UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTÁ DI - Musei-it

UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TRENTO
FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
MUSEI, NUOVE TECNOLOGIE
E DIRITTO D’AUTORE:
UN’ANALISI COMPARATA
Relatore:
Prof. Roberto Caso
Laureanda:
Francesca Dal Molin
Parole chiave:
Diritto dell’era digitale – Comparazione giuridica – Musei – Tecnologie digitali –
Diritto d’autore
Anno Accademico 2006/2007
Ai miei genitori,
per tutto il supporto morale e materiale
che mi hanno dato in questi anni,
senza chiedere in cambio niente,
se non la mia serenità
Ringraziamenti:
Ricordare significa far passare di nuovo dal cuore, che per gli antichi è la sede della mente… Nel mio passano tutte le
inquiline di Via Diaz n. 8, grazie per l’amicizia e la spensieratezza, vi voglio bene.
Grazie a Anna, Elisa, Sara, Adele, Paola.
Grazie a Mariella per essermi stata vicino nei momenti duri.
Grazie a Alessia e Erika. Grazie a Isabella, Anna e Veronica per avermi sopportato nelle ultime concitate fasi della stesura.
Grazie a Luca e Cristina, in qualità di “scriba”!
Grazie ai sorrisi e alle lacrime degli ultimi tre anni, che mi hanno fatto crescere e reso più forte.
Lode e onore al VECCHIO VECCHIO ordinamento!
Grazie a Don Gianni per gli strumenti informatici!
Vorrei infine ringraziare la dott.ssa Alessandra Schiavuzzi, l’avv. Silvia Stabile, Davide Orlando e il dott. Paolo Guarda per
la gentilezza e la disponibilità.
“L’arte è una lotta.
Nell’arte bisogna metterci la pelle. (…)
Piuttosto che esprimermi debolmente
preferisco tacere”
F. Millet
INDICE
INTRODUZIONE
1
CAPITOLO PRIMO
BENI CULTURALI E ISTITUZIONE MUSEALE:
L’EVOLUZIONE STORICO –
1.1
1.2
NORMATIVA
I beni culturali in Italia, breve percorso storico – legislativo
4
1.1.1 Dall’antichità agli Stati preunitari
6
1.1.2 Dall’unità d’Italia
15
1.1.3 Dal 1939 ai giorni nostri
20
Uno sguardo all’estero, la dimensione sovranazionale dei beni culturali
36
1.2.1 Organismi e convenzioni internazionali per la tutela dei beni
culturali
1.3
38
1.2.2 I beni culturali e l’Unione Europea
42
1.2.3 Protezione in taluni Stati europei e cenni su quella oltreoceano
46
Transizione da bene culturale a risorsa economica?
62
1.3.1 Un quadro della situazione attuale: tutela, valorizzazione, fruizione,
gestione
1.4
65
1.3.2 Gli strumenti della valorizzazione
71
Il museo: un cambio d’immagine
79
1.4.1 L’evoluzione del museo: da struttura contemplativa…
80
I
1.4.2 (segue) …a struttura divulgativa
82
1.4.3 Il museo contemporaneo: definizione e missioni
86
1.4.4 Pubblico e comunicazione
92
1.4.4.1 Il marketing museale
1.4.5 Gestione e standard dei musei
97
100
CAPITOLO SECONDO
BENI CULTURALI, MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE
2.1
L’avvento delle nuove tecnologie
104
2.2
Europa e digitalizzazione
108
2.3
Pubblico e nuove tecnologie
113
2.4
Gli strumenti a servizio dell’utente
116
2.4.1 Collegamenti video
117
2.4.2 Banche dati e archivi online
118
2.4.3 Guide multimediali e interattive
120
a)
CD rom o DVD rom
120
b)
Chioschi multimediali e work stations
121
c)
Audio e videoguida
122
2.4.4 Musei virtuali
125
2.4.4.1 Standard per il web
2.5
Vantaggi e svantaggi delle nuove tecnologie
II
131
132
CAPITOLO TERZO
IL DIRITTO D’AUTORE E LA SFIDA DEL DIGITALE
3.1
L’origine e lo sviluppo dei diritti sulle opere dell’ingegno
134
3.2
I livelli di protezione:
137
a)
internazionale
137
b)
comunitario
139
c)
nazionale
141
3.3
Copyright e diritto d’autore: concetti fondamentali
144
3.4
Musei e digitalizzazione dei contenuti
149
3.5
Proprietà intellettuale nel museo: la costruzione del sito web
158
3.5.1 I contenuti:
166
3.6
a)
testi, immagini, suoni
167
b)
linking e framing
175
c)
nome di dominio
179
d)
opera multimediale
181
e)
banca dati
194
3.5.2 La tutela giuridica: che tipo di qualificazione per il museo?
201
Criticità: riproduzione e fruizione
206
a)
Eccezioni e limitazioni, fair use e fair dealing
208
b)
I sistemi di DRM
218
III
CAPITOLO QUARTO
“BEST PRACTICES” PER I MUSEI
4.1
4.2
Gestione dell’intellectual property
225
a)
Pratiche di inventario della proprietà intellettuale
226
b)
Politiche di gestione
233
c)
Gestione e negoziazione dei diritti
235
Business opportunities
237
CONCLUSIONI
244
BIBLIOGRAFIA
251
IV
INTRODUZIONE
Questa tesi si propone di analizzare il processo evolutivo, dall’antichità ai
giorni nostri, della tutela, della fruizione e della gestione dei beni culturali,
custoditi all’interno dei musei, che risultano ora arricchirsi di nuovi significati
grazie all’avvento delle tecnologie digitali. Lo sviluppo di Internet ha permesso
loro di essere rappresentati in maniera diversa e più innovativa; e di essere altresì
utilizzati per la creazione di opere dell’ingegno, per costituire una nuova forma di
trasmissione della conoscenza. La sfida della digitalizzazione ha gettato le basi
per il futuro della comunicazione, ma il rispetto delle norme legislative non è
sempre agevole. La tutela oggi approntata deve tenere in considerazione i diritti
che ciascuna opera creata porta con sé, i quali, se correttamente applicati,
permettono una efficace predisposizione e un efficace sfruttamento dei contenuti.
La trattazione è organizzata in quattro capitoli, ciascuno dei quali prende
in considerazione una diversa fase evolutiva. Per ogni excursus storico, l’esame
partirà dai tempi più antichi, per arrivare all’uso corrente. Inoltre, talune materie
verranno affrontate attraverso una comparazione con gli Stati Uniti e l’Australia,
senza pretese di completezza e di esaustività.
Il primo capitolo illustra in dettaglio la nascita, lo sviluppo e
l’affermazione della protezione dei beni culturali nel nostro paese. È un lungo
percorso, che ha conosciuto periodi di grande incuria e momenti di sviluppo di
una efficace tutela. L’analisi prosegue attraverso l’operato delle organizzazioni
internazionali, per mezzo delle tappe fondamentali segnate dalle convenzioni
1
internazionali. L’indagine si sposterà poi sul contesto degli Stati dell’Europa, del
continente australiano e dell’esperienza statunitense. La politica culturale e la
produzione normativa condurranno alla valutazione della nuova concezione di
bene culturale, che va oltre un mero criterio estetizzante ed estende il campo
d’intervento introducendo la dimensione economica. La considerazione della
dimensione economica agevolerà, poi, la strategia di sfruttamento degli stessi
beni. Lo studio si chiude con l’analisi della struttura museale, nella quale la
finalità di conservazione nel lungo periodo ha avuto una funzione preminente
sulle finalità conoscitiva e comunicativa. Oggi il museo si sostanzia in un soggetto
attivo nella creazione e divulgazione della cultura, in grado di creare un nuovo
contesto conoscitivo che può essere fruito da un gran numero di utenti.
Il secondo capitolo segna l’entrata, nel museo, di Internet e delle nuove
tecnologie, che rappresentano l’occasione per sondare un nuovo approccio col
pubblico reinventando il messaggio culturale per renderlo accessibile a tutti. Si
prenderanno in considerazione anche le politiche europee di digitalizzazione e la
reazione del pubblico a tali novità. Di seguito si proporranno alcuni esempi di
strumenti creati dalle nuove tecnologie, implementati nei musei. È importante
segnalare l’importanza dell’elemento della virtualità nei musei: fruizione virtuale
in qualche modo depotenziata rispetto all’originale, ma che elimina la passività
della mera contemplazione degli oggetti custoditi.
Nel terzo capitolo si condurrà un’analisi specifica dei diritti di proprietà
intellettuale innescati dalle nuove tecnologie, prendendo le mosse da un’analisi
generale, per giungere a scandagliare alcuni aspetti particolari. Si cercherà di
2
delineare la fondamentale attività di digitalizzazione che caratterizza l’attività
odierna dei musei e delle altre istituzioni culturali. L’esame poi si fa più
particolare prendendo in considerazione la realizzazione del sito web e tutte le
problematiche che sorgono in relazione a questa operazione. L’ambiente digitale e
l’avvento delle nuove tecnologie impongono di rivedere taluni concetti e
comportamenti che assumono profili diversi e complessi, come l’attività di
riproduzione.
L’ultimo capitolo getta uno sguardo sulla gestione pratica dei diritti di
proprietà intellettuale. I musei dovrebbero realizzare politiche interne e strategie
di sfruttamento delle proprie risorse, tenendo presente qual è lo scopo che è stato
loro assegnato e lavorando senza far subire detrimento alla propria reputazione.
L’elaborato si chiude con alcune conclusioni.
3
CAPITOLO PRIMO
BENI CULTURALI E ISTITUZIONE MUSEALE:
L’EVOLUZIONE STORICO –
NORMATIVA
“La verità è che il museo è legato
inscindibilmente alla società che lo ha istituito,
ha espresso la società stessa nella sua totalità”
(G. PINNA, Per un museo moderno,
in L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni
di una macchina culturale dal ‘500 ad oggi, Milano, 1989)
1.1.
I beni culturali in Italia, breve percorso storico – legislativo
Il nostro paese racchiude al suo interno un ragguardevole patrimonio
storico, artistico e culturale, frutto della sedimentazione dei secoli e idoneo a
congiungere il “passato e il presente delle culture che popolano una nazione”,
presente che viene così arricchito “di storia e di senso”1.
Da più parti si afferma che tale patrimonio costituisce circa la metà o
addirittura la quasi totalità di quello mondiale 2. Questa ricchezza non ha però
impedito, nel corso del tempo, distruzioni, saccheggi, sperperi e depauperamenti a
causa delle numerose guerre o ad opera di collezionisti senza scrupoli.
Bisogna attendere molto per una compiuta definizione del concetto di bene
culturale, così come di patrimonio 3. Il percorso giuridico – legislativo è ampio e
complesso; si parla di una tradizione molto lunga che ha visto la formazione
1
V. F. BOTTARI, F. PIZZICANELLA, L’Italia dei tesori, legislazione dei beni culturali, museologia,
catalogazione e tutela del patrimonio artistico, Bologna, 2002, 2.
2
Cfr. SETTIS, Italia S. p. A. L’assalto al patrimonio culturale, Torino, 2002, 14; A. TRENTINI,
Codice dei beni culturali e del paesaggio, commentario ragionato del d. lgs 22 gennaio 2004, n.
42, Rimini, 2005, 21; G. MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali, Milano, 2004,
11, dato introdotto da una interessante tabella che evidenzia i primi dodici paesi per numero di siti
iscritti nella lista del patrimonio culturale mondiale dell’UNESCO.
3
Il termine “bene” fu usato, per la prima volta in Italia, dalla Commissione “Franceschini” negli
anni ’60, di cui si parlerà più diffusamente in seguito.
4
progressiva di una coscienza civile, di un sentimento di protezione e custodia di
quel patrimonio che concorre a formare la storia, la cultura e l’identità dell’Italia.
È essenziale porre l’attenzione sull’attributo di pubblicità del patrimonio: i beni
che lo compongono devono essere in ogni caso destinati alla pubblica fruizione,
solo così si spiega la tutela anche nei confronti dei patrimoni privati.
Uno storico dell’arte c’illustra il motivo per il quale il patrimonio italiano è
tanto importante nel mondo, infatti “nel nostro Paese si è elaborata negli ultimi
secoli una cultura della conservazione molto attenta e molto sofisticata, che ha
valorizzato i singoli monumenti, grandi e piccoli, come parte di un insieme
incardinato nel territorio, di una rete ricca di significati identitari, nella quale il
valore di ogni singolo monumento od oggetto d’arte risulta non dal suo
isolamento, ma dal suo innestarsi in un vitale contesto. È questa cultura che ha in
primo luogo garantito in Italia la conservazione dei monumenti in misura
maggiore che altrove”4. Inoltre, “le regole della tutela non sarebbero mai nate
senza un forte senso civico innestato da una conservazione tanto intensa, tanto
capillare, tanto continuativa del nostro patrimonio culturale; né questa
conservazione sarebbe tanto densa e duratura, se non fosse stata garantita da
regole efficaci nel lungo corso dei secoli”5.
La cura che l’Italia dedica al proprio patrimonio è tanto importante da
venire definita “Modello Italia”6: il nostro paese possiede la legislazione più
protettiva dei propri beni culturali sebbene la maggior parte di essi sia di proprietà
di privati o di enti ecclesiastici. Il punto di forza consiste nel ritenere il patrimonio
4
V. SETTIS, cit, 14.
V. G. VOLPE, Manuale di legislazione dei beni culturali, storia e attualità, Padova, 2005, XVI.
6
V. SETTIS, cit., 15.
5
5
culturale italiano “un insieme…soggetto a protezione in quanto depositario di una
memoria storica che appartiene ai cittadini”7. Ogni cittadino si sente parte di una
tradizione che lega saldamente i beni al territorio “in un continuum di musei, opere
distribuite nel territorio…ambiente e paesaggio” 8 e che ogni sua espressione è
parte fondamentale di città, province, regioni.
È come possedere una sorta di eredità che si intende trasmettere ai posteri. 9
Per tracciare una panoramica che abbia una parvenza di completezza
nell’oltremodo ampia tematica dei beni culturali, ritengo sia opportuno ricostruire
un quadro storico sistematico concernente l’evoluzione della legislazione, che
parte dall’antichità e arriva fino ai nostri giorni.
1.1.1. Dall’antichità agli Stati preunitari
Il punto di partenza scelto si riferisce ad un passato piuttosto lontano: la
Roma dell’età antica10, la quale ha contribuito in modo decisivo alla
configurazione e alla valorizzazione di quel patrimonio che tutto il mondo ci
invidia. L’analisi si muoverà attraverso l’età monarchica, l’età repubblicana e
quella imperiale.
La disciplina normativa prevista per quelli che oggi chiamiamo beni
culturali è frutto di una lenta evoluzione che trova radici significative nel mondo
classico ed una sintesi efficace nel diritto romano 11.
7
V. VOLPE, cit., XVI.
V. VOLPE, cit., XVI.
9
Cfr. SETTIS, cit., 26.
10
In questo senso VOLPE, cit., 1.
11
Cfr. A. PONTRELLI, L’organizzazione e la tutela dei beni culturali, in V. CAPUTI JAMBRENGHI (a
cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Milano, 1999, 245.
