Persona e società - Riviste digitali

Persona e società
SIRA SERENELLA MACCHIETTI
Abstract: The present contribution stands in a pedagogical perspective and it is divided
into three segments, the first of which, Uomo e società (Man and Society), legitimates
the belief that society is worth only when directed to the person, and proposes to build
a ‘society of people’ asking each single individual the will and ability to work for the
common good. The second segment, Essere e diventare persone (Being and becoming persons), reflects on the meaning of the expression ‘human subject’ and the word ‘person’,
as well as on the personalization process. Attention is then turned to the relationship
among singularity-otherness-community. The last segment, Processi e traguardi educativi (Educational Processes and Goals), proposes full and life-long education, referring
to the meeting, the relational nature and the relationship occurring among moral, social,
democracy and intercultural education.
Riassunto: Il contributo si colloca in prospettiva pedagogica e si articola in tre segmenti,
il primo dei quali Uomo e società legittima la convinzione che la società vale soltanto
quando è ordinata alla persona e propone la costruzione di una società delle persone che
chiede a ciascuno volontà e capacità di impegnarsi per il bene comune. Il secondo segmento
Essere e diventare persone riflette sul significato dell’espressione “soggetto umano” e del
termine “persona” e sul processo di personalizzazione. Successivamente l’attenzione viene
rivolta al rapporto che intercorre tra singolarità-alterità-comunità. L’ultimo segmento,
Processi e traguardi educativi, propone l’educazione integrale e permanente, facendo
riferimento all’incontro, alla relazionalità ed al rapporto che intercorre tra l’educazione
morale, quella sociale, quella alla democrazia e quella interculturale.
Parole chiave: persona, personalizzazione, educazione, alterità, società.
Le parole “persona” e “società” sono estremamente polisemiche è pertanto opportuno indicare quale significato viene attribuito a ciascuna di esse, la
prospettiva in cui si colloca questo contributo ed accennare alle intenzioni
che sono alla sua base.
La prospettiva in cui si pone è quella pedagogica e le intenzioni si identificano con la volontà di presentare e legittimare qualche riflessione per
costruirsi come “persone” capaci di dar vita ad una “società delle persone” e
quindi un’autentica democrazia.
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Pertanto il discorso prenderà avvio da una rapida introduzione alla comprensione delle ragioni che inducono a proporre una “società delle persone”
e del suo significato che può essere colto soltanto individuando i limiti delle
comuni e diffuse visioni del rapporto uomo società e richiamandosi anche
alle origini e alle proposte del personalismo che, come è noto, è nato per
effettuare una rivoluzione “personalista e comunitaria”. Successivamente
l’attenzione sarà rivolta alla riflessione sul soggetto umano e sulla sua possibilità di diventare persona cioè di personalizzarsi e, quindi, di coltivare il
suo potenziale di umanità attraverso l’educazione. Infine saranno indicate
alcune prospettive educative relative all’educazione dell’alterità ed alla alterità, che è una condizione indispensabile per la costruzione e l’affermazione
di una cultura e di una società personalista e comunitaria.
Uomo e società
I discorsi della gente sui problemi morali e soprattutto su quelli educativi che affliggono il nostro tempo sembrano mettere in evidenza una diffusa
tendenza ad attribuire alla società la colpa delle difficoltà che si incontrano
per educare, ma non consentono di comprendere quale significato viene
attribuito al termine “società”. Comunque la continua accusa alla società è
diventata un luogo comune la cui diffusione non può non sorprendere in un
Paese democratico i cui cittadini sembrano non chiedersi chi conferisce alla
società il potere di condizionare tutti ed in particolare le giovani generazioni, di ostacolare ogni uomo nell’esercizio del suo diritto di educarsi, di togliergli la libertà di scelta e la possibilità di assumere le proprie responsabilità. Alle accuse rivolte alla società si uniscono spesso quelle rivolte ai media
che sono diventati quasi una «parte costitutiva delle relazioni interpersonali
e dei processi sociali, economici, politici e religiosi» (Benedetto XVI, 2008)
e che, per le potenzialità di cui dispongono, rischiano di trasformarsi «in
sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento» e di essere usati per fini ideologici (Ibidem).
