Cause precedenti all`instaurarsi della neoplasia

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Fertilità e sessualità dopo trattamento dei tumori giovanili
A. M. Granata, C. Ammendola, A. Cicalese e V. Mirone
Università degli Studi di Napoli “ Federico II” - Clinica Urologica
Introduzione
Nell’ ultimo decennio si è assistito ad un costante aumento dei tassi di
guarigione da malattie neoplastiche, dovuto sia ad una maggiore
efficacia dei protocolli terapeutici, sia ad un incremento delle diagnosi
precoci.
È di conseguenza aumentato l’ interesse dei ricercatori per la qualità
di vita nei pazienti sopravvissuti e in particolare, nei giovani pazienti
oncologici, per i disturbi della fertilità e della vita sessuale, spesso
conseguenza delle diverse terapie antineoplastiche.
Il problema riveste particolare significato in patologie quali i tumori del
testicolo ed i linfomi che colpiscono prevalentemente pazienti giovani
con una lunga aspettativa di vita grazie all’ alta efficacia delle
moderne terapie.
Questo studio nasce dalla collaborazione tra l’ ALTEG (Associazione
per la Lotta ai Tumori dell’ Età Giovanile) e la SIA (Società Italiana di
Andrologia) e ha come scopo quello di fare una revisione della
letteratura sull’ argomento.
Verrà in particolare trattato il tumore del testicolo, la neoplasia solida
più comune nell' uomo tra i 15 e i 34 anni, ovvero il periodo di più
intensa attività sessuale. Pur essendo un tumore piuttosto raro
(costituisce
l'1%
delle
neoplasie
dell'uomo),
si
prevedono
1
approssimativamente 7.200 nuovi casi nel 2001, nei soli Stati Uniti
d'America, con circa 400 morti stimate (American Cancer Society, Inc.
Surveillance Research - 2001). L’ incidenza nel mondo è più che
raddoppiata negli ultimi 40 anni (1, 2) come testimoniato da uno studio
epidemiologico recentemente condotto dall’ ALTEG nel nostro paese.
Nel corso degli anni, il tumore del testicolo ha causato, grazie agli
sviluppi della chemioterapia e delle terapie chirurgiche e radianti,
sempre meno vittime, con una percentuale di sopravvivenza a 5 anni
superiore al 90%, ed è oggi il tumore solido con la migliore prognosi
(3,4).
Prima di andare ad evidenziare i meccanismi con i quali le diverse
terapie possono andare ad inficiare la spermatogenesi, vale la pena
ricordare i principali protocolli terapeutici che variano a seconda
dell’ istotipo e dei diversi stadi della malattia.
Ricordiamo che il 95 % dei tumori maligni originati dal testicolo sono
tumori a cellule germinali, termine che indica la loro origine nelle
cellule germinali primordiali.
L’ istotipo a cellule seminomatose
rappresenta approssimativamente la metà di tutti i tumori testicolari a
cellule germinali; tutti gli altri istotipi (il carcinoma embrionale, il
teratoma, il coriocarcinoma e il tumore del sacco vitellino) e i tumori
“ misti”
vengono convenzionalmente racchiusi nella categoria dei
“ non seminomi” , e trattati in maniera spesso più aggressiva.
Esistono diverse classificazioni in stadi della patologia; tra le più
seguite c’ è quella della Royal Mardsen Hospital.
Stadio I: tumore limitato al testicolo, all’ epididimo o al funicolo
spermatico; stadio II: limitato ai linfonodi retroperitoneali, diviso in
2
stadio IIA (linfonodi di diametro inferiore a 2 cm), IIB (linfonodi tra 2 e
5 cm. di diametro) e IIC (linfonodi superiori ai 5 cm.); stadio III:
presenza di metastasi ai linfonodi sopradiaframmatici o viscerali.
L’ American Joint Committee on cancer e l’ Union internationale
contre le cancer hanno rivisitato la classificazione mediante il metodo
TNM. Lo stadio I è stato suddiviso in tumori con o senza invasione
linfatica o vascolare. Lo stadio II include malattia con interessamento
dei linfonodi retroperitoneali, senza metastasi a distanza con o senza
livelli di markers tumorali aumentati. Lo stadio III comprende tumori
con metastasi a distanza o con alti valori di markers tumorali
plasmatici.
Un’ orchiectomia
inguinale
radicale,
con
legatura
del
cordone
spermatico all’ anello interno è richiesta in tutti i pazienti con tumore
testicolare. L’ eventuale terapia successiva varia a seconda della
stadiazione e dell’ istotipo.
Terapia per tumori a cellule germinali di basso stadio
Seminoma
Dopo orchiectomia radicale per via inguinale, i pazienti con malattia
allo stadio I, II A o II B, vengono trattati con irradiazione dei linfonodi
retroperitoneali e pelvici ipsilaterali (6).
Le recidive avvengono approssimativamente nel 4% dei pazienti con
seminoma al primo stadio e nel 10% dei pazienti con seminoma allo
stadio 2 A- 2 B (6,7).
3
La chemioterapia cura più del 90% dei pazienti con recidiva dopo
radioterapia (8). Quindi circa il 99% dei pazienti con seminomi di basso
stadio, vengono definitivamente curati. La sorveglianza, è stata
suggerita come una alternativa alla radioterapia, per i seminomi al
primo stadio (9,10); senza radioterapia, si ha una recidiva che va dal 15
al 20%; il tempo medio per le recidive è 12 mesi ma può anche
superare i 5 anni dalla presentazione (10), quindi la sorveglianza è
sconsigliata.
Non seminoma-Stadio I
Il tasso di cura per pazienti con tumori non seminomatosi in stadio I è >
del 95%. La sorveglianza e la dissezione linfonodale retroperitoneale
con
tecnica nerve-sparing sono le
due
opzioni
di
scelta
nel
trattamento. Circa il 20% dei pazienti sotto sorveglianza presenteranno
una
recidiva
(generalmente
nel
retroperitoneo)
e
richiederanno
chemioterapia (11,12,13,14,15,16).
L’ altra possibilità di trattamento è la linfadenectomia retroperitoneale
(RPLND) con tecnica nerve sparing. Circa il 20 % di pazienti hanno un
interessamento linfonodale (17,18). La presenza di invasione linfatica,
vascolare, scrotale o del funicolo da parte del tumore primitivo,
aumenta la possibilità di invasione dei linfonodi retroperitoneali di più
del 50%. In questo caso, la linfadenectomia retroperitoneale (RPLND)
nerve sparing va preferita alla sorveglianza (18). Alcuni Autori, per
questi pazienti di stadio 1 ad alto rischio, raccomandano 2 cicli di
chemioterapia, piuttosto che la linfadenectomia (19,20,21).
4
Dal momento che la maggior parte dei pazienti non avrà mai bisogno di
chemioterapia dopo la linfadenectomia retroperitoneale , in questi casi
non è di solito raccomandata.
I pazienti con concentrazione di alfa-feto-proteina, hCG o entrambe
aumentate,
senza
altri
segni
clinici
evidenti
di
malattia
dopo
l’ orchiectomia, di solito hanno un interessamento al di fuori del
retroperitoneo. Questi pazienti dovrebbero essere sottoposti a 3-4 cicli
di terapia standard, piuttosto che al trattamento chirurgico.
Non seminoma di stadio II
I pazienti con non seminoma allo stadio II, vengono trattati ab inizio o
con la linfadenectomia retroperitoneale o con la chemioterapia, a
seconda della estensione della patologia, delle concentrazione dei
markers e della presenza o meno di sintomi legati al tumori. I pazienti
asintomatici, con linfonodi retroperitoneali solitari inferiori a 3 cm di
diametro alla TAC in genere vengono sottoposti a linfadenectomia
retroperitoneale
(RPLND). In questo caso le recidive dopo un
intervento
effettuato
ben
sono
rare
e
la
linfadenectomia
retroperitoneale risulta spesso curativa. I tassi di recidiva si attestano
al di sotto del 35% quando l’ esame istologico mostra che ogni
linfonodo interessato dal tumore è inferiore ai 2 cm. di diametro e i
linfonodi interessati sono 5 o meno (22,23,24,25).
