LA SECONDA GUERRA MONDIALE
1935-1936
Campagna d’Etiopia
La campagna d’Etiopia - voluta da Mussolini e vinta grazie al generale Pietro Badoglio – indica
chiaramente quale sia l’indirizzo fascista in tema di politica estera: l’espansione coloniale italiana
nel Mediterraneo (“Mare nostrum”), sulle coste africane e nei Balcani, facendo rivivere il mito della
missione civilizzatrice già propria della “romanitas”.
Tale vittoria ha poi un grande valore dal punto di vista del morale degli Italiani poiché riscatta il
disonore della sconfitta di Adua (con Crispi, 1896) e della “vittoria mutilata” (negazione della
concessione di Fiume e della Dalmazia, a dispetto degli accordi di Londra dell’aprile 1915, per
l’opposizione degli USA che temono una espansione coloniale italiana che potrebbe turbare
l’equilibrio europeo nel primo dopoguerra).
L’obiettivo italiano (espansione coloniale) è inoltre perfettamente compatibile con quello tedesco
che è definito dalla volontà di Hitler di ottenere l’egemonia in Europa, secondo la teoria dello
“spazio vitale” che lo stesso Führer avrebbe enunciato nel 1937, sostenendo che la Germania (coi
suoi 85 milioni di abitanti) necessitava ormai di nuove terre in cui potersi espandere per soddisfare i
propri ineludibili bisogni vitali. Tale teoria si poneva in linea con il pangermanesimo di Guglielmo I
(l’idea di ricondurre a unità tutti i popoli germanici in Europa) e con la politica anticoloniale di
Bismarck (che affermava di non essere “un colonialista”, limitando le conquiste tedesche in terra
africana a fine Ottocento a quei pochi Stati che fungevano più da controllo dell’altrui espansione
che da manifestazione di una reale volontà di allargamento coloniale).
La compatibilità degli obiettivi italiano e tedesco spiega perché si giunse all’asse Roma-Berlino
Ottobre 1936
Asse Roma-Berlino
L’alleanza siglata da Italia e Germania si fonda su omogeneità politiche (sistemi totalitari) e su
compatibilità di obiettivi (rispettivamente, espansione coloniale ed europea). Resta però un punto di
potenziale attrito: l’Austria. Antico dominatore in suolo italiano (il Lombardo-Veneto verrà
riconquistato solo con la Seconda e la Terza Guerra d’Indipendenza), è oggetto delle aspirazione di
rivalsa da parte italiana. Al tempo stesso, la Germania vorrebbe espandersi in territorio austriaco
(completando quella inversione di rapporti di poteri tra Prussia e Austria che, cominciata
all’indomani del 1848, si era conclusa con la nascita della Germania del Secondo Reich, nel 1871).
Hitler si astiene al momento da tale espansione (progettata fin dal 1934) per riguardo a Mussolini
che mal sopporterebbe di vedersi arrivare i Tedeschi così vicini al confine italiano (l’alleanza tra
Italia e Germania raramente sarà libera da reciproci sospetti tra i due Paesi).
1937
Patto Anticomintern (Germania, Italia, Giappone)
L’alleanza sancita dall’Asse Roma-Berlino viene rafforzata dall’adesione italiana al patto
Anticomintern cui già avevano aderito Germania e Giappone. Il Comintern è la Terza
Internazionale (sorta dopo la Prima Guerra Mondiale per proseguire l’opera della Prima, attiva dal
1864 al 1875, e della Seconda, operante dal 1889 al 1914).
Giappone e Germania avevano siglato tale alleanza anti-comunista forti della omogeneità politica
(al Nazismo tedesco fa riscontro l’indirizzo fascista impresso alla politica giapponese
dall’imperatore Hirohito nel 1936) e del comune obiettivo: “stringere” l’URSS da ovest (Germania)
e da est (Giappone: già nel 1904-05 la Russia era entrata nelle mire del Giappone con la sconfitta
che aveva posto sotto influenza nipponica Corea e Manciuria).
Quando l’Italia aderisce a tale patto (più per ragioni di politica anti-comunista e filo-nazista che per
velleità antisovietiche), le potenze occidentali non reagiscono - coerentemente con la politica
dell’appeasement (pacificazione a ogni costo) fino ad allora seguita dal conservatore inglese
Chamberlein – pensando che si possa trattare di una alleanza positiva anche per l’Occidente a
motivo del carattere anticomunista. Non è infatti lontano il ricordo della red scare (paura rossa) che
aveva attanagliato gli USA e l’Occidente all’inizio degli anni Venti. Si tratterà però di una
pericolosa sottovalutazione, poiché tale blocco (Italia, Germania, Giappone) corrisponderà al patto
Tripartito che scenderà in campo di lì a poco contro gli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale.
Marzo 1938
Occupazione tedesca dell’Austria
Nel Marzo del 1938, Hitler decide l’occupazione dell’Austria tramite l’invasione delle armate
naziste, cui segue un plebiscito (aprile 1938) che sancisce l’Anschluss (annessione) dell’Austria alla
Germania. Questa volta Hitler non ha esitato, senza preoccuparsi delle eventuali preoccupazioni o
rimostranze di Mussolini: ormai sono chiari i rapporti di forza tra i due Paesi, con l’Italia
chiaramente in seconda posizione al seguito del Terzo Reich tedesco.
Settembre 1938
Patto di Monaco (GB, FR, IT, GER)
Appena sei mesi dopo l’Anschluss dell’Austria, la Germania convince la Francia e la Gran Bretagna
a firmare, insieme all’Italia, il patto di Monaco. Questo risultato è raggiunto anche grazie al ruolo di
mediatore nuovamente svolto da Mussolini, dopo il precedente in occasione del patto per la pace tra
le quattro nazioni del 1993.
Tale patto concede a Hitler l’annessione della regione montuosa dei Sudeti, posta in territorio
cecoslovacco, in accordo con quella teoria dello “spazio vitale” enunciata l’anno prima da Hitler. Si
tratta di un estremo gesto di debolezza da parte delle potenze occidentali che di fatto permettono la
trasgressione dello lettera del Trattato di Saint Germain – che aveva sancito nel 1919 la nascita della
Cecoslovacchia dalle ceneri dell’Impero Austro-Ungarico – e, soprattutto, significa il venir meno
dello spirito della conferenza di pace di Parigi che aveva posto fine alla Prima Guerra Mondiale
all’insegna della ricerca di un equilibrio europeo che potesse contrastare ogni ulteriore velleità
espansionistica tedesca.
Marzo 1939
Occupazione tedesca della Cecoslovacchia
Forte della posizione debole e remissiva delle potenze occidentali, Hitler decide l’occupazione
militare della Cecolovacchia, ponendo fine all’esistenza giuridica di tale Stato. Con tale gesto Hitler
sfida apertamente l’Occidente e fa chiaramente intendere la propria intenzione di espandersi nei
territori europei giudicati “necessari” per costituire quello “spazio vitale” minimo di cui la
Germania dovrebbe disporre. E’ la fine della politica della ambiguità, della finzione e della
diplomazia che Hitler ha seguito in Europa dall’ascesa al potere nel 1933 fino ad allora. A ragione
potrebbe considerarsi come il vero inizio del secondo conflitto mondiale, benché la guerra non sia
ancora apertamente combattuta.