Di fatto questi mezzi incidono profondamente «su tutte le dimensioni
della vita umana (morale, intellettuale, religiosa, relazionale, affettiva, culturale)» e mettono “in gioco” tutte le «dimensioni costitutive dell’uomo e
della sua verità» (Ibidem).
L’uomo sembra quindi soffocato dalla società e dallo strapotere dei media che la rappresentano e il suo rapporto con la società sembra ormai
essere un rapporto di dipendenza che nulla ha a che fare con la democrazia
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Sira Serenella Macchietti
e con il rispetto del valore e dei diritti degli esseri umani. Questa situazione
sfida la pedagogia della persona che non può non impegnarsi per costruire
una civiltà capace di rivolgere la massima attenzione all’educazione dell’uomo che è stato spodestato dall’individualismo e dai tanti “ismi” del nostro
tempo e da alcune antropologie contemporanee, «in cui è evidente la tendenza a negare o almeno a ridimensionare le categorie di un Io “centrale”
e di una soggettività autonoma rispetto alle sue matrici materiali, che si
rivelano insufficienti a comprendere “la complessità dello spirito”» (Dalle
Fratte-Macchietti, 2008, 6).
Quello della pedagogia è un impegno chiamato a configurarsi come una
ribellione a questa cultura ed a sostenere che, come affermava E. Mounier
negli anni Trenta del secolo scorso, la persona è la sola responsabile della
sua salvezza ed ha il diritto di «poter vivere come persona, cioè di potere accedere al massimo di iniziativa, di responsabilità, di vita spirituale»
(Mounier, 1975, 65) e di testimoniare la sua vocazione comunitaria che è
inserita nel suo “cuore”.
In questa prospettiva la società non può non essere “funzione della persona” e vale soltanto quando “è ordinata alla persona medesima” (Catalfamo,
1962, 164). È quindi doveroso affermare il primato della persona sulla società senza dimenticare che all’uomo non è possibile costruirsi come “persona”
realizzando la sua educazione senza valorizzare la sua natura sociale e la sua
vocazione comunitaria. Comunque se è vero che la società è indispensabile
alla persona e che sotto certi aspetti può proteggerla e garantire i suoi diritti
è anche vero che può distruggere il soggetto umano condizionandolo, non
consentendogli di valorizzare la sua umanità o comunque non favorendo la
conquista della coscienza di sé, della sua dignità e del suo valore. Pertanto
i fini della società sono legittimi soltanto quando consentono ai soggetti
umani di realizzarsi pienamente e la stessa società «è legittima a patto che
consenta alla persona il godimento dei suoi naturali diritti e la libera esplicazione dei suoi valori e delle sue potenzialità» (Ibidem, 165).
Quindi le società collettivistiche che negano la dialettica tra il sociale e
il personale, le società che esaltano il primato dell’avere sull’essere e quelle
individualistiche e relativistiche che assolutizzano l’individuo non consentendogli di realizzare l’apertura all’altro tradiscono l’uomo, non gli permettono di realizzarsi come “essere morale” e come cittadino della polis.
Oggi sono molte le “teorie” che tradiscono l’uomo e che chiudono i
suoi orizzonti e che, quando fanno riferimento all’etica propongono un’etica “secca”, arida, affidata alla sola ragione o esclusivamente soggiacente a
varie forme di utilitarismo, proclamano razionalità e laicità ricorrendo ad
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universalismi di illuministica memoria, ignorando l’essere umano che vive,
pensa, “sente”, soffre e chiede di essere aiutato a diventare persona.
Inoltre possiamo constatare che sempre più frequentemente l’uomo si
percepisce ed è considerato soltanto come individuo e non “passa all’intuizione ultima (intus-ire)” della conoscenza e quindi non è capace di costruire
la “società delle persone”.
È un uomo che, non coltivando la sua capacità di apertura spirituale, la
quale consente di trascendere la natura, elevando verso una vita superiore,
non scopre pienamente il suo “valore” e quello dei propri simili e quindi
non può comprendere interamente neanche il significato dei diritti umani
(Flori, 1998, 162) proclamati nelle “Carte Internazionali”.
