RASSEGNA STAMPA FALCRI 1 GIUGNO 2010 A cura di Manlio Lo Presti Associazione Falcri Banca Monte dei Paschi di Siena____________________________________________________ ESERGO Non si abita un Paese, si abita una lingua. Una patria è questo e nient’altro. E. CIORAN, Confessioni e anatemi, Adelphi, 2007, p. 23 Dimora dell’anima http://www.lilacat.ilcannocchiale.it/blogs/bloggerarchimg/Lilacat/notte3.jpg www.avvenire.it Draghi: bene la manovra Ma il nodo è l'evasione fiscale La crisi della Grecia rischia di cambiare il quadro di una pur modesta ripresa in Italia ed è stato inevitabile per il governo anticipare la manovra di correzione del disavanzo da quasi 25 miliardi. Mario Draghi, governatore di Bankitalia, non può ancora dare una valutazione dettagliata della manovra varata martedì scorso dal governo e firmata oggi dal Capo dello Stato, ma nelle sue considerazioni finali all'assemblea annuale, mostra di apprezzarne il tempismo e almeno due capitoli fondamentali: quello delle misure di lotta agli evasori - ai quali attribuisce la vera responsabilità della "macelleria sociale" - che nel medio termine deve servire ad abbassare le aliquote fiscali e quello delle pensioni - con l'annunciato arrivo del regolamento di attuazione della legge che nel 2009 ha ancorato l'età minima della pensione alla speranza di vita. Ora, dice il governatore, "è necessario un attento scrutinio degli effetti della manovra per garantire il conseguimento degli obiettivi". L'Italia, rileva Draghi, "presenta molti punti di forza", ricordando la ricchezza delle famiglie e il basso debito privato. Ma dopo il calo di 18 punti del debito in rapporto al Pil tra il 1994 e il 2007, "in questo biennio di recessione è aumentato di 12 punti, al 115,8%. Nelle nuove condizioni di mercato era inevitabile agire, anche se le restrizioni di bilancio incidono sulle prospettive di ripresa a breve dell'economia italiana". Draghi non manca di rilevare che finora la politica economica ha limitato i danni della crisi economica in Italia per due punti di Pil e di questi uno è merito della politica monetaria, mezzo degli stabilizzatori automatici e l'altro mezzo punto "alle misure di ricomposizione di entrate e spese decide dal governo". Rinnovato, e modulato sempre sulla necessità di recuperare competitività, l'annuale appello a fare le riforme struttuali: "La crisi le rende più urgenti", dice Draghi. "Il governo ha introdotto misure di contrasto all'evasione fiscale. L'obiettivo immediato è il contenimento del disavanzo, ma in una prospettiva di medio termine la riduzione dell'evasione deve essere una leva per lo sviluppo, deve consentire quella delle aliquote", ha detto Draghi. "L'evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga; riduce le risorse per le politiche sociali, ostacola gli interventi a favore dei cittadini con redditi modesti". Qui, interrompendo la lettura delle sue Considerazioni finali davanti all'assemblea dei partecipanti, ha usato i toni più duri contro gli evasori: "Macelleria sociale è un'espressione rozza ma efficace. Ecco, io credo che siano gli evasori i primi responsabili di quella che viene definita macelleria sociale" ha detto il governatore. Draghi cita alcuni dati che mostrano la differente e più elevata pressione fiscale in Italia rispetto alla media europea: "Il cuneo fiscale sul lavoro è di circa 5 punti superiore alla media degli altri Paesi dell'area dell'euro; il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l'Irap, sono più elevati di 6 punti. Secondo stime dell'Istat, il valore aggiunto sommerso ammonta al 16% del Pil". "Confrontando i dati della contabilità nazionale con le dichiarazioni dei contribuenti, si può valutare che tra il 2005 e il 2008 il 30% della base imponibile dell'Iva sia stato evaso: in termini di gettito, sono oltre 30 miliardi l'anno, 2 punti di Pil", ha detto Draghi. Riforma pensioni. A proposito della riforma delle pensioni, il governatore di Bankitalia dice che "occorre prolungare la vita lavorativa anche per garantire un tenore di vita adeguato agli anziani di domani. I Paesi europei ad alto tasso di occupazione nella fascia 55-64 anni sono anche quelli con la maggiore occupazione giovanile". Qui Draghi dà atto al governo di andare nella direzione giusta: "Nel 2009 il governo ha compiuto un passo importante collegando in via automatica, dal 2015, l'età minima di pensionamento alla variazione della speranza di vita; il regolamento in via di definizione dà concreta attuazione al provvedimento". "Nella stessa direzione muovono gli interventi sulle cosiddette finestre e sulla normativa per le donne nel pubblico impiego", aggiunge il governatore che torna a chiedere riforme strutturali. Analogamente a quanto fatto lo scorso anno sul tema del Mezzogiorno, la Banca d'Italia prima della fine dell'anno organizzerà un convegno su tali riforme. Riforme strutturali. Tra le riforme che servono a recuperare efficienza e competitività Draghi cita gli interventi recenti del governo sul pubblico impiego: "La gestione del turnover nel pubblico impiego e i tagli alle spese discrezionali dei ministeri recentemente decisi dal Governo devono fornire l'occasione per ripensare il perimetro e l'articolazione delle amministrazioni". Anche il federalismo fiscale "deve aumentare l'efficienza nell'uso delle risorse" e per gli enti che non rispettano le regole, "è opportuno rafforzare il sisteme di vincoli e disincentivi", nella linea tracciata per le Regioni con disavanzi sanitari. Infine Draghi parla del mercato del lavoro, in particolare per l'occupazione giovanile: "I salari di ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni. Una ripresa lenta accresce la probabilità di una disoccupazione persistente", osserva il governatore che esorta a completare la riforma del mercato del lavoro "superando le segmentazioni e stimolando la partecipazione". www.corriere.it Abi: Faissola rinuncia a corsa per presidenza, in lizza solo Mussari 31 Maggio 2010 18:44 ROMA - Corrado Faissola rinuncia a ricandidarsi per la presidenza dell'Abi. Lo ha comunicato lo stesso Faissola in una lettera inviata oggi al coordinatore dei saggi per la nomina del presidente dell'Associazione Bancaria Italiana. In corsa per il vertice dell'Abi resta solo il presidente di Mps Giuseppe Mussari. (RCD) Bankitalia: aumentano famiglie in difficolta' con mutui 31 Maggio 2010 18:40 ROMA - Bankitalia lancia l'allarme: sono sempre di piu' le famiglie in difficolta' nel rimborsare le rate di prestiti e mutui. Nel suo bollettino annuale via Nazionale spiega che nel marzo 2010 la quota di prestiti incagliata ha raggiunto il 2,8%, in aumento dello 0,4% rispetto all'anno prima. Bankitalia ha inoltre aggiunto che le prospettive occupazionali nei prossimi mesi aggraveranno la situazione. (RCD) IL RAPPORTO DELLA FONDAZIONE CHE VUOLE FAVORIRE I RAPPORTI COMMERCIALI CON PECHINO «Imprese, prendete la via della Cina» Cesare Romiti: aziende troppo timorose. Grandi potenzialità nel lusso, nell’abbigliamento, nel design La grande crisi economica ha definitivamente consacrato la Cina come superpotenza del terzo millennio. Eppure il colosso asiatico non è ancora tra i nostri grandi partner industriali. È la conseguenza di incapacità strutturali delle imprese italiane oppure di oggettive difficoltà di inserimento che presenta quel Paese? La Fondazione Italia-Cina ha appena pubblicato il rapporto annuale «La Cina nel 2010: scenari e prospettive per le imprese» che, in merito, offre molte spiegazioni. «La presenza italiana è inferiore al potenziale — dice Cesare Romiti, presidente della Fondazione —. Ci sono circa 2.000 imprese, forse più, considerando il ruolo che giocano ancora le triangolazioni di capitali nelle operazioni estere. Insomma, molti investimenti non sono colti e registrati come italiani ma in realtà lo sono. Oltre alla presenza, occorre poi vedere il posizionamento ed i risultati economici ed il quadro non è negativo come spesso viene descritto ». Perché gli italiani temono l’avventura nel Celeste Impero? «La Cina è un Paese difficile e la struttura economica del nostro Paese — costituita da piccole e medie imprese manifatturiere — ci pone in una posizione competitiva. Le imprese scontano poi problemi di dimensione, scala di produzione, e ridotta conoscenza dei mercati internazionali. Le nostre imprese devono affidarsi ad esperti e conoscitori del mercato e sfruttare tutti gli strumenti per l'internazionalizzazione che sono offerti da istituzioni pubbliche e da soggetti privati, penso alle banche». Sviluppando rapporti che possano anche aprire le porte dell’Italia al capitale cinese? «Imprese e fondi cinesi possono entrare nel capitale o rilevare società italiane e contribuire poi all'ingresso o a un migliore posizionamento in Cina delle nostre aziende. Cioè gli accordi che si fanno in Italia possono poi concretizzarsi nell'apertura di varchi nel paese asiatico. Questo tema è anche evidenziato nel nostro rapporto» . Nello studio si indicano i mercati di fascia alta come quelli più adatti allo «sbarco » delle imprese italiane. Quali sono i canali di intermediazione (oltre a Ice, Sace e Confindustria) a cui le imprese potrebbero rivolgersi? «Simest sicuramente è un'altra organizzazione da citare; oltre ad offrire servizi di consulenza sottoscrive, dopo un'approfondita valutazione dei progetti, fino al 25 per cento del capitale di rischio di società estere partecipate da imprese italiane. In un momento di difficile accesso al credito questo è da tenere in considerazione ». In tal senso qual è il ruolo della Fondazione Italia