8
6
È curioso scoprire come i cittadini romani dell’inizio dell’età monarchica
non potessero liberamente dedicarsi alle cd. “arti sedentarie e illiberali”,
occupazioni manuali colpevoli di suscitare “turpi desideri” e “passioni illecite
che guastavano i corpi e le anime di quelli che le esercitavano”, così scriveva uno
storico e retore greco12. Solo le tradizionali attività dell’agricoltura e della guerra
erano in grado di portare al dominio di se stessi e condurre i cittadini”non
all’offesa reciproca ma alla ricchezza a spese dei nemici”. Nei tempi antichi
infatti prevaleva la strategia di devastazione del patrimonio, il bottino di guerra
rappresentava la finalità prevalente e gli eserciti che occupavano i paesi erano
animati dal desiderio di distruggere e depredare. Tuttavia inizialmente le opere
d’arte non possedevano un autonomo valore, erano ancora considerate inutili, al
contrario del denaro e di ricchezze di altro tipo. Solo in qualche caso si notava un
personaggio illuminato, che prestava adeguata attenzione al patrimonio artistico e
tentava una primitiva forma di tutela. Con l’avvicendarsi delle fasi storiche, poi,
passando attraverso la Repubblica, fino all’età imperiale, la visione dei cives
romani iniziava a cambiare. Cresceva l’ammirazione per l’arte dei greci, il bottino
di guerra oramai comprendeva statue greche e oggetti di lusso, sottratti con lo
scopo di abbellire la città e coadiuvare il trionfo dei generali, rimpatriati vittoriosi
dalle loro imprese. Roma non conosceva ancora una tale tradizione artistica, per
questo le opere d’arte venivano subito considerate come appartenenti alla città ed
al popolo romano.
12
Si tratta di Dionigi di Alicarnasso, v. VOLPE, cit., 1.
7
Ecco come è nata l’idea di patrimonio di tutti, che spingeva le personalità
influenti, come gli stessi generali, a esortare “la pubblica fruizione di opere in
mano privata”13. Lo stesso imperatore Tiberio si era appassionato ad una statua
che aveva fatto trasportare nella sua casa, la quale, però, era stata destinata ad un
uso pubblico; il suo comportamento era talmente sgradito dal popolo romano da
imporre allo stesso principe la restituzione del bene. Ad un privato non era
consentito un siffatto comportamento, nemmeno se si trattava dell’imperatore14!
Nasceva, così, l’idea delle res populi romani facenti parte di un demanio
pubblico, che le rendeva imprescrittibili e inalienabili; le opere in mano privata
erano sottoposte a un “vincolo di destinazione all’uso pubblico” che nemmeno il
proprietario avrebbe potuto eliminare 15. Si riconoscevano “profili di interesse
pubblico nel rapporto con i beni e le opere d’arte”16 e si cercava di assicurarne la
pubblica fruibilità; editti e senatoconsulti prevedevano a chiare lettere la tutela
delle opere d’arte e vi preponevano una speciale magistratura.
L’età repubblicana vedeva, quindi, l’affermazione di nuovi ideali, sensibili
alla conservazione e alla valorizzazione delle opere d’arte, alla protezione e alla
tutela di un patrimonio che ancora andava formandosi, ma già era cospicuo.
È peculiare l’uso dei concetti di vincolo e inalienabilità, fondamentali,
ancor oggi, nella politica di tutela di quelli che chiamiamo beni culturali.
Il valore sociale delle opere, assieme a quello etico e artistico contribuiva
all’affermazione di una identità culturale, un’esigenza che si avvertiva fortemente,
13
Cfr. VOLPE, cit., 3.
V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 20.
15
In questo senso VOLPE, cit., 4.
16
Cfr. PONTRELLI, cit., 245, 246.
14
8
in epoca romana, soprattutto nelle fasi di trasformazione politica e sociale, come il
passaggio dalla Repubblica all’Impero17.
Taluni magistrati venivano preposti alla tutela del patrimonio e avevano il
compito di dare applicazione a tutto il sistema legislativo di protezione.
Con la decadenza dell’Impero, il sistema cominciava a venire meno, così
come il godimento pubblico di opere e monumenti. Con Costantino e Teodosio I il
cristianesimo era stato, dapprima, riconosciuto e poi elevato a religione ufficiale
dell’impero18. Questo dava il via ad una progressiva attività di spoliazione di tutti
gli edifici di età pagana e di reimpiego dei materiali recuperati19, per la
costruzione di altre opere, soprattutto in onore del nuovo culto. Il sentimento di
avversione per la passata tradizione pagana concepiva la spoliazione come una
offesa e una distruzione sistematica tanto da divenire attività estremamente
diffusa. Nonostante ciò, si potevano riconoscere delle eccezioni. Per porre un
freno alla rovina di opere ed edifici venivano imposti dei vincoli ai privati, il
cittadino non poteva procedere alla distruzione del proprio edificio o alla vendita
degli ornamenti ad altri privati20. Il sentimento di conservazione e di
preservazione di un’identità era ancora forte negli animi e si contrapponeva
l’atteggiamento ormai diffuso di noncuranza, che avrebbe caratterizzato l’età nella
quale ci si stava lentamente addentrando, il Medioevo.
17
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 20, 21.
In questo senso VOLPE, cit., 10.
19
Spoliazione intesa come asportazione abusiva e indiscriminata di materiali di pregio dai
monumenti più antichi; reimpiego inteso come pratica diffusa in età paleocristiana e medievale di
riutilizzare frammenti di monumenti antichi per la costruzione e l’ornamentazione di nuovi edifici;
V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 21.
20
Cfr. VOLPE, cit., 12, 13.
18
9
Il re barbaro Teodorico si era impegnato nella conservazione e nella
promozione e aveva cercato di attuare un programma di valorizzazione delle
antichità romane, irrinunciabile testimonianza di un passato della civiltà. Egli
aveva disposizioni per ripristinare monumenti e sensibilizzato la cittadinanza alla
preservazione. Ma aldilà di questo interesse e dell’attività di trascrizione e
trasmissione della cultura documentaria e letteraria antica, ad opera dei conventi e
di alcune corti illuminate, durante il Medioevo erano svaniti in modo progressivo
l’azione di salvaguardia e di protezione di monumenti e opere del passato. L’unica
eccezione era costituita dalla conservazione e dalle valorizzazione in particolare di
oggetti ed edifici destinati anche al culto. Il papato in particolare aveva tentato di
promuovere un ideale di forza e grandezza, mutuandolo dal glorioso passato di
Roma, che rispecchiasse e intensificasse la sua supremazia spirituale e secolare 21.
Tuttavia il degrado e l’abbandono erano tornati a ripresentarsi: nel secolo
XIV, Papa Clemente V muoveva verso Avignone dando inizio a quel periodo
chiamato “cattività avignonese”22; la città di Roma era in forte degrado per la
lontananza del papato e un tale decadimento suscitava nei cittadini il desiderio di
ritorno ai fasti del passato.
Solo nel Quattrocento, con il Concilio di Basilea e la chiusura dello scisma
d’Occidente, la crisi del cristianesimo trovava una via d’uscita e la Chiesa
manifestava unità e potenza.
21
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 24.
Durante questo periodo, che si sviluppa dal 1378 al 1417, si elessero due Pontefici, uno dei
quali risiedeva ad Avignone, l’altro a Roma.
22
10
Si delineava ormai il periodo dell’Umanesimo, gli studiosi avevano
riscoperto il rispetto e persino l’adorazione per il passato classico, declinato in
arte, poesia, bellezza; i Pontefici ponevano come uno degli obiettivi principali un
programma politico per la realizzazione di progetti urbanistici e di restauro;
nascevano mecenatismo e collezionismo di opere classiche e contemporanee; si
promuovevano, inoltre, studi archeologici.
Un intenso sentimento di rinascita e salvaguardia aveva pervaso Pontefici,
principi e signori; la loro preoccupazione era quella di riportare le città al loro
antico splendore23.
Verso la fine del Quattrocento si poteva riconoscere una vera e propria
volontà di continuità col passato che assurgeva a modello estetico di riferimento e
costituiva un insieme di ricchezze da scoprire. Si riconosceva ormai l’esistenza di
un patrimonio culturale che necessitava di essere custodito
da persone
competenti, in grado di individuare cosa era degno di pregio e quindi di tutela. Si
ripresentava la misura della sottrazione di taluni beni privati per sottoporli a
vincolo pubblico, rendendoli, così, patrimonio collettivo. La costruzione di questa
consapevolezza era passata attraverso i secoli del Cinquecento e del Seicento,
caratterizzati dall’affinamento di regole giuridiche già in vigore e da tentativi di
dare sistematicità alla disciplina 24.
La normativa di tutela dei beni si fondava su due punti principali: il
controllo degli scavi, per evitare i furti degli stessi beni rinvenuti, e il divieto di
esportazione.
23
24
In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 25.
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 29.
11
Il Settecento, età dell’Illuminismo, pervaso da un forte senso di razionalità,
aveva concretizzato la riconduzione ad unità dell’immensa mole di interventi
legislativi.
Un editto dell’inizio del secolo “delineava una suddivisione tematica e culturale
dei beni, distinguendo le “cose” artistiche che erano frutto del genio creativo, da
quelle che erano espressione degli aspetti culturali e storici di un popolo” 25.
L’arte e l’antichità assumevano un nuovo ruolo sociale di diffusione della cultura
anche in ambito internazionale; le città si arricchivano di nuovi visitatori; iniziava
il fenomeno del Grand Tour; l’Italia era divenuta una meta ambita non soltanto di
pellegrini attratti dai luoghi di culto, ma anche di intellettuali, intenditori, artisti
che visitavano le innumerevoli risorse paesaggistiche e artistiche italiane, aprendo
il mercato delle opere d’arte che contribuiva alla formazione delle collezioni,
anche straniere, meccanismo sorvegliato in malo modo dalla concessione di
licenze di esportazione, dal momento che erano cresciute le spoliazioni e le
esportazioni illegali26.
Alla fine del Settecento Napoleone, giunto al potere, aveva iniziato la sua
campagna, e con essa iniziava altresì una stagione di saccheggi e sottrazioni al
patrimonio culturale, attività da lui consentite e ritenute ordinarie, tanto da averle
trasformate in “furti legalizzati”. Molte delle opere d’arte dei paesi sconfitti, e in
particolar modo dell’Italia, venivano trasferite in Francia; la sola nazione degna di
possederle. Lo spostamento comprendeva sculture e quadri, libri, manoscritti,
25
26
BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 29.
Cfr. VOLPE, cit., 35.
12
considerati “trofei in grado di risarcire i danni di guerra” 27. Per evitare che si
parlasse di esproprio, Napoleone era riuscito a porre i trattati di pace come base
giuridica e successivamente, in Francia, i beni trafugati andavano a costituire la
sua collezione museale. A seguito dell’attività napoleonica di spoliazione, solo un
editto, proveniente dal Vaticano, con carattere di urgenza ed eccezionalità, aveva
provato ad arginare il fenomeno. Il provvedimento riorganizzava i principi della
conservazione, della protezione e della produzione. La tutela era estesa a tutto il
patrimonio mobile, pubblico e privato, e si affermava il criterio della protezione
preventiva. I redattori procedevano alla compilazione di un elenco dettagliato di
tutti i generi di opere che non potevano essere vendute. In più, i proprietari privati
di Gallerie o Musei o comunque di oggetti antichi di particolar pregio erano tenuti
ad autorizzare controlli periodici dello Stato, soprattutto per verificarne lo stato di
conservazione. La proprietà, in questo modo, subiva una sorta di compressione,
situazione che fino ad allora non era mai stata contemplata. Questa previsione
sembrava davvero “sancire la natura pubblica dell’interesse storico e artistico
dei beni in questione”28.
La normativa risultava in quel periodo assai utile, ma non completamente
efficace, in quanto i commerci illegali erano ancora fiorenti.
La potenza francese era stata, infine, arrestata. Napoleone aveva perso le
sue guerre, con la Convenzione di Vienna si era ristabilita la pace e con essa tutti i
Paesi privati dei loro beni artistici potevano pretendere la loro restituzione. Se per
Napoleone le opere d’arte costituivano trofei della vittoria, per i paesi depredati,
27
28
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 34.
V. VOLPE, cit., 49.
13
invece, diventavano simboli della liberazione. Ogni nazione aveva, così, inviato i
propri delegati in Francia per il recupero delle opere. In ambito giuridico si faceva
strada “una prima prospettiva internazionale in fatto di tutela, con un particolare
riconoscimento del valore del patrimonio italiano”29. Il compito di recuperare i
beni saccheggiati all’Italia era stato assegnato al grande artista Antonio Canova,
che già ricopriva la carica di prefetto delle Antichità, ed era personalità di
riguardo nel campo della protezione dell’arte. Grazie al suo operato, una grande
quantità di opere era tornata sul suolo italiano. L’esperienza napoleonica aveva
aperto definitivamente gli occhi sull’importanza della salvaguardia e della tutela
dei beni culturali.
Nel 1820 il cardinale Bartolomeo Pacca aveva emanato un editto che si
riconosceva essere “pietra miliare della legislazione di tutela storico –
artistica”30. Tale normativa costituiva la prima organica sistemazione giuridica
sulla salvaguardia e l’innovazione riguardava sia l’impianto normativo, sia gli
strumenti applicativi. Per fare qualche esempio, si andava a trattare delle
esportazioni, istituendo una tassa doganale; si ponevano dei criteri guida per
l’apposizione dei vincoli sui beni privati; veniva affrontato il tema della
definizione del patrimonio da tutelare. Una struttura piramidale vigilava
sull’applicazione delle norme, c’erano tecnici ed esperti, commissioni periferiche
e una commissione permanente a cui si era affidato l’incarico di vigilare sulle
belle Arti. Si riconosceva una mancata applicazione integrale di questo editto, ma
29
30
V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 36.
V. VOLPE, cit., 50.
14
la sua struttura era comunque assai importante come anticipazione della
legislazione successiva31.
La sistemazione della materia dei beni culturali trova le sue origini nella
legislazione degli Stati preunitari, i quali, nella maggior parte, avevano stabilito
regole sulla circolazione e sulla conservazione delle cose d’arte e di storia, anche
se ancora non si era sviluppata pienamente l’idea di protezione di un “patrimonio
collettivo”32. Lo Stato Pontificio aveva sempre posseduto una cospicua normativa
in tema di beni culturali, che altri stati italiani preunitari avevano molto spesso
preso come esempio.
Importante era la produzione normativa del Granducato di Toscana, attento
alla salvaguardia dei propri beni mobili, e quella della Repubblica Veneta.
Quest’ultima, da sempre fondamentale snodo commerciale, possedeva un fornito
patrimonio, interamente catalogato, e per questo più accuratamente conservato 33.
1.1.2. Dall’Unità d’Italia al 1939.
Dopo l’Unità d’Italia, avutasi nel 1861, era stato mantenuto pressoché
inalterato l’impianto normativo degli Stati preunitari, per quanto riguardava la
materia della tutela dei beni culturali. Continuava altresì l’applicazione del recente
editto Pacca, emanato dallo Stato Pontificio, che non aveva comunque dato
risultati incoraggianti34.
31
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 36, 37.
In questo senso PONTRELLI, cit., 246, 247.
33
In questo senso VOLPE, cit., 57.
34
VOLPE, cit., 64.
32
15
Nel nuovo Regno d’Italia si registravano grossi fermenti: flussi migratori,
espansione e speculazione edilizia avevano messo da parte la politica di
salvaguardia e tutela del patrimonio e si erano registrati effetti deleteri su di esso.
Paradossalmente era sanzionata maggiormente l’alienazione degli immobili
riconosciuti come beni culturali, che gli eventuali danni o le distruzioni.
