Lei ha recentemente dichiarato che il XXI sec. si gioca sul problema

Lei ha recentemente dichiarato che il XXI sec. si gioca sul problema della qualità:
per i prodotti vegetali le norme attuali si occupano dell’identità e non della qualità.
Per determinare la qualità, che coincide con la composizione chimica, ci viene
incontro la strumentazione per HPTLC: questa ci permette di dire tecnologicamente
cosa c'è in una pianta e quindi quanto vale. Come funziona la HPTLC?
Si tratta di un sistema di analisi basato su una recente strumentazione altamente
automatizzata che permette di separare le molecole in sistemi complessi, come un
estratto, e renderle visibili. Sostanzialmente consiste in un avanzamento ed un
perfezionamento della cromatografia su strato sottile. Uno degli obiettivi è “vedere” le
molecole (troppo piccole per farlo direttamente) svelando la composizione molecolare
anche a chi non sa niente di chimica. Inoltre, finora a livello analitico ci si era soffermati
nello studiare principalmente uno o due costituenti di un estratto di una pianta, perché
considerati i più importanti, ma poi si è passati al concetto di fitocomplesso, ovvero
possono essere importanti molte molecole e quindi la stessa pianta essere usata per più
di una attività.
Quali sono le sue applicazioni, e quali capacità avrà l'HPTLC in futuro, di incidere
sulle nostre scelte alimentari?
Seguendo questo concetto, abbiamo due tipi di applicazioni immediate. Possiamo
tracciare un profilo metabolomico completo tipico della pianta usata, che chiamiamo
“fingerprint metabolomico”, analogo a quello che si fa con il DNA. Tuttavia l’analisi del
DNA è complicata e ci fornisce solo l’identità, mentre quella con l’HPTLC è molto più
semplice ed immediata, e poi l’analisi del DNA non si può usare efficacemente per gli
estratti vegetali. Insomma ci possiamo accorgere facilmente se hanno usato la pianta
sbagliata oppure una andata a male, oppure se dentro un integratore alimentare vegetale
hanno messo il Viagra o il nimesulide, per aumentarne l’efficacia. Inoltre possiamo
verificare la qualità del cibo mediante l’analisi quali e quantitativa delle molecole che lo
compongono. Finora le analisi utilizzate erano complicate e difficili da spiegare ai non
addetti ai lavori, ora sono più semplici ed evidenti, oltre che più rapide.
Industrie alimentari, farmaceutiche e tutte le multinazionali interessate alla
trasformazione dei cibi hanno tutti gli interessi a opporsi alla piccola-grande
rivoluzione che può rappresentare l'HPTLC alla portata di ognuno di noi. Ci sono
soluzioni possibili, compromessi o battaglie?
Secondo me, quello che sta succedendo è che anche le grandi industrie stanno via via
utilizzando le nuove tecniche perché sono convenienti ed utili. I problemi vengono dagli
aspetti normativi che tardano a inserire le nuove tecniche nelle monografie ufficiali.
Soprattutto in Europa, mentre l’HPTLC è stato inserito negli USA e nella Farmacopea
Ufficiale della Repubblica Popolare della Cina, per l’analisi delle droghe vegetali. Credo,
comunque sia un problema di tempo, negli ultimi anni l’impiego dell’HPTLC si sta
diffondendo rapidamente in tutti i settori di impiego delle piante medicinali,
Nel testo "Perché non dimagrisco?" (Nuova IPSA Ed. 2014) di cui lei è autore
insieme a Rossella Fioravanti, viene affrontato il problema dell'ondata dei prodotti
commerciali ad azione dimagrante. Ma a monte di tutto questo, ci si
domanda perché tante persone arrivino a sconfinare nell'obesità: dov'è il
cortocircuito che non fa funzionare il nostro rapporto con il cibo?