Cina? «Proporre un'assistenza completa alle imprese socie: dalla formazione, all'informazione, alla consulenza fino alla gestione di progetti complessi. Occorre evidenziare che l'Italia gode di molto appeal per i settori tradizionali, il lusso, l'abbigliamento ed il design, ma questo non significa che questi prodotti si vendano da soli, occorrono competenze, programmazione ed investimenti. Bisogna anche investire in comunicazione: abbiamo eccellenze tecnologiche che a volte non sono conosciute. L'Expo di Shanghai può aiutare in questo senso». Nel rapporto si fa riferimento anche alla possibilità di attrarre investimenti, studenti e turisti cinesi nei prossimi anni in Italia. Quali sono i progetti della Fondazione in tal senso? «Siamo impegnati su tutti e tre i fronti. Abbiamo già raggiunto importanti risultati per l'attrazioni di studenti cinesi tramite il nostro progetto Uni-Italia, promosso e gestito dalla Fondazione Italia Cina e cofinanziato dalla Fondazione Cariplo: il numero di studenti è decuplicato rispetto al 2006: stiamo parlando di circa 6.000 studenti. La Fondazione, in raccordo con il sistema universitario italiano, ha aperto a Pechino il centro Uni-Italia con l'intento di promuovere le eccellenze del nostro sistema universitario, migliorare i processi di selezione ed incrementare la conoscenza della lingua italiana». E per quanto riguarda il turismo? «Stiamo collaborando con le principali regioni per incrementare e consolidare i flussi di turisti cinesi di alto profilo che conoscono solo parzialmente il "prodotto Italia": si tratta di organizzare eventi ed azioni promozionali per promuovere in maniera costante le eccellenze del nostro Paese. Inoltre, l'Associazione delle imprese cinesi in Italia, che raggruppa le più grandi realtà del Celeste Impero che hanno investito in Italia, è rappresentata nel nostro consiglio. E' chiaro che l'attrazione degli investimenti comporta anche la necessità di riformare il nostro sistema per renderlo più ricettivo ed attrattivo per gli investitori cinesi: anche il settore pubblico, quindi, deve fare la sua parte». Isidoro Trovato www.finanzaonline.com L'India accelera, +8,6% il pil nei primi 3 mesi del 2010 Finanzaonline.com - 31.5.10/08:31 Decisa accelerazione della crescita indiana nei primi mesi del 2010. Il prodotto interno lordo del terzo maggior Paese asiatico ha fatto registrare nei primi 3 mesi del 2010 un progresso dell'8,6% rispetto all'analogo periodo 2009. Il dato risulta in linea con le attese del mercato (consensus Bloomberg). Nell'ultimo scorcio di 2009 la crescita tendenziale era stata del 6,5%. Settimana scorsa l'Ocse ha ammonito che India e Cina necessitano di una stretta monetaria per combattere l'elevata inflazione. I tassi di riferimento in India sono saliti al 3,75% dopo i due rialzi www.milanofinanza.it Draghi, manovra inevitabile da accompagnare con rilancio crescita 31/05/2010 10.50 L'Italia affronti la sfida di oggi, coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita, con quei valori che, nel '92, le fecero vincere la sfida della crisi di bilancio pubblico e, all'epoca dell'unità, quella dell'analfabetismo. Il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, nell'esortazione al Paese che chiude le Considerazioni Finali svolte davanti all'assemblea dell'Istituto, li ricorda: "Capacità di fare, equità; desiderio di sapere, solidarietà. Consapevoli delle debolezze da superare, delle forze, ragguardevoli, che abbiamo, affrontiamola". Nelle nuove condizioni di mercato era inevitabile agire, anche se le restrizioni di bilancio incidono sulle prospettive di ripresa a breve dell'economia italiana. La correzione dei conti pubblici va accompagnata con il rilancio della crescita e con riforme strutturali, rese ancora più urgenti dalla crisi. Sulla base dell'andamento della spesa negli ultimi dieci anni (+4,6% l'anno, sei punti in più rispetto al Pil), Draghi ammonisce inoltre che "è necessario un attento scrutinio degli effetti della manovra per garantire il conseguimento degli obiettivi". A spiegare quanto sia indispensabile la manovra correttiva dei conti pubblici, argomenta Draghi, ci sono le cifre del debito pubblici: era diminuito di 18 punti rispetto al Pil fra il 1994 e il 2007; "in questo biennio di recessione è aumentato di 12 punti, al 115,8 per cento". E nei mercati internazionali al sollievo per la catastrofe evitata è subentrata l'ansia improvvisa per la sostenibilità di debiti sovrani crescenti. Le vendite colpiscono titoli di Stati che hanno ampi deficit di bilancio o alti livelli di debito pubblico; soprattutto quelli di Paesi dove queste due caratteristiche si combinano per una bassa crescita economica. Quanto più questa è debole, tanto più esigente, pressante, è la richiesta degli investitori internazionali di un rapido rientro dagli squilibri nei conti pubblici. Draghi osserva, quindi, che per questi Paesi non c'è alternativa al fissare rapidamente un itinerario di riequilibrio del bilancio, con una ricomposizione della spesa corrente e con riforme strutturali che favoriscano l'innalzamento del potenziale produttivo e la competitivita. Il Governatore avverte che si tratta di percorsi difficili che, se non coordinati a livello internazionale, rischiano di spegnere la pur timida ripresa. Draghi fotografa la manovra varata dal Governo segnalando come l'Esecutivo, nell'anticipare le misure per il 2011 e 2012, abbia "ribadito l'obiettivo di ridurre il deficit al di sotto della soglia del 3% del Pil nel 2012, confermando anche l'impegno al raggiungimento del pareggio di bilancio su un orizzonte temporale più esteso. "Secondo le valutazioni ufficiali", ricorda Draghi, "gli interventi recentemente approvati dal Consiglio dei ministri determinano una riduzione del disavanzo tendenziale pari a 24,9 miliardi nel 2012; riguardano le principali voci di spesa, si concentrano sui costi di funzionamento delle amministrazioni". La manovra mira a portare la crescita della spesa primaria corrente al di sotto dell'1% del Pil nel 2011-2012, determinando una riduzione della sua incidenza sul Pil di oltre due punti. Con la crisi poi i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancora più insopportabili. "L'evasione è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga", mentre "relazioni corruttive tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche, in alcuni casi favorite dalla criminalità organizzata, sono diffuse". In una prospettiva di medio termine la riduzione dell'evasione deve essere una leva di sviluppo, deve consentire quella delle aliquote e "il nesso fra le due azioni va reso visibile ai contribuenti. "Nel 2009 il Governo ha compiuto un passo importante collegando in via automatica, dal 2015, l'età minima di pensionamento alla variazione della speranza di vita". Il giudizio positivo del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, sui nuovi meccanismi sull'età pensionabile si allarga "agli interventi sulle cosiddette finestre e alla normativa per le donne nel pubblico impiego". Il processo di riforma del sistema pensionistico, aggiunge Draghi nelle Considerazioni finali, "potrà essere completato con misure volte a uniformare gradualmente le età di pensionamento dei diversi gruppi di lavoratori, rendere più tempestivi gli aggiustamenti dei coefficienti del regime contributivo, offrire maggiore flessibilità nel pensionamento". Al contempo la riforma del mercato del lavoro va completata, superando le segmentazioni e stimolando la partecipazioni. Una ripresa lenta accresce la probabilità di una disoccupazione persistente. Questa condizione, specie se vissuta nelle fasi iniziali della carriera lavorativa, tende ad associarsi a retribuzioni successive permanentemente più basse. "In molte altre occasioni abbiamo affrontato il tema delle riforme strutturali. La crisi le rende ancora più urgenti", sostiene Draghi, sottolineando come "la caduta del prodotto accresca l'onere per il finanziamento dell'amministrazione pubblica; i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengano ancora più insopportabili; la stagnazione distrugga il capitale umano, soprattutto fra i giovani". Fra i settori di intervento, Draghi riporta al primo posto la pubblica amministrazione, prima di federalismo, evasione fiscale, corruzione. Per il Governatore la gestione del turnover nel pubblico impiego e i tagli alle spese discrezionali dei ministeri recentemente decisi dal Governo devono fornire l'occasione per ripensare il perimetro e l'articolazione delle amministrazioni, per razionalizzare l'allocazione delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni tra enti e livelli di governo. Inoltre, rileva Draghi, occorre un disegno esteso all'intero comparto pubblico, che accompagni le iniziative già avviate per aumentare la produttività della pubblica amministrazione attraverso la valutazione dell'operato dei dirigenti e dei risultati delle strutture. Quanto al federalismo fiscale deve aumentare l'efficienza nell'uso delle risorse e solo un vincolo di bilancio forte, accompagnato dalla necessaria autonomia impositiva, può rendere trasparente il costo fiscale di ogni decisione e responsabilizzare i centri di spesa. Il Governatore della Banca d'Italia dedica al federalismo fiscale un ampio passaggio delle sue Considerazioni finali e sottolinea che "la definizione dei costi e dei fabbisogni standard a cui saranno commisurati, con la necessaria componente di solidarietà, i trasferimenti statali dovrà fare riferimento alle migliori pratiche" e "ciascun ente dovrà mantenere il proprio bilancio in pareggio, al