioni
cardiovascolari,
gastrointestinali,
della
sudorazione
o
termoregolatrici.
− Esperenziale: fenomeni affettivi, mnemonici o percettivi complessi, compresi eventi
illusori o allucinatori compositi. E’ inclusa la sensazione di depersonalizzazione. Questi
fenomeni hanno qualità soggettive simili a quelle che si sperimentano nella vita normale, ma
il soggetto si accorge che avvengono al di fuori del contesto reale.
− Affettiva: paura, depressione, gioia e, raramente, rabbia.
− Mnemonica: riflettono la dismnesia ictale come ad esempio i sentimenti di familiarità
(dejà-vu) e di non familiarità (jamais-vu).
− Allucinatoria: creazione di percezioni complesse senza corrispondenza con stimoli
esterni, coinvolgenti la vista, l’udito, la somatoestesi, l’olfatto e/o il gusto. Esempio: sentire e
vedere persone che parlano.
− Illusoria: alterazione delle percezioni reali visive, uditive, somatoestesiche, olfattive o
dei sistemi gustativi, con conservazione della critica nei confronti del contenuto illusorio.
¾ Discognitiva: disturbi della sfera cognitiva in cui 1) il disturbo della cognizione è la
caratteristica predominante o la più apparente e 2a) sono coinvolte due o più delle seguenti
componenti o 2b) il coinvolgimento di tali componenti rimane indeterminato. Componenti della
162
cognizione sono: 1) percezione: concezione simbolica dell’informazione sensoriale; 2) attenzione:
selezione appropriata di una percezione principale o di un compito; 3) emozione: significato
affettivo appropriato di una percezione 4) memoria: abilità di immagazzinare e richiamare
percezioni e concetti 5) funzioni esecutive: anticipazione, selezione, monitorizzare le conseguenze,
e iniziare un’attività motoria comprese la prassia e il linguaggio.
Eventi autonomici
¾ Aura autonomica: è una sensazione compatibile con un coinvolgimento del sistema nervoso
autonomo, comprese le funzioni cardiovascolare, gastro-intestinale, sudo-motoria, vaso-motoria e
termoregolatrice.
¾ Crisi
autonomica: è una distinta alterazione della funzione autonomia, obiettivamente
documentabile,
che
comprende
le
funzioni
cardiovascolari,
pupillari,
gastrointestinali,
sudomotorie, vasomotorie e termoregolatorie.
Termini che caratterizzano la somatotopia
¾ Lateralità
− Unilaterale: coinvolgimento esclusivo o virtualmente esclusivo di un lato, da parte di un
fenomeno motorio, sensitivo o autonomico.
− Emi-: prefisso per indicare la metà (p.e. emiclonico)
− Generalizzato (sin. bilaterale): coinvolgimento esteso di ciascun lato da parte di un
fenomeno motorio, sensitivo o autonomico.
− Asimmetrico: riferito ad un evento motorio in cui vi è una chiara distinzione in quantità
e/o distribuzione di comportamento fra i due lati.
− Simmetrico: uguaglianza bilaterale virtuale.
¾ Parte del corpo: riferito all’area del corpo coinvolta (p.e. braccio, gamba, faccia, tronco e
altro).
¾ Centricità: descrive la vicinanza all’asse corporeo.
-
Assiale: che coinvolge il tronco, incluso il collo.
-
Prossimale: significa il coinvolgimento dalle spalle fino ai gomiti e dai fianchi fino al
ginocchio
-
Distale: indica il coinvolgimento di dita, mani, e/o piedi
Termini che caratterizzano l’andamento delle crisi
¾ Incidenza: il sostantivo si riferisce al numero di attacchi epilettici in un determinato periodo di
tempo o al numero di giorni di crisi per unità di tempo.
163
-
Regolare (Irregolare): costante (incostante) o prevedibile (imprevedibile) intervallo di
tempo tra due eventi.
-
Cluster: il sostantivo indica un’incidenza delle crisi in un determinato periodo
(generalmente uno o pochi giorni) che eccede l’incidenza media per quel paziente in un
periodo di tempo più lungo.
-
Fattori scatenanti: elementi transitori e sporadici, endogeni o esogeni, capaci di
aumentare l’incidenza delle crisi epilettiche in una persona con un’epilessia cronica, o di
evocare crisi epilettiche in persone suscettibili senza epilessia.
-
Reattive: quando le crisi epilettiche si verificano in associazione con alterazioni
sistemiche transitorie come una malattia intercorrente, perdita di sonno o stress emotivi.
-
Riflesse: quando le crisi vengono evocate da uno stimolo afferente specifico,
obiettivamente e costantemente dimostrato, o da un’attività del paziente. Gli stimoli capaci di
scatenare una crisi per via riflessa sono molteplici, in genere in ogni soggetto un solo tipo di
stimolo provoca la comparsa della crisi (specificità dello stimolo). Gli stimoli possono essere
elementari (p.e. flash luminosi, uno scatto, un singolo tono), oppure elaborati (p.e. una
sinfonia strutturata) così come le attività possono essere elementari (p.e. un movimento)
oppure elaborate (p.e. la lettura o il gioco degli scacchi) od entrambe (leggere a voce alta).
¾ Dipendenti dallo stato: si verificano esclusivamente o principalmente in determinati stadi
della veglia, del sonno o dell’assopimento.
¾ Catameniale: crisi che si verificano principalmente o esclusivamente in alcune fasi del ciclo
mestruale.
Durata
Il tempo che intercorre tra l’inizio delle prime manifestazioni, come l’aura, e la fine esperita od
osservata della crisi. Non include sensazioni premonitrici aspecifiche delle crisi o gli stati
postictali.
¾ Stato epilettico: una crisi che non mostra segni clinici d’arresto dopo un tempo che
caratterizza la maggior parte delle crisi di quel tipo nella maggior parte dei pazienti, oppure crisi
ricorrenti senza un ritorno interictale alle funzioni di base del sistema nervoso centrale.
Severità
Una valutazione a molte componenti delle crisi da parte dei testimoni e del paziente. Le principali
componenti della valutazione dell’osservatore includono la durata, l’estensione del coinvolgimento
motorio, la compromissione delle interazioni cognitive con l’ambiente, il numero massimo di crisi
per unità di tempo.
164
Le principali componenti nella valutazione del paziente sono: l’estensione del danno, le
conseguenze emotive, sociali e professionali dell’attacco.
Prodromi
Un fenomeno pre-ictale caratterizzato da un’alterazione clinica soggettiva o oggettiva che
annuncia l’inizio della crisi epilettica ma non è parte di essa (p.e. una sensazione ben localizzata o
uno stato di agitazione).
Fenomeni postictali
Un’anomalia clinica transitoria delle funzioni del sistema nervoso centrale che appare o si accentua
quando i segni clinici della crisi cessano.
¾ Fenomeni di lateralizzazione (paralisi di Todd o di Bravais): qualsiasi disfunzione
unilaterale post-ictale relativa alle funzioni motoria, sensitiva e/o integrativa inclusi fenomeni
visivi, uditivi o di neglect sensoriale.
¾ Fenomeni non lateralizzati alterazioni cognitive, amnesie, psicosi
-
Alterazioni cognitive: diminuzione di una o più performance cognitive tra cui percezione,
attenzione, emozione, memoria, esecuzione, prassi, linguaggio.
-
Amnesia anterograda: compromissione dell’abilità a formare nuovi ricordi
-
Amnesia retrograda: incapacità a richiamare alla mente materiale precedentemente
memorizzato.
-
Psicosi: alterata interpretazione dell’ambiente circostante da parte di una persona sveglia
e attenta; comprende disordini emozionali e di socializzazione.
165
2. Tipi di crisi
Tipi di crisi autolimitate
Crisi generalizzate
Tonico-cloniche
(comprende le varianti che
iniziano con una fase clonica o
mioclonica)
Cloniche
Senza componente tonica
Con componente tonica
Assenze tipiche
Assenze atipiche
Assenze miocloniche
Toniche
Spasmi
Miocloniche
Mioclonie palpebrali
Con assenze
Principali caratteristiche
Improvvisa e brusca contrazione muscolare che determina
caduta. Durante la contrazione tonica la respirazione
s’interrompe. Vi può essere morsus della lingua ed
incontinenza. Seguono movimenti clonici. Vi è una perdita
di coscienza che dura tutto questo periodo, dopodiché segue
una fase confusionale e di sopore.
Convulsioni generalizzate in cui può mancare la
componente tonica. Caratterizzate da scatti clonici ripetitivi.
La fase postictale è solitamente breve. Alcune crisi possono
iniziare con una fase clonica e passare poi in una fase
tonica.
Breve turba di coscienza ad inizio e fine improvvisa. Si
possono associare automatismi, componenti toniche o
atoniche, mioclonie e disturbi autonomici. Si riscontrano
nel piccolo male e in altre epilessie generalizzate
idiopatiche.
Vi è un offuscamento più che una perdita di coscienza, con
un inizio e fine graduale. Spesso vi è perdita del tono
posturale del tronco o della testa, i muscoli della testa e del
tronco s’irrigidiscono, mioclono delle palpebre e periorale,
scosse della testa o degli arti e movimenti ritmici della testa.
Si riscontrano nella sindrome di Lennox-Gastaut e
nell’epilessia con crisi mioclono-astatiche.
Vi è una turba di coscienza, più o meno accentuata, e degli
scatti mioclonici ritmici prevalentemente delle spalle, delle
braccia e delle gambe con una concomitante contrazione
tonica. Gli scatti e le contrazioni toniche possono essere
asimmetriche o unilaterali e la deviazione della testa/corpo
da un lato può essere la caratteristica costante in alcuni
pazienti. Caratteristiche della sindrome con assenze
miocloniche
Sostenuto aumento della contrazione muscolare che dura da
pochi secondi a minuti. Vi può essere una deviazione degli
occhi e della testa verso un lato cui può seguire una
rotazione di tutto il corpo. Il coinvolgimento dei muscoli del
torace determina arresto della respirazione.
Improvvisa flessione, estensione o flesso-estensione che
interessa, principalmente, i muscoli prossimali e del tronco.
Vi possono essere forme limitate con smorfie faciali o
movimenti della testa. Frequentemente si verificano in
cluster.
Brevi ed improvvise contrazioni involontarie singole o
multiple di gruppi muscolari con varia topografia (assiale,
arti prossimali, distali).
Scosse palpebrali spesso associate a scatto degli occhi verso
l’alto e retropulsione della testa (senza assenze). Questo
166
Senza assenze
Mioclono negativo
pattern può essere associato ad una turba di coscienza (con
assenze). I pazienti sono fotosensibili.
Interruzione di un’attività muscolare tonica per <500 ms
senza evidenza di una precedente mioclonia.
Atoniche
Improvvisa perdita o diminuzione del tono posturale non
preceduta da eventi tonici o mioclonici apparenti, che dura
~ 1-2 s. e che può coinvolgere la testa, il tronco, la
mandibola o la muscolatura degli arti. Se vi è perdita di
coscienza questa è estremamente breve. La brusca caduta,
conosciuta come drop attack, determina spesso lesioni
soprattutto della faccia. Vi possono essere degli attacchi
minori limitati alla testa o cadute sulle ginocchia.
Crisi riflesse in sindromi
Sono evocate da uno specifico stimolo afferente o da
epilettiche generalizzate*
un’attività. Le crisi principalmente osservate nell’ordine
sono: miocloniche, assenze, tonico-cloniche.
