risparmio energetico, sostenibilita` e salubrita

RISPARMIO ENERGETICO,
SOSTENIBILITA’ E SALUBRITA’,
VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’
CIVILI E PENALI; L’ ABITAZIONE
NELL’ ANTICA GRECIA
Gruppo di lavoro: Baima Beuc Silvia,
Bettinelli Fulvio, Chiavazza Luca, Ferro
Giovanni, Teta Antonio
RISPARMIO ENERGETICO, SOSTENIBILITA’ E SALUBRITA’,
VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
A tutti i giovani in Europa e nel mondo per studio o lavoro, perché portino nel loro cuore il sorriso
di Valeria Solesin"
“…….Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo,
e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già
percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno
favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi
ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri.
Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del
problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche.
Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. ……..”
Lettera Enciclica LAUDATO SI’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune
“ …………devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà
merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo
petit garçon vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo
odio”.
Antoine Leiris nell’attentato al Bataclan ha perso la moglie
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PRESENTAZIONE
Silvia Baima Beuc
Geometra libero professionista
iscritta al Collegio dei geometri di Torino e provincia
al n. 7435 dal 16/03/1998
mi occupo di progettazione, ristrutturazione
di edifici di civile abitazione, agricoli ed artigianali,
catasto, successioni, stime immobiliari, ecc...
Bettinelli Fulvio
Tecnico Competente in Acustica D.P.G.R. Lombardia 5296/97
Tecnico Competente in Acustica per la Provincia Autonoma di
Bolzano-Alto Adige per la Provincia Autonoma di Trento
Ispettore impianti termici Certificazione ENEA 351/98
Termografo abilitato Livello 2 n. 24305/PND/C
Alzano Lombardo-BgChiavazza Luca
Geometra libero professionista Valle d’Aosta n. 878 dal 1992
Sicurezza cantieri dal 2000
Certificatore Energetico Valle d’Aosta n. 262 dal 2012
Ferro Giovanni
Geometra libero professionista
Iscritto all’albo dei Geometri di Venezia
Tecnico specializzato in risparmio energetico e bioelizia presso
l’ ITS Red di Padova.
Mi occupo di certificazioni energetiche, Leggi 10/91, catasto e
progettazione.
Teta Antonio
Architetto libero professionista
Consulente esperto CasaClima- Bolzano
Esperto case prefabbricate in legno
Energy Manager
Direzione lavori, progettazioni, consulente per il risparmio e
l’efficienza energetica in edilizia, ristrutturazioni, perizie.
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VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
INDICE
RISPARMIO ENERGETICO ............................................................................................ 4
SOSTENIBILITA’ .............................................................................................................. 19
SALUBRITA’ ....................................................................................................................... 31
VENTILAZIONE .............................................................................................................. 38
RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI ...................................................................... 54
LA CASA GRECA .............................................................................................................. 81
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RISPARMIO ENERGETICO
QUADRO NORMATIVO DALLA LEGGE N. 373 DEL 1976 ALLA LEGGE
90/2013
Di seguito ripercorriamo in maniera veloce il quadro normativo di riferimento per la
certificazione energetica e il calcolo delle prestazioni energetiche, partendo dalla legge
10 del 1991 fino a giungere alla legge 90 del 2013.
LEGGE n. 373 del 1976 A causa della “guerra del Kippur” nel 1973 tra Egitto
Siria contro Israele, i paesi occidentali si resero conto di
essere vulnerabili dal punto di vista della propria
dipendenza dal petrolio; infatti i paesi O.P.E.C.
(Organization of Petrolium Exporting Contries)
iniziarono un aumento considerevole del prezzo del
greggio al fine di sostenere economicamente Egitto e Siria
e costringendo indirettamente i paesi occidentali a varare
normative di risparmio energetico. Solo però nel 1976
l’Italia emana la L. 30 aprile 1976, n. 373 (G.U. n. 148
del 7 giugno 1976) recante “Norme per il contenimento
del consumo energetico per usi termici negli edifici”; tale
norma, se pur abrogata dalla successiva L. 10/91, risulta
estremamente importante in quanto per la prima volta
viene esplicitamente affermato il principio del risparmio
energetico ed infatti l’ambito di applicazione della L.
373/76 è “ di contenere il consumo energetico per fini termici negli
edifici, sono regolate dalla presente legge le caratteristiche di
prestazione dei componenti, l’installazione l’esercizio e la
manutenzione degli impianti termici per il riscaldamento degli
ambienti e per la produzione di acqua calda per usi igienici e
sanitari, alimentati da combustibili solidi, liquidi o gassosi negli
edifici pubblici e privati, con esclusione di quelli adibiti ad attività
industriali o artigianali …………..”. Ma l’importanza della
L.373/76 non si limita unicamente al risparmio
energetico ma indirettamente riveste estrema importanza
ai fini delle sicurezza. Infatti, la legge prevede che tutte le
apparecchiature di regolazione automatica siano
omologate dalla A.N.C.C. (Associazione Nazionale
Controllo della Combustione) inglobata successivamente
nell’I.S.P.E.S.L. e di recente nell’ I.N.A.I.L.
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LEGGE n. 10 del 1991 Un deciso incremento al risparmio energetico avviene
solo 15 anni dopo con l’emanazione della L. 9 gennaio
1991 n. 10 (Norme per l’attuazione del Piano energetico
nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di
risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili
di
energia)
la
quale
prevede
tra
l’altro
agevolazioni/contributi rivolti ad incentivare e migliorare
il risparmio energetico. L’importanza di tale legge sono
riposti nell’art.1 che chiarisce gli obiettivi della legge:
riduzione dei consumi di energia e miglioramento delle
condizioni di compatibilità ambientale dell’utilizzo
dell’energia a parità di servizio reso e di qualità della vita.
In particolare, con questa legge si vuole tendere verso
”l’uso razionale dell’energia, il contenimento dei consumi di energia
nella produzione e nell’utilizzo di manufatti, l’utilizzazione delle
fonti rinnovabili di energia, la riduzione dei consumi specifici di
energia nei processi produttivi, una più rapida sostituzione degli
impianti”. L’art. 8 (alla lettera g), trattando dei contributi
che possono essere concessi dal 20 al 40% della spesa di
investimento, al fine di incentivare la realizzazione di
iniziative rivolte a migliorare l’efficienza energetica nella
climatizzazione e nella illuminazione degli ambienti e
nella produzione di energia elettrica e di acqua calda,
inserisce tra gli interventi che possono beneficiare di tali
contributi quelli relativi alla “trasformazione di impianti
centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas per il
riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria dotati di un
sistema automatico di regolazione della temperatura”. L’art. 26
(Progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e
impianti) al secondo comma, prevede che per gli
interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento
del consumo energetico degli edifici stessi, e
all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’art. 1, ivi
compresi quelli di cui all’art. 8, sono valide le relative
decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali.
L’art. 30, infine, (abrogato dal Dlgs 192/05) introduce
per la prima volta il concetto di “certificazione energetica
degli edifici”.
DPR 26/06/1993, n.412 Vi è da segnalare altresì il DPR 26 agosto 1993, n.412
(più volte modificato) “Regolamento recante norme per la
progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli
impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di
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energia, ex art. 4, c. 4, della L. 10/91”, sostanzialmente
l’unico articolo della L. 10 che ha trovato oggettiva
attuazione
per
oltre
un
decennio.
Direttiva CE 2002, n.91 Nel 2002 viene approvata dalla Comunità Europea la
Direttiva 16 dicembre 2002, n. 91, che riconosce quanto
l’energia impiegata nel settore residenziale e terziario
rappresenti il 40% del consumo finale di energia della
Comunità. Un elemento significativo della Direttiva è
rappresentato
dalla
certificazione
energetica.
D.M. 16/03/01 Il “Programma Tetti Fotovoltaici” emanato con D.M.
16.03.01 e l’attuazione dell’art. 4, c. 1 e 2 della L. 10/91
avvenuta con il D.L.gs 27 luglio 2005, spingono l’Italia
tra i paesi della Comunità Europea attenti al risparmio
energetico anche se il recepimento della Dir.
2002/91/CE avviene solo con il D.L.gs 19 agosto 2005,
n. 192 relativo al rendimento energetico nell’edilizia (S.O.
alla G.U. n. 222 del 23 settembre 2005). Tale decreto,
modificato a sua volta con l’emanazione del D.Lgs, n.311
del 29.12.06, abroga numerose norme tra cui ampie parti
della L. 10/91 e del D.P.R. 412/93.
D.L.gs 311/2006 il Decreto n. 311 del 2006 ha apportato alcune modiche
rispetto al precedente decreto, rendendo più severi i limiti
da rispettare. Viene introdotto l'attestato di
qualificazione energetica (AQE). Il primo febbraio
2007 viene pubblicato in Gazzetta il decreto legislativo
29/12/06 n. 311 recante Disposizioni correttive e integrative al
decreto legislativo 19/8/05 n. 192, recante attuazione della
direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico
nell’edilizia. Il D.Lgs. 311 ha apportato alcuni correttivi,
rendendo in generale più severi i limiti da verificare. Il
parametro principale è l’indice di prestazione energetica
per la climatizzazione invernale (EPi), espresso in
kWh/m²anno, differenziato per zone climatiche ed in
funzione del fattore di forma dell’edificio, con tre soglie
temporali: gennaio 2006, gennaio 2008 e gennaio 2010.
Manca tuttavia la modalità con cui la certificazione
energetica debba essere applicata e introduce in via
transitoria, e sino alla data di entrata in vigore delle linee
guida nazionali per la certificazione energetica degli
edifici, l’attestato di qualificazione energetica (AQE).
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DPR 59/2009 Il DPR 59/2009 ha la finalità di promuovere
un’applicazione
“omogenea,
coordinata
e
immediatamente operativa” delle norme per l’efficienza
energetica sul territorio nazionale. Definisce le
metodologie, i criteri e i requisiti minimi di edifici e
impianti relativamente alla:
• climatizzazione invernale (viene mantenuto l’assetto
del DLgs 192/05)
• preparazione di acqua calda per usi sanitari
• climatizzazione estiva (la principale novità rispetto al
DLgs 192/05)
• illuminazione artificiale di edifici non residenziali
L’art. 3 del D.P.R. 59/2009 individua le Norme tecniche
riconosciute a livello nazionale per il calcolo delle
prestazioni energetiche degli edifici. In particolare sono
individuate:
• UNI TS 11300 - Parte 1: determinazione del
fabbisogno di energia termica dell’edifico per la
climatizzazione estiva ed invernale
• UNI TS 11300 - Parte 2: determinazione del
fabbisogno di energia primaria e dei rendimenti per la
climatizzazione invernale e per la produzione di acqua
calda sanitaria. Come stabilito all’articolo 4 del D.P.R.
59/2009, l’Indice di Prestazione energetica in regime
invernale (EPi ), con riferimento alle nuove edificazioni
ed alle ingenti ristrutturazioni, deve risultare inferiore ai
limiti riportati all’Allegato C del D.Lgs. 311/2006 (in
kWh/m2 per gli edifici residenziali, kWh/m3 per gli altri
edifici). Il Decreto 59 prevede, inoltre, che gli strumenti
di calcolo applicativi, ossia i software commerciali,
devono garantire uno scostamento non superiore al 5%
rispetto allo strumento di riferimento e devono essere
certificati dal CTI (Comitato Termotecnico Italiano).
D.M. 26 GIUGNO 2009 Nello stesso anno, con il D.M. 26 giugno 2009, vengono
introdotte le linee guida per la certificazione
energetica. Con il D.M. 26 giugno 2009 arrivano
finalmente le linee guida nazionali per la certificazione
energetica. L’Allegato A contiene le regole nazionali sulla
certificazione energetica degli edifici e il modello di
certificato. Il decreto prevede che l’attestato di
certificazione energetica contenga indicazioni
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sull’efficienza energetica dell’edificio, i valori di
riferimento a norma di legge e le classi prestazionali, oltre
ad indicazioni economicamente sostenibili per interventi
di riqualificazione energetica. La validità dell’attestato è di
10 anni, a meno che non si effettui un intervento
sull’edificio che ne modifica la prestazione energetica.
D.Lgs 28/2011 Il D.Lgs. 28/2011 attua la Direttiva 2009/28/CE sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Le
novità più interessanti introdotte sono le seguenti:
• definizione degli obblighi di utilizzo delle fonti
rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e sottoposti
a ristrutturazioni
• obbligo in sede di compravendita e locazione di
introduzione di una clausola in cui l’acquirente o il
locatore dichiara di aver ricevuto le informazioni
riguardanti la certificazione energetica degli edifici
• obbligo per tutti gli annunci di vendita di riportare
l’indice di prestazione energetica.
Decreto 63/2013 Il D.L. del 4 giugno 2013 n. 63 (c.d. decreto eco-bonus),
convertito dalla Legge 90/2013, introduce una serie di
Legge 90/2013 novità in materia di prestazioni energetiche. Innanzitutto
la certificazione cambia il nome: non si parlerà più di
ACE (Attestato di Certificazione Energetica) ma di APE
(Attestato di Prestazione Energetica). Viene previsto
inoltre l’obbligo di rilascio dell’attestato anche per le
locazioni di edifici/unità immobiliari, al pari di quanto
avviene per le compravendite. Una novità importante
riguarda il rilascio dell’attestato da parte del professionista
in forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio (ai
sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000 – nuovo art. 6
D.Lgs. 192/2005). Vengono introdotte sanzioni
amministrative per proprietari ed agenzie immobiliari che
non rispettino le regole. Le metodologie di calcolo delle
prestazioni energetiche degli edifici sono, oltre alle norme
UNI/TS 11300 parti 1, 2, 3 e 4 e Raccomandazione CTI
14/2013, anche la UNI EN 15193 (Prestazione energetica
degli edifici - Requisiti energetici per illuminazione).
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Quadro riepilogativo
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LE NORME UNI TS 11300
UNI TS 11300 Il pacchetto di specifiche tecniche UNI TS 11300 è nata
con l’obiettivo di definire una metodologia di calcolo
univoca per la determinazione delle prestazioni
energetiche degli edifici. Essa è suddivisa in quattro parti:
• UNI TS 11300 parte 1: determinazione del fabbisogno
di energia termica dell’edificio per la climatizzazione
estiva ed invernale
• UNI TS 11300 parte 2: determinazione del fabbisogno
di energia primaria e dei rendimenti per la climatizzazione
invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria
• UNI TS 11300 parte 3: determinazione del fabbisogno
di energia primaria e dei rendimenti per la climatizzazione
estiva
• UNI TS 11300 parte 4: utilizzo di energie rinnovabili e
di altri metodi di generazione per la climatizzazione
invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria.
Attese già da tempo, ad ottobre 2014 sono state
pubblicate le revisioni delle parti 1 e 2.
Le nuove norme introducono varie modifiche rispetto al
metodo di calcolo precedente, relativamente ai vari
contributi che determinano il fabbisogno di energia
termica e primaria dell’edificio per la climatizzazione
estiva e invernale. Tali modifiche cambiano in maniera
sostanziale le modalità di calcolo per le certificazioni
energetiche e il calcolo degli indici (EPi e EPe) delle
prestazioni energetiche: ad esempio, non sarà più
possibile far riferimento ad incrementi percentuali per la
valutazione dei ponti termici o all’abaco della norma UNI
EN ISO 14683.Le novità principali introdotte dalla nuova
norma sono le seguenti:
• nuova modalità di valutazione dei ponti termici con il
calcolo agli elementi finiti
• nuovo modalità di calcolo per il periodo di
riscaldamento e di raffrescamento
• nuova modalità di valutazione degli apporti di
energia termica dovuti alla radiazione solare
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• nuovo calcolo per la determinazione della portata di
ventilazione naturale
• introduzione dello scambio di energia termica verso
ambienti non climatizzati
• valutazione dei fabbisogni di energia termica latente
• calcolo del rendimento dell’efficienza di un
recuperatore di calore
• calcolo degli impianti aeraulici
• valutazione del consumo energetico relativo agli
impianti di ventilazione meccanica, differenziato per
edifici residenziali e non residenziali
• valutazione del consumo energetico per
illuminazione artificiale di edifici non residenziali
• valutazione del recupero termico con l’utilizzo di
pompe di calore endotermiche.
DECRETO 26 GIUGNO 2015
A partire dal 1 Ottobre del 2015 è entrato in vigore il nuovo Decreto 26 giugno 2015
che regola attualmente il calcolo della prestazione energetica degli edifici. Tale
decreto, a sua volta, si divide in due importanti decreti: Decreto Requisiti Minimi e
le Linee Guida APE.
DECRETO “REQUISITI MINIMI”
Introduzione
Il nuovo decreto sui requisiti minimi definisce le modalità
di applicazione della metodologia di calcolo delle
prestazioni energetiche e dell’utilizzo delle fonti
rinnovabili negli edifici nonché dell’applicazione di
prescrizioni e requisiti minimi in materia di
prestazioni energetiche degli edifici e unità immobiliari.
Nello specifico, l’emanando decreto aggiornerà il D.P.R.
59/2009 che oggi definisce le metodologie di calcolo e i
requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici
e degli impianti termici, in attuazione dell’articolo 4,
comma 1, del D.Lgs. 192/2005. Al fine di evitare la
frammentazione legislativa regionale stabilisce la diretta
applicazione delle nuove regole alle Regioni che non
abbiano ancora dettato norme di recepimento della
direttiva 2010/31/UE. La vera novità contenuta nel
decreto del Mise è l’introduzione del concetto di
“edificio di riferimento”, vale a dire un edificio identico
a quello di progetto o reale in termini di geometria,
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orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e
situazione al contorno e avente caratteristiche termiche e
parametri energetici predeterminati. In pratica occorrerà
effettuare 2 calcoli: uno sulla prestazione energetica
dell’edificio di riferimento e l’altro sulla prestazione
energetica dell’edificio reale, che dovrà raggiungere la
medesima prestazione dell’edificio di riferimento. Qual è
lo scopo? Mettere a disposizione un riferimento generale
per calcolare il valore di energia primaria limite che gli
edifici di nuova costruzione o quelli sottoposti a
ristrutturazioni importanti dovranno rispettare. Tali
requisiti entreranno in vigore il 1° luglio 2015 e saranno
resi più stringenti dal 1° gennaio 2019 per gli edifici
pubblici e dal 1° gennaio 2021 per tutti gli altri immobili.
Metodologie di
calcolo della
prestazione
energetica degli
edifici
Per il calcolo della prestazione energetica e dell’utilizzo
delle fonti rinnovabili negli edifici si adottano le seguenti
norme tecniche:
• Raccomandazione CTI 14/2013 e successive norme
tecniche che ne conseguono
• UNI/TS 11300-1
• UNI/TS 11300-2
• UNI/TS 11300-3
• UNI/TS 11300-4
• UNI EN 15193 – Prestazione energetica degli edifici –
Requisiti energetici per l’illuminazione.
Software
Gli strumenti di calcolo e i software commerciali
dovranno garantire che i valori degli indici di prestazione
energetica abbiano uno scostamento massimo di ± 5%
rispetto ai corrispondenti parametri determinati con
l’applicazione dello strumento nazionale di riferimento.
La garanzia è fornita attraverso una dichiarazione di
conformità del software da parte del CTI.
Indice di prestazione
energetica
La prestazione energetica è definita sostanzialmente
attraverso gli indici di prestazione:
• EPH - climatizzazione invernale
• EPC - climatizzazione estiva
• EPW - produzione acqua calda sanitaria
• EPV – ventilazione
• EPL - illuminazione
• EPT - trasporto di persone e cose
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L’indice di prestazione globale EPgl rappresenta la
somma di tutti gli indici ed è espresso in kWh/m2 per
tutte le destinazioni d’uso.
Applicazione
graduale in relazione
alla tipologia di
intervento
Il nuovo decreto prevede l’applicazione graduale in
funzione del tipo di intervento: per ciascuna tipologia di
intervento sono previsti requisiti differenti. Vengono
definiti 2 tipi di ristrutturazione importante:
• ristrutturazione importante di primo livello: intervento
che interessa gli elementi e i componenti integrati
costituenti l’involucro edilizio delimitanti un volume a
temperatura controllata dall’ambiente esterno e da
ambienti non climatizzati, con un’incidenza superiore al
50% della superficie disperdente lorda complessiva
dell’edificio e comporta il rifacimento dell’impianto
termico per il servizio di climatizzazione invernale e/o
estiva asservita all’intero edificio
• ristrutturazione importante di secondo livello:
intervento che interessa gli elementi e i componenti
integrati costituenti l’involucro edilizio delimitanti un
volume a temperatura controllata dall’ambiente esterno e
da ambienti non climatizzati, con un’incidenza superiore
al 25% della superficie disperdente lorda complessiva
dell’edificio e può interessare l’impianto termico per il
servizio di climatizzazione invernale e/o estiva.
Edificio di
riferimento
L’edificio di riferimento è un edificio identico in
termini di geometria (sagoma, volumi, superficie
calpestabile, superfici degli elementi costruttivi e dei
componenti), orientamento, ubicazione territoriale,
destinazione d’uso e condizioni al contorno e avente
caratteristiche termiche e parametri energetici
predeterminati e dotati di impianti tecnici di riferimento
(App. A, Allegato 1).
Edifici a energia
quasi zero
Un edificio a energia quasi zero è un edificio ad
altissima prestazione energetica. Il suo fabbisogno
energetico è molto basso o quasi nullo ed è coperto in
misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili,
compresa l’energia da fonti rinnovabili prodotta in situ.
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Sono “edifici a energia quasi zero” tutti gli edifici, siano
essi di nuova costruzione o esistenti, per cui sono
contemporaneamente rispettati:
• i requisiti previsti dal decreto e determinati con i valori
vigenti da gennaio 2019 per gli edifici pubblici e da
gennaio 2021 per tutti gli altri edifici
• gli obblighi di integrazione delle fonti rinnovabili
dell’Allegato 3, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28
Diagnosi energetica
Nel caso di ristrutturazione o nuova installazione di
impianti termici, con potenza termica nominale ≥ 100
kW, compreso il distacco dall’impianto centralizzato
anche di un solo condomino, deve essere realizzata una
diagnosi energetica dell’edificio e dell’impianto che metta
a confronto diverse soluzioni impiantistiche e la loro
efficacia sotto il profilo dei costi complessivi. La
soluzione progettuale deve essere motivata nella relazione
tecnica. La diagnosi energetica deve considerare almeno
le seguenti opzioni:
a) impianto centralizzato con caldaia a condensazione con
contabilizzazione e termoregolazione del calore
b) impianto centralizzato con pompa di calore elettrica o
a gas con contabilizzazione e termoregolazione del calore
c) possibili integrazioni con impianti solari termici
d) impianto centralizzato di cogenerazione
e) stazione di cogenerazione efficiente
f) per il non residenziale, installazione di un sistema di
gestione automatica degli edifici e degli impianti.
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Tipologie d’intervento
Requisiti
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
LINEA GUIDA APE
Il secondo decreto contiene le nuove linee guida per l’attestato di prestazione
energetica degli edifici (APE), in sostituzione al decreto del Ministero dello Sviluppo
Economico del 26 giugno 2009. Obiettivo è quello di rendere uniformi su tutto il
territorio nazionale le modalità di classificazione energetica degli edifici e il modello
di attestazione di prestazione energetica.
Contenuti obbligatori Per quanto riguarda i contenuti, il nuovo APE dovrà
nuovo APE esprimere la prestazione energetica globale sia in termini
di energia primaria totale che di energia primaria non
rinnovabile. Inoltre la classe energetica dovrà essere
determinata attraverso l’indice di prestazione
energetica globale (somma di tutti gli indici), espresso
in energia primaria non rinnovabile.
L’APE dovrà contenere i consumi relativi a tutti i servizi
energetici (riscaldamento, acqua calda sanitaria,
raffrescamento, illuminazione artificiale, ventilazione
meccanica, trasporto di persone e cose). Le classi
energetiche passano da sette a dieci, dalla A4 (la migliore)
alla G (la peggiore). Entrando nello specifico, il nuovo
APE dovrà contenere:
a) la prestazione energetica globale sia in termini di
energia primaria totale che di energia primaria non
rinnovabile, attraverso i rispettivi indici
b) la classe energetica determinata attraverso l’indice di
prestazione energetica globale, espresso in energia
primaria non rinnovabile
c) la qualità energetica del fabbricato (indici di
prestazione termica utile per la climatizzazione invernale
ed estiva)
d) i valori di riferimento, quali i requisiti minimi di
efficienza energetica
e) le emissioni di anidride carbonica
f) l’energia esportata
g) le raccomandazioni per il miglioramento
dell’efficienza energetica con le proposte degli
interventi più significativi ed economicamente
convenienti, separando la previsione di interventi di
ristrutturazione importanti da quelli di riqualificazione
energetica
h) le informazioni correlate al miglioramento della
prestazione energetica, quali diagnosi e incentivi di
carattere finanziario.
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Determinazione della La classe energetica dell’edificio è determinata sulla base
classe energetica dell’indice di prestazione energetica globale non
rinnovabile dell’edificio EPgl,nr . In particolare viene
effettuato un confronto con una scala di classi prefissate,
ognuna delle quali rappresenta un intervallo di
prestazione energetica ben definito. La scala delle classi è
definita a partire dal valore dell’indice di prestazione
energetica globale non rinnovabile dell’edificio di
riferimento EPgl,nren,(2019/21) dotato di tecnologie
impiantistiche standard. La classe energetica è
contrassegnata da un indicatore alfanumerico in cui la
lettera G rappresenta la classe caratterizzata dall’indice di
prestazione più elevato (maggiori consumi energetici),
mentre la lettera A rappresenta la classe con il miglior
indice di prestazione (minori consumi energetici). Un
indicatore numerico, affiancato alla lettera A, identificherà
i livelli di prestazione energetica in ordine crescente a
partire da 1 (rappresentante del più basso livello di
prestazione energetica della classe A). Un apposito
spazio, se barrato, indicherà che si tratta di un “Edificio a
energia quasi zero”. In corrispondenza della scala delle
classi viene evidenziato il requisito minimo previsto
qualora l’edificio oggetto fosse di nuova costruzione,
calcolato in conformità al decreto requisiti minimi. Tale
riferimento è, per sua natura, variabile in funzione dei
requisiti minimi costruttivi in vigore nell’anno in cui viene
redatto l’APE. Gli intervalli di prestazione che
identificano le altre classi sono ricavati attraverso
coefficienti moltiplicativi di riduzione/maggiorazione del
suddetto valore EPgl,nren,(2019/21). Gli intervalli di
prestazione che identificano le altre classi sono ricavati
attraverso
coefficienti
moltiplicativi
di
riduzione/maggiorazione di EPgl,nr,Lst(2019/21).
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SOSTENIBILITA’
PREMESSA
La situazione europea e non solo, si trova ormai in una situazione critica e complessa
segnata da due crisi: una economica iniziata nel 2008 e l’altra ambientale. Della prima
le informazioni quotidiane di certo non mancano anche perché siamo coinvolti
purtroppo personalmente mentre, della seconda, fatto salvo eventi periodici di pochi
giorni, vedi COP21 a Parigi o città metropolitane assediate da smog, i mass media
risultano latitanti nonostante la crisi ecologica rischi di aggravare non solo il quadro
economico attuale, ma il futuro delle prossime generazioni.
IL SETTORE DELL’EDILIZIA
Un’importanza strategica in questa crisi eco-nomica/logica l’ha il comparto
dell’edilizia, vuoi per il numero di occupati e di volano dell’economia nazionale e
vuoi, per il ruolo strategico che ha nel campo della riduzione della domanda
energetica, attivando operazioni di ristrutturazione edilizia del parco immobiliare
obsoleto dell’Italia nonché dell’intera Europa.
Risulta pertanto chiaro che il settore edile può svolgere un ruolo significativo se non
primario nel medio e lungo termine, affinché si realizzi un’economia sostenibile come
più volte richiamato dai documenti della Comunità Europea. Già nel 2011
l’U.N.E.P. United Nations Environment Programme nel suo rapporto “ Verso
una green economy” indicava quale strategia per un miglioramento delle condizioni
economiche/ambientali uno sviluppo sostenibile consapevole ed una riconversione
dell’economia verso un efficiente utilizzo delle risorse ambientali al fine di produrre
un incremento di competitività nonché nuova occupazione. Risultava altrettanto
chiaro quanto economia, benessere sociale e risorse naturali siano tra loro
interdipendenti creando condizioni eque, prevedibili e coerenti per uno sviluppo
sostenibile.
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Se è pur vero che il settore dell’edilizia è un settore strategico per la “green economy”
è anche vero che tale settore è responsabile nel suo processo costruttivo, di un alto
consumo di acqua e di rilasciare quantità significative di gas serra oltre a produrre
rifiuti solidi non indifferenti per quantità oltre che per qualità; è pertanto necessario
che l’edilizia sposi la sostenibilità. Nel documento europeo “Tabella di marcia verso
un’Europa efficiente nell'impiego delle risorse” (COM (2011) 571) vengono indicati
vari miglioramenti significativi nell’uso delle risorse e dell’energia.
PERCHE’ SCEGLIERE L’EDILIZIA SOSTENIBILE
E’ innegabile che una prima scelta avviene in base ai
benefici di tipo ecologico, ma la scelta di un’edilizia
sostenibile, come precedentemente visto, non può
disgiungersi da aspetti sociali ed economici. Aspetti
sociali perché il “costruire sostenibile” vuol dire
anche costruire con un’attenzione alla salute ed al
comfort di chi andrà a vivere nell’edificio.
Problematiche legate ad una attenta progettazione che permetta ad esempio, il
controllo termoigrometrico degli ambienti, che assicuri un comfort acustico o
l’utilizzo di isolanti che evitino l’emissione in ambiente di fibre, riducono le malattie,
lo stress ed il disagio in generale. Una progettazione sostenibile di tipo “sociale” che
preveda luoghi d’incontro e di socializzazione quali lavanderia in comune o spazi
gioco, limita i conflitti condominiali e lo stress derivante dagli stessi.
Sotto il profilo economico i benefici di un edificio sostenibile sono stati confermati
da ricerche e studi del settore che hanno evidenziato quanto i costi di gestione di un
edificio sostenibile siano più bassi soprattutto per le spese energetiche (dal 25 al
50%), per i consumi idrici ( 30-40%) e nella manutenzione in generale.
L’investimento iniziale, anche se a volte superiore rispetto ad un edificio
“tradizionale”, viene ammortizzato in un tempo inferiore di oltre il 50% rispetto al
“tradizionale” e la rivalutazione di un “edificio sostenibile” è decisamente superiore
ad un edificio tradizionale.
I MATERIALI SOSTENIBILI
La costruzione di un edificio sostenibile comporta l’utilizzo di materiali a basso
impatto ambientale. Una definizione di basso impatto ambientale può essere
ricondotta al consumo energetico e/o ambientale durante la fase produttiva del
materiale medesimo rispetto ad un prodotto convenzionale e di un possibile suo
riuso nella fase di dismissione (demolizione dell’edificio), certo è che nessun
materiale da costruzione ad oggi può essere definito ad impatto zero.
La Commissione europea definisce i prodotti “verdi” come “quelli più efficienti sotto il
profilo dell'utilizzo delle risorse e meno dannosi per l'ambiente nel loro intero ciclo di vita,
dall'estrazione delle materie prime, alla produzione, alla distribuzione, all'uso, fino alla fine del ciclo
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di vita (compreso il riutilizzo, il riciclo e il recupero) rispetto ad altri prodotti o a prodotti simili della
stessa categoria. I prodotti verdi esistono in ogni categoria di prodotto a prescindere dal fatto di essere
contrassegnati dal marchio di qualità ecologica o commercializzati come "verdi"; sono le loro
prestazioni ambientali a classificarli come tali. La maggiore diffusione sul mercato di prodotti con
queste caratteristiche consentirebbe di combinare i benefici per la società in generale, derivanti dal
minor danno ambientale, con una maggiore soddisfazione dei consumatori nonché con potenziali
benefici economici per i produttori e i consumatori, grazie all'uso più efficiente delle risorse naturali.”
Come identificare o riconoscere i prodotti sostenibili ed ecocompatibili considerando
che a volte i materiali utilizzati in edilizia sono degli accoppiati?
Pur nella complessità si elencano alcuni criteri redatti da studiosi/ricercatori inglesi:

essere un materiale che comporti lavorazione di trasformazione a basso
consumo energetico

essere un materiale che nel processo di lavorazione riduca al minimo
emissioni in atmosfera, consumo del suolo ed emissioni acustiche

essere un materiale duraturo e funzionale nel tempo mantenendo le
proprie caratteristiche e prestazioni tecniche iniziali;

avere un contenuto di materia prima facilmente rigenerabili al momento
della dismissione

avere un contenuto elevato di materie prime seconde e di materiale residuo
proveniente da agricoltura biologica

minimizzare scarti e rifiuti in tutte le fasi di ciclo sia nelle fasi di produzione e
di demolizione

non contribuire all’inquinamento indoor sia nella fasi di produzione che
nelle fasi di installazione e vita del prodotto
COME VALUTARE LA SOSTENIBILITA’ DI UN PRODOTTO
Gli strumenti per valutare la sostenibilità attualmente sono diversi sia sotto il profilo
metodologico che di misurazione e molti casi hanno evidenziato delle disparità in
base alla metodologia utilizzata nella valutazione sul medesimo prodotto.
La Comunità europea nel documento “Costruire il mercato unoco dei prodotti
verdi. Migliorare le informazioni sulle prestazioni ambientali dei prodotti e
delle organizzazioni (COM (2013) 196) evidenzia che “Non esiste una definizione
scientifica ampiamente accettata riguardo a cosa sia effettivamente un prodotto o un'organizzazione
verde. Effettivamente, a causa del numero di scelte metodologiche lasciate alla discrezionalità
dell'utilizzatore, anche risultati ottenuti con lo stesso metodo spesso non sono comparabili. Tale
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comparabilità è invece importante per una competitività fondata sulle prestazioni ambientali e per
consentire ai consumatori e alle imprese di prendere decisioni informate.
Una delle maggiori criticità che accomuna alcuni approcci metodologici per la misurazione delle
prestazioni ambientali è la loro incompletezza, in quanto non prendono in esame tutti gli impatti
diretti e indiretti del prodotto o dell'organizzazione in questione – ossia l'intero ciclo di vita. Molti
indicatori sono incentrati sulla "fase dell'utilizzazione" (ad es. consumo di acqua di una lavatrice),
escludendo quindi i costi di produzione, di smaltimento o il potenziale di riutilizzo e riciclaggio.
Alcune valutazioni si concentrano su un unico indicatore ambientale, magari ignorandone altri e
spostando in questo modo il problema su un'altra fase del ciclo.”
Pur nella difficoltà sopra indicate vi sono diversi strumenti per effettuare scelte
progettuali consapevoli; tali strumenti si classificano in due famiglie: quella riferibile
alla procedura LCA (Life Cycle Assesssment) e quella relativa a metodi basati su
indicatori sintetici.
PROCEDURA LCA
Alla fine degli anni 60, alcuni ricercatori
anglossassoni si resero conto che la
valutazione “sostenibile” di un prodotto
doveva per forza seguire la strada che la
materia prima effettua dal momento della
sua estrazione fino al sua forma di rifiuto.
Tale sistema è meglio conosciuto come
“from cradle to grave” ossia “dalla culla alla
tomba” o altrimenti “dalla culla alla culla” nel caso di un riciclaggio del prodotto.
Il metodo LCA viene ufficialmente formalizzato nel 2006 dalle norme ISO 14040 e
14044 inserite nel pacchetto di norma ISO 14000 sui sistemi di gestione ambientale.
La definizione del sistema LCA è così presente nella norma ISO 14040 “L'LCA
considera l'intero ciclo di vita di un prodotto, dall'estrazione e acquisizione delle materie prime,
attraverso la fabbricazione e la produzione di materiali ed energia, fino al trattamento di fine vita e
allo smaltimento finale. Attraverso tale panoramica e prospettiva sistematica, può essere identificato
ed evitato il passaggio di un potenziale onere ambientale tra le fasi del ciclo di vita”
I momenti principale di una valutazione LCA sono:

Definizione degli obbiettivi e degli scopi; in questa fase è assolutamente
indispensabile definire gli obbiettivi e le motivazioni dello studio nonché la
tipologia di pubblico a cui è indirizzato lo studio stesso.

Analisi di inventario: in questa fase devono essere “individuati e quantificati i
flussi sia di ingresso che in uscita di un sistema prodotto, lungo tutta la vita”. L’analisi
deve essere compiuta in tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto ed i flussi
espressi in unità fisiche, di massa e di energia e devono riguardare il prelievo e
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la preparazione della materia prima, la sua trasformazione in prodotto finito o
quale co-prodotto, il consumo energetico e la produzione dell’energia
medesima, il rilascio di sostanze inquinanti sotto il profilo di emissione in
atmosfera (aria e rumore) e di sostanze inquinanti in eventuale discarica.

Valutazione degli impatti; in questa fase vengono raccolti elaborati e
classificati tutti i risultati derivanti dall’analisi dell’inventario e pertanto in tale
fase si quantificano i possibili danni all’ambiente nella produzione del
prodotto

Interpretazione dei risultati; parte conclusiva della procedura in cui si
analizzano e si propongono eventuali modifiche per ridurre l’impatto
ambientale del prodotto.
Lo studio LCA viene supportato logicamente da software presenti sul mercato; tra i
più diffusi si segnalano Sinapro, Umberto, GaBi,Athena, Eco-it, Bees.
METODI BASATI SU INDICATORI
Oltre alla procedura LCA vi sono metodi che “restituiscono” il carico ambientale del
prodotto in esame riferendosi a singole fasi operative oppure a degli indicatori
assoluti. I metodi più diffusi sono:
Lo zaino ecologico tale metodo ha lo scopo di misurare la quantità di materiali
che è necessario per poter produrre una particolare risorsa.
Viene definito come carico di natura che ogni prodotto o
servizio ha sulle spalle sotto forma di zaino. L’unità di
misura è kg di natura /kg di prodotto o kg di natura/unità
di prodotto, chiaro è che maggiore è a massa di materiale
movimentato, maggiore è l’impatto ambientale arrecato e
più un prodotto è raro più pesante è lo zaino. Le
componenti dello zaino sono:

materiali non rinnovabili quali combustibili
fossili, ghiaia, minerali, ecc…

materiali rinnovabili quali biomassa vegetale e
animale

terreno per produzioni agricole e forestali:
quantità di terreno fertile perso per erosione

acqua utilizzata nella produzione

aria prelevata per le sue trasformazioni
(separazione di gas) o chimiche (combustione)Con lo zaino
ecologico si affronta il problema dei flussi nascosti dei
materiali correlandoli con la distruzione della natura.
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M.I.P.S. (Materials
Input per Service
Unit)
Energia incorporata
Impronta Carbonio
l’indicatore MIPS misura l’intensità di material che un
prodotto/servizio richiede all’ambiente naturale. Fase
prioritaria del MIPS è la verifica del flusso di materia non
rinnovabile, rinnovabile, aria, acqua e terra impiegate, ossia
della quantità in peso di materiali estratti dall’ambiente
naturale o importati e immessi nel sistema economico per
la produzione. Il rapporto di questo valore per il servizio
fornito è il MIPS.
l’indicatore di energia incorporata viene utilizzato per
quantificare l’energia non rinnovabile utilizzata in tutto il
processo produttivo ed è espressa in Co2 equivalente. Qs
indicatore è utilizzato soprattutto dove vi è un alto
consumo di energia come nel caso dei prodotti edili, ed è
affiancato a quello della durata dell’edificio. Tale
metodologia permette di giustificare a volte l’utilizzo di
materiali con un contenuto di energia elevato qualora la
loro vita utile sia molto lunga.
il metodo dell’impronta di carbonio quantifica il
“peso” del prodotto nel suo intero ciclo di vita
(estrazione-discarica) su un unico impatto ambientale ed
in specifico sul riscaldamento locale del pianeta,
riscaldamento prodotto dall’effetto serra e misurato
anch’esso in Co2 equivalente. In base al protocollo di
Kyoto, i gas ad effetto serra sono: anidride carbonica
(Co2), metano (CH4) protossido d’azoto (N2O)
idroflorocarburi (HFC) esafloruro di zolfo (SF6)
perflorocarburi (PFC). La t di Co2 equivalente permette
quindi di valutare l’effetto serra di un prodotto in base
all’emissione in atmosfera di questi gas; ad esempio il
metano rispetto all’anidride carbonica ha un’impronta 25
volte maggiore ossia 1 t di CH4 equivale a 25 t di Co2. Le
norme UNI ISO /TS 14067 hanno reso definito un unico
riferimento
a
livello
mondiali
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Impronta idrica il metodo dell’impronta idrica valuta il consumo di
totale di acqua nella produzione di beni e servizi
consumati dal singolo, da una società o da una nazione. Il
tutto espresso in volume. Oltre a ciò, tale indicatore
considera l’acqua necessaria per rendere disponibile il
prodotto al consumo, dall’imballaggio al trasporto e tutti
quei flussi nascosti presenti nell’intera catena di
approvvigionamento.
LA CERTIFICAZIONE AMBIENTALE DI UN PRODOTTO
Le fasi di studio per una riduzione dell’impatto ambientale di un prodotto sono
finalizzate ad una certificazione che caratterizzi il prodotto medesimo e “raccolga” la
sensibilità dei consumatori; è necessaria quindi una comunicazione specifica e
corretta. Negli ultimi decenni si è purtroppo riscontrato situazioni di finte
certificazioni, campagne di comunicazione autocelebrative, abuso di tecnicismi
nonché un eccesso di vaghezza delle informazioni sul prodotto. Per tale motivo
all’interno delle norme UNI EN ISO 14020, che si ricorda sono a carattere di
volontarietà, sono state adottate tre norme a carattere ambientale con le relative
etichettature sotto riportate:
Etichetta di tipo I presente nella norma UNI EN ISO 14024 è utilizzata su
prodotti ritenuti conformi a dei requisiti minimi. La
certificazione viene rilasciata da un soggetto “terzo”
indipendente sia dal fornitore che dall’utilizzatore a seguito
di verifiche in loco e dopo un’attenta analisi dei criteri
ambientali del prodotto in esame, che si basa su opportuni
indicatori derivanti dall’analisi del ciclo di vita di quella
specifica categoria. L’etichettatura di tipo I è l’eccellenza
della certificazione ambientale di un prodotto; per
mantenere tale certificazione il processo produttivo è
oggetto di continue revisione dei criteri ambientali. A
livello europeo il marchio Ecolabel rappresenta
l’eccellenza. Ulteriori marchi di Tipo I sono:

Good Environmental Choise Australia (GECA)

Eco Mark
25
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
Das Osterreichische Umweltzeichen

NF environnement

Green Seal

Der Blauer Engel

White Swan o Nordic Ecolabel

Milieukeur
Etichetta di tipo II definite dalla norma UNI EN ISO 14021 è una
autodichiarazione dell’azienda di rispetto di determinate
specifiche ecologiche del prodotto, permettendo così di
scegliere una valorizzazione specifica da promuovere e su
cui concentrare la strategia comunicativa. La UNI EN ISO
14021 impegna il produttore al rispetto di determinati
requisiti di garanzia dell’informazione senza però stabilirne
il ricorso ad una simbologia ad eccezione di quello
rappresentato dal Ciclo di Mobius. Ulteriori marchi di
Tipo II sono:



Pannello Ecologico
Punto Verde
Carbon Point
Etichetta di tipo III la comunicazione volontaria di tipo III in cui un’azienda
dichiara pubblicamente l’aspetto ambientale del suo
prodotto o del suo servizio a seguito di un processo di
verifica da parte di un ente certificatore, viene definita
come Dichiarazione Ambientale di Prodotto comunemente
conosciuta come EPD (Environmental Product
Declaration). L’EPD è definita dalla UNI EN ISO 14025 e
si presenta come un insieme di dati ambientali quantificati
con parametri basati sulla metodologia LCA. Significative
sono le informazioni riportate sull’uso corretto del
prodotto e sullo smaltimento dello stesso valutandone gli
impatti; d’importanza rilevante sono le informazioni da
pubblicare nella Dichiarazione, con un’attenta verifica della
loro congruità rispetto al gruppo di prodotto e
all’utilizzatore nonché la presentazione del prodotto stesso
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secondo uno schema standard. La diversità di questa
etichettatura rispetto all’etichettatura di tipo I, consiste che
nell’etichettatura di tipo III non si confrontano i dati
ambientali con livelli di eccellenza, ma si qualifica
l’informazione; in altre parole l’etichettatura di Tipo I è
rivolta al consumatore per effettuare una scelta
consapevole in base alla propria sensibilità ambientale
mentre, l’etichettatura EPD, è rivolta soprattutto a quelle
aziende che vogliono informare i propri clienti rispetto a
standard del prodotto anche al fine di una selezione dei
fornitori. Oltre alle etichettature sopra indicate ed
individuate dalle norme UNI EN ISO 14021,14024 e
14025, vi sono altre attestazioni e certificazioni presenti sul
mercato rilasciate da enti privati e pubblici di cui si
riportano i più noti:

Forest Stewardship Council (FSC) –Canadacertificazione per foreste e legno

Programme for Endorsement of Forest
Certification chemes (PEFC) -Europa 1999- certificazione
forestale

Oeko-Tex Standard 100 –Germania Austria,
Svizzera- certificazione area tessile

Emicode –Germania- certificazione dei prodotti
edilizi in base alle emissioni di C.O.V.

M1 –Finlandia- certificazione dei prodotti edilizi in
base alle emissioni di S.O.V. e sostanze odorose

Emission
dans
l’air
interieur
–Franciacertificazione dei prodotti edilizi, di finitura e di
arredamenti; obbligo per la commercializzazione

GreenGuard –USA- prodotti edilizi da utilizzarsi
indoor

Natureplus –Germania- marchio di qualità tedesco

CRI Green Label –USA- prodotti tessili

CCA-ItaliaConformità
di
Compatibilità
Ambientale per prodotti edili e di arredo -Politecnico di
Milano
ICEA –Europa- settore food e no fodd (cosmesi)
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VANTAGGI DELLE CERTIFICAZIONI AMBIENTALI
La scelta di certificare il proprio prodotto/servizio viene intrapresa per i seguenti
motivi:

accrescere l’immagine e la reputazione dell’azienda nel suo complesso

valorizzare i propri investimenti in tecnologie green e buone pratiche
ecologiche

attivare una campagna pubblicitaria mirata sulla qualità del proprio
prodotto/servizio

