Una divina avventura: Esperienza personale e comunitaria di Dio e la risposta: vivere il Vangelo (p.Amedeo) Da sempre l’uomo è alla ricerca di definire chi è l’essere umano, ma solo nell’epoca moderna, dopo aver viaggiato nello spazio per sapere come è fatto l’universo, dopo aver sondato gli abissi degli oceani, dopo aver scoperto i continenti e aver compreso di vivere in un piccolo villaggio globale, solo ora si pone seriamente la domanda di chi sia l’uomo e si sta sforzando di dare una risposta esaustiva. Anche le scienze umane stanno offrendo il loro contributo alla definizione dell’essere umano nella sua integrità e specificità. L’antropologia, la psicologia e anche la filosofia concordano che l’uomo è un soggetto autocoscente, un io nel quale si concentrano tre universi, quello fisico, quello psico-affettivo, quello spirituale. Ora la novità che sta emergendo sempre più chiara è che questo l’“io” non può esistere da solo, ma solo in relazione con un tu, di fronte al quale può dire io. Dunque il fondamento antropologico dell’essere umano è di essere un soggetto costituito in relazione con qualcuno. Per questo la realtà fondamentale della persona umana è l’amore, l’amare ed essere amato. Per cui il nuovo principio antropologico non è più penso dunque sono, ma “amo dunque sono”. E qualche filosofo, ateo, arriva addirittura ad affermare che la realtà ontologica del soggetto è quella di “essere dono”. Sarà proprio questa visione antropologica a permetterci di scoprire la piena identità con la visione della scrittura, con il disegno di Dio sull’umanità. L’umanità è stata creata ad immagine di Dio Amore, perciò con la capacità di un rapporto diretto con Dio: un rapporto di conoscenza, di amore, di amicizia di comunione. L’uomo è come un tu che sta di fronte a Dio. Scrive il teologo Westermann: “La proprietà, la caratteristica essenziale dell’uomo è vista nello stare di fronte a Dio. Il rapporto con Dio non è qualcosa che si aggiunge all’essere-uomo; anzi l’uomo è creato in modo che il suo essere uomo è capito nel rapporto con Dio. 1 1 - L’esperienza di Dio: Dio è Amore Senza dubbio tutti noi che siamo qui abbiamo avuto il dono della fede e abbiamo creduto a Dio che ci fatti cristiani e ci ha donato una vocazione particolare. Ma dobbiamo però dire anche che non è sempre stato facile per noi accogliere la volontà di Dio specie, quando si è manifestata nel dolore o in qualche imprevisto o che cambiava i nostri programmi. Ma come mai pur avendo la fede sperimentiamo questo disagio nel rispondere all’amore di Dio? Per poter fare la volontà di qualcuno si richiede che io conosca colui che mi chiede e ancora di più che io abbia un rapporto profondo di amicizia di amore con lui. Ebbene Giovanni nella sua prima lettera dice chiaramente: “Dio è Amore, chi non ama non lo conosce”(1Gv 4). Per conoscere l’Amore è necessario entrare nella dimensione dell’Amore, e farne l’esperienza. Perché se Dio è Amore è possibile sperimentarlo. E’ stata questa una delle prime esperienze che ha cambiato la mia vita. Per me prima Dio, era solo un oggetto di fede, conoscevo i dogmi, le verità che la Chiesa proponeva di studiare e imparare nel catechismo. Ma la mia vita viaggiava su un altro binario per cui non si incontrava mai con Dio. Fino a quando ebbi la grazia di conoscere una comunità in cui tutti erano felici: persone di varia estrazione sociale ma tutti facevano riferimento ad un unico Ideale. Volevo sapere quale era il loro ideale. Uno mi disse: abbiamo scoperto un ideale che non muore: Dio Amore. Da allora Dio è diventato un'esperienza dell’Amore per me. Perché Dio Amore ama me, ama ciascuno e tutti. Dio è Amore e “noi abbiamo creduto all’Amore”, dice Giovanni. (1Gv. 4) Da allora la vita è cambiata completamente, come quando uno si innamora, prima è triste frustrato senza scopo; poi è felice, sicuro di sé, la sua vita acquistato senso perché 1 C. Westermann, «Genesi», 1 Teiband Genesis 1-11, in «iblischher ommentar, ltes estament», ,pp.217-218 1 qualcuno gli ha detto: ti voglio bene! Da quel