Crisi focali
Principali caratteristiche
Sensoriali
Sono caratterizzate, prevalentemente, da sintomi soggettivi
(aure) di breve durata o che possono durare alcuni minuti.
Con sintomi elementari (p.e.
Possono essere isolate da altri segni ictali e, se così, durare
crisi parietali e occipitali)
Con sintomi esperenziali (p.e. più a lungo. Aure tipiche del lobo parietale comprendono
crisi della giunzione temporo- sensazioni tattili, di scossa elettrica confinate o che
occipitale)
diffondono secondo una modalità Jaksoniana. Le crisi
occipitali comprendono sia fenomeni negativi (scotomi,
emianopsia, amaurosi) o più comunemente positivi (lampi,
fosfeni). Aure uditive, olfattive, gustative sono spesso
descritte in pazienti con epilessia del lobo temporale.
Allucinazioni più elaborate o associate a distorsioni
complesse della percezione, sintomi affettivi e mnesici,
incluse sensazioni di depersonalizzazione, déjà vu o jamais
vu, sono definite come auree esperenziali.
Motorie
Coinvolgono la muscolatura in ogni forma. Le crisi della
Con segni motori elementari
corteccia motoria (con o senza marcia Jaksoniana)
clonici
originano dall’area Rolandica controlaterale ed i segmenti
Con crisi motorie
distali sono più spesso interessati dei prossimali. Le crisi
asimmetriche (p.e. crisi
delle aree supplementari motorie consistono in improvvise e
motorie supplementari)
brusche variazioni posturali, bilaterali ed asimmetriche
Con automatismi tipici (lobo
spesso associate a contraversione degli occhi e della testa ed
temporale) (p.e. crisi mesiali
arresto del linguaggio. Gli automatismi oroalimentari e
del lobo temporale)
gestuali si osservano comunemente quando vi è una turba di
Con automatismi ipercinetici coscienza e sono tipici delle crisi del lobo temporale ma
Con mioclono focale negativo anche delle crisi che originano da altre aree cerebrali (p.e.
Con crisi motorie inibitorie
cingolo, corteccia orbitofrontale). Gli automatismi
ipercinetici possono presentarsi in assenza di una turba di
coscienza e sono considerati in tipica relazione con focolai
epilettogeni frontali.
Gelastiche
Attacchi di riso o sorriso in assenza di un appropriato tono
affettivo. Le crisi possono essere molto brevi ed associarsi
ad un’amartoma ipotalamico o ad altre lesioni occupanti
spazio in questa regione (in alcuni pazienti vi può essere
pubertà precoce). In altri casi le crisi gelastiche possono
avere un origine dal lobo temporale o frontale.
167
Emicloniche
Secondariamente generalizzate
Crisi riflesse in sindromi
epilettiche focali*
Sono crisi cloniche che interessano una delle metà del
corpo.
Sono crisi tonico-cloniche, toniche o cloniche precedute da
un’aura o da altri segni o sintomi sensitivo-motori. Tuttavia
l’inizio focale della crisi può essere difficile da cogliere.
Sono evocate da uno specifico stimolo afferente o da
un’attività.
* Stimoli precipitanti le crisi riflesse: 1) visivi (lampi di luce -indicare il colore-, pattern, altri); 2)
pensiero; 3) musica; 4) mangiare; 5) movimento; 6) somatosensoriali; 7) propiocettivi; 8) lettura;
9) acqua calda; 10) startle.
Tipi di crisi continue (stati di male)
Stato di male
generalizzato
Tonico-clonico
Clonico
Tonico
Con assenze
Mioclonico
Principali caratteristiche
Sono gli stati di male convulsivi. E’ improbabile che una crisi di
questo tipo termini spontaneamente se si protrae oltre i 5 minuti e,
in genere, il perdurare della crisi, o il non recupero delle funzioni
neurologiche tra una crisi e l’altra, comporta la necessità di trattare
quanto prima il paziente per impedire il verificarsi di successivi
danni cerebrali. Nell’ambito di una sindrome epilettica
generalizzata idiopatica lo stato epilettico convulsivo è raro in
confronto a quello che si verifica in altre forme di epilessia
sintomatiche o di encefalopatie epilettiche. Molte forme di stato
epilettico generalizzato convulsivo sono sintomatiche di patologie
acute sottostanti.
Prolungata crisi non convulsiva caratterizzata da compromissione
del contenuto della coscienza (assenza) e da scariche generalizzate
di punte-polipunte onde all’EEG. Possono essere presenti altre
manifestazioni come scatti mioclonici, mioclonie palpebrali e
periorali, componenti atoniche e toniche che portano alla caduta o
alla retropulsione della testa, automatismi e componenti
autonomiche. Come vi è la distinzione tra assenze tipiche ed
atipiche, in modo simile lo stato di assenza può essere distinto in
tipico nelle sindromi epilettiche generalizzate idiopatiche e atipico
nelle
sindromi
generalizzate
sintomatiche/probabilmente
sintomatiche. Lo stato d’assenza può essere anche sintomatico di
un’anossia o di altre patologie che provocano un danno cerebrale e
vi sono forme che possono essere correlate ad una situazione
(sospensioni di farmaci, intossicazioni, disordini elettrolitici o
metabolici) e che non richiedono, per questo, una diagnosi di
epilessia.
E’ caratterizzato da mioclonie continue, od in serie, che possono
alternarsi ad assenze. Si può verificare in corso di varie sindromi
epilettiche sia idiopatiche (epilessia mioclonica giovanile) sia
sintomatiche (sindrome di Lennox Gastaut, stato mioclonico in
encefalopatie non-progressive). Uno stato mioclonico, in un
paziente in coma o con grave compromissione della coscienza, può
rappresentare l’evoluzione di uno stato di male generalizzato
convulsivo refrattario, oppure essere l’espressione di una
168
sofferenza cerebrale diffusa dovuta ad ischemia/anossia, ad
importanti disturbi elettrolitici e metabolici, a malattie
degenerative, ad encefaliti o ad altre malattie infiammatorie
(malattia d’Alzheimer, malattia di Creutzfeldt Jakob).
Stato di male focale
Principali caratteristiche
Epilessia parziale continua
La principale caratteristica è la presenza di clonie di origine
di Kozhevnikov
corticale, spontanee e regolari od irregolari, che interessano
prevalentemente i muscoli della faccia e della mano. Queste
possono durare ore, giorni o settimane e alcune volte possono
essere aggravate dai movimenti o da stimoli sensoriali. Vi sono
molte e diverse cause del disturbo che includono lesioni focali o
multifocali di varia origine (neoplastica, vascolare etc.) e altre
malattie sistemiche e metaboliche che interessano il cervello. La
sindrome di Kozhevnikov-Rasmussen ed i disturbi dello sviluppo
corticale sono la causa più frequente nei bambini. L’iperglicemia
non chetotica è la causa reversibile più frequente.
Aura continua
E’ una crisi sensoriale di varia origine (p.e. parietale:
somatosensoriale, occipitale: visiva, temporale laterale: uditiva
etc.) che dura più di 30 minuti.
Libico (psicomotorio)
E’ una crisi che origina dalle strutture limbiche (confusione ed
offuscamento di coscienza, automatismi, aura viscerale etc.) che
dura più di 30 minuti.
Emiconvulsivo con
E’ uno stato di male focale che caratterizza la sindrome HHE
emiparesi
(Hemiconvulsion-Hemiplegia-Epilepsy).
169
3. Sindromi epilettiche e condizioni correlate
Sindrome
Crisi neonatali
familiari benigne
Encefalopatia
mioclonica precoce
Sindrome di Ohtahara
Crisi parziali migranti
dell’infanzia
Sindrome di West
Epilessia mioclonica
benigna dell’infanzia
Principali caratteristiche
Esordio prevalente nel secondo-terzo giorno di vita ma possibile fino al
terzo mese. Ipertono, breve apnea e/o manifestazioni neurovegetative,
spesso seguite da movimenti clonici simmetrici o asimmetrici. EEG
intercritico nella norma, talora moderatamente alterato. Stato neurologico
normale. Pattern autosomico dominante (gene KCNQ2 sul cr.20q13.3;
gene KCNQ3 sul cr.8q24). Prognosi: sviluppo psicomotorio nella norma.
Rischio di epilessia successiva nell’11%.
Esordio periodo neonatale. Mioclono erratico, parziale o frammentario,
crisi parziali motorie, spesso mioclono massivo e più tardi spasmi clonici
ripetitivi. EEG con pattern di suppression-burst, più accentuato nel
sonno. Compromissione neurologica grave. Eziologia prevalentemente
metabolica, più raramente criptogenica. Prognosi infausta.
Esordio precoce entro i primi tre mesi, spesso entro i primi 10 giorni di
vita. Spasmi tonici e crisi parziali, raramente mioclono massivo. EEG
con pattern di suppression-burst in veglia e sonno. Spesso evoluzione in
spasmi infantili ed ipsaritmia. Eziologia: danni strutturali, soprattutto
malformazioni. Prognosi a lungo termine: compromissione neurologica e
mentale grave con epilessia intrattabile.
Esordio nei primi 6 mesi di vita. Frequentissime crisi parziali migranti
che coinvolgono aree multiple indipendenti di entrambi gli emisferi con
arresto dello sviluppo psicomotorio. EEG intercritico non specifico
(rallentamento del ritmo di fondo con asimmetria fluttuante e punte
multifocali). Eziologia sconosciuta. Prognosi: epilessia intrattabile con
arresto dello sviluppo psicomotorio e grave deterioramento.
Età di esordio più frequente dai 3 ai 7 mesi di vita (con estremi dalla
nascita a 5 anni). Caratterizzata dalla triade sintomatologica spasmi
infantili- deterioramento psicomotorio, ipsaritmia all’EEG, non presente
tuttavia in tutti i soggetti. Lo sviluppo psicomotorio precedente può
essere normale o patologico. Gli spasmi sono brevi improvvisi
movimenti assiali più spesso in flessione ma anche in estensione o misti,
in salve di 20-40 fino talora a 100, con frequenza di 1-10 salve al giorno.
L’EEG intercritico è caratterizzato da disordinate onde lente e punte di
alto voltaggio (ipsaritmia), estremamente variabili per sede e durata;
l’ipsaritmia non è presente in tutti i soggetti, può essere atipica, presente
solo in sonno o sostituita da anomalie focali o multifocali in veglia con
generalizzazione secondaria nel sonno. Il pattern elettroclinico dipende
in parte dalla eziologia. Nel 60-90% dei casi vi è un danno cerebrale
preesistente di origine pre-peri o postnatale (encefalopatia ipossico
ischemica, malformazioni cerebrali,etc). Prognosi: Gli spasmi infantili
sono una manifestazione limitata nel tempo, sia spontaneamente che in
rapporto alla terapia, tuttavia 50-60% dei soggetti avranno epilessia
successiva, 71-81% ritardo mentale di grado variabile. Sono descritti
anche autismo e comportamento ipercinetico.
Età di esordio fra 4 mesi e 3 anni di vita. Brevi crisi miocloniche che
interessano tronco ed arti, provocando caduta o lieve flessione in avanti
del capo, abduzione ed elevazione degli arti superiori talora rotazione
bulbi oculari, non accompagnate da altri tipi di crisi, salvo rari episodi di
convulsioni febbrili. Talora scatenate da rumori o da stimoli tattili
improvvisi o dalla SLI. Sviluppo psicomotorio nella norma.