Nel 1848 Carlo Alberto aveva concesso una carta costituzionale ai sudditi,
la quale sanciva, all’articolo 29, l’inviolabilità della proprietà privata. Per questo
tutti i tentativi di introdurre una disciplina organica per proteggere gli oggetti di
particolare pregio erano falliti; avrebbero infatti interferito con la sfera di libertà
dei privati35.
L’unica normativa che si proponeva di salvaguardare i beni concerneva
solo le situazioni di incuria o negligenza da parte dei proprietari, per le quali era
prevista la possibilità di espropriare la proprietà privata in tutto o in parte, in base
ad un interesse pubblico 36.
Proprio la legge 25 giugno 1865, n. 2359 “Espropriazione per causa di
pubblica utilità”, aveva messo in discussione l’inviolabilità della proprietà privata,
in quanto l’articolo 83 contemplava la possibilità di esproprio da parte dello Stato
di immobili di valore storico, nel caso di incuria o negligenza da parte del privato.
Con l’entrata in vigore del codice civile, sempre nel 1865, si era verificata
l’abolizione degli istituti del fedecommesso e del maggiorascato37: secondo gli
35
Cfr. PONTRELLI, cit., 247.
In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 40.
37
Il fedecommesso è un istituto che riguarda il diritto successorio, regola il testamento degli eredi i
quali hanno il divieto di disperdere il patrimonio familiare, se possiede una valenza storico –
artistica, trasmettendolo intatto da un soggetto ad un altro; il maggiorascato è un istituto simile, la
trasmissione qui avviene da primogenito a primogenito; BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 41.
36
16
studiosi rappresentavano illegittime limitazioni del diritto di proprietà e anche
della libera circolazione dei beni. Un ravvedimento si era verificato solo nella
provincia di Roma: il vecchio Stato Pontificio disponeva di un ingente patrimonio
storico – artistico e nel 1870, per evitarne la dispersione, erano stati ripristinati gli
istituti aboliti.
Da più parti si manifestava l’esigenza di una legislazione unitaria in tutto il
Regno d’Italia. Si discutevano numerosi progetti di legge e si avvicendavano
numerosi ministri. Erano stati emanati alcuni regi decreti, caratterizzati comunque
da un impianto frammentario e provvisorio, ma non era decollata una normativa
unitaria. Il Ministro pro tempore alla Pubblica Istruzione Correnti aveva proposto
un progetto di legge molto articolato, basato sull’idea che il patrimonio dovesse
essere conservato gelosamente e preservato dalle distruzioni, ma non aveva avuto
fortuna.
Dobbiamo entrare nel ventesimo secolo per incontrare il primo sistema di
norme dotate di una certa organicità: la legge 12 giugno 1902, n. 185
“Conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte e antichità”, la quale aveva
introdotto il principio di tutela di beni mobili e immobili che avevano pregio
d’arte. Il testo presentava tuttavia alcune lacune, come il divieto di esportazione
per le sole opere di sommo pregio. L’applicazione della legge era stata
difficoltosa e non era diventata un punto di riferimento in materia.
Nel 1906 era stata nominata una commissione ministeriale, dai cui lavori
sarebbe emersa la futura legge 20 giugno 1909, n. 364 “Norme per l’inalienabilità
17
delle antichità e delle belle arti”, detta comunemente “legge Rosadi” 38. Tale
provvedimento e il successivo regolamento applicativo 39 costituivano la prima
legge veramente organica e moderna che assicurava la protezione del patrimonio
storico – artistico nazionale. In essa era previsto, tra le altre cose, il principio della
inalienabilità di beni appartenenti a Stato, enti pubblici e privati, che la comunità
considerasse aventi un valore storico – culturale. Inoltre lo Stato aveva il dovere
di dare il proprio parere sulla gestione del bene da parte del privato e di vigilare
sulla circolazione e l’esportazione dei beni.
Le soprintendenze erano state ulteriormente perfezionate con nuove
competenze, sempre votate alla conservazione e alla tutela. Altra importante
novità era l’introduzione dell’espressione “cose mobili o immobili di interesse
storico, archeologico o artistico”, che individuava questa categoria particolare di
testimonianze uniche e irripetibili, che illustravano la cultura di un popolo ed
erano soggette alla legislazione relativa. Il patrimonio era preso in considerazione
in chiave più moderna, “come mezzo in vista di un fine conoscitivo, del quale lo
Stato doveva farsi garante, attraverso politiche mirate di protezione e di
diffusione delle conoscenze acquisite”40. Le leggi n. 185 del 1902 e n. 364 del
1909 “avevano introdotto i primi strumenti moderni di protezione per le cose
mobili d’interesse storico, archeologico e artistico, codificando il principio
dell’interesse pubblico, l’obbligo di conservazione e i necessari poteri strumentali
38
Era stata infatti proposta dal Ministro Rosadi, accanito sostenitore delle belle arti e delle
bellezze naturali, cfr. VOLPE, cit., 77, 78.
39
Il regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363 “Regolamento di esecuzione delle leggi 20 giugno
1909, n. 364, e 23 giugno 1912, n. 688, per le antichità e le belle arti”.
40
V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 43, 44.
18
della pubblica amministrazione, e andando, infine, a costituire l’archetipo della
legislazione successiva” 41.
È doveroso, però, notare che a partire dalla prima legge di tutela dopo
l’Unità, quella del 1902, e anche con la successiva legge del 1909, il termine
“museo” era scomparso dalla legislazione italiana. Era tutelato solo in quanto
“raccolta governativa” e sul piano giuridico era regredito a semplice “collezione”,
da un lato, e a “luogo”, dall’altro.
Dall’Unità d’Italia al 1939, il processo che aveva portato ad una compiuta
disciplina della materia dei beni culturali era stato lungo ed elaborato. L’opinione
pubblica aveva prestato grande attenzione al patrimonio culturale e raggiunto la
consapevolezza che esso meritava la massima considerazione. Si registravano,
però, grosse ostilità in ambito parlamentare.
Prima
dell’Unità
il
patrimonio
culturale
era
stato
disciplinato
compiutamente con la normativa mutuata dallo Stato Pontificio: il sistema era
organico, doveva condurre ad una tutela efficace del patrimonio, ma se talune
forze spingevano in questa direzione, tal’altre contrastavano ferocemente una
siffatta organizzazione, in forza dell’articolo 29 dello Statuto Albertino, che, come
detto, sanciva l’inviolabilità della proprietà privata. I tentativi degli studiosi si
arenavano sui lavori parlamentari, a cui tali forze si opponevano.
La sistemazione odierna della materia trova importanti riferimenti negli
interventi degli Stati preunitari, la maggior parte dei quali aveva previsto forme di
controllo pubblico sulla circolazione e sulla conservazione delle cose d’arte e di
41
V. PONTRELLI, cit., 248.
19
storia. Il sistema normativo di tali Stati sarebbe rimasto in vigore a lungo, in
quanto a lungo gli studiosi non erano a raggiungere un accordo sul tema della
tutela giuridica del patrimonio 42.
Solo con l’inizio del ventesimo secolo, i lavori parlamentari erano giunti
all’emanazione di due importanti leggi, che erano degne di costituire un modello
per la legislazione successiva43.
1.1.3. Dal 1939 ai giorni nostri.
Nei primi decenni del XX secolo erano state emanate le prime leggi che si
riferivano ad uso, conservazione e tutela “dei beni e delle cose di interesse
storico, artistico e archeologico”44.
Nonostante le difficoltà incontrate per rendere produttivi i lavori
parlamentari, era un periodo fertile, ricco di riflessioni. La legge Rosadi denotava
già una larghezza di vedute, in quanto tendeva ad ottenere una sistemazione
integrale delle cose di interesse storico e artistico e delle bellezze naturali,
cercando di potenziare il ruolo dello Stato, prevedendo una forte organizzazione
amministrativa. Ci si stava inoltrando nel periodo fascista, particolarmente attento
alla cura della “bellezza”.
Questa normativa generale era stata integrata e corretta fino a giungere, nel
1939, alla emanazione di due leggi, che avrebbero rappresentato per oltre un
cinquantennio la principale riforma del Novecento, in tema di tutela del
patrimonio. Mi riferisco alla legge 1° giugno 1939, n. 1089 “Tutela delle cose di
42
Cfr. PONTRELLI, cit., 246, 247.
Idem, 247, 248.
44
V. TRENTINI, cit., 23.
43
20
interesse artistico e storico” e alla L. 21 giugno 1939, n. 1497 “Protezione delle
bellezze naturali”. Da notare che anche in questi testi legislativi non compare la
parola museo.
Tale riforma era legata al nome di Giuseppe Bottai che se ne era fatto
promotore e garante, e che ricopriva, nel governo fascista, il ruolo di Ministro
dell’Educazione nazionale.
La trattazione introduceva la locuzione “beni culturali”, ma tale
espressione non era ancora ufficialmente comparsa e l’oggetto preso in
considerazione dalle leggi citate riguardava le “cose”: il nesso era ancora il valore
materiale. L’identificazione di tali “cose” avveniva attraverso l’utilizzo di criteri
restrittivi e classificazioni gerarchiche di natura estetica: si faceva riferimento alle
cose aventi “cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica”,
“bellezze panoramiche considerate come quadri naturali” 45. Tali stringenti
caratteri permettevano la facile identificazione della cosa “di non comune pregio”
e facilitavano l’intervento sui singoli oggetti, sia per la tutela, che per il restauro o
la promozione. Anche se il linguaggio legislativo privilegiava l’elemento
oggettivo, la base d’appoggio del legislatore era costituita dalla coscienza
collettiva, che considerava le bellezze e i monumenti come “patrimonio
culturale”, il quale forniva unità e identità alla comunità.
La riforma Bottai possedeva numerosi pregi: essa, infatti, razionalizzava la
legislazione precedente, integrandola con criteri e norme che non erano stati
considerati adeguatamente. Individuava puntualmente la procedura di apposizione
45
V. M. MONTELLA, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003, 22.
21
del vincolo sui beni privati, mobili o immobili, attraverso l’atto di notifica, in
modo che la fruizione diventasse pubblica. Venivano inoltre disciplinate
conservazione, esportazione, importazione ed espropriazione dei beni. Solo le
opere degli autori viventi venivano escluse dalla tutela, il commercio, infatti, ne
sarebbe risultato inevitabilmente intralciato. Infine, nel caso di mancato rispetto
dei precetti contenuti, erano previste norme sanzionatorie 46.
Nonostante sulla carta la riforma si presentasse ben articolata e
promettente, la sua attuazione fu assai difficile.
C’era chi lamentava la mancata emanazione di un decreto applicativo atto
a sviluppare alcune tematiche poste solo in termini generali47, compito che
sarebbe stato comunque non facile, data la mancanza di precedenti a cui fare
riferimento48. C’era chi invece sosteneva che la legge racchiudesse lacune e
imperfezioni49 tali da incidere sul raggiungimento degli scopi prefissati50. Ma
c’era anche un altro fattore significativo di cui è necessario tenere conto: era in
atto la Seconda Guerra Mondiale, la quale non aveva certo contribuito allo
spiegamento degli effetti della legge. Anzi il periodo era funestato dalla
distruzione e dalla dispersione di un gran numero di opere51.
Se però guardiamo la riforma dalla prospettiva attuale, essa appariva
estremamente accorta e innovativa e poteva ancora rivestire il ruolo di fonte dei
46
V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 46.
Ciò per quanto riguarda soprattutto la L. 1089, per la L. 1497, infatti, un regolamento di
attuazione venne emanato, il r.d. 1357/40.
48
In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47.
49
Tra cui la mancanza di una compiuta definizione di “bene culturale”, a cui si sopperirà in
seguito.
50
In questo senso TRENTINI, cit., 25.
51
Cfr. VOLPE, cit., 95.
47
22
principi vigenti in materia di conservazione, tutela e divulgazione del
patrimonio 52.
Al quadro fornito dalle leggi del ’39 si collega l’emanazione di altri due
importanti provvedimenti: il Codice Civile nel 1942 e la Costituzione nel 1948.
Il Codice Civile, attraverso gli articoli 822 e 824, ricomprende nel
demanio dello Stato i beni immobili di interesse storico, artistico e archeologico e
le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche 53. Il museo
continuava ad essere considerato non in quanto istituto e servizio, ma in quanto
collezione o luogo di “custodia delle cose”.
La Costituzione, tappa basilare nella storia della Repubblica italiana,
inseriva tra i suoi principi fondamentali quelli di promozione culturale e tutela del
patrimonio. L’articolo 9 allacciava il principio della tutela del patrimonio storico e
artistico e del paesaggio al dovere di promozione dello sviluppo della cultura 54.
Proprio il compito di promozione suggeriva di “utilizzare” i beni come “strumenti
di cultura”, e sulla base di questo procedere alla tutela, alla protezione ed al
rispetto dei beni stessi55. La Costituzione stabiliva un collegamento tra bene e
patrimonio culturale e definiva lo Stato italiano come “Stato di cultura”,
imponendogli l’adozione di ruolo attivo per garantire lo sviluppo della cultura e la
formazione di una coscienza collettiva che riconosca come valore quello della
protezione del patrimonio56.
52
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47.
Idem, 45, 46.
54
L’articolo 9 della Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la
ricerca scientifica e tecnica”.
55
In questo senso PONTRELLI, cit., 249.
56
Idem, 250, 251; cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47.
53
23
Il contesto storico in cui si trovava ad essere promulgata la Costituzione, e
perciò anche i principi di cui abbiamo parlato, è tuttavia alquanto complesso. La
Seconda Guerra mondiale era appena terminata e molti ritenevano quantomeno
controproducente focalizzare l’attenzione e le energie su degli obiettivi così
“marginali”. Tale atteggiamento aveva portato a non applicare la legislazione,
inclusa la legge Bottai, ed a relegare i beni in uno stato di oggettivo abbandono 57.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie al massiccio sviluppo economico e
sociale, si assisteva all’enorme espansione delle città, comprese le città d’arte. Di
conseguenza era cresciuta, nell’opinione pubblica, la consapevolezza della
necessità di proteggere il patrimonio. Sull’onda del movimento di opinione erano
stati organizzati convegni intorno al problema e si promuovevano studi per
conoscere a fondo il vero stato delle cose. Per perseguire efficacemente tutti gli
scopi, il Ministero aveva istituito nel 1963 una Commissione parlamentare mista,
formata da politici e studiosi, che viene ricordata con il nome di “Commissione
Franceschini” 58. A quest’organo era affidato l’arduo compito di svolgere una
completa indagine sull’intera problematica dei beni culturali, e definire proposte
di legge per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali anche tramite la
revisione di leggi già esistenti59. La Commissione aveva lavorato per due anni e
pubblicato un documento in tre volumi intitolato “Per la salvezza dei beni
culturali in Italia”, in cui delineava tutta la gamma dei beni culturali. È
fondamentale notare che la Commissione definiva quelle che prima erano le “cose
57
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47, 48.
Dal nome dell’on. Francesco Franceschini che la presiedeva; l’istituzione avvenne con la l.
310/64.
59
Cfr. S. MUSMECI, Il concetto di bene culturale, Acireale, 1996, 15.
58
24
di interesse storico e artistico” come beni culturali, e in modo più specifico come
beni che costituiscono “testimonianze materiali aventi valore di civiltà”, concetto
composito in cui la materialità del bene confluiva nella immaterialità del valore
ideale di civiltà60.