momento la luce e il calore del sole invadono l’esistenza. Da quella esperienza ho capito che dovevo passare da un Dio oggetto di fede, all’esperienza di Dio che è Amore. Ma se Dio ama me così come sono, allora sono una persona importante per Lui; se Dio mi ama tutto è un dono d’amore: un dono d’amore i fratelli e le sorelle, un dono d’amore le circostanze gioiose, ma anche quelle indifferenti o dolorose, perché l’amore è dietro a tutto. Il sentirci amati da Dio porta ad un rapporto con Lui non fatto di pratiche esterne ma di dialogo, di comunione sempre più profonda, di doni reciproci, un rapporto d’amore come tra Padre e figlio. Nelle vite dei santi che raccontano questa scoperta viene subito in evidenza l’aspetto individuale e personale dell’esperienza di Dio. Tanto che tutto il cammino ascetico e mistico è caratterizzato da una spiritualità individuale, in cui si va a Dio da soli, si superano le prove da soli, si fanno le penitenze e le mortificazioni da soli, si tende alla santità da soli. Nell’esperienza di Dio Amore fatta nella spiritualità di comunione, l’esperienza di Dio fatta personalmente si apre immediatamente alla comunità. Rhaner conferma che l’esperienza della Pentecoste non è stata l’esperienza di singoli individualisti, “ma l’esperienza dello Spirito fatta da una comunità”2. Ed è questa, continua Rhaner, “la spiritualità del futuro, per la Chiesa del futuro”. Del resto se Dio è amore ed è Trinità si intuisce che la vera esperienza di Dio è quella di una comunità che vive la reciprocità dell’amore come riflesso dell’amore trinitario: E’ Dio Trinità che è venuto ad abitare in mezzo a noi. La chiesa è una comunità che fa insieme l’esperienza di Dio e la dona al mondo. 1.1. La seconda scelta di Dio La scelta di Dio fatta in precedenza era certo sincera, ma forse condizionata dall’entusiasmo, dal desiderio di arrivare al sacerdozio o alla consacrazione, condizionata dal fallimento di altre esperienze, dalla paura del castigo di Dio e da mille altri pensieri. Ora dopo aver sperimentato l’Amore particolare di Dio per me, nasce forte nell’anima l’esigenza che Lui sia tutto per me. “Mio Dio e mio tutto” ripeteva Francesco d’Assisi 3. E s. Chiara quando è andata da Francesco per chiedere di essere accolta nella prima fraternità, alla domanda: figliola che cosa desideri? Non ha detto: desidero consacrarmi, o fare il voto di castità, neppure fare penitenza. Ma ha detto: “voglio “Dio” 4. Che cosa comporta concretamente fare la seconda scelta di Dio? Ciascuno di noi certamente ha fatto la prima scelta, se no, non sarebbe qui, perciò ha risposto alla prima chiamata e ha detto il suo sì a seguire Gesù nella vocazione particolare. Ma può essere successo che pur con l’intenzione di lavorare per il regno di Dio, nella pratica, ci siamo attaccati all’apostolato, alla parrocchia, all’attività, alla pastorale, al sacerdozio stesso, alla propria consacrazione, al proprio fondatore; è successo che tutte queste cose belle abbiano preso il posto di Dio. Tutte queste cose sono doni di Dio, ma non sono Dio. Qui è necessaria una vera conversione personale, un salto di qualità nella vita spirituale. Dio non accetta di essere messo assieme sullo stesso piano, e nemmeno un gradino più in su. Dio vuole essere tutto per chi lo ama. E non è da pensare che Dio chieda alla comunità di fare questa scelta, o alla parrocchia, alla diocesi, o alla comunità o all’Istituto. Dio ama me e chiede a me di ricambiare il suo amore. La risposta posso darla solo io, nella libertà e per amore, e di perdere tutto non qualcosa. Come nel matrimonio ci vogliono due sì liberi. Ciascuno di noi deve avere il coraggio di rifare una seconda volta la scelta di Dio come unico ideale della propria vita di cristiano, e di fare questa scelta oggi. S. Agostino nella regola dice:”Il motivo essenziale per cui vi siete riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio” 5. 2 K. Rahner, Schriften zur Theologie, Bd. XIV: In Sorge um die Kirche, Benzinger Verlag, Zurich-Einsiedeln-Koln, pp.377-379. 