Aprile 1939
Occupazione italiana dell’Albania
Seguendo l’esempio della Germania, anche l’Italia si lancia in un’azione di conquista. L’obiettivo è
l’Albania, coerentemente con l’intenzione di Mussolini di espandersi all’interno dell’area balcanica.
La battaglia, breve e violenta, si concluse con la vittoria italiana e l’occupazione dell’Albania.
22 Maggio 1939
Patto d’Acciaio (Germania, Italia)
Per uscire dall’isolamento internazionale in cui l’Italia era caduta dopo la campagna d’Etiopia
(conseguentemente alla ferma condanna di tale aggressione espressa dalla Società delle Nazioni),
Mussolini decide di rafforzare l’Asse Roma-Berlino trasformandolo in una esplicita alleanza
militare a carattere offensivo e difensivo. Rispetto alla Triplice Alleanza (sancita nel 1882 tra
Germania, Austria, Italia) che aveva solo carattere difensivo (il che permise all’Italia di dichiararsi
neutrale quando l’Austria attaccò la Serbia in seguito all’attentato del 28 giugno 1914 in cui perse la
vita Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, ucciso per mano dello studente nazionalista
serbo Gavrilo Princip), il Patto d’Acciaio ha invece anche un carattere offensivo: in caso di guerra
scatenata da una delle due potenze, l’altra è tenuta a entrare nel conflitto al suo fianco.
Per capire quanto impegnativa fosse tale clausola per l’Italia di allora occorre ricordare le
condizioni in cui versava il nostro Paese: economicamente provato dalla crisi del 1929, ancora
faticava a riprendersi, complice una politica economica fascista e carattere statalista e centralista
che si era rivelata, alla fine, meno efficace e lungimirante di quanto occorresse per risollevare i
consumi e affrontare la disoccupazione. Dal punto di vista militare, l’esercito era ancora provato
dalle dure campagne d’Etiopia (1935-36) e di Spagna (accanto all’esercito di Francisco Franco,
impegnato in una sanguinosa guerra civile dal 1936 al 1939). Il materiale bellico era antiquato
(ancora si usavano le mitragliatrici FIAT della prima guerra mondiale) e scarso (pochi – oltre che
vecchi - gli aerei e i carroarmati) o non utilizzabile (le navi, fiore all’occhiello della marina italiana,
non erano impiegabili in mancanza dei piani di guerra coordinati con aviazione ed esercito; le
portaerei mancavano, essendo considerate superflue per l’Italia che era una sorta di immensa
portaerei naturale affacciata nel Mediterraneo).
Date questa situazione, perché Mussolini si impegnò in una alleanza militare a carattere offensivo?
La ragione fu che, ben consapevole delle condizioni in cui versava l’Italia, il Duce chiese e ottenne
da Hitler garanzie verbali secondo le quali la guerra non sarebbe scoppiata prima di tre anni. A
fronte di tali rassicurazioni Mussolini si sentiva tranquillo, pensando di avere il tempo di
riorganizzare la macchina bellica italiana.
Ma Hitler andava maturando altri progetti.
23 agosto 1939
Patto di non aggressione tra Germania e URSS
In preparazione all’imminente conflitto, Hitler siglò un segreto patto di non aggressione con
l’URSS di Stalin, il 23 agosto 1939, intesa che fu detto “Patto von Ribbentrop-Molotov” dal nome
dei ministri degli esteri – rispettivamente tedesco e russo – che seguirono la trattativa.
L’URSS si impegnava a non aggredire la Germania (che avrebbe così potuto dedicarsi alla
campagna di guerra sul fronte occidentale), ricevendo in cambio da questa l’autorizzazione ad
espandersi e ad annettersi la Polonia orientale e le repubbliche baltiche (Lituania, Estonia, Lettonia,
divenute indipendenti dopo la caduta dell’impero zarista, nel 1918).
Più che di un accordo di pace, si trattava in realtà di una semplice posticipazione di una aggressione
che appariva comunque inevitabile a entrambe le parti, intenzionate a prendere tempo per
organizzarsi al meglio in vista dello scontro.
26 agosto
Il non-intervento dell’Italia
Resosi conto dell’imminenza del conflitto, consapevole della grave impreparazione bellica in cui si
trovavano l’esercito e il Paese, Mussolini comunica all’alleato tedesco la decisione di non
intervenire in guerra. Hitler, altrettanto conscio della debolezza dell’Italia e sicuro della forza
militare tedesca, accetta tale richiesta.
1 settembre 1939
Occupazione tedesca della Polonia
La Wehrmacht (esercito) tedesca occupa la Polonia. Hitler è deciso a riprendersi i territori sottratti
alla Germania in occasione della conferenza di Parigi tramite il trattato di Saint Germain che aveva
appunto sancito la nascita della Polonia. Tale attacco era stato deciso già nell’aprile del 1939:
questo mostra come Hitler non fosse realmente intenzionato ad attendere almeno tre anni prima di
iniziare la guerra, come invece aveva dichiarato a Mussolini all’epoca della firma del Patto
d’Acciaio (22 maggio 1939).
Il 3 settembre Francia e Gran Bretagna abbandonano finalmente la politica dell’appeasement (che,
unitamente all’isolazionismo degli USA in seguito alla crisi del 1929, aveva giocato a tutto favore
di Hitler) e dichiarano guerra alla Germania. Ormai è però troppo tardi per tornare indietro: la
Polonia è occupata in circa due settimane.
Ha così inizio la Seconda Guerra Mondiale.
Aprile 1940
Occupazione tedesca di Norvegia e Danimarca
Nell’aprile del 1940 l’esercito nazista occupò Danimarca e Norvegia. Dopo essersi rivolte a est
(Polonia), le mire di Hitler erano ora indirizzate a nord, prima di volgersi al fronte occidentale. Le
vittorie si susseguivano rapide e facili, come se niente e nessuno potessero arrestare la potenza della
Wehrmacht.
Ci si deve però chiedere: perché, con una potenza militare così superiore alle altre potenze, la
Germania attende oltre sei mesi – dal settembre 1939 all’aprile 1940 – per proseguire la propria
trionfale campagna di conquiste? Non era un rischio inutile attendere che gli avversari si
organizzassero?
Per rispondere occorre ricordare la strategia tedesca della Prima Guerra Mondiale, quando la
Germania pensava di poter occupare la Francia nel giro di sei settimane, all’insegna della guerralampo (Blitz-Krieg) che invece, nel 1916, si sarebbe rivelata un’illusione, trasformandosi in guerra
di posizionamento e di trincea. La guerra-lampo più che una scelta era una necessità per la
Germania: Paese dotato di ricchi bacini minerari, non disponeva tuttavia delle risorse necessarie per
sostenere uno sforzo bellico prolungato (l’esercito contava oltre quattro milioni di soldati) né per
combattere su più fronti contemporaneamente. Ecco perché la scelta di attendere la primavera del
1940, cioè una stagione più favorevole - dal punto di vista climatico - allo spostamento e al
rifornimento di ingenti truppe. Ed ecco il perché della strategia della guerra di sfondamento con le
divisioni corazzate che, travolte le linee nemiche, non erano rallentate dalla marcia della fanteria
(che avrebbe annientato i nemici rimasti nelle retrovie in un secondo momento) ma procedevano
spedite per conquistare nuovi territori necessari al successivo approvvigionamento delle truppe e
per giungere rapidamente alla vittoria.