La chemioterapia adiuvante, non è in genere indicata in questa
situazione, in quanto la maggior parte dei pazienti, sarebbe trattata
inutilmente e il tasso di cura è lo stesso con la chemioterapia effettuata
alla scoperta della recidiva.
5
La chemioterapia adiuvante è una possibilità di trattamento importante
quando i linfonodi coinvolti hanno un diametro maggiore di 2 cm e sono
almeno 6, o se c’ è anche un interessamento extra-linfonodale. Due
cicli
di
chemioterapia
adiuvante
basata
sul
Cisplatino
curerà
approssimativamente il 99% dei pazienti (23,24,26,27,28,29). Sebbene
il tasso di cura è lo stesso quando la chemioterapia viene posticipata al
riscontro della recidiva, i pazienti trattati con terapia adiuvante
richiedono meno cicli, vanno incontro ad un numero minore di
interventi chirurgici addizionali e di conseguenza a minori effetti
collaterali. Lo standard per la chemioterapia adiuvante è costituito da
due cicli di Etoposide più Cisplatino, con o senza Bleomicina, con un
intervallo di tre settimane.
Chemioterapia per malattia avanzata
Circa un terzo dei pazienti con tumore a cellule germinali necessita di
chemioterapia iniziale. Si sottopongono a chemioterapia iniziale i
pazienti in stadio IIC e con seminoma primitivamente retroperitoneale e
mediastinico, data la frequenza delle recidive quando questi pazienti
vengono trattati solo con radioterapia (6,30,31,32,33). I primi schemi
multi-chemioterapici, contenenti Cisplatino, Vinblastina e Bleomicina
(con o senza altri farmaci) davano una remissione completa nel 7080% dei pazienti con tumore metastatico (34,35).
Gli studi successivi mostravano che non era necessaria una prolungata
chemioterapia di mantenimento (36), e la Vinblastina è stata sostituita
dall’ Etoposide, meno tossico e forse più efficace (37). Lo schema
6
chemioterapico oggi più adoperato per la malattia metastatica è
costituito da 4 cicli di BEP (Bleomicina, Etoposide, Cisplatino) a dosi
standard.
Chirurgia dopo chemioterapia
La resezione chirurgica di masse residue è necessaria in pazienti con
non-seminomi, con normali valori dei markers dopo chemioterapia a
base di cisplatino. Concentrazioni ancora elevate di hCG o di alfafetoproteina dopo la chemioterapia iniziale sono associate con masse di
tumore germinale residuo vitali e spesso non resecabili; si raccomanda
in questi casi altri cicli di chemioterapia piuttosto che la resezione
chirurgica.
Chemioterapia di seconda e terza linea
I
pazienti
che
non
hanno
una
remissione
completa
dopo
la
chemioterapia di prima linea o che hanno una recidiva dopo la
remissione completa vengono trattati con chemioterapia di salvataggio
contenente isofosfamide più cisplatino, con una percentuale di
remissione attestata intorno al 25% (38).
La chemioterapia ad alte dosi, con trapianto di cellule staminali è il
trattamento di scelta per i pazienti che non possono essere trattati con
uno schema meno intensivo. La chemioterapia di terza linea con due
cicli di carboplatino ad alte dosi più etoposide, con o senza
ciclofosfamide (o isofosfamide), e con il recupero di cellule staminali si
ha la guarigione del 20% circa dei pazienti in cui era precedentemente
fallita la terapia con cisplatino ed isofosfamide (39,40,41).
7
I pazienti con tumori germinali che non vanno in remissione completa
iniziale hanno un tasso di cura inferiore al 10% con terapia a dose
convenzionale a base di isofosfamide (42) e vanno quindi trattati
direttamente
con
etoposide
ad
alta
dose
più
carboplatino
(chemioterapia di terza linea).
8
Etiologia del danno alla fertilità: Testicolo, Tumore o Trattamento?
I meccanismi dell’ infertilità spesso riscontrata nei pazienti con tumore
del testicolo non sono stati ancora del tutto chiariti. Le potenziali cause
sono molteplici e possono essere legate alla presenza del tumore, alle
terapie
antineoplastiche
e
possono
anche
essere
precedenti
all’ instaurarsi del tumore.
Cause precedenti all’ instaurarsi della neoplasia
È ben descritta in letteratura un’ anormale qualità del seme nei
pazienti con cancro del testicolo al tempo della diagnosi. Circa il 50-60
% di questi pazienti hanno una concentrazione di spermatozoi al di
sotto di 20 milioni/cc.
Questa diminuita capacità spermatogenetica è dovuta al tumore o è una
manifestazione di un danno genetico preesistente ed irreversibile?
Beethelsen e Skakkebaek hanno esaminato 218 pazienti con cancro
testicolare prima della chemioterapia adiuvante. Biopsie condotte nei
testicoli
controlaterali,
liberi
da
tumore,
mostravano
severi
e
“ probabilmente irreversibili” cambi istologici nel 24 % dei pazienti.
Questi cambi comprendevano quelli coinvolgenti le cellule di Sertoli, il
precoce arresto della maturazione, la ialinizzazione dei tubuli ed il
carcinoma in situ.
C’ è inoltre una correlazione conosciuta tra il criptorchidismo ed il
cancro del testicolo, come tra il criptorchidismo e la subfertilità. La
mancata evidenza che la precoce orchidopessi, riduca il rischio di
9
tumore e migliori lo stato finale di fertilità, suggerisce che la posizione
alta del testicolo potrebbe non essere l’ unico problema. L’ aumento
dell’ incidenza di problemi di fertilità in pazienti con criptorchidismo
unilaterale suggerisce infatti che potrebbe esistere un difetto bilaterale
preesistente. Allo stesso modo, il 20% dei tumori che si instaurano in
pazienti
con
storia
di
criptorchidismo
si
presenta
al
testicolo
controlaterale, suggerendo ancora che non è la non discesa, di per sé,
ad essere alla base dello sviluppo del tumore, ma un difetto alla base
preesistente.
Sembra ragionevole affermare che alcuni pazienti con cancro del
testicolo, come quelli con storia di criptorchidismo, possono avere un
preesistente e irreversibile difetto della spermatogenesi, ma questo
non è certo vero per tutti i pazienti con una bassa qualità del liquido
seminale alla diagnosi.
Fossa e coll. hanno dimostrato che il 27% dei pazienti azoospermici alla
presentazione hanno generato almeno un figlio prima della diagnosi di
carcinoma testicolare. Carrol e coll. hanno dimostrato che 3 di 6
pazienti con oligospermia severa o azoospermia mostravano un
ripristino della normale spermatogenesi dopo 4-19 mesi con un
protocollo di sorveglianza.
Allo stesso modo, Nijman e coll. hanno descritto 5 casi di pazienti
severamente oligospermici alla presentazione che avevano più di 60
milioni/cc di spermatozoi dopo 1 anno dall’ orchiectomia. Hendry e
coll. hanno trovato che la qualità del seme prima del trattamento non
correlava con un dopo chemioterapia o radioterapia.
10
Hansen
e Johnson
hanno riportato che solo il 9% di pazienti con
diagnosi di tumori a cellule germinali avevano una storia di infertilità
prima della diagnosi, un tasso sovrapponibile a quello della popolazione
generale. Swerdlow ha anche dimostrato che in 259 casi di cancro
testicolare, non c’ era associazione tra infertilità e il rischio di cancro
testicolare sulla popolazione non criptorchide.
Anche se c’ è un’ alta incidenza di danno alla fertilità in pazienti con
cancro del testicolo, non sembra esserci una maggiore incidenza di
infertilità rispetto alla norma prima della diagnosi.
Meccanismi legati direttamente alla neoplasia
La qualità del liquido seminale secondo alcuni Autori è migliore nei
seminomi
rispetto
ai
non-seminomi.
Non
c’ è
differenza
statisticamente significativa tra i vari istotipi per altri AA. La relazione
tra stage della malattia o istotipo e qualità del liquido seminale rimane
non ben definita.
La neoplasia esercita un’ azione destruente diretta sul parenchima
testicolare ed aumenta la temperatura scrotale; ciò ha un effetto
dannoso sulla spermatogenesi, allo stesso modo del varicocele.