La locuzione bene culturale implicava una nuova e diversa nozione di
cultura, rappresentando un oggetto che include anche monumenti e cose
assoggettabili a vincolo,
ma
“non si
esauriva né materialmente né
concettualmente nella loro somma”, “non ci si limitava più a episodi di
eccellenza estetica”, ma si andava più a fondo per cogliere l’aspetto della
“testimonianza delle passate civiltà” 61. Si passava dall’uso di un criterio
“estetico” per l’individuazione del bene protetto a un criterio “storicistico”. La
definizione era aperta, il suo contenuto non poteva essere vincolante e definito 62.
L’accento doveva essere posto sul valore culturale del bene, sulla sua funzione
sociale, e non sulla sua materialità. Anche l’intervento pubblico doveva essere
diverso, meno rinchiuso nella tutela, ma aperto piuttosto a garantire la fruizione
tramite le attività di valorizzazione e gestione.
La formula utilizzata dalla Commissione per descrivere i beni culturali,
ovvero “testimonianze aventi valore di civiltà”, era stata mantenuta anche in
provvedimenti molto recenti, tra cui il Testo Unico del 199963 e il recente Codice
60
È la prima volta che l’espressione “beni culturali” compare in un documento ufficiale italiano,
ma in realtà la definizione è presente già nel 1954 nella Convenzione Internazionale dell’Aja per la
tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato, in questo senso TRENTINI, cit., 26; BOTTARI,
PIZZICANELLA, cit., 48, 49; VOLPE, cit., 113, 114.
61
V. C. BARBATI, M. CAMMELLI, G. SCIULLO, Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2006, 2.
62
V. MONTELLA, cit., 31, 32.
63
D. lgs 29 ottobre 1999, n. 490 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali, a norma dell' art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352”.
25
del 200464. Ciò per sottolineare ancora una volta l’abbandono della materialità e
l’adozione di una concezione più aperta e adeguata agli oggetti in questione,
poiché “il diritto è un luogo di mediazione di interessi che nascono e si
incrociano al di fuori di esso e in esso invocano riconoscimento e rispetto” 65.
Purtroppo l’indagine condotta dalla Commissione non aveva portato ad
alcuno specifico provvedimento normativo. Nonostante questo, il programma
governativo non si era esaurito, nel 1968, infatti, era stata nominata un’altra
Commissione parlamentare, la “Commissione Papaldo”, a cui era affidato il
compito di proseguire il lavoro di indagine già iniziato e proporre uno schema di
legge per la riforma delle strutture dell’amministrazione dei beni culturali 66.
Anche gli studi condotti da questa Commissione non approdarono a un
provvedimento definitivo e ufficiale.
Negli anni successivi, indagini e dibattiti non si erano fermati e si lavorava
alacremente per arrivare, nel 1975, all’istituzione del “Ministero per i beni
culturali e ambientali” 67: il paese aveva, così, un organo specifico in grado di
indagare efficacemente lo stato dei beni culturali e di intervenire in modo mirato.
Con questa legge istitutiva del Ministero diveniva ufficiale l’uso dell’espressione
bene culturale68.
64
D. lgs 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137”.
65
V. VOLPE, cit., 116, 117.
66
Non esisteva infatti una struttura autonoma che si occupasse di beni culturali, essi erano ancora
affidati alla pubblica istruzione, con inefficienza di mezzi e di risorse finanziarie.
67
Con la L. 29 gennaio 1975, n. 5 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge
14 dicembre 1974, n. 657, concernente la istituzione del Ministero per i beni culturali e
ambientali”.
68
In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 1.
26
Di tanto in tanto venivano varate nuove leggi, che non portavano, tuttavia,
ad una vera e propria riforma del settore, in quanto piuttosto rappresentavano
delle misure di emergenza. Restava, quindi, in vigore, senza sostanziali
modifiche, la legislazione Bottai. Si giunge a qualcosa di più concreto solo
nell’ultimo decennio del Novecento: erano stati emanati una serie di
provvedimenti che anzitutto tentavano di disciplinare i rapporti tra Stato, Regioni
ed Enti Locali, nonché il coinvolgimento dei privati69.
Vanno ricordate la “legge Ronchey” nel 1993 70 e la “legge Bassanini” nel
199771: la prima consentiva di attivare per la prima volta una collaborazione
proficua tra il pubblico e il privato, permettendo l’ingresso nelle strutture museali
di volontari costituiti in associazioni; la seconda, invece, ribadiva il compito della
tutela come proprio dello Stato, prevedendo comunque una delega al Governo per
il possibile conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti Locali, per
la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
Successivamente era stato emanato il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento
di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, con il quale si stabilivano
le vie praticabili per una collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, che
comprendono
tutela,
valorizzazione,
gestione
e
promozione.
Venivano
compiutamente definiti concetti prima nebulosi, e trattati in modo sintetico: in
69
Di cui si parlerà più diffusamente in seguito, nel par. 1.3.
L. 14 gennaio 1993, n. 4 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14
novembre 1992, n. 433, recante misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni
in materia di biblioteche statali e di archivi di Stato”.
71
L. 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione
amministrativa”.
70
27
particolare l’articolo 148 analizzava distintamente i concetti di bene culturale e
ambientale, attività culturali, tutela, gestione, valorizzazione e promozione 72.
Tuttavia, nonostante le competenze fossero divise tra i diversi livelli istituzionali,
era difficile fissare dei confini operativi tra l’una e l’altra attività 73. Il d. lgs 112/98
procedeva ad una ripartizione delle competenze secondo il criterio della
sussidiarietà: lo Stato aveva competenze specificamente individuate, mentre
Regioni ed Enti Locali concorrevano all’attività di conservazione, anche se, per
quest’ultima, non erano previsti né modalità, né mezzi di attuazione74. Da notare
che la funzione della gestione, in particolare di musei o altri beni culturali, era
“trasferibile”: salve le funzioni e i compiti di tutela riservati allo Stato, essa
riguardava
l’autonomo
esercizio
delle
attività
concernenti,
tra
l’altro,
l’organizzazione ed il funzionamento, i servizi aggiuntivi, le riproduzione e le
concessioni d’uso dei beni, lo sviluppo delle raccolte museali75.
Il d. lgs. 112/98 aveva fornito anche un indiretto ma significativo contributo al
riconoscimento formale del museo come istituto76.
72
Articolo 148: “1. Ai fini del presente decreto legislativo si intendono per :
a) “beni culturali”, quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale,
demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono
testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge;
b) “beni ambientali”, quelli individuati in base alla legge quale testimonianza significativa
dell’ambiente nei suoi valori naturali o culturali;
c) “tutela”, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad
assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle
finalità di tutela e valorizzazione;
d) “valorizzazione”, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e
conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione;
e) “attività culturali”, quelle rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e
dell’arte;
f) “promozione”, ogni attività diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali.”
73
In questo senso MONTELLA, cit., 38.
74
Cfr. T. ALIBRANDI, P. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 159 - 161.
75
V. art. 152 co.3 d. lgs 112/98.
76
In questo senso MONTELLA, cit., 53; MAGNANI, cit., 214, 215.
28
Negli stessi anni in cui venivano emanati i citati provvedimenti legislativi,
si metteva in moto una riflessione tra gli studiosi sulla possibilità di allargare il
sistema dei beni culturali alle attività culturali. Tale volontà si era tradotta nel d.
lgs. 368 del 1998 “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a
norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che concerneva altresì
l’implementazione di attività come quelle teatrali, musicali, cinematografiche,
danza e altre forme di spettacolo, la fotografia, le arti plastiche e figurative, il
design industriale. Si introduceva anche la vigilanza sullo sport, competenze
derivate dal soppresso Ministero dello sport, Turismo e Spettacolo. “Si realizzava
a livello organizzativo il trapasso dal bene culturale, inteso come res, all’attività
avente valore culturale”77.
Il Ministero si occupava di tutela, gestione e valorizzazione dei beni
considerati, secondo le disposizioni del d. lgs. 112/9878 e possedeva anche
competenze e risorse in materia di diritti d’autore, attraverso la vigilanza sulla
Società per il diritto d’autore; e competenze nel campo dell’editoria 79.
Recentemente, il d. lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 “Riorganizzazione del Ministero per
i beni e le attività culturali”, ha realizzato una riforma delle divisioni interne al
Ministero.
Come si può facilmente notare, gli interventi in materia di beni culturali
continuavano ad essere caratterizzati da affastellamenti di leggi e decreti che
sebbene avessero lo scopo di “rendere meno oscuro” l’ambito delle competenze
spettanti ai vari organi, non contribuivano a dare unitarietà al sistema.
77
V. ALIBRANDI, FERRI, cit., 118.
Ora abrogato dal d. lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
79
Cfr. VOLPE, cit., 329.
78
29
Alla fine degli anni Novanta, l’obiettivo dell’unitarietà sembrava meno
lontano: con l’emanazione della la legge 8 ottobre 1997, n. 352 “Disposizioni sui
beni culturali”, veniva affidato al Governo il compito dell’adozione di un decreto
legislativo recante un Testo Unico nel quale fossero riunite e coordinate tutte le
disposizioni vigenti in materia di beni culturali e ambientali80. Sebbene l’utilizzo
di un Testo Unico implicasse l’accorpamento unicamente dell’esistente con scarso
spazio per l’innovazione, era comunque un altro passo verso la riforma e la
semplificazione. Il Testo Unico emanato era contenuto nel d. lgs. 490/1999, e
trovava la sua base nella L. 1089/39 81, la quale rappresentava la legislazione di
riferimento del periodo storico precedente. Per quanto riguarda i rapporti tra Stato,
Regioni ed Enti Locali, la L. 1089 affidava la tutela solo allo Stato mentre il d.
lgs. 490/99 riprendeva le disposizioni contenute nel d. lgs. 112/98 riguardo i
trasferimenti di competenza dallo Stato alle Regioni.
Qualche anno dopo, con la L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione”, venivano nuovamente messi in
discussione e modificati i rapporti tra Stato e autonomie territoriali. Premesso
che, nell’esercitare la propria potestà legislativa, Stato e Regioni devono adeguarsi
al limite del “rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” 82, si poteva
individuare un rafforzamento dell’autonomia spettante a Regioni, Province, Città
80
L’art. 1 co.1 di tale legge recita infatti: “Il Governo delle Repubblica è delegato ad emanare,
entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo
unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni
culturali e ambientali. Con l’entrata in vigore del testo unico sono abrogate tutte le previdenti
disposizioni in materia che il Governo indica in allegato al medesimo testo unico.”
81
La quale, con l’entrata in vigore del Testo Unico, viene abrogata.
82
Art. 117 co. 1.
30
Metropolitane e Comuni; con questa riforma lo Stato è tutt’ora titolare di una
potestà legislativa che può definirsi “speciale”, poiché esso è legittimato a
disciplinare in via esclusiva, con proprie leggi, solo una serie di materie
tassativamente elencate nel comma 2 dell’art. 117 Cost.. Per le restanti materie, la
potestà legislativa va alle Regioni, che si trovano perciò a disporre di una potestà
generale, che precedentemente spettava allo Stato.
In base a quanto dispone il nuovo art. 117 Cost., alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato viene riservata la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali”83, mentre alla potestà legislativa concorrente è assegnata la
“valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “promozione e organizzazione
di attività culturali” 84. La valorizzazione è ripartita tra Stato e Regioni in maniera
orizzontale, secondo il criterio dell’appartenenza del bene, e in maniera verticale
secondo lo schema della legislazione concorrente. Le materie appena citate
verranno disciplinate con legge statale solo per quanto riguarda la determinazione
dei principi fondamentali.
Il legislatore costituzionale non fa nessun riferimento alla gestione, che la
legislazione ordinaria, invece, include tra le attività delle quali possono essere
oggetto i beni culturali85.
E siamo all’ultima tappa, in ordine di tempo, del percorso di riforma e
semplificazione perseguito dal legislatore: l’emanazione di quello che viene
comunemente definito “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, entrato in
vigore il 1° maggio 2004, attraverso il d. lgs. 42/2004. Tale decreto attua la legge
83
comma 2, lett. s).
comma 3.
85
In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 106 – 109.
84
31
delega 6 luglio 2002, n. 137 “Delega per il riassetto e la codificazione in materia
di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto
d’autore” che all’articolo 10 delega il Governo ad emanare uno o più decreti
legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali86. Il Governo avrebbe dovuto seguire taluni
principi e criteri direttivi, tra cui: adeguamento agli articoli 117 e 118 della
Costituzione;
adeguamento
alla
normativa
comunitaria
e
agli
accordi
internazionali; adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche;
aggiornamento degli strumenti per la conservazione e la protezione dei beni anche
con la costituzione di fondazioni; riorganizzazione dei servizi anche attraverso la
concessione a soggetti diversi dallo Stato87.
Il Codice è stato emanato a pochi anni di distanza dalla creazione del Testo
Unico. Le motivazioni più plausibili si rintracciano nella già citata modifica del
Titolo V parte seconda della Costituzione e nella mancanza di innovatività del
provvedimento. Gli articoli 117 e 118 in particolar modo introducevano un
riassetto delle competenze e delle funzioni in capo allo Stato e alle Regioni: l’art.
117, come abbiamo visto, modificava i criteri di ripartizione di competenze
86
Art. 10 co.1: “(Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali,
spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore). 1. Ferma restando la delega di cui
all’articolo 1, per quanto concerne il Ministero per i beni e le attività culturali il Governo è
delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o
più decreti legislativi per il riassetto e, limitatamente alla lettera a), la codificazione delle
disposizioni legislative in materia di:
a) beni culturali e ambientali;
b) cinematografia;
c) teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo;
d) sport;
e) proprietà letteraria e diritto d’autore.”
Art. 1 co.1: “(Deleghe di cui all’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59). 1. Il Governo è
delegato ad adottare (…) uno o più decreti legislativi (…)”.
87
Cfr art. 10 co. 2 l. 137/2002.
32
legislative tra Stato e Regioni, rafforzando il ruolo regionale. Veniva, infatti,
indicato un doppio elenco di materie che si riferiscono o alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato o alla potestà concorrente, lasciando le materie non espresse
agli enti territoriali regionali. L’art. 118, invece, modificava la distribuzione di
funzioni amministrative tra centro e periferia, le quali “sono attribuite ai Comuni,
salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”88; si cerca di spostare il più possibile vicino ai
cittadini il centro amministrativo referente89.
Si ritiene che il Testo Unico non sia stato innovativo: esso ha sì
razionalizzato tutto l’immenso corpus legislativo che partiva dalle leggi del 1939,
ma non ha apportato alcuna sostanziale modifica, riportando quasi inalterata tutta
la normativa90. Se lo strumento del Testo Unico è un riordinamento di leggi già in
vigore, realizzato per facilitarne la conoscenza e l’applicazione, il Codice è invece
un testo organico che ha valore normativo di per sé, senza riferimento a leggi
precedenti, diretto a regolare la totalità di un vasto campo dell’attività giuridica.
La scelta di innovare la materia ricorrendo allo strumento del Codice fa
riferimento innanzitutto ad esigenze di aggiornamento e anche di armonizzazione
della disciplina per favorirne, allo stesso tempo, analisi e comprensione in
armonia appunto con i principi di semplificazione, secondo i criteri predeterminati
88
Comma 1.
In questo senso G. VIVOLI, Prime riflessioni sulla tutela del paesaggio alla luce del nuovo
Codice dei beni culturali e sul paesaggio (d. lgs. 42/2004), reperibile all’URL:
«http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/Codice_beni_culturali.htm»
90
Idem.
