mobbing: conoscerlo, affrontarlo, prevenirlo

LEZIONE
“MOBBING: CONOSCERLO, AFFRONTARLO, PREVENIRLO”
PROF. SSA MAGDA TURA
Università Telematica Pegaso
Mobbing: conoscerlo, affrontarlo, prevenirlo
Indice
1
Definizione di mobbing ----------------------------------------------------------------------------------- 3
2
Come si sviluppa il mobbing ---------------------------------------------------------------------------- 5
3
Tipologie di azioni mobbizzanti e loro caratteristiche --------------------------------------------- 8
4
Effetti e danni per la vittima di mobbing ----------------------------------------------------------- 12
5
Fattori soggettivi e oggettivi del Mobbing ---------------------------------------------------------- 19
Mobbing e prevenzione --------------------------------------------------------------------------------------- 25
6
Il Mobbing e la legge ------------------------------------------------------------------------------------ 28
7
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------ 32
8
Sitografia -------------------------------------------------------------------------------------------------- 33
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Definizione di mobbing
Il termine mobbing deriva dall’inglese “TO MOB” e significa assalire/attaccare. Tale
termine è stato preso dall’etologia dove Konrad Lorenz l’ha introdotto per indicare un particolare
comportamento di minaccia aggressiva (Mobbing behaviour) praticato dal gruppo che circonda
minacciosamente un esemplare il quale, giudicato come potenziale nemico, viene accerchiato,
isolato, escluso ed espulso.
Nel 1973 lo psicologo svedese Peter Paul Heinemann impiegò per la prima volta il termine
“Mobbing” nel campo delle relazioni umane per definire i comportamenti violenti tra adolescenti a
scuola (oggi identificabili come bullismo). A partire dagli anni 80, in ambito della psicologia del
lavoro, Heinz Leyman parlò di mobbing quale condizione di persecuzione psicologica
nell’ambiente lavorativo per applicarlo ad un nuovo disturbo che aveva osservato in alcuni operai e
impiegati svedesi sottoposti ad una serie di intensi traumi psicologici sul luogo di lavoro. In
particolare l’autore definisce il mobbing come:
“il terrore psicologico o mobbing lavorativo consiste in una comunicazione ostile e non
etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo
che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì
costretto per mezzo di continue attività mobbizanti . Tali azioni si verificano con una frequenza
piuttosto alta (almeno una volta la settimana) e su un lungo periodo di tempo (una durata di
almeno sei mesi)”1.
Heinz Leymann è riconosciuto a livello internazionale come il “padre” della teorizzazione
del Mobbing.
Attualmente in psicologia del lavoro con questo termine si identifica quel fenomeno che si
concretizza in una forma di isolamento e aggressione di uno o più lavoratori attraverso attacchi
sistematici finalizzati a danneggiarne salute, reputazione e professionalità.
In Italia, lo psicologo tedesco Harald Ege è il maggiore esponente in tema di mobbing in
quanto è stato il primo ad approfondire ricerche in questo ambito, a partire dalla seconda metà degli
1
sito internet www.stopmobbing.org
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anni ’90, arrivando a sintetizzare tutti gli spunti teorici ad oggi conosciuti ed utilizzati. Inoltre, a
partire dal 1996 ha pubblicato gli unici testi in italiano sull’argomento e ha fondato a Bologna
l’organizzazione no profit Prima, che è la prima Associazione Italiana contro Mobbing e Stress
Psicosociale, che si occupa di assistenza e formazione per vittime della violenza psicologica sul
lavoro.
Lo studioso descrive il mobbing come “una situazione lavorativa di conflittualità
sistematica, persistente e in costante progresso, in cui una o più persone vengono fatte oggetto di
azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione di superiore,
inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobizzato
si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi
psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche ad invalidità psicofisiche
permanenti di vario genere e percentualizzazione”. (H. Ege, 2002).
Attualmente esiste una difficoltà nel trovare una definizione univoca e concordata del
mobbing. Tale difficoltà deriva anche dal fatto che a volte vengono utilizzati altri termini in
sostituzione di mobbing. Per esempio il termine bossing o spadroneggiamento che però indica una
sola azione prepotente compiuta dall’azienda stessa nei confronti di uno o più dipendenti divenuti
scomodi quasi sempre con lo scopo di indurli alle dimissioni. Oppure il termine job-harassment2
con cui ci si riferisce alle molestie sessuali nell’ambiente lavorativo o ancora il termine bullyng 3 o
bullismo, cioè quella forma di terrore psicologico esercitato non esclusivamente sul posto di lavoro
ma anche a scuola, a casa, nelle carceri e in caserma. Esso non è necessariamente intenzionale, può
essere provocato da conflitti di personalità e la violenza può essere anche di tipo materiale sulla
vittima.
Va precisato che il termine mobbing non è universalmente accettato. Esso è usato nella
penisola scandinava, nei paesi di lingua tedesca, in Francia, in Italia e nell’Europa dell’est. Invece
nei paesi anglosassoni si utilizza la parola bullyng.
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3
Sito internet www.stopmobbing.org
Sito internet www.stopmobbing.org
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2 Come si sviluppa il mobbing
In letteratura esistono due modelli principali che hanno cercato di delineare il processo del
mobbing identificando le varie fasi che compongono tale processo:
1)
Il “Modello a quattro fasi” di Heinz Leymann che prevede le seguenti fasi di
sviluppo del mobbing4:
I fase del “conflitto quotidiano”: in tutti i luoghi di lavoro è normale che possano nascere
dei conflitti anche se non si possono definire, di per sé, azioni di mobbing. La fase del conflitto
quotidiano può rappresentare l’avvio del processo e, per tale motivo, è la fase più delicata e sulla
quale occorre esercitare il massimo di attenzione.
II fase dell’ “inizio del mobbing e del terrorismo psicologico”
quando il conflitto
quotidiano matura ed acquista un carattere di continuità trasformandosi in mobbing.
III fase degli “errori ed abusi anche non legali della direzione del personale”: si
riferisce al momento in cui la direzione del personale viene a conoscenza della situazione
conflittuale in atto. Generalmente si posiziona contro la persona mobbizzata e tale posizione deriva
quasi sempre dal fatto che la vittima della violenza psicologica ha, come conseguenza, un calo di
rendimento e si assenta spesso dal lavoro: comportamento ritenuto molto negativo poiché l’analisi
si limita a valutazioni superficiali e legate ai giudizi delle gerarchie aziendali.
IV fase dell’ “esclusione dal mondo del lavoro”: rappresenta l’uscita dal mondo del lavoro
del soggetto mobbizzato. Spesso tale evento assume le dimensioni di una vera e propria tragedia
personale. La vittima rimane sola ed isolata da tutti.