netto degli investimenti", con la spesa locale per investimenti che "andrà fissata per un periodo pluriennale, in coerenza con gli obiettivi di indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche". La linea da seguire, secondo il Governatore, è quella tracciata per le Regioni con disavanzi sanitari. E' opportuno rafforzare il sistema di vincoli e disincentivi per gli enti che non rispettano le regole. Ma, aggiunge Draghi, le regole di bilancio non bastano a garantire l'uso efficiente delle risorse. Occorrono informazioni chiare e confrontabili sulla qualità dei servizi erogati dai diversi enti, tra l'altro per consentire ai cittadini di valutare l'azione degli amministratori, allo Stato per applicare meccanismi sanzionatori. Comunque, assicura il numero uno di Via Nazionale, la struttura finanziaria dell'Italia presenta molti punti di forza. La ricchezza accumulata dalle famiglie è pari, al netto dei debiti, a quasi due volte il Pil nella sola componente finanziaria, e a circa cinque volte e mezzo includendo le proprietà immobiliari, livelli fra i più alti nell'area dell'euro. Sempre in rapporto al Pil, i debiti delle famiglie sono fra i più bassi dell'area, quelli delle imprese sono inferiori alla media e anche il debito netto verso l'estero dell'intera economia può essere stimato al 15% del Pil, fra i valori piu' bassi dell'area, escludendo la Germania che ha una forte posizione creditoria. In ogni caso per uscire dalla crisi e salvaguardare la stabilità dell'euro l'unica strada è quella di puntellare la costruzione politica dell'Europa con un Governo Ue più attivo e di rafforzare, in campo economico, il Patto di Stabilità. In particolare, è necessario rendere "cogente l'impegno a raggiungere un saldo di bilancio strutturale in pareggio o in avanzo, introducendo sanzioni, anche politiche, in caso di inadempienze". E' questa, per Draghi, la strada che bisogna seguire per respingere l'attacco che oggi colpisce l'area dell'euro: un attacco che colpisce i componenti più deboli dell'Unione ma che mette in evidenza, oggi come mai, il fatto che "l'euro vive con tutti i suoi membri, grandi e piccoli, forti e deboli". Parlando delle misure adottate finora per fronteggiare la crisi e la volatilità dei mercati, Draghi ha sottolineato come gli interventi, finora, della Bce (come l'acquisto dei titoli pubblici) non mettano in discussione l'indipendenza dell'Eurotower. Peraltro, queste misure dovranno rientrare al più presto non appena i mercati torneranno a scambiare in maniera autonoma i titoli dei Paesi interessati. Sul versante dell'azione regolamentare, il Governatore di Bankitalia si è soffermato sull'attività in corso da parte del Financial Stability Board, da lui stesso presieduto: "I lavori del Board", ha detto, "si stanno svolgendo secondo il calendario previsto e gli appuntamenti di quest'anno sono decisivi". In coerenza con i lavori del Financial Stability Board anche gli Stati Uniti si stanno muovendo nella direzione di un ambizioso progetto di riforma della regolamentazione del sistema finanziario. Francesca Gerosa Draghi, da nuove regole finanza effetti trascurabili sul credito 31/05/2010 11.15 Le grandi banche si giudicano anche da come organizzano l'attività sul territorio: mantenere, valorizzare il rapporto con l'economia locale significa utilizzare nella valutazione del cliente conoscenze accumulate nel corso degli anni, ben più accurate di quelle desumibili dai modelli quantitativi. Il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nelle Considerazioni Finali sottolinea l'importanza dell'attenzione ai territori per le big del credito: "significa saper discernere l'impresa meritevole anche quando i dati non sono a suo favore; significa saper fare il banchiere". Dalle nuove regole per la finanza e, in particolare, quelle sul capitale delle banche, ci saranno effetti "trascurabili" sul valore di mercato degli istituti e sul credito. Quindi Draghi rassicura banche e imprese: "l'applicazione delle nuove regole sarà graduale; non comincerà prima che la ripresa sia consolidata". Alla riforma delle regole della finanza non c'è alternativa, "fare banca sarà meno redditizio, ma anche meno rischioso". Draghi si è detto anche "certo" del processo politico avviato dal G20. Draghi, oltre a rassicurare sugli effetti delle nuove regole sull'offerta di credito, scatta una fotografia nell'andamento di domanda e offerta di credito nel 2009 e in questi primi mesi del 2010. L'analisi della Banca d'Italia conferma la presenza di tensioni dal lato dell'offerta lo scorso anno oltre alla debolezza della domanda. Le condizioni di offerta, tuttavia, sono migliorate nei primi mesi nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno. In quest'ultima macro area i prestiti alle imprese sono tornati a crescere. Dal punto di vista del patrimonio delle banche il Governatore nel sottolineare la stabilità ricorda che a marzo 2010 il core tier1 dei primi cinque gruppi ha raggiunto il 7,6% dal 5,8% di fine 2008. Quanto al ruolo delle Fondazioni come azionisti delle banche non può che essere quello stabilito dalla legge: investitori il cui obiettivo sta nel valore economico dell'investimento. Draghi non cita alcun caso, ma il riferimento alla vicenda delle nomine in Intesa Sanpaolo è sottinteso. Quindi saranno le Fondazioni, nella loro autonomia, le prime a tutelare l'indipendenza del management. "Io non credo sia interesse di nessuno, nemmeno delle Fondazioni, tornare agli anni '70-'80 quando la maggioranza di turno nominava gli amministratori delle banche e suggeriva anche i clienti privilegiati", ha detto il Governatore di Bankitalia, in un passaggio aggiunto a braccio alle sue considerazioni finali, parlando sul ruolo delle Fondazioni come azionisti delle banche "che non può essere che quello stabilito dalla legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore economico dell'investimento. Saranno le Fondazioni, nella loro autonomia, le prime a tutelare l'indipendenza del management". Quello che Draghi chiede sono più poteri alla Banca d'Italia per rimuovere dalle banche, come avviene in altri Paesi e come consiglia il Comitato dei supervisori europei (Cebs), i responsabili di gestioni scorrette o altamente rischiose prima che la situazione sia gravemente deteriorata e si debbano perciò attivare provvedimenti di rigore. Il Governatore sottolinea l'azione massiccia della Vigilanza: nel 2009 le ispezioni a banche e intermediari sono state oltre 200. Intanto la riorganizzazione della Banca d'Italia, quasi completata, ha permesso di conseguire risparmi permanenti quantificabili in 80 milioni di euro l'anno. La riorganizzazione ha portato alla chiusura di 39 Filiali su 97 e per altre 25 a una semplificazione degli assetti. Il completamento della riforma dell'istituto si avrà entro il 2010. Francesca Gerosa Draghi: Bonanni, macelleria sociale quando ci sono evasione e sprechi 31/05/2010 17.00 "La cosa più importante è che la macelleria sociale c'è quando si evadono le tasse e si perpetuano gli sprechi". Così Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, commenta la relazione annuale del Governatore di Banca d'Italia Mario Draghi. Lasciando l'assemblea Bonanni ha aggiunto che "combattere l'evasione significa anche fare la riforma fiscale". Banche: Beltratti, hanno retto alla crisi grazie anche a Fondazioni 31/05/2010 15.00 Il sistema finanziario italiano ha retto alla crisi meglio di altri anche grazie alla "stabilità assicurata da investitori a lungo termine quali sono le Fondazioni di origine bancaria". Lo ha sottolineato il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Andrea Beltratti, intervenendo all'assemblea della Banca d'Italia in qualità di primo azionista dell'istituto centrale. Sul tema, Beltratti, al suo esordio come presidente del cdg, ha ricordato l'intervento tenuto lo scorso anno a Palazzo Koch dal suo predecessore Enrico Salza e sottolineato che, tra gli aspetti che hanno garantito la solidità del sistema bancario italiano, ci sono anche "un modello tradizionale di intermediazione creditizia, caratterizzato da un'esposizione contenuta verso i prodotti del finanza strutturata e da una minor dipendenza dai mercati della raccolta all'ingrosso e un prudente quadro regolamentare e di vigilanza". Draghi, i giovani sono le maggiori vittime di questa crisi 31/05/2010 14.30 "I giovani sono le maggiori vittime di questa crisi". Lo ha detto il Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nel corso delle sue considerazioni finali all'assemblea annuale della Banca d'Italia. Draghi si è soffermato in particolare su come "la crisi ha acuito il disagio dei giovani nel mercato del lavoro" ed ha sottolineato che "i giovani non possono fare da soli di fronte agli oneri crescenti di una popolazione che invecchia". www.giornalettismo.com Pietro Salvato 2011: ci aspetta una nuova recessione dell’economia mondiale? Mentre le grandi economie mondiali stanno dando i primi segnali di ripresa, diversi esperti ed analisti già avvertono che l’anno prossimo potrebbe giungere una nuova grande crisi economica globale. L’economia mondiale potrebbe cadere in una nuova grande depressione nel 2011? Nonostante i segni di ripresa dalla recessione si stiano consolidando nei vari paesi, diversi analisti economici ed autorità governative di tutto il mondo sostengono che nuovi ed inquietanti segnali d’allarme sono all’orizzonte e che bisogna prestare loro molta attenzione. I due pericoli principali sono, manco a dirlo, ancora una volta i debiti e la paura, che come sappiamo oggi abbondano nel mondo