3 FF: 1827; Fioretti cap.II. 4 Cit. in S. Chiara d’Assisi, La principessa dei poveri, di S. Marchetti, ed. S. Paolo Assisi 1931. 5 S. Agostina, regola, 1.2. 2 2 - La divina avventura L’esperienza di Dio Amore, il credere al suo amore e risceglierlo porta a due effetti che possono cambiare la vita di una persona. Quando Dio era ancora un oggetto di fede, era oggetto di studio nel catechismo e nella teologia, ciascuno di noi continuava a gestire lui la propria vita, avevamo noi in mano il volente della guida della nostra vita spirituale. Decidevamo noi che cosa fare per amare Dio, quale cammino di santità seguire, quali mortificazioni fare, quali impegni prendere, quali sacrifici fare, e quello che la chiesa o i superiori o i fratelli chiedevano era spesso accettati o subiti come imposizioni. Ecco perché pur dicendo di amare Dio non ci sentivamo felici tanto meno realizzati. Solo che il problema non erano i superiori o i fratelli, ma il nostro io. L’esperienza di essere amati da Dio e dell’aver messo l’Amore al primo posto ha come prima conseguenza, la morte del nostro io. Il passare dall’io a Dio, dal me all’amore. Infatti: dall’esperienza dell’Amore scopriamo che l’Amore ha tracciato su di noi un progetto, e che è già scritto in cielo. Noi non dobbiamo inventarne un altro, ma scoprirlo e realizzarlo qui sulla terra. Non dobbiamo più tormentarci e preoccuparci per il futuro, di che cosa mangeremo o come faremo nelle varie circostanze, ma accogliere ciò che Dio ha pensato per noi ed essere felici di essere nel suo amore. Un capomastro che deve realizzare la costruzione di una casa, deve guardare al progetto che l’architetto ha fatto e che l’ingegnere ha tradotto sulla carta, non può certo inventarne lui un altro. Ma per l’io è difficile accettare di cedere il volante della propria vita a Gesù. Ma è necessario! Anche perché: per coloro che amano tutto coopera al bene, anche i fatti dolorosi. Ma c’è un altro effetto importante. Quando uno entra nella logica dell’amore fiorisce nel cuore un'esigenza forte di rispondere all’amore ricevuto col proprio amore. Avviene così anche sul piano umano: Quando un amico dichiara la sua amicizia, a noi viene spontaneo dire: anch’io voglio essere tuo amico, voglio amarti. Ebbene dopo aver creduto all’Amore, dopo averLo scelto come Ideale, nasce in cuore il desiderio, di trovare un modo per rispondere all’Amore. Ecco la domanda: come posso amare veramente l’Amore-Dio. I modi usati fino ad ora suggeriti nel cammino di formazione magari non funzionano più perché legati alla vecchia visione di Dio. Come quando un giovane si innamora non può rifarsi ai consigli della mamma, ma deve scoprire dall’amore come rapportarsi con la sua ragazza. Solo l’amore ci può far scoprire come amare Amore che è Dio. Gesù nel Vangelo lo dice con chiarezza: “Non chi dice Signore, Signore mi ama, ma chi fa la volontà del Padre mio”(Mt 7,21). Dunque per amare Dio non devo fare una pratica o una preghiera, dire una giaculatoria che a me piace, ma fare la volontà di Colui che mi ama. E fare la volontà dell’Amore, richiede un atto di volontà di amore che impegna il cuore, la mente, tutta la persona. Per amare Dio come Lui vuole essere amato è necessaria la continua ricerca delle varie volontà di Dio. Sicuri che facendo quella, Dio si sente amato. Vi siete accorti quale rivoluzione è avvenuta dentro di noi nel rapporto con Dio e riguardo alla sua volontà facendo questo cammino? Nella logica dell’amore, infatti, il fare la volontà di Dio non è più un dovere, un’imposizione che viene dall’esterno di fronte alla quale non è possibile fare nulla, si può solo accettare o subire. Nell’amore non è neppure un rassegnarsi a fare la volontà di Dio. Se il fare la volontà di Dio è una risposta d’amore come è possibile rassegnarci? Per chi ama e desidera esprimere l’amore, vuole fare la volontà dell’Amato come la cosa più grande, la più importante che frutta la gioia e la felicità perché si è nell’amore. Si scopre la grazia di poter amare Dio (Posso amare Dio!) Un’immagine che ci può aiutare a scoprire