acquisire punteggio nei sistemi di classificazione ambientale
Nel campo edile, costruire con criteri di sostenibilità comporta in alcuni comuni e
regioni, l’acquisizione di criteri premianti sotto il profilo economico; tali criteri spesso
indicano una diminuzione in percentuale degli oneri di urbanizzazione in base ad un
punteggio prestabilito o la possibilità di un aumento volumetrico. I criteri di
punteggio sono redatti a seguito di una verifica della costruzione in base a parametri
di valutazione ambientale che di seguito si elencano:
BREEAM questo criterio si basa su una serie di punteggi pesati dati in
base a materiali utilizzati, tipologia della costruzione e
qualità della stessa. La classificazione è su cinque livelli:
eccezionale, eccellente, molto buono, buono, sufficiente.
LEED il criterio LEED si basa su punteggi legati a prestazioni
energetiche ed ambientali fino al raggiungimento di un
massimo di 110 punti. I livelli sono così articolati: Platino,
Oro, Argento, Base.
CASBEE sistema di valutazione globale per l’efficienza del costruito,
si suddivide in quattro casistiche: CASBEE per design,
CASBEE nuove costruzioni, CASBEE edifici esistenti e
CASBEE per ristrutturazioni. La classificazione è la
seguente: eccellente, molto buono, buono, discreto e
scarso.
Protocollo ITACA Un lavoro di gruppo interregionale coordinato dal Friuli
Venezia Giulia all’interno dell’Istituto per l’Innovazione e
la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale,
ha elaborato un protocollo di valutazione di sostenibilità
energetico-ambientale degli edifici, approvato poi dalla
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Provincie
Autonome nel gennaio 2004. Il Protocollo permette una
contestualizzazione rispetto alle peculiarità
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territoriali delle regioni pur conservando la medesima
pesatura nel punteggio. Il punteggio è articolato in base a
sette valutazioni:
5 punti: prestazione considerevole oltre alla pratica
corrente, di carattere sperimentale;
4 punti: moderato miglioramento rispetto alla pratica
corrente;
3 punti: significativo miglioramento rispetto ai regolamenti
vigenti. Tale punteggio rappresenta la miglior pratica
corrente;
2 punti: moderato miglioramento delle prestazioni rispetto
ai regolamenti vigenti e alla pratica corrente;
1 punto: lieve miglioramento delle prestazioni rispetto ai
regolamenti vigenti e alla pratica corrente;
0 punti: prestazione minima accettabile definita da leggi o
regolamenti vigenti
-1 punto: prestazione inferiore allo standard e alla pratica
corrente.
SB100 Messo a punto dall’Associazione nazionale di Architettura
Bioecologica (ANAB) definisce un sistema di qualità e
sostenibilità ambientale redatto tramite l’elaborazione di
percorsi ed obiettivi e relative azioni per raggiungerli. Gli
obiettivi sono raccolti in tre macroaeree che sono:
Ecologia, Sociale e Economica a loro volta suddivise in
azioni. Il totale delle azioni è 100 ed in base al punteggio
realizzato si hanno classi dalla A alla G dell’edificio.
DGNB Sistema a punteggi che integra il sistema di valutazione del
ciclo di vita LCA nel rispetto delle indicazioni di cui alla
ISO 21929-1. I punteggi finali previsti sono 4: Oro,
Argento, Bronzo e Certificato.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
Si riportano alcuni comuni che hanno nei propri regolamenti edilizi una particolare
attenzione all’ecosostenibilità dei materiali edili : Agrate Brianza (MB), Arignano
(TO), Campi Bisenzio (FI), Forlimpopoli (FC), Fusignano (RA), Lignano Sabbiadoro
(UD). Si segnala inoltre che la Regione Toscana ha redatto un elenco base di materiali
per l’edilizia sostenibile
Oltre a requisiti premianti al raggiungimento di determinate soglie prestazionali,
stanno emergendo sistemi di prestazioni soglia ON-OFF ossia, prestazioni soglia
obbligatorie senza che sia previsto alcuna graduatoria di merito, pertanto la
certificazione sarà rilasciata oppure no. Non conosciuti dalla maggior parete degli
addetti ai lavori, tali strumenti di valutazione sono caratterizzati nel maggior grado di
complessità e di specializzazione per la sua elaborazione a fronte però di un livello
decisamente più elevato di attendibilità sul comportamento reale dell’edificio rispetto
al tema della sostenibilità. Tra questi sistemi si segnalano:
HQE due sono gli elementi fondamentali di questo sistema, il
metodo organizzativo ed il metodo operativo. Quello
organizzativo ha il compito di definire strumenti necessari
per far interagire le diverse professionalità coinvolte nel
progetto mentre, quello operativo, è articolato in 14
obiettivi raggruppati in quattro categorie che sono: Ecocostruzione, Eco-gestione,-Comfort e Salute.
Nordic Ecolabel
Le prestazioni di tale sistema sono improntate su aree di
valutazione a loro volta suddivise in categorie. Le
procedure ricalcano quelle definite da Ecolabel, ma per
ottenere la certificazione, l’edificio deve soddisfare tutti
requisiti obbligatori.
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SALUBRITA’
Un inquinante può essere definito quale sostanza che è in grado di rappresentare un
pericolo per l’ambiente e l’uomo. La comunità scientifica si è soprattutto concentrata
sull’inquinamento esterno ed urbano mentre, solo negli ultimi anni, il suo interesse si è
focalizzato anche sull’inquinamento degli ambienti confinati definendo indoor
pollution tutto ciò che può essere dannoso alla salute dell’uomo.
I PRINCIPALI INQUINANTI ATMOSFERICI “ESTERNI” E LE PRINCIPALI
SORGENTI DI EMISSIONE
INQUINANTE
Biossido di Zolfo SO2
Ossidi di Azoto NOx
Monossido di Carbonio CO
SORGENTE
Impianti di riscaldamento, centrali
termoelettriche, combustione di
oroigine fossile contenenti zolfo
(gasolio, carbone, oli combustibili)
Impianti di riscaldamento, traffico auto
veicolare,attività industriali.
Traffico auto veicolare, combustione
incompleta dei combustibili fossili e non
Ozono O2
Particolato fine –polveri sottili- PM 10
PM 5 PM 2,5
Idrocarburi Policiclici
Aromatici(Benzene e altri)
Combustione e azioni di atrito
Traffico veicolare, evaporizzazione
di carburanti
In base alle concentrazioni presenti nell’aria e al tempo di permanenza, gli inquinanti
atmosferici hanno effetti diversi sui vari organismi Gli apparati più soggetti agli effetti
delle sostanze immesse in atmosfera sono quelli deputati alla respirazione.
Gli effetti degli inquinanti possono essere di tipo acuto, quando insorgono dopo
un breve periodo di esposizione (ore o giorni) ad elevate concentrazioni di
inquinanti, o di tipo cronico, se si manifestano dopo un lungo periodo (anni o
decenni) ad esposizioni non necessariamente elevate ma continue.
L'inquinamento produce anche un danno sociale, relativo alla popolazione nel suo
complesso: danni apparentemente trascurabili possono produrre un aumento della
frequenza della malattia. La prevenzione diventa quindi imperativa sia a livello
individuale (limitazione del fumo, minor utilizzo di automobili e moto, ecc.) sia a
livello collettivo (ad esempio normative e sanzioni adeguate) così da indurre dei
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cambiamenti volti al miglioramento della qualità dell'aria nel comportamento dei
singoli e dell'intera società.
LA NORMATIVA SUGLI AGENTI INQUINANTI
Il Decreto Legislativo n° 155 del 13/08/2010 ha recepito la direttiva quadro sulla
qualità dell’aria 2008/50/CE, istituendo a livello nazionale un quadro normativo
unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente. Il
decreto stabilisce per i vari inquinanti valori limite e/o valori obiettivo, livelli
critici, soglie di allarme e soglie di informazione.
Per valore limite si intende il livello ovvero la concentrazione di un inquinante
fissata al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana o per
l’ambiente nel suo complesso, che non deve essere superato.
Per valore obiettivo si intende il livello fissato al fine di evitare, prevenire o ridurre
gli effetti nocivi per la salute umana o per l’ambiente nel suo complesso da
conseguire, ove possibile, entro una data prestabilita.
Per livello critico si intende il livello ovvero la concentrazione di un inquinante oltre
il quale possono sussistere effetti negativi diretti sui recettori quali gli alberi, le altre
piante o gli ecosistemi ambientali esclusi gli esseri umani.
La soglia di allarme e la soglia di informazione sono le concentrazione
dell’inquinante oltre le quali sussiste un rischio per la salute umana in caso di
esposizione di breve durata rispettivamente per la popolazione nel suo complesso e
per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione.
Il decreto stabilisce i valori limite per le concentrazioni nell’aria ambiente di biossido
di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo, PM10 e
introduce per la prima volta un valore limite per il PM2.5, pari a 25 µg/m3 da
raggiungere entro il 31.12.2015.
Per quest’ultimo inquinante fissa inoltre l’obiettivo di riduzione nazionale
dell’esposizione: la media delle concentrazioni di PM2.5 misurate in aree urbane
rappresentative dell’esposizione media della popolazione deve diminuire di una
percentuale prefissata dal triennio 2008-2010 al triennio 2018-2020 anche laddove si
avessero valori inferiori al valore limite.
Il decreto fissa inoltre i valori obiettivo, gli obiettivi a lungo termine, le soglie di
allarme e di informazione per l’ozono, e i valori obiettivo per le concentrazioni
nell’aria ambiente di arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene.
Rispetto alla tempistica entro cui i valori limite devono essere raggiunti,
conformemente a quanto previsto dalla norma europea, è introdotta la possibilità di
derogare ai limiti di PM10, NO2 e benzene per un periodo di tempo limitato, se è
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stato attuato un piano di risanamento secondo quanto previsto dalla norma, e per il
PM10, se sussistono condizioni meteorologiche sfavorevoli.
Il decreto stabilisce che per le zone in cui i livelli di inquinanti presenti nell’aria
ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo, le regioni devono
provvedere a predisporre piani per la qualità dell’aria, al fine di conseguire il relativo
valore limite o valore-obiettivo predefinito. Per le aree, invece, in cui i livelli di
inquinanti sono inferiori ai valori limite, le regioni devono adottare le misure
necessarie per preservare la migliore qualità dell’aria che risulti compatibile con lo
sviluppo sostenibile. Nelle successive tabelle, sono riassunti i limiti previsti dalla
normativa nazionale per i diversi inquinanti.
OBBIETTIVI E LIMITI DI LEGGE PER LA POPOLAZIONE
INQUINANTE
So2
TIPO DI LIMITE
Limite orario
Limite giornaliero
NO2
Limite orario
CO
Limite annuale
Limite giornaliero
O3
Val. obiettivo
PM10
Limite giornaliero
PM 2,5
Benzene
B(a)P
As
Limite annuale
Limite annuale
Limite annuale
Val. obiettivo
Val. obiettivo
Cd
Ni
Pb
Val. obiettivo
Val. obiettivo
Limite annuale
LIMITE
350 μg/m3 da non
superare più di 24 volte
l’anno
125 μg/m3 da non
superare per più di 3 gg
l’anno
200 μg/m3 media oraria
da non superare per più di
18 volte l’anno
40 μg/m3
10 μg/m3 come media
mobile di 8 ore
120 μg/m3 come media
mobile
50 μg/m3 da non superare
per più di 35 gg all’anno
40 μg/m3
25 μg/m3
5 μg/m3
1 ng/m3 media annuale
6 ng/m3 media
annuale
5 ng/m3 media annuale
20ng/m3 media annuale
0,5 μg/m3
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
SOGLIE DI ALLARME ED INFORMAZIONI PER LA POPOLAZIONE –Dlgs
155/2010
INQUINANTE
SO2
NO2
TIPO DI LIMITE
Soglia di allarme
Soglia di allarme
Soglia di inform.
O3
Soglia di allarme
LIMITE
500 μg/m3 misurata su 3
ore consecutive
400 μg/m3
misurata su 3
ore consecutive
180 μg/m3 come media
oraria
240 μg/m3 come media
oraria
Risulta abbastanza chiaro che nelle nostre case vi sono tali inquinanti a
concentrazioni più o meno basse in base alla zona di residenza.
Oltre alle sostanze presenti nell’ambiente esterno, negli ambienti chiusi (indoor) vi
sono altre sostanze inquinanti classificabili in:

Inquinanti fisici: radon, campi elettromagnetici naturali e artificiali, rumore

Inquinanti chimici: C.O.V. formaldeidi, toluene, benzene, monossido di
carbonio, biossido di carbonio, biossidi di azoto, anidridi varie, ecc…;

Inquinanti biologici: muffe, batteri, funghi, pollini, ecc..
Le fonti principali di provenienza dei diversi inquinanti sono :

attività umane: detersivi e simili, cottura cibi, fumo, presenza animali,
processi metabolici

sorgenti esterne: atmosfera, acqua, suolo

sorgenti interne: materiale da costruzione, arredi, impianti, ecc
A secondo della fonte i principali inquinanti sono:

impianti a gas: biossido di azoto, monossido di carbonio

impianti di condizionamento: agenti biologici, particolato, biossido di
azoto, ossido di carbonio

arredamento: formaldeidi, composti organici volatili

caminetti: particolato, monossido di carbonio, idrocarburi policiclici
aromatici
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA

materiale da costruzione: radon, formaldeide

materiali isolanti: asbesto, fibre
L’esposizione umana ad inquinanti indoor è difficilmente quantificabile essendo
legata a variabili specifiche di ogni microambiente e di ogni soggetto ed essendo
inoltre estremamente variabile il livello di inquinamento nelle abitazioni in funzione
delle sorgenti presenti nell’edificio, della ventilazione e delle abitudini degli occupanti.
Capita inoltre che numerosi effetti si manifestino grazie ad una contemporanea
presenza di stress, pressioni lavorative, discomfort di origine stagionale, senza
contare che la risposta degli individui ad una stessa esposizione ad un inquinante
ambientale può comunque variare a seconda di varie condizioni individuali
intrinseche (come sesso, età, grado di reattività delle vie respiratorie)
I principali effetti sanitari sull’uomo si possono suddividere in:

Effetti respiratori (asma,allergie, bronchiti,infezioni)

Effetti sul sistema nervoso (emicranie)

Effetti irritativi su cute e mucose (laringiti, congiuntiviti,eritemi)

Effetti genotossici (alterazione delle cellule, cancro)

Effetti sensoriali (bruciore alla gola, lacrimazione, effetti neuropsichici)

Effetti sul sistema riproduttivo cardiovascolare, gastrointestinale
Questi fattori possono combinarsi con altri, come particolari condizioni non idonee
di temperatura, umidità, affollamento, illuminazione e rumorosità tali da generare una
diminuzione del comfort ambientale e un rischio per la salute. Malattie correlate
all’edificio (legionellosi, tumore dovuto al radon, ecc.) e l’insieme di sintomi (mal di
testa, difficoltà di concentrazione, irritazione degli occhi, senso di malessere generale)
che colpiscono un numero significativo (di solito più del 20%) di persone che
soggiornano in alcuni edifici e che spariscono una volta abbandonato l’edificio,
vengono definite quali malattie dovute alla sindrome dell’edificio malato cosiddetta
SBS (Sick Building Syndrome). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)
definisce la SBS come “una reazione al microclima che colpisce la maggior parte degli
occupanti e che non può essere correlata con una causa evidente, quale un’eccessiva
esposizione a un singolo agente o un difetto del sistema di ventilazione”.
Numerosi studi sono stati effettuati su questo argomento, evidenziando un
legame tra esposizione all’interno degli ambienti e salute. Il risultato comune
a cui si è giunti in tutti gli studi realizzati fino ad oggi, è che un basso tasso di
ventilazione accentua gli effetti degli inquinanti dell’aria all’interno delle
abitazioni.
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La salubrità negli ambienti indoor rientra nella legislazione sulla sicurezza negli
ambienti di lavoro definita dal Decreto Legislativo 09.04.2008 n.81 ed ampiamente
conosciuto, mentre purtroppo molto meno considerata è la salubrità negli ambienti
residenziali. Si possono comunque chiaramente ricondurre a problematiche relative
alla salubrità, la normativa tecnica UNI 7129 modificata nel dicembre 2015, relativa
all’installazione degli impianti a gas con potenzialità < a 35 kW di cui si rimanda alla
parte ventilazione della presente ricerca mentre, la salubrità è riconducibile al comfort
acustico all’interno delle unità abitative. In merito a ciò con l’emanazione del
D.P.C.M. 05.12.97 “Determinazione dei requisiti acustici passivi” sono stati definiti
precisi parametri d’isolamento acustico delle partizioni edilizie.
Gli ambienti sono classificati come di seguito riportato
categoria A: edifici adibiti a residenza o assimilabili;
categoria B: edifici adibiti ad uffici e assimilabili;
categoria C: edifici adibiti ad alberghi, pensioni ed attività assimilabili;
categoria D: edifici adibiti ad ospedali, cliniche. case di cura e assimilabili;
categoria E: edifici adibiti ad attività scolastiche a tutti i livelli e assimilabili;
categoria F: edifici adibiti ad attività ricreative o di culto o assimilabili;
categoria G: edifici adibiti ad attività commerciali o assimilabili.
I parametri acustici passivi degli edifici, dei loro componenti e degli impianti
tecnologici sono i seguenti:
Categoria
D
A, C
E
B, F, G
R’W
D2mn,Tw
55
50
50
50
45
40
48
42
PARAMETRI
Lnw
LASmax
58
63
58
55
35
35
35
35
LAeq
25
35
25
25
Si specifica che:
R’W : isolamento acustico di partizioni orizzontali e verticali tra distinte unità
immobiliari (valore minimo da rispettare)
D2mn,Tw : isolamento acustico di facciata (valore minimo da rispettare)
Lnw : isolamento acustico da calpestio (valore massimo da rispettare)
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LASmax : livello massimo ponderato A con costante Slow degli impianti a
funzionamento discontinuo ( ascensori, scarichi idraulici, bagni, servizi igienici e loro
rubinetteria)
LAeq : livello continuo equivalente ponderato A degli impianti a funzionamento
continuo ( impianti di riscaldamento, aerazione e condizionamento).
Si ricorda che i parametri acustici sopra indicati sono da misurarsi in opera.
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VENTILAZIONE
L’ingresso e l’uscita di aria negli ambienti può avvenire attraverso diverse tecniche:
aerazione, infiltrazione, ventilazione naturale, ventilazione meccanica
controllata: l’apertura manuale delle finestre affidata all’utenza e l’infiltrazione
attraverso involucro e serramenti non possono essere considerati “sistemi” di
ventilazione (anche se sfruttano i principi della ventilazione naturale) in quanto la
ventilazione richiede un progetto vero e proprio.
AERAZIONE
Per aerazione si intende l’apertura manuale delle finestre da parte degli utenti allo
scopo di rinnovare l’aria ambiente attraverso l’immissione di aria esterna. Tale tecnica
non è vantaggiosa per diversi motivi: le dispersioni di energia sono notevoli,
l’ingresso di aria esterna non filtrata porta con sé gli inquinanti dell’ambiente esterno
e oltretutto non è possibile controllare con precisione le portate di aria.
In generale, se si considera un edificio sottoposto all’azione del vento, è possibile
individuare una zona di pressione sul lato sopravento e una di depressione in quello
sottovento.
Si possono quindi definire le due possibilità che si possono presentare:


ventilazione frontale (single-side ventilation)
ventilazione passante (cross-side ventilation)
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
VENTILAZIONE FRONTALE
Con questo metodo il rinnovo dell’aria di un ambiente avviene attraverso una
apertura che permette contemporaneamente l’ingresso e l’uscita di una certa portata
d’aria, generata dall’effetto del vento e dalle forze ascensionali prodotte dall’aria
calda. Infatti quando la temperatura interna è più alta di quella esterna l’ingresso di
aria fredda dal basso determina l’uscita di quella calda dall’alto.
Con questo metodo il rinnovo dell’aria di un ambiente avviene attraverso una
apertura che permette contemporaneamente l’ingresso e l’uscita di una certa portata
d’aria, generata dall’effetto del vento e dalle forze ascensionali prodotte dall’aria
calda. Infatti quando la temperatura interna è più alta di quella esterna l’ingresso di
aria fredda dal basso determina l’uscita di quella calda dall’alto.
VENTILAZIONE PASSANTE
La “pulizia” nell’ambiente avviene tramite il passaggio di aria da due aperture poste
su fronti diversi.
Infiltrazione attraverso l’involucro
L’infiltrazione è un flusso di aria esterna che penetra in un ambiente attraverso
aperture e fessure non intenzionali come ad esempio i punti di giunzione tra finestre
e muri, tra pavimento/tetto e pareti; si contrappone all’esfiltrazione che è una fuga
di aria verso l’esterno attraverso gli stessi punti critici dell’edificio, ai quali va prestata
molta attenzione in fase di costruzione.
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Infiltrazioni attraverso l’involucro edilizio
Infiltrazione d’aria dal serramento e dalla controparete
Si definisce permeabilità (di un edificio) la portata d’aria di infiltrazione attraverso
l’involucro edilizio per unità di superficie (dell’involucro), in corrispondenza alla
differenza di pressione di riferimento della prova, pari solitamente a 50 Pa. Questa
definizione, tratta dalla norma UNI EN 13829:2002 indica una dei possibili indici
per descrivere la tenuta all’aria di un edificio, che risultano essere quindi:
la portata d’aria di infiltrazione prodotta da una differenza di pressione
indotta (50 Pa – UNI EN 13829)

il tasso di ricambio d’aria corrispondente a una differenza di pressione pari
a 50 Pa (n50)


l’area di infiltrazione effettiva e equivalente
In maniera empirica questi parametri possono essere ricavati attraverso l’utilizzo della
tecnica dei gas traccianti, raramente utilizzata in quanto costosa e richiede personale
altamente specializzato, oppure attraverso un metodo chiamato blower door test.
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Un ventilatore assiale posto nell’apertura di un serramento, svolge il compito di
imporre una differenza prefissata di pressione, di solito 50 Pa, raggiunta con diversi
step, tra l’ambiente esterno e interno immettendo o estraendo una certa portata
d’aria: per fare ciò il ventilatore deve essere inserito a tenuta nel vano di una porta o
finestra.
Fasi di montaggio appercchiatura del blower door test e ventilatore blower door test
La prova va eseguita sia in pressione che in depressione e per una sua corretta
esecuzione tutte le porte interne devono rimanere aperte mentre quelle esterne e le
finestre devono essere chiuse.
Numerosi sono i vantaggi per un edificio con un’alta tenuta all’aria, come la riduzione
dei consumi energetici, l’aumento dell’isolamento acustico, la scomparsa di correnti
d’aria e non da ultimo la riduzione della concentrazione di radon quando l’edificio è
ben impermeabilizzato a terra.
Infiltrazione attraverso i serramenti
Il contributo degli infissi alla portata di infiltrazione d’aria negli edifici non è
irrilevante: è certo che le infiltrazioni attraverso i serramenti non sono sufficienti a
garantire una ventilazione adeguata, soprattutto nelle nuove costruzioni in cui si
utilizzano infissi ad elevato grado di tenuta.
La norma UNI EN 12207:2000 (“Finestre e porte. Permeabilità all’aria - Classificazione”)
definisce la classificazione degli infissi basata sul confronto tra la permeabilità all'aria
del campione sottoposto a prova riferito all'intera area e la permeabilità all'aria riferita
alla lunghezza dei lati apribili; vengono definite 4 classi in ordine decrescente di
permeabilità.
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Permeabilità all’aria di riferimento a 100 Pa e alle pressioni massime di prova, in
rapporto alle superfici totali (da UNI EN 12207:2000)
La ventilazione meccanica controllata (V.M.C.)
Gli impianti di ventilazione meccanica sono impianti che consentono di gestire il
ricambio dell'aria di un ambiente con l'esterno senza che sia necessario l'apertura di
finestre o porte; la ventilazione avviene tramite condotte di ventilazione forzata,
collegate con gli ambienti interni in modo da poter rimuovere l'aria viziata o
inquinata ed immettere aria nuova.
Esistono sostanzialmente due tipologie di impianti che si differenziano per la
dimensione delle reti aerauliche:

sistemi a semplice estrazione: caratterizzati dalla sola rete di estrazione con
il ventilatore che, creando una depressione con l’aspirazione, richiama aria di
rinnovo che viene fatta entrare attraverso appositi dispositivi installati
solitamente negli infissi;

sistemi a doppio flusso: necessitano di una rete di immissione più
complessa nella realizzazione
Tale ultimo sistema ha il vantaggio di poter recuperare il calore dall’aria estratta,
prima di essere re-immessa negli ambienti attraverso i recuperatori di calore,
contribuendo in maniera notevole al risparmio energetico.
Gli elementi base della V.M.C. sono:

condotti aeraulici in lamiera zincata o in PVC sia rettangolari, cilindrici o,
nel caso di passaggi in spazi ristretti con sezione ovale;

ventilatori: hanno il compito di movimentare l’aria all’interno dei canali,
fornendole l’energia necessaria per vincere le perdite di carico generate dai
canali (distribuite e concentrate) e dai terminali di immissione ed estrazione.
Esistono due tipologie principali, centrifughi e assiali che si differenziano
essenzialmente per la direzione del flusso attraverso la girante che può essere
di tipo centrifugo o a pale.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
Il ventilatore assiale è fondamentalmente simile alle pale di un aereo. L’aria
immessa ha direzione parallela all’asse di rotazione e in uscita viene scaricata dalla
pala su tutta la sua lunghezza mentre nel ventilatore centrifugo tutta l’aria viene
espulsa dal centro verso l’esterno (appunto in maniera centrifuga). Dal punto di vista
prestazionale i ventilatori centrifughi movimentano portate d’aria moderate ma con
pressioni statiche alte mentre quelli assiali muovono grandi portate d’aria ma con
bassi valori di pressione statica. Nelle applicazioni di impianti di ventilazione per
edifici residenziali sono utilizzati solitamente i ventilatori centrifughi. Le prestazioni
di un ventilatore possono essere efficacemente lette su un diagramma attraverso la
curva caratteristica prodotto dal costruttore su cui è possibile individuare, un punto
che corrisponde al rendimento massimo del ventilatore in corrispondenza del quale,
oltre al minore assorbimento di potenza, si assiste al più basso livello di emissione
sonora, valutato in dB(A).
Il recuperatore di calore
La definizione del recuperatore di calore in base alla norma UNI EN 308: 98 è la
seguente: “Il recuperatore di calore è uno scambiatore di calore o una combinazione di scambiatori
di calore, che permette un trasferimento di calore e, in alcuni casi, di umidità tra il flusso di aria di
scarico ed il flusso di aria di alimentazione, sotto l’azione di una differenza tra i livelli di
temperatura e di umidità. Il recuperatore di calore è generalmente installato in alloggiamenti con
adeguati collegamenti ai condotti dell’aria.”. I principali recuperatori utilizzati in campo
residenziale sono del tipo a piastre in alluminio, statici, quindi senza parti in
movimento. Il funzionamento è molto semplice: il flusso di aria di rinnovo e di quella
di espulsione, all’entrata nel recuperatore vengono suddivisi in passaggi
(adeguatamente sigillate per evitare contaminazioni tra i flussi) compresi tra due
piastre che portano rispettivamente aria calda e aria fredda.
Il parametro che caratterizza le
prestazioni di un recuperatore
è l’efficienza ed è definita come
il rapporto tra il flusso termico
scambiato tra le due correnti e
il massimo flusso termico
scambiabile tra esse a parità di
temperature di ingresso dei fluidi. L’efficienza è quindi un parametro che dipende
dalle portate e dalle temperature in gioco per cui risulta variabile durante l’anno. A
seconda della dimensione dello scambiatore i recuperatori si dividono in due
tipologie: a flussi incrociati e controcorrente. Si differenziano essenzialmente per
forma ed efficienze: i recuperatori a flussi incrociati hanno forma quadrata e
efficienze tra il 50 e il 70%. I recuperatori controcorrente hanno forma esagonale, e
possono raggiungere anche efficienze superiori al 90%.
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VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
NORMATIVA SULLA VENTILAZIONE
Il regolamenti comunali
A livello comunale sono emanati i Regolamenti Edilizi e i Regolamenti Locali
d’Igiene (R.L.I.) con valore cogente se prevedono parametri più restrittivi rispetto
alla norma nazionale; hanno quindi la priorità su qualsiasi altra disposizione. Si
riporta a titolo di esempio le indicazioni contenute nel Regolamento Locale d’Igiene
Tipo proposto dalla Regione Lombardia.
Superfici apribili e ricambi d’aria
Gli alloggi devono essere progettati e realizzati in modo che le concentrazioni di
sostanze inquinanti e di vapore acqueo, prodotti dalle persone e da eventuali processi
di combustione non possono costituire rischio per il benessere e la salute delle
persone ovvero per la buona conservazione delle cose e degli elementi costitutivi
degli alloggi medesimi. Si ritiene che tali condizioni siano in ogni caso assicurate
quando sia previsto per ogni alloggio il doppio riscontro d’aria e siano assicurate le
superfici finestrate apribili nella misura non inferiore a 1/10 del pavimento.
Bagno e W.C.
La stanza da bagno deve essere fornita di finestra apribile all’esterno, della misura
non inferiore a mq. 0,50 per il ricambio dell’aria. Nel caso di bagni ciechi
l’aspirazione forzata deve assicurare un coefficiente di ricambio minimo di 6
volumi/ora se in espulsione continua, ovvero di 12 volumi/ora se in aspirazione
forzata intermittente a comando automatico adeguatamente temporizzato per
assicurare almeno 3 ricambi per ogni utilizzazione dell’ambiente.
Ventilazione dei locali di servizio
Gli spazi di servizio sprovvisti di aerazione dovranno essere serviti da idonea canna
di ventilazione atta ad assicurare il ricambio d’aria necessario in relazione all’uso cui
lo spazio è destinato.
Canne di ventilazione
Si definiscono canne di ventilazione quelle impiegate per l’immissione e l’estrazione
di aria negli ambienti. Dette canne possono funzionare in aspirazione forzata ovvero
in aspirazione naturale.
NORMATIVA NAZIONALE
Dal punto di vista prettamente tecnico la norma UNI 10339 -in revisione- “Impianti
aeraulici ai fini di benessere. Generalità, classificazione e requisiti.” risulta allo stato di
fatto la norma prioritaria per la progettazione della Ventilazione Meccanica
Controllata a seguito del D.P.R. 59/09 e ss.mm.ii
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VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
La UNI prescrive che gli impianti, al fine di garantire livelli di benessere accettabili
per le persone, contemperando le esigenze di contenimento dei consumi energetici,
assicurino:

un’immissione di aria esterna almeno pari a determinati valori minimi in
funzione della destinazione d’uso dei locali;

una filtrazione minima dell’aria;

una movimentazione dell’aria con velocità entro determinati limiti.
Il tutto per mantenere nel volume convenzionalmente occupato dalle persone,
adeguate caratteristiche termiche, igrometriche e di qualità dell’aria.
Di seguito si riporta la tabella presente nella norma riguardante la portata d’aria
esterna o di estrazione in base alla categoria degli edifici.
La tabella seguente indica l’indice di affollamento ns per metro quadrato di superficie
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VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
La normativa indica inoltre la posizione in cui deve essere posta la presa d’aria
affinché si evitino l’immissione nell’unità abitativa di inquinanti esterni e prescrive in
ogni caso, sia l’aria esterna, che quella di ricircolo, l’impiego di filtri di classe
appropriata in funzione dell’efficienza degli stessi.
Le condizioni termoigrometriche all’interno dei locali dipendono dal regime di
funzionamento (riscaldamento / raffrescamento), dalla località di installazione e
dall’utilizzo dell’ambiente interno (livello di attività metabolica prevista, resistenza del
vestiario, tempo di permanenza).
Le temperature e i tassi di umidità devono essere mantenuti nelle condizioni
“standard” come di seguito riportato:


inverno: umidità relativa esterna 60%, temperatura interna 20 °C con umidità
relativa 35%-45%
estate: temperatura interna 26 °C con umidità relativa 50% -60%
Una delle problematiche emerse durante gli albori della ventilazione meccanica
controllata è stata la rumorosità degli stessi, originata dalla turbolenza generata dalle
pale del ventilatore. Per poterla ridurre si utilizzano appositi silenziatori (attenuatori
acustici) che possono essere passivi o attivi. I primi sono essenzialmente costituiti da
un involucro con setti realizzati da materiale fonoassorbente. In particolare i
silenziatori passivi di forma cilindrica sono costituiti da un tubo (che può o meno
presentare un’ogiva centrale) rivestito all’interno da materiale fonoassorbente,
ricoperto da una lamina metallica forata.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
I silenziatori attivi sono invece basati su un diverso funzionamento: un microfono
posto all’interno dell’attenuatore rileva il rumore emesso dal ventilatore. Un
altoparlante a valle emette un rumore con opposta fase e ritardato del tempo che il
suono impiega a percorrere lo spazio tra il microfono l’altoparlante, neutralizzando
l’onda sonora iniziale.
La scelta tra le varie tipologie di filtri in commercio è fondamentale per ottenere negli
ambienti un determinato grado di qualità dell’aria per la protezione della salute
umana (come ad esempio riportati nella revisione della UNI 10339 – Elevata, Media,
Bassa). E’ altrettanto fondamentale, negli impianti di ventilazione meccanica,
effettuare una manutenzione periodica e corretta al fine di evitare problemi legati al
malfunzionamento del sistema e alla qualità dell’aria: numerosi sono gli studi che
hanno mostrato come i filtri possano diventare essi stessi sorgenti di inquinanti,
andando ad avere un impatto negativo sulla qualità dell’aria percepita, sui sintomi
legati alla SBS e sulle prestazioni lavorative.
La norma di riferimento è la UNI EN 779:2005 che classifica i filtri in base alla loro
efficienza: i materiali più utilizzati sono le fibre di cellulosa, sintetiche, di vetro o in
plastica le quali, potendo essere caricate elettricamente, permettono una maggiore
efficienza nei confronti delle particelle fini; chiaro è che questi impianti devono
essere regolarmente manutentati nella pulizia dei filtri e nella pulizia delle tubazioni.
VENTILAZIONE E SICUREZZA DEGLI IMPIANTI: LA NORMA UNI 7129
Il tema della ventilazione è trattato nella UNI 7129 che rappresenta la normativa di
riferimento nel campo della progettazione, installazione e collaudo degli apparecchi
a gas per uso domestico. Essa può essere applicata all’installazione di apparecchi
aventi singola portata termica nominale massima non maggiore di 35 kW e alla
realizzazione della ventilazione e/o aerazione dei locali di installazione.
La norma riporta inizialmente una serie di definizioni:
Apparecchio di Tipo A: apparecchio non previsto per il collegamento a
camino/canna fumaria o a dispositivo di evacuazione dei prodotti della
combustione all’esterno del locale in cui l’apparecchio è installato. Il prelievo

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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
dell’aria comburente e l’evacuazione dei prodotti della combustione avvengono nel
locale di installazione.

Apparecchio di Tipo B: apparecchio previsto per il collegamento a
camino/canna fumaria o a dispositivo che evacua i prodotti della combustione
all’esterno del locale in cui l’apparecchio è installato. Il prelievo dell’aria comburente
avviene nel locale di installazione e l’evacuazione dei prodotti della combustione
avviene all’esterno del locale stesso

Apparecchio di Tipo C: apparecchio il cui circuito di combustione
(prelievo dell’aria comburente, camera di combustione, scambiatore di calore e
evacuazione dei prodotti della combustione) è a tenuta rispetto al locale in cui
l’apparecchio è installato. Il prelievo dell’aria comburente e l’evacuazione dei
prodotti della combustione avvengono direttamente all’esterno del locale.

Ventilazione: Afflusso dell’aria necessaria alla combustione
Aerazione: Ricambio dell’aria necessaria sia per lo smaltimento dei prodotti
della combustione, sia per evitare miscele con un tenore pericoloso di gas non
combusti.
Apparecchio di tipo A

Il locale di installazione di un apparecchio di tipo A deve essere sempre aerato e
ventilato in maniera diretta; a tal fine devono essere obbligatoriamente realizzate nel
locale stesso due aperture permanenti rivolte verso l’ambiente esterno.

Una prima apertura, destinata alla aerazione del locale di installazione, deve
essere posizionata in prossimità del soffitto, con filo inferiore ad un’altezza
comunque non minore di 1,80 m dal pavimento e deve avere una sezione
netta almeno pari a 100 cm2

Una seconda apertura, destinata alla ventilazione del locale, deve essere
posizionata in prossimità del pavimento, con filo inferiore ad una altezza
comunque non maggiore di 300 mm dal pavimento stesso e deve avere
sezione netta almeno pari a 100 cm2.
Le aperture devono soddisfare i seguenti requisiti:

Devono essere protette sia nella zona di ingresso che nella zona di uscita
dell’aria mediante griglie o reti metalliche senza ridurne la sezione utile
netta
Devono essere realizzate in modo da rendere possibili le operazioni di
manutenzione ordinaria e straordinaria
Assicurando la ventilazione del locale di installazione attraverso una o più aperture
di ventilazione è necessario che abbiano, ciascuna, una sezione utile netta non
minore di 100 cm2 e che la somma delle sezioni nette di tali aperture, realizzate nel
locale di installazione o, se consentito, in locale per l’aria comburente, deve essere

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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
non minore della sezione utile netta calcolata come al paragrafo 3.3.5.3. della UNI
7129
Apparecchio di tipo B
Per gli apparecchi di tipo B, è vietata l’installazione nei locali adibiti a camera da
letto e ad uso bagno, così come in ambienti in cui siano presenti generatori di calore
a legna (o combustibili solidi in genere) e in locali ad essi adiacenti e comunicanti
(disposizione valida solo se gli apparecchi alimentati da combustibile solido non sono
caratterizzati da un focolare di tipo stagno rispetto all’ambiente in cui sono installati).
Il locale di installazione degli apparecchi di tipo B deve essere sempre ventilato,
inoltre deve essere aerato o aerabile. La ventilazione può essere ottenuta in maniera
diretta o indiretta. L’apertura di ventilazione può essere posizionata a qualsiasi quota
rispetto al livello del pavimento. Per gli apparecchi di tipo B alimentati da gas
combustibile avente densità relativa ≥ 0,8, devono essere posizionate ad una altezza
non maggiore di 300 mm dal pavimento. Per il dimensionamento delle aperture si
veda il paragrafo 3.3.5.3. della UNI 7129
Qualora si utilizzi un condotto di ventilazione o condotti collettivi è opportuno che
la canalizzazione:

Sia impermeabile ai fumi e ai gas

Sia priva di cambi di direzione a spigoli vivi

Abbia una sezione netta almeno pari a 1,5 la sezione netta prevista nel caso di
apertura di ventilazione non canalizzata e comunque non minore di 150 cm2

Sia comunque collegata a parete rivolta verso l’esterno di un locale adiacente
al locale di installazione
Apparecchio di tipo C
Il locale di installazione di un apparecchio di tipo C non richiede aperture di
ventilazione. In ogni caso si richiede che il locale sia aerabile o aerato in maniera
diretta purché le aperture:

Siano tutte realizzate nel locale di installazione

Abbiano, ognuna di esse una superficie utile netta non minore di 100 cm2
Apparecchio di cottura
Si tratta di apparecchi destinati alla cottura dei cibi che possono essere alimentati a
gas o ad energia elettrica: i piani di cottura, i forni, le friggitrici, piastre di cottura, ecc.
Nel corso della cottura dei cibi si forma principalmente vapore acqueo, anidride
carbonica, particelle solide ma anche ossido di azoto (NOx), dalla fiamma, che può
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
dar luogo a formazione di biossidi di azoto e ozono nocivi per la salute. E’ necessario
pertanto che il locale di installazione di un apparecchio di cottura debba essere aerato
e ventilato.
L’aerazione necessaria può essere ottenuta mediante l’installazione di uno dei
seguenti sistemi:

Cappa a tiraggio naturale collegata mediante un canale di esalazione ad un
condotto o canna fumaria per vapori di cottura o direttamente all’esterno

Cappa aspirante elettrica (munita di ventilatore) collegata mediante un
canale di esalazione ad un condotto per vapori di cottura o direttamente
all’esterno. La cappa è da mettere in funzione per tutto il tempo di
funzionamento dell’apparecchio.

Elettroventilatore collocato sulla parte alta di una parete del locale di
installazione (su serramenti e/o infissi rivolti verso l’esterno), oppure
collegato ad un condotto di esalazione, ad uso proprio. L’elettroventilatore è
da mettere in funzione per tutto il tempo di funzionamento degli apparecchi
di cottura
Ventilazione e/o aerazione
La ventilazione e l’aerazione diretta possono essere realizzate tramite aperture
permanenti, rivolte verso l’esterno, nel locale di installazione degli apparecchi, come
visibile nella figura successiva ripresa dalla Uni 7129. In alternativa:

L’aerazione diretta può essere realizzata anche mediante condotti singoli o
collettivi, facenti parte di un sistema integrato e progettato di ventilazione
naturale per soddisfare sia le esigenze di aerazione sia per il ricambio d’aria
degli ambienti. Nel caso di sistema di ricambio dell’aria controllato mediante
dispositivi meccanici, una avaria dell’organo di estrazione e/o immissione
dell’aria, non deve impedire la corretta aerazione nei locali di installazione, ai
fini della sicurezza degli impianti alimentati con combustibile gassoso.

La ventilazione diretta può essere realizzata anche mediante condotti
singoli, collettivi o attraverso sistemi di ventilazione meccanica controllata
(VMC) a semplice o doppio flusso (quest’ultima non è ammessa in presenza
di apparecchi di tipo A e B).
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
Per quanto riguarda i sistemi di ventilazione meccanica, il paragrafo B.2 specifica
come se ne possano individuare due tipi:

Sistemi a semplice flusso per estrazione, costituiti da un unico ventilatore
a funzionamento continuo a cui confluisce sia l’aria viziata dai locali
“sporchi” (bagni e cucina) sia i prodotti della combustione dell’eventuale
apparecchio di cottura con sorveglianza di fiamma (cioè con chiusura
automatica dell’erogazione di gas in caso di spegnimento della fiamma, ad
esempio per tracimazione di una pentola o per una corrente d’aria) dotato di
cappa priva di proprio ventilatore e da opportuni dispositivi di tipo
autoregolante o igroregolabile che richiamano aria dai locali “nobili”
(soggiorno e camere da letto).

Sistemi a doppio flusso realizzati grazie ad una doppia rete aeraulica
collegata a due ventilatori distinti che realizzano mandata d’aria di rinnovo
nelle stanze “nobili” e ripresa dell’aria dalle stanze “sporche

Il paragrafo specifica poi che, nel caso ci sia un apparecchio di tipo C e/o un
apparecchio di cottura con sorveglianza di fiamma, il locale di installazione
non necessita di aperture di ventilazione. Tale fatto però non permette di
assicurare una corretta espulsione di aria in un locale riconosciuto quale con
maggior emissione di sostanze non salubri. La norma pertanto consente che
non vi sia l’apertura di ventilazione in basso (spesso e volentieri nel periodo
invernale otturata perchè chiaramente fonte di dispersione termica) ma
obbliga ad intercettare il gas in assenza di funzionamento della ventilazione
(VMC spenta). Le figure seguenti indicano la presenza di una elettrovalvola
sulla linea del gas che dovrà essere collegata in qualche modo a un dispositivo
(pressostato) che segnala la mancanza di flusso d’aria o ad una
apparecchiatura elettrica di comando della VMC.
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Esempio di VMC a semplice flusso. Il sistema prevede un unico ventilatore (da UNI 7129)
Esempio di VMC a doppio flusso. Il sistema prevede due ventilatori distinti. (da UNI 7129)
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Ventilazione indiretta
La ventilazione indiretta è consentita purché il locale di installazione
dell’apparecchio di utilizzazione e il locale per l’aria comburente siano entrambi privi
di apparecchi di tipo A
Quando questo tipo di ventilazione è ammesso, il locale per l’aria comburente:

Deve essere messo in comunicazione con il locale di installazione tramite
apertura permanente, realizzata mediante maggiorazione della fessura tra
porta e pavimento o con griglie su porte o pareti divisorie comuni a detti
locali. La sezione utile netta deve essere almeno pari alla sezione utile netta
dell’apertura di ventilazione presente nel locale per l’aria comburente

Non deve essere un locale ad uso bagno, o classificato con pericolo di
incendio (come autorimesse, box), una camera da letto e non deve costituire
parte comune dell’immobile

Non deve essere messo in depressione rispetto al locale da ventilare
Esempio di ventilazione indiretta (da UNI 7129)
L’apertura di ventilazione e/o di aerazione deve essere calcolata; la norma UNI 7129
riporta le formule di calcolo e la diversa casistica in base alla tipologia di impianto,
nonché la presenza o meno di elettroventilatori nel locale o nel locale adiacente.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI
“L’esperienza non dà certezze né sicurezza, ma anzi aumenta la possibilità di errore. Direi che è
meglio ricominciare ogni volta da capo con umiltà perché l’esperienza non rischi di tramutarsi in
furbizia”
…… Achille Castiglioni
IL TECNICO PROGETTISTA
Le responsabilità civili del tecnico progettista
Il geometra, l’architetto, l’ingegnere, ecc.. sono figure che esercitano le cosidette
“professioni intellettuali” regolate dall’art. 2229 e ss del c.c., essi ai sensi dell’art.
1176 c.c. devono svolgere la loro attività nel rispetto della diligenza, con riguardo
alla natura dell’attività esercitata, imponendo loro di adottare tutti quei
comportamenti che si presentano idonei per permettere al committente la migliore
tutela dei propri interessi. Quindi, comportarsi secondo la logica “del buon padre di
famiglia”.
Nella progettazione di una nuova costruzione e/o ristrutturazione di un edificio
esistente, il professionista deve adoperare tutte le sue conoscenze tecniche e
scientifiche, per far sì che gli ambienti da lui progettati e successivamente costruiti
siano salubri per poter permettere al cliente di poterne godere nella sua totalità, senza
alcuna limitazione.
La figura professionale del progettista rientra, come sopra citato, nelle professioni
intellettuali, e la diligenza richiesta non è più quella generica dell’uomo medio, ma
quella specifica del geometra o dell’ingegnere di media diligenza. Infatti, oltre la
diligenza, in questi casi viene anche la perizia, cioè l’abilità tecnica richiesta per
l’esercizio di quella data prestazione professionale. Il geometra, come anche le altre
figure professionali intellettuali, debbono, per essere adempienti, eseguire la
prestazione con la perizia del medio professionista. Se tuttavia, la prestazione
richiede la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità del
professionista per i danni cagionati al cliente è valutata con minor rigore, trovando
quindi, in questo caso, l’ applicazione dell’art. 2236 c.c., “Responsabilità del prestatore
d’opera: se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore
d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”
Lo sviluppo della scienza e della tecnica però hanno ridotto l’ambito di applicazione
di questa deroga, problemi tecnici di speciale difficoltà non esistono quando la
prestazione possa essere eseguita applicando, con la diligenza e la perizia dovute,
predeterminate regole tecniche, proprie di quella data professione. A tal proposito, la
giurisprudenza ha introdotto una presunzione di colpa del professionista per l’ipotesi
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
in cui la prestazione non abbia sortito il risultato, che allo stato attuale della scienza e
della tecnica, era legittimo attendersi.
Il professionista svolge una professione tecnica avente ad oggetto la progettazione, la
direzione ed il collaudo dell’opera, che è il raggiungimento dell’obbiettivo primario
del Committente.
Quando un'opera commissionata, presenta gravi difetti causati da un progetto errato,
dei danni derivanti da tali gravi difetti è chiamato a rispondere non solo l'appaltatore,
ma anche il progettista, ai sensi dell'art. 1669 c.c.. Più precisamente il progettista
risponde dell'errata progettazione; l'appaltatore, invece, va incontro ad una duplice
responsabilità, ovvero risponde:
- sia nell’ipotesi in cui si sia accorto degli errori e non li abbia tempestivamente
denunciati;
- sia nell’ipotesi in cui avrebbe dovuto accorgersene, ma non lo ha fatto.
Si porta un esempio su cui la Suprema Corte è stata chiamata a decidere per un
contratto di appalto stipulato per la costruzione di un’abitazione.
Ad avvenuta consegna dell’immobile si presentavano gravi difetti, dovuti sia ai vizi di
progetto, sia dell’esecuzione dei lavori, di conseguenza i proprietari chiedevano il
risarcimento dei danni subiti, citando in giudizio non solo l’appaltatore ma anche il
progettista.
Il Giudice in prima sentenza condanna solamente l’appaltatore al risarcimento dei
danni, in grado di appello veniva anche dichiarata la responsabilità del progettista.
Si arriva, così in Cassazione, ed i Giudici confermano la sentenza di secondo grado,
riconoscendo la responsabilità ad entrambe le figure coinvolte nella progettazione
(progettista) e nell’esecuzione (appaltatore dell’opera).
I Giudici della Suprema Corte hanno seguito il seguente iter logico-giuridico per
affermare la responsabilità di entrambe le figure: norma focale è quella contenuta
nell’art. 1669 c.c. “Rovina e difetti di cose immobili” dove il Legislatore stabilisce che
“quando si tratta di edifici o cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se nel corso di
dieci anni dal compimento, l’opera per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o
in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei
confronti del Committente e dei suoi aventi causa, purchè sia fatta la denunzia entro un anno dalla
scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia”
Sulla base di tale disposizione normativa, i Giudici della Cassazione con sentenza n°
13882 del 18/06/2014 hanno precisato che la responsabilità per la cattiva esecuzione
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
dell’opera non coinvolge il solo appaltatore, ma anche le altre figure tra le quali il
direttore dei lavori ed il progettista.
La sentenza della Cassazione sopra citata (n. 13882 del 18/06/2014) afferma: “quando
l’opera eseguita in appalto presenta gravi difetti dipendenti da errata progettazione, il progettista
è responsabile, con l’Appaltatore, vertso il Committente ai sensi dell’art. 1669 c.c., a nulla
rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, perché
l’appaltatore ed il progettista , quando con le rispettive azioni od omissioni – costituenti
autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse concorrono in modo efficiente a
produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nell’art. 1669 c.c., si rendono entrambi
responsabili dell’unico illecito extracontrattuale, e rispondono entrambi, a detto titolo, del danno
cagionato. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, specificatamente regolata anche in ordine
alla decadenza ed alla prescrizione, non spiega alcun rilievo la disciplina dettata dagli artt. 2226,
2330 c.c. e si rivela ininfluente la natura dell’obbligazione, se di mezzi o di
risultato, che il professionista assume verso il Cliente committente dell’opera
data in appalto.”
Con questa pronuncia la Suprema Corte, conferma l’obbligo per l’appaltatore e per le
figure coinvolte nella realizzazione dell’opera da eseguire la stessa secondo le regole
dell’arte ed ad assicurare un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente,
in caso contrario tali figure risulterebbero tutte responsabili per vizi imputabili non
solo al progetto, ma anche all’esecuzione.
Le responsabilità penali del tecnico progettista
In edilizia, con l’introduzione delle misure di semplificazione e snellimento dei
procedimenti in materia, il professionista è sempre più chiamato ad autocertificare
sotto la propria responsabilità, la conformità del progetto alla normativa urbanistica,
ai regolamenti locali, alle norme igienico-sanitarie, ecc…
Il professionista in questi casi è “esercente un servizio di pubblica necessità” (figura
prevista dall’art. 359 del codice penale), quindi ha la responsabilità di certificare il
vero nei casi in cui la legge preveda che “il pubblico sia per legge obbligato a valersi”
del suo operato.
Per il rilascio del Permesso di Costruire dalla Pubblica Amministrazione, il Tecnico è
tenuto ad asseverare la conformità dell’opera in progetto alle norme di settore, nei
casi di S.C.I.A., oltre ad asseverare la conformità del progetto alle norme
urbanistiche, igienico – sanitarie, ecc…, attesta anche la conformità dell’opera
eseguita, in sede di fine lavori, al progetto. Nel caso del rilascio del certificato di
AGIBILITA’ degli EDIFICI, l’art. 25 del T.U. dell’edilizia DPR 380/2001 elenca i
documenti necessari a corredo dell’istanza inoltrata ai sensi dell’art. 24 del T.U. che
sono:
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA

richiesta di accatastamento dell’edificio…………

dichiarazione sottoscritta dal richiedente il certificato di agibilità, di
conformità dell’opera rispetto al progetto approvato, nonchè in ordine
all’avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;