La debole resistenza degli Stati Scandinavi sembrava dare ragione a Hitler.
Maggio – Giugno 1940
Occupazione tedesca della Francia
Era così giunto il momento di muoversi sul fronte occidentale. Forte dell’accordo di non
aggressione firmato con l’URSS, Hitler poteva dunque concentrarsi su un solo fronte, certo di non
esser minacciato a est.
Il 10 maggio oltre 80 divisioni corazzate mossero contro la Francia, attraversando e occupando
Belgio, Lussemburgo e Olanda. Tale strategia ricalcava quella già messa in opera durante il Primo
Conflitto Mondiale: aggirare la linea Maginot (400 km di trincee difensive poste al confine tra
Francia e Germania) lungo il mare del Nord (violando ancora una volta territori neutrali),
giungendo così in territorio francese velocemente e senza incontrare resistenze.
Il 24 maggio le divisioni di Hitler giunsero a Dunkerque, sul canale della Manica.
Contemporaneamente la Germania travolse gli avversari sulle colline delle Ardenne, intrappolando
così gli Anglo-Francesi in una sacca lungo il mare. Il massacro fu evitato grazie alla organizzazione
e alla disciplina degli oltre 340.000 soldati inglesi e francesi che, in circa 10 giorni, riuscirono tutti a
imbarcarsi da Dunkerque, trovando la salvezza in territorio inglese, oltremanica.
Il 14 giugno Parigi veniva però occupata, lasciando formalmente in vita un governo indipendente
nella Repubblica di Vichy (Francia centro-meridionale) retto dal maresciallo Pétain, disposto a
collaborare con i Tedeschi. Pochi giorni dopo, tramite Radio Londra faceva sentire la sua voce il
generale Charles De Gaulle che, avversando Pétain, invitava tutti i “Francesi liberi” alla resistenza.
Nonostante tale appello, la Francia si arrese il 22 giugno 1940. Conquistata in sei settimane, come
previsto – invano - già in occasione della Prima Guerra.
Al collaborazionismo di Vichy e all’occupazione tedesca si opponeva l’azione dei gruppi della
resistenza che andavano organizzandosi in tutto il Paese.
10 Giugno 1940
L’entrata in guerra dell’Italia
Impressionato dalla rapidità delle vittorie tedesche, Mussolini decise l’entrata in guerra. Sapeva
bene che l’Italia non era militarmente pronta, ma confidava nella brevità del conflitto. Perché non si
poteva stare a guardare mentre la Germania stava trionfando, con il rischio che, in caso di vittoria,
l’influenza tedesca sull’Italia fosse ancora maggiore di quanto già non risultasse allora quando il
60% del carbone per combustibile era fornito all’Italia dalla stessa Germania (che non riusciva, con
le proprie scorte minerarie, a bastare a se stessa, ma che neppure intendeva rinunciare alla
possibilità di rendere, con tali forniture energetiche, l’Italia un Paese dipendente dalla Germania).
Inoltre Mussolini era alla ricerca di “un pugno di morti da mettere sul tavolo delle trattative”:
convinto che la Germania avrebbe vinto facilmente, non voleva rinunciare a vantare qualche merito
negli scontri diretti contro Francia e Gran Bretagna.
Infine, la scelta di entrare in guerra era dettata anche dall’esigenza di condurre una “guerra
parallela”: aiutare sì la Germania, ma intanto concentrarsi sui disegni di espansione coloniale in
Africa e nei Balcani.
21-24 Giugno 1940 L’Italia contro la Francia
La prima azione militare italiana fu dunque portata contro la Francia: sfondata la linea difensiva
sulle Alpi occidentali, gli italiani entrarono in territorio francese. Il prestigio della vittoria italiana fu
più un fatto di propaganda che effettivo: la penetrazione oltre confine era stata di appena 6 km e i
Francesi stessi si erano arresi perché la Francia tutta si era arresa alla Germania proprio il 22 giugno
1940. Venne dunque firmato un armistizio italo-francese che segnava la prima vittoria italiana.
Luglio 1940
Bombardamento dell’Inghilterra
Fu quindi la volta dell’Inghilterra. Hitler decise il bombardamento a tappeto delle principali città
inglese, radendo al suolo – tra le altre – Coventry e Birmingham. Si trattava di una tecnica bellica
che avrebbe avuto grande diffusione durante il secondo conflitto da entrambe le parti: si
sganciavano migliaia di tonnellate di bombe sulle città, mirando alla distruzione di almeno il 90%
degli edifici e senza distinguere tra obiettivi militari e civili. Coventry fu rasa la suolo in modo tale
che i Tedeschi usarono successivamente l’espressione “coventrizzare” una città per alludere alla
completa distruzione di un obiettivo.
L’uso del radar e l’efficacia del servizio di avvistamento aereo permisero però una incisiva
resistenza da parte inglese. E furono circa 2.000 gli aerei della Luftwaffe che furono distrutti dalla
contraerea britannica. Fino a che Hitler deciderà di sospendere ogni azione di bombardamento
contro la Gran Bretagna, vista l’evidente inefficacia (novembre 1940)
13 settembre 1940
Offensiva italiana contro la Gran Bretagna
Fu quindi la volta della Gran Bretagna. Spinto dalla necessità (aviazione insufficiente e non
preparata) e dalla convenienza (“guerra parallela” e mire di espansione coloniale), Mussolini si
astenne da campagne di bombardamento sulle città inglesi (come stava facendo, senza troppo
successo, l’aviazione tedesca), optando invece per l’invasione dell’Egitto. La penetrazione questa
volta fu di circa 70 km (provenendo dalla Libia), ma la vittoria fu di breve durata poiché nel
febbraio del 1941 la controffensiva inglese costringerà l’Italia ad abbandonare l’intera Cirenaica,
con oltre 140.000 perdite per l’esercito italiano.
27 settembre 1940
Il Patto Tripartito (Germania, Italia, Giappone)
La resistenza inglese fece capire a Hitler che il conflitto sarebbe durato più di quanto avesse
previsto. E che, non potendo la Germania sostenere la battaglia su più fronti contemporaneamente,
il Terzo Reich avrebbe dovuto trovare altri Paesi alleati, portando a un allargamento del conflitto
stesso (che assumerà infatti dimensioni planetarie, anche per la necessità di conquistare quei Paesi
che erano ricchi delle materie prime e delle risorse essenziali per reggere l’enorme sforzo bellico
delle grandi potenze: da qui l’espressione “la Grande Guerra” spesso usata per indicare il secondo
conflitto mondiale).
Da qui la decisione di coinvolgere nell’alleanza militare anche il Giappone, oltre all’Italia che
intanto era scesa in guerra (10 giugno 1940), siglando il Patto Tripartito che esplicitamente
affermava l’alleanza militare tra i tre regimi (nazista, fascista italiano e fascista nipponico).