e a vivere quanto abbiamo detto è quella del sole e dei raggi: Dio è come il sole, i raggi sono le espressioni della sua volontà su ciascuno di noi. Facendo la volontà di Dio si percorre quel raggio e si arriva nel sole, in Dio. E più ci si avvicina al sole, più i raggi si avvicinano tra loro, siamo più uno con i fratelli e le sorelle che anch’essi fanno la volontà di Dio su di loro. 3 Ecco perché abbiamo messo come titolo “una divina avventura”. Se si entra nella dimensione dell’Amore tutto cambia nella nostra vita, tutto si illumina, tutto prende senso anche quello che a noi sembra negativo. E si apre la strada alla nostra piena realizzazione umano divina: diventare Gesù. E come Gesù si è realizzato come uomo solo facendo la volontà del Padre, così sarà per ciascuno di noi. La nostra realizzazione umano-divina non è nel difendere il nostro io, ma nel fare la volontà dell’Amore, di Dio, del Padre. 2.2. - “Far da Gesù” Dobbiamo far da Gesù, rivivere Gesù in noi. Facendo come Lui la volontà del Padre: Gesù diceva: “ Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato”(Gv 4,34). Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di colui che mi mandato”(Gv 6,38). “ Io faccio sempre le cose che ti sono gradite”(Gv 8,29). “Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà”(Lc 22,42). Il fare sempre la volontà di Dio ci porta a vivere come Gesù. Non ad imitare Gesù, ma essere Gesù. E come in Gesù l’umanità e la divinità erano una cosa sola così il fare la volontà del Padre permette di fare il ciak in noi tra l’umano e il divino. Realizza l’unità interiore e fa sì che la risposta all’Amore sia intera, vera. Così è possibile realizzare anche se sempre in un cammino di crescita, il primo comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”(Deut. 5,6). E Gesù vuole “introdurci nel suo stesso rapporto col Padre (…), nei rapporti stessi della Trinità; e desidera che questa realtà si comunichi ai rapporti tra gli uomini”. Questa “la realizzazione massima dell’uomo, dell’umanità, la sua “divinizzazione” 6. Come conferma Benedetto XVI, la volontà di Dio “ non è una volontà tirannica, non è una volontà che sta fuori del nostro essere, ma è proprio la volontà creatrice, è proprio il luogo dove troviamo la nostra vera identità. Dio ci ha creati e siamo noi stessi se siamo conformi alla sua volontà; solo così entriamo nella verità del nostro essere e non siamo alienati. Al contario, continua il Papa, l’alienazione si attua proprio uscendo dalla volontà di Dio, perché in questo modo usciamo dal disegno del nostro essere, non siamo più noi stessi e cadiamo nel vuoto” 7. 3- La nostra risposta: vivere Vangelo - La comunione con la Parola Il primo modo per diventare Gesù è trovare il modo di tradurre in esperienza di vita il Vangelo. Potrebbe sembrare una cosa ovvia per i cristiani, ma non lo è affatto. Nella nostra formazione passata, infatti, ma può essere presente ancora oggi, siamo abituati a prendere la Parola di Dio per la meditazione, a leggerla nella liturgia, nelle veglie, nella lectio divina; oppure a studiarla, ad utilizzarla per l’evangelizzazione. Ma la Parola di Dio prima di tutto è ‘spirito e vita’. Si può dire di penetrare la vita solo vivendola, perciò la parola di Dio va vissuta nella vita quotidiana. E’ stato solo dopo il Concilio e grazie ad alcuni Movimenti che nella Chiesa cattolica è rinato l’impegno a vivere il Vangelo, non solo a meditarlo, a rifletterlo a studiarlo. La scoperta che porta a vivere il Vangelo è che ogni parola di Dio, contiene Gesù che ha detto:” Io sono la vita”.(Gv. 14, 6) E’ proprio questa la scoperta da fare: ogni parola di Gesù è una Sua presenza, è come un frammento di Eucarestia che contiene tutto Gesù. Nutrendoci della Sua parola ci si nutre di Lui. Per i primi cristiani, infatti, le scritture erano messe sullo stesso piano dell’Eucarestia, si comunicavano sia all’una come all’altra fonte. S. Agostino invitava i cristiani a non lasciare cadere invano nel cuore la Parola di Dio, come non si lascia cadere per terra il Corpo di Cristo e così venga calpestato. 