170
EEG intercritico: rare PO in veglia accentuate dalla sonnolenza. Prognosi
buona se trattate all’esordio.
Crisi infantili familiari Esordio generalmente nel primo anno di vita. Crisi parziali, caratterizzate
benigne
da arresto motorio, perdita di contatto, sguardo fisso o sguardo e capo
deviato da un lato, con generalizzazione secondaria; crisi a grappolo o
più raramente isolate. Probabile trasmissione autosomica dominante.
EEG intercritico nella norma; EEG critico scariche ad origine dalle
regioni parieto-occipitali. Prognosi buona per le crisi, sviluppo
psicomotorio nella norma; talora associazione con successiva coreoatetosi parossistica.
Crisi infantili benigne Esordio nel primo-secondo anno di vita. Crisi parziali complesse o
(non familiari)
secondariamente generalizzate con caratteristiche cliniche simili alla
forma precedente. EEG intercritico nella norma. EEG critico: scariche
spesso ad origine dalle regioni temporali o variabile. Prognosi buona.
Sviluppo psicomotorio nella norma.
Epilessia mioclonica Esordio nel primo anno di vita. Crisi febbrili e afebbrili cloniche o
severa dell’infanzia
tonico-cloniche generalizzate e unilaterali; in seguito crisi miocloniche
(Sindrome di Dravet) spesso associate con mioclonie segmentali intercritiche, assenze atipiche
e crisi parziali. Frequenti stati di male. Tutti i tipi di crisi sono resistenti
alla terapia antiepilettica. Ritardo psicomotorio evidente dal secondo
anno di vita. EEG intercritico: comparsa progressiva di anomalie
parossistiche generalizzate, focali e multifocali. Frequente
fotosensibilità. Eziologia: sono state individuate nuove mutazioni nel
gene del canale del sodio SCN1A in una parte dei soggetti affetti.
Prognosi sfavorevole: persistenza delle crisi associata a compromissione
cognitiva spesso severa.
Sindrome HH
Esordio fra 6 mesi e 4 anni. Sia spontaneamente che in rapporto alla
terapia, compaiono convulsioni emicloniche di lunga durata in corso di
febbre, seguite da emiplegia flaccida ipsilaterale, di durata variabile, che
può evolvere in emiplegia spastica definitiva e successivamente da
epilessia con crisi focali, generalmente ad origine dal lobo temporale.
Stato mioclonico in
Insorgenza fra i 4 mesi e i 5 anni; può essere a lungo misconosciuto a
encefalopatie non
causa del grave ritardo mentale e della paralisi cerebrale con sindrome
progressive
distonica-discinetica presente nella maggior parte dei soggetti.
Caratterizzato da mioclonie subcontinue, asincrone o sincrone, spesso
associate ad assenze, documentate dall’ EEG poligrafico (scariche di PO
diffuse su un tracciato di fondo costituito da attività teta-delta con punte
sovrimposte).
Epilessia benigna
Conosciuta anche come Epilessia Rolandica. Esordio tra 1 e 14 anni.
dell’infanzia con punte Crisi focali rare, spesso isolate, con sintomi sensitivo-motori facciali
centrotemporali
unilaterali, manifestazioni orofaringee, arresto del linguaggio e
ipersalivazione; secondaria generalizzazione tonico-clonica in molti casi.
EEG intercritico: punte centro-temporali, ovvero complessi PO lenta di
elevato voltaggio registrate sugli elettrodi centrali o medio-temporali,
uni- o bilaterali. Prognosi benigna: remissione entro 2-4 anni dall’esordio
e prima dei 16 anni di età; evoluzione in sindromi più severe in meno
dell’1% dei casi. Eziologia: osservato un linkage con 15q14.
Epilessia occipitale
Esordio tra 1 e 14 anni. Crisi con sintomi autonomici di vario tipo, più
benigna della
frequentemente vomito, spesso associati a deviazione unilaterale dello
fanciullezza a
sguardo e altre manifestazioni più convenzionali. Le crisi possono avere
insorgenza precoce
una durata di alcuni minuti oppure maggiore (30 minuti–7 ore;
(Tipo
configurando uno stato epilettico autonomico). EEG intercritico:
171
Panayiotopoulos)
Epilessia occipitale
della fanciullezza a
insorgenza tardiva
(tipo Gastaut)
Epilessia mioclonica
con assenze
Epilessia mioclonicoastatica con assenze
Sindrome di LennoxGastaut
Sindrome di LandauKleffner (LKS)
complessi PO lenta, per lo più multifocali, di ampio voltaggio. EEG
critico: attività delta o theta ritmica, frammista a piccole punte. Prognosi
benigna, nonostante l’alta incidenza di stato epilettico autonomico:
remissione entro 1-2 anni dall’esordio; rara l’evoluzione in altre
sindromi.
Esordio tra 3 e 15 anni. Crisi con allucinazioni visive elementari o cecità,
di breve durata (da pochi secondi a tre minuti), spesso associate a cefalea
post-ictale o ictale. EEG intercritico: parossismi occipitali, che possono
scomparire alla fissazione. EEG critico: scomparsa dei parossismi
occipitali e comparsa di ritmi rapidi o punte occipitali. Prognosi
favorevole: remissione entro 2-4 anni dall’esordio nel 50% dei casi e
buona risposta alla terapia.
Molto rara la forma idiopatica, più frequenti le sintomatiche o
probabilmente sintomatiche. Esordio: tra 1 mese e 12 – 13 anni. Crisi
con assenze miocloniche: alterazione della coscienza e scosse
miocloniche ritmiche, per lo più alle spalle, braccia e gambe, con
contrazione tonica concomitante, bi- o uni-laterali, raramente palpebrali,
frequentemente periorali; più volte al giorno. EEG intercritico: normale o
con brevi sequenze di PO generalizzate, focali o multifocali. EEG
critico: sequenze di P/PO a 3 Hz, generalizzate. Prognosi: frequente
compromissione cognitiva, talora preservata in caso di trattamento
precoce delle assenze. Può evolvere in altre sindromi, come l’Epilessia
Mioclonica Giovanile.
Esordio tra 7 mesi e 6 anni. Crisi mioclonico-astatiche (scosse
miocloniche simmetriche, seguite da perdita del tono muscolare),
atoniche e miocloniche; assenze. Assenti le crisi toniche (criterio di
esclusione). Frequente lo stato epilettico non convulsivo. EEG
intercritico: normale o solo attività theta ritmica nelle derivazioni
parasagittali; scariche generalizzate di PO a 2-3 Hz, interrotte da onde
lente di ampio voltaggio; parossismi di punte irregolari o PPO. EEG
critico: scariche di punta- o PPO irregolari o a 2-3 Hz. Diagnosi
differenziale con la sindrome. di Lennox-Gastaut e altre forme
sintomatiche e idiopatiche. Prognosi poco chiara, probabilmente per la
difficoltà di classificazione, apparentemente favorevole per la forma
idiopatica.
Encefalopatia epilettica dell’infanzia caratterizzata dalla triade: crisi
intrattabili di vario tipo (per lo più toniche, atoniche e con assenze
atipiche, più rare le crisi miocloniche; alterazioni cognitive e del
comportamento; PO lente diffuse e parossismi rapidi all’EEG. Esordio
tra 1 e 7 anni; in molti casi evoluzione di una S. di West o altra
encefalopatia epilettica. Le crisi più caratteristiche sono quelle toniche
(simmetriche, brevi, anche molto violente). Frequente lo stato epilettico.
EEG intercritico: anomalie del fondo; parossismi di ritmi rapidi e
scariche di PO lente (< 2,5 Hz) generalizzate. EEG critico: PO lente (<
2,5 Hz) generalizzate nelle assenze; attività rapide nelle crisi toniche;
punte, poli-punte, PO generalizzate o ritmi rapidi, nelle crisi atoniche;
polipunte generalizzate con o senza onde lente e ritmi rapidi nelle crisi
miocloniche. Eziologia: variabile; cause pre- peri- e post-natali. Prognosi
sfavorevole: morte nel 5%; persistenza delle crisi nell’80-90% e grave
compromissione cognitiva nell’85-92%.
Esordio: per lo più prima dei 6 anni, subacuto progressivo o a gradini.
Agnosia uditiva verbale o altri disturbi del linguaggio, acquisiti, con
172
andamento fluttuante, spesso associati ad altri disturbi cognitivi e del
comportamento. Diagnosi differenziale con autismo e sordità. Crisi
epilettiche di vario tipo in ¾ dei pazienti, spesso rare e ben controllate.
EEG intercritico: focalità temporali posteriori di PO, facilitate dal sonno
profondo. Prognosi: crisi epilettiche e alterazioni EEG scompaiono prima
dei 15 anni, ma i disturbi del linguaggio e cognitivo-comportamentali,
seppure migliorino alla stessa età regrediscono completamente solo nel
10-20%.
Epilessia con punte e
Caratterizzata dalla triade: punte-onde continue nel sonno lento all’EEG;
onde continue durante crisi epilettiche; decadimento neuropsicologico. Esordio delle crisi: tra 1
il sonno profondo (non e 10 anni (esordio delle alterazioni EEG: tra 3 e 14 anni). Evoluzione
LKS)
clinica in 3 stadi: 1) rare crisi notturne motorie focali e alterazioni EEG
aspecifiche; 2) dopo ca 1-2 anni comparsa di alterazioni EEG specifiche,
peggioramento delle crisi e comparsa di disturbi cognitivi; 3) dopo alcuni
mesi-anni scomparsa delle crisi e delle alterazioni EEG, miglioramento
cognitivo. Spesso presenti segni neurologici e malattie pre-perinatali in
anamnesi. Eziologia: spesso sintomatica. Diagnosi differenzialecon LKS
e sindrome di Lennox-Gastaut. Prognosi: le crisi scompaiono, anche se
possono rimanere intrattabili per anni; i disturbi cognitivi migliorano,
anche se raramente del tutto.
Epilessia con assenze Esordio: tra 2 e 10 anni. Frequenti assenze tipiche (decine o centinaia al
della fanciullezza
giorno) tipicamente scatenate dall’iperventilazione. Altri tipi di crisi
escludono la diagnosi. EEG intercritico: fondo normale con attività delta
ritmica posteriore. EEG critico: complessi PO generalizzati, di alto
voltaggio, a circa 3 Hz, con un graduale rallentamento dall’inizio alla
fine della crisi. Eziologia: geneticamente determinata, a trasmissione
multifattoriale. Prognosi eccellente: remissione prima dei 12 anni; meno
del 10 % sviluppa crisi tonico-cloniche generalizzate o continua ad avere
assenze da adulto.
Epilessie miocloniche Gruppo di malattie rare, caratterizzate clinicamente da: mioclono, crisi
progressive
epilettiche, segni cerebellari e deterioramento mentale progressivo. Si
distinguono 5 tipi principali: malattia di Lafora, ceroidolipofuscinosi,
patologie mitocondriali (tra cui MERRF), sialidosi, malattia di
Unverricht-Lundborg. Esordio: tra prima infanzia e adolescenza
(qualsiasi età per le mitocondriali). EEG intercritico: all’esordio fondo
conservato con anomalie parossistiche generalizzate, nell’evoluzione
deterioramento di vario grado a seconda delle forme; frequente la
fotosensibilità. Presenza di potenziali somatosensoriali giganti.