Oltre a motivi di natura politica (identico regime totalitario), l’interesse del Giappone era
ovviamente rivolto contro l’URSS, primo obiettivo di una espansione che avrebbe permesso al
Giappone di costituire la cosiddetta “Grande Asia”, dalla Manciuria (occupata nel 1931 e ridefinita
Manchukuo) alla Nuova Guinea, dominando così tutto il Pacifico. Tale volontà emerse chiaramente
allorché, appena firmato tale Patto, il Giappone invase l’Indocina Francese, approfittando del vuoto
di potere anglo-francese nel Pacifico e continuando la campagna di conquiste inaugurata con la
invasione della Cina (1937)
Si trattava dunque di un patto anti-comunismo (come già era stato il Patto AntiComintern) e antiUSA (che il Giappone voleva spodestare dalle posizioni occupate nel Pacifico).
A tale patto aderirono Ungheria, Slovacchia e Romania prima, Bulgaria e Jugoslavia
successivamente.
Ottobre 1940
Campagna italiana in Grecia
La debolezza dell’esercito italiano emerse però in tutta la sua gravità solo nell’ottobre 1940, in
occasione della campagna in Grecia, intrapresa da Mussolini coerentemente con il disegno di
espansione balcanica. Non solo gli Italiani non riuscirono ad avere ragione del piccolo esercito
greco nella guerriglia combattuta sulle montagne del conflitto greco-albanese, ma addirittura
riuscirono a stento a bloccare la controffensiva dell’armata greca che minacciava di invadere la
stessa Albania.
Da questo momento le scelte belliche di Mussolini saranno esplicitamente subordinate alle decisioni
di Hitler.
Aprile 1941
L’intervento della Germania in appoggio all’Italia
Vista la difficoltà in cui versava l’esercito italiano, Hitler decise di intervenire.
Dapprima (aprile 1941) gli Inglesi furono respinti dalla Cirenaica grazie all’abile strategia di
Riommel, la “volpe del deserto” che guidava le truppe tedesche (gli Inglesi riconquisteranno la
Cirenaica solo nel dicembre 1941).
Dove le truppe tedesche non intervennero (poiché non ritenevano l’obiettivo di rilevanza
strategica), gli Inglesi ebbero la meglio: fu il caso dell’area etiopica, dove il Negus (sovrano locale),
appoggiato dalle truppe britanniche, riuscì a sconfiggere l’esercito italiano, ponendo fine al dominio
coloniale nell’Africa Orientale Italiana e all’Impero d’Etiopia, durato appena cinque anni
(campagna del 1935-36).
Travolgente fu poi la discesa nazista nei Balcani: dapprima fu occupata la Jugoslavia (che cessò di
esistere come stato autonomo, dopo esser stata riconosciuta come tale con il trattato di Saint
Germani del 1919), quindi fu la volta della Grecia che, sconfitta, fu sottoposta a un protettorato
congiunto italo-tedesco (aprile 1941).
In un solo mese la Germania aveva riconquistato ciò che l’Italia aveva perso, mostrando la netta
superiorità della Wehrmacht. E ancora una volta la campagna veniva condotta in primavera,
stagione propizia agli spostamenti e ai rifornimenti delle truppe tedesche.
Spostatosi nuovamente il fronte della guerra a est, toccava ora all’URSS.
22 giugno 1941
Nonostante la firma del patto di non aggressione con l’URSS (23 agosto 1939), lo scontro era
inevitabile. Ed entrambe le parti in causa lo sapevano. I regimi politici delle due potenze si
opponevano radicalmente (nazismo contro comunismo). E la Germania di Hitler aveva bisogno
delle riserve petrolifere del Caucaso e delle immense distese di grano dell’Ucraina per continuare la
guerra che, ormai, era tutto fuorché la “guerra lampo” inizialmente preventivata.
Furono così mossi tre milioni di uomini verso il confine sovietico. La potenza della macchina da
guerra messa in movimento (10.000 carri armati, 3.000 aerei) fu tale che nel volgere di breve tempo
l’URSS perse enormi territori e la Wehrmacht giunse fino in prossimità di Mosca.
A questo punto qualcosa però cambiò: nelle retrovie la resistenza sovietica organizzava una efficace
guerriglia che, tagliando le lunghissime linee di rifornimento, sottraeva risorse preziose all’esercito
tedesco. Sul fronte avanzato, la tecnica della “terra bruciata” faceva sì che, giungendo in nuovi
territori, i soldati tedeschi non trovassero di che rifornirsi, essendo tutti i raccolti e le riserve stati
bruciati dai Russi in ritirata.
All’inizio del 1942 il fronte orientale si poteva dunque dire stabilizzato, tanto che i nazisti si videro
costretti a rinunciare ai loro progetti di un rapido e totale annientamento dell’URSS.
Agosto 1941
L’alleanza tra Gran Bretagna e Stati Uniti
Nell’agosto del 1941 il presidente degli Usa, Roosevelt, e il primo ministro inglese Winston
Churchill (succeduto a Chamberlein) si incontrarono. Roosevelt espresse la volontà di fare degli
Usa il Paese capofila nello sforzo bellico contro Hitler, all’insegna dei valori già espressi dai famosi
“14 punti di Wilson” che vennero ripresi nella “Carta Atlantica” – siglata da Usa e GB proprio
nell’agosto del 1941 – in cui si affermavano nuovamente il principio dell’autodeterminazione dei
popoli, la libertà dei mari, il valore della democrazia, l’inefficacia della guerra come via di
risoluzione delle controversie internazionali. All’inizio il sostegno americano fu solo economico,
per poi diventare esplicitamente militare dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor.
Dicembre 1941
L’Entrata in guerra degli Stati Uniti
Il 7 dicembre 1941 il Giappone sferrò un attacco senza precedenti alla flotta americana ancorata
nella baia di Pearl Harbor (isole Hawaii, Oceano Pacifico).
All’alba di quel giorno, nello stesso momento in cui l’ambasciatore giapponese consegnava la
dichiarazione di guerra agli Usa, circa 200 bombardieri colsero di sorpresa la flotta americana,
colpendo circa 100 navi, distruggendo oltre 200 aerei, uccidendo oltre 4.000 soldati. Pearl Harbor
segnava il fallimento della trattative diplomatiche che i due Paesi, nel 1940 e nel 1941, avevano
condotto a ritmi serrati per evitare la guerra. Fino a che in Giappone era prevalsa la linea che
vedeva nello scontro diretto con gli Usa la chiave di svolta per dominare tutto il Pacifico.
L’11 dicembre anche le altre potenze del patto Tripartto, Germania e Italia, dichiararono guerra agli
Usa.
Gennaio 1942
Nascita delle Nazioni Unite
Il 1 gennaio 1942 Roosevelt organizza le Nazioni Unite, affiancando agli Usa anche Gran Bretagna,
URSS, Cina, Stati Americani, dominions britannici, governi europei costretti all’esilio da Germania
e Italia.
Primavera 1942
Dopo Pearl Harbor l’offensiva giapponese proseguì con la conquista delle Filippine (sottratte agli
Usa), di Hong Kong, di Singapore, fino a giungere in Nuova Guinea e da qui minacciare addirittura
l’Australia.