8 Se il cristiano non attinge a questa sorgente di vita di Gesù come può realizzare la 6 C. Lubich,. La pienezza della legge, in Gen’s 1, 1994, p.3. Benedetto XVI, Incontro con i parroci della diocesi di Roma, Giovedì 18.02.2010, in “La traccia”2, 2010, p.191-192.) 8 Cfr. Sermo 300, 2-3, P.L. 39, 2319. 4 7 vocazione cristiana, rimane sottosviluppato per tutta la vita, rimane anemico. Ci siamo domandati perché i cristiani non frenano più la chiesa e i sacramenti? Manca la vita della Parola. + Innumerevoli sono gli effetti del vivere il Vangelo nelle situazioni della giornata, a casa, nel lavoro, nei rapporti, nell’evangelizzazione, nella missione ecc: Si sperimenta la pienezza della vita divina in noi, la gioia, la conversione, la liberazione dai condizionamenti, l’unione con Dio, ottenere tutto quanto si chiede ecc…Vivendo il Vangelo si sperimenta l’attuarsi delle promesse di Gesù. La Parola di Dio fa ciò che dice. Prima del Sinodo della vita consacrata ero stato invitato dai religiosi di una diocesi per fare due conversazioni sulla teologia della vita consacrata. Dopo aver riflettuto ho telefonato al segretario dicendo: “Penso che libri sulla teologia della vita consacrata non manchino nelle biblioteche dei conventi, se vuole posso portare l’esperienza che vivendo le Parola del Vangelo la vita religiosa si rinnova dal di dentro”. Per quello che so dei Fondatori o Fondatrici di famiglie religiose, nessuno è partito dalla teologia ma tutti dal Vivere il Vangelo. Per i consacrati il vivere il Vangelo è il primo impegno, è una necessità, è il minimo per poter dirsi cristiani non solo di nome. Volete sapere se il vostro istituto avrà un futuro? La risposta è semplice: dipende da quanto vangelo vive. Il futuro di un carisma è legato alla Parola di Dio: “I cieli e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”. Dunque: Vivere il Vangelo per dare attualità al carisma e generare comunità vive e attraenti, è questo un ulteriore passo che lo Spirito chiede ai figli dei carismi oggi. Se una comunità desidera veramente rinnovarsi è sufficiente che si confronti ogni giorno con la parabola del seminatore commentata da Gesù stesso. «Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così sono salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno. Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza»( Lc 8,11-15). Se i carismi e gli Istituti possono essere paragonati a tanti fiori sbocciati dalle varie parole del Vangelo, oggi si può avere l'impressione che tanti "fiori" siano un po’ appassiti. Per ridare vita al proprio "fiore", al proprio carisma, abbiamo provato a soffiare sui petali, o puntellarli perché la corolla stia sù. È un'illusione che provoca ulteriore frustrazione. Perché il fiore riabbia forza vitale è necessario dare acqua e concime alle radici. Una seconda esperienza che si fa vivendo il Vangelo è quella di entrare in una nuova logica. Il cristiano è chiamato a vivere nel paradosso: restare nel mondo, ma non deve avere la mentalità del mondo: Ora come è possibile questo? L’unica possibilità è il vivere il Vangelo. Il vivere il Vangelo ci fa scoprire la logica evangelica che è letteralmente diversa da quella umana. Non è un po’ più interessante: è su un altro piano se non completamente opposta. Facciamo degli esempi: - Per il mondo la vita è un possesso del quale posso fare quello che voglio: per il Vangelo è un dono gratuito che devo ridonare….. - Per arivare primi nel mondo si deve darsi da fare, avere lauree e diplomi, soldi e potere…… Per il Vangelo essere servi di tutti. - Per diventare importanti avere soldi e amici, imporsi agli altri…..Per il Vangelo essere come i bambini…. - Per realizzarsi, avere una forte personalità che domina sugli altri….Per il Vangelo “Rinnega te stesso”….. Chi perde la propria vita la ritrova….. - Per crescere non avere sempre di più, ma essere potati - Per arrivare alla felicità, alla beatitudine….povertà, mitezza,soffrire ….Beati quando diranno male di voi…sarete odiati…. 