D’altronde, come afferma P. Ricoeur, sarebbe impossibile argomentare
sui diritti umani se non ci fosse stata la cultura prodotta dal personalismo
che ha richiamato l’attenzione sulla persona. Tuttavia giova non dimenticare che non soltanto i pensatori del personalismo ma alcuni filosofi del nostro
tempo, come ad esempio Taylor, MacIntyre e Jonas, «si sono posti in alternativa alle teorie etiche di tipo individualistico, e hanno rivalutato il tema
della responsabilità personale, delle virtù e del bene» (Nepi, 2000, 8) ed hanno offerto contributi significativi agli effetti della costruzione della “società
delle persone”, alla quale è legata la possibilità di costruire la democrazia.
Infatti, come precisava G. Lazzati nel 1948, denunciando l’abuso che si
faceva del termine “democrazia” e il rischio di coglierne soltanto gli aspetti parziali, la persona è “sostanza di democrazia”, la quale «implica, come
fondamento e come méta ad un tempo, lo sviluppo pieno della persona
umana» (Lazzati, 1948, 5-6). In questa prospettiva il compito della società
è quello di costruire il bene comune inteso come «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli uomini, la famiglia, le associazioni
possono ottenere il conseguimento più pieno e più spedito della propria
perfezione» (Gaudium et Spes, n. 74). La società pertanto è chiamata ad
offrire a tutti «l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani» il loro sviluppo integrale ed a mirare allo
sviluppo di tutti gli uomini (Giovanni XXIII, n. 42) e quindi a consentire a
tutti di concretizzare il diritto all’educazione. Senza educazione infatti non
è possibile costruire una società autenticamente democratica.
A questo proposito è opportuno non dimenticare che «la democrazia
non tollera analfabetismi e non tollera un cognitivismo esclusivamente
strumentale; non tollera individualismo e non tollera collettivismo; non
tollera abdicazioni e non tollera prevaricazioni».
Lo stesso termine “democrazia” manifesta un’“esigenzialità” che impone
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di chiedersi «che cosa è la libertà, che cosa è la giustizia; che cosa sono il
bene comune, l’eguaglianza, la solidarietà; e il dialogo, la tolleranza, la collaborazione, l’autogoverno» (Mencarelli, 1987, 16).
La società delle persone che può sostanziare la democrazia non può realizzarsi se i cittadini non sono consapevoli e coscienti del loro ruolo, dei loro
doveri e dei loro diritti. In questa società si chiede infatti ad ogni cittadino:
– volontà e capacità di partecipazione, disponibilità «a gestire la forza del
sociale come pressione contrattuale che controlla e vincola l’azione politica» (Danese, 1992, 72), a far sentire la propria voce, a testimoniare una
presenza attiva «a incontri e dibattiti il più possibile misti». Si tratta di una
presenza che presuppone la disponibilità «a non sottovalutare la dimensione giuridica (contentandosi dell’intimità affettiva) come quella nella quale
si fissano le regole di un gioco che può sempre divenire pericoloso e penalizzante per tutti, specie se non si è contribuito a costruirle» (Ibidem).
Per costruire il bene comune le persone però non possono non avere una
concezione del diritto come prodotto non finito. Ognuno infatti è chiamato ad essere protagonista della costruzione dello stesso, in cui all’insieme
delle norme scritte si affiancano quelle non scritte: «le tendenze culturali,
i comportamenti collettivi in via di consolidamento (l’ordine potenziale),
che ognuno di noi con le proprie azioni quotidiane contribuisce a creare»
(Mazzoli, 1993).
La visione del diritto come prodotto “non finito” incoraggia la partecipazione, la corresponsabilità, la conquista del senso di appartenenza ad una
comunità al cui bene comune tutti possono concorrere e quindi sembra consentire il superamento dell’attesa passiva delle “leggi”, alle quali si chiede,
talvolta molto ingenuamente, di risolvere problemi che nessuna norma può
risolvere e di superare conflittualità strettamente legate alla nostra sfera personale, che nessuno può “prevedere” e rimuovere se manca la nostra volontà.