A metà del 1942 la guerra volgeva dunque decisamente a favore della potenze del Patto Tripartito:
Germania, Italia, Giappone.
Scontro tra ideologie
Fu proprio quando la guerra volgeva a favore dei Paesi del Patto Tripartito (metà del 1942) che
emersero con maggiore nitidezza gli aspetti ideologici del conflitto. Per il Fascismo e per il
Nazismo la guerra era lo strumento fondamentale per realizzare i propri progetti totalitari: per
Mussolini la guerra era “sigillo di nobiltà dei popoli”, mentre Hitler già nel 1937 aveva enunciato la
sua teoria dello “spazio vitale” secondo la quale la Germania era autorizzata ad annettersi tutti i
territori necessari a soddisfare le esigenze – di spazio e risorse prime – della popolazione tedesca.
Logica conseguenza di una tale impostazione fu il progetto nazista di distruzione totale dell’URSS,
da cui la Germania sperava di ricavare grano (Ucraina), petrolio (Caucaso) e manodopera. Ad
eccezione dei popoli baltici, della Finlandia e della Russia bianca, tutti gli altri popoli sovietici
erano considerati da Hitler come potenziale riserva di schiavi.
Durante il conflitto furono dirottati in Germania dai Paesi conquistati oltre 125 miliardi di marchi,
oltre a materie prime e rifornimenti alimentari. Solo nel 1942 giunsero in Germania ben 5 milioni di
lavoratori stranieri, dei quali solo 1,5 mln di prigionieri di guerra mentre il resto era un vero e
proprio esercito di deportati per il lavoro servile.
Il nuovo ordine europeo che Hitler intendeva costruire prevedeva un sistema piramidale: al vertice
la Grande Germania (con oltre 100 mln di abitanti), poi i Paesi amici (Italia, Ungheria, Romania,
Bulgaria), poi quelli satelliti (la Francia di Vichy, la Slovacchia), quindi quelli neutrali (Svizzera e
Svezia) e infine quelli occupati militarmente. Una realtà di oltre 2,5 mln di kmq e 250 mln di
abitanti; al fondo di tale gerarchia stavano Slavi ed Ebrei, destinati rispettivamente al lavoro coatto
e allo sterminio.
L’occupazione tedesca era però destinata a scontrarsi con la resistenza delle popolazioni: accanto
all’esercito regolare (in URSS) o per conto proprio (Grecia, Jugoslavia, Polonia, Francia, Olanda) le
popolazioni civili si schierarono anche militarmente contro i tedeschi, originando quel fenomeno
tipo della seconda guerra mondiale che furono i movimenti partigiani (Resistenza europea)
impegnati a difesa di libertà e democrazia, contro il totalitarismo fascista e nazista, spesso
intrecciando – è il caso dell’Italia – guerra civile, patriottica e di classe.
I lager e lo sterminio degli Ebrei
Per i Tedeschi fin dai tempi del primo cancellierato di Hitler gli Ebrei erano il male assoluto,
colpevoli di ogni danno economico-militare che fosse occorso alla Germania. L’odio contro il
comune nemico (gli Ebrei, individuati come capro espiatorio di ogni male del Terzo Reich) fu il
fattore decisivo che permise di unire le diverse anime della Germania in sostegno di Hitler.
Nel 1941 si cominciò a parlare di “soluzione finale” come del progetto di internare tutti gli Ebrei in
campi di lavoro, preludio di quell’annientamento che farà dei campi di concentramento dei campi di
sterminio, in cui venivano utilizzate le camere a gas per le eliminazioni di massa e, in seguito, forni
crematori per eliminare le salme.
La Gestapo (Geheime Staats-Polizei – Polizia segreta di Stato) arrestava gli Ebrei in tutta l’Europa
occupata, applicando una stella gialla che rendeva immediatamente riconoscibili gli Untermenschen
(i “sottouomini” ebrei). Tra i numerosi campi di sterminio (900 lager si conteranno a fine guerra)
ricordiamo quelli di Buchenwald, di Mauthausen (operativo già dal 1938 come cava di estrazione di
granito con cui si lastricavano le strade tedesche, dal 1943 divenne campo di sterminio in cui
perirono oltre 40.000 Italiani), di Auschwitz, di Treblinka, di Dachau. Oltre 6 mln di Ebrei furono
sterminati dai nazisti in tali campi. E stessa sorte toccò ai 40.000 Ebrei del ghetto di Varsavia che si
ribellarono ai Tedeschi nell’aprile 1943.
Tra le testimonianze sullo sterminio degli Ebrei, ricordiamo il Diario di Anna Frank, bambina di 13
anni che per fuggire ai Tedeschi si rifugiò in un appartamento segreto insieme alla famiglia dal
luglio del 1942 fino all’agosto 1944, quando il nascondiglio fu scoperto e la piccola Anna deportata
nel campo di Bergen Belsen dove morì di tifo a 16 anni nel marzo 1945. Nelle pagine del suo diario
leggiamo messaggi carichi di speranza e fiducia nel futuro (“continuo a credere nell’intima bontà
dell’uomo”, “anche questa spietata durezza cesserà, ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”).
Prime sconfitte dell’Asse
Le sconfitte subite da URSS e GB non erano state definitive; il potenziale bellico italiano non era
adeguato al conflitto in corso; Germania e Giappone non erano tra loro coordinati per un attacco
congiunto all’URSS (anzi, nell’aprile 1941 il Giappone aveva sottoscritto un patto di non
aggressione con l’URSS per potersi concentrare sull’espansione nel Pacifico, già rischiosa di per sé
a causa delle migliaia di piccole isole difficilmente difendibili singolarmente).
A far capire che l’andamento della guerra stava volgendo in favore degli Anglo-Americani furono
le battaglie di Stalingrado ed El Alamein.
Stalingrado – Nel settembre 1942 i Tedeschi decisero di portare l’attacco decisivo a Stalingrado,
l’ultima città da conquistare prima di poter giungere a Mosca, un vero e proprio “collo di bottiglia”
attraversato dalle principali vie di comunicazione verso la capitale sovietica. Fu una battaglia
feroce, combattuta casa per casa (come racconta Vasilij Grossman in Vita e destino), finché nel
novembre 1942 scattò la controffensiva russa che, nel dicembre 1942, sfondò il fronte sul fiume
Don, a nord di Stalingrado, tenuto dall’VIII armata italiana. Tutto lo schieramento nazista fu
costretto ad arretrare al di là del Don, iniziando quella ritirata che si concluderà solo tra le rovine di
Berlino, incalzati dall’Armata Rossa. Intanto, cominciava pure la tragica ritirata a piedi dei soldati
italiani (800 km per giungere al confine tra area tedesca e area sovietica, in Polonia): inizialmente
partiti in 60.000, Mussolini era stato abbagliato dalle facili e rapide vittorie della Wehrmacht e
aveva deciso di portare a 220.000 i soldati presenti al fronte per partecipare “alla pari” con la
Germania a una vittoria che appariva scontata. E che invece si rivelò l’inizio della fine per i Paesi
dell’Asse.