Patognomonica la biopsia cutanea nella malattia di Lafora e la biopsia
muscolare nella MERRF. Eziologia: malattie genetiche, per lo più a
trasmissione AR (gene sul cr 21 per la m. di Unverricht –Lundborg e sul
cr 6 per la malattia di Lafora), salvo rare eccezioni a trasmissione AD e
le malattie mitocondriali a trasmissione materna. Prognosi variabile
secondo la malattia, più severa per la malattia di Lafora, con exitus a 210 anni dall’esordio.
Epilessie idiopatiche
generalizzate con
fenotipi variabili
Esordio: tra 9 e 13 anni. Costanti le assenze tipiche, più volte al giorno;
Epilessia giovanile in una percentuale variabile possono osservarsi anche crisi tonicocon assenze
cloniche e mioclonie; possibile anche lo stato epilettico con assenze.
Fattori scatenanti: risveglio mentale e psicologico per le assenze;
173
deprivazione di sonno, stress, alcool, luce, per le crisi tonico-cloniche;
rara la fotosensibilità. EEG intercritico: normale o con lievi anomalie;
EEG critico: punte o PPO generalizzate a 3-4 Hz. Eziologia: genetica, a
trasmissione non definita. Prognosi: le crisi sono ben controllate dalla
terapia.
Epilessia
mioclonica giovanile
(Sindrome di Janz) Triade clinica di: scosse miocloniche al risveglio;
crisi tonico-cloniche (quasi sempre) e assenze tipiche (in 1/3 dei
pazienti). Esordio: 5-16 anni per le assenze; dopo 1-9 anni (in genere
verso i 14-15 anni) compaiono le scosse miocloniche e dopo alcuni mesi
da queste le crisi tonico-cloniche. Le crisi, soprattutto le mioclonie, si
presentano principalmente il mattino a risveglio. Fattori scatenanti:
deprivazione di sonno, stress, alcool, ma anche stress emotivo, etc. EEG
intercritico: scariche generalizzate di punte/PPO irregolari a 3-6 Hz;
frequente la fotosensibilità. EEG critico: nelle mioclonie, burst di punte
multiple generalizzate; nelle assenze punte o polipunte che precedono o
si inseriscono su onde lente, di ampiezza variabile, a frequenza irregolare
tra 2 e 10 Hz. Eziologia: geneticamente determinata, a trasmissione non
definita (identificati diversi loci, probabile eterogeneità genetica).
Prognosi: le crisi sono ben controllate dalla terapia, ma tendono a
ripresentarsi alla sospensione della stessa.
Esordio: tra 6 e 47 anni. Crisi tonico-cloniche scatenate da deprivazione
di sonno, stress e alcool. EEG intercritico: spesso presenta scariche
generalizzate di punte/PPO. Prognosi: le crisi sono ben controllate dalla
terapia, ma tendono a ripresentarsi alla sospensione della stessa.
Epilessia con crisi
solo tonico-cloniche
generalizzate
Epilessie riflesse
Sindromi in cui le crisi epilettiche sono precipitate da stimoli sensitivi.
Le varie sindromi sono definite dallo stimolo scatenante specifico e dalla
risposta elettro-clinica.
Epilessia idiopatica Esordio: 15 mesi – 19 anni. Crisi indotte da video-giochi e, più
fotosensibile del lobo raramente, televisione o altri stimoli luminosi, caratterizzate da
occipitale
allucinazioni visive circolari multicolori, spesso associate a cecità, della
durata di alcuni secondi o minuti; talvolta si prolungano con sintomi
autonomici e secondaria generalizzazione. Possibili anche crisi
spontanee o altri tipi di crisi. EEG intercritico: scariche di punte o
polipunte, confinate alle regioni occipitali, oppure punte/PPO
generalizzate con predominanza occipitale, indotte dalla SLI; possibili
anche punte occipitali spontanee. EEG critico: scariche a partenza
occipitale, che diffondono alle regioni temporali. Eziologia: idiopatica.
Prognosi: estremamente variabile; fondamentale è evitare i fattori
scatenanti.
Esordio: tra 12 e 15 anni. Brevi scosse miocloniche, per lo più ristrette ai
muscoli masticatori e periorali, che insorgono da alcuni minuti a qualche
174
Altre epilessie visive
sensibili
Epilessia primaria
da lettura
ora dopo una lettura (in silenzio o ad alta voce). Raramente, nel caso in
cui il paziente non cessi la lettura, le mioclonie possono diffondere al
tronco e agli arti fino a dare una crisi tonico-clonica. In alcuni pazienti
possono essere scatenate da altre attività legate al linguaggio (parlare,
scrivere, leggere la musica, masticare). EEG intercritico: solitamente
normale. EEG critico: breve scarica di onde aguzze bilaterali, con
prevalenza nelle regioni temporo-parietali di sinistra. Prognosi:
favorevole. Eziologia: probabilmente geneticamente determinata
Esordio: tra 1 e 16 anni. Crisi provocate da stimoli improvvisi e
inaspettati, per lo più di tipo sonoro, ma anche somatosensoriale o visivo;
la risposta è di breve durata (fino a 30 secondi) e consiste in contrazioni
muscolari toniche (più raramente atoniche o miocloniche) assiali, che
producono spesso cadute, anche traumatiche. Diagnosi differenziale con
la Startle disease. Molti pazienti presentano handicap neurologici e
mentali, nella maggior parte dei casi emiplegia infantile. EEG
Epilessia da
intercritico: anomalie focali o diffuse che riflettono le lesioni cerebrali.
trasalimento
EEG critico: iniziale scarica al vertice, seguita da un appiattimento o
attività ritmica di basso voltaggio a ca 10 Hz, che inizia nelle aree
motorie e premotorie e diffonde alle regioni mesiale frontale, parietale e
frontale controlaterale. Prognosi: sfavorevole, in particolare nei casi di
encefalopatia severa; aumentata mortalità; raro il controllo completo
delle crisi. Eziologia: varie patologie cerebrali localizzate o diffuse,
tipicamente occorse nei primi due anni di vita; comune nella sindrome di
Down.
Epilessia notturna
Esordio: da 2 mesi a 56 anni, ma per lo più tra i 7 e i 12 anni. Clusters di
autosomica dominante crisi notturne motorie, con caratteristiche ipercinetiche/distoniche o
del lobo frontale
toniche; più frequentemente nello stato ipnagogico del sonno o subito
dopo il risveglio; fattori scatenanti stress e alcool; ampia variabilità
clinica inter- e intra-familiare. Diagnosi differenziale con parasonnie,
pavor nocturnus e disturbi psichiatrici. EEG critico e intercritico
solitamente nella norma. Prognosi: persistenza delle crisi per tutta la vita,
anche se con andamento variabile. Eziologia: malattia monogenica a
trasmissione autosomica dominante a penetranza variabile, con
eterogeneità genetica (identificate diverse mutazioni di subunità del
recettore neuronale nicotinico per l’Ach.)
Epilessie familiari del Esordio: seconda decade – età giovane adulta. Crisi parziali semplici o
lobo temporale
complesse (con sintomatologia esperenziale, autonomica e
somatosensoriale). EEG intercritico: normale o, più raramente, con onde
lente o complessi PO temporali uni-laterali; registrati solo 3 EEG critici,
in un solo caso con una scarica in regione temporale. La RM encefalo è
di solito normale; in rari casi può mostrare atrofia ippocampale
(familiare) o alterazioni minori aspecifiche. Diagnosi differenziale con
l’epilessia ippocampale. Prognosi per lo più eccellente: buona risposta
alla terapia. Eziologia: malattia genetica a trasmissione autosomisica
dominante e penetranza incompleta; probabile eterogeneità genetica.
Epilessie generalizzate Sindrome in sviluppo, che comprende i casi di crisi febbrili a insorgenza
con crisi febbrili plus
nell’infanzia, con persistenza di crisi febbrili oltre i 6 anni e presenza di
crisi afebbrili, in diversi membri della stessa famiglia. Le crisi febbrili
esordiscono intorno a 1 anno e regrediscono verso gli 11 anni di età; i
pazienti presentano crisi febbrili, crisi generalizzate e crisi focali, in
combinazione variabile. Eziologia: mappati 2 geni (GEFS1 sul
175
Epilessia focale
familiare con foci
variabili
Epilessie focali
sintomatiche (o
probabilmente
sintomatiche)
Epilessie limbiche
Epilessia mesiale
del lobo temporale con
sclerosi ippocampale
cromosoma 19 e GEFS2 sul cromosoma 2).
Età di esordio: 0,75-43 anni (media 13). Crisi focali a differente
localizzazione (temporale, frontale, centroparietale, occipitale) nei
membri della stessa famiglia, spesso notturne. EEG intercritico: focus
variabile per localizzazione da un individuo a un altro, ma costante nel
tempo per ogni soggetto; osservati anche individui asintomatici con
focus all’EEG, all’interno della famiglia. Prognosi buona: crisi ben
controllate dalla terapia. Eziologia: malattia autosomica dominante (in 2
famiglie locus sul cromosoma 22).
Esordio: tarda infanzia – adolescenza. Crisi febbrili e crisi focali semplici
precedono spesso le crisi parziali complesse (aura epigastrica, paura e
automatismi oro-alimentari come sintomatologia più frequente, ma anche
automatismi gestuali, sintomi esperenziali e autonomici). EEG
intercritico: normale nei 2/3 dei casi. EEG critico: attività lenta ritmica
(4-7 Hz) sulla regione temporale corrispondente. Prognosi variabile:
buona risposta alla terapia farmacologica in circa l’80% dei casi; il
rimanente 20% può ottenere buoni risultati con la terapia chirurgica.
Eziologia: sclerosi ippocampale (ipocellularità e gliosi) all’istologia e
alla RM encefalo, uni- o bi- laterale; non è chiaro se sia la causa o il
risultato delle crisi.
Non distinguibile dalla precedente clinicamente o all’EEG; Diagnosi
differenziale possibile con la RM encefalo (sensibilità circa il 90%):
neoplasie benigne e maligne; cause vascolari; malformazioni; lesioni
infettive o di altra natura. In molti casi candidati alla terapia chirurgica.
Epilessia mesiale
del lobo temporale
definita da eziologie
specifiche
Altri tipi definiti
da posizione ed
eziologia
Epilessie
neocorticali
Sindrome di
Rasmussen
Molto rara. Esordio: 1-10 anni, raramente nell’adolescenza o in età
adulta, con crisi focali motorie. Seguono epilessia parziale continua, crisi
focali complesse senza automatismi, crisi tonico-cloniche di un emi-lato
o generalizzate e emiplegia, inizialmente post-critica e poi permanente.
Decorso progressivo con: aumento nella frequenza delle crisi, comparsa
di deficit mentali e neurologici permanenti e progressivi; scarsa risposta
alla terapia farmacologica; l’emisferectomia può essere l’unica terapia
efficace. Nessun esame strumentale o di laboratorio risulta specifico; la
diagnosi è possibile solo sulla base del decorso clinico. EEG intercritico:
graduale scomparsa del ritmo fisiologico e comparsa di onde delta
polimorfe di ampio voltaggio, inizialmente dal lato affetto e poi bilateralmente con predominanza emisferica; costanti punte o punta-onda
intercritiche. EEG critico: variabile, spesso multifocale, a volte senza
modificazioni. RM: emiatrofia progressiva, a inizio per lo più dalla
regione temporo-insulare. Eziologia: sconosciuta; probabile encefalite
cronica di possibile natura autoimmune.