Assumere un atteggiamento creativo nei confronti delle norme non significa proporre disattenzione nei confronti di quelle esistenti e metterle
sempre e comunque in discussione e quindi non rispettarle, ma significa
testimoniare la propria cittadinanza attiva, la capacità e la volontà di osservare le norme che regolano la vita sociale e che tutelano ogni essere umano
e di sapersi impegnare per renderle sempre più attente al valore e ai diritti
della “persona”, delle famiglie e della comunità.
Nella “società delle persone” infatti i cittadini possono e debbono contare
veramente nelle scelte e negli indirizzi della vita sociale, in cui la loro partecipazione è chiamata ad essere effettiva e capace di promuovere lo sviluppo
dei diritti delle comunità naturali (ad iniziare dalla famiglia) e di aprirsi ai
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problemi dell’intera comunità umana e di non cedere alla rassegnazione ed
alla tentazione di chiudersi nel presente. Si tratta di una partecipazione che
non può non ispirarsi ai principi di sussidiarietà, di solidarietà, di responsabilità e non onorare i soggetti sociali emergenti e in particolare la famiglia,
l’associazionismo e il volontariato.
Questa partecipazione può essere illuminata e sorretta dalla carità che consente di donare, di donarsi e di perdonare, e a questo proposito è opportuno
ricordare che la pratica del perdono è virtuosa non soltanto sul piano personale ma anche su quello sociale ed è indispensabile per la convivenza umana.
Infatti in una “società delle persone”, in cui le virtù umane sono illuminate da quelle cristiane che consentono di andare oltre la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, è inderogabile la doverosità di dare la parola
alle persone, di andare loro incontro, di accoglierle (Nanni, 1994, 292), di
individuare i loro bisogni e le loro risorse, di ascoltarle, di rispettarle, di aiutarle ad essere ed a divenire, di considerarle positivamente “come promesse”
e di favorire la loro capacità di creare e potenziare la comunità sociale.
Occorre inoltre rispondere ai bisogni emergenti di formazione e di cultura, per liberare coloro che sono meno “avvantaggiati” dall’ignoranza, dalla
miseria, dall’analfabetismo, dall’emarginazione, in coerenza con una visione
della persona come primum, come valore primario da custodire, da coltivare, da sviluppare (Macchietti, 2007, 14).
È pertanto doveroso testimoniare una vis democratica, individuare le
difficoltà e i problemi che impediscono agli esseri umani di concretizzare il
loro diritto all’educazione che sono spesso legati alla mancanza di giustizia
sociale, di coraggio, di speranza e di fiducia nell’uomo.
È infine opportuno ricordare l’opportunità di ricomprendere l’educazione
come “un’impresa comunitaria”, come un sistema a rete, nel quale interagiscono diversi soggetti educanti, ciascuno con la propria originalità: la famiglia, la scuola, le varie istituzioni educative, la comunità ecclesiale, lo Stato, le
associazioni e le diverse aggregazioni presenti sul territorio (Ibidem, 15).
Essere e diventare persone
Della “persona” nel corso dei secoli sono state date definizioni diverse le
quali ne accentuano alcuni caratteri ed alcuni attributi che talvolta non fanno riferimento alla sua struttura dinamica e quindi non mettono in evidenza
le sue potenzialità educative, la sua possibilità di esplicare le sue vitali risorse
e di perfezionarle e la sua capacità di produrre cultura, significati, valori.
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In effetti non raramente possiamo constatare che nel lessico comune
ma anche in molti dizionari della lingua italiana il termine “persona” viene
considerato come sinonimo di individuo e di uomo e che talvolta viene
usato senza conoscere il significato e le “promesse” di umanità che gli sono
proprie. Ciò avviene perché non è frequente la piena consapevolezza della
sua storia e si ignora perfino che soltanto con il Cristianesimo sono state
riconosciute alla “persona” la “singolarità”, la “razionalità” e la “dignità”.
È quindi opportuno indicare a “quale” persona si riferisce questo discorso anche se esso ha alla base la convinzione che la persona sfugge ad ogni
definizione compiuta, statica e cristallizzata.