Il
tumore
potrebbe
favorire
la
formazione
di
anticorpi
anti-
spermatozoo; qualsiasi meccanismo esponga lo sperma al sistema
immunitario può infatti indurre la formazione di anticorpi e nei pazienti
con tumori testicolari c’ è di solito una rottura della barriera sanguetesticolo che potrebbe essere alla base del processo. In due studi che
prendevano in esame complessivamente 67 soggetti con tumori del
11
testicolo, sono stati individuati anticorpi antispermatozoi nel 21 e nel
73% contro un 8% nei controlli normali. Gli anticorpi danneggerebbero
la spermatogenesi riducendo la motilità intrinseca degli spermatozoi, la
motilità nel tratto genitale femminile, inibendo l’ interazione con il
muco cervicale, diminuendo la capacità di penetrazione nell’ ovulo,
riducendo la sopravvivenza dell’ embrione; ma a tutt’ oggi non c’ è
nessuna reale evidenza della correlazione tra la presenza di anticorpi
antispermatozoi ed infertilità.
Altro meccanismo è la dimostrata disfunzione dell’ asse endocrino riproduttivo in seguito all’ aumentato livello di estrogeni, alfaFetoproteina e hCG; le cellule di Leydig rispondono infatti alla
Gonadotropina
Corionica
con
la
secrezione
di
testosterone
ed
estrogeni. Il feed-back inibitorio risultante può ridurre il livello sierico
di FSH.
Le neoplasie in generale possono poi essere considerate una malattia
sistemica che può esercitare un effetto deleterio sulla spermatogenesi.
Un metabolismo alterato, la perdita di peso, un’ eventuale stato di
immunodeficienza possono interferire, con meccanismi differenti, sulla
produzione di spermatozoi. Tale associazione, difficile da dimostrare,
può essere dimostrata dal fatto che la guarigione ed il miglioramento
delle condizioni generali sono associati ad un recupero dei parametri
seminali.
12
Meccanismi legati al trattamento
Orchiectomia
L’ impatto dell’ orchiectomia sulla qualità dello sperma rimane ancora
non ben chiarito. Di certo, dopo l’ orchiectomia, il potenziale
spermatogenetico è ridotto della metà. Ferriera e coll. hanno esaminato
54 uomini sotto posti ad orchiectomia unilaterale per criptorchidismo,
traumi, torsione testicolare o tumore. Più del 50% avevano una densità
di spermatozoi al di sotto di 20 milioni/cc e che non c’ era una
differenza significativa tra i vari gruppi. Lo studio non presenta gli
esami del liquido seminale prima dell’ intervento, nonostante ciò
suggerisce che la perdita di parenchima, da sola, può esitare in una
ridotta fertilità, indipendentemente dal tipo di patologia.
Petersen ha recentemente riscontrato che la qualità del liquido
seminale era più bassa dopo l’ orchiectomia rispetto a prima del
trattamento. Un recente studio ha però negato cambiamenti significativi
dei parametri seminali prima e dopo l’ orchiectomia, che tra l’ altro
possono avere un miglioramento attraverso variazioni fisiologiche. Non
si può di certo affermare che la spermatogenesi del testicolo
controlaterale
non
sia
avversata
dall’ orchiectomia,
ma
l’ orchiectomia di per sé sembra comunque incidere marginalmente
sulla patogenesi dell’ infertilità.
Linfadenectomia retroperitoneale
La
linfadenectomia
retroperitoneale
può
causare
due
tipi
di
complicanze: l’ eiaculazione retrograda o l’ aneiaculazione. Entrambe
13
queste complicanze derivano da un danno alle fibre simpatiche
postgangliari che hanno origine dalla porzione toraco-lombare del
midollo
spinale.
Questi
nervi
decorrono
sulla
faccia
anteriore
dell’ aorta e terminano a costituire il plesso ipogastrico dentro la
pelvi. Queste strutture innervano l’ ampolla dei vasi deferenti, le
vescicole seminali, le ghiandole periuretrali e sono coinvolte nel
meccanismo
di
chiusura
dello
sfintere
interno,
coordinando
il
meccanismo dell’ emissione del liquido seminale. Inoltre, innervano i
muscoli bulbo-uretrali e periuretrali responsabili del meccanismo
dell’ eiaculazione.
Le prime linfadenectomie retroperitoneali, che erano molto estese ed
includevano l’ escissione di linfonodi retropenitoneali dalla curva del
diaframma alla biforcazione dell’ aorta bilateralmente, causavano
aneiaculazione in oltre il 90% dei pazienti. Oggi, il principio del
trattamento chirurgico moderno dei tumori del testicolo si basa sul
fatto che quasi tutti i tumori testicolari metastatizzano in maniera
prevedibile. La prima stazione linfonodale che drena la linfa del
testicolo destro, è localizzata nei linfonodi interaortocavali a livello
della seconda vertebra lombare, mentre per quelli di sinistra sono i
linfonodi
paraaortici
dall’ ilo
del
rene
all’ arteria
mesentenica
inferiore. Da qui la linfa procede o per via retrograda ai linfonodi iliaci
comuni o per via anterograda alla cisterna chili ed al dotto toracico.
Conoscendo questa disposizione anatomica dei linfonodi e alla luce del
fatto che non vi è interessamento linfonodale controlaterale, negli anni
‘ 80
è
stata
utilizzata
con
successo
una
linfadenectomia
retroperitoneale modificata unilaterale, con la quale i nervi simpatici
14
vengono preservati dal lato opposto alla neoplasia testicolare. Con
questa tecnica il meccanismo dell’ eiaculazione veniva conservato in
circa il 75% dei pazienti. Negli anni ‘ 90, infine, è stata messa a punto
una linfadenectomia retroperitoneale “ nerve sparing” , con la quale
le fibre simpatiche vengono isolate e risparmiate, durante la rimozione
dei tessuto linfatico. A parità di rischio di recidiva rispetto alla tecnica
precedente, si ottiene una preservazione dell’ eiaculazione di oltre il
90% nelle mani di chirurghi esperti.
Radioterapia
La radioterapia, come la chemioterapia, è gonadotossica. La sensibilità
alle radiazioni differisce secondo il livello di maturazione della cellula
germinale, sicché lo spermatogonio di tipo B è la cellula maggiormente
radiosensibile, mentre gli spermatociti sono i più radioresistenti. La
gonadotossicità dipende anche e non solo, dalla dose complessiva
ricevuta, con un ripristino della spermatogenesi più tardiva a dosi
crescenti.
Il
trattamento
radioterapico,
rappresenta
oggi,
un
adiuvante
indispensabile alla terapia chirurgica e alla polichemioterapia
In questi ultimi anni in letteratura, sono stati pubblicati diversi studi
sugli effetti delle radiazioni in pazienti trattati per neoplasia testicolare
e la maggior parte degli Autori ritiene che la dose di radiazione
ricevuta dall’ uomo, rappresenta il fattore principale condizionante la
futura capacità riproduttiva. I primi studi che approfondirono questo
argomento, furono eseguiti da alcuni ricercatori americani, su volontari
15
sani, in cui fu individuata una proporzionalità inversa tra il numero degli
spermatozoi
dopo
irradiazione
ed
il
tempo
di
recupero
della
radioterapia. Ne risultò che una riduzione significativa del numero di
spermatozoi si manifestava alla dose di l5 cGy, a 50 cGy la
spermatogenesi veniva abolita, a 400 cGy l’ azoospermia persisteva
per oltre 40 settimane. Nonostante questi effetti profondi, la spermatogenesi ritornava nella maggior parte dei pazienti.
Questi valori furono però ridimensionati qualche anno dopo, da uno
studio di M.D. Damewood e L.B. Grochow, che evidenziò una
temporanea oligospermia alla dose tra 10 e 30 cGy, una temporanea
azoospermia, da 4 a 12 settimane dopo l’ irradiazione con un pieno
recupero dopo 48 mesi, alla dose di 30-50 cGy, e una completa
azoospermia senza recupero dopo 40 mesi, alla dose tra 200 e 300
cGy, per incapacità degli spermatociti di completare le divisioni
maturative. Risultò inoltre che, a dosi maggiori di 400 cGy, gli
spermatociti erano fortemente danneggiati e il numero di spermatozoi e
di spermatidi, significativamente diminuito.