finanziario. LA PIÙ GRANDE CRISI DEI DEBITI SOVRANI - In risposta alla crisi finanziaria globale del 2007 e 2008, i governi di tutto il mondo hanno speso somme di denaro senza precedenti e, allo stesso tempo, contratto enormi debiti. All’estero, in particolare, queste ingenti somme hanno permesso il salvataggio del sistema bancario. Dopo quanto è accaduto in Grecia, tuttavia, appare sempre più evidente che in tutto il mondo c’è un numero crescente di governi che hanno bisogno di salvare innanzitutto se stessi. Che cosa succederà, allora? Nelle passate settimane abbiamo già visto quale paura si è generata nei mercati finanziari, quando un paese piccolo come la Grecia ha rischiato – e probabilmente rischia ancora – di scivolare sul suo pesante debito. Il problema è che agli occhi dei mercati (e non solo degli speculatori) diversi altri paesi appaiono incapaci di gestire il loro indebitamento. Questa incertezza, potrebbe trasformarsi in vera e propria tensione e percorrere i mercati finanziari da un capo all’altro del mondo. La verità è che ci troviamo di fronte alla più grande crisi dei debiti sovrani della storia moderna. Non c’è una via d’uscita indolore da questo pasticcio finanziario. Molti paesi saranno costretti a tagliare le loro spese ed i loro investimenti, con inevitabili ricadute e contraccolpi sulle loro stesse popolazioni. LA STRETTA VIA TRA AUSTERITY E CRESCITA - Alcune delle massime autorità finanziarie del mondo ci stanno avvertendo che se non verrà fatto qualcosa di sostanziale da parte dei singoli governi, le incertezze del 2010 rischiano di trasformarsi in nuove bruciati ricadute nel 2011. La via più semplice, quella che ci accingiamo a percorrere pure noi con la manovra varata in fretta e furia dal governo, è quella del taglio e dell’austerity. Questa via, suggerita in primis dal Fondo monetario internazionale (FMI). che impone certamente sacrifici apre il varco a successive pressioni deflazionistiche, ossia la riduzione generalizzata dei prezzi (e quindi del valore dei beni) e soprattutto quando non è affiancata da opportune misure di “stimolo” – come appunto oggi ha rilevato il governatore di Bankitalia, Mario Draghi – può avere pesanti ripercussioni sulla crescita economica. L’Italia, come sappiamo, porta sulle sue spalle il pesantissimo fardello del debito pubblico (il terzo più grande nel mondo) ma, allo stesso tempo, cresce poco o niente. Secondo le previsioni dello stesso governo, nel biennio 2010-2011 la nostra crescita dovrebbe attestarsi intorno al 2%. Nel solo 2009 invece, il nostro Pil è crollato del 5,1%. Quindi con un differenziale negativo del 3%. Ovviamente le politiche di “stimolo” costano, e se gli effetti sono scarsi o comunque poco soddisfacenti – in termini di crescita di Pil - i problemi nel lungo termine rischiano di aggravarsi ulteriormente. Proprio questa difficile prospettiva, apre scenari a tinte fosche che molti analisti già scorgono – in chiave mondiale – per il 2011. LA PAROLA AGLI ESPERTI - In proposito, un apprezzato blog economico americano ha raccolto le opinioni di molti importati esperti finanziari ed economici che qui abbiamo provato a riassumere. Secondo il famoso economista Nouriel Roubini: “Siamo ancora nel mezzo di questa crisi, anche se c’è una ripresa in atto. Durante la “Grande Depressione” tra il 1929 e il 1933, ci fu l’inizio di una ripresa, ma poi seguì una seconda recessione a cavallo degli anni1937-1939. Se non si affrontano i problemi, si rischia di avere una recessione ancora peggiore della prima“. Per Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra “Pilotare una crisi bancaria è stato abbastanza difficile, ma almeno ci siamo potuti appoggiare ai bilanci del settore pubblico. Una volta che la crisi tocca il debito sovrano invece, non c’è una risposta, poiché manca ogni riferimento“. Mentre la cancelliera tedesca, Angela Merkel sostiene che “l’attuale crisi che ha di fronte l’euro è la prova più grande che l’Europa ha affrontato da decenni, dall’epoca del Trattato di Roma, firmato nel 1957“, Paul Donovan, senior economist presso UBS ribatte che a seguito di questa stessa crisi è lecito chiedersi “Se l’euro esisterà ancora tra tre anni“. Michael Pento, capo economista presso il Delta Global Advisors prevede invece che “La crisi in Grecia sta per diffondersi in Spagna e diventerà molto difficile da affrontare. Si somma debito a debito“. Questo, tuttavia, ritiene sempre Pento “E’ uno scenario meraviglioso per il mercato dell’oro“. A loro volta, i ricercatori di LEAP/E2020 ritengono che “la crisi sistemica globale subirà un nuovo contraccolpo a partire dalla primavera 2010 [...] A quel punto occorreranno nuove misure di sostegno per l’economia a causa del fallimento dei vari stimoli del 2009, tuttavia le dimensione raggiunte dai vari deficit di bilancio, escludono qualsiasi nuova e significativa spesa“. Che è, guarda caso, proprio quello che si rimprovera alla manovra correttiva di Tremonti già oggi. Unicredit, Bnl e altre banche italiane sotto accusa per i conti dello I.O.R. Decine di miliardi di euro transitati su conti aperti dalla banca vaticana in altri istituti di credito. Indagano i magistrati romani. Si aggiungono altre banche a quelle già sotto indagine dalla procura di Roma, fascicolo assegnato ai pm Nello Rossi e Stefano Rocco Fava: lo riporta l’ANSA. Sono “una decina” gli “istituti di credito italiani in rapporti con l’Istituto Opere di religione (Ior), la banca del Vaticano, finiti sotto la lente di ingrandimento della procura di Roma per presunte irregolarità in materia di norme antiriciclaggio.” Il filone di indagine è lo stesso inaugurato già un anno fa che aveva portato al coinvolgimento di Unicredit, riguardante “movimentazioni di denaro sospette per decine di milioni di euro su un conto corrente dello Ior aperto nella filiale Roma 204 della ex Banca di Roma (successivamente integrata in Unicredit) di via della Conciliazione”; ma i magistrati si stanno ora concentrando sull’individuazione “di autori e destinatari dei depositi”, titolari e gestori di conti correnti sospetti, ma inaccessibili alle indagini civili, data la “schermatura” fornita dall’extraterritorialità dell’istituto vaticano. Il fascicolo per ora è infatti contro “contro ignoti e non riguarda lo Ior, sul quale la magistratura italiana non ha competenza ad indagare, ma esclusivamente le banche italiane” , sebbene la Guardia di Finanza abbia “accertato qualche caso fittizio di destinatario dei conti”. DA BANKITALIA – Comportamenti del genere sarebbero violativi delle stringenti norme antiriciclaggio. Ulteriori informazioni, e stimoli per gli sviluppi delle indagini sarebbero venuti dall’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, l’ufficio deputato a svolgere “compiti e funzioni di analisi finanziaria in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo internazionale”, diretto da Giovanni Castaldi, funzionario uscito indenne dal cambio di gestione a Palazzo Koch dopo gli scandali dell’era Fazio, molto benvisto da Draghi che lo ha promosso alla direzione dell’Unità dopo un passato nell’area della Vigilanza Creditizia e Finanziaria dell’istituto di via Nazionale. REPORT DI IERI - Lo Ior ha 100 dipendenti e 5 miliardi di euro di patrimonio; i conti correnti sono riservati a un ristretto numero di privati, oltre che ai dipendenti: nella puntata di Report di ieri si parla della filiale di via della Conciliazione e dei sospetti della procura di Roma. “Nel 2006 si scoprì l’esistenza di un conto-calderone dove arrivavano bonifici senza nome, e un fido aperto di 10 milioni di euro. Nonostante le norme nulla era trasparente, e gli accrediti negoziati presso lo Ior venivano registrati su un tabulato non registrato, che un dipendente della Banca di Roma veniva a ritirare“, risponde un dirigente della banca. Si parla poi dei contatti di Marco Simeon, vicino a Geronzi, con le notizie sulla gestione del conto, finite in un nulla di fatto. Quando Banca di Roma diventa Unicredit, nulla cambia, nonostante le leggi sul riciclaggio del 2007 ormai apertamente violate. Anche altre quattro banche avevano conti simili, fino alla circolare di Banca d’Italia che impone di trattare lo I.O.R.come banca estera. Ma lo I.O.R. farà sapere chi è a movimentare i conti di volta in volta solo su richiesta di Unicredit, secondo quanto dichiarato dalla banca di Alessandro Profumo. www.ilfoglio.it Il già detto di Draghi Le considerazioni finali che il governatore della Banca d’Italia ha già formulato Ridurre il deficit senza danneggiare la crescita: è la formula con la quale l’Ocse ha chiuso venerdì il vertice presieduto dall’Italia. Mario Draghi la farà propria oggi nelle sue considerazioni finali all’assemblea annuale della Banca d’Italia. Con una inversione logica: al primo punto c’è “rilanciare la crescita attraverso riforme strutturali”. Lo ha già detto all’Ecofin di Madrid: “E’ l’unico modo per affrontare una disoccupazione che aumenta ovunque”. Lo ha ripetuto al vertice del Fondo monetario e a un convegno della Banca centrale svizzera. Un Draghi sviluppista, dunque? Al Forex di Napoli, ha usato un’enfasi che non gli è comune: “Una crescita economica sostenuta è base di benessere, presupposto della stabilità finanziaria per un paese ad alto debito pubblico come l’Italia, è futuro per i giovani, dignità per gli anziani, giovamento per il Mezzogiorno”. La stabilità per un banchiere centrale è conditio sine qua non. Ma l’accento oggi cade su due concetti chiave: sviluppo e riforme strutturali. Tra queste ultime, la più importante e delicata riguarda le