Significativo, a questo proposito, è il fatto che mentre nel passato, a partire dai primi secoli cristiani del termine “persona”, sono state date alcune
definizioni, dal Novecento in poi sono stati prevalentemente sottolineati i
suoi attributi.
Ad esempio il personalismo italiano, affermatosi nel primo ventennio
della seconda metà del secolo scorso, di cui Luigi Stefanini nel corso degli anni ’50 ha costruito una “summa”, ha sottolineato alcune prerogative
della persona considerandola una sostanza spirituale, razionale, singolare,
libera, responsabile, incarnata, mondanizzata e riconoscendole gli attributi
dell’unicità, dell’identità, dell’inseità, dell’impagabilità, della logicità e della
libertà. Complessivamente la persona dal Novecento in poi è stata vista
come un universus di fattori che interagiscono e che determinano la soggettività di ogni uomo, il quale cresce, progredisce e si esprime nei suoi caratteri personali, pur non rivelandosi completamente nella sua “misteriosità” e
nel suo poter essere una “persona”.
Oggi pertanto prevale una visione plastica e dinamica della persona che
appare al di là di ogni possibile concetto perchè è un “oltre” e, perciò mai
totalmente raggiungibile e mai rigorosamente definibile.
In effetti attualmente sembra molto condivisa la convinzione di E. Mounier,
il quale affermava che «ogni definizione fissa rischia di sclerotizzare ciò che
invece è mobile, dinamico, fluttuante, trasformando ciò che è e deve rimanere
un soggetto, appunto la persona, in un oggetto» (Mounier, 2004, 13).
In questa prospettiva si colloca anche oggi il dibattito filosofico e pedagogico sulla persona che talvolta prescinde dalla riflessione sulla sua origine
e sulla sua essenza e tende a scoprirla seguendola nelle sue manifestazioni e
nella sua evoluzione, nel suo coinvolgersi nelle cose, nel suo aprirsi all’alterità, confrontandosi con gli altri… sperimentando la prossimità…
Collocarsi in questa prospettiva non significa però rinunciare a rispondere agli interrogativi: Chi è l’uomo? Chi è la persona?, ai quali si può dare
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una risposta constatando che l’uomo esiste, che ha ricevuto il dono della sua
esistenza che non dipende né da una sua scelta né da una sua decisione. Se
la datità dell’esistenza è accettata l’essere umano è chiamato ad impegnarsi
per «perseguire il telos stesso del fatto di esistere» (Pieretti, 2006, 43-70).
In effetti, accettando l’esistenza l’uomo decide «di legarsi responsabilmente al fatto di esistere e, quindi, oltre ad affermare se stesso, è chiamato
anche ad impegnarsi per prendersi cura di se stesso. Assumendo questo impegno, tuttavia, raggiunge la massima prossimità possibile con la radice del
proprio essere» (Ibidem) ma non è ancora persona. Per diventare persona ha
bisogno di atti di fedeltà verso il proprio statuto di soggetto esistente e di
appropriarsi della propria identità attraverso varie forme di autodeterminazione e attraverso un itinerario capace di consentirgli di superare gli ostacoli dell’impersonale, che si oppongono al suo processo di personalizzazione.
In altri termini l’uomo diventa persona aprendosi agli altri.
È quindi evidente che il “diventare persona” costituisce un compito educativo ed autoeducativo, una responsabilità morale che si pone in un rapporto di coerenza con l’antropologia consegnataci dalla tradizione ebraicocristiana la quale afferma che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza e chiede a questa Sua creatura di accogliere e di vivere la Sua parola
per costruire la somiglianza con Lui, per progettarsi, per essere legislatore e
se stesso, per amare il suo prossimo come se stesso, per soddisfare la sua vocazione alla tascendenza e all’Amore infinito, per porsi in rapporto con Lui.
Singolarità e alterità
Le considerazioni fatte in merito alla risposta che è possibile dare alla
domanda “chi è la persona” chiedono di essere ulteriormente precisate anche per comprendere il significato del processo di personalizzazione che il
soggetto umano è chiamato a realizzare per farsi persona.