Per semplificare diciamo che si tratta non tanto di quanto mangiamo ma di cosa
mangiamo, insomma come ci nutriamo e quanto è cambiato il nostro ambiente nutrizionale
negli ultimi decenni. Quindi fondamentale è la qualità del cibo, ma è un problema più
complesso, come dimostra il dilagare dell’obesità anche in paesi a basso reddito. La
globesità (la presenza del fenomeno in quasi tutto il pianeta) è un problema di qualità. Per
affrontarlo dobbiamo prima di tutto avere gli strumenti analitici adatti.
Nel suo libro parla di una "nuova consapevolezza" dovuta ai progressi, negli ultimi
20 anni, di studi congiunti tra la scienza sensoria e quella della nutrizione. Questi
studi hanno posto "sempre maggiore importanza sul ruolo delle proprietà sensorie
nel modo in cui scegliamo il cibo". Ciò incoraggerebbe a prendere le distanze da
ogni approccio "tecnologico" per conoscere meglio le nostre percezioni,
approfondire la coscienza di sé e ripensare i propri comportamenti " evitando di
cercare nel cibo le endorfine che la vita quotidiana ci rifiuta".
Il libro cerca di ribaltare l’approccio comune, basato sulla necessità di dimagrire e di
ottenere in qualche modo questo risultato, che alla fine quasi sempre si rivela ingannevole
e fugace. Non ci si pongono domande su quanto e quando dimagrire. L’importante è che
la dieta funzioni e che sia rapida. E’ lo stesso atteggiamento che abbiamo con i farmaci.
Ma sappiamo oggi che l’assunzione del cibo e l’accumulo delle sostanze di riserva è un
fenomeno complesso e che richiede i suoi tempi. Per dimagrire, in modo significativo e
non momentaneo, ci vuole sicuramente lo stesso tempo che ci abbiamo messo per
ingrassare. Non si tiene conto di fattori determinanti come lo stile di vita, il tempo di
utilizzazione della materia prima, l’impiego di anabolizzanti, antibiotici ed altre sostanze
estranee al cibo. La tecnologia, anche in questo caso, può essere un grande alleato
oppure condurre verso pessimi risultati. I migliori artefici del nostro destino alimentare
siamo noi, nel momento in cui siamo capaci di interpretare i segnali che l’apparato
gastrointestinale invia al cervello che le converte in sensazioni. Utilizzando la
decriptazione dei segnali offerta dagli studi sulla fisiologia della digestione, come descritto
nel libro, tutto diventa più chiaro e leggibile, e poi ciascuno faccia le sue scelte, almeno
consapevoli e non subite. Il lettore potrà trovare nel libro molte indicazioni, anche pratiche,
su come comportarsi per raggiungere l’obiettivo di un peso soddisfacente operando scelte
consapevoli.
Ci può parlare della giornata di oggi, dedicata al network sull'albero del Neem? In
che modo si possono "trasformare i risultati scientifici in prodotti utili"?
Abbiamo partecipato alla call sui progetti per l’EXPO (ottenendo una ottima qualificazione)
incentrando la nostra partecipazione sul neem perché crediamo che il futuro
dell’alimentazione per l’umanità derivi in primo luogo dal nostro atteggiamento nei
confronti dell’ambiente. In una decina di anni abbiamo creato un network a cui hanno
aderito una ventina di università ed enti di ricerca italiani ed esteri, dimostrando la
possibile utilizzazione del neem in molti campi, quali antisettico, insetticida, fertilizzante,
ma forse l’aspetto più importante è la capacità del neem si sopravvivere nei terreni aridi
dove gli altri alberi non ce la fanno. Il principale target del network è convertire questi studi
in prodotti di nuovo tipo che possano aiutare il mondo a progredire in una direzione
ecosostenibile e rispettosi del territorio, ma siamo consapevoli che per affermarsi questi
prodotti devono anche essere competitivi sul mercato. Abbiamo già realizzato importanti
risultati utilizzando il neem cake, un sottoprodotto della produzione dell’olio.