89
33
dal legislatore delegante91. La motivazione più forte rimane comunque la modifica
sostanziale della Costituzione, che ha reso necessario un adeguamento al mutato
scenario che andava creandosi.
La nozione attuale di bene culturale si desume dall’art. 2, co. 2, e dagli
artt. 10 e 11 del d. lgs. 42/2004: la definizione che troviamo riprende quella
contenuta nell’art. 148, co. 1, lett a) del d. lgs 112/98 92 ed è nuova rispetto a
quella fornita dal Testo Unico, il quale si limitava ad elencare i beni agli articoli 2
e 3. Tale innovazione opera tuttavia solo sul piano formale: infatti le formulazioni
del Testo Unico vengono poi riprese negli articoli 10 e 11 del Codice e troviamo
anche l’uso dell’art. 148 del d. lgs 112/98 93. Le entità che il legislatore descrive
come beni culturali sono caratterizzate dalla materialità, basti notare che gli
articoli 10 e 11 parlano di cose mobili e immobili. In ogni caso l’art. 2, co.2,
ultima parte consente la configurazione di uno o più tipi di beni culturali
immateriali, che quindi non consistono in beni mobili o immobili; possono essere,
ad esempio, opere della letteratura, della musica, dell’ingegno. C’è un altro punto
da considerare: le attività culturali, che secondo la Corte Costituzionale
“riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della
cultura”94 e non sono disciplinate dal regime giuridico dei beni culturali perché
non possono essere ricondotte ai tipi di cui si parla negli articoli 10 e 1195.
91
In questo senso TRENTINI, cit., 28.
Il testo integrale dell’articolo è già stato riportato precedentemente, in nota. Si noti che tale
decreto legislativo è stato abrogato con l’entrata in vigore del “Codice dei beni culturali e del
paesaggio”.
93
In questo senso, BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 2 - 3.
94
V. Corte Cost. 19 luglio 2005, n. 285; e 21 luglio 2004, n. 255; BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO,
cit., 4.
95
Cfr. BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 4.
92
34
Per quanto riguarda le categorie speciali all’art. 11, vengono considerati
una serie più ampia di beni rispetto a quella che prevedeva il Testo Unico:
troviamo infatti “opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte
di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni” e “le
opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico”96.
La normativa statale ora vigente in materia di tutela, valorizzazione e
fruizione dei beni culturali e paesaggistici è quindi quella contenuta e disciplinata
nel Codice97.
Si noti che il termine “ambiente” usato per il Testo Unico, è stato sostituito
dal termine “paesaggio”. La Corte Costituzionale era già intervenuta,
riconoscendone la novità: “il paesaggio passa da una tutela puramente estetica di
cose e di luoghi, considerati ciascuno per se stesso, ad una tutela di carattere
globale”98, inoltre il sostantivo paesaggio evita la confusione tra i Ministeri, dal
momento che già esiste un Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
Nel maggio 2006 sono entrate in vigore alcune modifiche al d. lgs 42/2004
tramite il d. lgs. 24 marzo 2006, n. 156 “Disposizioni correttive ed integrative al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali” ed il d.
lgs. 24 marzo 2006, n. 157 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”. La riforma tocca il
procedimento di “verifica dell’interesse culturale” e di autorizzazione per
interventi edilizi sui beni tutelati; riguarda inoltre il livello di valorizzazione dei
96
Art. 11 lett. d) e lett. e).
Cfr. R. TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Milano, 2004, 2.
98
Idem, 149.
97
35
beni culturali attraverso la gestione diretta o indiretta dei beni, di cui si parlerà più
diffusamente in seguito.
1.2
Uno sguardo all’estero, la dimensione sovranazionale dei beni
culturali
Nel primo paragrafo è stata trattata in dettaglio la nascita, lo sviluppo e
l’affermazione del dovere di protezione dei beni culturali nel nostro paese.
Percorso lungo, che ha conosciuto momenti storici di disinteresse, incuria e
abbandono ed altri caratterizzati, invece, da fervore e vitalità nel riconoscimento
di un patrimonio nazionale meritevole di tutela efficace, mirata e duratura.
Durante le guerre era prassi saccheggiare i paesi conquistati e
impossessarsi dei loro beni, attività considerata legittima poiché nei trattati di
armistizio erano inserite delle clausole in merito, appositamente studiate. È
possibile riconoscere un’attenuante al fautore principale di questa pratica:
Napoleone Bonaparte; egli intendeva contribuire alla crescita culturale del proprio
paese e non a caso in Francia in quel periodo erano stati istituiti alcuni tra i più
famosi musei del mondo, tra cui il Louvre. Questo museo conteneva molti
importanti collezioni artistiche appartenenti alle dinastie più antiche d’Europa,
acquisite in una prospettiva lungimirante di pubblica fruizione del patrimonio,
favorendo il passaggio verso una concezione più moderna di museo, che si
preoccupa di far progredire la società99. Col passare del tempo, in numerosi trattati
di pace erano state previste clausole di restituzione e si era affermato quindi il
99
In questo senso D. AMIRANTE, V. DE FALCO, Tutela e valorizzazione dei beni culturali, aspetti
sopranazionali e comparati, Torino, 2005, 9.
36
principio di ricostituzione dei singoli patrimoni nazionali, in relazione a criteri di
sovranità e proprietà, ma anche di legami con il territorio e la collettività100. Si
potevano, così, individuare un nucleo di norme, dapprima consuetudinarie, che
regolavano il comportamento delle parti a livello internazionale. Si veniva
affermando un diritto dei beni culturali, regolato dal diritto pubblico, essendo i
beni considerati oggetti di particolare pregio attribuiti alla sovranità 101. Dopo le
norme di natura consuetudinaria era cresciuta l’importanza della codificazione,
attraverso la predisposizione di numerose convenzioni, ma ciò solo dalla seconda
metà del XIX secolo. Grossa influenza sulle successive codificazioni aveva avuto
la Dichiarazione di Bruxelles del 1874 che conteneva principi che per la prima
volta erano accorpati in un progetto generale su questa materia, come l’impegno
dei paesi belligeranti a prendere tutte le misure necessarie per preservare gli
edifici destinati al culto, all’educazione, alle arti. Questi principi erano stati poi
ripresi nelle due Convenzioni dell’Aja, elaborate nel 1899 e nel 1907. La tutela
durante la Prima Guerra Mondiale, però, era rivelata insufficiente. Tra le due
guerre erano stati proposti vari progetti di protezione, tra cui quello dell’Ufficio
Internazionale dei Musei che ancora però non avevano dato risultati apprezzabili.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale chiunque poteva rendersi conto della
situazione di degrado in cui versavano gli Stati e dell’enorme quantità di perdite
subite, sotto diversi punti di vista. Tale contesto aveva almeno favorito la
cooperazione tra le Nazioni, per raggiungere scopi di interesse comune, mediante
100
Cfr. M. FRIGO, La circolazione internazionale dei beni culturali, Milano, 2001, 83, 84.
Cfr. I. DE PAZ (a cura di), Il diritto dei beni culturali nell’Unione Europea, Genova, 2004, 18;
L. MEZZETTI (a cura di), I beni culturali, esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti,
Padova, 1995, XV.
101
37
la costituzione di organizzazioni internazionali, associazioni di stati dotate di
personalità giuridica. Uno degli obiettivi principali era l’affermazione di principi
di giustizia sociale, solidarietà, dignità e libertà per ogni uomo. L’attenzione
successiva anche per i beni e il patrimonio culturale va inquadrata in questa
prospettiva più ampia di realizzazione di valori di tipo etico – sociale. Si era
realizzato in questo modo un profondo dinamismo, fondamentale sia per la
trasmissione del patrimonio alle generazioni future sia per l’individuazione delle
peculiarità legate alla fruizione, a livello nazionale e internazionale 102.
Nei successivi sottoparagrafi verranno analizzate le diverse tipologie di
organizzazioni internazionali e il loro operato, assieme alle tappe fondamentali
segnate dalle convenzioni internazionali. L’indagine si sposterà poi sul contesto
europeo, attraverso la politica culturale e la produzione normativa; infine, verrà
proposta una comparazione tra alcuni paesi europei in merito alle rispettive
organizzazioni interne.
1.2.1 Organismi e convenzioni internazionali per la tutela dei beni culturali
Dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1945, è stata istituita
l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), una delle più conosciute
organizzazioni internazionali. Tra i vari compiti suoi propri troviamo la
promozione della cooperazione tra gli Stati a molteplici livelli, tra cui quello
culturale e il perseguimento della pace e della sicurezza nel mondo. È nel contesto
di collaborazione internazionale culturale ed educativa che può essere inquadrata
102
In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 5.
38
un’altra
organizzazione
internazionale,
nata
nell’ambito
dell’ONU:
l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura
(U.N.E.S.C.O.), istituita a Parigi sempre nello stesso anno. Anch’essa riprende
taluni degli obiettivi fatti propri dall’ONU e opera promuovendo la cooperazione
tra le Nazioni e verificando la conservazione e la protezione del patrimonio
universale formato da opere d’arte, monumenti, libri. Un efficace strumento per
realizzare questi compiti è la convenzione: si ricorda per la sua particolare
importanza la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto
armato, firmata all’Aja nel 1954, e ratificata in Italia nel 1958, che costituisce il
primo strumento internazionale interamente ed esclusivamente dedicato ai beni
culturali ed inoltre reca con sé l’utilizzo, per la prima volta in un trattato
internazionale, dell’espressione “beni culturali”, interiorizzata dagli Stati e ormai
entrata nel linguaggio comune. Sullo stesso filone riguardante la difesa del
patrimonio si pone la convenzione di Parigi del 1972, riguardante la protezione su
di un piano mondiale del patrimonio culturale e naturale. Si devono ricordare due
principi: da un lato l’esistenza di un patrimonio mondiale comune che supera le
realtà nazionali e dall’altro la presenza di un principio di sovranità degli Stati
nell’ambito dei loro territori103. I beni che rientrano nella nozione di patrimonio
culturale e naturale vengono specificati nella Convenzione stessa, in modo da
individuarne l’ambito di applicazione. Gli Stati firmatari li individuano nel loro
territorio e provvedono alla loro iscrizione in una particolare lista di beni di
“valore universale eccezionale” garantendone la protezione, la conservazione e la
103
Idem, 23, 24.
39
valorizzazione. Facciamo un passo indietro, nel 1970 era stata firmata ancora a
Parigi un’altra Convenzione U.N.E.S.C.O., atta ad implementare misure da
adottare per impedire e vietare l’illecita importazione, esportazione e
trasferimento di proprietà dei beni culturali. Si era sentita, infatti, l’esigenza di
proteggere il patrimonio presente su ciascuno Stato da queste attività illegali e si
era rafforzata, così, l’idea che fosse necessario proteggere il patrimonio sia a
livello nazionale che internazionale, attuando una stretta collaborazione. La
Convenzione suddetta presentava però delle questioni irrisolte e di difficile
interpretazione: non riusciva a penetrare in profondità nelle controversie tra
privati o tra stati e privati, arrestandosi all’ambito del diritto internazionale
pubblico e attuando comunque una cooperazione generica fra gli Stati104. Questi
sono senza dubbio alcuni dei motivi che avevano spinto l’U.N.E.S.C.O. a
coinvolgere l’Istituto Internazionale per l’unificazione del diritto privato,
l’UNIDROIT, affinché elaborasse uno studio volto ad approfondire la tematica
della restituzione dei beni culturali trafugati, dal punto di vista privatistico. La
Convenzione elaborata dall’UNIDROIT nel 1995 avrebbe dovuto costituire uno
strumento complementare alla già citata Convenzione di Parigi del 1970,
attraverso l’introduzione di norme materiali uniformi nei rapporti privatistici105.
La Convenzione UNIDROIT cerca tutt’oggi di agevolare la restituzione dei beni
culturali e di rafforzare la cooperazione culturale internazionale per una più
efficace preservazione e protezione del patrimonio culturale.
104
105
Cfr. FRIGO, cit., 136.
In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 38.
40
A completare il quadro delle organizzazioni intergovernative intervengono
il Consiglio d’Europa e la stessa Comunità Europea. Il Consiglio d’Europa è la
più antica organizzazione politica dell’Europa occidentale. Questo organismo è
stato istituito nel 1949 e si è distinto per l’adozione di numerose convenzioni, a
livello europeo, relative a specifici settori: archeologia, architettura, paesaggio.
Della Comunità europea parleremo in seguito, ma merita attenzione anche un altro
organismo intergovernativo: l’International centre for the study of the
preservation and the restoration of cultural property 106 (I.C.C.R.O.M). Esso è
nato nel 1956, nell’ambito di una conferenza generale dell’U.N.E.S.C.O.; in
seguito ad un accordo col governo italiano, si è deciso di fondare tale centro a
Roma, nel 1959. Questo organismo si avvale dell’attività di numerosi esperti
specialisti, i quali si occupano dei problemi tecnico – scientifici di conservazione
e restauro. Le molteplici attività possono essere svolte anche in collegamento con
altri istituti come il Consiglio internazionale per i monumenti e i siti storici,
I.C.O.M.O.S., fondato nel 1965, con sede a Parigi, importante nel settore della
conservazione del restauro. Altri contributi possono derivare anche dal Consiglio
internazionale dei musei, I.C.O.M., fondato nel 1946, il cui scopo è la promozione
e lo sviluppo dei musei nel mondo e la diffusione della cooperazione fra le
istituzioni museali e gli operatori del settore. Tale struttura è affiliata a numerose
associazioni internazionali e fornisce assistenza tecnica all’U.N.E.S.C.O. e ai
paesi membri. Si ricorda soprattutto che l’I.C.O.M. ha fornito una definizione di
museo, argomento che vedremo comunque in seguito.
106
Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali.
41
1.2.2 I beni culturali e l’Unione Europea
Il trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Economica Europea,
non conteneva alcuna disciplina specifica volta a regolamentare i beni culturali.
Non c’erano norme che servissero a tracciare il ruolo della Comunità rispetto agli
Stati membri e le modalità di azione della stessa in ambito culturale: gli obiettivi
perseguiti infatti erano di natura strettamente economica. Nel trattato istitutivo il
patrimonio era preso in considerazione solo come “motivo” per derogare al
principio di libera circolazione tra gli Stati membri, in questo caso libera
circolazione delle merci. Tale deroga, prevista nell’articolo 36 107, imponeva
l’individuazione specifica dei beni culturali appartenenti al patrimonio, per
poterne usufruire. Numerosi sono stati i conflitti sorti sull’ampiezza di questa
deroga e altrettanto numerose le pronunce del giudice comunitario. Secondo la
Corte di Giustizia i beni di interesse storico, artistico e archeologico erano
comunque considerati merci a cui potevano essere applicati divieti o restrizioni.
Nel periodo che va dagli anni Settanta ai Novanta, la Comunità Europea
aveva avviato una discussione sulla tutela del patrimonio artistico; di fatto non era
ancora stata fissata una norma sul patrimonio culturale, che stabilisse principi,
criteri e mezzi.
Un passo importante è stato l’introduzione dell’Atto Unico Europeo nel
1986, la prima riforma ufficiale e sostanziale del settore della cultura. Esso aveva
ampliato poteri e politiche della Comunità e nella dichiarazione allegata al testo
unico si era affermato che gli stati avevano diritto di adottare le misure necessarie
107
Articolo che fa riferimento al patrimonio storico, artistico e archeologico della nazione; nella
numerazione precedente, del trattato di Amsterdam, era articolo 30.