2)
il ”Modello a sei fasi” di Harald Ege 5che rappresenta un adattamento del
modello di Leymann alla realtà italiana la quale presenta delle caratteristiche diverse rispetto
a quella europea. L’autore ha introdotto una pre-fase, chiamata “Condizione Zero”,
considerata dall’autore come l’indispensabile presupposto al mobbing. Nello specifico la
“condizione zero” si riferisce ad una situazione iniziale normalmente presente in Italia e del
4
5
Sito internet www.stopmobbing.it
Articolo “Il fenomeno del mobbing: prevenzione, strategie, soluzioni” di Harald Ege
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tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato.
Una tipica azienda italiana è conflittuale. Sono poche le aziende che sfuggono a questa
regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce Mobbing, anche se è evidentemente
un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro
tutti e non ha una vittima cristallizzata. Non è del tutto latente, ma si fa notare di tanto in
tanto con banali diverbi d'opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche, manifestazioni
del classico ed universalmente noto tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri. Un
aspetto è fondamentale: nella «condizione zero» non c'è da nessuna parte la volontà di
distruggere, ma solo quella di elevarsi sugli altri;
I fase: il conflitto mirato: E' la prima fase del Mobbing in cui si individua una vittima e
verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il conflitto fisiologico di base dunque prende una
svolta, non è più una situazione stagnante, ma si incanala in una determinata direzione. In questo
momento l'obiettivo non è più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l'avversario, fargli
le scarpe. Inoltre, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro, ma sempre più sbanda verso
argomenti privati;
II fase: l'inizio del mobbing: Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi
o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima, ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e
fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata quindi ad
interrogarsi su tale mutamento;
III fase: primi sintomi psico-somatici: La vittima comincia a manifestare dei problemi di
salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in
genere un senso di insicurezza, l'insorgere dell'insonnia e problemi digestivi;
IV fase: errori ed abusi dell'amministrazione del personale: Il caso di Mobbing diventa
pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell'ufficio del Personale. La
fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono di
solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad insospettire l'Amministrazione del Personale;
V fase: serio aggravamento della salute psicofisica della vittima:
In questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione. Di solito soffre di
forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto
palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta ma tende ad aggravarsi. Gli errori da parte
”
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dell'amministrazione, infatti, sono di solito dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del
Mobbing e delle sue caratteristiche. Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo
inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere essa stessa
la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro le quali nessuno può nulla,
precipitando ancora di più nella depressione.
VI fase. Esclusione dal mondo del lavoro:
Implica l'esito ultimo del Mobbing, ossia l'uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite
dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il
suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l'omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è
preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercare l'uscita con le dimissioni o
licenziamento, una forma più grave può portare al pre-pensionamento o alla richiesta della pensione
di invalidità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi.
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3 Tipologie di azioni mobbizzanti e loro
caratteristiche
Dalla letteratura emerge che esistono diverse tipologie di mobbing suddivise sia rispetto al
tipo di rapporto esistente tra il mobber e il mobbizzati, sia rispetto alla motivazione su cui si basa
l’azione di mobbing.
Nel primo caso le azioni mobbizzanti 6si dividono in:
1.
Mobbing verticale (dall’alto verso il basso):
Il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima come un dirigente, un capo
reparto, un capufficio, un collega di anzianità o di mansioni superiori. Questo tipo di
mobbing comprende atteggiamenti ed azioni riconducibili all’abuso di potere,: uso
eccessivo, arbitrario o illecito del potere che un ruolo professionale implica. Il mobbing può
insorgere sia quando il capo è identificabile nella figura tradizionale del capo severo e
autoritario, sia quando mostra un atteggiamento particolarmente amichevole se questi due
stili di guida sono utilizzati in modo non uniforme. Se questi due stili vengono usati con tutti
i dipendenti allo stesso modo, non si può parlare automaticamente di mobbing. È stato
osservato che questo tipo di mobbing non deriva dalla gerarchia organizzativa aziendale
stessa, ossia dal fatto che il potere e le capacità decisionali sono concentrate nelle mani di
alcuni suoi componenti. Infatti, tale fenomeno sembra insorgere ovunque, anche nelle
aziende ad organigramma piatto;
2.
Mobbing orizzontale o tra pari:
Il mobber e la vittima sono allo stesso livello. Generalmente si tratta di un’azione rivolta da
un gruppo nei confronti di un singolo che deve essere emarginato e il processo di
emarginazione può essere attuato attraverso pettegolezzi, calunnie, sabotaggio del lavoro
della vittima. Talvolta questo tipo di mobbing può originarsi da una dinamica psicologica di
branco quasi inconsapevole. Qui entra in gioco il potere informale che comprende una serie
di fattori legati alla sensibilità e alla percezione individuale;
6
Le definizioni riportate sono universalmente riconosciute e citate in molti testi e siti on line derivate direttamente dalla
terminologia dell’autore Heinz Leymann
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3.
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Mobbing down-up o dal basso:
rappresenta una particolare forma dove il mobber è in una posizione inferiore rispetto a
quella della vittima.
Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti che
attuano una vera e propria rivolta contro il capo che non accettano.
La vittima si trova in una condizione di isolamento totale in quanto l’ufficio del personale
darà maggior credito a quanto riferito dai sottoposti, considerata la sua posizione di
superiorità nella gerarchia aziendale. Questo tipo di mobbing risulta essere rara in ambito
lavorativo;
Riguardo alla motivazione da cui origina un azione mobbizzante si distinguono (Gilioli):
4.
Mobbing emozionale: deriva da un’alterata relazione interpersonale, sia
orizzontale che verticale. Le vessazioni nascono da sentimenti di rivalità, rivalsa ed
antipatia che il mobber nutre nei confronti del soggetto mobbizzato;
5.
Mobbing strategico o Bossing: è’ una forma di mobbing che viene usata
strategicamente dalle imprese per promuovere l’allontanamento di soggetti ritenuti scomodi
per vari motivi ed è caratterizzato da un preciso disegno finalizzato all’esclusione dalla
realtà socioproduttiva della persona (il mobbing viene in questi casi esercitato
intenzionalmente
e
sistematicamente
dai
vertici
aziendali
come
strategia
di
ridimensionamento). Questo tipo di mobbing si sviluppa all’interno di aziende che hanno
subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che abbiano comportato un esubero di
personale difficile da licenziare. In questi casi le azioni sono mirate contro soggetti
appartenenti ad una gestione precedente o assegnati ad un reparto che deve essere dismesso
oppure verso soggetti divenuti troppo costosi o che non corrispondono più alle attese
dell’organizzazione.
Il mobbing assume la forma di una vera e propria politica aziendale che segue la strategia
dell’espulsione con lo scopo di escludere il soggetto designato dal processo lavorativo.
L’obiettivo è isolare la persona che si ritiene rappresenti una minaccia o un pericolo,
bloccargli la carriera, toglierli il potere, renderlo innocuo.
Nel bossing la competenza sociale e le caratteristiche di personalità del mobber e della
vittima rivestono un ruolo importante.
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Sono state individuate anche forme particolari di mobbing che comprendono il:
6.