A questo proposito giova ricordare che l’elaborazione dell’idea di soggetto trova la base nella filosofia socratica, infatti il filosofo ateniese «dando
forma compiuta al principio del conosci te stesso, afferma contestualmente l’esistenza di una dimensione interiore dotata di una sua irriducibilità»
(Piccinno, 2003, 112).
Nel corso dei secoli il principio socratico “abbondato in Grecia ed a
Roma” è stato rivisitato, ripreso, rielaborato e nella cultura contemporanea
la nozione di “soggetto” è stato oggetto di riflessione, oltre che per la letteratura anche per le scienze psicologiche che hanno interpretato la sfera
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soggettiva come una “struttura psichica” nella quale «il singolo si definisce
non come un esito di variabili poste fuori di lui, ma come una realtà che si
costruisce e si autodetermina secondo un progetto proprio, che prescinde
in modo più o meno rilevante dalle influenze ambientali» (Ibidem, 115).
Pertanto la singolarità viene ad intensificarsi «in modo sempre più pregnante nelle forme della personalità, intesa come un nucleo inderivabile ed
irriducibile, dal quale scaturiscono i modi di essere unici ed irriperibili di
ognuno» (Ibidem).
Il soggetto si fa persona grazie all’alterità e alla relazionalità, che è un
elemento fondamentale e irrinunciabile per personalizzarsi, per aprirsi ai
propri simili, alle “cose”, all’ambiente ed alla cultura attraverso l’incontro e
la comunicazione.
Significativa è a questo proposito la lezione di E. Mounier per il quale
quella della persona è “una presenza volta al mondo ed alle altre persone”
che «non la limitano, anzi le permettono di essere e di svilupparsi; essa non
esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso
gli altri, si ritrova soltanto negli altri. La prima esperienza della persona è
l’esperienza della seconda persona: il tu, e quindi il noi, viene prima dell’Io,
o quantomeno lo accompagna» (Mounier, 1987, 47).
In questa prospettiva l’orizzonte umano è quindi un orizzonte aperto e la
lotta che porta all’affermazione della forza creativa, che è in noi, interessa ogni
uomo ed è un compito dell’educazione. In un certo senso i pensieri sull’educazione di E. Mounier espressi per lo più attraverso frasi incisive che sembrano
quasi slogan estremamente efficaci, sono alla base delle proposte educative
della pedagogia della persona la quale non può non sostenere la coessenzialità
dell’educazione alla vita dell’uomo e non condividere la convinzione che educare veramente significa éveiller gli esseri umani, restituirli a se stessi, riumanizzare l’umanità che ognuno possiede e che ognuno ha il diritto e il dovere di
scoprire, di coltivare e di far crescere. La pedagogia della persona è inoltre implicitamente attenta alle tre dimensioni costitutive riconosciute da E. Mounier
all’essere umano, la vocation, intesa come la chiamata a svolgere un compito,
l’incarnation come l’inserimento in una situazione storica, la communion come
la realizzazione in un ambito comunitario, e agli esercizi di personalizzazione
ad esse connessi (méditation, engagement, dépouillement) che rimandano allo
spazio rivolto alla scoperta della propria vocazione anche se la conoscenza e la
sua realizzazione è sempre incompiuta (Macchietti, 2006, 29).
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Processi e traguardi educativi
I rapidi accenni fatti al processo di personalizzazione permettono di
rilevare che esso si configura come un processo di «perfezionamento di
sé che si concreta come prova di opere virtuose, di meriti, in una parola,
come disposizione di “buona volontà”» (Peretti, 1974, 7) e che consente di
educarsi, di formarsi, di realizzarsi come persone e di esplicare le proprie
vitali risorse.
Queste risorse, esplicandosi permettono alla persona di costruirsi e
quindi di essere “protagonista, intenzionale e volontaria, d’una storia”, di
conquistare progressivamente nuove abilità e capacità che le consentano di
trasformare la realtà (e di crearne nuove manifestazioni) e di atti di libertà,
della libertà del suo “io”.
Il movimento di personalizzazione è dunque «la storicizzazione della persona, cioè il progressivo risultato del processo di vita animato dalla
struttura singolare d’ogni uomo, caratterizzata dalle funzioni dinamiche
idonee a produrre la cultura personale attraverso le sollecitazioni provenienti dalla cultura di altre persone» (Idem, 1979, 39).