176
Condizioni con crisi
epilettiche che non
richiedono una
diagnosi di epilessia
Esordio: 1-7 giorni di vita (per lo più 4-5). EEG intercritico: EEG critico:
Crisi neonatali
pattern theta puntuto, alternante . EEG critico: punte o onde lente
benigne (non familiari) ritmiche, per lo più nelle regioni rolandiche, uni-laterali o generalizzate.
Prognosi eccellente: non ricorrenza delle crisi e normale sviluppo;
talvolta deficit psico-motori minori. Eziologia sconosciuta ma
probabilmente ambientale.
Crisi febbrili
Crisi riflesse
Crisi per abuso di
alcool
Crisi indotte da
farmaci o da altre
sostanze chimiche
Crisi subitanee e
precoci posttraumatiche
Crisi isolate o
gruppi isolati di crisi
Crisi raramente
ripetute
(oligoepilessia)
Esordio: 6 mesi 5-anni. Crisi generalizzate, per lo più tonico-cloniche,
ma anche toniche o atoniche, raramente unilaterali o a insorgenza focale,
scatenate dalla febbre (>38°C), in assenza di infezioni o altre cause a
localizzazione intracranica; legate all’età. Crisi distinte in: febbrili
semplici (tonico-cloniche generalizzate, di durata < 15 min, senza
ricorrenza entro 24 ore o nello stesso episodio febbrile) e febbrili
complesse (durata > 15 minuti, ricorrenza nelle 24 ore o caratteristiche
focali). Eziologia: probabile predisposizione genetica, forte familiarità,
ma ereditarietà non chiarita. Prognosi: rischio di sviluppare crisi afebbrili
e epilessia di 6 volte maggiore rispetto alla popolazione generale;
sviluppo psicomotorio nella norma.
Crisi che sono obiettivamente e consistentemente dimostrate essere
scatenate da uno stimolo afferente specifico (elementare, come flash
luminoso, startle , tono, oppure strutturato) o da un’attività del paziente
(semplice, come un movimento, oppure elaborato come un’attività
cognitiva, p.e. leggere o giocare a scacchi). Possono essere idiopatiche,
sintomatiche o probabilmente sintomatiche.
Sono crisi causate acutamente da una condizione morbosa che determina
un danno strutturale o metabolico encefalico. Il trattamento non è
necessario se le crisi rimangono isolate.
Alcuni soggetti possono presentare in modo isolato una crisi, o anche
uno stato epilettico. Altri possono avere, a prescindere dal trattamento,
solo poche crisi nell’arco della vita.
177
4. Malattie spesso associate a crisi e sindromi epilettiche
Gruppo di malattie
Epilessie miocloniche
progressive
Specifiche malattie
Ceroido lipofuscinosi
Sialidosi
Malattia di Lafora
Malattia di Unverricht-Lundborg
Distrofia neuroassonale
MERF
Atrofia dentatorubropallidoluisiana
Altre
Disturbi neurocutanei
Complesso della Sclerosi Tuberosa
Neurofibromatosi
Hypomelanosi di Ito
Sindrome del nevo epidermico
Sindrome di Sture-Weber
Malformazioni dovute ad Isolata sequenza di lissencefalia
anomalie dello sviluppo Sindrome di Miller-Dieker
corticale
Lissencefalia X-linked
Eterotopia subcorticale a bande
Eterotopia nodulare periventricolare
Eterotopia focale
Emimegaencefalopatia
Sindrome bilaterale perisilviana
Polimicrogiria unilaterale
Schizencefalia
Displasia corticale focale o multifocale
Microdisgenesia
Altre malformazioni
Sindrome di Ai cardi
cerebrali
Sindrome PEHO
Sindrome acrocallosa
Altre
Tumori
DNET
Gangliocitoma
Ganglioglioma
Angioma cavernoso
Astrocitoma
Amartoma ipotalamico (con crisi gelastiche)
Altri
Anomalie cromosomiche Monosemia parziale 4P o sindrome di Wolf-Hirshhorn
Trisomia 12 p
Sindrome da inversione duplicazione 15
Cromosoma 20 ad anello
Altre
Malattie monogeniche
Sindrome del cromosoma X fragile
mendeliane con
Sindrome di Angelman
meccanismi
Sindrome di Rett
patogenetici complessi
Altre
178
Malattie metaboliche
ereditarie
Encefalopatie non
progressive dovute a
lesioni cerebrali
ischemiche,
atossiche o infettive
occorse in epoca
prenatale o perinatale
Infezioni postatali
Altri fattori postatali
Miscellanea
Iperglicinemia non chetotica
Acidemia p-glicerica
Acidemia proprionica
Deficienza di sulfito-ossidasi
Deficienza di fruttosio 1-6 difosfatasi
Altre acidurie organiche
Deficienza di piridossina
Aminoacidopatie (fenilchetonuria, urine a sciroppo d’acero etc.)
Disordini del ciclo dell’urea
Disordini del metabolismo di carboidrati
Disordini del metabolismo della biotina
Disordini del metabolismo dell’acido folico e della B12
Deficienza della proteina di trasporto del glucosio
Malattia di Menkes
Disordini da accumulo di glicogeno
Malattia di Krabbe
Dificenza di fumarasi
Disordini dei peroxisomi
Sindrome di Sanfilippo
Malattie mitocondriali (deficienza della piruvato deidrogenasi, difetti
della catena respiratoria, MELAS)
Prencefalia
Leucomalacia periventricolare
Microcefalia
Calcificazioni ed altre lesioni dovute a toxoplasmosi, MCV, HIV etc.
Cisticercosi
Encefalite da Herpes
Meningite batterica
Altre
Trauma cranico
Abuso di alcool e di droghe
Ictus
Altre
Malattia celiaca (epilessia con calcificazioni occipitali e malattia
celiaca)
Sindrome dell’epilessia del nord
Sindrome di Coffin-Lowry
Malattia di Alzheimer
Malattia di Huntington
Malattia di Alper
MERF, epilessia mioclonica con “ragged red fibers”; DNET, tumore disembrioplastico
neuroepiteliale; MELAS, encefalomiopatia, acidosi lattica, sintomi stroke-like; MCV, malattia
cerebrovascolare; HIV, virus umano dell’immunodeficenza.
179
5. Disturbi che devono essere considerati in diagnosi differenziale delle crisi
epilettiche
Eventi non epilettici
Fenomeni normali
Sincopi
Spasmo affettivo (spasmo
cianotico)
Spasmo pallido (sincope
riflessa vaso-vagale)
Attacchi di panico
Crisi psicogene
Ipoglicemia
Attacchi ischemici
transitori (TIA)
Disturbi parossistici del
movimento
Spasmi tonici in altre
malattie neurologiche
Tic
Iperexplexia
Drop attack
Emicrania
Principali caratteristiche
Possono non essere correlate a patologie sensazioni somatosensoriali,
visive, uditive, olfattive, gustative, autonomiche, addominali o
psichiche (déjà vu e jamais vu) anche se ricorrenti e stereotipate
Una sincope può essere associata a scosse miocloniche, revulsione
degli occhi e brevi automatismi. Una crisi epilettica può essere
caratterizzata da sintomi autonomici e sincopali
In bambini con esordio tra i 6 e i mesi. In seguito ad un evento
spiacevole di diversa natura si osserva un pianto con interruzione
della respirazione in inspirazione, apnea, cianosi labbra e volto. E’
possibile perdita di coscienza e ipotonia, raramente seguite da
ipertono generalizzato o qualche clonia. Dura meno di un minuto con
risoluzione spontanea.
In seguito a traumi di lieve entità, soprattutto della testa, non
preceduto da pianto, caratterizzato da pallore intenso, sudorazione
fredda e perdita di coscienza, talora seguiti da ipertono, con
opistotono o breve crisi clonica. Più frequente fra il 12° e 18° mese di
vita, durante l’acquisizione della marcia.
Paura, parestesie, sintomi di depersonalizzazione e psicosensoriali si
possono verificare in situazioni che inducono ansia ma anche senza
apparente causa scatenante.
Una crisi psicogena può imitare una crisi epilettica. Alcuni
comportamenti bizzarri possono essere causati da crisi epilettiche.
Si può verificare in pazienti diabetici per utilizzo sbagliato dei
farmaci, o in alcoolisti dopo un’abbondante bevuta. Caratteristiche:
confusione, sonnolenza, sudorazione, tremore e, più di rado, crisi
epilettiche.
In alcuni pazienti anziani può essere difficile distinguere un TIA da
alcune crisi focali somatosensoriali.
Sono molto rari. Si manifestano con improvvisi attacchi distonici o
coreoatetosici, più frequentemente indotti da movimenti, e devono
essere distinti dalle crisi focali motorie.
Contrazioni muscolari, intense che durano alcuni minuti si possono
osservare in pazienti in coma, con Sclerosi Multipla, Parkinson etc.
Tic multipli possono essere confusi con delle mioclonie. Nella
sindrome di Gilles de La Tourrette, è presente un comportamento
compulsivo che si associa a vocalizzazione.
Malattia ereditaria con risposta esagerata a stimoli tattili, uditivi,
visivi. Gli attacchi possono determinare perdita di tono. Nella prima
infanzia predominano ipertono ed apnee.
Caduta senza perdita di coscienza che si osserva durante l’età adulta.
Le crisi epilettiche atoniche si verificano, essenzialmente, nei
bambini e nei giovani adulti che presentano anche altri tipi di crisi.
Una marcia che dura meno di un minuto suggerisce una crisi
epilettica, molti minuti un’aura emicranica. Alcune crisi occipitali
che si manifestano con allucinazioni visive elementari, amaurosi,
vomito e cefalea da sole o in combinazione devono essere distinte
dall’emicrania con aura o dall’emicrania basilare.
180
Amnesia globale
transitoria
Disturbi del sonno
Mioclonie ipniche
Mioclono neonatale
benigno
Paralisi del sonno
Movimenti periodici
del sonno
Pavor nocturnus
Disturbi
comportamentali del
sonno REM
Sonnambulismo
Mioclono benigno della
prima infanzia
Attacco di brivido
Spasmo nutans
Sindrome di Sandifer
Torcicollo parossistico
Vertigine parossistica
benigna
Masturbazione
Sindrome di Munchausen
by proxy
Si osserva in età adulta ed è caratterizzata da un’amnesia che dura da
30 minuti ad alcune ore.
Si verificano all’addormentamento.
Clonie erratiche sincrone o asincrone mono o bilaterali. Scompaiono
generalmente entro il 2-3 mese.
Associati
a
spavento
si
verificano
al
risveglio
o
all’addormentamento.
Si osservano in pazienti anziani, sono caratterizzari da breve flessioni
delle gambe che durano pochi secondi, con brevi intervalli in cluster
di molti minuti.
E’ tipico nei bambini. Avviene nel primo, terzo della notte, durante il
sonno lento. E’ caratterizzato da risveglio improvviso, espressione
terrorizzata, confusione e disorientamento, accompagnati da sintomi
di attivazione del sistema nervoso autonomo. Amnesia dell’evento.