pensioni. Draghi lo ricorda da tempo. In tutta Europa è sul tavolo l’allungamento dell’età lavorativa. In Spagna divide i socialisti, per la Grecia è una scelta obbligata, la Germania è già a 67 anni. L’economia italiana sul versante finanziario ha resistito all’impatto della crisi meglio di altre, riconosce il governatore. “La solidità e la prudenza delle banche non hanno reso necessari interventi di sostegno della portata di quelli che hanno gravemente pesato sui bilanci di altri paesi. La rete di protezione sociale, pur non riformata organicamente, è stata opportunamente estesa così da arginare disoccupazione e abbandono sociale. I conti pubblici sono peggiorati per l’esigenza di rispondere alla crisi, alleviandone le conseguenze sociali. Il miglioramento dell’attività industriale italiana nei primi due mesi del 2010 prefigura il ritorno a una crescita del prodotto lordo nel primo trimestre, ma sull’intensità e i tempi della ripresa pesano i consumi e l’export”. Di qui la raccomandazione a condurre una politica che rafforzi l’offerta e faccia da acceleratore. Anche riducendo le imposte? Più volte Draghi ha sottolineato il peso eccessivo della pressione fiscale, in particolare sul lavoro, aggravando il divario del costo con gli altri paesi.E oggi affronterà questo punto che gli sta a cuore, mettendolo in relazione al giudizio sul decretone economico. Sulla crisi dell’euro, il governatore sarà molto netto, chiedendo di andare avanti, non indietro. “Abbiamo creato un porto sicuro e dobbiamo fare del tutto per conservarlo – ha dichiarato in una intervista al giornale economico tedesco Handelsblatt – Non importa cosa dicano i critici, i nostri tassi di inflazione e i costi del finanziamento sono bassi. Grazie alla moneta unica siamo stati sorprendentemente protetti dalle turbolenze mondiali. Dobbiamo quindi conservare la stabilità e la credibilità del progetto. La crisi greca ha dimostrato che quella costruzione deve essere resa ancor più resistente. Abbiamo bisogno di un più forte governo economico dell’Unione”. Draghi difende l’impostazione di fondo della politica monetaria “saldamente ancorata alla stabilità dei prezzi. Essa deve essere proattiva – insiste – e andare contro vento anche quando non ci sono pericoli immediati di inflazione”. Quanto al patto di stabilità (“e di crescita”, non smette di ricordare) chiede di ampliarne il concetto: “Finora esso è consistito in un meccanismo di osservazione, e in parte di correzione, dei bilanci pubblici. Dobbiamo renderlo più incisivo ed estenderlo alle riforme strutturali”. Ai dieci principi per un nuovo global standard, cavallo di battaglia di Giulio Tremonti e varati ieri dall’Ocse, Draghi aggiunge le riforme proposte dal Financial stability board. Oggi di sicuro tratteggerà “un quadro di regole comuni per assicurare la stabilità finanziaria, sui derivati e i credit default swap, per i quali le attività di trading andrebbero centralizzate in piattaforme o mercati regolamentati”. Il Fsb ha inoltre un progetto preciso per ridurre l’importanza del rating: “Dobbiamo quindi ottenere valutazioni che permettano agli investitori di distinguere”. La dittatura delle agenzie, insomma, deve finire. A dispetto della speculazione e con il sollievo dei governi che emettono titoli di stato. www.ilsole24ore.com Per la Bce le banche europee rischiano di svalutare 360 miliardi sui prestiti alle famiglie e alle imprese a cura di di L'aumento dei costi del finanziamento, dovuto alla crisi del debito sovrano nell'Eurozona, comporta una serie di conseguenze che «avranno un impatto negativo sulla ripresa e sulla crescita potenziale dell'economia» dell'area. Così la Bce nel Rapporto sulla stabilità finanziaria, spiegando che a sua volta questo si rifletterà sulla performance del sistema finanziario. I conti pubblici dell'Eurozona hanno toccato un nuovo record negativo nel periodo 2008-2010 come conseguenza della crisi finanziaria e questo può portare a «squilibri economici quali deficit delle partite correnti e pressioni inflative». L'aumento del fabbisogno di finanziamento dei Governi e la minore fiducia dei mercati nella sostenibilità dei conti pubblici ha fatto salire rendimenti e spread dei bond governativi in alcuni paesi dell'Eurozona e, di conseguenza, i costi del finanziamento. Questo, scrive la Bce, «peggiora il rischio generale a livello di tassi per il sistema finanziario e rende potenzialmente più difficile una spesa pubblica orientata alla crescita, così come il flusso degli investimenti privati». Le svalutazioni aumentano Le banche di Eurolandia rischiano di dover svalutare di 360 miliardi di euro i prestiti concessi a imprese e famiglie fra il 2007 e il 2010. La stima è della Bce, che ha aumentato di cinque miliardi, rispetto allo scorso anno, il conto delle possibili perdite dovute alla crisi iniziata con i mutui 'subprimè Secondo le stime di Eurotower, le banche dell'area euro hanno accantonato fra il 2007 e il 2009 238 miliardi di euro a copertura delle perdite dovute al peggioramento della qualità del credito. Un fenomeno accentuato dall'elevata disoccupazione, che sta causando un aumento delle insolvenze su mutui e prestiti. «Questo - spiega la Bce sottraendo la cifra alle sue stime per il quadriennio 2007-2010 significa che le banche di Eurolandia dovranno accantonare altri 123 miliardi per il 2010». Decisamente inferiore, invece, la stima sulle perdite di valore dei titoli finanziari nel portafoglio degli istituti di credito: grazie all'apprezzamento di molte attività e al calo degli spread sui prodotti del credito strutturato (come le obbligazioni garantite da mutui), la Bce ha tagliato a 155 miliardi (43 miliardi in meno rispetto a dicembre scorso) le svalutazioni accumulate fra il 2007 e il 2010. 31 maggio 2010 Sul mercato obbligazionario la bolla immobiliare cinese sta già scoppiando a cura di di Andrea Franceschi Che i prezzi degli immobili in Cina stessero crescendo a ritmi troppo rapidi in questi ultimi anni è cosa nota. Lo sa bene il governo cinese che, per raffreddare le quotazioni del mattone ormai fuori controllo è intervenuto con decisione sul fronte della regolamentazione. Da gennaio Pechino ha alzato per tre volte il coefficente di riserva obbligatoria alle banche, ha introdotto norme più restrittive sulle prevendite e ha reso più difficile il credito per l'acquisto delle seconde e terze case. L'ultima mossa contro la bolla immobiliare è arrivata con l'ok a una riforma fiscale sugli immobili. Il comunicato stampa diffuso del governo non ha specificato i dettagli dell'iniziativa, ma gli addetti ai lavori dicono che potrebbe essere introdotta una tassa annuale sulle proprietà immobiliari. L'intento è quello di raffreddare il surriscaldato mercato immobiliare. Ma l'effetto a breve termine di questa mossa è stato quello di far crollare i mercati. La Borsa di Shanghai ha chiuso in ribasso del 2,40% portando il calo totale del mese di maggio a -9% (la peggiore performance da settembre). La stretta del Governo mette il bastone tra le ruote a molte società immobiliari. Basta guardare cosa succede nel mercato obbligazionario. Prendiamo in esame 3,9 miliardi di bond, emessi da 8 colossi delle costruzioni della Repubblica popolare. Secondo dati Bloomberg, da gennaio il differenziale di rendimento rispetto ai Tbond americani di è salito del 2,26%. Segnale eloquente che per il settore immobiliare si annunciano mesi difficili. Tra le peggio messe c'è sicuramente la Kaisa Group holding di Shanghai. La cedola al 13,5% offerta lo scorso mese su un'emissione da 350 milioni di dollari, è recentemente salita al 16,52%. In media le aziende di costruzioni cinesi hanno pagato una cedola del 14% per le proprie emissioni in dollari. Decisamente di più delle altre società asiatiche del settore (9,2%) e oltre doppio di quelle americane (6,2%). Sul totale del mercato obbligazionario asiatico in dollari (Giappone escluso) le emissioni delle società immobiliari cinesi rappresentano, per ammontare, una fetta consistente: il 45%. 31 maggio 2010 Cassa integrazione illecita senza l'avviso al sindacato Remo Bresciani La comunicazione aziendale di avere una contrazione dell'attività produttiva non è sufficiente per collocare i dipendenti in cassa integrazione. Il datore di lavoro, infatti, è tenuto a mettere il sindacato in condizione di valutare preventivamente, di concordare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di verificare la possibilità di applicare o meno la rotazione. In mancanza di tutto questo i lavoratori colpiti dal provvedimento possono ottenere il ripristino del rapporto e il pagamento della retribuzione piena. Lo ha chiarito la sezione lavoro della Cassazione (sentenza 11254/2010) secondo la quale la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela non solo degli interessi pubblici e collettivi, ma anche di quelli dei singoli lavoratori ai quali deve essere assicurata un'assoluta parità di trattamento. La vicenda prende le mosse dal ricorso presentato da un operaio collocato in cassa integrazione per un semestre e, successivamente, per un altro analogo periodo. Il ricorrente ha lamentato in particolare la non adozione del meccanismo di rotazione, il mancato esperimento dell'esame congiunto obbligatorio e l'impossibilità per le organizzazioni sindacali di valutare i criteri di scelta dei dipendenti da sospendere. L'operaio, pertanto, ha chiesto la condanna dell'impresa al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non pagate oltre a interessi e rivalutazione. Il tribunale ha respinto la domanda ma la decisione è stata