Le radiazioni cui è sottoposto un individuo, dopo orchiectomia, sono
limitate al retroperitoneo, ma diventa di fondamentale importanza la
protezione del testicolo controlaterale, verso il quale si possono
verificare
effetti
dannosi.
Durante
la
radioterapia
perciò,
la
schermatura del testicolo sano è una metodica obbligatoria che
permette
così
di
limitare
l’ esposizione
non
intenzionale,
che
comunque non dovrebbe superare i 50 cGy, pari al 1.5-2% della dose
totale somministrata.
Questo aspetto fu considerato in uno studio eseguito su una
16
popolazione di 26 pazienti con seminomi del testicolo irradiati con 3200
cGy in sede sottodiaframmatica con schermatura del didimo sano e nel
quale si scoprì un’ esposizione non intenzionale di circa 78 cGy al
testicolo sano. Quattordici di questi pazienti seguiti nel tempo
mostravano
oligospermia
dopo
1-4
mesi
dall’ irradiazione,
azoospermia dopo 2.5-7.5 mesi e recupero della spermatogenesi dopo
7.5-20 mesi. In generale, dosi individualmente ricevute fino a 200 cGy
possono portare ad un ristabilimento, dosi più alte sembrano invece
esitare in azoospermia permanente.
Le cause di una protezione non corretta della gonade possono
dipendere non solo da uno schermaggio non adeguato, ma anche da una
cattiva collimazione del fascio radiante o anche dalla diffusione delle
radiazioni all’ interno dell’
organismo.
Il danneggiamento della linea germinale dopo terapia radiante, può
portare il paziente con tumore del testicolo a disturbi della fertilità.
Questo, è uno degli aspetti più interessanti dello studio di J. T.
Hartmann e Coll., che ha valutato la fertilità su un totale di 20 soggetti
interessati da un seminoma del testicolo. Soltanto 4 furono sottoposti a
radioterapia dopo orchiectomia e 2 pazienti riuscirono a concepire
almeno un figlio dopo il trattamento radiante, senza ricorrere al liquido
seminale criopreservato.
In uno studio più ampio, pubblicato alcuni
anni prima, fu valutato il tasso di paternità in pazienti con tumore del
testicolo dopo terapia radiante: il 77%, pari a 41 pazienti, concepì
almeno un figlio.
Basse dosi di radiazioni possono, come abbiamo visto, danneggiare la
linea germinale, risparmiando però le cellule di Leydig e perciò la
17
steroidogenesi, così da avere, livelli di testosterone sierico nei limiti
della norma. Ciò si evince anche da un lavoro di S.D. Fosså e Coll. che
valutò la concentrazione sierica di testosterone, oltre a quella di FSH
e LH, nei pazienti con carcinoma del testicolo, prima e dopo la
radioterapia. Il risultato fu che l’ unico valore aumentato in 21 pazienti
su 29 individui sottoposti a terapia radiante, era l’
FSH, che si
manteneva elevato anche dopo i 3 anni. Ciò fu però collegato non ad un
effetto delle radiazioni, bensì ai già gravi disturbi di spermatogenesi dei
pazienti con neoplasia del testicolo, come azospermia o una severa
oligospermia, o agli elevati valori di FSH presenti già prima della
radioterapia.
Inoltre, non è stato rilevato un aumento dei difetti genetici in questa
popolazione di pazienti.
Chemioterapia
La maggioranza dei pazienti sottoposti a chemioterapia diventa
azoospermica dopo circa 7-8 settimane dall’ inizio del trattamento.
Questo è in relazione con la cinetica della spermatogenesi umana, in
quanto gli antineoplastici agiscono soprattutto sulle cellule germinali
durante la divisione cellulare e di conseguenza distruggono soprattutto
gli spermatogoni di tipo B rapidamente proliferanti. Se sopravvivono
tutti gli spermatogoni di tipo A (cellule staminali), ci si può attendere
un recupero della spermatogenesi 12 settimane dopo il trattamento.
Una distruzione parziale o completa degli spermatogoni di tipo A
18
porterebbe, tuttavia, ad una lunga o irreversibile interruzione della
produzione di spermatozoi. La severità e la durata quindi del danno
spermatogenetico indotto dai chemioterapici è in relazione con il
numero di spermatogoni di tipo A distrutto.
Sono stati fatti molti studi per valutare il danno a lungo termine dei
chemioterapici sulla funzione gonadica. Questi studi abbisognano come
controllo di pazienti con tumore testicolare che non hanno subito alcun
trattamento chemioterapico, come i pazienti in sorveglianza dopo
l’ orchiectomia. I risultati degli studi di Pont, Aass, Nijman, Hansem
documentano chiaramente che 2 anni dopo aver subito fino a 4 cicli di
polichemioterapia a base di cisplatino con una dose cumulativa di
cisplatino fino a 400 mg/m2, i valori di concentrazione di spermatozoi,
tasso di azoospermia, i livelli di FSH ed LH non differiscono in maniera
significativa da quelli trattati senza chemioterapia. Invece, superando i
4 cicli di chemioterapia, la spermatogenesi e la funzione endocrina
peggiorano
in
maniera
significativa
nel
gruppo
trattato
con
chemioterapia rispetto a quello non trattato. Anche il tempo di recupero
dopo la chemioterapia correla con la dose cumulativa di cisplatino. Se
l’ azoospermia persiste per oltre 3 anni, è improbabile che la
spermatogenesi ritorni ai livelli iniziali.
Tra gli agenti alchilanti, il clorambucil, la ciclofosfamide ed il cisplatino
causano infertilità irreversibile rispettivamente alle dosi di 400 mg, 7,5
mg/m2 e 600 mg/m2.
Gli antimetaboliti, gli inibitori delle topoisomerasi, gli alcaloidi della
vinca, la dacarbazina e la bleomicina non si associano ad un danno
spermatogenetico persistente ai dosaggi convenzionali.
19
Quando
somministrati
alle
dosi
convenzionali,
la
vinblastina,
l’ etoposide, la bleomicina e la ifosfamide non sembrano interessare la
fertilità a lungo termine. Per quanto riguarda vinblastina, etoposide e
bleomicina, non c’ è evidenza di tossicità sugli spermatozoi di tipo A.
L’ unico studio (Hartlapp JM) che indica la combinazione tra cisplatino,
etoposide
e
bleomicina
come
più
gonadotossica
rispetto
alla
combinazione cisplatino, vinblastina e bleomicina, non ha trovato
supporto in altri 2 studi. L’ evidenza da trials clinici indica che la
ifosfamide è meno tossica per gli spermatogoni di tipo A rispetto alla
ciclofosfamide. Infatti, mentre la ciclofosfamide causa infertilità
irreversibile alla dose di 7,5 g/m2, i livelli medi di FSH in 15 di 16
pazienti sottoposti a dosi da 15 a 30 g/m2 di ifosfamide ritornavano
nella norma.
Un follow-up a lungo termine per fertilità in pazienti trattati con
protocolli chemioterapici ad alte dosi con trapianto di midollo osseo o
cellule staminali ha dimostrato che il ripristino di una normale
spermatogenesi non è comune ma può presentarsi nel 15% circa dei
pazienti.
Sono poi particolarmente interessanti gli studi sugli effetti a lungo
termine della terapia adiuvante, tenendo presente che per circa la metà
dei pazienti trattati la terapia rappresenta un “ overtreatment” .
Tre gruppi di ricerca, hanno confrontato gli effetti sulla fertilità di due
cicli di chemioterapia adiuvante con una dose cumulativa totale di 200
mg/m2. I pazienti non mostravano alcuna diminuzione della funzione
gonadica dai 9 a più di 24 mesi dopo la chemioterapia.
20
Altro dato interessante è che in 12 studi a lungo termine di pazienti con
cancro testicolare trattati con differenti dosi cumulative di cisplatino,
145 pazienti su 680 (21%) hanno conseguito una paternità. Non è
invece riportato in questo studio il numero di pazienti che la desiderano
e non riescono ad ottenerla.
Misure finalizzate alla preservazione della fertilità
Le misure per preservare la fertilità si basano essenzialmente su due
punti:
la
citoprotezione
dagli
agenti
chemioterapici
e
la
crioconservazione dello sperma.