dichiarazione da parte dell’impresa esecutrice della conformità degli
impianti…………..
Entro trenta giorni dalla domanda, il Responsabile del procedimento o il
dirigente, verificata tutta la documentazione, rilascia il certificato di agibilità;
decorso inutilmente tale termine, l’agibilità è attestata nel caso sia stato rilasciato
il parere dell’ASL, di cui all’art. 5 comma 3, lettera a), invece in caso di
autocertificazione, il termine per la formazione del silenzio-assenso è di
sessanta giorni.
A tal proposito, si fa presente che ai sensi dell’art. 20 del DPR 380/2001 e successive
modifiche previste dall’art. 5 comma 2, lettera a) Legge 106/2011, ad oggi, il parere
igienico sanitario viene soltanto più rilasciato dalle Competenti ASL
solamente ai casi in cui si renda necessario una valutazione tecnico
discrezionale per tutte quelle attività per le quali non sono disciplinate da
leggi vigenti specifiche, in tutti gli altri casi ci si deve avvalere
dell’autocertificazione del progettista. Esso, nel redigerla, attesta la conformità
alle norme igienico e sanitarie vigenti in materia, a tutela della SALUTE delle
persone che occuperanno i locali oggetto di intervento edilizio.
Il professionista in caso di “falsa attestazione” è punito penalmente dall’art. 481 c.p..
Le responsabilità civili del direttore dei lavori
Diversa è la situazione in cui il professionista rivesta solamente la figura del direttore
lavori, in quanto egli contrae un’obbligazione di mezzi che consiste in uno specifico
impegno del professionista nell’assolvere le mansioni assegnate con la diligenza
necessaria e richiesta per garantire la corretta esecuzione dell’opera.
Nell’ambito della direzione lavori, quando si parla di diligenza richiesta al
Direttore dei Lavori per il controllo dell’esecuzione dell’opera, si fa riferimento
all’esercizio di particolari e peculiari competenze tecniche che presuppongono
un’applicazione di risorse intellettive ed operative commisurate all’opera da eseguire.
La giurisprudenza consolidata in materia di direzione lavori afferma che rientrano
nelle competenze specifiche delle obbligazioni assunte dal direttore dei lavori non
soltanto l’accertamento di conformità dell’opera al progetto, ma anche l’esecuzione di
tutti i lavori in modo conforme al capitolato d’appalto, alle norme tecniche,
includendo anche tutti gli accorgimenti necessari a garantire la corretta funzionalità
dell’opera, oltre alla completa rispondenza amministrativa dell’eseguito. Ne deriva,
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
quindi che se l’obbligazione del direttore dei lavori risulti chiaramente
individuata come un’obbligazione di mezzi, questo non limita l’ambito di
competenza del suo incarico al solo controllo di conformità delle opere
rispetto al progetto ed alla normativa, ma anche all’individuazione ed alla
correzione di eventuali carenze progettuali che precludano la corretta
esecuzione dell’opera.
La Cassazione conferma che l'obbligazione di mezzi del direttore dei lavori consiste
nel vigilare sull'esecuzione dell'opera, impartendo all'appaltatore le disposizioni
opportune, con la relativa responsabilità solidale per i vizi dell'opera stessa in caso di
mancata correzione degli errori compiuti dall'imprenditore anche in fase progettuale.
Il caso riguardava un condominio che evocava in giudizio un appaltatore e un
ingegnere, nella loro rispettiva qualità di costruttore e di direttore dei lavori del
fabbricato condominiale, chiedendo la condanna, in solido, al pagamento della
somma necessaria per eliminare i vizi dello stabile. Secondo la sentenza del merito
oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione il direttore dei lavori è
chiamato a rispondere degli effetti dannosi derivanti da carenze progettuali essendo
tenuto all'individuazione ed alla correzione di tali eventuali carenze e a vigilare
affinché
l'opera
sia
in
concreto
realizzata
senza
gravi
difetti.
Secondo la Suprema Corte: "il direttore dei lavori, responsabile tecnico dell'opera e dei tempi
tecnici di realizzazione dei lavori, ha la direzione e l'alta sorveglianza dei lavori con visite periodiche
nel numero necessario a suo esclusivo giudizio, per accertare la regolare esecuzione dei lavori e per il
collaudo dei lavori stessi. Il direttore dei lavori deve, dunque, garantire il risultato di una regolare
realizzazione dell'opera (v. Cass., 24 aprile 2008, n. 10728)." Vedi anche Cass. Civ. Sez. II
del 27/01/2012 n. 1218
Nella maggior parte dei casi però il progettista riveste anche la figura di direttore dei
lavori e di collaudatore, quindi non si può più ritenere che sia solamente
un’obbligazione di mezzi, ma una vera e propria obbligazione, in quanto è ricondotta
ad ottenere un preciso risultato, raggiunto tramite un preciso contratto d’appalto. In
caso di difetti nella costruzione o nel mancato raggiungimento dell’obiettivo, il
Committente, ai sensi dell’art. 1460 del c.c., potrebbe anche avvalersi dell’eccezione
dell’inadempimento e quindi rifiutarsi di corrispondere il dovuto compenso al
professionista.
Le responsabilità penali del direttore dei lavori
Il direttore dei lavori si occupa della fase esecutiva dell’intervento edilizio ed in tale
veste egli deve verificare che l’opera venga realizzata in conformità al Permesso di
Costruire e secondo le modalità in esso indicate. Egli deve accertarsi costantemente
della rispondenza dell’opera realizzata a quella approvata, ed è tenuto inoltre, a
sincerarsi che il titolo abilitativo esista e che sia legale, altrimenti ne risponde di mera
colpa, per non aver verificato che l’opera oggetto della sua direzione sia
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legittimamente realizzabile. L’art. 29 del T.U. cita “ il titolare del permesso di costruire, il
committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente
capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché,
unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso ed alle modalità esecutive stabilite dal
medesimo.”
Il direttore dei lavori, sempre secondo l’art. 29 comma 2 del T.U., non è responsabile
se egli ha contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni contenute nel
permesso di costruire e, contestualmente ha comunicato al dirigente o responsabile
dell’ufficio tecnico comunale competente motivata comunicazione della violazione
commessa. In caso di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso
di costruire, egli deve rinunciare all’incarico con contestuale comunicazione al
responsabile del procedimento dell’ufficio comunale.
Diversamente, il dirigente o responsabile dell’ufficio comunale competente dovrà
segnalare al consiglio dell’ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è
incorso il direttore dei lavori, il quale sarà passibile di sospensione dall’albo
professionale per un periodo che va dai tre mesi ai due anni. Il recesso tempestivo
dalla direzione lavori è pienamente scriminate per il professionista.
Il direttore dei lavori, invece è responsabile nei casi di irregolare vigilanza
sull’esecuzione delle opere edilizie, avendo egli l’obbligo di sovrintendere con
necessaria continuità quelle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità
tecnica.
Giurisprudenza in merito Cass, pen. Sez. 3 sent. 23/06/2009 n. 34879; – Cass. Pen.
Sez III sent del 20/01/2009 n. 14504.; - Cass. Pen. Sez. III sent. del 26/04/1994 n.
4779; Cass. Pen. Sez. III sent. Del 17/12/2002 n. 1974.
Ruolo e responsabilità del progettista e direttore lavori nella salubrità degli
ambienti
Il professionista tecnico, nella progettazione degli ambienti confinati, quali una casa
d’abitazione, uffici, ecc…., cioè di tutti quegli ambienti ove le genti occupano per
circa l’80%- 90% del tempo, deve prestare la massima diligenza e perizia, con l’ausilio
della scienza e della tecnologia messa a disposizione dal progresso tecnologico, nelle
varie fasi progettuali, ed esecutiva dell’opera, nella scelta dei materiali da costruzione
e di finitura degl’ambienti, in modo tale che il costruito non vada a compromettere la
salute degli occupanti. Si ricorda che il bene della salute è tutelato dall’art. 32 della
Costituzione, non solo nell’interesse della collettività, ma anche come diritto
fondamentale dell’individuo. Il professionista che attesta a fine lavori: la conformità
del progetto alle norme igienico-sanitarie, alla rispondenza del costruito con il
progetto approvato tramite lo specifico titolo abilitativo, all’avvenuta prosciugatura
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dei muri, in quel momento attesta anche che “non sussistono altre cause di
insalubrità degli ambienti”.
Il termine di “insalubrità” : condizione di ciò che è insalubre, mancanza di salubrità ad es.
dell’aria, degli ambienti, del territorio”
Secondo l’attuale normativa un edificio è abitabile quando è costruito secondo
progetti che ne assicurano la staticità, l’igienicità, la sicurezza degli impianti ivi
installati. L’aspetto dell’igienicità è sempre stato garantito rispettando le attuali norme
igienico – sanitarie che dettano specifici parametri di superficie, di aerazione e di
illuminazione, di altezze interne minime dei locali.
Negli ultimi anni, con l’avanzare della scienza, sono cambiate le tecniche e le
tipologie costruttive, i materiali da costruzione, che con l’avanzare della tecnologia e
dell’industrializzazione, sono sempre più utilizzati materiali di origine chimica meno
costosi e più durevoli di quelli di origine naturale, l’affollamento delle città, del modo
di conduzione dell’abitazione, hanno reso gli edifici una fonte insospettata di
patologie tale da richiedere una reinterpretazione e/o ridefinizione del concetto di
salubrità.
All’inizio degli anni ’80 si inizia a parlare della “Sindrome da Edificio Malato” Sick
Building Sindrome (SBS) e quella della “Sindrome da Sensibilità a molteplici
Agenti Chimici”, appena più tardi si inizia a parlare delle Malattie Associate agli
Edifici “Building Related Illness” (BRI)
Le “Malattie associate agli edifici”, includono patologie che hanno un quadro clinico
ben definito e per le quali può essere identificato uno specifico agente causale
nell’ambiente costruito; l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato una
delle possibili cause della SBS legati alla qualità dell’aria, carente nel 30% delle
costruzioni e negli ambienti di lavoro.
Una sindrome ha molte cause che vanno ricercate caso per caso e risolte, i difetti
nelle costruzioni si riflettono sulla comparsa o sul mancato controllo di alcuni
elementi, non esaustivi in quanto la scienza è in continuo studio di ulteriori elementi
– causa – scatenanti, che si possono riassumere in: polveri, allergeni, Radon e
radioattività, composti organici volatili – VOC e formaldeide, batteri e muffe,
luce – aerazione, rumore.
Va da sé, che il professionista tecnico, quale progettista, direttore dei lavori di un
edificio, ha un ruolo cardine per la tutela della salute delle persone che occuperanno
tali ambienti confinati. Esso, con l’attestazione di agibilità diventa garante della
salubrità dell’edificio costruito.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
Esso con l’uso della diligenza e della perizia, della conoscenza degli effetti che hanno
sulla salute alcuni materiali da costruzione, ecc… dovrà informare il committente del
grado di nocività dei materiali edili, accertarsi se sul suolo ove nascerà la costruzione
vi può essere la presenza di gas radioattivo (radon), informarlo dei danni che
producono le polveri, la muffa, ecc.., l’inadempimento lo espone a responsabilità
civili, penali e disciplinari.
Un aspetto da non sottovalutare che crea non pochi problemi alla salute, e sempre
più in crescita nelle abitazioni, è la formazione di muffe.
La loro formazione è legata all’umidità eccessiva di un ambiente, la quale può essere
legata ad umidità di risalita, o per una infiltrazione d’acqua, oppure per un errato
isolamento termico dell’edificio, o ad un’errata conduzione dell’immobile da parte
dell’utente.
La legislazione vigente in materia di consumo energetico, impone al progettista di “
verificare l’assenza di condensazioni superficiali e che le condensazioni interstiziali delle pareti
opache siano limitate alla quantità rievaporabile secondo la normativa vigente” , inoltre specifica
che “ qualora non esista un sistema di controllo dell’umidità relativa interna, per i calcoli necessari
si assumono i valori UR 65% e T 20°C”. In sostanza, un edificio realizzato o riqualificato
secondo i criteri della vigente normativa in materia di consumo energetico, non
dovrebbero presentarsi muffe.
In realtà, oggi sono sempre più in crescita i contenziosi legati alla presenza di muffe
negli edifici, quindi relativi a problemi igrometrici. Tali contenziosi si “giocano
sull’interpretazione” delle regole dettate dell’arte definite da leggi e norme recenti ,
dove i limiti da rispettare sono stati assenti per un lungo periodo.
Nel 2003 con l’emanazione delle norme UNI EN ISO 13788, e successivamente con
l’emanazione del D.Lgs 192/2005, D.Lgs 311/2006 e s.m.i. sono stati introdotti dei
criteri più rigorosi per la verifica dell’assenza di condensazioni
superficiale/interstiziale.
Per capire a chi va imputata la responsabilità per la formazione delle muffe, se in
capo al proprietario/conduttore dell’immobile, al progettista e/o direttore dei lavori,
all’impresa esecutrice, bisogna analizzare diversi fattori:



i calcoli di progetto che dal 2005 la verifica di assenza di condensazione deve
essere verificata secondo la UNI EN ISO 13788;
l’esistenza di verifiche termo igrometriche eseguite anche in prossimità dei
ponti termici, noti per avere una temperatura superficiale più bassa;
la rispondenza tra il progetto e l’opera eseguita in quanto molte volte
l’isolamento termico è previsto nel progetto, ma successivamente non è stato
correttamente eseguito;
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA


l’utilizzo degli alloggi da parte dell’utenza le modalità di conduzione
dell’immobile da parte dell’utenza può avere un notevole influsso sui
fenomeni di degrado che possono verificarsi al suo interno, come il
mantenimento di condizioni di umidità molto alto in concomitanza con
l’abbassarsi delle temperature, tipo nelle ore notturne, può provocare una
notevole condensazione allì’interno dei locali;
l’esistenza o meno di un impianto di ricambio dell’aria negli ambienti.
Se in sede di rilievi e verifiche sulle cause della formazione della condensazione e
delle muffe, risulta che il progettista non ha eseguito le verifiche di legge
secondo il metodo della norma UNI EN ISO 13788 ed i ponti termici non
risultano verificati, egli può essere di fatto chiamato in causa ai fini della
responsabilità.
Anche il Direttore dei Lavori, ne risponde se è dimostrato che non ha verificato la
corretta esecuzione dell’isolamento termico previsto in progetto.
Se i “difetti sono gravi” ed incidono in maniera sensibile sul godimento
dell’immobile, come citato nella parte iniziale della presente, esso risponde in solido
con l’appaltatore dei danni cagionati al committente (art.1669 c.c.).
E’ da ricordare, che umidità e presenza di muffe nei muri, è motivo valido per far
venir meno i requisiti di agibilità e abitabilità , non di meno che se è dimostrato da
cartelle cliniche che è stato compromesso lo stato di salute delle persone che
dimorano all’interno di tali locali, secondo l’orientamento intrapreso dalla
Giurisprudenza negli ultimi anni, può essere chiamato a rispondere anche dei danni
non patrimoniali.
Un'altro aspetto da non sottovalutare, visto l'orientamento della Giursprudenza in
merito, è l'inquinamento acustico, aspetto molte volte sottovalutato sia in sede di
progettazione che di esecuzione di un'opera.
La legge quadro 26/10/1995 n. 447 definisce inquinamento acustico “l'introduzione
di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al
riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni
materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno o tale da interferire con le
legittime fruizioni degli ambienti stessi”. Di fondamentale indicazione è la dizione “pericolo
per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti,
dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli
ambienti stessi” in quanto esplicita chiaramente che l’inquinamento acustico può recare
pericolo alla salute umana nonché interferisce con le legittime fruizioni dell’ambiente.
Nel caso di abitazioni è palese che un’abitazione costruita senza tener conto
dell’isolamento acustico risulta viziata.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
Con il DPCM 5/12/1997 emanato in forza all’art. 3 comma 1 lettera e) della L.
447/95, si sono determinati i requisiti acustici passivi degli edifici e delle sorgenti
sonore interne; è utile specificare che il D.P.C.M. è in vigore dal febbraio ‘98 in
quanto con la Sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 2013, è stata
dichiarata illegittima l'applicazione della Legge 96/2010 detta la “Comunitaria”, che
prevedeva l'esonero per i fabbricati costruiti tra il dicembre 71997 al 20/07/2009 dal
rispetto dei requisiti di isolamento acustico.
L'orientamento della Giurisprudenza colloca tra i “vizi gravi” la mancanza di
isolamento acustico negli edifici, collocando il progettista/direttore dei lavori e
l'impresa esecutrice tra le figure responsabili, e ne rispondono in base al già più volte
citato art. 1669 del c.c.. (sentenza del Tribunale di Brescia n 2644 del 05/08/2014)
In mancanza di specifiche conoscenze tecniche nel campo acustico da parte del
progettista architettonico, bisogna avvalersi di un progettista acustico il quale, ne
risponderà in prima persona nel caso in cui le indicazioni riportate nel progetto e
messe correttamente in opera risultino insufficienti per il rispetto del decreto sopra
citato (vedi sentenze Cass. n. 7550 del 27.08.94, n. 8904 del 28.10.94, n.10719 del
11.08.00)
In conclusione, il professionista tecnico del costruire, deve informare e rendere
edotto il cliente di tutti i rischi sulla salute che possono derivare dall'utilizzo
di materiali nocivi per la costruzione della Sua casa, di quel “luogo ove la persona
può abitare, sentirsi a proprio agio, il luogo dell'anima” e non essere luogo ove ammalarsi.
IL PROPRIETARIO – CONDOMINIO
Definizioni
Proprietà: Diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e con l’osservanza degli obblighi di godere e disporre delle cose in modo pieno
ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico dall’ordinamento giuridico
Condominio: s. m. [dal lat. mod. condominium, comp. del lat. con- e dominium
«dominio»]. – Diritto di proprietà comune a più persone, comproprietà. In partic., c.
degli edifici, istituto giuridico per cui più soggetti, accanto alla proprietà spettante
singolarmente a ciascuno sul proprio piano o sulla propria porzione di piano, hanno
la comproprietà su alcune parti comuni dell’edificio, quali il suolo, le fondamenta, i
muri maestri, i tetti, le scale, i cortili, i locali per la portineria, ecc.: palazzo in c.;
regolamento di c.; spese di c., le spese inerenti alla conservazione, manutenzione e
uso delle parti comuni della proprietà (anche con uso assol.: rata di c.; pagare il c.,
cioè le spese di condominio). Con sign. concr., l’edificio stesso oggetto di
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
condominio: abitare in un c.; un lussuoso c.; talvolta, anche, l’insieme dei condòmini:
l’assemblea del condominio.
Amministratore: s. m. (f. -trice) [dal lat. administrator -oris, der. di administrare
«amministrare»]. – Chi amministra, chi ha cioè la gestione, e cura il buon andamento,
degli affari, pubblici o privati, di una società, di un ente, di un’azienda, ecc., o anche
dei proprî: un buon a., un saggio a.; essere un ottimo a. del proprio patrimonio, dei
proprî beni; l’a. di un condominio; l’amministratrice del collegio; gli a. dell’ospedale,
ecc.; a. delegato, componente del consiglio di amministrazione di una società per
azioni, al quale il consiglio stesso delega le proprie attribuzioni; a. apostolico,
ecclesiastico incaricato dalla S. Sede di reggere in via straordinaria e a suo nome una
diocesi, o parte di essa, permanentemente o temporaneamente (per es., in caso di
sede vacante). Nel diritto, l’amministratore si definisce come la persona fisica per il
cui tramite la persona giuridica manifesta la propria volontà ed entra in relazioni
giuridiche con gli altri soggetti.
Affittuario: s. m. (f. -a) [dal lat. mediev. affictuarius, der. di affictus -us «affitto»]. –
Colui al quale, nel contratto di affitto, viene dato in locazione un bene produttivo,
per lo più un immobile, una casa o un podere.
Queste sono le definizioni che l’Istituto Trecani dà alle figure che rientrano in un
complesso edilizio, a seconda della situazione, sia quali datori di lavoro, nel caso di
conferimento di lavori a terzi, o gravati di responsabilità più o meno gravi a seconda
delle problematiche.
DL.VO 81/2008 – Datore di lavoro
L'art. 2 comma 1 lett. B del D. L.vo 09/04/2008 n. 81 definisce il datore di lavoro
quale "soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore", o comunque "il soggetto che,
secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività,
ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri
decisionali e di spesa".
Per cui il datore di lavoro è il soggetto che conferisce l'incarico lavorativo
(indifferente che venga affidato a un soggetto privato od a una ditta), ne cura
l'esecuzione e ne paga il corrispettivo.
Questa figura ha come incombenza, ai sensi di quanto previsto dall'art. 26 comma 1
lett. A del D. L.vo 81/2008, "alla verifica dell'idoneità tecnico-professionale delle imprese
appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in
appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione". In pratica il datore di lavorocommittente, prima di affidare un incarico lavorativo, deve accertarsi che la ditta
appaltatrice abbia le competenze tecniche per eseguirlo.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
In caso contrario gli verrebbe attribuita la cosiddetta "culpa in eligendo".
L’amministratore di condominio assume la figura di “datore di lavoro” quando
trattasi di lavori da eseguirsi per il condominio, per quel che riguarda le parti comuni,
assumendosi agli effetti del D.Lvo 81/2008 oneri ed onori al pari di un proprietario.
Ma essendo il fabbricato costituito da evidenti particolarità (quali aree comuni, ecc.),
oltre alle verifiche sulla verifica delle imprese, dovrà "fornire agli stessi dettagliate
informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure
di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività" (D. L.vo 81/2008, art.
26 comma 1 lett. B).
In caso contrario egli risponderà direttamente per tali ed altre simili omissioni, ai
sensi dell'art. 55 del D. L.vo 81/2008, principio ribadito dalla Corte di Cassazione
(sentenza 42347/2013), che ha ricordato appunto come "l'amministratore di un
condominio assuma la posizione di garanzia propria del datore di lavoro nel caso in cui proceda
direttamente all'organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio
stesso", mettendo in evidenza che, avviene anche nel caso di lavoro affidato in appalto,
in quanto "tale evenienza non lo esonera completamente da qualsivoglia obbligo, ben potendo egli
assumere, in determinate circostanze, la posizione di committente ed essere, come tale, tenuto quanto
meno all'osservanza di ciò che è stabilito dall'art. 26 d.lgs. 81/2008".
La responsabilità dell'amministratore per la violazione delle norme dettate in materia
di sicurezza sul lavoro, però, è ristretta al caso in cui egli affidi l'incarico lavorativo in
piena autonomia, assumendosi pertanto le conseguenze dei poteri decisionali così
impiegati. Diverso invece è il caso in cui l'appalto di uno o più lavori venga dato
dall'amministratore in virtù di una precisa delibera dell'assemblea di condominio. In
questo caso l'amministratore non ha autonomia né decisionale né operativa e, quale
mandatario dell'assemblea, è per legge tenuto a dare esecuzione alla decisione da
questa assunta, esonerandolo dalle responsabilità connesse.
Ove l'amministratore venga chiamato a rispondere penalmente della violazione dei
precetti sanciti dal D. L.vo 81/2008, il Giudice, ricorda la Cassazione nella sentenza
42347/2013, dovrà "considerare, però, che lo stesso ha agito nella peculiare qualità di
amministratore di un condominio", proseguendo "si tratta di circostanza di decisivo rilievo ai fini
dell'affermazione di penale responsabilità, non potendosi prescindere dal ruolo effettivamente svolto
dall'amministratore nella stipulazione del contratto e nella sua successiva attuazione, considerando
anche l'ambito di autonomia di azione di cui egli eventualmente disponeva ed i poteri decisionali
concretamente attribuiti".
Pertanto nessuna sanzione penale per l'amministratore che viola le norme dettate dal
D. L.vo 81/2008 se l'illecito è commesso in esecuzione di una valida delibera
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
dell'assemblea condominiale cui egli era tenuto a dare esecuzione senza margini di
discrezionalità ed autonomia.
Obblighi dell’amministratore di condominio
Se il proprietario è per definizione una persona che agisce in conto proprio alla
definizione delle varie azioni che possono interessare i beni (essendo suoi ne può
disporre a piacimento), un affittuario, per contro, può interagire con un bene solo
seguito di permesso da parte del proprietario, figura diversa risulta essere un
condominio dove ogni proprietario/affittuario agisce in prima persona per le cose di
loro appartenenza esclusiva, mentre differente risulta essere la libertà di agire in
relazione ad un bene di cui ha solo una quota di proprietà ed in comune con altre
persone. Pertanto il legislatore ha previsto l’’istituzione di una figura professionale
formata ed informata atta allo scopo: l’amministratore di condominio.
Alla luce di quanto espresso dalle norme in materia e di settore, un committente può,
oltre essere identificato con persona, essere un condominio, nella fattispecie
rappresentato dal suo amministratore che deve sottostare a quanto dettato dalla
Riforma del Condominio aggiornato alle modifiche del Decreto Destinazione
Italia D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito con Legge 21 febbraio 2014, n. 9) il
quale riporta le mansioni dell’amministratore, in cui sono state attribuite specifiche
mansioni.
Codice Civile
Art. 1117 - Parti comuni dell’edificio
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari
dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario
dal titolo:
1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge
l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici
solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le
facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la
portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti
destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune,
come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi
centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il
riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per
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l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo,
e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale
dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza,
salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche
Art. 1117-bis - Ambito di applicabilità (Multiproprietà)
Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in
cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di
edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117.
Art. 1118 - Diritti dei partecipanti sulle parti comuni
Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga
altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene.
Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni.
Il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la
conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della
propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali.
Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento
o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di
funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante
resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione
straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma.
Art. 1120 - Innovazioni
I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136,
possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo
o al maggior rendimento delle cose comuni.
I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136,
possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad
oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e
degli impianti;
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il
contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati
a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonché per la produzione di energia
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mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque
rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un
diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie
comune;
3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per
l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo,
e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli
impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della
cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.
L’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta
anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al
precedente comma. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico
e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza,
l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le
necessarie integrazioni Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla
stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che
rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di
un solo condomino
Art. 1122 - Opere su parti di proprietà o uso individuale
Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate
all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso
individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti
comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro
architettonico dell’edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce
all’assemblea.
Art. 1124. - Manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori
Le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità
immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del
valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura
proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo
Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si
considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i
lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune.
Art. 1130 - Attribuzioni dell’amministratore
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L’amministratore, oltre a quanto previsto dall’articolo 1129 e dalle vigenti
disposizioni di legge, deve:
2) disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune,
in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini;
4) compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio;
5) eseguire gli adempimenti fiscali;
6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei
singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento,
comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna
unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti
comuni dell’edificio. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata
all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni.
L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni,
richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di
anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta,
l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai
responsabili;
8) conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al
rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del
condominio;
Art. 1135 - Attribuzioni dell’assemblea dei condomini
Oltre quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede:
4) alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo
obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori; se i
lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento
graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere
costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti. L’amministratore non può
ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente,
ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.
L’assemblea può autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti,
programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati
qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili
nonché di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il
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recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la
sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato.
Leggi Speciali
Legge 9 gennaio 1989, n. 13 - Art. 2, comma I
2. 1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici
privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’articolo 27, primo
comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1, primo comma, del
decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la
realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a
favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate
dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le
maggioranze previste dal secondo comma dell’articolo 1120 del codice civile.
Legge 9 gennaio 1991, n. 10 - Art. 26, comma II
Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo
energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1, individuati
attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata
da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate
con la maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in
assemblea
Legge 9 gennaio 1991, n. 10 - Art. 26, comma V
5. Per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di
contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento
in base al consumo effettivamente registrato, l’assemblea di condominio delibera con
le maggioranze previste dal secondo comma dell’articolo 1120 del codice civile.
DECRETO-LEGGE 23 gennaio 2001, n. 5
Al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di
radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono
innovazioni necessarie ai sensi dell’articolo 1120, primo comma, del codice civile. Per
l’approvazione delle relative deliberazioni si applica l’articolo 1120, secondo comma,
dello stesso codice. Le disposizioni di cui ai precedenti periodi non costituiscono
titolo per il riconoscimento di benefici fiscali.
Responsabilità
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Con l’evoluzione delle norme, anche in relazione alla complessità delle stesse, ha dato
origine ad una difficoltà oggettiva nel dirimere le controversie nate tra le varie figure
a vario titolo, fatto che ha comportato un aumento delle cause civili in maniera
esponenziale, demandando così alle corti di giustizia l’onere di stabilire le varie
responsabilità. Un’ampia letteratura in materia giuridica risulta essere quella
riguardante il condominio. Come summenzionato un proprietario, se in regola con la
documentazione urbanistica, non ha particolari responsabilità che possono essergli
ascritte, ad esclusione di quanto relativo al D.L. 81/2008.
Rapporti perlomeno problematici possono scaturire all’interno di un complesso
edilizio, dove non è solo una persona ha facoltà di intervenire a livello urbanistico,
ma soprattutto dove bisogna far coincidere le necessità di più attori, a volte
possessori di beni ad uso comune. Non di rado si ha menzioni di cause intentate da
inquilini nei confronti del condominio. Ma quali sono le ingerenze attribuite ai vari
attori?
Le situazioni avutesi sono molteplici ed ognuna ha dato origine ad una attribuzione
di colpa.
Condominio
Nel caso di infiltrazioni è stato ritenuto il condominio responsabile (Sentenza
Tribunale di Monza il 7 maggio 2013 n. 1230) ai sensi dell’art. 2051 del c.c., sia per i
danni patrimoniali che non patrimoniali (questi ultimi meglio conosciuti ai più, anche
se impropriamente, come danni morali) derivati dalle parti comuni verso i condomini
anche se gli stessi sono causati da gravi difetti di costruzione imputabili
all'Impresa. Contro di questa il condominio ha il diritto di agire (in queste situazioni
anche in rivalsa) ai sensi dell’art. 1669 del c.c.
In merito alla causa in questione, a meno di accordi diversi, i condomini dovranno
essere risarciti dal condominio che a sua volta dovrà essere risarcito dall'impresa. Se
ciò non avviene, i condomini possono agire solamente contro il condominio così
come quest'ultimo può agire contro la succitata impresa ai sensi art. 1669 c.c. Inoltre
l’azione può essere intrapresa anche dal singolo condomino verso l'impresa
costruttrice in alternativa all'azione contro la compagine ed indipendentemente dal
fatto che lo stesso abbia acquistato l'unità immobiliare direttamente dal costruttore,
ciò perché la norma citata, come ha detto la Cassazione e ricordato il Tribunale di
Monza, ha natura extracontrattuale.
La responsabilità del condominio, in sentenza si legge che la compagine è sempre
responsabile dei danni provenienti dalle parti comuni e, anche se i danni (nel caso di
specie le infiltrazioni) sono stati originati da gravi difetti costruttivi, non può essere
equiparata al caso fortuito, che per altro rappresenta l'unica ipotesi di esonero dalla
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responsabilità oggettiva per cose in custodia ex art. 2051 c.c. che recita: “Ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”
Dai danni alle abitazioni, sempre secondo la sentenza, possono discendere anche
danni di natura non patrimoniale per le persone che vi abitano, prendendo spunto
dalla sentenza n. 26972 del 15.11.2008 (sul così detto danno esistenziale) e
passando per la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali riconosce dignità di diritto fondamentale alla proprietà che quindi
dev'essere tutelata da ogni forma di aggressione ingiustificata (come per altro si è
espresso in tal senso Trib. Firenze, 21 gennaio 2011 n. 147). Le infiltrazioni
rappresentano una forma di danno ingiusto e se da queste discende un non
trascurabile disagio nel godimento del bene, allora il diritto di proprietà deve ritenersi
leso e di conseguenza deve considerarsi esistente un danno non patrimoniale per il
titolare di quel diritto. In ogni caso sarà sempre il giudice a dover apprezzare la
lesione di diritti ed interessi.
Sulla stessa linea risulta essere stato il Tribunale di Vercelli in data 12.02.2015 nella
Sentenza ha constatato la responsabilità dei danni provocati all'immobile è
direttamente riconducibile al condominio e al proprietario, in questa causa, del
lastrico solare in via solidale (art. 2055 c.c.), non trovando ingresso, nella fattispecie,
la previsione di cui all'art. 1126 c.c., in quanto riconducibile esclusivamente al piano
di riparto delle spese interno alla compagine. Inoltre i danneggiati, cioè i proprietari
dell'appartamento interessato dalle infiltrazioni, possono chiedere in giudizio nei
confronti dei responsabili sia il danno emergente (cioè il rimborso delle spese
necessarie per la riduzione in pristino dell'immobile), sia il danno non patrimoniale,
legato alla minore godibilità e/o sfruttamento del proprio appartamento, definendo i
criteri per la quantificazione sia con il “tempo” di persistenza delle infiltrazioni
che in merito alla “dimensione dell'immobile” in rapporto dei vani interessati
ai fenomeni di degrado.
Ulteriore sentenza a carico del condominio risulta essere quanto espresso dalla Corte
Suprema di Cassazione, III Sez. Civ., n. 21938/2015 la quale ha definito che, a
seguito di lavori sulle parti comuni il condominio è comunque responsabile ai sensi
dell’art. 2051 c.c., a meno che non presenti la prova liberatoria richiesta dall’articolo
stesso.
In questo caso risultava evidente una carenza costruttiva che ha provocato il danno
dovuto alle infiltrazioni. Ma se i danni fossero ad esempio causati da una forte
pioggia, il condominio risulta essere responsabile? Può essere considerato un evento
fortuito ai sensi dell’art. 2051 c.c.?
Ebbene, anche in questo caso è intervenuta una sentenza che si è espressa in forma
positiva, sempreché il fatto sia cagionato da fattori esterni tali da non essere
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controllabili, e che i danni venutisi a creare siano riconducibili solo all’evento. Nella
fattispecie, la S.C. ha affermato che “una pioggia di eccezionale intensità può costituire caso
fortuito in relazione ai danni riportati dai proprietari di appartamenti inondati da acque tracimate
a causa di tale evento, a condizione che l'ente preposto provi di aver provveduto alla manutenzione
del sistema di smaltimento delle acque nella maniera più scrupolosa e che, nonostante ciò, l'evento
dannoso si è ugualmente determinato)" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5658 del 09/03/20109)"
(Cass. 8 maggio 2013, n. 10898).
Ma ritorniamo al nostro condomino. Ora questi lamenta una serie di infiltrazioni
d'acqua all'interno del suo appartamento, conseguenti allo stato di deterioramento di
parti comuni dell'edificio condominiale, nello specifico da un difetto di manutenzione
delle parti in questione.
In sentenza il Giudice, alla luce di alcune pronunce della Suprema Corte, richiama il
principio secondo il quale il condominio è “custode dei beni e dei servizi comuni, obbligato
ad adottare tutte le misure necessarie affinché gli stessi non rechino pregiudizio ad alcuno” e di
conseguenza “ai sensi dell'art. 2051 c.c. risponde dei danni da quei beni cagionati alla porzione
di proprietà esclusiva di uno dei condomini” (ex multìs Cass. n. 26051/2008).
Il Giudice quindi applica la disciplina dettata dall'art. 2051 del codice civile, articolo
sovente usato per la responsabilità delle Pubbliche Amministrazioni per danni da
cose in custodia, altresì alla disciplina inerente il condominio, ma poiché risulta essere
una responsabilità avente carattere oggettivo, affinché essa possa in concreto
configurarsi, è necessario che l'attore dimostri il verificarsi dell'evento dannoso ed il
nesso di causalità, adducendo ad esempio perizie (materiale utilizzato all’epoca,
inesistenza impermeabilizzazioni, ecc.) ai sensi dell’art. 1117 c.c., oltre che la struttura
in questione deve essere configurata “comune” ai sensi dell’art. 880 c.c.
Ulteriore problematica. In linea di principio il lastrico solare di uno stabile, ai sensi
dell'art. 1117 c.c., è un bene di proprietà comune, salvo diversa indicazione del titolo,
pertanto può anche essere di proprietà esclusiva o di uso esclusivo. In tali casi le
spese per la sua manutenzione e ricostruzione sono regolate dall'art. 1126 c.c. a
mente del quale “Quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i
condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle
riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini
dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o
della porzione di piano di ciascuno.”
La norma è considerata applicabile anche a:
1) lastrici in uso esclusivo e di proprietà comune;
2) lastrici in uso esclusivo e di proprietà esclusiva;
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3) terrazza a livello in uso esclusivo e di proprietà comune e in uso esclusivo e di
proprietà esclusiva;
4) in generale tutte le superfici assimilabili purché in uso esclusivo.
A seguire si farà riferimento al lastrico solare, ma, quanto detto varrà anche per tutte
le altre ipotesi appena elencate
Il Tribunale ha in primo luogo confermato la corretta proposizione dell'azione in
questione nei confronti del condominio, in persona dell'amministratore
condominiale, in virtù dell'equiparazione al lastrico solare della terrazza a livello
qualora essa assuma anche funzioni di copertura (Cass. civ., 27 luglio 2004, n. 15702;
Cass. civ., 15 luglio 2003, n. 11029, richiamate in motivazione)
L’art. 1126 c.c. disciplina la ripartizione delle spese relative al lastrico solare di uso e
(secondo la giurisprudenza anche) di proprietà esclusiva. Questa norma si applica nei
casi di manutenzione e ricostruzioni dovuti a vetustà: insomma quando è necessario
riparare il lastrico (o il terrazzo) perché "s'è fatto vecchio". Uso o proprietà, ai fini
dell'applicazione della norma, sono la stessa cosa. Per quello di proprietà
comune la ripartizione delle spese è sempre regolata dall'art. 1123 c.c.
Ciò, però, riguarda la ripartizione delle spese per la manutenzione, ma nel
caso di danni che cosa succede?
Alle volte il proprietario, o utilizzatore esclusivo, non può essere chiamato in giudizio
per essere condannato al risarcimento del danno o perché, se chiamato, può andare
esente da responsabilità.
Ma il custode del lastrico di proprietà o di uso esclusivo è il condominio o
l'utilizzatore (o proprietario) esclusivo?
Con sentenza Cass. 30 aprile 2013, n. 10195 ha definito che il lastrico solare svolge
funzione di copertura del fabbricato pertanto l'obbligo di provvedere alla sua
riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto al
condomino che ne abbia la proprietà esclusiva, grava su tutti i condomini e quindi il
condominio quale custode art. 2051 c.c. risponde dei danni che siano derivati al
singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare (Cass.
21/2/2006 n. 3676; Cass. 13/3/2007 n. 5848; Cass. 22/3/2012 n. 4596).
Quanto prescritto dall'art. 1126 c.c., che regola la ripartizione fra i condomini delle
spese di riparazione del lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle
riparazioni dovute a vetustà e non a quelle riconducibili a difetti originari di
progettazione o di esecuzione dell'opera. In tale ipotesi, ove trattasi di difetti
suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilità, sia in ordine alla mancata
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eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via esclusiva al
proprietario del lastrico solare, art. 2051 c.c., e non anche - sia pure in via
concorrenziale - al condominio (Cass. 15/4/2010 n. 9084)"
Per tanto la sentenza conviene che la responsabilità deriva dalla causa del danno e
può essere così sintetizzata: difetti costruttivi sono imputabili al proprietario, per il
resto ad esempio per i difetti manutentivi è necessario verificare se essi sono
conseguenza di incuria del condomino e/o del condominio.
Quindi se il danno deriva da fatti imputabili al proprietario o utilizzatore esclusivo, la
spesa necessaria per la manutenzione e ricostruzione, la riparazione dovuta a difetti
costruttivi originari, com'anche il risarcimento, sono a suo unico carico. (Cass. 15
aprile 2010, n. 9084; Cass. 18 giugno 1998, n. 6060; Cass. 24 agosto 1990, n. 8669)"
(Cass. 19 giugno 2013 n. 15300).
Con sentenza Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 3604 del 17 febbraio
2014 chiamata a dirimere una controversia per danni causati da infiltrazioni dal
lastrico solare.
In primis la proprietà esclusiva del lastrico di copertura dell'edificio (al pari
dell'uso esclusivo) non esime la compagine da responsabilità stante la
funzione precipua di quella parte dell'edificio. Tali responsabilità, tuttavia, non
sono estese ad ogni causa ma solamente a quelle concernenti la struttura. Il difetto di
manutenzione è pertanto imputabile al proprietario.
Non essendo chiaramente possibile ripartire le responsabilità tra le parti, la soluzione
adottata dalla Cassazione, sulla base di una specifica norma (art. 2055 c.c.), è stata la
seguente: quando il fatto dannoso (si badi il fatto dannoso non la causa di tale fatto) è
unitario si sostanzia nel deterioramento dello immobile dei proprietari sottostanti al lastrico sia per
la negligenza del proprietario o utilizzatore in esclusiva con conseguenti obblighi di manutenzione e
vigilanza anche nell'interesse comune, sia per fenomeni di condensa in ordine ai quali il condominio
assume nello interesse comune l'obbligo di provvedere a nuove opere di coibentazione, allora è
legittimo che i proprietari dell'immobile danneggiato esigano la condanna di entrambe le parti a titolo
di responsabilità solidale extracontrattuale "in ordine ad un fatto dannoso imputabile a due
soggetti diversi, ai sensi dello art. 2055 del codice civile Vds. Cass. III CIV. 18
LUGLIO 2002 N. 1043 e CASS. 8 AGOSTO 2007 N. 17397" (Cass. 17 febbraio
2014, n. 3604).
Ma non è solo un’infiltrazione di acqua dall’esterno che può provocare
problematiche: Esiste anche la cosiddetta umidità di risalita. Ci sono inquilini che,
specie in quegli edifici con i box ai piani interrati, lamentano veri e propri
affioramenti di acqua dal pavimento. L'umidità, abbiamo detto, risale dal sottosuolo.
Il suolo è la parte comune sulla quale poggia l'edificio (cfr. Cass. 15 febbraio 2008, n.
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3854). “Il sottosuolo, invece, è costituito dallo spazio sottostante il suolo ed esistente in profondità;
esso, ancorché non espressamente menzionato dall'art. 1117 c.c., va considerato di proprietà comune
in mancanza di un titolo, che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, avuto
riguardo alla funzione di sostegno che contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato (Cass. 24
ottobre 2006, n. 22835; Cass. 9 marzo 2006, n. 5085; Cass. 28 aprile 2004, n. 8119;
Cass. 11 novembre 1986, n. 6587)”(Cass. 15 febbraio 2008, n. 3854).
Ciò che conta di più ai nostri fini è che anche il sottosuolo debba essere considerato
parte comune dell'edificio in condominio, pertanto rientra negli obblighi dell’art.
2051 c.c.
In caso di infiltrazioni d'acqua nella singola unità immobiliare, che portano
alla formazione di muffe sui soffitti, deve ritenersi che il condominio sia
responsabile in via autonoma nei confronti del proprietario esclusivo ex art. 2051 c.c.,
se non offre la prova del fortuito. Nondimeno, scaturendo l'evento lesivo da vizi
costruttivi, l'impresa che ha edificato il fabbricato deve essere condannata a
manlevare il condominio di tutte le somme che quest'ultimo dovrà corrispondere al
proprietario esclusivo.
Così ha stabilito la Corte d'Appello di Milano che, con sentenza n. 2680 del 23
giungo 2015, ha confermato la decisione di primo grado, anche per quanto riguarda
la piena risarcibilità del danno non patrimoniale per la situazione di grave disagio
subita dagli attori, con pregiudizio al diritto all'abitazione e anche alla salute.
Per la Corte territoriale risulta documentato, nel caso di specie, che a causa dei fatti
oggetto di giudizio si sono prodotte per anni nell'abitazione degli attori situazioni di
grave disagio, con pregiudizio alla serenità personale ed alla vivibilità della
casa, messe ingiustamente a repentaglio dalla presenza di muffe e umidità,
“determinando una significativa lesione degli interessi della persona umana
costituzionalmente garantiti, ed in particolare del diritto all'abitazione, ma
anche alla salute”.
Il Tribunale di App. Milano, sezione II, 23 giugno 2015, n. 2680 ha convenuto che
l'umidità conseguente ad inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un
edificio può integrare, ove sia compromessa l'abitabilità e il godimento del bene,
grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c.,
tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di
costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 c.c. il condominio, che è tenuto,
quale custode, ad eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria (Cass. civ.,
15 aprile 1999, n. 3753).
Il giudice ha infine confermato la configurabilità, in capo agli attori, del diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale: una certificazione sanitaria aveva
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attestato «lo stato di antigienicità dell'appartamento», per la presenza nei locali di
umidità e muffe, cui il figlio minore degli attori era peraltro risultato allergico.
A causa di dette infiltrazioni – ha chiarito il giudice dell'appello – «si sono prodotte
negli anni situazioni di grave disagio, con pregiudizio alla serenità personale e
alla vivibilità della casa, condizioni che […] le infiltrazioni e la presenza di muffe,
protrattesi per lungo tempo, mettono seriamente e ingiustamente a repentaglio, e di
cui può ritenersi acquisita la prova anche per presunzioni, sulla base delle nozioni di
comune esperienza (in tal senso anche Cass. civ., 19 dicembre 2014, n. 26899, citata
in motivazione). I fatti contestati, si conclude, hanno determinato «una significativa
lesione degli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti, e, in
particolare del diritto all'abitazione, ma anche alla salute».
Il condomino, per le parti di proprietà esclusiva, ed il condominio, per le parti
comuni e comunque per quelle che hanno una funzione utile a tutti (si pensi al
lastrico di uso e/o di proprietà esclusiva), sono responsabili per i danni provenienti
dalle cose che hanno in custodia, in particolar modo se questo deriva infiltrazioni di
acqua piovana.
La giurisprudenza ha chiarito la portata della norma con sentenza (Cass. Civ., Sez. 3,
Sentenza n. 4279 del 19/02/2008)" (Trib. Urbino 3 giugno 2010).
"La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 cod. civ" - si
dice ormai da anni -"ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che
sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la
condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di
custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a
quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la
responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto
considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non
necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta".
In questo contesto "l'attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l'onere di
provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per
liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera
soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
In questo contesto, il condomino, una volta appurata la presenza di un fenomeno
infiltrativo, deve:
a) avvisare tempestivamente l'amministratore o comunque il proprietario della cosa
dalla quale proviene il danno;
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
b) in caso d'incertezza sulla fonte del danno, ricercarla in contraddittorio con le
persone potenzialmente interessate;
c) una volta appurata la provenienza chiedere l'eliminazione della causa del danno ed
il ripristino del danno medesimo;
d) in caso di disaccordo procedere con una lettera di messa in mora ed un eventuale
giudizio per il risarcimento.
In merito all’applicazione l’art. 1126 c.c. la sentenza Cass. 17 gennaio 2011 n. 941
definisce che tutte le spese di manutenzione che non sono riconducibili ad un
atteggiamento noncurante dell’utilizzatore e/o proprietario esclusivo saranno
da considerarsi condominiali, stante la funzione di copertura dell’edificio svolta
dalla terrazza/lastrico solare. In quest’ipotesi, quindi, 1/3 della spesa ricadrebbe
sull’utilizzatore/proprietario e 2/3 sui condomini sottostanti la copertura. Se, per
contro, la spesa è dovuta in quanto il danno causato è conseguenza del difetto di
manutenzione o più genericamente di diligenza nella custodia da parte dell’usuario,
allora il costo dell’intervento deve essere sostenuto tutto da quest’ultimo. E’ evidente
che se le parti non sono d’accordo sulle cause del danno, il suo accertamento
giudiziario resta imprescindibile ai fini del corretto addebito dei costi dell’intervento
manutentivo.
Inquilino/Proprietario
Sia il proprietario di un bene come anche il suo custode (figure che possono anche
non coincidere) rispondono dei danni causati da quella cosa, pertanto il principio,
sancito nel diritto civile dall’art. 2051 c.c., è inoltre valevole in sede penale.
Ma proviamo a fare delle considerazioni.
Il marciapiede sconnesso provoca lesioni al passante? L’amministratore o in
mancanza tutti i condomini rispondono per il reato di lesioni colpose.
E se una persona muore a causa di un accidente occorsole in un’unità immobiliare? Il
proprietario ne risponde e può andare incontro ad una condanna per omicidio
colposo.
La norma di diritto penale di riferimento, in linea generale, è il secondo comma
dell’art. 40 c.p. a mente del quale “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di
impedire, equivale a cagionarlo”.
Per quanto riguarda l’amministratore di condominio, in più occasioni, è stato
affermato che "la responsabilità penale dell'amministratore di condominio va considerata e risolta
nell'ambito del capoverso dell'art. 40 c.p., che stabilisce che non impedire un evento che si ha
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l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Per rispondere del mancato impedimento di un
evento è, cioè, necessaria, in forza di tale norma, l'esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo
scopo: detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato, e
specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata com'è nel rapporto di
rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l'amministratore" (Cass. Terza
Sezione Penale, 14 marzo 1975 n. 4676 Ud. - dep. 14/04/1976).
Alla luce di ciò essere superficiali nella consegna di un bene senza occuparsi dello
stato stesso diventa alquanto pericoloso.
IL COSTRUTTORE
Responsabilità civili e penali costruttore
L'art. 1667 disciplina l'ipotesi in cui l'immobile presenti difformità o vizi. Per
difformità si intende una discordanza dell'opera da quanto prescritto in contratto;
per vizio si intende la mancanza di modalità o qualità dell'opera rispetto alle regole
dell'arte. Sempre il medesimo articolo considera "vizi lievi" i seguenti interventi:




distacco di parte del pavimento
la non perfetta esecuzione degli intonaci e sistemazione della tegola di un
tetto
difetti nel rifacimento dell'impianto elettrico
difetti installazione di infissi interni ed esterni
L'acquirente, in questi casi, dovrà denunciare il vizio entro sessanta giorni dalla
scoperta della difformità. Qualora il venditore non provveda all'eliminazione del vizio
sarà necessario agire nei suoi confronti non oltre i due anni dalla consegna dell'opera,
altrimenti la sanzione si prescrive. Invece in caso di difetti gravi all'immobile, il
costruttore/venditore dovrà garantire per 10 anni dalla data di consegna
dell'immobile stesso.
Per "difetto grave" ci si riferisce a un difetto che compromette la stabilità dell'opera,
il suo godimento da parte degli acquirenti e la sua funzionalità. Tra essi la
giurisprudenza considera anche:




impermeabilizzazione carente
mancanza di coibentazione
lesioni strutturali
gravi difetti d'impianto termico
Il grave difetto deve essere denunciato al costruttore/venditore entro un anno dalla
scoperta dello stesso;l'azione di prescrive invece in un anno dalla data di denuncia.
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
(Cass. Civ. n. 12386/2003; Cass. Civ. 11740/2003). La denuncia può essere portata a
conoscenza dell'apparltatore senza vincoli di forma, anche con una semplice
raccomandata in modo tale da permettere al costruttore di compiere accertamenti
necessari a provare che il vizio/difetto lamentato non è riconducibile alla sua
responsabilità. Per i vizi lievi l'azione va proposta entro un anno dalla denuncia e
comunque entro i dieci anni dalla consegna dell'opera. Inoltre è opportuno
evidenziare che per i nuovi "immobilili da costruire", l'art. 4 del D.Lgs. 122/2005
prevede che "il costruttore è obbligato a contrarre ed a consegnare all'acquirente all'atto del
trasferimento della proprietà una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio
dell'acquirente e con effetto dalla data di ultimazione dei lavori a copertura dei danni materiali e
diretti all'immobile, compresi i danni ai terzi, cui sia tenuto ai sensi dell'art. 1669 del c.c., derivanti
da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per
difetto della costruzione, e comunque manifestatasi successivamente alla stipula del contratto
definitivo di compravendita o di assegnazione", stabilendo, quindi una maggiore tutela dei
diritti dell'acquirente.
Art.1669 c.c."Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga
durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della
costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti,
l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purchè sia fatta la
denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla
denuzia".
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
L’ABITAZIONE DELL’ANTICA GRECIA
PREMESSA
La conoscenza della storia dell’architettura è un bagaglio culturale indispensabile per
qualsiasi persona che vuole conoscere come ha interagito l’uomo con l’ambiente.
Infatti da sempre l’uomo ha modificato l’ambiente in cui vive, ha costruito edifici e
case, città e villaggi che dovevano fornirgli ricovero e luoghi di vita. Questo lo ha
fatto con le conoscenze tecniche e la cultura che possedeva. Oggi l’ambiente in cui
viviamo è in gran parte il frutto di questa stratificazione plurisecolare. Stratificazione
che è rintracciabile in tanti e piccoli segni di epoche diverse, ma che convivono in un
unico insieme. Questo insieme è la testimonianza viva ed attuale della storia del
nostro territorio. Quindi conoscere la storia dell’architettura, significa essere sensibili
al proprio ambiente di vita, conoscerne i segni e collocarli nella loro dimensione
temporale; significa anche capire l’enorme valore di testimonianza storica del nostro
habitat, un luogo carico di significati e memorie e mai uno spazio anonimo e banale.
LA CASA GRECA
Il termine utilizzato da Aristotele, oikia, indica in greco la semplice casa, in genere nel senso più
concreto di edificio nel quale si risiede. Senofonte introduce una precisazione terminologica,
distinguendo tra una nozione di casa più limitata, l’oikia, e una più ampia, l’oikos, che comprende
l’insieme delle proprietà del suo titolare: tutto ciò che legittimamente appartiene al suo proprietario
entra a far parte dell’oikos.
Le conoscenze che abbiamo sulla casa greca sono minori di quelle che abbiamo su
altri edifici tipici della cultura ellenica, soprattutto perché nel passato gli studiosi
hanno preferito dedicarsi ad edifici più spettacolari e sontuosi, ma anche perché
fisicamente i resti che si sono conservati sono spesso piuttosto scarsi, poiché in
generale le abitazioni, a differenza degli edifici pubblici, non erano realizzati
in pietra ma in materiali più facilmente deperibili (legno, mattoni, spesso crudi), ed
anche perché, come è ovvio, la gente ha continuato a vivere, costruendo le proprie
case in quegli stessi luoghi dove sorgevano le case degli antichi. Ultimamente però le
ricerche si stanno focalizzando anche su questo aspetto della cultura greca, e dunque
si può sperare che ricerche e scavi futuri possano arricchire e completare le nostre
conoscenze.
Cercando in internet, i siti sono orientati direttamente sulla struttura e
sull'organizzazione della casa greca. Molti autori infatti, parlando di altri argomenti a
volte aggiungono nelle loro opere dettagli sull'organizzazione o sulla struttura delle
case della loro epoca che possono dare informazioni molto importanti. L’Architetto
Vitruvio ci descrive case sicuramente della sua epoca e dice che le case erano
suddivise in tre zone: La prima, Il gineceo era riservato alle donne e ai bambini (in cui
poteva accedere solo il marito e pochi parenti stretti); la seconda era dedicata agli
uomini e la terza era la parte dedicata agli ospiti stranieri, che Vitruvio dice non
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
essere fondamentale, seppur a volte presente. Secondo lui, in ognuna di queste parti,
era presente una corte con peristilio. Questo particolare in effetti ha suscitato molti
dubbi ed ha più volte portato a interpretazioni sbagliate dei resti archeologici, troppo
spesso studiati nell'intenzione di riconoscere nelle vestigia giunteci proprio la casa
descritta nel trattato dell'architetto romano. È infatti difficile credere che le case della
gente comune (e spesso povera) avessero due o addirittura tre corti a peristilio e
dunque ci si può domandare a quale tipo di casa facesse veramente riferimento
Vitruvio. Diverse proposte sono state avanzate, c'è chi ha proposto di riconoscere la
casa vitruviana nelle case di Delo, che però studi più approfonditi hanno dimostrato
non trattarsi di case singole con più corti, ma di più case riunite in sorte di nuclei; c'è
chi invece ha proposto di cercarne il modello nelle case dell'aristocrazia macedone di
epoca ellenistica, in particolare nelle case della capitale del regno, Pella, idea questa
che ha buoni motivazioni per essere sostenuta; altri ancora ne vedono la fonte di
ispirazione addirittura nei palazzi dei re e dei principi ellenistici, soprattutto
macedoni, come per esempio i palazzi di Pella o di Aigai, con le loro sontuose e vaste
corti. La questione della vera natura della casa descritta da Vitruvio resta dunque
ancora aperta.
SENOFONTE
Anche Senofonte, nel suo testo di economia, ci dà alcune informazioni sulla struttura
e soprattutto sull'organizzazione della casa dei suoi tempi. L'aspetto forse più
interessante è che anch'egli descrive la presenza di locali prettamente riservati alle
donne ed agli uomini, ma ne da una spiegazione ed una funzione totalmente diversa
da quella che ci si potrebbe attendere e per certi versi sorprendente. Egli infatti
afferma che uomini e donne potevano accedere abbastanza liberamente a più o meno
tutti i locali. L'unica restrizione era presente durante la notte, e in effetti non
coinvolgeva neppure i padroni di casa. Egli infatti descrive l'uso di separare durante
la notte gli uomini schiavi dalle donne schiave, rinchiudendoli appunto in locali
riservati prettamente agli uni o agli altri, e questo semplicemente per evitare che fra
gli schiavi stessi vi fossero dei rapporti indesiderati ai padroni. Dunque secondo
Senofonte vi erano si dei locali prettamente maschili e dei locali prettamente
femminili, ma servivano principalmente a rinchiudervi gli schiavi durante la notte.
Anche in questo caso, tuttavia, è difficile capire a quale tipo di casa faccia riferimento
l'autore, si può pensare che la situazione e l'organizzazione da lui descritte fossero
presenti soprattutto nelle case di campagna.
LISIA
Lisia, come molti altri logografi, nelle orazioni che scrive spesso per sostenere le sue
accuse o per difendere un suo cliente ci descrive alcuni particolari interessanti
riguardo alle abitazioni dei suoi tempi. Un esempio interessante ci viene, per esempio,
dalla sua orazione Per l'uccisione di Eratostene:
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« Ora, tanto per cominciare, giudici - perché è necessario che io vi spieghi anche queste cose - io ho
una casa a due piani, che ha il piano superiore uguale a quello inferiore, uno con le stanze delle
donne e l'altro con quelle degli uomini. Quando ci nacque il bambino, la madre lo allattava, così, per
evitare che quando doveva fargli il bagno, corresse dei rischi scendendo le scale, io vivevo sopra e le
donne sotto.
E ormai era diventata così un'abitudine, che spesso mia moglie scendeva al piano di sotto per
dormire col bambino, per dargli il seno e per evitare che piangesse. Queste cose si protrassero per
molto tempo, ed io non ebbi mai dei sospetti, anzi, ero così stolto da pensare di avere la donna più
onesta fra tutte quelle di Atene. »
Da questo passaggio si capisce che la casa della gente di Atene poteva avere
due piani, e che questi piani erano divisi fra uomini e donne: al piano superiore vi
erano i locali delle donne, al piano inferiore, dove venivano anche accolti i visitatori,
vi erano i locali degli uomini. I neonati sembra stessero al piano inferiore, per
sicurezza probabilmente, motivo per cui appunto nel caso descritto da Lisia, la
moglie di Eufileto, chiede di poter dormire al piano inferiore.
Da un altro passo della stessa orazione inoltre si capisce che al piano inferiore vi era
una sorta di atrio che separava la porta d'entrata della casa da quella della stanza da
letto: infatti quando Eufileto vuole cogliere sul fatto la moglie adultera passa prima
dalla porta della casa, e poi dalla porta della stanza.
Si potrebbe pensare che questo "atrio" non sia altro che una corte, come quelle
descritte da Vitruvio, e che dunque le due porte siano rispettivamente la porta che
dalla strada dà alla corte e la porta che dalla corte dà alla camera da letto. Questa però
resta soltanto un'ipotesi, in nessun passaggio dell'orazione infatti Lisia parla
dell'esistenza di una vera e propria corte.
A partire dal IV secolo a.C. si osserva un cambiamento nella struttura interna della
casa, che inizia ad essere organizzata attorno ad una corte centrale su cui si aprono le
varie stanze. Spesso erano presenti due piani, almeno per una parte dell'edificio, e a
dipendenza della storia e dell'origine della città, la casa poteva sorgere aggregandosi in
modo organico, e quindi disordinato, alle case precedenti oppure poteva essere
edificata in lotti dai confini definiti, seguendo così dei piani ordinati. Questa seconda
situazione si trova soprattutto nelle città fondate in epoca ellenistica e più in generale
in quelle città che furono progettate secondo un piano ippodameo, che prevedeva la
costruzione delle case in lotti di dimensioni uniformi delimitati da strade ortogonali.
Le dimensioni di questi lotti erano decise dai governanti, mentre la loro
organizzazione interna era stabilita dai vari proprietari.
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OLINTO
Olinto, una città riorganizzata nel 432 e abbandonata nel 348, mostra bene la
struttura delle case tra la fine del V secolo a.C. e l'inizio del IV. La città era progettata
secondo un piano ippodameo e le case sorgevano nelle varie insulae, i quartieri della
città. Le case avevano generalmente due piani, seppure il secondo fosse spesso
rudimentale; era presente una corte, seppur abbastanza sommaria e priva di peristilio.
Le stanze più "nobili" si trovavano per lo più a nord, con le porte orientate verso
sud, a volte precedute da un pastas, una sorta di vestibolo. Fra queste stanze era
sempre presente un androne, cioè una sala destinata ai banchetti, riconoscibile dalla
porta non centrale e dal pavimento spesso in ciottoli o, nelle case più ricche, decorato
con mosaici. L'androne era in effetti un elemento indispensabile nella casa greca,
praticamente tutte le case ne possedevano uno, anche le più modeste, chi invece
poteva permetterselo ne possedeva anche più di uno.
ERETRIA
Eretria invece era una città antica, dunque cresciuta organicamente senza seguire
piani prestabiliti. Qui si sono trovati i resti di alcune case della fine del IV secolo che
mostrano la tappa successiva dell'evoluzione. L'elemento fondamentale, in queste
case, è la presenza di una corte a peristilio, che, confrontando anche altri siti, sembra
diffondersi in molte città greche tra la fine del IV secolo e l'inizio del III. Una di
queste case, che può ben fungere da modello, è chiamata casa dei mosaici a causa dei
mosaici, raffiguranti scene mitologiche, che ricoprivano i suoi diversi androni. La
casa è situata a nord, poco distante dall'acropoli, e si può supporre che fosse una casa
appartenente a persone del ceto medio. Attorno alla corte centrale, protetta da tre
colonne per lato, si snodano diverse stanze dai vari utilizzi. Gli androni si aprivano
direttamente sulla corte, al massimo venendo preceduti da un piccolo vestibolo.
Alcuni locali più appartati sono interpretati da alcuni studiosi come dei locali privati
contrapposti agli androni, locali pubblici per eccellenza, o addirittura come locali
riservati alle donne.
Le case dell'aristocrazia hanno di solito una struttura simile a quella delle case più
povere, con tuttavia una pianta più sviluppata. Uno degli esempi più interessanti,
benché scavate ancora limitatamente, sono forse le case aristocratiche di epoca
ellenistica di Pella, in quanto sono forse quelle che più si avvicinano al modello
vitruviano. Esse appartenevano a dei membri molto alti dell'aristocrazia, o forse
addirittura a dei parenti del re stesso.
Caratteristica principale di queste case era la presenza di due corti a peristilio, una
principale, probabilmente dove venivano accolti gli ospiti, a cui si aveva accesso dalla
porta che dava sulla strada, ed una secondaria, più appartata, che forse aveva scopi
più privati o forse anche era il centro dell'area della casa dedicata alle donne. Seppur
nelle case scavate fino ad ora non sembra essere presente una terza parte, quella che
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Vitruvio dice riservata per gli ospiti, non è per nulla impensabile che siano state
proprio queste case di Pella a fungere da modello all'architetto romano. È infatti
plausibile pensare che quando i Romani conquistarono la Macedonia, si figurarono
queste case come le case tipiche dell'aristocrazia greca.
Anche in altre città greche, come per esempio a Delo, si riconoscono delle case che
dovevano appartenere all'aristocrazia, ma nessuna sembra possedere più di una corte,
probabilmente perché semplicemente in queste città nessuno poteva permettersi
finanziariamente un tale lusso.
L’ETA CLASSICA
Durante l’età classica i greci non si preoccupavano granché delle loro abitazioni,
poiché erano più interessati alla Polis. Essi, infatti, non si curavano di avere una bella
casa, ove, del resto, vivevano quasi esclusivamente di notte. Ci tenevano invece ad
avere una bella città, ornata di templi e di edifici pubblici sontuosi: qui essi vivevano,
lavorando nelle botteghe, discutendo e contrattando, partecipando alla vita politica.
C’era quindi molta differenza tra il fasto degli edifici pubblici e la modestia delle case,
mentre ce n’era poca tra le case dei cittadini poveri quelle dei ricchi. Le case dei
poveri e dei ricchi, infatti, sorgevano lungo le viuzze fianco a fianco e se non fosse
stato per le dimensioni, e soprattutto per gli ambienti interni, sarebbe stato quasi
impossibile distinguerle. Quest’ultime, infatti, si differenziavano per lo più per le
dimensioni e per la quantità dell’arredo che era in ogni caso piuttosto scarso. Le case
situate all’interno dei vicoli stretti tortuosi e fangosi erano delimitate da muri in
ciottoli e fango molto sottili, quindi poco resistenti, ed erano senza finestre. La casa
tradizionale aveva una struttura modesta. Nella parte centrale c’era un cortile dal
quale prendevano luce le varie stanze. Talvolta era su due piani e al secondo piano
dello stabile vi si trovava un appartamento riservato alle donne, il gineceo, al quale si
accedeva mediante una scala di legno. Le donne fin da piccole venivano, infatti,
abituate a vivere nel loro spazio e non potevano recarsi nei luoghi destinati agli
uomini, gli androcei. Le case delle famiglie più benestanti al loro ingresso avevano un
guardiano (uno schiavo); un corridoio conduceva al cortile centrale aperto che dava
luce ed aria alle stanze che vi si affacciavano, il cortile era circondato da portici.
All’interno vi si trovavano sale da pranzo, di riunioni, la dispensa, la cucina, le camere
da letto degli uomini e più isolate, separate e appartate, quelle delle donne. È
probabile che nelle case più grandi ci fossero anche una cucina, una stanza da bagno,
e una sala da pranzo solo per gli uomini. I servizi igienici non esistevano e si usavano
i vasi oppure le strade. Nella cucina c’era un braciere per cucinare, e per
l’illuminazione delle stanze si usavano delle torce. L’arredamento della casa, come già
accennato, era essenziale, c’erano tavoli, sedie e sgabelli. Il letto vero e proprio era
solo un bene dei più ricchi. Non c’erano armadi ma bauli dove si riponevano gli abiti.
In epoca più tarda, quando si cominciarono ad apprezzare le comodità, la casa fu
ulteriormente ampliata. Un secondo cortile venne aperto nella parte retrostante
l’edificio. I cortili erano ornati da un elegante porticato a colonne detto "peristilio".
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
Le finestre si aprivano sulla strada. Per questo le stanze erano spesso buie. Venivano
illuminate con lampade a olio o con candele di cera e riscaldate con bracieri. Non è
rimasto nulla, sino ad oggi pochi
resti. I pasti venivano consumati sdraiati sul fianco sinistro e i cibi erano presentati su
piccoli tavoli posti dinanzi ai letti. Non si usavano le stoviglie. Gli oggetti, come le
coppe e gli strumenti musicali, dovevano essere appesi a chiodi infissi nelle pareti. Le
coperte venivano conservate nelle cassapanche e i divani si trasformavano ogni sera.
Gli schiavi dormivano di regola in terra e in cucina. Alle donne greche era permesso
lasciare le loro case solo per periodi brevi di tempo, potevano però godere dell'aria
aperta, nel riserbo, del loro cortile. Molta della vita famigliare era concentrata attorno
al cortile. I greci antichi amavano i racconti e le favole. Una delle attività favorite era
di raggrupparsi nel cortile per ascoltare queste storie, raccontate dalla madre o dal
padre. Nel loro cortile, le donne greche si rilassavano, chiacchieravano, e cucivano.
Nella bella stagione la maggior parte dei pasti erano consumati nel cortile. Gli attrezzi
greci da cucina erano, infatti, leggeri e facili da spostare. Nelle giornate di sole le
donne proteggevano all'ombra il biancore della loro pelle: la pelle candida era un
segno di grande nobiltà e bellezza femminile. Solo gli uomini e le donne schiave
potevano essere abbronzati, non le donne libere!
LA CASA A “PASTAS”
Più significativi per quel che concerne l’argomento dell’architettura ellenica sono, per
esempio, le case dell’antica città di Olinto (430 a.C.) nella Calcide. Queste case,
costruite secondo i più avanzati criteri dell’epoca, sono oggi tra le meglio conosciute
grazie agli instancabili lavori dell’archeologo americano D. Robinson5 intrapresi tra il
1928 e il 1938. A Olinto, cinque case erano sempre allineate in schiera e due schiere,
con complessivamente 10 case, formavano un isolato delle dimensioni di 120 x 300
piedi. Ogni casa occupava quindi un lotto di 60 x 60 piedi (17,2 x 17,2 metri). Le
case, di solito, avevano un unico piano ed erano suddivise in una parte che dava al
settentrione e l’altra al meridione. Nella parte meridionale c’era un cortile dal quale si
accedeva ai singoli locali della casa. Sul lato nord del cortile era disposto il cosiddetto
“pastas”, un loggiato o porticato, uno spazio coperto dove si potevano svolgere i
lavori di casa, all’asciutto, quando pioveva e all’ombra quando, in estate, il sole
bruciava. Questo tipo di casa, una tipologia che rivela un vero funzionalismo
architettonico, segna un reale progresso rispetto alle primitive case delle epoche
passate. Una semplice esperienza quotidiana è stata elevata a principio, quella cioè
che vuole il lato sud di una casa migliore in quanto più soleggiato e riparato dai venti
freddi provenienti dal quadrante settentrionale. Il cortile era molto importante come
fonte di luce; infatti, tutti i locali ricevevano luce da questo ambiente. Le case greche,
essendo chiuse verso l’esterno, presentavano quasi solo le nude pareti. Le poche
finestre verso la via, se c’erano, erano strette ed elevate rispetto al suolo per impedire
ai ladri di penetrarvi dentro. Queste aperture servivano soprattutto per ventilare gli
ambienti. Così, le stanze, che non potevano ricevere luce dall’esterno, ma solo
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attraverso il cortile, rimanevano quindi relativamente buie. La grandezza dei cortili
delle case di Olinto varia enormemente e va dai 10-15 m2 fino ai 100 m2, occupando
tra il 3 e il 34 percento dell’area di un lotto. Il pavimento poteva essere costituito da
un selciato, anche se alcune case avevano un pavimento di cemento ricoperto da
mosaici. I cortili avevano anche un drenaggio che scaricava l’acqua piovana sulla via,
mentre alcune case erano provviste di una cisterna, altre ancora di orci (pithoi), per
raccogliervi l’acqua piovana. Il lato nord del cortile era occupato dal porticato, il
“pastas”, dal quale si accedeva ad alcune stanze, alla cucina e al bagno. Il tetto del
porticato poggiava su pilastri o colonne. Ad un lato, e talvolta anche su ambedue i lati
del porticato, trovava posto un piccolo locale di servizio. La tipologia architettonica
delle case Pianta schematica di una casa di Olinto – Olinto. Isolato con 10 case
unifamiliari di Olinto non conosce un ambiente principale, come, per esempio, il
“prostas” delle case di Priene o l’atrio della casa romana. L’organizzazione dei locali
non conosce una gerarchia. La parte sud, se orientata verso la via, ospitava un locale
di lavoro, per esempio, un laboratorio o un negozio – e l’”androne”, l’ambiente dove
li uomini pranzavano e dove si tenevano i banchetti con gli amici.
Pianta schematica di una casa a pastas di Olinto (da N. Cahill)
Olinto. Isolato con 10 case unifamiliari
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L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
LA CASA A “PROSTAS”
Un altro tipo di casa è quello a “prostas”. Questa tipologia è caratteristica per la città
di Priene, in Asia Minore, e riunisce due elementi architettonici: il megaron e il
cortile, molto comuni in tutta l’area mediterranea. Una casa a “prostas” si articola in
tre parti: il megaron, la vera e propria casa abitativa a due piani, un cortile centrale e
un altro corpo edilizio con i locali di lavoro, come per esempio le botteghe ed i
laboratori. Alla casa si accedeva dalla via, passando per una porta d’ingresso un po’
rientrante e uno stretto corridoio coperto o un passaggio, coperto o aperto, che
sboccava nel cortile a forma quadrata o rettangolare. Sul lato nord del cortile si
ergeva il megaron a due piani, il corpo principale della casa. Al piano terra del
megaron si trovava, con l’oikos, il locale più importante della casa con davanti una
veranda, detta prostas (da cui prende nome la tipologia). Adiacente all’oikos, c’era
l’andron, la stanza destinata agli uomini con tre banchine disposte a formare una U.
L’andron si usava principalmente per i banchetti. Dall’oikos, una ripida scala portava
al primo piano dove c’era la stanza delle donne (thalamos). Così come davanti
all’oikos si trovava la veranda, davanti al thalamos c’era una loggia retta da una
colonna. La disposizione architettonica del megaron orientato verso il cortile e aperto
verso sud, è tipico per la città di Priene e metteva in risalto l’importanza di questo
corpo. Il megaron, un ampio locale a pianta rettangolare è una forma architettonica
molto antica, già presente in epoca micenea (età del bronzo) e a Troia. Nelle case
appena descritte abitavano non solo le famiglie agiate, ma anche gente di più modeste
condizioni. Oltre che a Priene, questo tipo di casa è presente anche a Colophon. Nel
primo periodo ellenistico, anche Colophon era una città molto prospera, con case
organizzate secondo criteri simili a quelli di Priene, ma gli isolati non avevano la