Mobbing diretto/ indiretto: le azioni mobizzanti sono rivolte direttamente al
soggetto oppure indirettamente al gruppo di lavoro. Inoltre Olweus identifica con il mobbing
diretto le azioni esercitate per mezzo di comportamenti verbali aperti e manifesti e il
mobbing indiretto con comportamenti più sofisticati e meno evidenti;
7.
Doppio Mobbing: la vittima usa la famiglia come contesto in cui sfogare
tutta la sua frustrazione arrivando ad assumere comportamenti che portano ad una
saturazione dell’ambiente familiare;
8.
I side mobbers o co-mobbers: identifica tutti coloro che, pur non
direttamente responsabili, scelgono consapevolmente di restare “spettatori”.
Le singole condotte possono essere poste in essere, sia tramite atti tipici che tramite atti
atipici (diversi, cioè, dagli atti assunti dal datore e dai superiori gerarchici o comunque diversi da
quelli afferenti la gestione del rapporto di lavoro).
Infine sono state identificate due principali azioni mobbizanti (INAIL, 2005):
- azioni INTIMIDATORIE: azioni che riguardano comportamenti personali e relazioni
interpersonali come diffamare, trattare in modo sprezzante, assumere toni e comportamenti
minacciosi o ricattatori, negare aspetti ordinari della relazione interpersonale;
- azioni identificabili come “COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVA”: azioni che
comportano conseguenze chiare e rilevanti sulla posizione lavorativa e sullo svolgimento del lavoro
da parte del oggetto coinvolto, come, per esempio, nei casi di demansionamento, forzata inattività
lavorativa, illecito trasferimento, eccessivo sovraccarico di lavoro, esercizio esasperato ed eccessivo
di forme di controllo.
In generale gli elementi identificativi del mobbing sono:
-
la presenza di almeno due soggetti, il mobber (parte attiva) ed il
mobbizzato (parte passiva), che entrano in contrasto tra di loro;
-
l’attività vessatoria continua e duratura;
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l’intenzionalità di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla
definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro.
Inoltre, le azioni mobbizzanti portano a:
-
Difficoltà di comunicazione nel contesto lavorativo;
-
Difficoltà di uno sviluppo relazionale soddisfacente;
-
Bassa qualità della vita lavorativa e privata;
-
Compromissione dello stato di salute.
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4 Effetti e danni per la vittima di mobbing
Dalla letteratura emerge che il soggetto, vittima di mobbing, può sviluppare diverse
sintomatologie, con il rischio di sfociare in condizioni patologiche. In particolare gli effetti delle
azioni mobbizzanti sono riconducibili a:
1) Alterazione dell’equilibrio socio-cognitivo:
- Disturbi d’Ansia: nel DSM-IV 7in questa sezione sono compresi i disturbi che
seguono:
-
Disturbo di Panico Senza Agorafobia caratterizzato da ricorrenti
Attacchi di Panico inaspettati, riguardo ai quali vi è una preoccupazione persistente.
Il Disturbo di Panico con agorafobia è caratterizzato sia da ricorrenti attacchi
inaspettati che da agorafobia;
-
Agorafobia Senza Anamnesi di Disturbo di Panico caratterizzato dalla
presenza di agorafobia e di sintomi tipo panico senza anamnesi di Attacchi di Panico
inaspettati;
-
Fobia Specifica caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa
provocata dall’esposizione a un oggetto o a una situazione temuti, che spesso
determina condotte di evitamento;
-
Fobia Sociale caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa
provocata dall’esposizione a certi tipi di situazioni o di prestazioni sociali, che spesso
determinano condotte di evitamento;
-
Disturbo D’Ansia Ossessivo-Compulsivo caratterizzato da ossessioni
(che causano ansia o disagio marcati) e/o compulsioni (che servono a neutralizzare
l’ansia);
-
Disturbo Post-traumatico da Stress caratterizzato dal rivivere un
evento estremamente traumatico accompagnato da sintomi di aumento dell’arousal e
da evitamento di stimoli associati al trauma;
7
DSM-IV-TR Criteri Diagnostici (2000), ed. Masson
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Disturbo Acuto da Stress è caratterizzato da sintomi simili a quelli del
Disturbo Post traumatico da Stress che si verificano immediatamente a seguito di un
evento estremamente traumatico;
-
Disturbo d’Ansia Generalizzato caratterizzato da almeno 6 mesi di
ansia e preoccupazione persistenti ed eccessive;
-
Disturbo d’Ansia Dovuto ad una Condizione Medica Generale
caratterizzato da sintomi rilevanti di ansia ritenuti conseguenza fisiologica diretta di
una condizione medica generale;
-
Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze caratterizzato da sintomi rilevati
di ansia ritenuti conseguenza fisiologica diretta di una droga di abuso, di un farmaco
o dell’esposizione ad una tossina;
-
Disturbo d’Ansia Non Altrimenti Specificato viene incluso per la
codificazione di disturbi con ansia o evitamento fobico rilevanti che non soddisfano i
criteri per nessun specifico Disturbo d’Ansia definito in questa sezione (o sintomi
d’ansia a proposito dei quali sono disponibili informazioni inadeguate o
contraddittorie).
È importante tener presente la differenza tra attacco di panico (periodo preciso durante il
quale vi è l’insorgenza improvvisa di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati con una
sensazione di catastrofe imminente. Durante questi attacchi sono presenti sintomi come dispnea,
palpitazioni, dolore o fastidio al petto, sensazione di asfissia o di soffocamento, e paura di
“impazzire” o di perdere il controllo e agorafobia ( è l’ansia o l’evitamento verso luoghi o situazioni
dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile
aiuto in caso di un attacco di panico o di sintomi tipo panico e agorafobia.
- Disturbi dell’umore: La sezione Disturbi dell’Umore comprende i disturbi che
hanno come caratteristica predominante un’alterazione dell’umore. La sezione è divisa in tre parti.
La prima parte descrive gli episodi di alterazione dell’umore (Episodio Depressivo Maggiore,
Episodio Maniacale, episodio Misto ed Episodio Ipomaniacale), inclusi separatamente all’inizio di
questa sezione per facilitare la diagnosi di vari Disturbi dell’Umore. Questi episodi non hanno
codici diagnostici propri, e non possono essere diagnosticati come entità separate; rappresentano
comunque la base per la diagnosi dei disturbi. La seconda parte descrive i Disturbi dell’Umore (per
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es., Disturbo Depressivo Maggiore, Disturbo Distimico, Disturbo Bipolare I). I criteri per la
maggior parte dei Disturbi dell’Umore richiedono la presenza o l’assenza degli episodi di
alterazione dell’umore descritti nella prima parte della sessione. La terza parte include le
specificazioni che descrivono l’episodio di alterazione più recente o il decorso degli episodi
ricorrenti. I Disturbi dell’Umore sono suddivisi in:
Disturbo Depressivo Maggiore caratterizzato da uno o più Episodi Depressivi
Maggiori per almeno due settimane, umore depresso o perdita di interesse,
accompagnati da almeno altri quattro sintomi depressivi;
-
Disturbo Distimico caratterizzato dalla presenza per almeno due anni
di umore depresso quasi ogni giorno, accompagnato da altri sintomi depressivi che
non soddisfano i criteri per un Episodio Depressivo Maggiore;
-
Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato viene incluso per
codificare i disturbi con manifestazioni depressive che non soddisfano i criteri per
Disturbo Depressivo Maggiore, Disturbo Distimico, Disturbo dell’Adattamento con
Umore Depresso o Disturbo dell’Adattamento con Umore Depresso misto ad Ansia
(o sintomi depressivi sui quali siano disponibili informazioni inadeguate o
contraddittorie);
-
Disturbo Bipolare I è caratterizzato da uno o più Episodi Maniacali o
Misti, solitamente accompagnati da Episodi Depressivi Maggiori;
-
Disturbo Bipolare II è caratterizzato da uno o più Episodi Depressivi
Maggiori, accompagnati da almeno un Episodio Ipomaniacale.