Nell’età adulta e nell’anziano. E’ caratterizzato da attività motorie di
lotta, auto ed eteroaggressive durante la fase REM. E’ come se il
paziente agisse in sogno. Vi è amnesia dell’evento.
Nel sonno non-REM. Il bambino sembra svegliarsi e compie attività
semiautomatiche, quali mangiare, aprire le porte, vestirsi, cercare. Vi
è amnesia dell’evento.
Flessione del capo e degli arti superiori in salve, tipico della prima
infanzia, a risoluzione spontanea.
Durante la veglia tremori ritmici frequenti, di bassa ampiezza della
testa, braccia e tronco, più raramente delle gambe (simili a brividi).
Nella prima infanzia.
Scuotimento della testa, torcicollo e nistagmo (anche monoculare).
Esordio alla fine del primo anno di vita, remissione spontanea a 2-3
anni.
Episodi di estensione assiale e torsione laterale del capo, in vicinanza
dei pasti, legati a reflusso gastro-esofageo. Tipico dell’infanzia.
Improvvisa inclinazione della testa spesso di breve durata, a
risoluzione spontanea, preceduta da pianto, vomito, agitazione e
pallore. Tipico della prima infanzia.
Episodi ricorrenti non provocati di vertigine e perdita di equilibrio, ±
nistagmo, vomito, pallore, sudorazione. Inizio nei primi 5 anni,
scomparsa entro i 10 anni.
Adduzione delle cosce, irrigidimento, rossore, sguardo vuoto , talora
contrazione ritmica degli arti e del tronco. Più frequente nelle
bambine, soprattutto quando annoiate o poco stimolate dall’ambiente.
Può resistere o risentisi se interrotto.
Crisi riferite come epilettiche e testimoniate solo da un genitore, più
frequentemente dalla madre. E’ un disturbo psichico del genitore che
fabbrica sintomi nel figlio o causa una malattia che richiede ripetuti
esami o ospedalizzazione
181
6. Farmaci utilizzati nel trattamento delle crisi epilettiche
Principio Attivo Nome
Forme
Indicazioni
commercial farmaceutiche
e
disponibili
Modalità - nota
Barbexaclone
Maliasin
conf 25 e 100
mg
RNR1
Carbamazepina Tegretol,
cpr 200 e 400
Carbamazep mg;
formulazioni a
ina,
Carbamazep rilascio
prolungato 200
ina Teva
e 400 mg;
scir 2%
RR
Clobazam
Frisium
cps 10 mg
RR1
Clonazepam
Rivotril
cpr 0,5 e 2 mg;
gtt 0,25% (1
goccia = 0,1
mg)
RR1
Diazepam
Ansiolin,
Diazemuls,
Diazepam,
Micronoan,
Noan,
Valium,
Vatran,
f 10 mg/2ml; f
10 mg/1ml;
microclisteri 5
mg/2,5 ml
RNR2
Situazioni in cui Dosaggio
sono necessarie consigliato
precauzioni
d'uso (1) e
principali eventi
avversi (2)
Monoterapia e
(1) porifiria,
300-600
terapia
insufficienza
mg/die
d’associazione: epatica o renale nell’adulto;
crisi focali e
grave
100-400 mg
secondariamente (2) eccitabilità, nel bambino
generalizzate;
insonnia, calo
crisi tonicoponderale, rash
cloniche
cutaneo
generalizzate
Monoterapia e
(1) gravi malattie 800-1200
terapia
ematologiche
(fino a 1600d’associazione: pregresse o
2000) mg/die
crisi focali e
attuali, blocco A- nell'adulto;
secondariamente V, disfunzioni
400-800
generalizzate;
nella produzione mg/die nel
crisi tonicodi porfirina,
bambino
cloniche
glaucoma
(2) sonnolenza,
generalizzate
vertigini, diplopia,
rash cutaneo
Stati d’ansia. E’ (1 ) miastenia,
20-30 mg/die
utilizzabile
insufficienza
nell'adulto
nell’epilessia
renale o
(non più di
come terapia
respiratoria gravi, metà della
d’associazione: glaucoma
dose nel
tutte le crisi
(2) sonnolenza
bambino)
Monoterapia e
(1) miastenia,
4-8 mg/die
terapia
insufficienza
nell'adulto;
d’associazione: renale o
1,5-6 mg/die
respiratoria
gravi,
nel bambino
tutte le crisi
glaucoma
(2) sonnolenza
Stato di male
(1) malattie
Nello stato di
epilettico;
respiratorie,
male: 10-20
convulsioni
miastenia,
mg e.v.
febbrili
insufficienza
nell’adulto;
epatica e renale, 200-300
porfiria
microg/kg e.v.
(2) depressione nel bambino
respiratoria,
Nelle
ipotensione
convulsioni
febbrili: 250
microg/kg e.v.
o 500
182
microg/kg per
via rettale
Etosuccimide
Felbamato
Fenitoina
Fenobarbital
Gabapentin
Zarontin
cps 250 mg;
scir 5% (250
mg/5ml)
RR
Monoterapia e
terapia
d’associazione:
crisi d’assenza
(1) insufficienza 250-500
renale o epatica mg/die nel
(2) sonnolenza, bambino;
disturbi
1000-1500 g
gastrointestinali e /die
ematologici
nell’adulto
Taloxa
cpr 400 e 600 Terapia
(1) discrasie
600-1200
mg;
d’associazione: ematica o
(fino a 3600)
crisi focali e
disfunzioni
mg/die
scir (600
mg/5ml)
secondariamente epatiche
nell'adulto;
RL9
generalizzate;
(2) anemia
7,5-15
crisi generalizzate aplastica,
mg/kg/die nel
farmaco-resistenti insufficienza
bambino
epatica acuta
(Sindrome di
Lennox-Gastaut) fatale
Dintoina, cpr 100 mg;
Monoterapia e
(1) insufficienza 200-400 (fino
terapia
epatica,
a 600) mg/die
Fenitoina RR
d’associazione: metabolismo lento nell'adulto; 4sodica,
8 mg/kg/die
Aurantin
f 250 mg/5ml crisi focali e
Uso ospedaliero secondariamente (2) rash cutaneo, nel bambino.
generalizzate;
Nello stato di
discrasie
crisi tonicomale: 15-20
ematiche,
cloniche
mg/Kg e.v.
tumefazione
generalizzate; per gengivale
alla velocità
via venosa nello
massima di 50
stato di male
mg/min
epilettico
nell’adulto, 20
mg/Kg a 1
mg/kg/min nel
bambino; in
caso
d’ipotensione
rallentare la
velocità
d’infusione
Comizial, cpr 15, 50 e 100 Monoterapia e
(1) insufficienza 100-300
Fenobarbital mg;
terapia
renale o epatica, mg/die
e sodico,
RNR1
d’associazione: cardiopatie gravi, nell'adulto;
Gardenale,
crisi focali e
porfiria
20-100 mg/die
Luminale, f 30 mg/1 ml, secondariamente (2) sonnolenza, nel bambino.
Luminalette 100 mg/1 ml, generalizzate;
anemia
Nello stato di
100 mg/2 ml, crisi tonicomegaloblastica, male 10-20-30
200 mg/1 ml
cloniche
osteomalacia
mg/Kg e.v. a
Uso ospedaliero generalizzate; per
100 mg min
via venosa nello
stato di male
epilettico
Neurontin cps 100, 300, Terapia
(1) insufficienza 900-1200
400 mg
d’associazione: renale
(fino a 2400)
183
RR
crisi focali e
(2) sonnolenza,
secondariamente aumento
generalizzate
ponderale,
dispepsia
mg/die
nell’adulto;
25-35
mg/kg/die nel
bambino
Lamotrigina
Lamictal
cpr dispersibili Monoterapia e
(1) insufficienza 200-400 (fino
5, 25, 50, 100, terapia
renale o epatica a 700) mg/die
200 mg
d’associazione in (2) rash cutaneo, nell'adulto e
pazienti di età
irritabilità
nell'adolescent
RR
superiore a 12
e di età
anni: crisi focali e
superiore a 12
secondariamente
anni
generalizzate;
crisi generalizzate
Levetiracetam Keppra
cpr 500 e 1000 Terapia
(1) insufficienza 1000-3000
mg
d’associazione in renale
mg/die
RR
pazienti di età
(2) sonnolenza
nell'adulto e
superiore a 16
nell’adolescen
anni: crisi focali e
te di età
secondariamente
superiore a 16
generalizzate;
anni
crisi generalizzate
farmacoresistenti
Lorazepam
Tavor
f 4 mg
Stato di male
(1) malattie
4 mg per
Uso ospedaliero epilettico
respiratorie,
iniezione e.v.
miastenia,
nell’adulto; 2
insufficienza
mg e.v. nel
epatica e renale, bambino
porfiria
(2) depressione
respiratoria,
ipotensione
Midazolam
Ipnovel,
f 5 mg/1 ml, f Induzione
(1) miastenia;
0.15-0.2
Midazolam 15 mg/3 ml
dell’anestesia
apnea da sonno; mg/Kg seguiti
PHG
Uso ospedaliero (utilizzabile nello insufficienza
da 0.1-0.4
Pharma
stato di male
epatica o
mg/Kg/ora
Hamlen
epilettico
respiratoria gravi
refrattario)
(2) depressione e
arresto
respiratorio
Oxcarbazepina Tolep
cpr 300 e 600 Monoterapia e
(1) cardiopatie
600-2400
mg
terapia
gravi,
mg/die
RR
d’associazione in insufficienza
nell'adulto;
pazienti di età
epatica o renale sconsigliato
superiore a 12
(2) rash cutaneo, nel bambino
anni: crisi focali e discrasie
secondariamente ematiche,
generalizzate;
iponatriemia
crisi tonicocloniche
generalizzate
184
Primidone
Mysoline
Propofol
Diprivan
Tiagabina
Gabitril
Tiopental sodico Pentothal
sodium
Topiramato
Topamax
Valproato
Depakin,
Depamag
cpr 250 mg
RR
Monoterapia e
(1) Porfiria
500-1500
terapia
(2) sonnolenza, mg/die
d’associazione: anemia
nell'adulto;
crisi focali e
megaloblastica 250-1000
secondariamente
mg/die nel
generalizzate;
bambino
crisi generalizzate
tonico-cloniche
f 20 mg/ml
Induzione
(1) bambini, per 2 mg/Kg e.v.
Uso ospedaliero dell’anestesia
rari casi segnalati seguiti da 6-12
generale
di acidosi
mg/Kg/ora (in
(utilizzato nello metabolica e
base all’EEG)
stato epilettico
rabdomiolisi fatali
refrattario)
(2) ipotensione,
depressione
respiratoria,
movimenti
involontari simil
epilettici
cpr 5, 10, 15 mg Terapia
(1) depressione, 30-50 mg/die
RR
d’associazione in insufficienza
nell'adulto e
pazienti di età
epatica
nel bambino
(2) sonnolenza, di età
superiore a 12
anni: crisi focali e depressione
superiore a 12
secondariamente
anni
generalizzate
f 0.5, 1 g
Anestetico per via (1) ipotensione, 12 mg/Kg e.v.