stessa regolarità come a Priene e la casa “a prostas” non era sviluppata così
chiaramente come nelle case di Priene.
Casa “Prostas”
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Pianta di Priene
Ricostruzione di Priene e particolare di un isolato
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Vi sono due elementi architettonici che ci consentono di considerare” solari” le due
tipologie di queste antiche case greche appena presentate: il cortile e la veranda
(pastas o prostas) esposti verso sud. I due elementi hanno aumentato notevolmente il
comfort delle case. - Casa con megaron a prostas Grazie al cortile, la casa riceveva
abbastanza luce e sole anche in inverno e la veranda coperta non era solo un luogo
riparato dai venti e dalla pioggia, ma anche un luogo che, in estate, offriva ombra e
frescura. In inverno, il sole basso poteva arrivare fin nella profondità della veranda e
riscaldare la parete della casa, mentre in estate, quando la posizione del sole era alta,
la tettoia e la loggia al primo piano, conferiva ombra. Secondo Demostene, ad Atene,
le prime case con cortile porticato furono costruite verso la metà del IV secolo in
periferia. In confronto alle vecchie abitazioni della città, buie e strette, le case
costruite in periferia e nelle nuove città “ippodamiche” erano molto luminose e
spaziose.. Nonostante la presenza di un ampio cortile, le stanze delle case erano
piuttosto buie, perché, a causa dell’assenza di finestre, la luce poteva penetrare solo
attraverso le porte aperte.
Casa con megaron a prostas
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Pianta e sezione di una casa a “prostas” di Priene
Nell’Italia meridionale, a partire dal sec. VIII° a.C. si insediarono delle popolazioni
provenienti dalla Grecia. Questi greci mantennero la tecnica costruttiva delle loro
case, di forma quadrata. I coloni costruivano la case con mattoni di terra cruda,
introducendo per il tetto i coppi. Le pareti esterne erano semplici muri senza finestre.
La Polis di Morgantina
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CROTONE prima partizione urbanistica della città greca perfettamente orientata N-S
Si riporta quanto scrive Ernesto De Miro sull’architettura dom estica
del mondo Greco:
MONDO GRECO
Ernesto De Miro eminente studioso di archeologia greca e romana nell'ambito del
Mediterraneo, laureato presso l'Università degli Studi di Catania, allievo della Scuola
di Archeologia italiana di Atene, scrive:
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Non è senza significato che a Creta, dove la persistenza della civiltà minoico-micenea
si fa sentire sin dentro il periodo geometrico-orientalizzante, è possibile cogliere
forme complesse e definibili di abitazione già in epoca così antica. Dopo la fine del
mondo miceneo, nel quadro di un nuovo assetto territoriale, siti e città del
Protogeometrico (900- 810 a.C.), del Geometrico (810-700 a.C.) e
dell'Orientalizzante (700-600 a.C.) si stabilirono sopra o in prossimità di insediamenti
minoici.
PERIODO GEOMETRICO
Karphì, un insediamento risalente al Tardo Minoico IIIC, offre nell'organizzazione
urbana, sino alla fine del X sec. a.C., una chiara testimonianza del sovrapporsi e del
giustapporsi delle culture minoica e geometrica. È evidente il passaggio da
un'urbanistica "agglutinante" di tradizione minoica ad un'urbanistica più recente, di
concezione "geometrica" nella disposizione e nell'allineamento degli edifici, nella
chiarezza planimetrica, nella rigorosa ortogonalità dei muri dei singoli ambienti, che
determinano sia il tipo a semplice oikos rettangolare sia il tipo ad ante di lontana
ascendenza elladica. Molto vicino al settore orientale di Karphì nella sua concezione è
il complesso geometrico di Kavousi, piccolo insediamento montuoso di età
protogeometrica e geometrica dominante l'istmo di Hierapetra, in cui sono stati messi
in luce ambienti rettangolari del tipo long-house, Breithaus e oikos semplice, dei quali
restano i muri di fondazione in pietre irregolari legate con argilla. Il continente greco
e le isole egee offrono esempi di non sempre facile lettura. Accanto ai più comuni
edifici a pianta rettangolare sono attestati edifici con andamento curvilineo in età
protogeometrica, come a Nichoria, in Messenia (X-IX sec. a.C.), ad Antissa (X-VIII
sec. a.C.) o a Lefkandì, in Eubea (X-IX sec. a.C.). In età geometrica domina l'edificio
rettangolare più o meno allungato, ad oikos o ad ante. Abitazioni a pianta
rettangolare allungata con un complesso a più ambienti quadrati disposti intorno ad
un cortile sono conosciute a Tsikkolario, nell'isola di Nasso, mentre sull'isola di
Donoussa, sede di una colonia commerciale greco-orientale, diverse piccole case di
uno o due ambienti hanno restituito ceramica del Geometrico medio. Ad Emporion,
nell'isola di Chio, gli edifici abitativi sono caratterizzati dalla presenza del vestibolo e
dalla bipartizione interna con colonne, come, in particolare, nel cosiddetto Megaron
Hall, di notevoli dimensioni, nel quale è stato riconosciuto il palazzo del monarca di
questo piccolo centro. A Zagora, nell'isola di Andros, sul modesto abitato domina la
casa con pianta ad H fornita di due cortili, probabilmente il palazzo del signore. Ad
Atene, in una zona compresa tra l'Areopago e l'Agorà, una casa a pianta ovale (11 ×
5 m) databile entro il IX sec. a.C. sembra essere stata, nel corso del VII sec. a.C.,
trasformata in edificio sacro, secondo quanto indica un ricco deposito votivo, per il
quale si è proposta l'identificazione con l'heroon di Akademos. Il sito di Latouresa
può essere considerato un esempio dell'organizzazione di una piccola comunità attica
tardogeometrica. L'area abitata, cinta da un muro spesso 1,5 m che si estende per 210
m con un'altezza massima di 1,5 m, comprende 24 piccole case e un santuario. Le
case sono di forma curvilinea o a forma di oikos e di megaron; un'area libera a
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settentrione è dominata da una costruzione circolare (l'Edificio VIII) detta tholos, di
carattere probabilmente sacro, e da un complesso asimmetrico di quattro vani, detto
anaktoron, composto da un oikos rettangolare, da un vano absidato, da un piccolo
locale rotondo e da un vano semicircolare aperto verso sud che potrebbe essere la
residenza del capo (Lauter 1985). Il maggior numero di abitazioni (le case XIIIXXIV), con pianta curvilinea o rettangolare, fornite di banchina, si trova nella zona a
sud.
PERIODO ARCAICO
In questo periodo, in cui l'architettura domestica appare defilata in un panorama
dove domina quella sacra e pubblica, emerge con particolare spicco il tipo di casa a
pastàs di cui precedenti significativi si possono cogliere a Thorikos. Particolarmente
interessante, anche dal punto di vista dell'organizzazione urbanistica, è l'impianto di
Egina con abitazioni connesse con il santuario; sulle vie di accesso si trovava un
gruppo di tre case orientate in senso nord-sud e formate da due stanze affiancate e
aperte sul vestibolo trasversale (pastàs). Simile risulta la Casa dei Sacerdoti a Delfi,
posta entro il recinto del santuario di Marmarià, quasi annessa al tempio di Atena e
anch'essa composta da due stanze aperte su un corridoio. Questa struttura di base
appare più articolata in Attica, nella Casa dei Sacerdoti del demo di Vouliagmeni,
presso il temenos di Apollo Zoster.
DAL V SEC. A.C. ALL'ELLENISMO
Con l'età classica aumentano sia le testimonianze letterarie che la documentazione
archeologica sull'edilizia privata in Grecia. La grande semplicità e modestia delle
abitazioni intorno all'Acropoli di Atene trova testimonianza in Senofonte (Mem., III,
6, 14), dove si menzionano le 10.000 case che affollavano la città, nonché in un
frammento più tardo di Eraclide Critico, che descrive le strade strette e tortuose, le
case vili e scomode, indegne della famosa polis degli Ateniesi (FHG, II, p. 264). Al
contrario, la descrizione platonica della grande e ricca casa di Callia al Pireo (Prot.,
310b-c; 314-316b) e l'orazione di Lisia per l'uccisione di Eratostene (I, 9-14), con la
descrizione più precisa della casa di Eufileto (I, 22-24), offrono la possibilità di
ricostruire rispettivamente l'abitazione urbana propria della ricca aristocrazia e quella
della borghesia ateniese tra V e IV sec. a.C. Le scoperte archeologiche attestano la
fortuna in questo periodo della casa a pastàs accanto a quella comune con cortile
centrale. Sono meglio conosciute le abitazioni di Atene e le case di campagna
dell'Attica. Per le prime, citiamo le case scoperte nel distretto dei marmorari nel
quartiere di Melite, lungo la strada dell'Areopago, tra quest'ultimo e la collina della
Pnice. Qui si distinguono in particolare due abitazioni (dette C e D) della seconda
metà del V sec. a.C., di cui una grande di dieci ambienti, con cortile centrale, ampliata
nel IV sec. a.C. con un impianto artigianale. Nel V sec. a.C. ad Atene la casa a pastàs
è la tipologia che caratterizza l'abitazione di prestigio, sia la "casa sacra" sia la casa di
campagna preferita dalla ricca aristocrazia ateniese. Nel primo caso la testimonianza è
fornita dall'edificio delle Arrephorai, lungo il muro settentrionale dell'Acropoli; nel
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secondo caso da due fattorie oggetto di scavi rigorosi: la Dema House e la fattoria di
Vari, a carattere più residenziale che di installazione agricola. La Dema House, al
centro di un esteso e fertile podere 12 km a nord-ovest di Atene, fu in uso nel
penultimo decennio del secolo. Di notevoli dimensioni (22 × 16 m), è articolata su
due piani, di cui quello inferiore comprende cinque stanze aperte sul portico
colonnato della pastàs. La fattoria di Vari, il cui impianto risale al VI sec. a.C., con
caratteri spiccatamente residenziali nel V sec. a.C. e produttivi nel IV sec. a.C., si
trova nell'Attica meridionale, nell'antico demo di Anagyrous. Di dimensioni più
contenute (17 × 13 m) e mancante del piano superiore, si direbbe di struttura
semplificata, se non fosse per la doppia pastàs disposta sui due lati nord e sud e per la
torre a due piani ricostruibile all'angolo sud-occidentale dell'edificio. Le nostre
conoscenze sarebbero state maggiori se lo sviluppo urbanistico della città moderna
non avesse impedito l'esplorazione del Pireo, dove comunque è ancora possibile
riconoscere l'impianto ippodameo. Olinto, nella Calcidica, rappresenta una
testimonianza eccezionale dell'organizzazione urbana di una città classica durante il
volgere di appena tre generazioni, dalla ricostruzione sulla collina settentrionale nel
432 a.C. ad opera del re macedone Perdicca alla distruzione della città nel 348 a.C.
per mano di Filippo II di Macedonia. La città in età arcaica occupava il limitato
terrazzo (6 ha) della collinetta meridionale con un'embrionale organizzazione
urbanistica; si estese quindi ad occupare, all'interno di un nuovo circuito murario, la
collina settentrionale. Dopo la fine del V sec. a.C., con l'aumento della popolazione
(da 7000 a 10.000 abitanti), la città si ampliò ulteriormente verso est, con un quartiere
al di fuori delle mura. La casa tipo di Olinto, generalmente a pianta quadrata con lato
di 17 m circa, comprende la stanza di soggiorno (oikos) con annessi il bagno e la
cucina, l'andròn con anticamera, diverse stanze minori, una bottega con ingresso
indipendente e, in particolare, un cortile con corridoio trasversale sul fondo (pastàs)
con annessa una piccola camera, forse da identificare come locale per le provviste
(tameion). Vi sono tre varianti, definite in base alla posizione dell'andròn: le case della
parte meridionale dell'insula hanno l'andròn posizionato a sud come il cortile
centrale, a cui si perviene attraverso uno stretto vestibolo; le case del settore nord
dell'isolato presentano l'andròn a settentrione e il cortile accessibile dal lato opposto
attraverso un corridoio chiuso; le case d'angolo hanno invece l'andròn alla testata e il
cortile nelle due disposizioni. Presso l'angolo sud-occidentale del cortile si trova
l'imposta della scala per il piano superiore, esteso su tre lati. Altro tratto caratteristico
delle case di Olinto è un unico accesso dalla strada nel cortile, mentre in quelle più
tarde si riscontrano accessi separati. Le ville suburbane presentano un impianto più
complesso e ricco, adatto a soddisfare le esigenze utilitaristiche e residenziali, come è
il caso della Villa dei Commedianti e della Villa della Buona Fortuna. Quest'ultima, a
due piani, è composta da nove camere che si aprono sul cortile, monumentalizzato a
peristilio, con una variante della pastàs che avrà fortuna in età ellenistica e romana;
nella Casa dei Commercianti appare per la prima volta adottata la soluzione
dell'impluvio mosaicato al centro del peristilio. Altro esempio di organizzazione
urbana di età classica, per più aspetti vicina ad Olinto, è dato da Kassope, nell'Epiro.
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La prima organizzazione della città si può cogliere alla fine del V sec. a.C., con uno
sviluppo nel IV sec. a.C. e una storia che continua nel periodo ellenistico- romano
sino ad Augusto. Città medio-grande, era percorsa da 2 plateiai est-ovest e da 15
stenopoi nord-sud che determinano isolati di diversa lunghezza e larghi in media 30
m, contenenti complessivamente circa 500 case organizzate in insulae con coppie di
abitazioni separate da ambitus, accesso diretto dalla strada sul cortile, su cui si aprono
l'andròn all'angolo nord-ovest o sud-est e un oikos con focolare. Le abitazioni di
Colofone ricalcano le case di Olinto, ma con tratti propri talora più rispondenti ad un
abitato rustico. Sul pendio di una delle colline della città è stato scoperto un quartiere
di case alle spalle della grande stoà angolare, che bordava due lati dell'agorà. Per la
conoscenza della casa ellenistica punto di partenza è stato per lungo tempo la
descrizione di Vitruvio (VI, 7), su cui A. Rumpf (1935) si basò per la sua nota lettura
e restituzione delle case che componevano l'isolato della Maison des Masques di
Delo. In verità la casa vitruviana non sempre regge al riscontro archeologico, anche
recente, delle varie testimonianze sparse nel bacino del Mediterraneo, dalla Sicilia
all'Asia Minore. Generalmente la casa ellenistica appare caratterizzata da una
tendenza allo sviluppo orizzontale e dall'articolazione in tre distinti settori: a)
gynaikonitis, con aulè centrale e pastàs o prostàs, oecus fiancheggiato dalle camere
del thalamos e amphithalamos nella parte settentrionale, con altre stanze minori
intorno al resto del cortile; b) andronitis, quartiere residenziale privilegiato, con
peristilio colonnato e andròn a settentrione; c) hospitalia annessi ai lati dei settori
principali della casa. A Delo il nuovo piano urbanistico, databile tra il 166 e il 69 a.C.,
presenta caratteri che sono stati definiti "anti-ippodamei", con le case distribuite in
insulae, ma senza un vero reticolato di strade, generalmente strette, impervie anche se
lastricate. La casa tipo presenta una struttura quadrata a due piani, che nelle abitazioni
maggiori copre una superficie di 600 m², pertanto superiore a quella della casa tipo
del periodo classico (200-300 m²), ed è caratterizzata dalla presenza del peristilio. Un
esempio a parte è offerto dall'isolato della Maison des Comédiens, presso il quartiere
nord della città, insolitamente regolarizzato. La attigua Maison aux Frontons, ristretta
e a sviluppo verticale con pyrgos (torre), è stata riconosciuta come alloggio annesso
riservato agli ospiti (hospitalia). Ben diverso è il caso di Priene nella Caria, esempio
modello di città ippodamea medio-grande del tardo periodo classico; gli isolati
comprendono due serie di quattro lotti lunghi e stretti, orientati nord-sud. La casa
tipo di Priene presenta al centro un cortile quadrato con accesso diretto (o mediante
un vestibolo) dalla strada, a nord del quale sono le stanze principali con oikos
preceduto da prostàs (vestibolo) a nord-est e andròn a sud-est, mentre a sud sono i
locali di deposito e di bottega con accesso indipendente.
L'OCCIDENTE GRECO
La conoscenza delle abitazioni in Magna Grecia è piuttosto limitata, nonostante le
recenti ricerche. Il modello è pur sempre quello greco, sin dal periodo altoarcaico. I
più antichi esempi di edilizia privata, databili nella seconda metà dell'VIII sec. a.C.,
sono quelli messi in luce nell'Isola di Ischia (Pithecusa) in località Mazzola, con i resti
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di un complesso artigianale fatto di piccole stanze rettangolari e absidate, in una delle
quali è stato identificato il thalamos. Tra la fine del VII e il VI sec. a.C. la colonia
achea di Sibari, in località Stombi (su cui non si sono sovrapposte le strutture di
Thurii), presenta un quartiere periferico, abitativo e artigianale, disposto in modo
regolare. Qui si distingue una costruzione rettangolare (8 × 15 m) con un largo
spazio libero a L su cui si aprono due stanze, l'una quadrata, l'altra rettangolare di
dimensioni minori. Un discorso più organico può farsi per le case di età ellenistica,
per quanto attiene all'organizzazione urbanistica, all'articolazione degli isolati in lotti e
alla loro struttura interna. A Locri, in località Centocamere, esterna alla città vera e
propria, le case sono generalmente semplici, di carattere abitativo- artigianale, con
dimensioni che variano dai 120 ai 220 m², con gli ambienti disposti intorno ad un
cortile; quest'ultimo ha forma ora rettangolare, ora quadrangolare, ora a L. Accanto
alle case di tipo più semplice, si conta l'esempio più complesso e ricco della Casa dei
Leoni, di 400 m², che ripropone la tipologia planimetrica della casa a pastàs, con
l'ampio loggiato rettangolare che collegava il cortile alla parte abitativa settentrionale,
in cui spicca un ambiente identificabile con l'andròn. Altri esempi ci vengono da
Caulonia, dall'impianto regolare con una serie di isolati stretti e allungati,
comprendenti sei lotti per ciascuna delle due metà divise da un ambitus; qui le case
hanno la pastàs ad ovest anziché a sud, in rispondenza all'orientamento degli isolati.
Meglio conosciuta è la casa greca in Sicilia, grazie a scavi che hanno sistematicamente
affrontato tale specifico aspetto archeologico. Le testimonianze più antiche, dell'VIII
sec. a.C., vengono da Megara Hyblaea, da Siracusa e da Eloro. Le abitazioni di
Megara, nel quartiere dell'agorà arcaica, sono in genere composte da un singolo vano
quadrangolare con focolare interno, aperto su uno spazio libero a sud; a questo, nel
VII sec. a.C., si aggiunse un altro vano allineato sulla strada. Lo spazio su cui
insistono le case ed alcuni piccoli ambienti annessi è delimitato dal recinto del lotto
(120 m² ca.). Case quadrangolari, allineate secondo l'orientamento della strada e
inserite in un isolato largo 25 m, sono venute alla luce a Siracusa, nel primo impianto
coloniale di Ortigia; analoga situazione è stata riscontrata nelle fondazioni siracusane
di Eloro e di Casmene. Nel VI sec. a.C. è documentato uno sviluppo dell'unità
edilizia articolata in due o più vani che si affacciano su un corridoio trasversale,
secondo una tipologia embrionale della pastàs riscontrata anche in Magna Grecia;
così a Megara, a Naxos, a Selinunte (contrada Manuzza), a Monte San Mauro di
Caltagirone. Per le case del V sec. a.C. non disponiamo di testimonianze
monumentali di edifici di lusso, come indicherebbero le fonti letterarie a proposito di
Siracusa e di Agrigento. Nella zona centrale di Naxos, in prossimità della Plateia A,
gli isolati attestati sulle strade principali risultano divisi in quattro settori nel senso
della lunghezza, ognuno dei quali comprendeva 12 lotti di 9 × 12 m ciascuno (48
unità abitative per ogni isolato). Le case sono modeste e presentano uno schema con
articolato cortile di accesso dalla strada e stanze laterali che vi si affacciano. Di
particolare interesse un'abitazione dell'isolato C4, di 180 m², in cui si individuano due
cortili, l'uno interno confinante con l'ambitus, l'altro con accesso diretto dalla strada,
sul quale si aprivano attraverso la pastàs gli ambienti a nord, mentre ai lati sono state
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identificate stanze di riunione e di banchetto. A Gela nell'organizzazione urbana
dell'acropoli si individuano settori di isolato e strutture abitative. Le case presentano
un particolare vano-recinto rettangolare, periferico e a contatto con la casa attigua,
nonché un cortile a L lungo due muri perimetrali. Ad Agrigento gli esempi più
notevoli di questo periodo sono attestati nel settore ovest della Collina dei Templi,
nella zona sacra compresa tra il tempio di Zeus e il santuario delle divinità ctonie. Le
abitazioni, evidentemente legate al funzionamento stesso dei santuari, presentano il
vano bottega all'angolo, il cortile a L e vani maggiori a nord che si affacciano sul
corridoio-pastàs. A Imera, dove l'impianto urbano datato dopo il 480 a.C. è formato
da lunghi isolati in senso est-ovest divisi in due settori, si hanno prevalentemente case
quadrate di 16 m di lato, con una dislocazione del cortile interno ora al centro, ora
spostato verso la parte più interna dell'abitazione, presso l'ambitus. È completamente
assente l'articolazione strutturale del loggiato-pastàs. Un esempio di continuità della
casa di tipo classico nel periodo ellenistico del IV-III sec. a.C. viene da Agrigento,
dallo scavo sulle pendici dell'acropoli in prossimità di Porta II. L'architettura
domestica nel periodo ellenistico in Sicilia si può esemplificare come compresa tra
due poli: Eraclea, colonia selinuntina, e Morgantina, centro interno nella valle del
Dittaino. Questi, per differente situazione socioeconomica e politica, diversamente
rispondono alle sollecitazioni della cultura ellenistica con manifestazioni
architettonicamente significative o con soluzioni planimetrico-distributive scarnificate
e meno permeate di tale cultura. A Morgantina, dopo la distruzione dell'abitato
arcaico ad opera di Ducezio nel 459 a.C., la città venne ricostruita nella seconda metà
del IV sec. a.C. con un regolare piano urbanistico. Nelle case è costante una struttura
chiusa con distribuzione interna dei vani intorno ad uno spazio libero centrale,
piccolo atrio, cortile o peristilio, a cui si accede dalla strada mediante uno stretto
passaggio o vestibolo. Le case di impianto più antico, risalenti al IV-III sec. a.C.,
lasciano riconoscere, pur attraverso le modifiche successive, una struttura con cortile
e pastàs a nord (Casa delle Monete d'Oro, Casa Pappalardo, Casa del Magistrato,
Casa della Cisterna ad Arco). Nel III sec. a.C. predominante è la casa con peristilio, di
cui l'esempio più noto è la Casa di Ganimede. È da osservare che anche a Morgantina
si può assistere all'evoluzione della casa a pastàs nella casa a peristilio. Assai vicino
all'esempio di Morgantina, nel contesto della penetrazione della cultura greca, è il
centro indigeno di Monte Iato nella Sicilia occidentale, l'antica Iaitas. Tra importanti
costruzioni di tipo greco, eccelle la cosiddetta Casa con Peristilio a Colonne,
un'imponente costruzione a due piani con numerosi e vasti ambienti intorno al
cortile, delimitato da un peristilio a doppio ordine, uno per ciascuno dei piani della
casa. Le case di Eraclea Minoa del IV-III sec. a.C. hanno invece struttura semplice e
compatta, con ambienti che gravitano intorno ad un atriolo o cortile centrale, con
vano bottega all'angolo e talora con ambienti meglio decorati al piano superiore. Nel
periodo tra la prima e la seconda guerra punica il lessico delle forme architettoniche
offerto in Sicilia appare segnato anche nelle abitazioni da complesse influenze
ellenistiche e italiche, a cui non rimarrà estranea l'esperienza formale di Roma.
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Gruppo di lavoro: Baima Beuc Silvia, Bettinelli Fulvio, Chiavazza Luca, Ferro Giovanni, Teta Antonio
RISPARMIO ENERGETICO, SOSTENIBILITA’ E SALUBRITA’,
VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
A chiusura di quanto esposto e trascritto sulla casa greca, si fa un riferimento alla
città greca (POLIS) ed alla sua struttura:
POLIS : Comunità che deriva dall’unione di più villaggi.
STRUTTURA DELLA POLIS:
La città: è formata dalle abitazioni, dalle botteghe, dalla piazza (agorà), dalla parte
alta dove ci sono i templi e gli edifici della pubblica amministrazione (acropoli);
Il territorio: (kora) è il terreno coltivato diviso in fattorie e pascoli;
I cittadini: sono coloro che partecipano alla vita politica, dalla quale sono esclusi
schiavi, donne e stranieri.
Aspetti caratterizzanti delle polis
Ogni polis ha governo proprio, leggi proprie, moneta propria, divinità proprie e
proprio esercito;
Ogni polis era un piccolo stato autonomo ed autosufficiente;
I cittadini delle polis appartengono allo stesso popolo, hanno la stessa lingua e la
stessa cultura.
Anche la colonia greca era una Polis indipendente, simile a quella di origine, che
spesso diventava una grande potenza economica. La grande colonizzazione greca, si
diffuse sulle coste del Mar Nero e dell’Italia Meridionale (Magna Grecia).
IL LORO ALFABETO:
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VENTILAZIONE; RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI;
L’ABITAZIONE NELL’ANTICA GRECIA
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