-
Disturbo Ciclotimico è caratterizzato dalla presenza, per almeno due
anni, di numerosi periodi con sintomi maniacali che non soddisfano i criteri per
l’Episodio Maniacale e di numerosi periodi con sintomi depressivi che non
soddisfano i criteri per l’Episodio Depressivo Maggiore;
-
Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato viene incluso per
codificare i disturbi con manifestazioni bipolari che non soddisfano i criteri per
alcuno specifico Disturbo Bipolare definito in questa sezione (o i sintomi bipolari sui
quali siano disponibili informazioni inadeguate o contraddittorie).
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Disturbo dell’Umore Dovuto ad una Condizione Medica Generale
caratterizzato da una notevole e persistente alterazione dell’umore ritenuta una
diretta conseguenza fisiologica di una condizione medica generale.
-
Disturbo dell’umore indotto da Sostanze caratterizzato da una
notevole e persistente alterazione dell’umore ritenuta una diretta conseguenza
fisiologica di una droga, di abuso di un farmaco, di un altro trattamento somatico per
la depressione o dell’esposizione ad una tossina.
-
Disturbo dell’Umore Non Altrimenti Specificato viene incluso per
codificare quei disturbi con sintomi dell’umore che non soddisfano i criteri per alcun
Disturbo dell’Umore specifico, e per i quali non sia possibile sceglie tra Disturbo
Depressivo Non Altrimenti Specificato e Disturbo Bipolare Non Altrimenti
Specificato (per es., agitazione acuta).
2) Disturbi dell’adattamento: i criteri diagnostici per tale disturbo sono:
A. Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali come risposte ad uno o più fattori
stressanti.
B. Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi come evidenziato da uno
dei seguenti: marcato disagio che va al di là di quanto prevedibile in base all’esposizione al fattore
stressante; compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo (scolastico).
D. I sintomi non corrispondono a un Lutto.
E. Una volta che il fattore stressante (o le sue conseguenze) sono superati, i sintomi non
persistono per più di altri 6 mesi.
E’ importante specificare se il disturbo è di tipo acuto, quando l’alterazione dura per meno
di 6 mesi, oppure cronico se l’alterazione dura per 6 mesi o più.
In questo tipo di disturbo il fattore stressante può essere costituito da un singolo evento,
oppure possono esservi fattori stressanti multipli. Possono essere ricorrenti, continui. Possono
interessare un singolo individuo, un’intera famiglia, oppure un gruppo più ampio o la comunità.
Alcuni fattori possono essere associati ad eventi specifici dello sviluppo.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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3) Disturbi somatoformi: la caratteristica comune è la presenza di sintomi fisici che fanno
pensare ad una condizione medica generale e che non sono invece giustificati da una condizione
medica generale, dagli effetti di una sostanza o da un altro disturbo mentale.
I sintomi devono causare disagio o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o in
altre aree. I sintomi non sono intenzionali a differenza dei disturbi fittizi.
- Disturbo di Somatizzazione (storicamente collegato all’Isteria o Sindrome di Briquet): è un
disturbo polisintomatico che comincia prima dei 30 anni, che dura per più anni, e che è
caratterizzato dalla associazione di dolore e sintomi gastro-intestinali, sessuali e pseudoneurologici;
- Disturbo Somatoforme Indifferenziato: è caratterizzato da lamentele fisiche non
giustificate e dura almeno 6 mesi, ma non raggiunge la soglia per la diagnosi di Disturbo di
Somatizzazione;
- Disturbo di Conversione: comporta sintomi ingiustificati di deficit riguardanti le funzioni
motorie volontarie e sensitive, i quali potrebbero suggerire una condizione neurologica o medica
generale ed i fattori psicologici appaiono collegati con i sintomi o i deficit;
- Disturbo Algico: è caratterizzato dal dolore come punto focale principale dell’alterazione
clinica. Inoltre vi è motivo di ritenere che qualche fattore psicologico abbia un importante ruolo
nell’esordio, gravità, esacerbazione o mantenimento;
- Ipocondria: è la preoccupazione legata al timore di avere, oppure alla convinzione di avere
una grave malattia, basata sulla erronea interpretazione di sintomi o funzioni corporee;
- Disturbo di Dismorfismo Corporeo: è la preoccupazione riguardante un difetto presunto o
sopravvalutato dell’aspetto fisico;
- Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato: è stato incluso per registrare i disturbi
con sintomi somatoformi che non incontrano i criteri per nessuno dei Disturbi Somatoformi
specifici.
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4) Alterazioni psico-fisiologiche come alterazioni ritmi sonno-vegli, disfunzioni sessuali,
cefalee, etc..
5) Disturbi del comportamento
tra cui disturbi dell’alimentazione, uso di sostanze,
aggressività, etc…
6) Difficoltà relazionali all’interno del nucleo familiare e nella sfera privata: è stato
riscontrato che col tempo le famiglie dei mobbizzati non riescono più a sostenere psicologicamente
la vittima. Ben presto quest’ultima diventa una minaccia per la salute del nucleo familiare e spesso
questo processo può provocare separazioni o divorzi all’interno delle famiglie dei mobbizzati.