Uso ospedaliero venosa (utilizzato malattie epatiche seguiti da 5
nello stato di
o renali
mg/Kg/ora (in
(2) collasso
maleepilettico
base all’EEG)
refrattario)
cardiocircolatorio,
depressione
respiratoria
cpr 25, 50, 100, Monoterapia e
(1) nefrolitiasi, 200-400
200 mg;
terapia
glaucoma
mg/die
cps contenenti d’associazione: (2) calo
nell'adulto; 5granuli 15 e 25 crisi focali e
ponderale,
9 mg/kg/die
mg
secondariamente sonnolenza,
nel bambino
RR
generalizzate;
parestesie, turbe
crisi generalizzate del pensiero, turbe
del linguaggio
cpr
Monoterapia e
(1) epatite,
20-30
enteroprotette terapia
porfiria,
mg/kg/die per
200 e 500 mg; d’associazione: emorragie in atto adulti e
soluz per os
crisi focali e
(2) stati
bambini.
20% e 10%;
secondariamente confusionali,
Nello stato di
cpr a rilascio
generalizzate,
alopecia, tremore, male 20-25
prolungato 300 crisi
incremento
mg/Kg e.v. in
e 500 mg;
generalizzate.
ponderale,
5-10 min
RR
allungamento del seguiti da 2
tempo di
mg/Kg/ora
185
f 400 mg/4 ml
Uso ospedaliero
Vigabatrin
Sabril
cpr 500 mg;
bust 500 mg
RR
sanguinamento,
trombocitopenia,
iperammoniemia
Terapia
d’associazione:
crisi focali e
secondariamente
generalizzate
farmacoresistenti; spasmi
(sindrome di
West)
(1) insufficienza
renale
(2) difetti del
campo visivo,
sonnolenza,
agitazione,
aumento
ponderale
2000-3000
mg/die
nell'adulto;
500-3000
mg/die nel
bambino
RNR1: da vendersi dietro presentazione di ricetta medica da rinnovare volta per volta, specialità
soggetta al DPR 309/90, tab. IV. RR: da vendersi dietro presentazione di ricetta medica. RR1: da
vendersi dietro presentazione di ricetta medica; specialità soggetta al DPR 309/90, tab. V (lista
negativa). RNR2: da vendersi dietro presentazione di ricetta medica da rinnovare volta per volta;
specialità soggetta al DPR 309/90, tab. V (lista positiva). RL9: da vendersi dietro presentazione di
ricetta medica rilasciata da centri specialistici pediatrici neurologici, neuropsichiatrici, e da centri
ospedalieri.
186
7. Principali interazioni farmacocinetiche degli antiepilettici
1
2
3
4
Farmaci
antiepilettici
Il farmaco in
colonna A riduce
le concentrazioni
plasmatiche dei
seguenti farmaci.
Il farmaco in
colonna A
aumenta le
concentrazioni
plasmatiche dei
seguenti farmaci.
Aumentano le
concentrazioni
plasmatiche, con
rischio di effetti tossici,
del farmaco in colonna
A generalmente (ma
non sempre) attraverso
una riduzione della
clearance
Fenitoina
Antiepilettici:
carbamazepina*,
flunarizina,
lamotrigina*,
oxcarbazepina,
tiagabina*,
topiramato,
valproato*
Benzodiazepine:
clobazam,
clonazepam*,
oxazepam
Analgesici e
antipiretici:
acetaminofene
(paracetamolo)
Meperidina
(Petidina)*
Metadone
Antiasmatici:
teofillina*
Antiepilettici:
fenobarbital
Riducono la
concentrazione
plasmatica, quindi
l’efficacia, del
farmaco in colonna
A generalmente
(ma non sempre)
attraverso un
aumento della
clearance
Antiepilettici:
carbamazepina (?),
fenobarbital (può
anche aumentare i
livelli), vigabatrin
Antimicrobici:
rifampicina
Etanolo
A
Immunosoppresso
ri: ciclosporina
Antifungini:
itraconazolo**
Antimicrobici:
cloramfenicolo,
doxycillina,
praziquantel*
Antineoplastici:
ciclofosfamide*
Antipsicoptici:
quetiapina**
Anticoaugulanti:
dicumarolo*,
warfarin*
Farmaci che
agiscono sul
sistema
cardiovascolare:
digossina,
disopiramide,
Antiepilettici:
felbamato*,
oxcarbazepina*,
fenobarbital (può anche
ridurre i livelli),
topiramato*
Analgesici e antipiretici:
fenilbutazone
Antiaggreganti
piastrinici: ticlopidina*
Antidepressivi:
fluoxetina, fluvoxamina,
imipramina, sertralina.,
trazodone, viloxazina*
Antimicrobici:
fluconazolo**,
miconazolo*,
cloramfenicolo,
isoniazide*, sulfonamidi
Antistaminici:
clorfenidramina
Antineoplastici:
tamoxifene
Antipsicotici: tioridazina
Antiulcera: cimetidina*,
omeprazolo
Agenti cardiovascolari:
amiodarone**,
diltiazem*
Altri: Disulfiram*
187
furosemide,
mexiletina*,
nisoldipina**,
quinidina.
Steroidi:
desametazone,
contraccettivi
orali*, prednisone
Carbamazepina
Antiepilettici:
Non descritte
felbamato,
interazioni di
lamotrigina*,
rilievo
fenitoina,
tiagabina*,
topiramato*,
valproato*
Benzodiazepine:
alprazolam,
clobazam*,
clonazepam,
diazepam,
midazolam*
Antidepressivi:
amitriptilina,
clomipramina,
imipramina,
nortriptilina*,
bupropione**,
mianserina,
nefazodone.
Antipsicotici:
clozapina*,
aloperidolo,
olanzapina,
risperidone.
Steroidi:
contraccettivi
orali*,
prednisolone,
metilprednisolone,
desametazone.
Antiepilettici:
carbamazepina*
(autoinduzione),
fenitoina*,
fenobarbital*,
primidone*,
felbamato*,
oxcarbazepina
Antiepilettici:
valproato* (aumento
della concentrazione del
metabolita attivo),
valpromide* (aumento
della concentrazione del
metabolita attivo)
Antidepressivi:
fluoxetina, fluvoxamina,
viloxazina*, nefazodone
Ansiolitici:
valnoctamide*
Calcioantagonisti:
diltiazem*, verapamil*
Antibiotici: macrolidi*,
isoniazide*
Antifungini:
ketoconazolo,
fluconazolo
Antivirali: ritonavir*
Antiulcera: cimetidina
Steroidi: danazolo*
Propossifene *
Immunosoppresso
ri: ciclosporina
Anticoaugulanti:
warfarin*,
dicumarolo.
Calcioantagonisti:
nimodipina**,
nisoldipina*,
nifedipina**,
felodipina**
Chemioterapici:
doxycillina,
indinavir**,
itraconazolo**,
vincristina*
188
Fenobarbital
Valproato
Antiepilettici:
carbamazepina*,
lamotrigina*,
valproato*,
felbamato,
tiagabina*,
topiramato,
oxcarbazepina
Steroidi:
contraccettivi
orali*
prednisolone,
desametazone
Antiasmatici:
teofillina*
Non descritte
interazioni di
rilievo
Immunosoppresso
ri: ciclosporina*
Anticoaugulanti:
warfarin*
Calcioantagonisti:
nimodipina*,
nifedipina*,
felodipina**
Chemioterapici:
metronidazolo
Antiipertensivi:
verapamil**
Antineoplastici:
teniposide**
AntiH2:
cimetidina
Antipsicotici:
clozapina
Non descritte
Benzodiazepine:
interazioni di
lorazepam,
rilievo
diazepam (effetto
sulla frazione
libera)
Antiepilettici:
carbamazepina
(aumento livelli
metabolita
epossido),
etosuccimide*,
felbamato,
lamotrigina*,
fenobarbital*,
fenitoina (effetto
sulla frazione
libera)
Antidepressivi:
amitriptilina
Anticoaugulanti:
warfarin (effetto
sulla frazione
libera)
Carbone attivo
Antiepilettici: valproato,
felbamato,
oxcarbazepina
Antiepilettici:
Carbamazepina*,
fenobarbital*,
fenitoina*,
etosuccimide,
lamotrigina,
topiramato
Antibiotici:
rifampicina
Antiepilettici: felbamato
Antitubercolari:
isoniazide
Antidepressivi:
fluoxetina
189
Etosuccimide
Non descritte
interazioni di
rilievo
Felbamato
Antipepilettici:
carbamazepina
Steroidi:
contraccettivi orali
Gabapentin
Non descritte
interazioni di
rilievo
Antiepilettici:
valproato (non
rilevante)
Lamotrigina
Levetiracetam
Oxcarbazepina
Tiagabina
Topiramato
Antivirali:
zidovudina
Antiepilettici:
fenitoina,
primidone (di
nessun rilievo
clinico)
Antiepilettici:
fenitoina*,
fenobarbital,
valproato,
carbamazepina
(effetto sul
metabolita attivo)
Antiepilettici:
felbamato (?)
Antiepilettici:
lamotrigina
(autoinduzione)
Non descritte
interazioni di
rilievo
Antiepilettici:
lamotrigina,
carbamazepina
Steroidi:
contraccettivi
orali*
Calcioantagonisti:
felodipina
Non descritte
interazioni di
rilievo
Non descritte
interazioni di
rilievo
Antiepilettici:
fenitoina,
fenobarbital
Antiepilettici:
valproato,
lamotrigina
Steroidi:
contraccettivi
orali*
Farmaci che
agiscono sul
sistema
cardiovascolare:
digossina
Litio
Steroidi:
contraccettivi
Antiepilettici:
fenitoina
Agenti
ipoglicemizzanti:
metformina
Non descritte
interazioni di
rilievo
Antipepilettici:
fenobarbital,
fenitoina,
carbamazepina
Antibiotici:
rifampicina
Antipepilettici:
fenobarbital*,
fenitoina*,
carbamazepina*
Antitubercolari:
isoniazide
Antiepilettici:
gabapentin, valproato
Non descritte
Antiulcera: cimetidina
interazioni di rilievo
Antiepilettici:
fenobarbital*,
fenitoina*,
carbamazepina*,
primidone*,
oxcarbazepina,
topiramato
Antibiotici:
rifampicina
Antivirali: ritonavir
Non descritte
interazioni di rilievo
Antiepilettici:
valproato*
Antidepressivi:
sertralina*
Antiepilettici:
carbamazepina,
fenobarbital,
fenitoina
Steroidi:
contraccettivi orali*
Calcioantagonisti:
felodipina
Antiepilettici:
fenobarbital*,
fenitoina*,
carbamazepina*
Antiepilettici:
fenitoina*,
fenobarbital*,
carbamazepina*
Antiepilettici: felbamato
Non descritte interazioni
di rilievo
Non descritte interazioni
di rilievo
Non descritte interazioni
di rilievo
190
Vigabatrin
orali*
Antiepilettici:
fenitoina
Non descritte
interazioni di
rilievo
Non descritte
Non descritte interazioni
interazioni di rilievo di rilievo
*Abbastanza rilevante **molto rilevante
Colonna A: sono riportati i principali farmaci antiepilettici
Colonna 2 & 3: sono riportati quei farmaci per i quali vi sono dati clinici che indicano che la loro
cinetica può essere modificata dai vari farmaci antiepilettici. In modo arbitrario una interazione è
stata definita rilevante se la clearance o la biodisponibilità erano modificate in una percentuale
superiore al 30-40% e molto rilevante se i suddetti parametri erano modificati oltre il 70-80%.