42
in materia, tra le altre cose, di lotta contro il traffico di opere d’arte e di antichità.
Si discuteva inoltre sull’inserimento di un articolo specifico sulla cultura, misura
che sarebbe stata presa solo nel 1992 con il trattato di Maastricht, con il quale era
stata introdotta una vera e propria “politica culturale europea”. L’aspetto della
cultura “assurge ad interesse pubblico di rango primario”108, divenendo la
cooperazione culturale fra gli stati membri un obiettivo ufficialmente riconosciuto
dell’azione comunitaria. Il titolo XI109 all’art. 128110 sanciva gli obiettivi
dell’azione comunitaria in materia di “cultura”: il compito dell’Unione doveva
essere quello di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel
rispetto delle loro diversità culturali111, di incoraggiare la conoscenza e la
diffusione delle culture e della storia dei popoli, di conservare il patrimonio
europeo112 e infine di favorire la cooperazione tra gli stati, con i paesi terzi e con
le organizzazioni internazionali113. Tutto ciò spinto dai “vantaggi che potevano
derivare al processo di integrazione economica dal perseguimento di una forma
di integrazione culturale”114. L’art. 128115 era l’unica base sicura su cui si
fondavano le politiche culturali: esso indirizzava l’azione delle istituzioni
dell’Unione verso il sostegno sia della cooperazione fra gli stati membri, che delle
politiche nazionali in materia. Sulla base di tale articolo la Comunità aveva varato
108
Vedi A. FANTIN, La cultura e i beni culturali nell’ordinamento comunitario dopo la
Costituzione
Europea,
reperibile
all’URL:
«http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/3/fantin.htm»
109
Ora titolo XII del trattato di Amsterdam.
110
Ora art. 151 del trattato di Amsterdam.
111
Comma 1.
112
Comma 2.
113
Comma 3.
114
V. B. ACCETTURA, I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, reperibile
all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2003/2/accettura.htm»
115
Ora art. 151 del trattato di Amsterdam.
43
i primi programmi di sostegno economico al settore culturale. L’articolo
prevedeva inoltre che le maggiori responsabilità e i maggiori compiti in materia
restassero affidati ai singoli Stati.
Il trattato di Amsterdam del 1997 poneva semplicemente una nuova
formulazione dei trattati precedenti e confermava il principio di tutela dei
patrimoni culturali nazionali.
La Comunità ha anche il compito di elaborare programmi comunitari in
materia di cultura. L’organo preposto a tal compito è la Direzione generale
istruzione e cultura della Commissione Europea. Questi programmi si occupano in
generale di formazione, gioventù, cultura, sport e incoraggiano la cooperazione
europea e stimolano l’innovazione116. L’azione comunitaria era già iniziata negli
anni Ottanta, con azioni finalizzate al sostegno del patrimonio e la formazione del
personale nel settore della conservazione. Dalla fine del decennio si era preferito
concentrare risorse e iniziative verso un unico tema per un anno, con criteri di
selezione e bandi pubblicitari sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità. Ricordiamo
i programmi elaborati da metà degli anni Novanta: Raffaello, per la salvaguardia e
la valorizzazione del patrimonio; Arianna, per il settore letterario; Caleidoscopio
che coinvolgeva anche il settore delle arti applicate e del multimediale. Questi
programmi hanno costituito la prima fase della realizzazione dell’azione
comunitaria nel campo culturale, tramite il rafforzamento e l’estensione delle
collaborazioni transnazionali, il miglioramento dell’accesso del pubblico alla
cultura e la promozione di attività culturali europee. Facendo tesoro delle
116
Cfr. P. GROSSI, I programmi specifici nel settore del patrimonio culturale, in DE PAZ (a cura
di), cit., 53, 54.
44
esperienze realizzate e con la crescente importanza del settore della cultura, la
Comunità aveva approvato il primo Programma Quadro della durata di cinque
anni, per il periodo 2000 – 2004, denominato Cultura 2000. La principale finalità
della Comunità era l’azione organica e omogenea, attraverso un unico strumento
di programmazione e finanziamento. Le attività erano realizzate con la
collaborazione di più stati e perseguivano svariati obiettivi, tra cui migliorare
l’accesso alla cultura, conservare e valorizzare il patrimonio, favorire la creazione
di prodotti multimediali, promuovere il dialogo tra le culture e diffondere con le
nuove tecnologie le manifestazioni culturali dal vivo. L’ultimo passo, in ordine di
tempo, nella politica europea, è stata l’emanazione della Costituzione Europea, la
quale, tuttavia, ha incontrato parecchie difficoltà in sede di ratifica. Essa non
presenta delle sostanziali modifiche alle disposizioni che proponeva il trattato di
Maastricht nel titolo dedicato alla cultura, resta ferma l’intenzione da parte della
Comunità di non armonizzare il settore della cultura, ma operare solamente come
sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli stati. Sono stati
promossi nuovi strumenti di programmazione e finanziamento, tra cui il
programma Cultura per il periodo 2007 – 2013, che è indirizzato alla promozione
della circolazione transnazionale delle opere d’arte e dei prodotti culturali e
artistici, a sostenere il dialogo interculturale attraverso organismi culturali attivi a
livello europeo e il programma Media 2007, che vuole incentivare la
digitalizzazione e rafforzare la competitività del settore audiovisivo 117.
117
Cfr. I. QUADRANTI, La politica culturale europea nel periodo di riflessione sul futuro
dell’Unione, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/3/quadranti.htm»
45
1.2.3 Protezione in taluni Stati Europei e cenni su quella oltreoceano
Poniamo ora l’attenzione sui paesi che compongono l’Unione Europea. In
tutti gli Stati è riconoscibile una politica di protezione e valorizzazione dei beni
culturali; vedremo, quindi, come si declina la nozione di patrimonio culturale.
La politica che concerne beni culturali e cultura mostra effetti tangibili
solo nel lungo periodo: i benefici, infatti, non sono immediatamente percepibili e
non coincidono con i tempi ristretti del sistema politico. I costi, invece, sono
facilmente valutabili e creano comunque disaccordo e conflitto nella comunità 118.
L’analisi dei concetti di patrimonio toccherà i seguenti paesi: Spagna,
Germania, Grecia, Gran Bretagna e Francia, con particolare attenzione per lo stato
francese e quello britannico.
In Francia e in Spagna, nei primi interventi legislativi, venivano fornite
delle lunghe liste di oggetti ritenuti meritevoli di interesse, per passare poi, tra
Ottocento e Novecento, all’utilizzo di termini più sobri e onnicomprensivi come
“monumenti storici”, per la Francia, o “tesoro artistico nazionale”, per la
Spagna. Nel corso del Novecento era entrata in gioco l’espressione “beni
culturali”119, ma tale locuzione era stata completamente interiorizzata solo in
Italia; Francia e Spagna, invece, preferivano fare riferimento al “patrimonio
culturale”120. Il legislatore francese, utilizzando il termine patrimonio, voleva
evocare l’idea del passaggio, della trasmissione, come se il patrimonio fosse una
sorta di eredità che va preservata per poi essere consegnata integra ai posteri, i
118
In questo senso L. BOBBIO (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, 1992,
12.
119
120
Introdotta, come abbiamo visto, dalla Convenzione dell’Aja del 1954.
Cfr. BOBBIO, cit., 15.
46
quali a loro volta avranno lo stesso compito. Anche in Spagna si riconosce l’idea
dell’eredità; il valore tutelato è immateriale ed è strettamente connesso
all’interesse sociale. Si stabilisce con legge un’ampia definizione di patrimonio
culturale: “fanno parte del patrimonio storico spagnolo gli immobili e gli oggetti
mobili di interesse artistico, storico, paleontologico, archeologico, etnografico,
scientifico o tecnico”121.
In Germania ciò che viene tutelato ha un’estensione più limitata ed è anche
problematico fornirne una definizione univoca: si usa il termine “monumenti” che
non ha però un significato giuridicamente determinato. È difficile riconoscere una
corrispondenza coi beni culturali, anche perché la maggior parte delle leggi tutela
i beni immobili. La peculiarità è che il territorio statale ha subito plurime
frammentazioni e ciò non ha contribuito alla formazione di una sola espressione.
Ogni Land definisce ciò che è per esse rilevante come patrimonio e procede a
legiferare per quel settore122.
In Grecia si riconosceva già nell’Ottocento l’importanza storico – culturale
dei propri beni culturali, considerati ancora singolarmente come oggetti “di
valore” come le opere d’arte o comunque i beni archeologici. Si cominciavano a
proteggere questi beni antichi dalla sottrazione, poiché costituivano testimonianze
del passato e della civiltà. La Costituzione greca parla di “ambiente culturale” e
la giurisprudenza ha talmente esteso il concetto da influenzare e modificare la
legislazione in vigore. Oltre a beni immobili e mobili, i beni tutelati sono sempre
121
V. ACCETTURA, cit.
Cfr. G. COFRANCESCO, I beni culturali, profili di diritto comparato ed internazionale, Roma,
1999, 133.
122
47
più astratti, si avvicinano alla memoria storica e all’estetica 123. Nonostante
l’ampia tutela riconosciuta ai beni, non esiste una vera e propria definizione. Un
disegno di legge del 2001 proponeva una definizione che si avvicinava a quella
data dalla Commissione Franceschini: “bene culturale come testimonianza
dell’attività individuale e collettiva dell’uomo”124.
Ma approfondiamo alcuni aspetti che riguardano la tutela del patrimonio in
Gran Bretagna e in Francia.
L’interesse per le antichità è nato, in Inghilterra, nel tardo Settecento,
quando era diffusa la prassi dei Grand Tours125, alla scoperta delle antichità
greche e romane, ma solo nella seconda metà dell’Ottocento veniva fondata la
prima “Society for the protection of ancient buildings”, un soggetto privato con
finalità di conservazione del patrimonio interno allo stato.
Il Regno Unito presenta delle forti peculiarità rispetto agli altri Stati: non
esistono nozioni di patrimonio o di bene culturale paragonabili a quelle già
rinvenute, non si fissano categorie. Ne consegue che la materia possiede una tutela
“elastica”, che si adatta alle situazioni e trae gran parte della sua forza
dall’esperienza. L’unica definizione usata è “cultural heritage”, concetto
onnicomprensivo a cui si fa riferimento per fondare tutte le misure di protezione.
Si noti, però, che le forme di tutela più forti e incisive vanno verso i beni immobili
e i siti archeologici; i beni mobili, invece, non sono sottoposti a una vera e propria
protezione.
123
In questo senso MEZZETTI (a cura di), cit., 339 – 341.
V. ACCETTURA, cit.
125
Cfr. par. 1.1.
124
48
Nel Regno Unito l’azione dei privati volontari è stata più tempestiva di
quella dello Stato. Le motivazioni sono prevalentemente socio culturali:
l’immobile circonda il cittadino e la sua distruzione incita un immediato
intervento. In questo paese inoltre tutelare il patrimonio immobiliare è sempre
andato di pari passo con la regolazione dello sviluppo urbanistico e architettonico
e lo sfruttamento del territorio 126. Gli interventi cominciano all’inizio del
Novecento per controllare lo sviluppo delle aree urbane, compiti affidati
inizialmente a uno specifico Ministero, confluito poi nel Department of
environment, (Dipartimento dell’Ambiente), che oggi è Department of the
environment, transport and the regions127. Lo affianca, nel settore della cultura, il
Department of national heritage, che oggi è divenuto Department of national
heritage, media and sport128. Il suo segretariato di stato ha assunto talune delle
funzioni prima appartenenti al segretariato di stato per l’ambiente, come la
redazione e approvazione delle liste di edifici meritevoli di tutela 129.
In Gran Bretagna ha un ruolo rilevante tutto l’apparato amministrativo
locale. Troviamo in particolare i District Councils, responsabili per la
conservazione e la tutela, i quali orientano l’urbanistica e forniscono
consulenze130. Il governo locale e quello centrale sono messi in comunicazione
attraverso delle commissioni, tra cui la Historic Buildings and monument
commission for England che nasce dalla fusione di precedenti associazioni ed è
126
Cfr. BOBBIO, cit., 118.
Con il relativo Secretary of State for the environment, transport and the regions.
128
Il quale è responsabile per le arti, i musei, le gallerie, le biblioteche, le esportazioni, la
radiodiffusione, il cinema, lo sport e il turismo.
129
Di cui si parlerà nel prosieguo di questo paragrafo.
130
Si prendono cura, inoltre, delle Conservation areas, delle particolari zone con importanza
storica, su cui un controllo locale ha sicuramente maggiore effettività.
127
49
più nota come English Heritage, la quale amministra i fondi messi a disposizione
dal Ministero concedendo sovvenzioni e finanziamenti, detti grants, e sorveglia la
politica di conservazione. Troviamo poi il National Heritage Memorial Fund che
si occupa di prevenire la svendita del patrimonio artistico nazionale a dei privati
che abbiano finalità speculative o ad acquirenti di altri paesi. Entrambi gli
organismi sono stati creati negli anni Ottanta e sono detti quasi – autonomous non
governmental organisation, o quangos, e si occupano anche dei compiti del
governo alleggerendo così il carico di lavoro e fornendo consulenza. Le
associazioni private sono numerose e svolgono compiti indispensabili, sia
consultivi che progettuali, sia di pressione che di mobilitazione. Su scala
nazionale, l’associazione in assoluto più importante è il National trust (for place
of historical interest or naturali beauty), fondato nel 1895, la cui logica è
parzialmente commerciale, ma non ha finalità di profitto e prospettive
concorrenziali. Acquista a somme modeste degli edifici che necessitano di
intervento di conservazione e restauro e lo fa con fondi propri o provenienti dallo
stato. Se possibile, gli edifici vengono lasciati in uso e anche aperti al pubblico. A
livello locale troviamo le Amenity societies, associazioni locali e di quartiere con
funzioni simili a quelle degli enti nazionali e anch’esse si occupano di
conservazione, e hanno funzioni consultive e promozionali.
In Gran Bretagna è importante distinguere tra i compiti di tutela e di
gestione. L’intervento pubblico è forte nella tutela, ma per quanto riguarda la
gestione, la tendenza è quella di affidarla ai privati, ogni qualvolta sia possibile e
per agevolarla si concedono grants. I progetti di finanziamento e conservazione
50
sono attivi in tutta la Gran Bretagna e i piani di svolgimento del progetto
comprendono anche il numero e l’entità degli investimenti.
È importante anche l’Heritage Lottery Fund, che attraverso il National Heritage
Memorial Fund distribuisce i proventi della lotteria nazionale destinati al
patrimonio culturale131. Queste associazioni sono estremamente attive in campo
culturale e predispongono dettagliati piani d’azione132.
Sono quindi tre i gruppi di soggetti che agiscono: apparati del governo
centrale, istituzioni culturali della società civile e autorità locali, il sistema
fornisce così una protezione articolata e diffusa, con attività policentrica.
È necessario specificare l’oggetto della conservazione; per farlo è
obbligatoria una primaria distinzione tra ancient monuments e historic buildings. I
primi sono edifici risalenti a un tempo precedente al 1700, di cui non si può fare
alcun uso; i secondi sono tutti gli altri edifici di interesse storico e artistico che si
prestino a qualche tipo di uso. Ad una prima distinzione ne segue una seconda,
poiché esistono due diversi modi di catalogazione: gli ancient monuments
vengono schedati in un apposito registro e appartengono così agli scheduled
monuments; gli historic buildings invece possono appartenere ai listed buildings, e
per farlo devono rispondere a particolari criteri.