Sono stati individuati anche altri due tipi di effetti8:
1) di tipo patrimoniale:
- Perdita del lavoro
2) di tipo non patrimoniale:
- Danno biologico (psico-somatico): Il danno biologico, per essere tale, ha come
presupposto l’insorgenza di una condizione patologica nello stato di salute, suscettibile di
accertamento medico-legale. Nello specifico, il danno biologico9 di natura psichica corrisponde
alla menomazione, temporanea o permanente, di una o più funzioni psichiche del danneggiato con
conseguente impedimento dell’espressione della propria personalità nel mondo esterno. Infatti, il
danno psichico consiste in un’alterazione dell’equilibrio psichico del soggetto, nell'insorgenza di un
vero e proprio disturbo psicopatologico, che deve essere diagnosticato tramite consulenza tecnica
effettuata da professionisti, psicologi o psichiatri forensi, e ricondotto all’evento lesivo che l’ha
causato. In tema di mobbing la giurisprudenza è concorde sul risarcimento del danno biologico
derivante da mobbing, se causalmente dimostrato. L’art. 2087 dell’e.e. sancisce chiaramente che la
responsabilità e l’eventuale onere del risarcimento in caso di inadempienze, sia mediante
comportamenti commissivi che emissivi, spetta al datore di lavoro;
8
9
Sito internet www.stopmobbing.org
SIMLA, Congresso di Piccione dell'11/5/2001
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- Danno esistenziale (risarcibile in base agli art 2059 c.c. e art. 2 Cost.) coincide
con un peggioramento oggettivo della qualità della vita del mobbizzato. Una definizione data dalle
Sezioni Unite della Cassazione10: “il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente
emotiva ed interiore (propria del danno morale) ma oggettivamente accertabile del pregiudizio,
attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse
verificato l’evento dannoso”. In tale contesto l’indagine riguarda gli ambiti relativi alla salute, agli
affetti famigliari, alle abitudini e alle modalità di vita del soggetto mobbizzato, alla reputazione e al
contesto lavorativo, con particolare attenzione alle modificazioni peggiorative intercorse a seguito
dell'evento traumatico che l’individuo ha vissuto. Gi strumenti di tale indagine saranno di stampo
tipicamente psicologico;
- Danno morale identificabile nella sofferenza della vittima come conseguenza
delle azioni mobbizzanti. In generale il danno morale (risarcibile in base all’art. 2059 c.c.) consiste
nello stato di sofferenza momentaneo e conseguente all’evento lesivo subito. Il danno morale
attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato, alla afflizione emotiva circoscritta in un
breve lasso di tempo, che rende più difficoltoso il momento di vita della persona, ma che non ne
impedisce il proseguimento in nessuno dei suoi aspetti basilari. Il risarcimento del danno morale
viene perciò definito pretium doloris, o pecunia doloris.11
10
Articolo on-line “Cos’è il danno esistenziale?” di Avv. Claudia Cunico e Avv. Morena Lironi da www.servizilegali.com
11
Articolo on-line “Mobbing e risarcimento del danno del lavoratore” Avv. Stefano Spinelli
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5 Fattori soggettivi e oggettivi del Mobbing
Tra i fattori soggettivi rientrano:
a) Lo stress
Con questo termine ci si riferisce alle reazioni con cui un individuo reagisce agli stimoli interni o
esterni, definiti agenti stressori o stressor, cercando di farvi fronte attraverso un insieme di risposte
funzionali alla situazione. Le risposte possono essere classificate in base al modello di Selye,
"sindrome generale di adattamento", introdotto per descrivere la reazione biologia a uno stress
fisico intenso e prolungato, che comprende tre fasi12:
1. reazione di allarme che consiste in uno shock iniziale con diminuita capacità di
resistenza. Il soggetto può reagire attraverso la mobilitazione delle proprie energie e risorse per far
fronte alla situazione di allarme.
2. resistenza o omeostasi: in questa fase il soggetto attraverso i meccanismi della
ristrutturazione e della difesa, raggiunge un nuovo equilibrio. Se il fattore di stress persiste o se
l’organismo non è in grado di mettere in atto risposte adeguate, subentra la terza fase.
3. esaurimento in cui l’organismo muore o soffre danni irreversibili.
Alcuni autori (per es. Lazarus, 1966) pongono l’accento sugli aspetti cognitivi dello stress,
cioè sul modo in cui soggettivamente percepiamo o valutiamo l’ambiente, per determinare se un
fattore di stress è presente o meno. In questo caso la risposta dell’individuo è suddivisa in tre stadi:
1. l’individuo analizza la situazione stressante, la risposta dipende dalla sua percezione di
minaccia, di perdita, di danno, di tentazione.
2. attraverso il meccanismo di coping (strategie di reazione messe in atto per affrontare un
problema o per gestire le emozioni che esso produce), il soggetto esamina le diverse strategie di
difesa atte al superamento della situazione percepita come stressante. Dopo aver compiuto questa
analisi il soggetto può mettere in atto i comportamenti strategici di difesa più idonei.
12
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3. il soggetto verifica il risultato dei suoi comportamenti, tesi, questi ultimi, a far fronte agli
agenti stressanti; attraverso questa verifica può valutarne l’efficacia e qualora essi non lo siano stati,
correggerli. Per cui le risposte messe in atto dai soggetti di fronte alla situazione stressante sono
sempre specifiche ed individuali, dipendono sia da condizioni oggettive, cioè dalle condizioni
dell’ambiente circostante, ad esempio: quantità di luce e di temperatura, il rumore, l’inquinamento
ecc., sia da condizioni soggettive, cioè dalle percezioni individuali delle situazioni.
In generale le caratteristiche del sistema percettivo che influenzano lo stress sono tre:
-
l’importanza attribuita alla situazione, per esempio chi ha trovato un
posto di lavoro, magari dopo molti tentativi, lo considera importante, questo
influenzerà il suo comportamento;
-
la motivazione, consiste in una processo che attribuisce al
comportamento una certa intensità, una particolare direzione ed una specifica
sequenzialità, essa dipende dal sistema di valori che caratterizza il soggetto
all’interno della sua cultura di appartenenza;
-
L’incertezza di riuscire nell’impresa, questa agisce sullo stress in
rapporto a quanto un soggetto si ritiene in grado di farcela o meno a superare
l’ostacolo; più ci si percepisce vicini al suo superamento e più lo stress è alto.
b) Il conflitto
il termine conflitto può indicare le situazioni in cui due o più elementi, collegati tra loro, risultano
discrepanti, dissonanti, opposti, disarmonici e di forte contrasto.
Sul posto di lavoro i conflitti possono essere di tipo emotivo, se si verificano dei disaccordi
fra i desideri, i bisogni, le istanze, le tendenze e le valenze affettive del lavoratore oppure di tipo
cognitivo, se si verificano dissonanze fra diversi aspetti conoscitivi del lavoro13:
-
Conflitti di tipo emotivo:
l’insicurezza e la paura di perdere il proprio posto di lavoro, soprattutto quando il
posto di lavoro rappresenta non solo una necessità economica, ma determina anche
una posizione sociale. E’ ovviamente un conflitto che presenta una frequenza
direttamente proporzionale al livello di disoccupazione;
13
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la mancanza di riconoscimento, di sostenimento, e di possibilità di promozioni.
la fine della carriera, può provocare sentimenti di gelosia nei confronti dei colleghi
che rimangono in azienda;
-
conflitti di tipo cognitivo:
gli intrighi e la reticenza di informazioni, diretta conseguenza di una mancanza di
comunicazione e di informazione;
compiti oscuri ed incongruenti, causano nel lavoratore una situazione percettiva di
incongruenza cognitiva, difficile da risolvere;
la noia e la monotonia sul posto di lavoro, sviluppano nel soggetto reazioni di
stanchezza, di apatia, di aggressività;
richieste eccessive o insufficienti, possono essere determinanti nel causare azioni
vessatorie poiché i lavoratori possono sentirsi sopravvalutati o sottovalutati. Questo
influisce sicuramente sulla loro percezione dell’autostima, che tanto più è bassa,
tanto più essa è causa di depressione e frustrazione;
l’organizzazione del lavoro, può causare mobbing. In particolare l’eccesso di
lavoro da un punto di vista quantitativo e l’insufficienza di lavoro in senso
qualitativo, dovuti ad una cattiva distribuzione, direzione del lavoro;.