Grazie a questo cammino la persona realizza un processo di formazione
personale: «di acquisizione di comunicazione, di partecipazione dei risultati
compiuti dagli altri uomini» e diviene capace di riesprimerli «attraverso
l’elaborazione della propria attività, che, col tratto della sua originalità, causa le innovazioni dell’esperienza» (Idem, 1965, 72).
A questo proposito tuttavia giova ricordare che l’originalità di ogni soggetto postula la personalizzazione educativa che può realizzarsi soltanto
prestando attenzione e premura alle esigenze, alle inclinazioni personali,
alla particolarità dell’ambiente in cui ogni essere umano vive, alle sue condizioni esistenziali, mirando alla promozione di una “formazione giusta”
che è tale soltanto quando è «fondata sull’identità della natura dell’educando e concepita in termini di unitaria progressione delle molteplici variazioni dell’esperienza» (Idem, 1973, 38).
Nella prospettiva della pedagogia della persona pertanto la personalizzazione educativa trova il suo fondamento in una istanza antropologica,
orienta la scelta delle modalità e dei metodi per educare e costituisce il
traguardo (mai definitivo) del processo educativo che è chiamato quindi a
configurarsi come promozione integrale dell’uomo. All’educazione infatti si
domanda di coltivare tutte le potenzialità di umanizzazione che ogni essere
umano custodisce ed attende di attuare.
Educare pertanto significa promuovere l’uomo nei suoi aspetti costitu-
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Sira Serenella Macchietti
tivi, favorendo la realizzazione di un processo educativo unitario ed articolato in cui convergono diversi processi:
– quello che possiamo definire di personalizzazione, che conduce alla
conquista della consapevolezza della propria identità, della coscienza
di sé, della capacità di progettare la propria esistenza e di pervenire
all’autorealizzazione;
– quello che mira alla conquista della civiltà e della cultura e della capacità di produrle e di arricchirle;
– quello di socializzazione;
– quello di crescita sul piano etico-morale, spirituale e religioso.
Questi processi si realizzano contemporaneamente, sono concomitanti,
e si ibridano vicendevolmente in tutte le stagioni della vita e la loro realizzazione può avvenire in diverse istituzioni educative (famiglia, scuola, …)
ed anche informalmente e può essere favorita dall’uso conveniente dei vari
mezzi di “comunicazione sociale”.
L’attuazione di questi processi è quindi coessenziale alla vita umana e
può consentire di restituire “l’uomo a se stesso”, di renderlo capace di esercitare la sua autonomia, di testimoniare responsabilità e solidarietà e di
costruire la “società delle persone”.
Sottolineature e prospettive
In coerenza con le considerazioni fatte a proposito dei processi educativi
giova sottolineare ulteriormente che è indispensabile impegnarsi per far sì
che ogni essere umano possa realizzare il diritto ad una solida formazione
«sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente
l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e
futuri» (Betori, 2008, 18).
Pertanto oggi è doveroso “un investimento educativo”, capace di rinnovare gli itinerari formativi per renderli più adatti al “tempo presente” e
significativi per la vita di ogni persona, colta nella sua irriducibile unicità e
concretezza. Solo a questa condizione infatti è possibile realizzare un’educazione «che aiuti davvero a penetrare la realtà, senza censurarne alcuna dimensione» (Ibidem, 13) e che quindi sia attenta alla dimensione etica della
cultura e della vita e capace di andare oltre la significatività soggettiva.