131
Possiamo riconoscere una pratica simile anche in Italia, dal 1996 una legge stabiliva che “una
quota degli utili derivanti dalla nuova estrazione del gioco del lotto fosse destinata al Ministero
per i beni culturali, per assicurare interventi di conservazione e recupero” degli stessi.
132
Un efficace quadro di queste attività è reperibile sui siti web: «http://www.englishheritage.org.uk» e «http://www.hlf.org.uk», sito dell’Heritage Lottery Fund.
51
I differenti modi di catalogazione non dipendono da una scelta legislativa,
ma dalla stratificazione culturale. Sono importanti perché per eseguire qualsiasi
modifica e intervento sui monuments è necessaria un’apposita autorizzazione133.
È possibile fare alcune osservazioni di carattere comparatistico rispetto
all’ordinamento italiano: in primo luogo vediamo che, mentre lo stato italiano
tende all’accentramento e tutti gli interventi provengono dal Ministero, nel Regno
Unito si privilegia l’azione locale. Tuttavia, negli ultimi anni, la necessità di
un’azione più effettiva ha favorito in Italia, il decentramento e l’affidamento di
compiti agli enti locali. Nel nostro paese inoltre l’intervento dei privati è
prevalentemente a scopo di lucro 134 e la tutela si differenzia per i beni pubblici e
per quelli privati; i beni privati di particolare importanza hanno bisogno della
dichiarazione del vincolo, cioè di una notifica, per la tutela. In Gran Bretagna è
irrilevante che i beni siano pubblici o privati, inoltre la disciplina per la tutela dei
beni culturali fa parte della disciplina urbanistica, quindi nessun contrasto di
competenze come accade in Italia. Incontriamo una similitudine tra Italia e Regno
Unito per quanto riguarda gli edifici storici, essi devono avere eccezionale
interesse.
Passiamo a considerare qualche aspetto che riguarda la protezione del
patrimonio in Francia. Abbiamo già visto cosa intendono i francesi per patrimonio
culturale, l’idea di tramandare una ricchezza che deve essere quindi mantenuta
integra e per questo tutelata. Una vera e propria politica di tutela è riconoscibile
solo dopo la fine della Rivoluzione francese. Prima esisteva completa libertà nel
133
134
Cfr. BOBBIO, cit., 119 – 123; COFRANCESCO (a cura di), cit., 180 – 187.
Come si vedrà poi nel par. 1.3.2.
52
disporre dei monumenti antichi, ma poco a poco si prende coscienza del carattere
“nazionale” del patrimonio e del fatto che la sua difesa debba essere un compito
dei poteri pubblici. A metà dell’Ottocento è stata compilata una prima lista di
monumenti protetti da una commissione che si occupa anche di esaminare progetti
di restauro e richieste di contributi135. La prima legge organica di salvaguardia
risale alla fine del secolo, ma è solo con l’inizio del Novecento che troviamo
l’emanazione della legge che ha costituito l’inizio della moderna politica di tutela
e il testo fondamentale di riferimento. Siamo nel 1913: la legge136,
successivamente integrata e modificata, dispone la protezione di “beni immobili e
mobili che rivestono un pubblico interesse dal punto di vista storico e artistico, in
particolare siti storici, artistici, pittoreschi e leggendari, le città e i quartieri
antichi”137. Si riconoscono due diversi metodi di protezione: le classement o
l’inscription sur l’inventaire supplémantaire. Il provvedimento del classement è
più incisivo, il bene che vi è soggetto infatti non può essere, per ipotesi, distrutto o
modificato senza previa autorizzazione. Anche un bene di recente esecuzione può
essere incluso, riguarda sia beni mobili che immobili, sia pubblici che privati, ed è
necessario che avvenga un riconoscimento formale. Il patrimonio è comunque
generalmente riconosciuto come immobiliare e la protezione per i beni mobili
risulta meno intensa. L’iscrizione, invece, è una misura più debole per quanto
riguarda gli effetti. Il proprietario, infatti, è tenuto solo a informare il ministero dei
lavori che intende effettuare e quest’ultimo è legittimato ad opporsi solo
procedendo alla classificazione dell’immobile.
135
Cfr. BOBBIO, cit., 71, 72.
Loi du 31 Décembre 1913 modifiée sur les monuments historiques.
137
Cfr. S. ITALIA, I beni culturali in Italia e in Europa, Udine, 1999, 392.
136
53
Sia in Francia che in Gran Bretagna si assoggettano a regime di tutela i
beni che rientrano nelle definizioni fornite dalle disposizioni normative e tutto è
preceduto da una decisione pubblica, sia per i beni pubblici che privati. In Italia,
invece, il procedimento di riconoscimento del valore culturale è differente, a
seconda che si tratti di un bene di proprietà pubblica o privata, anche se, in ogni
caso, l’attività di protezione che ne consegue è la stessa138.
Le competenze relative al patrimonio inizialmente erano distribuite a vari
organi, solo nel 1959 le facoltà relative alle materie di interesse culturale vennero
riunificate in un nuovo apparato specializzato, il Ministero degli affari culturali,
che cambiò più volte denominazione fino ad approdare a quella attuale, Ministére
de la culture et de la communication.
Per quanto riguarda la ripartizione delle competenze, il sistema francese è
caratterizzato da una forma di decentramento amministrativo. Ogni regione,
infatti, ha una propria Direzione degli Affari Culturali che mette in pratica
l’attività del Ministero, con i dovuti adattamenti ai contesti regionali 139. È quindi
riconoscibile una struttura che predilige l’intervento specifico, per assicurare la
tutela più efficace, similmente a quanto avviene in Gran Bretagna.
Il Ministero si compone di molte direzioni e distaccamenti, che si
occupano di settori specifici, come la Direzione del patrimonio e dei musei di
Francia. In particolare il settore dei musei riveste grande importanza, la Reunion
des Muséès nationaux svolge funzioni di carattere commerciale, raccoglie e
distribuisce le entrate, organizza mostre, svolge il servizio di accoglienza.
138
139
Cfr. AMIRANTE, DE FALCO, cit., 200 e 205.
Cfr. ACCETTURA, cit.
54
La società francese è molto sensibile alle tematiche culturali e alla
valorizzazione del patrimonio, tanto da creare veri e propri enti pubblici 140.
L’intervento dello Stato è molto forte, sia per quanto riguarda il controllo tecnico
e scientifico sull’attività museale, sia perché lo stato destina alla cultura circa
l’1% del suo bilancio. Le attività culturali, poi, risultano connesse ai servizi
museali141.
Nel 1946 è stata emanata la Costituzione, nella quale il diritto alla cultura
risulta sancito e garantito, similmente a quanto avviene anche in Italia e si
demanda allo Stato la predisposizione dei mezzi che consentano ai cittadini di
godere del diritto sancito.
Infine con l’ordinanza n. 178 del 20 gennaio 2004 è stato adottato il “Code
du patrimoine”, il codice che regola e unisce in un compiuto sistema beni
culturali, archivi, biblioteche, musei, beni archeologici e siti, spazi protetti;
riprendendo le norme preesistenti.
Possiamo rilevare alcuni elementi di comparazione: in Italia e Francia è
sempre lo Stato, attraverso il Ministero, ad agire per la protezione e la gestione. In
Gran Bretagna le competenze gestionali, come si è visto, sono affidate alle
amministrazioni locali o agli enti autonomi. La Francia permette a qualsiasi ente
pubblico di intervenire: il suo problema però è il coordinamento delle azioni tra i
vari livelli di gestione.
Nel trattare la protezione oltreoceano ci si riferirà sia agli Stati Uniti, sia
all’Australia. Ciò servirà da introduzione per la parte finale della trattazione.
140
141
Come è successo per il museo del Louvre.
Cfr. ACCETTURA, cit.; F. BENHAMOU, L’economia della cultura, Bologna, 2001, 135.
55
L’Australia da sempre è vista come una terra lontana e sconosciuta, che
esercita un certo fascino nell’immaginario collettivo. Gli aspetti più rilevanti sono
i contrasti tra città molto moderne e la natura indomita, tra valori dell’occidente e
la spiritualità aborigena. Non è, quindi, un paese riconducibile ad una sola
immagine stereotipata, che comunichi immediatamente il suo spirito. La
convivenza di molte etnie diverse, con differenti origine, lingue e culture ha fatto
sì che potessero convivere insieme sia le più antiche tradizioni culturali sia una
mescolanza di culture portata dagli emigranti142.
Le fonti del governo mettono a disposizione cospicue somme di denaro per
finalità artistiche, culturali e di conservazione del patrimonio; si cerca anche di
sostenere e sviluppare la vita culturale e incoraggiare la partecipazione, secondo
una visione del patrimonio come “our legacy from the past, what we live with
today, and what we pass on to future generations” 143. I Governi australiani ai vari
livelli sono impegnati nella conservazione del patrimonio culturale della nazione e
nel renderlo accessibile al pubblico 144.
Il Dipartimento amministra le leggi del governo australiano che si
occupano della conservazione del patrimonio australiano naturale, indigeno e
storico. Ciò include la protezione nei seguenti ambiti: “World Heritage”,
“National Heritage”, “Commonwealth Heritage”, “Indigenous Heritage”,
“Movable Heritage” e “Shipwrecks”.
142
Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, About World Heritage, reperibile all’URL:
«http://www.environment.gov.au».
143
Idem.
144
Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Australian Heritage, reperibile all’URL:
«http://www.environment.gov.au/heritage/index.html».
56
Tra queste si segnalano le leggi sulla “Commonwealth Heritage”.
L’Australia è una nazione complessa, composta da popolazioni indigene ed
immigrate da quasi duecento paesi. Nonostante la mescolanza di tradizioni
diverse, si individua un patrimonio comune che distingue tutta la popolazione e la
qualifica come “australiana”. Il sistema australiano prevede un database145 che
fornisce informazioni riguardo a particolari luoghi protetti. È stata inoltre
implementata una fototeca digitale contenente fotografie di luoghi protetti146 e una
lista di luoghi o gruppi di luoghi con valore eccezionalmente rilevante per la
nazione147, sia naturali che indigeni, storici o derivati dall’unione di questi. I
luoghi presenti sulla lista sono protetti con tutti i poteri di cui dispone il governo
federale148.
Il Commonwealth regola anche la “Movable Heritage”. Data la presenza
di crescenti traffici commerciali, numerosi oggetti sono stati trafugati e
continuano ad esserlo, perciò può agire per far tornare in patria gli oggetti
esportati illegalmente. Altra peculiarità australiana è la presenza di migliaia di
relitti storici, compresi nelle leggi di protezione, appunto, sugli “Shipwrecks”,
oltre le spiagge della nazione, che vengono protetti come parte fondamentale del
patrimonio 149. Ci sono inoltre programmi che stanziano fondi da assegnare a
individui o gruppi per la protezione di luoghi e oggetti di rilevanza storica.
145
Australian Heritage Database.
Australian Heritage Photo Library.
147
National Heritage List.
148
Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Australian Heritage, cit.
149
Idem.
146
57
In Australia tutti i livelli di governo si prendono cura del patrimonio. Il sito
da cui sono tratte queste informazioni è gestito dal Governo Australiano 150. Sul
sito è presente anche una Australia Heritage Directory contenente una lista di
agenzie che si occupano del patrimonio. È presente anche un database per
rintracciare un particolare luogo e vedere se è considerato protetto o meno.
Consulente principale del Governo Australiano è l’Australian Heritage Council, il
quale valuta l’introduzione nelle varie liste esistenti di nuovi posti protetti o
l’esclusione da essa, si occupa della protezione di essi sotto qualsiasi forma 151.
Cerchiamo ora di capire la nascita e lo sviluppo della politica dei beni
culturali negli Stato Uniti152. Innanzitutto è necessario chiarire che l’esperienza
statunitense è nata essenzialmente come imitazione di altre esperienze,
essenzialmente europee, per poi diversificarsi e assumere proprie peculiarità.
Nell’esperienza statunitense esiste una pluralità di fonti normative, si devono
infatti tenere presenti tre livelli: federale, statale e locale 153. Inoltre, a differenza
della tradizione europea, i privati svolgono da sempre un ruolo estremamente
rilevante nella gestione dei beni. Il modello è fortemente decentrato per rispondere
a diverse esigenze. Per quanto riguarda la nozione di bene culturale, si desume
che sia diffusa una coscienza di “valore culturale” in relazione ai beni immobili e
150
«http://www.environment.gov.au».
COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, The Australian Heritage Council, reperibile all’URL:
«http://www.environment.gov.au».
152
Il testo sugli Stati Uniti fa riferimento a Mottola Molfino, cit., 240, ss.
153
Si ricorda che la Costituzione federale sta al vertice delle fonti. Subito sotto si trovano le leggi
federali adottate in attuazione di essa e i trattati internazionali. A un livello inferiore ci sono le
Costituzioni degli Stati e più sotto regolamenti e decreti adottati dalle amministrazioni locali.
C’è però differenza di competenza legislativa per materia: infatti la competenza federale è
eccezionale rispetto a quella statale. Ma anche nelle materie riservate al livello federale gli Stati
possono legiferare, senza però contraddire la legge federale.
151
58
luoghi teatro di importanti avvenimenti per la nazione, come testimonianze del
passato da lasciare alle future generazioni.
Per quanto riguarda il primo livello, quello federale, la tradizione di
conservazione e tutela del patrimonio era riconoscibile solo dalla metà del 1800.
Erano protetti inizialmente i luoghi storici legati alla guerra. Con questo e altri atti
successivi, come la destinazione ad uso pubblico di determinate aree, si andava
sviluppando la politica di riconoscimento di valori naturali, storici e culturali
associati al territorio, invece di uno sfruttamento a scopo di lucro.
All’inizio del Novecento era intervenuto il Congresso con l’Antiquities Act
che permetteva al presidente di dichiarare monumenti nazionali località o edifici.
Tuttavia non si era conseguentemente registrato un aumento della tutela, cosa che
invece si era realizzata solo nel 1916, con la creazione del National park service,
uno strumento operativo del Ministero degli Interni, col compito di promozione e
gestione di monumenti, parchi e riserve naturali. Tale ente era stato poi
riorganizzato e gli era stata attribuita la facoltà di acquisire beni immobili tramite
donazione, acquisto o altre modalità. Le sue mansioni si erano molto sviluppate,
esso poteva svolgere ricerche sulle località archeologiche; raccogliere materiale
come foto, disegni, mappe; stipulare contratti o accordi di cooperazione con Stati,
Comuni e associazioni per la protezione adeguata dei luoghi, tramite fondi
stanziati dal Congresso.
Nel 1949 era stato creato un altro organo, il National trust for historic
preservation, il quale si caratterizzava per una natura mista pubblico - privata ed
aveva il compito di conservare luoghi, edifici, oggetti ad esso affidati, a beneficio
59
pubblico. Ciò tramite donazioni in denaro, titoli o altri beni da parte dei soci o
successivamente dal Ministero. Qualche anno dopo National park service e
National trust for historic preservation potevano collaborare.
Negli anni Sessanta del Novecento lo spirito di conservazione storica era
universalmente diffuso, il Congresso ne aveva preso atto e aveva anche compreso
che a minacciarlo ormai erano la crescente urbanizzazione e la crescita del sistema
dei trasporti. Si emanavano così leggi per il controllo di questi fenomeni. Il
Ministero dei Trasporti da poco istituito doveva vigilare sulle opere e minimizzare
i danni.