In letteratura esistono modelli che hanno individuano i diversi fattori oggettivi del mobbing
tra cui ricordiamo:
- L’approccio "della violenza organizzativa" di Paul McCarthy14
15
Secondo questo autore oggi ci troviamo di fronte ad una nuova generazione del mobbing.
Infatti secondo l’autore
negli ultimi anni l’economia mondiale ha conosciuto enormi
trasformazioni tecnologiche, commerciali e finanziarie creando mercati globali caratterizzati da
grande incertezza e da un livello molto elevato di competizione tra i lavoratori. Partendo da tali
condizioni si capisce come le aziende moderne devono trovare strategie efficaci per sopravvivere
nei mercati globali, dove la concorrenza è molto alta: da qui la necessità di essere sempre più
flessibili e leggere e soprattutto di diminuire il costo del lavoro. I nuovi postulati aziendali, sono
infatti, l’ottimizzazione del lavoro, l’utilizzo dei tempi morti, il dipendente molto attivo e sempre
14
15
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attento alle esigenze funzionali. Per tali ragioni il lavoratore deve affrontare ambienti lavorativi in
continua evoluzione, con sempre nuove cose da imparare (formazione continua) e dove il valore è
legato alla propria abilità di integrarsi con gli altri (multiskilling). Spesso però la formazione e
l’aggiornamento professionale dei lavoratori meno giovani rappresenta un notevole costo per
l’azienda, tanto che sovente i vertici aziendali preferiscono assumere nuove risorse.
Parallelamente si è sviluppato il recente fenomeno definito contrattualmente "lavoro
interinale" o "lavoro in affitto". L’utilizzo di tale forma di lavoro, mentre consente alle aziende di
poter abbattere i costi del personale, senza preoccupazione alcuna per il mantenimento dei livelli
occupazionali; per i lavoratori da eliminare o a rischio costituirà causa di mobbing pressoché certa e
grave, si pensi in proposito cosa significhi per un’azienda in termini di riduzione di costo del
lavoro, l’eliminazione dell’annoso problema delle malattie, maternità, delle ferie e dei tempi morti,
che di fatto i relativi oneri non graverebbero più sul bilancio aziendale.
Un ultimo punto analizzato dall’autore è rappresentato dalle fusioni tra due società dello
stesso settore. Gli accorpamenti creano lavoratori "doppioni", vale a dire soggetti che svolgono le
stesse funzioni. Questo può provocare, sia un livello di competitività molto elevato tra le risorse
umane, sia un’"eliminazione fisiologica" dei dipendenti acquistati dall’azienda più forte.
Alla luce di questo nuovo quadro economico - lavorativo Paul McCarthy ha definito il
mobbing come un fenomeno provocato dal contesto economico, più ancora che da quello culturale.
La struttura organizzativa delle aziende moderne è, secondo McCarthy, la causa del mobbing:
"Le imprese permettono alla violenza del mercato libero e globale di introdursi nelle proprie
dinamiche interne. (…) In più sembra che le pressioni generate da queste forze abbassino la soglia
oltre la quale i dirigenti, specie quelli che operano al limite delle proprie capacità, possono
adottare comportamenti scorretti." (McCarthy 1996, in When the mask slips: inappropriate
coercion in organisations undergoing restructuring).
- L’ approccio "vittimista" di Heinz Leymann16
La sua analisi parte dal presupposto che il mobbing sia prima di tutto un problema della vittima,
ovvero una malattia che la vittima contrae sul luogo di lavoro ed attribuisce la causa scatenante del
mobbing al conflitto sul luogo di lavoro.
16
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Secondo Leymann sono individuabili sei campi in cui possono svilupparsi dei conflitti sul
luogo di lavoro dai quali può scaturire a sua volta il mobbing, i primi tre sono fattori esterni al
gruppo di lavoro, gli altri, invece, sono più legati ad esso:
a. Organizzazione del lavoro. Una cattiva organizzazione e distribuzione del lavoro
provoca sicuramente dei conflitti, in particolare vengono individuati due errori fondamentali:
l’eccesso di lavoro in senso quantitativo e l’insufficienza di lavoro in senso qualitativo.
b. Mansioni lavorative. Si tratta della qualità del lavoro, se esso è monotono e
squalificante, aumenteranno le probabilità che un lavoratore ricorra al mobbing per movimentare il
suo tempo e sfuggire alla noia.
c. Direzione del lavoro. Una buona gestione del personale dovrebbe prima di tutto favorire
la comunicazione tra i lavoratori, limitando il più possibile le organizzazioni del lavoro come la
catena di montaggio o il lavoro a turni. Questi due sistemi infatti tendono all’isolamento
dell’individuo, un’alternativa per evitare le conseguenze negative di questi due tipi di lavoro sta
nella pratica del job-rotation, ossia nella rotazione regolare delle mansioni. Ulteriormente, spesso
dalle aziende viene trascurato l’aspetto della socializzazione, per esempio i nuovi assunti vengono
inseriti all’interno dei reparti senza che vengano presentati ai futuri colleghi, questo favorisce la
considerazione del nuovo arrivato come un estraneo e quindi, se il nuovo assunto non riesce ad
inserirsi con le proprie forze ed a socializzare c’è il rischio che possa diventare una vittima del
gruppo preesistente. Infine Leymann individua un altro errore spesso commesso dalla direzione
aziendale: il restare sorda alle proposte ed alle critiche provenienti dai dipendenti stessi.
d. Dinamica sociale del gruppo di lavoro. Un gruppo di lavoro messo in qualche modo
sotto pressione tenderà a sviluppare più facilmente conflitti rispetto ad un gruppo tranquillo. Il
gruppo infatti tende sempre a trovare un equilibrio: se qualcosa, come appunto una pressione,
interviene a sbilanciarlo, esso si difenderà rinforzando le sue regole interne; generalmente in questo
processo tenderà a cercare una vittima, un capro espiatorio in uno dei suoi membri, che risulterà
facilmente mobbizzato.
e. Teorie sulla personalità. Leymann afferma ripetutamente che il carattere della vittima è
indipendente dal mobbing. Il mobbing può essere subito da qualsiasi persona in qualsiasi posizione
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poiché esso dipende sempre dalle circostanze e dall’ambiente sociale. In realtà è il carattere del
mobber quello a cui si dovrebbe fare più attenzione, è infatti lui che fa le regole, non la sua vittima;
alla quale spesso, per errore, viene attribuita la responsabilità della situazione.
f. Funzione nascosta della psicologia nella società. Leymann critica l’abuso che nella
nostra società si tende a fare dei termini "psicologia" e "psicologo". Questa tendenza rende le cose
molto più facili al mobber quando accusa la sua vittima di essere la causa di tutti i problemi
dell’ufficio.