La schermatura del testicolo sano, in corso di radioterapia è una
metodica
obbligatoria
che
deve
limitare
l’ esposizione
non
intenzionale, che non dovrebbe superare i 50 cGy pari al 1.5-2% della
dose totale somministrata.
Recentemente, sono stati fatti degli sforzi per proteggere l’ epitelio
seminifero dagli effetti dannosi dei chemioterapici. La maggior parte di
questi lavori si basano sul concetto di soppressione ormonale della
spermatogenesi prima dell’ inizio della chemioterapia.
GnRH
appropriatamente
dosato,
sopprime
reversibilmente
la
spermatogenesi negli uomini. Glode e coll. hanno suggerito per primi
che gli analoghi dell’ LHRH potevano avere un effetto citoprotettivo
sull’ epitelio germinativo. L’ esperimento condotto sul topo mostrava
un migliore recupero della spermatogenesi dopo somministrazione di
ciclofosfamide. Altri studi hanno mostrato effetti benefici su modelli
21
animali, ma nessuno dei quattro trials clinici condotti sull’ uomo ha
mostrato effetti protettivi.
Crioconservazione del liquido seminale
La metodica più efficace, per permette ad un paziente con tumore del
testicolo,
di
conservare
il
proprio
futuro
riproduttivo,
è
la
criopreservazione del liquido seminale, che deve essere eseguita dopo
orchiectomia e prima dell’ inizio della chemio o della radioterapia.
La domanda di conservazione del proprio seme in questi soggetti, in
previsione delle terapie anti-cancro, è notevolmente aumentata negli
ultimi anni e ciò ha permesso di constatare che molti di questi uomini
hanno parametri seminali già alterati, come discusso in precedenza.
Aspetti clinico-sperimentali, dimostrano che il paziente neoplastico,
anche
se
con
seme
apparentemente
normale
rivela,
dopo
la
crioconservazione, anomalie funzionali degli spermatozoi. Talora, i
danni
non
evidenti
nel
seme
di
base
apparentemente
normozoospermico risultano evidenziabili in conseguenza dello stress
termico. Lo studio della morfologia nemaspermica ha mostrato un
aumento della percentuale di forme atipiche, rilevata al microscopio
ottico. In più, lo studio delle caratteristiche cinetiche dello spermatozoo
ha evidenziato non solo una riduzione nella percentuale della motilità
totale e progressiva, ma anche un peggioramento delle caratteristiche
cinetiche valutate in termini di velocità, linearità, ampiezza e frequenza
dei battiti laterali della testa.
22
Bisogna quindi tener presente che solo in una piccola percentuale di
casi è possibile mettere da parte delle dosi di liquido seminale di buona
qualità; in una gran percentuale di casi risulta essere di media o
modesta qualità. Questo dato aveva portato a discutere sulla utilità
della conservazione dello sperma.
I progressi compiuti negli ultimi anni dalle metodiche di Procreazione
Medicalmente Assistita (PMA) hanno portato nuovo interesse a questa
pratica: basti pensare che nelle moderne metodiche di microiniezione
sono sufficienti anche solo rari spermatozoi per permettere una
gravidanza. La tecnica del congelamento del liquido seminale dopo
diluizione
con
un
crioprotettore
e
raffreddamento
in
azoto
e'
condizionata dalla perdita di motilita' di una quota di spermatozoi dopo
il congelamento e lo scongelamento. Questa perdita può essere valutata
attraverso l'indice di recupero dopo scongelamento. Il valore di questo
indice e' molto variabile e dipende in gran parte dalla qualità iniziale del
liquido seminale. Il liquido seminale dei giovani con problemi oncologici
e' spesso alterato sia come concentrazione che come motilità e
morfologia ed a volte in tutti i parametri. Queste alterazioni della
qualità iniziale dello sperma rischiano dunque di compromettere le
possibilità di congelamento ed in più, a qualità normale, lo sperma dei
soggetti malati tollera meno bene il congelamento della persona in
buona salute.
Tenendo conto di questi "handicaps" relativi alla qualità iniziale dello
sperma, quale e' alla fine la proporzione di sperma conservabile? La
risposta e' oggi differente da quella che si poteva dare fino a solo
qualche anno fa per le possibilità offerte dalle nuove metodiche di
23
fecondazione in vitro e dei successi ottenuti, via via sempre più
numerosi: i criteri di conservazione devono essere rivisti e la tendenza
attuale e' di conservare lo sperma ogni volta che esistono spermatozoi
mobili dopo scongelamento. La scelta del metodo di PMA da utilizzare
successivamente dipenderà dal numero di spermatozoi mobili per
paillette e dal numero di paillettes disponibili. L’ autoconservazione
dello sperma offre anche dei vantaggi psicologici non indifferenti nei
giovani pazienti oncologici: gli offre delle prospettive di paternità che
permettono loro di proiettarsi nuovamente nel futuro e attenua le
angosce delle trasformazioni del corpo legate alla malattia.
Tecnica di prelievo
Il prelievo del liquido seminale viene eseguito dal soggetto con
neoplasia testicolare, attraverso masturbazione. Il paziente, di solito,
non deve rispettare nessuna astinenza sessuale prima del prelievo,
poiché da molteplici studi è stato osservato che la qualità dello sperma
non è alterata dalla durata dell’ astinenza.(BJU International 99).
Per i pazienti che soffrono invece di eiaculazione retrograda si può
tentare una terapia con farmaci simpaticomimetici alla quale risponde
però solo il 30% dei pazienti. I farmaci più comunemente usati sono
l’ imipramina e la pseudoefedrina. Nei pazienti con aneiaculazione,
invece, è possibile eseguire una eiaculazione elettricamente indotta per
mezzo di una sonda rettale. In uno studio su 50 pazienti affetti da
aneiaculazione dopo linfadenectomia retroperitoneale, l’ emissione
eletro-indotta era ottenuta in tutti i pazienti, però la motilità degli
spermatozoi risultava profondamente ridotta(29).
24
Altre tecniche sono l’ aspirazione di spermatozoi dai vasi deferenti o
dall’ epididimo anche se è preferita l’ aspirazione di spermatozoi dal
dotto deferente, perché si prelevano spermatozoi maturi che hanno
superato il periodo di capacitazione nell’ epididimo.
Nei casi più gravi è possibile estrarre spermatozoi direttamente dal
testicolo per mezzo di una biopsia. In questi pazienti può essere
presente una produzione testicolare minima che varia in aree diverse
del testicolo. In tali casi è preferibile eseguire prelievi bioptici multipli
o usare delle tecniche di aspirazione con ago sottile per ridurre al
minimo il danno testicolare.
Tecniche di congelamento e scongelamento
Il liquido seminale, prelevato con le metodiche descritte, dopo
liquefazione a 37°C per 30 min. viene diluito a temperaura ambiente
con un uguale volume di terreno crioprotettore.
Il liquido seminale sarà così ripartito nei singoli contenitori appositi
detti
paillettes.
Questi sono dei tubicini in plastica della lunghezza di circa 10 cm e del
diametro di circa 2-3 mm che possono contenere circa 0.25 ml di
liquido. In media, sono sufficienti 2 o 3 campioni di liquido seminale per
ottenere la conservazione di circa 50-60 paillettes per paziente.
Esistono due metodi principali di congelamento: il congelamento in
vapori d’ azoto ed il congelamento programmato.
Con il primo metodo, che rappresenta la tecnica più antica e meno
costosa, le paillettes sono disposte su un supporto orizzontale o
verticale e sono esposte ai vapori d’ azoto dove esiste un gradiente
25
termico in relazione alla distanza del livello dell’ azoto liquido. La
curva di congelamento è rapida e dopo 8-10 minuti il contenitore con
le pailettes viene immerso nell’ azoto liquido. Con questo metodo la
velocità di congelamento non è controllata e le temperature di
congelamento possono variare. Sono oggi disponibili apparecchi
automatici che permettono un congelamento con temperatura di
discesa fissa.
Il congelamento programmato avviene invece, con apparecchi in cui
viene immesso l’ azoto pressurizzato con un comando in funzione del
programma scelto.
Possono essere selezionate velocità di congelamento lente (0,5°C/min)
o rapide(25°C/min).