riformata in appello. I giudici di secondo grado hanno stabilito che dalla lettura degli atti si evinceva che la decisione di non adottare il metodo della rotazione non era stata in alcun modo giustificata dalla società. Infatti era mancata la «preventiva, tempestiva e specifica comunicazione» dei criteri di scelta ed era venuto meno anche l'esame congiunto. L'azienda aveva inoltre omesso di effettuare una verifica sulla possibilità, trascorsi i primi sei mesi, di optare per una rotazione parziale dei dipendenti in modo da non danneggiare sempre le stesse persone. Contro questa decisione la società ha presentato ricorso alla Suprema corte sostenendo che non era stato possibile adottare il criterio della rotazione perché il numero limitato di eccedenze, che incideva su tutte le funzioni aziendali, rendeva non fungibili tra loro le persone delle aree coinvolte. Non solo. Gli accordi intervenuti con i sindacati evidenziano l'esistenza di un esame congiunto circa l'impossibilità di ricorrere a questo sistema e il ministero del Lavoro ha autorizzato l'intervento per crisi aziendale approvando il progetto e autorizzando la non adozione della rotazione. Ne conseguiva, pertanto, che nessuna violazione poteva essere contestata alla società. La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha affermato che in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l'attuazione di un programma di ristrutturazione che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro ometta di comunicare ai sindacati, ai fini dell'esame congiunto, «gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi». L'azienda, pertanto, è tenuta a spiegare i motivi per i quali non vengono adottati particolari meccanismi previsti dalla legge con la conseguenza che, in assenza di un chiarimento preventivo, il dipendente sospeso può ottenere «il ripristino del rapporto e il pagamento della retribuzione piena e non integrata». Inoltre, la comunicazione di una Cigs assolutamente generica, non può essere "sanata" successivamente con un confronto reale con i sindacati, dal momento che il loro controllo, per essere efficace e produttivo, deve avere carattere preventivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA www.guidaaldiritto. ilsole24ore.com www.ilgiornale.it articolo di lunedì 31 maggio 2010 Guzzetti: «Bene il richiamo della Lega Le banche siano più vicine al territorio» di Redazione La crociata della Lega per avere più peso nelle banche del Nord, lanciata da Bossi a metà aprile, «non era una richiesta brutale, ma un richiamo doveroso agli istituti di credito, che devono avere un maggiore collegamento con il territorio, soprattutto in un momento di crisi: e io lo condivido». A dirlo è stato il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti. L’avvocato comasco, grande azionista di Intesa Sanpaolo attraverso la Fondazione Cariplo, è però tornato a tirare le orecchie a Sergio Chiamparino. Il sindaco di Torino ha fatto pressione sulla governance di Intesa mentre era in corso il braccio di ferro tra i soci per il rinnovo dei vertici: in gioco c’era la presidenza del consiglio di gestione, poi andata ad Andrea Beltratti. «C’è stata questa dichiarazione pubblica che il presidente della banca era stato scelto dal sindaco Torino e questo ha rappresentato un elemento di forte disturbo», ha ricordato Guzzetti nel corso della trasmissione In mezz’ora trasmessa da Raitre. Questo, ha aggiunto, è stato un passaggio «sbagliato» verso gli azionisti e quindi verso le stesse fondazioni. La governance di Intesa attribuisce, peraltro, al consiglio di sorveglianza l’ultima parola sulla composizione del consiglio di gestione. Guzzetti ha poi negato «scontri» tra le cinque Fondazioni azioniste di Ca de’ Sass e ha ribadito di ritenere «positivo» l’assetto di comando raggiunto con Andrea Beltratti. Scelta sulla quale, ha concluso Guzzetti, «confermo che sono molto ottimista, perché i primi passi sono passi condivisibili». In realtà la situazione nel capitale di Intesa è tesa da settimane, al punto che il presidente della Compagnia di San Paolo, Angelo Benessia, ha sventato solo all’ultimo istante un’azione di sfiducia da parte di un gruppo di consiglieri dissidenti. Il primo candidato di Benessia per il vertice di Intesa era Domenico Siniscalco che poi si è però ritirato davanti al polverone. Benessia nei giorni scorsi aveva anche sottolineato l’opportunità per le Fondazioni di fare un passo indietro dal capitale delle banche, scontrandosi con l’opinione dell’amministratore delegato di Intesa, Corrado Passera. Quest’ultimo era poi stato «smentito» da Beltratti, che aveva apprezzato l’invito della Compagnia. Ieri Benessia ha provato a rimediare con un’intervista a Il Secolo XIX , dove ha detto di essere stato male interpretato e che Torino non intende disimpegnarsi da Intesa. Secondo Benessia, con Beltratti c’è poi stato «un ricambio, anche generazionale, positivo». Siniscalco «era un ottimo candidato», ma è stato penalizzato «da un’eccessiva esposizione politica». www.lastampa.it La crescita del Pil italiano non basta a scongiurare i rischi per la nostra borsa Secondo il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Durao Barroso, la crisi non è ancora finita. Parlando qualche giorno fa a Firenze Barroso ha dichiarato che " La crisi economica e finanziaria ha spazzato via 10 anni di crescita e di progressi, e non è ancora passata". Le possibili difficoltà future dipendono dal fatto che per la prima volta l’Europa si trova di fronte ad attacchi rivolti al debito sovrano, attacchi che costringeranno tutti i paesi ad adottare politiche di austerità che potrebbero soffocare la ripresa economica ancora incerta dopo la grave crisi dell’ultimo biennio. E' in questa prospettiva non certo rosea che devono essere valutati i timidi segnali positivi inviati dall'economia europea nel primo trimestre dell'anno ed in particolare da quella italiana, che ha visto il Pil da gennaio a marzo in crescita dello 0,5% sul trimestre precedente e dello 0,6% rispetto al primo trimestre del 2009. In un contesto di ripresa che può essere ancora considerata lenta l'Italia ha fatto la sua parte, ma questo potrebbe non bastare. In confronto alla Germania, cresciuta nel primo trimestre dello 0,2% sul precedente, alla Francia, in progresso di un modesto 0,1%, alla Spagna, anche lei con una piccola crescita dello 0,1% (ed ancora negativa su base annua dell'1,3%), l'Italia ha comunque bene impressionato. A prima vista le parole di Barroso potrebbero sembrare dunque troppo allarmiste, il nostro paese di questo passo nel 2010 potrebbe arrivare a crescere dell'1%, tuttavia prendendo come riferimento i livelli del 2007 ci si accorge che effettivamente la produzione industriale è in calo del 21% circa e che ogni futuro incremento servirà quindi per colmare il gap apertosi rispetto al passato. Nel 2008 il Pil italiano era diminuito dell'1,3% (valore totale del Pil 1.572.243 milioni di euro correnti), nel 2009 del 5%, il peggior dato dal 1980, la data di inizio della serie storica. Il calo rispetto ai picchi del 2007 è stato quindi a valori concatenati nell'ordine del 6,29%, il che significa che per tornare ai livelli pre-crisi il Pil dovrà aumentare del 6,7%. Secondo il Fondo Monetario Internazionale l'Italia crescerà dello 0,8% nel 2010 e dell'1,2% nel 2011. Nel 2007 il Pil era aumentato dell'1,5%, dell'1,8% nell'anno precedente. Una crescita nei prossimi anni uguale o superiore all'1% non è impossibile da ipotizzare, per tornare ai livelli precedenti la crisi non saranno quindi necessari 10 anni ma 5 o 6 probabilmente si. Non è forse quindi una coincidenza il fatto che la nostra borsa, rappresentata dal Ftse All Share, sia attualmente su livelli simili a quelli dei minimi del marzo 2003, ovvero di circa 7 anni fa. Ma il rischio che le cose peggiorino ancora prima di tornare a migliorare, almeno per i listini, è credibile? Se fino a poche settimane orsono, fino ad inizio aprile, le incertezze evidenziate dai principali indici azionari facevano pensare più ad una fase di temporanea correzione, un modo per trovare il giusto tasso di crescita dopo la sfuriata rialzista del 2009, adesso si profila all'orizzonte uno scenario completamente diverso. Il rischio che sia il rimbalzo visto nel 2009 a dimostrarsi solo una correzione del precedente lungo ribasso, quello iniziato nel 2007, si sta facendo sempre più pressante mano a mano che si avvicinano i livelli al di sotto dei quali chi studia i grafici sarebbe costretto a tornare ribassista anche per il lungo periodo. Uno scenario di questo tipo al momento non è forse credibile, potrebbe tuttavia diventarlo se effettivamente la situazione dei paesi più fragili dell'Unione Europea dovesse peggiorare. Il fallimento, poi evitato dal commissariamento della Banca di Spagna, della Cajasur, e la fusione decisa in gran velocità da altre quattro banche spagnole alimentano le preoccupazioni sul comparto bancario e fanno temere ai mercati l'inizio di una nuova stagione di costosi salvataggi, salvataggi che potrebbero dare il colpo di grazia alle finanze disastrate di alcuni paesi dell'Unione. www.rainews24.it Diminuzione del 3,9% nel 2009 Benzina. Crollano i consumi autostradali La crisi si fa sentire, le famiglie italiane viaggiano di meno e i consumi di benzina crollano sulla rete autostradale. Secondo gli ultimi dati dell'Unione petrolifera, nel 2009 le vendite di carburanti sulle autostrade sono scese del 3,2%: particolarmente forte la flessione della benzina (-3,9% a circa 568mila tonnellate), mentre il calo del gasolio e' stato