Per quanto riguarda la promozione della capacità di costruire la “società delle persone” una prospettiva da privilegiare è quella dell’“educazione
all’alterità”, la quale si realizza attraverso un itinerario che prende avvio in
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famiglia in cui spontaneamente sorgono relazioni affettive speciali che non
si trovano in nessun altro tipo di comunità perché l’“altro” è costituito dai
genitori e dai familiari. In questo luogo si può sperimentare sia il sostegno
sia il limite dell’“altro” e il genitore, testimoniando attenzione e premura
per i figli e dialogando con loro, può configurarsi come guida prudente,
accorta, rassicurante e capace di incoraggiare l’incontro con “altri”. Inoltre,
grazie al dialogo, in famiglia si può realizzare una “circolarità virtuosa”, capace di facilitare il processo di personalizzazione dell’individuo. Quando
questa circolarità coinvolge tutti membri della famiglia si realizza il “noi”
familiare, in cui tutti sentono di appartenere ad una comunità reciproca
e tutti possono rafforzare la loro identità, conquistare la stima di se stessi
ed atteggiamenti di sicurezza ed apprendere ad aprirsi agli “altri”. Queste
esperienze positive facilitano l’incontro con l’“altro”, costituito dal tu amicale, e con la scuola in cui il “volto” del tu amicale, presente nel gruppo di
elezione, cede il passo ad una forma di alterità più istituzionale, dotata, cioè,
di regole e di rapporti di tipo sociale (Giambetti, 2006, 68).
Nella scuola infatti si attua l’incontro con l’insegnante e con il “ciascuno” ed i rapporti avvengono in un ambiente formalizzato, in cui si realizza
un’esperienza di “terziarietà”, nella quale è particolarmente rilevante il ruolo del docente, in cui “è presente, accanto al calore della relazione intersoggettiva, anche il volto del “diverso”, dell’autorità, della legge, del rapporto
asimmetrico” e del “gruppo classe” che pone regole e limiti, propone doveri,
chiama alla responsabilità, alla collaborazione e alla contemperanza delle
esigenze, stimolando ad aprirsi ad un’alterità… forse problematica ma necessaria per costruirsi come persone (Macchietti, 2008, 43).
In questa prospettiva assume un significato particolare l’educazione morale che chiede agli educatori di non dimenticare che il processo educativo
o «coglie, si dirige e struttura il nucleo fondamentale della persona – che
è quello etico – oppure si riduce al solo aspetto convenzionale», istruttivo
(Giambetti, 2006, 75). È dunque evidente l’importanza di un’educazione morale preferibilmente ispirata all’etica delle virtù (Micheletti, 2006) e alimentata dalla competenza etica, intesa come capacità di giudicare e di agire responsabilmente, la quale è chiamata a promuovere la fiducia nella propria realtà
personale, la capacità di cogliere nell’ambito in cui si opera significati buoni e
di coltivare la forza d’animo, il coraggio, di riconoscere il valore e la dignità di
coloro che sono vicini a noi e dell’“altro senza volto” cioè del “ciascuno”.
Collocandosi in questa prospettiva l’educazione morale non può non
sostenere quella sociale, quella alla democrazia (Corsi-Sani, 2004) e quella
interculturale, intesa come educazione alla “convivialità delle differenze” e
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Sira Serenella Macchietti
non favorire la conquista della “cittadinanza plurima”, che consente di sapere vivere da cittadini responsabili nella città, nel Paese e nell’intera famiglia umana (Macchietti, 2008, 44).
In effetti l’educazione morale, facendo leva sulla coscienza della persona,
sorregge il soggetto umano nella conquista della sua identità, della capacità
di autotrascendersi, attraverso il rapporto con l’altro personale (io-tu), con
l’altro comunitario (io-noi) e con l’altro istituzionale (io-tutti) (Giambetti,
2006, 298), e di mirare al proprio perfezionamento e quindi di aprirsi alla
città, alla società e al mondo.
Presentazione dell’Autore: Sira Serenella Macchietti, già professore ordinario
di pedagogia generale presso l’Università degli Studi di Siena, ha effettuato un
lungo percorso di ricerca, che ha preso avvio nel 1959 con alcuni studi storicopedagogici ed ha successivamente affrontato le questioni di pedagogia scolastica
e particolarmente quelle relative all’educazione dell’infanzia, alla formazione degli
insegnanti e all’educazione permanente. La sua ricerca fin dagli inizi si è collocata nella prospettiva della persona alla quale ha dedicato numerose pubblicazioni
(Pedagogia del personalismo italiano, 1982; Appunti per una pedagogia della persona,
1998; Persona e persone come problema educativo, 2007; La scuola delle persone, 2008;
Dal personalismo alla pedagogia della persona, 2008; Una teoria della persona, 2009).
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