El Alamein – La località egiziana, posta a 100 km da Alessandra d’Egitto, costituiva l’ultima difesa
prima della capitale. Le truppe italo-tedesche vi erano giunte nel luglio 1942 per quella che doveva
esser l’ultima offensiva.
Ricordiamo che in terra d’Africa la Pirenaica (zona libica confinante a est con l’Egitto) era stata
area dei primi scontri tra Italia e Inghilterra: prima vinsero gli Italiani (settembre 1940), poi gli
Inglesi (febbraio 1941, con 140.000 perdite per il nostro esercito), poi ancora gli Italiani (con
l’appoggio della Wehrmacht, aprile 1941), quindi ancora gli Inglesi (dicembre 1941).
Si trattava ora di sferrare l’attacco decisivo all’Egitto. La “volpe del deserto”, il generale nazista
Erwin Rommel, non riuscì però né ad aggirare verso il deserto le scoscese scarpate della
depressione desertica presso El Alamein, né a forzare lo strettissimo varco (circa 50 km) che si
apriva tra questa e il mare. Il fronte si stabilizzò con trincee che ricordavano quelle della Prima
Guera Mondiale. Finché il generale inglese Montgomery passò al contrattacco e riuscì a sfondare le
linee italo-tedesche (novembre 1942) con terribili combattimenti all’arma bianca. Nel gennaio 1943
le truppe dell’Asse avevano perso la Libia e si trovavano arroccate in Tunisia, incalzate a est dagli
Inglesi e a ovest dagli Americani, sbarcati in Algeria e Marocco nel novembre 1942. Italiani e
Tedeschi dovettero arrendersi nel maggio 1943. La loro resa spalancherà le porte dell’Italia agli
Alleati.
Guadalcanal – Per quanto concerne il fronte sul Pacifico, si ricorda la battaglia di Guadalcanal
(agosto 1942 – febbraio 1943), isola della Nuova Guinea, in cui l’offensiva nipponica contro
l’Australia fu definitivamente fermata. E anche per il Giappone le sorti della guerra stavano per
cambiare.
Vivere con le bombe
La seconda fase della Seconda Guerra Mondiale (1942-1945) fu caratterizzata dai bombardamenti,
fenomeno che contribuì a fare del conflitto una “guerra totale”, nel senso che non si distinguevano
più civili e militari nell’attuare i bombardamenti a tappeto destinati ad annientare le città nemiche.
I Italia le prime bombe inglesi erano cadute su Torino l’11 giugno 1940 (il giorno dopo l’entrata in
guerra). Alla fine del conflitto saranno circa 70.000 le vittime italiane dei bombardamenti sulle
città. La prima città a subire un parziale bombardamento a tappeto fu Genova (ottobre 1942), poi
toccò a Milano che, colpita da oltre 2.000 tonnellate di bombe, fu trasformata in orrendo braciere:
solo la esigua forza dei venti risparmiò la Feuersturm (tempesta di fuoco) che aveva annientato
diverse città tedesche.
Le città italiane apparivano inermi di fronte alle incursioni dei Liberators americani e dei
bombardieri inglesi. A Torino vi erano solo una trentina di rifugi pubblici per una popolazione di
oltre 700.000 persone, metà della quale all’inizio del luglio 1943 sfollò dalla città alla campagna.
Gennaio 1943 – Le sconfitte dell’Asse e l’inadeguatezza del reparto militare italiano fecero
emergere molti dubbi sull’opportunità di proseguire la guerra e sia esponenti di casa Savoia sia le
massime autorità militari cominciarono a fare pressioni su re Vittorio Emanuele III affinché
portasse fuori dalla guerra l’Italia ormai stremata.
Marzo 1943 – Un segnale importante della volontà di pace diffusa tra la popolazione si ebbe con lo
sciopero di oltre 200.000 operai del triangolo industriale Torino-Milano-Genova, che paralizzò la
produzione a sostegno dello sforzo bellico italiano. Fu il primo sciopero da quando il Fascimo, con
le Leggi Fascistissime, aveva definitivamente posto fuori legge i sindacati e vietata ogni
manifestazione dei lavoratori. Si trattò di una sconfitta politica importante per il Fascismo che
dimostrava di non saper più controllare le masse popolari.
Maggio 1943 – La sconfitta di El Alamein e la perdita dell’Africa (dall’Algeria all’Egitto sotto
controllo alleato) fece preoccupare fortemente anche Mussolini, mentre nascevano sospetti reciproci
tra Italia e Germania e quest’ultima studiava un piano di occupazione dell’Italia e dei Balcani in
caso di ritiro dalla guerra di Mussolini.
9/10 luglio 1943 – Gli Alleati sbarcano in Sicilia e l’isola è conquistata dopo circa un mese di
combattimenti. Abituati a considerare gli Americani dei “liberatori”, non dobbiamo dimenticare che
le prime fasi di tale liberazione furono una vera e propria guerra contro l’esercito italiano,
considerato un nemico ormai allo stremo delle forze.
19 luglio 1943 – Visto il precipitare della situazione, Mussolini incontra Hitler in Italia ma il Führer
rifiuta all’Italia il permesso di uscire dal conflitto e anzi inizia a valutare l’ipotesi di assumere il
totale controllo militare del territorio italiano come fronte difensivo avanzato a protezione della
Germania.
25 luglio 1943 – Fu a quel punto che finalmente Vittorio Emanuele III decise di rompere gli indugi
e, destituito Mussolini da capo del governo, lo fece arrestare. Al suo posto insediò il vecchio
maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio, già vittorioso protagonista della sanguinosa battaglia d’Etiopia
(1935-36), simbolo di un’Italia vittoriosa, militarmente capace, benché “uomo del regime” (proprio
la campagna in Etiopia aveva rappresentato una vittoria dell’imperialismo fascista voluto da
Mussolini).
Finiva dopo oltre un ventennio (dalla marcia su Roma del 1922) il binomio Fascismo-Monarchia,
forse più per la volontà di Casa Savoia di salvaguardare la Corona che per una reale consapevolezza
della necessità di prendere le distanze dal Fascismo e da tutto il male da esso prodotto.
8 settembre 1943 –Viene dato l’annuncio ufficiale dell’Armistizio con gli Anglo-Americani,
firmato a Cassibile (Sicilia) il 3 settembre 1943. Badoglio avrebbe voluto attendere di più prima di
renderlo pubblico, per evitare rappresaglie e ritorsioni da parte dei Tedeschi presenti in Italia, ma gli
Alleati resero pubblico l’accordo per dare un segnale forte all’Europa: l’Asse stava perdendo e uno
dei principali alleati della Germania, l’Italia, si era arreso.
Dopo l’annuncio, ci fu il totale sfaldamento dell’esercito poiché mancavano direttive precise: molti
furono i reparti in fuga e allo sbando, contingenti italiani furono massacrati dai Tedeschi nelle isole
greche di Corfù e Cefalonia, mentre circa 600.000 furono gli Italiani catturati dalla Wehrmacht e
deportati in Germania.
Quello stesso giorno Vittorio Emanuele III e Badoglio lasciarono Roma e si rifugiarono a Brindisi,
presso gli Alleati.