Solitamente la velocità è bassa sino a – 9°C, cresce (10-15°C/min) sino
a – 25°C per arrivare al massimo (25°C) sino a – 120°C ed immersione
delle paillettes nell’ azoto.
In generale va detto che, lo spermatozoo umano, per le sue piccole
dimensioni e lo scarso contenuto d’ acqua, può supportare velocità
relativamente rapide di congelamento.
Lo stoccaggio avviene a – 196°C nell’ azoto liquido.
La tecnica di scongelamento, è un punto altrettanto importante perché
deve consentire alle cellule di recuperare le normali attività biologiche
limitando quanto più possibile rapide differenze di temperatura. Infatti,
al fine di evitare bruschi sbalzi termici è necessario estrarre
lentamente
le
paillettes
dall’ azoto
liquido
e
consentire
il
raggiungimento dell’ equilibrio termico tra materiale cellulare e
ambiente esterno. Attualmente sono impiegate varie tecniche di
26
scongelamento tra cui ricordiamo: lo scongelamento a temperatura
ambiente per 10 min e il successivo passaggio in termostato a 37 °C
per altri 10 min; lo scongelamento a bagnomaria a 37 °C per 10 min; lo
scongelamento a T ambiente (22°C) per 15 min.
Il maggior problema biologico della crioconservazione cellulare è
rappresentato dal possibile danno sui meccanismi di controllo delle
attività molecolari. Tutti i processi vitali, infatti, si svolgono grazie a
delle modificazioni biochimiche che avvengono grazie a movimenti
molecolari in un ambiente acquoso. Se l’ acqua intra ed extra cellulare
viene trasformata in ghiaccio per bloccare gli spostamenti molecolari e
se il sistema biologico può essere successivamente riportato a
temperatura ambiente, senza che si verifichino danni cellulari, è
possibile creare uno stato di “ animazione sospesa” che consente la
conservazione delle cellule per periodi di tempo variabili. Perché ciò
avvenga, è necessario seguire specifiche metodologie. Le cellule
viventi,
infatti,
esposte
a
basse
temperature
subiscono
danni
irreversibili che ne provocano la morte. Per ovviare a tali danni, si
ricorre in criobiologia a metodologie (uso di sostanze crioprottettive e
idonei tempi e procedure di congelamento e scongelamento) che
proteggono il materiale biologico dello shock termico.
In
campo
seminologico,
nemaspermica
è
basata
la
possibilità
sull’ impiego
di
congelare
di
vari
la
cellula
terreni
di
crioconservazione. Questi hanno in comune lo scopo di preservare lo
spermatozoo dalla disidratazione e dall’ aumento della concentrazione
di sali (glicerolo, glicina, saccarosio ecc.) di proteggerlo dallo shock
termico (tuorlo d’ uovo, glicerolo, glicina) di salvaguardare l’ integrità
27
della membrana cellulare, soprattutto nella parte lipoproteica (tuorlo
d’ uovo,
glicerolo)
e
di
ottimizzare
l’ osmolarità
nei
fluidi
extracellulari (zuccheri, sali, ecc.).
Le singole paillettes sono accuratamente sigillate e marcate con numeri
o sigle di identificazione. Sono quindi poste in grandi contenitori di
azoto liquido, detti banche, con opportuni sistemi di reperimento.
Intercorre quindi un "contratto" tra il biologo responsabile della banca
del seme e il soggetto che effettua l'autoconservazione, con diritti e
doveri
reciproci,
che
sostanzialmente
garantisce
a
quest'ultimo
l'esclusiva proprietà del liquido seminale crioconservato. Il legittimo
proprietario potrà decidere, se necessario, di trasferire in altra banca o
in altra città le sue paillettes o parte di esse, in particolari condizioni di
trasporto.
Insorto, poi, il desiderio di ottenere una gravidanza, il liquido seminale
sarà utilizzato con la tecnica di fecondazione assistita più idonea alla
coppia, valutando cioè le capacità riproduttive della partner femminile.
28
La Sessualità
Di certo meno studiato rispetto all’ infertilità risulta il problema
“ sessualità” .
Nell’ ultimo decennio, è indubbiamente incrementato il numero di
pubblicazioni scientifiche che prendono in considerazione i disturbi
della sfera sessuale successivi al trattamento delle neoplasie, di pari
passo rispetto al tentativo di assicurare la miglior qualità di vita
possibile a questi pazienti.
Le domande alle quali si tenta di dare una risposta chiara riguardano
l’ effettiva prevalenza delle disfunzioni sessuali nei pazienti con
carcinoma testicolare rispetto alla popolazione sana, quanto realmente
incidono i diversi trattamenti e quanto i fattori psicologici. Il confronto
dei risultati è però alquanto complicato, data la mancanza di conformità
riguardante i regimi di trattamento, la composizione dei gruppi di
pazienti e soprattutto la varietà di questionari utilizzati dai diversi studi.
Uno dei primi lavori fatto su un ampio gruppo di persone fu eseguito da
L. R. Schover, che sottopose un questionario ad un totale di 205 uomini
con neoplasia del testicolo e con un’ età media di 37.3 anni. Nel
gruppo dei soggetti con seminoma, si notava un tasso più elevato di
deficit erettile, di difficoltà nel raggiungere l’ orgasmo e di riduzione
dell’ intensità dell’ orgasmo rispetto al gruppo dei soggetti con
tumore non seminomatoso.
La qualità di vita nel lungo periodo (9 anni dopo l’ orchiectomia) dei
pazienti sopravvissuti ad un tumore non seminomatoso a cellule
germinali, è stato l’ argomento di un lavoro successivo di J. Douchez.
In questo studio, furono formati 2 gruppi di persone costituiti, il primo
29
da 92 pazienti (età media 39.4 anni) trattati per un non seminoma e il
secondo da 107 uomini sani di età simile a quella dei pazienti, che
rappresentava il gruppo di controllo. Dalle risposte ai questionari ad
essi sottoposti si evinceva che i pazienti con tumore non seminomatoso
mostravano un rischio relativo superiore di perdita dell’ orgasmo, di
riduzione dell’ erezione e di diminuzione della frequenza dei rapporti
sessuali, rispetto al gruppo dei controlli. Dopo 9 anni cioè, ben il 38%
dei pazienti con tumore non seminomatoso presentava disturbi sessuali
rispetto all’ 11.2% dei casi controllo.
I risultati più significativi di un lavoro di J. T. Hartmann basato su un
questionario
compilato
da
98
pazienti
riportano
problemi
nell’ eiaculazione nel 30% ed una riduzione del volume dell’ eiaculato
nel 16% del totale. Entrambi i disturbi erano, come è facile immaginare,
maggiormente
frequenti
nei
pazienti
che
avevano
subito
una
linfadenectomia retroperitoneale con o senza chemioterapia, ed inoltre
che l’ età e la durata del follow-up non influenzavano l’ incidenza dei
disturbi.
Il desiderio di comprendere meglio l’ etiologia dei disturbi sessuali
spesso riportati dopo il cancro del testicolo è lo scopo principale dello
studio forse più completo riguardo la vita sessuale, realizzato da
Jonker-Pool G nel 1997.
Questo studio su larga scala eseguito su 264 pazienti fornisce
informazioni
riguardo
i
cambiamenti
nella
funzione
sessuale
soggettivamente sentiti dopo trattamento per carcinoma del testicolo.
In questo lavoro il 25% circa riferiva un peggioramento della qualità e
della funzione sessuale rispetto alla situazione antecedente alla
30
diagnosi e al trattamento. In paricolare il 23,5% dei pazienti riportava
una diminuita frequenza dei rapporti sessuali (23,5%) e più del 29% una
diminuzione di uno o più aspetti della risposta sessuale maschile
(libido, eccitazione, erezione, orgasmo).
La stratificazione delle risposte rispetto alle modalità di trattamento ha
permesso di comprendere meglio l’ etiologia delle disfunzioni sessuali
nei pazienti trattati per cancro del testicolo, e le conclusioni sono solo
parzialmente supportate da altre ricerche sugli aspetti organici.