- L’ approccio "colpevolista" di Tim Field17
Questo approccio è incentrato sul "bullo", il capo o il collega che fa mobbing. Infatti, secondo Field
la causa del mobbing è la personalità disturbata del collega o del capo prepotente.
Il bullo è una persona che:
non ha mai imparato ad assumersi la responsabilità per il proprio comportamento.
vuole godere i vantaggi di una vita adulta, ma non sa e non vuole accettarne le responsabilità;
nega ogni responsabilità per il proprio comportamento e le conseguenze di esso.
non sa e non vuole riconoscere gli effetti del proprio comportamento sugli altri.
non vuole riconoscere che ci potrebbero essere altre maniere di comportarsi.
Secondo l’autore il bullo è un sociopatico affetto da patologia ossessivo-compulsiva.
Rispetto a tale modello i critici di Field sostengono che il mobbing non è un problema della
singola persona, ma dell’azienda intera.
- L’ approccio "culturale" di Harald Ege18
Questo approccio tiene conto delle differenze culturali esistenti fra i diversi paesi interessanti dal
mobbing. Secondo Ege bisogna guardare alla causa culturale del mobbing, cioè ai valori
predominanti nei diversi paesi e nelle diverse civiltà. Sono tanti i fattori che determinano il
"contesto culturale", ossia le cose in cui gli abitanti di un certo paese credono e in base alle quali
decidono le proprie azioni come:
l’importanza del lavoro all’interno della vita umana;
la competitività sul luogo di lavoro, se il contesto favorisce la concorrenza fra i lavoratori, il
grado di conflittualità aumenta e così il rischio di mobbing;
17
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il livello di aggressività giudicato tollerabile;
gli ammortizzatori sociali, il mobbing ha effetti meno gravi se i servizi sociali e le reti di
solidarietà familiare o comunitaria funzionano a dovere;
l’apertura alla diversità e alla multiculturalità, se la forza lavoro è molto disomogenea per sesso,
età ed etnia, e se il paese è tradizionalmente portato all’integrazione delle culture estranee,
diminuisce il rischi di mobbing su capri espiatori.
La principale critica a questo approccio nasce dalla difficoltà di definire con precisione il
contesto culturale di riferimento e quanto possa influire realmente sul comportamento umano;
soprattutto considerando il quadro attuale, dove le usanze nazionali vengono spazzate via dalla
globalizzazione, e contemporaneamente si assiste alla nascita di nuove sub-culture e contaminazioni
culturali.
Mobbing e prevenzione
a) Prevenzione primaria consiste nella valutazione dei rischi situazionali e relazionali
attraverso:
-
Corsi di formazione a livello aziendale, a livello professionale e a livello
individuale;
-
Interventi sindacali;
-
Comitati aziendali
b) prevenzione secondaria attraverso l’Individuazione e sorveglianza di situazioni a rischio
di mobbing tramite i seguenti organi istituzionali:
- Consigliere di fiducia: tale figura, previa richiesta delle persone interessate,
assume in trattazione i casi segnalati ed informa i soggetti sulle modalità più idonee da adottare. ;
- RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie);
- RLS (Rappresentanti Salute e Sicurezza)
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Sia i RSU che i RLS hanno il compito di rappresentare i lavoratori e tutelarli secondo quanto
disposto dalla legge, in particolare dallo Statuto dei Lavoratori e dalla legge 626/94.
c) prevenzione terziaria che consiste nel recupero della qualità di vita e della salute dei
soggetti mobizzati e del contesto lavorativo: attraverso la partecipazione a
- centri di ascolto (sincadale, psicologico e legale):
- ascolto del problema;
- ipotesi di intervento; intervento;
- diagnosi: Nel processo di accertamento di un eventuale danno psichico, l’esperto può
porre particolare attenzione ai seguenti momenti operativi:
preesistenza o meno di disturbi psichici e loro oggettivazione e
quantificazione;
descrizione delle abilità sociali preesistenti e del livello di integrazione del
soggetto in esame;
analisi dello stato attuale per identificare la patologia psichica in atto;
dimostrazione del nesso di causalità tra evento traumatico e disturbo psichico
in atto;
esclusione della possibilità di simulazione.
In sintesi il protocollo diagnostico prevede:
Colloquio clinico al fine di inquadrare la personalità e i disturbi riferiti dal
paziente;
Somministrazione di test psicologici mirati ai disturbi lamentati;
Visita neurologiche per escludere patologie organiche;
Somministrazione di specifici questionari per meglio valutare i fattori
lavorativi pericolosi per l’insorgenza di stress.
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- intervento psicologico attraverso la figura del Consulente psicologo che effettua colloqui
con i lavoratori al fine di valutare sia il grado di esposizione ai rischi psicosociali (mobbing e
costrittività organizzative) sia le condizioni psicofisiche del lavoratore (distress, ansia e
depressione). ;
- intervento legale in genere attraverso la richiesta di risarcimento del danno subito
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6 Il Mobbing e la legge
La giurisprudenza ha individuato come giuridicamente rilevanti ai fini dell’individuazione di
una condotta mobbizzante i seguenti comportamenti:
provvedimenti, contra legem, di sospensione, decadenza e destituzione
dall’impiego;
vessazioni consistenti nella privazione di collaboratori, abnormi rilievi
disciplinari, negazione di ferie e permessi, contestazioni di addebiti prima della partenza per
le ferie con contestuale promozione di subalterni, privazione di incarichi retribuiti, riduzione
alla titolale inattività lavorativa con spostamento dell’ufficio in stanze piccole e poco
illuminate;
atti di aggressione verbale consumati spesso davanti a terzi dipendenti e non;
comportamenti - che possono avere tanto un contenuto omissivo quanto commissivo - che
si sostanziano in una esclusione, un allontanamento del mobbizzato dal gruppo con
conseguente suo isolamento, evidenziandone le diversità fisica o morale o intellettiva o
culturale o religiosa o territoriale; il controllo esasperato dell’orario di lavoro, del tempo di
stazionamento presso la macchina del caffè, del tempo delle telefonate; visite fiscali inviate
in maniera ossessivamente vessatoria;
critiche e maltrattamenti verbali esasperati, l’offesa alla dignità, la
delegittimazione di immagine, anche di fronte a soggetti esterni all’impresa, ente o
amministrazione – clienti, fornitori, consulenti - comunque attuati da superiori, pari-grado
inferiori e datori di lavoro;
la rimozione da incarichi, l’esclusione o immotivata marginalizzazione dalla
normale comunicazione aziendale, la sottostima sistematica dei risultati, l’attribuzione di
compiti molto al di sopra delle possibilità professionali o della condizione fisica e di salute”.