lievemente piu' contenuto (-3,1% a 2,1 milioni di tonnellate). Le vendite autostradali, secondo quanto si legge sulle Notizie statistiche petrolifere di aprile, sono state penalizzate in particolare da un disastroso primo trimestre, quando si e' registrato un tonfo del 12,4% per entrambi i carburanti. Il mese peggiore sono stati marzo per la verde (-16,7%) e febbraio per il gasolio (-13,8%). Nel corso dell'anno le riduzioni si sono poi limitate e si e' visto anche qualche segno piu', anche se ad agosto, mese tradizionalmente di forti consumi, la benzina ha registrato un -2,8%. Il monito dell'Ocse Evitare una crescita senza occupazione Le politiche di consolidamento fiscale dei paesi con elevati deficit e debiti pubblici non devono rallentare le potenzialita' di crescita, in questa difficile fase di uscita dalla crisi economica globale. E' la raccomandazione dei ministri dei paesi che aderiscono all'Ocse, contenuta nel documento finale della sessione appena conclusa, presieduta dall'Italia. "E' importante - si legge nelle "conclusioni ministeriali" - che vengano sviluppati programmi a medio termine credibili e trasparenti di consolidamento dei bilanci" ma questi devono essere messi in campo "senza che mettano a rischio la crescita" economica. In particolare, i ministri si impegnano a "stabilizzare e ridurre i debiti pubblici nel medio e lungo termine. Riconosciamo l'importanza di preservare la crescita potenziale rendendo prioritaria la spesa pubblica e perseguendo una riforma delle tasse favorevole alla crescita". L'altra preoccupazione dei ministri, guidati oggi a Parigi dall'italiano Giulio Tremonti, e' di "evitare una ripresa senza occupazione e una crescita senza occupazione". Per questo i ministri si impegnano a sviluppare "politiche dell'occupazione e sociali comprensive, inclusive e innovative per affrontare la crisi dell'occupazione e promuovere la ripresa e la crescita per tutti". www.repubblica.it BANCHE&BANCHIERI Chi vince la gara (al ribasso) Le peggiori a Piazza Affari? Le banche. Non c’è dubbio: da un anno a questa parte (ma anche da gennaio ad oggi) gli istituti di credito si piazzano in cinque caselle su un a classifica di dieci, all’interno dell’indice dei titoli a maggior capitalizzazione. E i peggiori salgono a sette su dieci se aggiungiamo due assicurazioni, Fondiaria (la peggiore in assoluto) e Unipol. All’interno delle banche, invece, la maglia nera nei dodici mesi spetta a Bpm, che ha perso il 28,21%. Seguono il Montepaschi, a meno di un’incollatura (con un calo del 28,02%) e praticamente appaiata Ubi, che lascia sul terreno il 27,89%. Un po’ meglio se la passano invece Mediobanca e il Banco Popolare, in perdita rispettivamente del 23,28 e del 23,02%. Del resto, non sono risultati che sorprendono: crisi finanziaria e dubbi sui bilanci pubblici nei paesi europei non possono non colpire in primo luogo le banche (e assicurazioni). Che di titoli pubblici, dell’eurozona, sono per forza di cose piene. vittoria puledda Dalla trasparenza nei mercati finanziari fino alle teorie economiche il dilemma tra vero e falso sarà il tema al centro del dibattito al meeting di quest’anno TITO BOERI La parola chiave del festival dell’economia di Trento, giunto quest’anno alla quinta edizione, è informazione. Verrà coniugata sotto tante angolature diverse, dalla trasparenza nei mercati finanziari alla teoria economica. La novità sul piano dei formati di quest’anno è il "vero o falso" un ambito in cui si andrà a fondo sono molti quesiti ricorrenti nel dibattito pubblico: quelle della suina o dell’aviaria sono state pandemie mediatiche per cercare di arricchire le cause farmaceutiche che producevano i vaccini? Sono davvero proibitivi i costi delle politiche di contrasto al cambiamento climatico? Ed è fondata l’equazione immigrazione uguale criminalità ricorrente nei discorsi di molti uomini politici, a partire dal nostro Presidente del Consiglio? Molte lezioni di piazza si occuperanno di chi per professione produce e vende informazione. E’ un’industria sempre più importante: oggi i veri "padroni del vapore" sono i padroni dell’attenzione, coloro che riescono a raggiungere milioni se non miliardi di persone e a formare l’opinione pubblica. Al tempo stesso è un’industria sempre più in crisi. Di qui l’interesse crescente che suscita anche tra gli economisti che, sempre più numerosi, si sono messi a studiare il suo funzionamento, la sua influenza e i sui rapporti con il business e con il mondo politico. E’ un tema di grande importanza perché la crisi nella crisi dell’editoria ha reso i produttori di informazione potenzialmente ancora più ricattabili, vulnerabili alle pressioni, al condizionamento del potere economico e politico. Queste pressioni e questi condizionamenti sono spesso opachi, poco trasparenti, per cui chi accede alle informazioni non è in grado di valutarne la natura, di capire se e in che misura si tratta di informazioni distorte, di parte. Si aprono così interrogativi inquietanti circa l’esercizio del controllo democratico dei cittadini. L’intreccio fra potere economico e mediatico alimenta poi il sospetto che informazioni economiche di base, ad esempio sui risultati di società quotate, vengano sottaciute o alterate per sostenere gruppi rappresentati nella proprietà dei media o che comunque contribuiscono al loro finanziamento. Una fonte di finanziamento sempre più importante per produttori di informazione che non riescono ad escludere dall’accesso all’informazione chi non paga per ottenerla è rappresentata dalla pubblicità. Ma anche il mercato della pubblicità può essere soggetto a forti condizionamenti, a pressioni della politica o dei cosiddetti "poteri forti". Anche la pubblicità può diventare un’arma di ricatto. Purtroppo gli esempi abbandonano e sono a noi molto vicini. La conferma dell’importanza del tema scelto per questa edizione del festival l’abbiamo avuta dai primi risultati di un’indagine Isae sulle conoscenze economiche degli italiani svolta su di un campione di 2000 famiglie, rappresentativo della popolazione italiana. Solo un intervistato su cinque dichiara di non sapere se il reddito complessivo del nostro paese (così come sintetizzato dal prodotto interno lordo) è aumentato o diminuito nel 2009. Tra chi ritiene di saperlo, un buon 40 per cento pensa che sia aumentato e solo il 10 per cento indica un numero tra il meno 4 e il meno 6 per cento, vicino al dato effettivo (5 per cento). Quindi solo il 2 per cento delle famiglie italiane è consapevole di come sia andata la nostra economia durante la Grande Recessione. La percentuale di risposte è ancora più bassa quando si chiede come sia andato l’indice dei prezzi al consumo, un riferimento più vicino al vissuto quotidiano anche perché è la base di indicizzazione delle pensioni. Due italiani su tre non sanno quanto sia il tasso di disoccupazione. Significativamente, la percentuale di persone che rispondono alle domande sull’andamento di queste grandezze macroeconomiche e ancor di più di coloro che danno risposte pressoché esatte diminuisce tra le famiglie che utilizzano la televisione come principale strumento di informazione. E’ proprio sull’andamento di queste grandezze – crescita economica, inflazione, disoccupazione – che normalmente si determinano le sorti dei governi. In Italia ci sono molto più cittadini disinformati che altrove. Questo pone seri interrogativi sul funzionamento della nostra democrazia. Ma ci sono anche costi strettamente economici nella disinformazione. Con poche e distorte informazioni i prezzi che si formano sui mercati sono essi stessi poco informativi sui valori in gioco perché possono essere solo il risultato di false comunicazioni e di forme di contagioimitazione fra individui che cercano di ottenere informazioni sui valori in gioco osservando il comportamento degli altri individui. In altre parole, senza informazioni, i prezzi smettono di svolgere la loro funzione di orientare le scelte di consumatori e imprese trasmettendo informazioni sulla scarsità relativa dei beni oggetti di scambio. Si creano così le bolle, rialzi dei prezzi che non hanno nulla a che vedere con i fondamentali del mercato e la scarsità effettiva di alcuni beni. Un esempio immediato dei costi della mancanza di informazioni o della presenza di informazioni poco credibili ci viene dalla genesi della Grande Recessione del 2009. Il crollo di interi segmenti dei mercati finanziari è stato proprio il prodotto di asimmetrie informative, banche che non si fidavano più le une delle altre perché sapevano che c’erano tutti quei "titoli tossii" in circolazione. Anche quando le banche erano davvero poco "intossicate" e dunque desiderose di far conoscere il buon stato dei loro bilanci, non avevano alcun modo di rendere credibili le informazioni da loro trasmesse ai mercati. Di questi e di altri temi si discuterà a Trento dal 3 al 6 giugno 2010. Come sempre nelle lezioni di piazza e negli incontri anche casuali in una città che da un lustro ha adottato il festival, ci sarà spazio per le vostre domande e interazioni con alcuni tra i migliori economisti del mondo, non solo premi Nobel del passato, ma soprattutto futuri premi Nobel. "Quotazione e copertura per i derivati sul credito" parla il Nobel Vernon Smith L’intervista PAOLA JADELUCA «Bisogna tornare alle regole comuni prima del 1990: ammortizzare i mutui, richiedere un 2530 per cento di pagamento, verificare le entrate di chi richiede i prestiti. E poi rimuovere lo status di "esenti" (esentasse, n.dr.) ai contratti di assicurazione sui default, i derivati, quotarli come