Nel dettaglio, i pazienti sotto sorveglianza presentavano la minore
compromissione delle funzioni e dell’ attività sessuale, ma riportavano
comunque un peggioramento di una o più funzioni sessuali, anche se
non ci sono dati esatti sulle disfunzioni sessuali nel gruppo di controllo,
in questo caso la popolazione normale. E’
difficile spiegare questo
dato sulla base di alterazioni organico-biologiche, in quanto i pazienti
in sorveglianza vengono sottoposti esclusivamente all’ orchiectomia,
che non dovrebbe apportare nessun reale danno organico alla funzione
sessuale.
I
fattori
emozionali,
come
l’ ansia,
l’ indebolimento
dell’ integrità fisica, sentimenti quali l’ avversione, la perdita di
controllo, potrebbero giocare un ruolo importante. Il fatto che circa il
25% dei pazienti allo stadio I della malattia e sotto sorveglianza vanno
poi incontro alla chemioterapia, potrebbe di per sé generare ansia e
stress.
I pazienti facenti parte del gruppo sottoposto a radioterapia, erano in
media più vecchi di 9 anni rispetto a quelli del gruppo in sorveglianza,
ma comunque non mostravano significative differenze nei vari aspetti
considerati, fatta eccezione per la maggior percentuale di diminuzione
31
dell’ attività sessuale. In questo studio, le correlazioni tra la funzione
sessuale e l’ età risultano deboli. Il deficit erettile causato da un
danneggiamento vascolare indotto dalla radioterapia, non sembra
essere molto frequente, poiché solo una piccola parte di pazienti
sottoposti a radioterapia riferisce problemi di erezione (14,5%). Una
ampia porzione di pazienti trattati con terapia radiante, ha una
diminuzione della libido e dell’
attività sessuale (22% per ognuno). E’
improbabile che questi problemi siano causati da bassi livelli di
testosterone, poiché di solito la concentrazione di testosterone sierico
rimane entro i limiti, e comunque anche livelli molto bassi di
testosterone permettono una funzione sessuale normale. Anche nei
pazienti sottoposti alla radioterapia, quindi, i fattori emozionali e
psicologici, potrebbero giocare un ruolo decisivo.
Nel gruppo trattato mediante polichemioterapia ( resezione di una
massa tumorale residua retroperitoneale), il numero di pazienti con
problemi di erezione è limitato (rispettivamente 17% e 15%), e non
mostra significative differenze statistiche con il gruppo sottoposto a
sorveglianza. Perciò, sembrerebbe non dimostrato il deficit erettile
indotto dalla polichemioterapia. Tuttavia, una considerevole porzione di
questi pazienti riportava una diminuzione della libido (29.5%) e
dell’ orgasmo (28.5%). Teoricamente, queste differenze potrebbero
essere causate da prolungata azione biologica della polichemioterapia,
come la neuropatia e lo stato generale di salute, ma allo stesso tempo,
un’ interazione con fattori emozionali e psicologici potrebbe giocare un
ruolo decisivo in vista della vita minacciosa del cancro in generale e
32
del drastico impatto della polichemioterapia sulla psiche umana, ed in
particolar modo su quella dei giovani.
Anche in questo studio, in accordo con le aspettative, la più drastica
riduzione del volume dell’ eiaculato è stata riportata dal gruppo
sottoposto a polichemioterapia + RRRTM, per le ragioni già trattate a
proposito della linfadenectomia retroperitoneale. Un dato contrario alle
aspettative, è stato il riscontro di bassa diminuzione della libido,
dell’ orgasmo e dell’ attività sessuale, riportata (sebbene le differenze
non erano statisticamente significative) nel gruppo trattato con
polichemioterapia + resezione di una massa residua retroperitoeale,
rispetto al gruppo sottoposto alla sola PCT. Ciò dimostrerebbe che non
esiste
un’ evidenza
biologico-organica
che
possa
spiegare
la
diminuzione della funzione sessuale dopo polichemioterapia.
In generale, l’ ansia, l’ incertezza e la perdita di controllo sembrano
inibire la funzione sessuale, sebbene possa essere vero anche il
contrario, ovvero che un’ alterazione della funzione sessuale potrebbe
essere alla base di episodi di ansia, incertezza e perdita del controllo.
Come nelle donne con un tumore ginecologico, anche nei pazienti con
carcinoma del testicolo i cambiamenti del comportamento sessuale
possono essere spiegati solo in parte, da danni organico-biologici. I
cambiamenti della funzione sessuale appaiono, sulla base di questo
studio, essere fortemente collegati ad aspetti emotivi e psicologici.
In conclusione, un numero sostanziale di pazienti trattati per cancro del
testicolo sembra accusare una diminuzione della funzione sessuale,
sebbene la maggior parte di essi non riporti alcun sintomo.
33
I pazienti trattati con PCT (RRRTM), riportano una diminuzione più
marcata della funzione sessuale, della soddisfazione e dell’ attività
sessuale rispetto al gruppo in sorveglianza. La chemioterapia, pur non
potendo definitivamente chiarire se con un meccanismo organico o
psicogeno, può essere considerata il fattore di rischio principale per
una diminuzione della funzione sessuale.
Le differenze che si evincono nei vari gruppi di trattamento, riguardo
alla riduzione delle funzioni sessuali, non sembrano attribuibili all’ età,
alla durata del follow-up, allo stadio del tumore, o alla presenza di altre
patologie.
In linea teorica, le conseguenze organiche legate al trattamento, come
i disturbi ormonali, vascolari e neurogeni, potrebbero essere ritenuti
responsabili di una riduzione della funzione sessuale, ma per questo
non c’ è ancora un’ evidenza scientifica.
Allo stato attuale delle conoscenze i fattori psicologici sembrano
giocare dunque un ruolo importante (se non determinante).
34
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42
LE PROBLEMATICHE CORRELATE ALLA PROCREAZIONE
MEDICALMENTE ASSISTITA
La diagnosi di neoplasia, già di per se risulta essere una condizione
gravosa e spesso inaccettabile per un individuo. Nel caso di un
paziente con neoplasia testicolare, a questi stati d’ animo, si associano
una serie di problemi e di ostacoli che da un lato derivano direttamente
dalla condizione neoplastica,
dall’ altro sono il risultato di una non
impeccabile organizzazione del nostro sistema sanitario.
Ancora oggi soltanto pochi pazienti conservano il proprio liquido
seminale prima di terapie dannose per la fertilità, quali chemio e radioterapie.
Il primo problema da affrontare è quindi senz’ altro quello di
incrementare nella classe medica la consapevolezza di un’ opportunità
così importante come quella della criopreservazione. La procedura di
crioconservazione dello sperma, finalizzata a garantire all’ utente
un’ eventuale Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), dovrebbe
essere obbligatoriamente illustrata e proposta, prima di sottoporre un
paziente a terapie chirurgiche, chimiche o radiologiche in grado di
danneggiare la sua integrità riproduttiva.
Ma non basta.
Oltre a ciò, il sanitario e le Organizzazioni Sanitarie dovrebbero fornire
al paziente oltre alle informazioni, un’ adeguata assistenza per attuare
la crioconservazione seminale, fornendogli indicazioni sulle sedi
autorizzate (pubbliche e private) del territorio ove, nel futuro, potrebbe
eventualmente accedere ad una PMA con il suo sperma scongelato.
43
L’ utente, inoltre, deve essere adeguatamente edotto sul fatto che
dovrà percorrere un iter procedurale, che potrà variare in base alla
normativa vigente al momento dell’ utilizzo del suo campione seminale;
sul ranges dei costi, ad oggi stimabile, che dovrà affrontare e sulle
percentuali note di successo delle metodiche di PMA al momento
dell’ informazione.
Dovranno
essere
rese
informazioni
sulle
correlazioni, al momento note, tra percentuale di gravidanza ed età
della partner e qualità del seme al momento dello scongelamento, sui
rischi correlati alle tecniche di PMA.
Spesso in molte strutture sanitarie il rischio di infertilità viene illustrato
al paziente e tuttavia desenfatizzato, descrivendolo quasi come un
“ possibile”
ma inevitabile prezzo da pagare per la guarigione
dall’ evento patologico primario. Peraltro, anche quando il paziente
viene informato sulla possibilità di ricorrere ad una crioconservazione
preliminare
preventiva,
spesso non
è
adeguatamente
aiutato
a
realizzarla in tempi rapidi, tramite corsie preferenziali organizzate ed
eventuali convenzioni con le Banche del Seme autorizzate.