24 settembre 1943 – Mussolini viene liberato dai Tedeschi e posto a capo di un nuovo stato
fascista, la Repubblica Sociale Italiana, esteso a tutto il nord Italia. Il Paese si trova così spaccato in
due militarmente, geograficamente, politicamente.
Mussolini avrebbe fatto a meno di questa reviviscenza del Fascismo: si dice che, vedendo arrivare i
tedeschi che lo avrebbero sottratto al carcere, si sia rammaricato con le guardie che lo avevano in
custodia, forse presagendo che a quel punto non ci sarebbe più stata salvezza per lui. Condotto a
Salò (sul lago di Garda, in provincia di Brescia), instaurò qui la capitale della RSI che – come si
evince dal nome stesso – fu per Mussolini un “ritorno alle origini” nel nome del repubblicanesimo
(dopo vent’anni di fedeltà alla monarchia in cambio dell’appoggio di Vittorio Emanuele III al
regime fascista) e del socialismo (da cui Mussolini proveniva).
In realtà la RSI non riuscì mai ad avere una propria autonomia, essendo piuttosto una zona occupata
dai Tedeschi come fronte difensivo avanzato contro gli Alleati. Né fu permesso alla RSI di dotarsi
di un proprio esercito, impiegando invece i vari reparti (Guardia Nazionale Repubblicana, Brigate
Nere, X Mas) essenzialmente nella repressione antipartigiana.
13 ottobre 1943 – Badoglio dichiara guerra alla Germania e l’Italia viene considerata dagli Alleati
come Paese “cobelligerante”.
L’esercito italiano si affianca agli anglo-americani (sbarcati nella piana di Salerno all’inizio del
settembre 1943) nelle azioni di sfondamento della linea “Gustav” (all’altezza del confine tra
Campania e Lazio), presso la quale la difesa tedesca impegnerà gli Alleati fino all’estate del 1944
(presso tale linea, ricordiamo la battaglia di Montecassino, in cui gli Alleati causarono la distruzione
dell’Abbazia con bombardamento a tappeto).
Aprile 1944 – Mentre la guerra infuria in Italia presso la linea “Gustav”, le forse politiche del Paese
(liberali, comunisti, socialisti, cattolici della DC) decidono di collaborare con il governo Badoglio
in cambio dell’impegno da parte di Vittorio Emanuele III a cedere i poteri al figlio Umberto e a
indire un referendum a fine conflitto per decidere tra monarchia e repubblica.
Giugno 1944 – Sfondata la linea Gustav, gli Alleati liberano Roma (prima tra le capitali europee a
esser liberate dall’occupazione nazista). Umberto di Savoia assume la carica di Luogotenente del
Regno. Badoglio è sostituito da Bonomi, antifascista fin dai primi anni del regime: è un chiaro
segno del cambiamento, dl ritorno alla democrazia, della voglia di affidare a un politico (e non a un
militare) il compito di riportare il Paese a una vita normale in tempo di pace.
5/6 Giugno 1944 – Sbarco degli Alleati in Normandia.
Da tempo Stalin aveva chiesto agli Alleati di aprire un secondo fronte contro Hitler, sapendo che la
Germania non sarebbe stata in grado di fronteggiare un attacco da due parti. Churchill (Primo
Ministro inglese) all’inizio si oppose, non fidandosi dell’URSS, cui l’Inghilterra si opponeva –
come le altre democrazie occidentali – per un profondo contrasto ideologico che non poteva esser
dimenticato semplicemente perché uniti contro il comune nemico (il Nazismo e il Fascismo).
Quando Churchill vide che le sorti di Hitler esano segnate, decise di acconsentire alle richieste di
Stalin, orientandosi verso l’apertura di un fronte sui Balcani: se dal punto di vista militare tale scelta
poteva essere meno efficace rispetto all’apertura di un fronte a ovest (che avrebbe posto la
Germania tra due fuochi contrapposti), tuttavia aveva il vantaggio di permettere una vicinanza
strategica delle truppe Alleate all’Armata Rossa, in modo da poter contenere ogni eventuale mira
espansionistica sovietica in Europa dopo la sconfitta della Germania.
Roosevelt era invece assertore della tesi di Stalin secondo cui un secondo fronte opposto a quello
orientale (da cui stava provenendo il contrattacco dell’Armata Rossa) sarebbe stato molto più
efficace di un unico fronte da sud-est (balcano-orientale, come desiderava Churchill). E il peso del
presidente degli USA fu decisivo per attuare lo sbarco in Normandia.
Nella zona situata nel nord della Francia, presso il canale della Manica, sbarcarono tra il 5 e il 6
giugno 1944 circa 3 mln di uomini al comando del generale americano Eisenhower, impiegando
1200 navi da guerra, 6500 mezzi anfibi, 13000 aerei. La difesa dell’Asse contrattaccò
pesantemente, soprattutto il primo giorno, impedendo il raggiungimento degli obiettivi prefissati
dagli Alleati che furono a lungo costretti sulle zone dello sbarco.
Luglio 1944 - In circa un mese le forze Alleate erano già attestate con 1 mln di uomini al di là dello
schieramento difensivo tedesco.
Per la prima volta i nazisti usarono le armi segrete, le bombe V1 e V2 telecomandate, che però si
rivelarono poco efficaci.
Agosto 1944 – Mentre gli Alleati liberavano la Francia dal nord, dopo lo sbarco in Normandia, il
generale De Gaulle sbarcò con le sue truppe in Provenza, cominciando a risalire vittoriosamente la
Francia meridionale. Il 26 agosto le truppe di De Gaulle entrarono in una Parigi che si era già
liberata dai Tedeschi grazie ai moti spontanei dei partigiani.
Settembre 1944 – A metà settembre 1944 quasi tutta la Francia e il Belgio erano stati sottratti al
dominio nazista.
L’offensiva sovietica – Prima ancora dello sbarco in Normandia, l’Armata Rossa aveva continuato
a progredire verso la Germania con una serie di vittorie decisive (agosto 1943 – aprile 1944),
respingendo i Tedeschi fino in Polonia.
Agosto 1944 – Riprende l’offensiva sovietica: l’Armata Rossa giunge alle porte della Gemania.
Inizia a sfaldarsi il dominio tedesco a mano a mano che le truppe sovietiche giungono nei Paesi
occupati: prima la Romania dichiara guerra agli ex alleati nazisti (agosto 1944), poi è la volta della
Bulgaria (settembre 1944), quindi tocca all’Ungheria che firma un armistizio con i sovietici (ottobre
1944). Unica vittoria tedesca è la repressione della rivolta di Varsavia (agosto-ottobre 1944).
Ottobre 1944 – Mentre i Tedeschi sono cacciati anche da Atene (Grecia) e Belgrado (Jugoslavia),
gli Alleati giungono fino alla linea “Gotica”, il confine immaginario che legava La Spezia con
Rimini (presso Ravenna, antica capitale del regno dei Goti), a ridosso della RSI. La risalita della
penisola ha richiesto agli Alleati oltre un anno (luglio 1943 – agosto 1944).