tutti gli altri titoli cartolarizzati e chiedere che vengano collateralizzati». Vernon L. Smith, 83 anni e una grinta da ragazzino, va dritto al cuore dei problemi al centro del dibattito internazionale, dopo che la crisi dei mutui subprime ha scatenato lo tsunami finanziario. Quotare i derivati su mercati regolamentati, renderli più trasparenti e controllabili, imporre loro una garanzia di copertua, dice, sono queste le regole da imporre per riequilibrare il sistema. Il Senato americano ha appena dato il via libera alla riforma finanziaria, fortemente voluta dal presidente Usa, Barak Obama, La riforma più importante dagli anni Trenta mette mano anche al capitolo dei derivati, con la creazione di una Central clearing and exchange trading, ente che servirà da camera di compensazione per i mercati non regolamentati. Ma appare molto cambiata rispetto alla versione originale presentata alla Camera un anno fa. La battaglia è stata dura, sotto la pressione delle lobby finanziarie e politiche. Anche l’Unione europea è impegnata in una riforma di questi strumenti, per rendere più stabile il mercato con la quotazione degli Otc, titoli over the counter. Criminalizzati da tutte le parti, questi derivati sul credito, insomma, possono continuare a vivere. Secondo Vernon vanno però inseriti in un contesto regolamentato. Entro determinati paletti, addirittura i Cds, credit default swap, potrebbero giocare un ruolo di prevenzione delle crisi come lo stesso Luigi Zingales, docente di finanza alla University di Chicago, aveva provocatoriamente annunciato già lo scorso anno nell’ambito della precedente edizione del Festival dell’economia di Trento. Morte ai derivati sul credito, lunga vita ai derivati sul credito. Premio Nobel per l’economia nel 2002, per aver istituito degli esperimenti di laboratorio come strumento di analisi economica empirica, specialmente nello studio dei meccanismi di mercato alternativi, Vernon è considerato l’ispiratore dell’economia cognitiva, che supera la razionalità degli agenti economici alla base dell’economia classica, gettando allo stesso tempo un ponte tra modelli teorici dell’economia neoclassica e mondo reale. Docente alla Chapman university di Orange, California, nonché fondatore e presidente della International Foundation in Experimental Economic, fino a qualche anno fa portava una lunga coda di cavallo e vistosi anelli da ex figlio dei fiori che ancora oggi richiamano l’attenzione. Look e idee che lasciano il segno, al Festival di Trento Vernon ci riporterà al tema della crisi e della grande recessione del 2009 confrontandola con la crisi del ‘29, anche quella innescata da una bolla immobiliare. Al Festival di Trento terrà anche uno speech sui temi della razionalità nell’economia, un intervento che analizzerà i due poli del mercato tra teoria e analisi sperimentali. Alcuni esperti sostengono che ci sono gravi lacune nel ruolo delle Authority deputate al controllo dei mercati. Il caso Madoff fa scuola, e ci induce a pensare che forse più che di nuove regole avremmo bisogno di più accurati controlli. Lei è d’accordo? «Ci sarà sempre qualcuno in politica, nel governo, nel business e nella chiesa che farà falsa testimonianza, violerà i segreti degli altri, commetterà frodi; la frode è già illegale, ma non può essere perfettamente imposto il rispetto matematico della legge». Cosa ci insegna la crisi Greca? «La crisi greca mostra la connessione tra stabilità finanziaria dei governi e la salute dell’economia e la sua capacità di creare ricchezza per la popolazione. Se non ci fossero stati gli eccessi del governo, le misure di austerità non sarebbero state necessarie. Ti aspetti austerità in tempo di guerra, ma non prosperità». Crescere finanziando la rendita anziché la produzione non è un modello di sviluppo vincente, insomma. La bolla immobiliare della Grecia è l’ultimo caso degli effetti della speculazione che il real estate ha giocato in molti casi. C’era stato prima il Giappone. E ora lo sguardo è già puntato sulla Spagna e il Portogallo. Regole più ferree sui mutui sembrerebbero aver messo l’Italia al riparo dalla bolla immobiliare, ma la maximanovra da 24 miliardi di dollari del governo sono il segnale che la situazione non è certo rosea. Quali similitudini ravvisa tra la Grande Depressione del 2009 in merito alla bolla immobiliare? «La grande depressione era stata preceduta da una ondata di spesa sul real estate sia residenziale che commerciale, finanziata a credito, dal 1922 fino al 1925; la spesa crollò drammaticamente a partire dal 1926 e fino al 1933, portando alla depressione del 19291933. La crisi attuale si è prefigurata con lo stesso scenario di sviluppo: le spese sulle nuove costruzioni immobiliari hanno iniziato il loro declino nel secondo trimestre del 2006, con una ripresa soltanto leggermente nel secondo trimestre del 2009». Nello scenario degli ultimi anni non pensa che Internet, e più in generale una maggiore informazione, possa migliorare il mercato finanziario? «Farà più male che bene. La bolla immobiliare era ampiamente conosciuta da tutti eppure le sue conseguenze inevitabili sono state ignorate da coloro che prendevano prestiti, dalle banche e dagli esperti finanziari e politici». "Troppo potere ancora a Wall Street" Il caso Ancora troppo potere per Wall Street. Nonostante l'impegno dei governi sul fronte legislativo, le grandi banche continuano a muoversi con disinvoltura replicando gli eccessi che hanno portato alla crisi. E’ uno dei concetti che ripete da mesi Simon Johnson, docente di sviluppo imprenditoriale al Mit Sloan School of Management e ospite al Festival di Trento. Tra gli economisti più ascoltati del momento a Washington, Johnson è stato tra i sostenitori della riforma finanziaria approvata nei giorni scorsi dal Senato americano, che punta a scongiurare nuove crisi sistemiche. Una rilettura in chiave restrittiva delle norme in precedenza dalla Camera. Johnson non è tenero nemmeno con l'Europa: «I paesi che vogliono mantenere l'euro", ha spiegato di recente in un articolo sul Financial Times, "devono accettare una sostanziale cessione di sovranità sulla politica fiscale, quindi sui deficit di bilancio, e creare un unico forte organo di vigilanza bancaria». (l.d.o.) www.panorama.it Corea del Nord: perché la tiepida reazione di Pechino Pur essendo l’alleato storico della Corea del Nord, la reazione tiepida di Pechino alla mobilitazione dell’esercito di Pyongyang ha stupito soprattutto chi ricorda che la Cina è stato il Paese che ha spinto di più per trattenere i rappresentanti del Caro Leader al tavolo negoziale dei Six-party talks e tentare di raggiungere un compromesso a sei sulla questione del nucleare coreano, evitando quindi la destabilizzazione dell’intera regione. Perché allora la Cina, a fronte di una chiara minaccia di guerra, evita di prendere posizione? Difficile descrivere in poche righe le ragioni del profilo basso mantenuto da Pechino, ma quel che è certo è che anche l’economia ha avuto un peso nella definizione della strategia coreana del gigante d’Oriente. La Cina ha da tempo consolidato importanti interessi economici in Corea del Nord. Pechino ha già investito abbondantemente in industrie minerarie, siderurgiche e portuali, e i due governi hanno iniziato un paio di anni fa a firmare accordi di collaborazione commerciale. A conferma di questo rapporto privilegiato tra Pechino e Pyongyang vi è poi la notizia che più di 130 aziende cinesi (su 278 in totale) hanno partecipato alla tredicesima fiera primaverile del commercio internazionale della Corea del Nord. Nel Paese del Caro Leader in pochi giorni gli imprenditori cinesi hanno firmato 240 nuovi contratti di collaborazione per un valore complessivo di circa 4,46 milioni di dollari americani. Sono cifre significative se si considera che si sta parlando del Paese più povero ed arretrato al mondo. E pochi rimarrebbero stupiti se Pechino avesse scelto di mantenere un profilo basso nella questione coreana consapevole da un lato di non avere poi così tante possibilità di far cambiare idea a Kim Jong-il. Dall’altro degli evidenti vantaggi che l’interruzione dei rapporti commerciali tra la Corea del Nord e tutti gli altri paesi della regione comporta per la Cina. claudia astarita Lunedì 31 Maggio 2010 Crisi coreana: cosa vuole fare davvero la Cina? Continuano le ritorsioni della comunità internazionale contro la Corea del Nord. Il Giappone ha annunciato un rafforzamento delle sanzioni contro Pyongyang. Misura, questa, che non può modificare in maniera significativa gli equilibri dell’Asia del Nord dal momento che l’interscambio commerciale tra i due Paesi è sostanzialmente nullo. Più interessante è stata invece la reazione della Cina. Oggi il Primo Ministro Wen Jiabao è volato a Seoul (per una visita già programmata da tempo, non per occuparsi da vicino dell’emergenza) dove ha dichiarato, ha riportato la BBC, che Pechino non proteggerà chi ha affondato la Cheonan e che la Repubblica popolare condanna qualsiasi iniziativa in grado di mettere in discussione pace e stabilità nella penisola coreana. Dichiarazioni senza dubbio importanti, soprattutto perché Pechino ha mantenuto fino a questa mattina un profilo basso nella crisi coreana. Peccato, però, che la stampa cinese affermi tutt’altro: ‘la posizione cinese sull’affondamento della Cheonan non è cambiata. La questione è molto complicata. Stiamo cercando di raccogliere informazioni sia dal Sud che dal Nord in maniera molto cauta’. Nessuna condanna, nessuna presa di posizione. E allora chi sta dicendo la verità? Claudia Astarita