Il paziente viene cioè troppo spesso abbandonato nell’ individuazione e
nella scelta di un valido centro autorizzato alla
crioconservazione.
Manca purtroppo nel nostro paese una rete, corsie preferenziali
garantite dalla legge, una risposta della sanità pubblica ad una
problematica così sentita.
Ciò è in parte addebitabile ad una realtà sanitaria che vede le Banche
del Seme dedicate a questa tipologia d’ utenza, mal distribuite sul
territorio
nazionale
ed
una
scarsa
attivazione
di
procedure
collaborative stabili con gli Ospedali.
44
La maggior parte delle banche del seme, sono abitualmente collocate
nell’ ambito di Centri di Fisiopatologia della Riproduzione e sono
finalizzate all’ attuazione di PMA. Attualmente, in Italia, ci sono note 6
banche del seme in Centri Pubblici strutturate ed organizzate per
fornire anche un servizio di autoconservazione :
- Firenze - Azienda Ospedaliera di Careggi, U.O. di Andrologia
- Milano - Ospedale S. Paolo, Servizio di Andrologia
- Milano - Istituti Clinici di Perfezionamento. Padiglione Regina Elena,
Centro di Infertilità
- Padova - Clinica Medica 3, Centro di crioconservazione dei gameti
maschili
- Roma - Policlinico Umberto Primo, Ist. di Clinica Medica V
- Torino - Azienda Ospedaliera S.Giovanni Battista. U.O.A.D.U. di
endocrinologia e Malattie del Metabolismo.
Organizzazioni di questo tipo, richiedono un significativo impegno in
uomini e risorse, vantaggioso solo nel contesto di un ottimale rapporto
tra domanda e offerta. Ciò spiega perché la maggioranza dei Centri di
riferimento abilitati alla PMA, che abitualmente sono quelli che offrono
anche un servizio dedicato all’ autodonazione, si riscontra nelle aree a
più elevata densità di popolazione ed a maggior reddito.
I centri pubblici sono raggiunti dai pazienti con difficoltà, hanno, dato
l’ esiguo numero, scarsa recettività e liste d’ attesa sono spesso
troppo lunghe affinchè i pazienti vi giungano prima delle terapie
antineoplastiche. I centri privati sono senz’ altro meglio distribuiti, ma
45
la scelta di quello più affidabile può essere causa di ulteriori
preoccupazioni; si ricorre spesso ai consigli di conoscenti che hanno in
precedenza avuto bisogno di un centro PMA, con una valutazione che è
spesso conseguenza del successo o meno ad ottenere una gravidanza.
Emerge in questo contesto l’ esigenza di chiare certificazioni di
qualità.
Altro problema è quello che succede nel rapporto tra paziente e la
struttura di PMA, nel momento in cui vi entra dopo il superamento della
neoplasia, dopo aver donato o meno il seme. Non di rado, ci si ritrova
di fronte ad un rapporto spesso freddo, tra utente ed operatore, perché
l'approccio è ancora troppo tecnico. C’ è bisogno di alta professionalità
nei centri di fecondazione assistita da parte di tutto il personale, che si
trova di fronte ad un paziente particolare, con una problematica
complessa e deve saper offrire serenità nell'approccio con questo
problema. È in primo luogo indispensabile una scrupolosa informazione
del paziente, o per essere più precisi della coppia, sulle varie tecniche
per la fecondazione, affinchè essi possano comprendere e partecipare
alla scelta di quella a loro più congeniale.
Il
rapporto
medico-paziente
è
nella
fattispece
complesso
ed
impegnativo, e il medico dovrà far fronte da un lato alle difficoltà
strettamente legate alle scelte terapeutiche e dall’ altro a quelle legate
ai problemi etici ed ai bisogni psicologici del paziente.
Domande come: “ Ci sono rischi per il bambino? Quali sono le
percentuali di successo delle tecniche di PMA? Esiste una correlazione
tra
trattamento
dell'infertilità
e
parti
multipli?
L'induzione
46
dell'ovulazione aumenta il rischio di carcinoma ovarico? Esistono dei
rischi
per
la
salute
dei
bambini
nati
grazie
a
trattamenti
dell'infertilità?” devono avere risposte tecniche, ma anche umane, che
contribuiscano a dare serenità ad un giovane forte, ha superato ostacoli
già molto duri, ma estremamente sensibile.
Le percentuali di successo variano da una casistica all’ altra e
dipendono da fattori quali l’ età, lo stato del liquido seminale, il tipo di
tecnica, etc. Le percentuali qui di seguito indicate sono quindi solo
indicative, e sarebbe opportuno che ogni centro segnalasse le proprie
statistiche dettagliate.
La percentuale di successo con inseminazione artificiale omologa si
aggirà attorno al 20-25% per ciclo. Dopo trattamenti ripetuti, può
raggiungere il 70%. Come è noto, questa metodica è valida solo per
forme lievi di infertilità. Nella fertilizzazione in vitro la percentuale di
successo è del 25-30% per ciclo. Il Pregnancy rate per la ICSI è del
30. La percentuale di gravidanza aumenta con il numero di cicli: dopo 4
trattamenti, il tasso di gravidanza cumulativo si aggira intorno a 5060%.
L'incidenza di parti multipli è molto più alta nei casi di coppie
sottoposte
a
trattamenti
dell'infertilità
rispetto
alla
popolazione
generale. L'ottanta per cento circa delle gravidanze ottenute seguendo
una semplice induzione dell'ovulazione grazie alle gonadotropine si
risolve in un parto singolo, il restante venti per cento si risolve in parti
multipli, la maggioranza dei quali gemellari. I nuovi regimi di
trattamento vengono attentamente adattati alla risposta del paziente
per contribuire a ridurre il rischio di gravidanze multiple. In seguito a
47
fertilizzazione in vitro (FIV), è multipla una gravidanza su quattro (il 20
per cento di parti gemellari e il 3-4 per cento di parti gemellari tripli).
Nei centri specializzati per la FIV, attualmente i medici optano per una
sostituzione di tre embrioni massimo in seguito a fertilizzazione per
ridurre ulteriormente le probabilità di parti multipli.
Esistono prove del fatto che ogni gravidanza riduce il rischio di
sviluppare un carcinoma ovarico (tale rischio può ridursi del 25 per
cento e più con la prima gravidanza). Nessuno studio epidemiologico ha
mai rilevato una correlazione causale tra i farmaci che stimolano
l'ovulazione e il carcinoma ovarico.
Per quanto riguarda i bambini nati grazie a trattamenti dell'ovulazione
con farmaci che stimolano l'ovulazione, l'incidenza di difetti alla nascita
non è mai stata rilevata superiore a quella riscontrata nella popolazione
normale.
È di stretta attualità la discussione parlamentare oggi in atto per
l’ approvazione di una legge sulla Procreazione Assistita (l’ Italia è
uno
dei
pochi
paesi
occidentali
a
non
avere
ancora
una
regolamentazione). È palese la necessità di istituire banche del seme
meglio distribuite sul territorio nazionale. Potrebbe essere vantaggioso
estrapolarle dal contesto dei Centri di Fisiopatologia della Riproduzione
ed organizzarle nell’ ambito di Centri di Andrologia competenti,
tenendo presente anche la possibilità da parte i questi ultimi di
conservare campioni prelevati chirurgicamente, con tecniche di MESA
o TESE.
48
Di fatto, molti Centri di Andrologia di ottimo livello si trovano a non
poter operare al massimo delle loro potenzialità e capacità per
mancanza, sul loro Territorio, di una banca del seme dedicata anche
all’ autodonazione.
I pazienti oncologici dovrebbero poi avere dei canali preferenziali di
accesso alle banche del seme, in quanto il tempo che intercorre tra la
diagnosi della neoplasie e l’ inizio di terapie potenzialmente dannose
per la linea seminale è talmente breve (e deve essere ovviamente tale),
rende impossibile il rispetto delle lunghe liste d’ attesa di alcuni centri.
La conservazione del liquido seminale è una grande opportunità per il
giovane
paziente
oncologico,
ma
l’ organizzazione
e
la
regolamentazione vanno senza dubbio ridefinite affinchè le banche del
seme siano banche più “ etiche” .
49
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