Le sorti del conflitto per la Germania sono ormai segnate. Mentre i generali della Wehrmacht
chiedono al Führer di firmare almeno un armistizio con gli Anglo-Americani, in modo da potersi
concentrare sul fronte orientale antisovietico, Hitler decide che è giunto il momento della
mobilitazione generale: vengono arruolati tutti, persino i ragazzini fino a 12 anni, mentre Göbbels,
ministro della propaganda nazista, diffonde voci infondate sul presunto possesso da parte della
Germania di armi segrete (modelli perfezionati delle V1 e V2). Fu l’ultimo sforzo di un Paese già
virtualmente sconfitto. E a nulla valse.
Febbraio 1945 – a Jalta (Crimea) i tre grandi (Churchill, Roosevelt e Stalin) si trovano per
discutere del futuro dell’Europa. Uniti dalla comune causa anti-nazista, diverse sono le idee relativi
agli equilibri europei post-bellici. E’ un parlare di pace (mentre ancora infuria la guerra) che rivela
quanto difficile sia trovare un accordo. E alla fine si opta per il principio del “fatto compiuto”: dove
sono arrivati gli eserciti vincitori, quella è zona d’influenza del rispettivo Paese. In tale ottica, si
rivelavano fondate le preoccupazioni di Churchill rispetto alla difficoltà di controllare l’espansione
Sovietica nell’Europa dell’Est, area interamente liberata/occupata dall’Armata Rossa.
Marzo 1945 – Gli Alleati oltrepassano il Reno e dilagano fino alla Germania centrale.
Aprile 1945 – In Italia comincia lo sfondamento della linea “Gotica” che, con la contemporanea
insurrezione partigiana delle città del Nord, porterà alla Liberazione (25 aprile 1945) e alla cattura e
fucilazione di Mussolini da parte dei Partigiani (a Milano, piazzale Loreto, 28 aprile 1945).
Il 4 maggio 1945 i Tedeschi presenti in Italia si arrendono.
Artefice di tale liberazione è senz’altro la Resistenza che, sporadicamente presente al Sud, si era
invece andata organizzando nel 1944 al Nord.
Dapprima vi erano stati i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), cioè nuclei partigiani ridotti e
specializzati in agguati e attentati. Attentati come quello di via Rasella a Roma nel marzo 1944
dove persero la vita 32 militari tedeschi e per rappresaglia i nazisti fucilarono 335 Italiani nelle cave
presso la via Ardeatina, da allora note come “Fosse Ardeatine”.
In seguito le brigate erano andate differenziandosi: quelle che reclamavano un’Italia rinnovata in
senso più democratico (le “Garibaldi” comuniste, le “Matteotti” socialiste, le “Giustizia e Libertà”
del Partito d’Azione, di ispirazione liberal-socialista) e quelle che invece miravano essenzialmente
alla liberazione dell’Italia dai Tedeschi (gli ex militari fedeli al re, i gruppi liberali, quelli
organizzati dalla DC). Tutte queste bande erano state coordinate dal CNLAI (Comitato di
Liberazione Nazionale dell’Alta Italia), riconosciuto nel dicembre 1944 dagli Alleati come legittimo
rappresentante al Nord del governo insediato a Roma liberata. Nell’aprile del 1945 i partigiani –
inquadrati nel CVL (Corpo Volontari della Libertà) erano circa 200.000.
Aprile 1945 – L’Armata Rossa sferra l’offensiva sulla Polonia, puntano direttamente su Berlino. Il
30 aprile, nella capitale invasa ormai dai sovietici, Hitler si suicida nel bunker sottostante la
Cancelleria, dopo aver sposato Eva Braun. Il corpo del Führer non verrà mai ritrovato, alimentando
negli anni a seguire voci leggendarie su improbabili fughe in vista di un futuro ritorno.
7 maggio 1945 – La Germania firma la resa incondizionata su tutti i fronti. E’ la fine della guerra in
Europa.
26 giugno 1945 – Viene costituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con un Consiglio di
Sicurezza con i 5 Paesi permanenti (USA, GB, FR, URSS, Cina) con i diritto di intervento in caso
di conflitto tra i Paesi aderenti (51 in tutto).
Agosto 1945 – Il conflitto intanto è proseguito nel Pacifico, dove al Giappone si oppongono gli
Usa. Conquistate tutte le aree occupate dai Giapponesi prima del conflitto, gli Usa stringono il
cerchio intorno al territorio del Giappone stesso. Dopo aver bombardato Tokyo (marzo 1945), la
capitale, e Okinawa (aprile 1945), ultimo baluardo difensivo del Giappone verso la Russia, vengono
sganciate due bombe atomiche su Hiroshima (6 agosto 1945, con oltre 90.000 vittime immediate) e
Nagasaki (9 agosto 1945). Decisivo per tale scelta il parere del neo Presidente Truman (succeduto a
Roosevelt, scomparso nell’aprile 1945), impressionato dalle perdite statunitensi prospettatigli nel
caso di un proseguimento del conflitto diretto Usa-Giappone. La motivazione ufficiale di Truman
per la scelta delle bombe atomiche sarà proprio la volontà di porre una fine immediata al conflitto
per evitare conseguenze e perdite peggiori. Di fatto tale scelta crea le basi per il dominio
incontrastato degli Usa nel Pacifico.
2 settembre 1945 – Il Giappone firma la resa. E’ la fine della seconda Guerra Mondiale.
Novembre 1945 – ottobre 1946 – Si tiene il processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti (tra
cui von Ribbentrop, Bormann, Göring, Hess) accusati di “nuovi” reati: crimini contro la pace,
crimini contro l’umanità. Per la prima volta è un tribunale internazionale che li giudica, sottraendoli
alla giurisdizione del loro Paese. La sentenza è emessa a nome dell’umanità. Alla fine di saranno 12
condanne capitali, 7 condanne a pene detentive e 3 assoluzioni.
Febbraio 1947 – Vengono finalmente firmati i trattati di pace di Parigi in cui, tra gli altri Pesi della
coalizione tedesca, vengono definite le condizioni per l’Italia e per la stessa Germania.
L’Italia deve rinunciare a Briga e Tenda in favore della Francia e cedere la Venezia Giulia alla
Jugoslavia. Il territorio di Trieste viene divisa in due zone (già nel 1945): la zona A (Trieste, parte
del Carso, Gorizia) sotto il controllo politico-amministrativo degli Alleati, la zona B (parte orientale
della provincia di Gorizia, l’Istria – tranne Pola – e Fiume) controllata dagli Jugoslavi. Tale
divisione di fatto permane anche quando viene formalmente riconosciuto il Territorio Libero di
Trieste (TLT – 1947). Solo gli accordi diretti tra Italia e Jugoslavia del 1954 sanciranno il ritorno di
Trieste all’Italia (benché per la regolazione definitiva della questione si dovrà attendere un
successivo trattato del 1975).
La Germania – non trovando un accordo le potenze vincitrici e prevalendo il principio del “fatto
compiuto” cioè dell’occupazione militare al termine della guerra - viene divisa in due aree: una
occidentale controllata dagli Alleati (e a sua volta divisa in tre zone assegnate a USA, GB, FR) e
una orientale controllata dall’URSS. Berlino fu a sua volta divisa in due sezioni (ovest ed est) pur
essendo compresa interamente nella parte sovietica della Germania.