I singoli atti e comportamenti, isolatamente considerati, possono anche non avere una
connotazione necessariamente negativa ma assumerla per effetto della reiterazione nel tempo delle
condotte offensive.
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Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing, ma è possibile denunciare alle
autorità giudiziarie ma tale azioni richiede al soggetto, vittima di mobbing, un notevole sforzo
emotivo e finanziario che non tutti, specie dopo un lungo periodo di mobbing, sono in grado di
sopportare.
Prima di parlare specificatamente delle leggi a cui rifarsi è opportuno ricordare che esistono
numerose le norme della Costituzione poste a tutela della persona in quanto tale e del lavoratore
inserito nella realtà lavorativa (artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 41). In particolare vi sono l’ art. 32 che
riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale dell’uomo; 35, che prevede la tutela del
lavoro in tutte le sue forme e l’art. 41che vieta lo svolgimento della attività economica privata se
esercitata in contrasto con l’utilità sociale o qualora rechi danno alla sicurezza, alla libertà ed alla
dignità umana.
In generale ci sono tre articoli dello Statuto dei lavoratori
19
(legge n.300 del 20.05.1970)
che in minima parte si adattano ai casi di mobbing:
- art. 9 "tutela della salute e dell' integrità fisica";
- art. 15 "atti discriminatori" per motivi politici o religiosi;
- art. 18 "reintegrazione nel posto di lavoro", nel caso di ingiusto licenziamento.
Sotto il profilo civilistico, occorre prima di tutto distinguere le ipotesi in cui l’autore del
mobbing è il datore di lavoro da quelle in cui è un superiore gerarchico od un collega della vittima.
In quest’ultimo caso l’autore delle violenze psicologiche potrà essere chiamato a rispondere ai sensi
dell’art. 2043 c.c., quindi per responsabilità extra contrattuale.
La norma di carattere generale contenuta nell’art. 2043 c.c20. stabilisce, infatti, che
qualunque fatto doloso o colposo che causa ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno pertanto applicabile alle varie configurazioni del mobbing
poiché contiene il principio generale di responsabilità e sancisce il divieto di cagionare danni ad
altri. L’importanza del suddetto articolo, quale efficace strumento di lotta al mobbing, è messa in
particolare risalto dalla sentenza n° 411 del 24 gennaio 1990 della Corte di Cassazione nella quale
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Guida on-line redatta da Antonio Ascenzi, Luisa Benedettini, Fernardo Cecchini, Cinzia Frascheri intitolata
“Pericolo Mobbing. Giuda per predire e combattere le violenze psicologiche nei luoghi di lavoro”
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Guida on-line redatta da Antonio Ascenzi, Luisa Benedettini, Fernardo Cecchini, Cinzia Frascheri intitolata
“Pericolo Mobbing. Giuda per predire e combattere le violenze psicologiche nei luoghi di lavoro”
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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la stessa Corte “ha stabilito che il bene della salute costituisce oggetto di un autonomo diritto
primario e quindi il risarcimento per la sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che
incidono soltanto sulla idoneità del soggetto a produrre reddito e cioè al danno patrimoniale inteso
come diminuzione del reddito per esborsi di denaro (cure e/o trattamenti medici o acquisto di
prodotti farmaceutici) cosiddetti danno emergente, o come possibilità di perdita di guadagno a
causa della condotta del molestatore (lucro cessante), ma deve essere esteso al danno biologico
inteso come lesione inferta al bene dell’integrità psichica in sé e per sé”.
Al contrario, quando l’autore delle violenze psicologiche è il datore di lavoro, la
responsabilità derivante dall’art. 2043 potrà concorrere con quella contrattuale da inadempimento di
cui all’articolo 2087 del codice civile che dispone, integrando ex lege, le obbligazioni nascenti dal
contratto di lavoro, che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure
che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. L’ articolo 2087 vieta il datore di
lavoro di porre in essere direttamente comportamenti riconducibili al mobbing, ma anche l’obbligo
di attivarsi per impedire che tali comportamenti siano tenuti dai propri dipendenti.
Nel caso in cui la persecuzione psicologica porti a malattie professionali gli abusi lavorativi
vengono equiparati a lesioni personali colpose:
- legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
- art. 2087 del c.c. : obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute fisica dei dipendenti.
Rispetto al contesto europeo
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va ricordato che nel settembre del 2001, il Parlamento
europeo, attraverso una specifica Risoluzione, ha evidenziato la necessità per gli Stati membri di
approfondire lo studio del fenomeno delle violenze psicologiche in ambito lavorativo per pervenire
ad una comune definizione della fattispecie del mobbing e creare una più solida base statistica sulla
sua diffusione.
Tra i paesi europei la Svezia è stata la prima nazione che ha individuato una legge nazionale
sul mobbing (1993) cui sono seguite nel 1997 disposizioni dell’Ente nazionale per la Salute e
Sicurezza relative alle misure da adottare contro forme di persecuzione psicologica in ambito
lavorativo.
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Sito internet www.stopmobbing.org
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Dal quadro europeo emerge come i vari paesi europei stanno affrontando il fenomeno del
mobbing, come ad esempio in Belgio dal 2002 esiste una legge per regolamentare il fenomeno e che
stabilisce la previsione dell’obbligo per il datore di lavoro di designare, in accordo con i
rappresentanti dei lavoratori, un “Consigliere per la prevenzione” (interno od esterno a seconda
delle dimensione dell’impresa) con specifiche competenze psico-sociali in particolare riferite
all’ambiente lavorativo.
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7 Bibliografia
AA.VV., (1995)Danno biologico e oltre, a cura di Pedrazzoli, Torino
Cantisani D. (2005) Mobbing. Analisi giuridica di un fenomeno sociale ed aziendale,
Ed. Experta , Forlì
Cantisani D., Ege H. (2002) La perizia sul danno da Mobbing. Che cosè e a che cosa
serve, Ed. PRIMA Associazione Italiana contro Mobbing e stress psicosociale,
Bologna.
Ege H. (1996) Mobbing, Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro,
Pitagora, Bologna
Ege H. (2001) Mobbing: conoscerlo per vincerlo, Franco Angeli, Milano
Ege H. (2002) La valutazione peritale del Danno da Mobbing, Giuffrè, Milano
Leymann H., (1990) Mobbing and psychological terror at Workplaces, Violence and
Victims
Leymann H. (1993) Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz und wie man sich
dagegen wehren kann, Reinbek, Rowohlt
Leymann H. (1996) The Content and Development of Mobbing at Work, in Mobbing
and Victimization at Work, European Journal of Work and Organizational
Psychology, vol. 5, n. 2
Leymann H., Gustafsson A. (1996) Mobbing at Work and the Development of Posttraumatic Stress Disorders, in Mobbing and Victimization at Work, European
Journal of Work and Organizational Psychology, vol. 5, n. 2
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8 Sitografia
www.mobbing-prima.it
www.stopmobbing.org
www.uil.it
www.uilpa.it
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