5 - Per arrivare alla libertà farsi schiavo degli altri…. - Per conquistare gli altri …essere inalzato in croce…. - Per ricevere la gloria essere maltrattato… - Ciò che è stolto per l’uomo è sapienza di Dio….. Diciamo la verità: quante comunità delle nostre si sforzano di vivere così? Ma ci sono due effetti speciali che sintetizzano tutti gli altri che vengono sperimentati da chi vive la parola: Gesù si incarna in noi, come dice Paolo VI 9; e ancora la parola vissuta comunicata ad altri genera Gesù nell’anima dei fratelli. E’ Gesù stesso che prevede che il cristiano possa essere madre di Gesù per la Paola vissuta. Dice Gesù: “Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”(Lc 8,21). Scrive S. Gregorio Magno:” Se uno con la sua parola fa nascere nell’anima del prossimo l’amore per il Signore, questi genera il Signore, perché lo fa nascere nel cuore di chi ascolta la parola di Lui e diventa madre del Signore”. 10 I Padri erano pienamente coscienti chi sono i cristiani se si comunicano alla mensa della Parola come all’Eucarestia, facendo due comunioni. Clemente Alessandrino arriva ad affermare: “chi obbedisce al Signore e per suo mezzo segue la scrittura che ci è stata data, viene trasformato pienamente ad immagine del maestro; egli giunge a vivere come Dio in carne”. 11 Per i consacrati Il vivere il Vangelo dovrebbe costituire la nota caratteristica della loro esperienza religiosa come cristiani, ma ancor più perché il loro Fondatore o fondatrice è l’incarnazione di una parola del Vangelo. Ricordo la mia gioia quando ho scoperto quello che Francesco intendeva nel I capitolo della regola: “Regola e vita dei miei fratelli, vivere il santo Vangelo”, e proprio quando ho ricevuto il foglietto della Parola di vita in uso nel Movimento dei Focolari. Il comunicare le esperienze di vangelo vissuto. Per la spiritualità di comunione non è sufficiente vivere individualmente la parola di Dio è necessario comunicare ai fratelli i frutti, le esperienze fatte, così la vita di Gesù circola e si moltiplica. Nella spiritualità individuale. non veniva in evidenza questo aspetto, ma nella spiritualità comunitaria diventa indispensabile. Come è possibile arrivare ad essere un cuor solo ed un’anima sola se tra i membri della comunità cristiana non circola la vita di Gesù sperimenta nella Parola? Naturalmente comunicare le esperienze della parola non è raccontare le notizie di fatti o circostanze che succedono, o belle riflessioni, ma donare i passi interiori di conversione prodotti dall’aver attuato quella parola del Vangelo. Così il Vangelo prima evangelizza noi e poi ci fa essere evangelizzatori. Quando i componenti di una fraternità o di comunità cristiana incominciano a vivere il Vangelo e a far circolare tra loro le esperienze subito in quella comunità cambiano i rapporti e si incomincia a sperimentare la presenza di Gesù e a sentirsi veramente fratelli. (.Milano) Vivendo poi tutte le parole del Vangelo, quella comunità religiosa scoprirà che in essa verrà a galla la parola incarnata dal Fondatore e che contiene il carisma particolare. La comprensione non è frutto di studio universitario o di letture di libri sul fondatore ma viene dalla vita del Vangelo, perché:” Chi fa la verità viene alla luce”(Gv. 3,21) Nella comunione del Vangelo vissuto il Francescano è più Francesco, il Gesuita più Ignazio, il canonico più Agostiniano ecc.. Giovanni Paolo II ad alcuni Vescovi ebbe a dire.” Il nostro tempo esige una nuova evangelizzazione (…) un rinnovato annuncio del Vangelo che non può essere coerente ed efficace, se non è accompagnato da una robusta spiritualità di comunione.” 12 La comunione del vangelo vissuto dunque alimenta la spiritualità di comunione perché fa circolare lo stesso sangue divino tra i componenti la famiglia dei figli di Dio, si realizza la fraternità in Gesù. 9 Disc. Paolo VI,alla Parrochia di s. Eusebio, 26.2.1967. S. Greg. Magno, Ham: In ev. Comm. Al Vangelo di Marco, Città Nuova, Roma, 1970, libro 1. 11 Stromatum, lib.VII, c.16, P.G. 9, 539,c. 12 Conversazione di C. Lubich 23/3/1995. 10 6