Colonna 3 & 4: sono riportati i farmaci che alterano la cinetica dei farmaci antiepilettici. In modo
arbitrario una interazione è stata definita come abbastanza rilevante se la clearance o la
biodisponibilità erano modificate in una percentuale superiore al 30-40% e molto rilevante se i
suddetti parametri erano modificati oltre il 70-80%.
191
Allegato 8
Percorso diagnostico
Diagnosi clinica
Storia della crisi:
Riferita dal paziente:
*circostanze e fattori
scatenanti
*sintomi prima e durante
la crisi
*durata dei sintomi
*sintomi che seguono la
crisi
*traumi, morsus,
incontinenza sfinterica
Esame obiettivo:
Riferita da un testimone:
*descrizione il più
dettagliata possibile di
quanto osservato prima e
durante la crisi (incluso il
quadro di responsività, i
fenomeni motori, la
vocalizzazione, il colore
della cute, il respiro, il
polso)
*descrizione il più
dettagliata possibile dei
Notizie rilevanti per la
diagnosi:
*età
*sesso
*anamnesi familiare
*storia di sofferenza o
infezioni
prenatali e perinatali
*anamnesi patologica remota
inclusi precedenti convulsioni
febbrili, infezioni del sistema
nervoso, traumi cranici e altre
malattie neurologiche o
stato mentale, segni neurologici focali, aspetto fenotipico del
soggetto con valutazione della cute e degli annessi cutanei alla
ricerca di alterazioni discromiche o dismorfiche per eventuale
Si tratta di epilessia?
Diagnosi differenziale:
Le sincopi, le aure emicraniche, le crisi non-epilettiche psicogene (pseudocrisi) e altre condizioni
possono richiedere particolare attenzione nella diagnosi differenziale con le crisi epilettiche.
Riferimento:
I pazienti con episodi critici neurologici d’incerta diagnosi dovrebbero essere valutati da personale
esperto. E’ consigliabile che anche i pazienti con epilessia siano seguiti da neurologi o da altri
specialisti esperti.
192
Diagnostica strumentale
Se anamnesi ed esame obiettivo confermano il sospetto di crisi epilettica,
eseguire un EEG
Classificare la crisi e la sindrome epilettica
Si raccomanda l’utilizzo della Classificazione Internazionale delle Crisi e Sindromi Epilettiche
La possibilità di una Epilessia Mioclonica Giovanile dovrebbe essere presa in considerazione in
adolescenti e giovani adulti che abbiano presentato una o più crisi tonico-cloniche
crisi parziale
sintomatica/
probabilmente
crisi tonico-clonica
generalizzata
crisi non classificabile
Eseguire uno studio di
neuromimmagini
(RMN scelta preferibile)
NO
SI
NO/
INCERTO
Valutare eventuale terapia farmacologica
Il paziente ha meno
di 25 anni di età?
È una sindrome
generalizzata
idiopatica?
SI
193
Quando iniziare una terapia antiepilettica
Prima crisi tonicoclonica
generalizzata
Presenti anche
assenze o crisi
miocloniche?
NO
SI
Il paziente
considera
inaccettabile una
NO
Prima crisi provocata (alcool,
fattori metabolici, farmaci,
deprivazione di sonno)
Crisi acute
Crisi parziali
semplici o
complesse
Intraprendere una terapia solo
se la ripetitività delle crisi è
suggestiva di epilessia
Trattare dopo
la prima crisi.
Gli antiepilettici
possono essere
utilizzati per
prevenire le
crisi precoci
ad esempio dopo
un
trauma
La decisione
se trattare o
meno dipende
dalla
frequenza e
gravità delle
crisi e dalla
scelta del
paziente (la
maggioranza
dei pazienti
che presenta
una crisi
Trattare dopo la
prima crisi tonicoclonica
SI
Monitoraggio plasmatico:
Differire il trattamento
*utile per ottimizzare il dosaggio in pazienti trattati con fenitoina
*per gli altri farmaci antiepilettici è utile per valutare la
compliance in pazienti con crisi apparentemente refrattarie,
l’eventuale tossicità, le interazioni farmaco-cinetiche in presenza
di patologie epatiche o renali o in gravidanza
Quando sospendere una terapia antiepilettica
*Considerare tale opzione quando le crisi epilettiche sono state del tutto controllate per almeno due
anni
*Discutere col paziente i fattori clinici che possono meglio definire il rischio di ricaduta e tutte le
possibili conseguenze anche sociali e psicologiche derivanti dalla scelta o meno di sospendere la
terapia
*La terapia deve essere sospesa gradualmente, nel corso di mesi; in caso di politerapia iniziare la
sospensione dal farmaco ritenuto meno efficace
194
Scelta della terapia antiepilettica
Crisi parziali
Prima scelta:
*carbamazepina
Crisi non classificate
*valproato di
sodio
Terapia
alternativa
*valproato
*lamotrigina
*oxcarbazepina
*fenitoina
*fenobarbital
Crisi generalizzate
Prima scelta:
*valproato di sodio
Se non tollerato
Crisi non controllate?
Prima di sostituire il farmaco o
instaurare una biterapia:
*rivalutare la diagnosi
*riconsiderare il dosaggio
*valutare la compliance del paziente
Seconda scelta:
crisi tonico-cloniche:
*lamotrigina
*topiramato
crisi di assenza:
*etosuccimide
*lamotrigina
crisi miocloniche:
*lamotrigina
*clonazepam
Quindi:
Crisi parziali
1. Terapia alternativa con carbamzepina, fenitoina,
fenobarbital, Lamotrigina, oxcarbazepina, topiramato
2. Terapia d’associazione con carbamzepina, fenitoina,
fenobarbital, Gabapentin, levetiracetam, lamotrigina,
oxcarbazepina, tiagabina, topiramato
la scelta dipende dalla valutazione delle caratteristiche globali
del paziente. Utilizzare:
*vigabatrin (solo dopo attenta valutazione del rapporto
rischio/beneficio e con esecuzione di un esame del
campo visivo almeno ogni sei mesi)
*felbamato (solo dopo attenta valutazione del rapporto
rischio/beneficio e con monitoraggio di emocromo ed
enzimi epatici)
Crisi non classificate
Crisi generalizzate
Valutare la possibilità di
aggiungere:
*lamotrigina
*topiramato
195
Stati epilettici (SE)
SE iniziale (primi 30 minuti)
Raccogliere informazioni circa il tipo, la durata
delle crisi ed i possibili fattori causali e
precipitanti. Considerare le seguenti caratteristiche:
1 Irrigidimento degli arti
2 Alterazione dello stato di coscienza
SE generalizzato convulsivo: 1 & 2
SE generalizzato non convulsivo: 1
SE parziale convulsivo: 2
Altri tipi inclusi gli SE mioclonici
Supportare la respirazione, il circolo e proteggere il paziente. Somministrare
ossigeno, assicurare un accesso venoso, prelevare campioni di sangue per test
di routine (glucosio, elettroliti, emocromo, funzionalità epatica e renale,
tossicologia e farmaci), ed iniziare il monitoraggio dei parametri vitali.
Trattare l’ipotensione e la grave acidosi. Nel sospetto d’ipoglicemia infondere
glucosio preceduto da tiamina in pazienti con storia, o sospetto, di abuso di
alcool. Somministrare piridossina nei bambini con meno di 24 mesi di età.
Per interrompere le crisi lorazepam e diazepam sono le due benzodiazepine di
prima scelta. Lorazepam è considerato preferibile. Se non fosse possibile la
somministrazione per via venosa diazepam e lorazepam possono essere
somministrati per via rettale. Nei bambini il diazepam è considerato il
farmaco di riferimento con questa modalità di utilizzo.
Lo SE
generalizzato
convulsivo è
un’emergenza
da trattare
prontamente.
Gli altri tipi di
SE necessitano
di trattamenti
personalizzati
in base alle
diverse
situazioni.
SE definito (30-90 minuti)
Stabilizzare i parametri vitali, correggere gli squilibri metabolici, stabilire la
causa dello SE, iniziare (se possibile) il monitoraggio EEG. Predisporre il
trasferimento in Unità Intensiva se i parametri vitali indicano una criticità non
affrontabile.
Per interrompere le crisi infondere fenitoina. Se non fosse possibile utilizzare
la fenitoina le alternative per via venosa sono: fenobarbital, valproato e
midazolam.
Potrebbe essere
preferibile
utilizzare
benzodiazepine
e valproato negli
SE di assenza e
mioclonici.
SE refrattario (>90 minuti)
Prima di praticare l’anestesia generale considerare i diversi fattori
prognostici.
Mantenere le funzioni vitali e praticare l’anestesia generale. I farmaci più
frequentemente utilizzati sono tiopental, propofol e midazolam.
Monitorizzare l’EEG per verificare l’efficacia della terapia.
Non è
indicata
l’anestesia
generale negli
SE mioclonici
postanossici e
negli SE
parziali.
196
Allegato 9
PANEL DI ESPERTI
Luciano Gabbani
Gian Carlo Muscas, Amedeo Bianchi, Maria
Rita Bardini, Daniela Buti, Luciano Gabbani,
Renato Galli, Anna Gaudenzi, Marzia Guarnieri,
Marco Paganini, Raffaele Rocchi, Gian Paolo
Vatti
Gian Carlo Muscas, Paolo Balestri, Amedeo
Bianchi, Paolo Bonanni, Raffaele Rocchi,
Gaetano Zaccara
Coordinatore
Gruppo editoriale
Struttura e Metodologia
Definizioni
Epidemiologia
Glossario
Daniela Buti, Giovanni Carriero, Anna Filippini, Diagnosi clinica
Marzia Guarnieri, Gian Carlo Muscas, Raffaele
Rocchi
Amedeo Bianchi, Maria Rita Bardini
Laboratorio
Genetica
Raffaele Rocchi, Paolo Bonanni, Enrica Neurofisiologia
Mazzeschi
Gian Paolo Vatti, Claudio Fonda, Albero Pupi Neuroimmagini
Marco Paganini, Paola Brovedani, Barbara Neuropsicologia
Pucci
Gaetano Zaccara, Paolo Balestri, Daniela Buti, Terapia Medica
Renato Galli, Marzia Guarnieri, Gian Carlo Terapie alternative
Muscas
Franco Ammannati, Paolo Bonanni, Pasquale Terapia Chirurgica
Gallina, Aldo Mariottini, Gian Carlo Muscas,
Raffaele Rocchi
Gian Carlo Muscas, Marzia Guarnieri, Andrea Crisi acute sintomatiche
Amadori
Crisi occasionali
Stati Epilettici
Roberto Campostrini, Pasquale Palumbo, Gian Epilessia nelle donne
Carlo Muscas, Marco Paganini
Graziano Graziani, Giuseppe Cardamone, Gian Epilessia e disturbi
Carlo Muscas, Pasquale Palumbo
psichiatrici
Andrea Amadori, Roberto Campostrini, Gian Problemi medici generali e
Carlo Muscas, Pasquale Palumbo
anestesiologici nei pazienti
con epilessia
Pasquale Palumbo, Amedeo Bianchi, Roberto Aspetti sociali
Campostrini, Gian Carlo Muscas
Noè Battistini, Aurelio Bonelli, Nicola Di Revisioni
Lorenzo, Cesare Francois, Luciano Gabbani,
Luigi Murri, Enrico Zammarchi
197