Nel 1966, si emanava il National historic preservation act che poneva le
basi in materia di conservazione valide ancora oggi. È importante ricordare che lo
spirito di questo provvedimento incoraggiava iniziative individuali e collettive
alla conservazione, con mezzi privati, e a favorire la convivenza tra il passato e il
futuro per le nuove generazioni. Con esso si introducevano l’ Advisory council on
historic preservation e la cosiddetta “Sezione 106”. Il primo è l’unico organismo
federale competente solo per la conservazione storica, e il suo compito era di
compattare tutte le richieste che giungevano dai vari livelli: federale, statale e
locale.
La “Sezione 106” serviva a conciliare esigenze di sviluppo e necessità di
tutela dei beni, tramite una procedura di commutazione. Era divenuta importante
anche l’inventariazione di tutti i beni di valore storico, per poi inserirli nel
National register of historic places.
60
Negli anni successivi, tramite diversi provvedimenti, si allargava a
molteplici soggetti la possibilità di partecipare ai processi decisionali del
Governo: amministrazioni locali, privati proprietari, semplici cittadini sono solo
alcuni tra essi.
Per quanto riguarda il secondo livello, quello statale, è riconoscibile un
effettivo intervento solo dalla metà del 1900. L’importante National historic
preservation act, emanato a livello federale, aveva determinato un aumento delle
attività di conservazione degli Stati, e l’assegnazione di contributi finanziari aveva
incentivato la creazione di registri statali dei beni di interesse storico-artistico. Da
allora tutti gli Stati avevano iniziato a dotarsi di legislazione sulla conservazione,
legislazione che si presentava fortemente diversificata nei diversi territori. A
livello statale era molto forte la partecipazione dei privati, riuniti in associazioni
per la conservazione sia come singoli cittadini per provvedere ai restauri tramite
donazioni. Si possono trovare delle similitudini tra gli Stati: si ricorda che tutti
utilizzavano e utilizzano lo strumento dell’espropriazione per ottenere la proprietà
di un territorio da proteggere e che tutti prevedevano vari tipi di esenzioni o
incentivi fiscali ad esempio per donazioni di proprietà. I proprietari di località
storiche, inoltre, godono di speciali trattamenti tributari.
Gli Stati hanno anche un altro importante compito: la tutela dei beni
sommersi, presenti in grande quantità nelle acque navigabili. L’azione di recupero
dei privati però si era ben presto trasformata in saccheggio per prelevare gli
oggetti di maggior valore. Il problema era la mancanza di obblighi specifici per gli
61
Stati, anche in collegamento con la legislazione più generale, e quindi il problema
è a tutt’oggi aperto.
Il terzo livello, quello delle amministrazioni locali, è intuitivamente ancora
più frammentato. Sono autorizzate a operare sia su previsione federale che statale.
Il potere espropriativo è limitato, per l’elevato costo, ma è invece utilizzabile
quello di pianificazione del territorio , per la conservazione delle località storiche.
A tale scopo si creano distretti storici che servono a controllare le modifiche agli
edifici, ma non si verifica l’uso che viene fatto degli stessi.
1.3
Transizione da bene culturale a risorsa economica?
Fino agli anni Settanta non molte persone possedevano gli strumenti
informativi e formativi necessari per apprezzare i beni culturali; solo negli anni
Ottanta, grazie all’interessamento delle imprese, dei politici e dei mezzi di
comunicazione, il settore era divenuto degno di nota e meritevole di
valorizzazione. La stessa locuzione “bene” evoca una dimensione che va oltre un
mero criterio estetizzante, estende il campo d’intervento e introduce anche la
dimensione economica154. Si era diffusa, così, velocemente la consapevolezza del
valore economico dei beni e contemporaneamente è stata coniata un’espressione
assai evocativa per descriverli, “giacimenti culturali”. Negli anni Novanta,
l’attenzione è stata ancora più viva, e considerando gli insuccessi del passato, è
stato perseguito l’obiettivo della valorizzazione. I beni sono stati al centro di varie
154
S. DAGNINO, Nascita ed evoluzione dell’Unione Europea, in DE PAZ (a cura di), cit., 19.
62
dispute fra i fautori di tutela e conservazione e i fautori di gestione e
valorizzazione, più favorevoli ad uno sfruttamento più o meno razionale 155.
Scrivono Domenico Amirante e Vincenzo De Falco in Tutela e
valorizzazione dei beni culturali, aspetti sovranazionali e comparati 156: i beni
culturali sono “vittime del loro successo”, colpevoli di attrarre il turismo di massa
e di vivere un’epoca di “forti pressioni e grandi contraddizioni” in cui cresce la
“consapevolezza della importanza della loro protezione” e altresì la “richiesta di
consumo”. Negli ultimi decenni, specularmene al crescente riconoscimento del
loro valore civile e sociale, per lo sviluppo culturale, si è andato affermando
l’interesse per il loro valore economico. I beni vengono visti come strumenti “il
cui godimento e la cui utilizzazione corrispondono ad una risorsa a cui
attingere”157, per uno sviluppo economico della collettività nazionale, ma anche e
soprattutto della collettività territoriale. C’è però chi esorta a percepire “una
differenza fra economia e cultura” perché “il valore non si esaurisce nella sua
quantificazione economica”, ciò non toglie che “il valore attribuito al bene
culturale sia influenzato dalla società in cui si vive”158.
È difficile non cedere alla tentazione di considerare i beni una risorsa a cui
attingere nei momenti di necessità, dei “gioielli di famiglia”, come qualcuno li ha
definiti159.
155
In questo senso C. BODO, C. SPADA (cura di), Rapporto sull’economia della cultura in Italia,
1990-2000, Bologna, 2004, 198.
156
V. AMIRANTE, DE FALCO, cit., XI.
157
V. G. PASTORI, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze,
reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/3/pastori.htm»
158
V. MONTELLA, cit., 62, 63.
159
In questo senso SETTIS, cit., 7.
63
La normativa e la riflessione su questi temi cercano di stabilire un
equilibrio tra sfruttamento e protezione. Il valore economico tende in ogni caso ad
imporsi, vediamo, appunto, che anche a livello costituzionale, nel nuovo art.
117160, il concetto di “valorizzazione” evoca una dimensione in cui il bene è visto
come risorsa e servizio per la società.
Anche il documento di programmazione economico finanziaria per gli
anni 2003 – 2006 ridefinisce il comparto dei beni e delle attività culturali,
affermando che “in termini qualitativi dovrà passare da spesa tradizionalmente
“corrente” a spesa prevalentemente “per investimento” in quanto di importanza
strategica per lo sviluppo di rilevanti settori economico finanziari, dal turismo
alla promozione nazionale e internazionale di gran parte delle attività produttive
associate al marchio made in Italy” e continua promuovendo la “costruzione di
efficaci strumenti per favorire l’acquisizione di risorse private, quali la
partecipazione del Ministero dei Beni e delle attività Culturali a fondazioni e
società nonché l’affidamento in concessione a privati della gestione di servizi
finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica dei beni culturali”161.
160
Dopo la già citata riforma cost. del 2001, l. cost. 3/2001.
Documento di programmazione economico finanziaria per il 2003 – 2006, 5 luglio 2002, in CD
rom allegato a TRENTINI, cit.
161
64
1.3.1 Un quadro della situazione attuale: tutela, valorizzazione, fruizione,
gestione.
Tutela, valorizzazione, gestione sono nozioni utilizzate nel d. lgs.
112/98162 per definire il regime giuridico delle diverse forme dell’intervento
pubblico. In generale possiamo dire che la valorizzazione è fondamentale per
migliorare la conoscenza e la conservazione ed incrementare, così, la fruizione
collettiva, cioè un uso generale dei beni. Essa guarda al bene come risorsa e come
servizio, comprende tutta una serie di attività, diverse tra loro e con l’ambizione di
aumentare l’utilizzo dei beni culturali. Utilizzo può essere inteso come diffusione
della conoscenza con attività didattiche e divulgative e tutela della loro
integrità163. La tutela, invece, riguarda tutto ciò che è regolazione e
amministrazione giuridica dei beni, sul loro uso e la loro circolazione, e intervento
di protezione e difesa dei beni stessi, per prevenirne il deterioramento164. È
laborioso scindere il concetto di tutela da quello di valorizzazione, anche perché
quest’ultima è considerata una “forma dinamica di tutela” 165, ed è persino
dannoso, come suggeriscono taluni autori166. Tale divisione è stata però messa in
atto con la già più volte citata riforma costituzionale, ed è ripresa dal Codice dei
beni culturali e del paesaggio, di recente emanazione. La prima parte del codice si
occupa, nelle disposizioni generali, artt. 3 – 8, di ripartire le attribuzioni fra Stato,
Regioni ed Enti territoriali. Gli artt. 3 (tutela del patrimonio culturale) e 6
162
Che ricordiamo è stato abrogato dall’entrata in vigore del d. lgs 42/2004, “Codice dei beni
culturali e del paesaggio”.
163
In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 221.
164
Cfr. PASTORI, cit.
165
V. AMIRANTE, DE FALCO, cit. 221.
166
Tra cui SETTIS, cit., 79 e 108; e Battaglie senza eroi, Milano, 2005, 17.
65
(valorizzazione del patrimonio culturale) 167 definiscono gli ambiti di queste
funzioni, collegandosi sia alla riforma costituzionale del 2001 sia a quanto
disposto dall’art. 148 lett. c) ed e) d. lgs 112/98 168. Le definizioni vanno anche
oltre: la tutela è individuata come intervento di protezione e difesa e alla
valorizzazione spetta una posizione di completamento. Per questo si riconosce che
i due tipi di azione si integrano nelle funzioni e formano un compito unitario che
ha come scopo finale la “messa in valore” dei beni169. Ma il codice è riuscito a
creare questo sistema integrato di tutela e valorizzazione? La sua impostazione
cerca di rendere manifesta la valenza duplice e collegata dei beni culturali, come
valore e servizio, e altresì di costruire una sistema che integri tutela e
valorizzazione. Tali funzioni vengono infatti concepite per convergere l’una
nell’altra. La finalità sembra unitaria e sembra anche ben esplicita, purtroppo però
le competenze di governo e amministrazione non sono distribuite secondo un
sistema policentrico “a rete”, in cui istituzioni centrali, regionali e locali
167
“Articolo 3 (Tutela del patrimonio culturale):
1. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base
di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a
garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.
2. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare
e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale;
Articolo 6 (Valorizzazione del patrimonio culturale):
1. La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a
promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di
utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed
il
sostegno
degli
interventi
di
conservazione
del
patrimonio
culturale.
2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le
esigenze.
3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla
valorizzazione del patrimonio culturale.”
168
“Articolo 148 (Definizioni): “1. Ai fini del presente decreto legislativo si intendono per :
c) “tutela”, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad
assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle
finalità di tutela e valorizzazione;
e) “valorizzazione”, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e
conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementare la fruizione.”
169
Cfr. PASTORI, cit.
66
realizzano una proficua collaborazione. Il disegno ripercorre ancora l’assetto
tradizionale, il “modello binario di spartizione delle competenze” 170. Uno dei
pochi segni di apertura è la facoltà per il Ministero di attribuire l’esercizio di altre
funzioni alle Regioni; in pratica una sorta di delega, conferita non con legge ma
con atto amministrativo.
L’articolo 111, contenuto nel titolo II (fruizione e valorizzazione) del capo
II (principi della valorizzazione dei beni culturali), descrive in modo più specifico
l’attività di valorizzazione, dà gli elementi generali di disciplina. L’articolo
assomiglia molto alla definizione che veniva data dell’attività di gestione nel d.
lgs 112/98. La differenza è che oggi gli interventi tendono alle finalità proprie
della valorizzazione e non sono solo più funzionali alla tutela. Si è accennato alla
fruizione: essa consiste nell’insieme delle attività che della tutela rappresentano lo
sbocco necessario: si individua, si protegge e si conserva il bene culturale affinché
possa essere offerto alla conoscenza ed al godimento collettivo. Così la fruizione
funge da congiungimento della “frattura” tra tutela e valorizzazione. La gestione
del bene non è un’autonoma funzione, è un insieme di attività strumentali di tutela
e valorizzazione. Quindi il punto di sintesi tra tutela e valorizzazione, nella
gestione del bene, è dato dalla nozione di servizio pubblico di fruizione del bene
culturale171. La gestione non viene appunto menzionata come funzione a sé stante
e non è considerata nemmeno dalla Costituzione. Si potrebbe perciò pensare che
sia stata fusa all’interno del concetto di valorizzazione 172. Effettivamente la
170
Idem.
In questo senso VOLPE, cit., 282.
172
Cfr. C.BARBATI, L’attività di valorizzazione
«http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/1/art.111.htm»
171
67
(art.111),
reperibile
all’URL:
gestione non ha più una sua propria identità e deposita molti dei suoi contenuti
nella valorizzazione e nella fruizione. Ciò è abbastanza evidente se si analizzano
gli articoli che appartengono al capo II, in cui sono presenti molte attività prima
appartenenti alla gestione, come i servizi aggiuntivi. Anche questo riporta la
possibilità di riconoscere un ruolo ai privati in materia di valorizzazione, cosa già
individuata in precedenza dall’articolo 6. I privati possono intervenire in maniera
attiva, se la parte pubblica necessita di risorse esterne, umane, tecniche ed
economiche. Ciò può essere visto come introduzione all’art. 115 la cui rubrica
recita “forme di gestione” ed è inserito nel capo II che riguarda i principi della
valorizzazione173. L’attività di gestione è un insieme di compiti in cui tutela e
valorizzazione tendono a completarsi vicendevolmente ed entrambe ricevono
supporto dalla gestione174. L’attività di gestione è propedeutica a tutela e
valorizzazione, inoltre mira ad assicurare la fruizione dei beni culturali. È
necessario predisporre un’organizzazione di risorse materiali e umane, essenziale
alla tutela e alla valorizzazione175. L’espressione forme di gestione descrive tutto
il complesso di provvedimenti, sia organizzativi, sia procedimentali, sia finanziari,
attraverso i quali i diversi soggetti, pubblici e privati, organizzano o collaborano
all’esercizio di attività riconducibili all’ambito della valorizzazione. Le
disposizioni che riguardano la gestione hanno avuto una gestazione molto lunga e
sono state ulteriormente corrette col d. lgs 24 marzo 2006, n. 156 recante
“Disposizioni correttive ed integrative al d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in
173
Idem.
In questo senso VOLPE, cit., 289.
175
Cfr. P. CARPENTIERI, Servizi: passa la pluralità dei modelli di gestione, in Guida al dir., fasc.
spec. n. 4/2004, 122.
174
68
relazione ai beni culturali”. Ma sembra che il percorso relativo a quest’argomento
non possa ancora considerarsi concluso 176.
L’articolo 115, nella sua riformulazione, è la disposizione tramite la quale
il legislatore statale disciplina il modo in cui gestire le attività di valorizzazione
dei beni culturali di appartenenza pubblica. Vengono delineate due possibilità:
gestione diretta o gestione indiretta, ciascuna delle quali possiede particolari
caratteristiche. Nel secondo comma si descrive la gestione diretta: un intervento di
un ente pubblico per gestire attività e/o servizi, realizzato basandosi su
articolazioni interne fornite di autonomia e con idoneo personale. Con le
modifiche del 2006 si rende possibile realizzare tale tipo di gestione in forma
associata, mediante la creazione di un consorzio. Questo ente, pur essendo
funzionale alle amministrazioni che lo costituiscono, deve avere autonoma
personalità giuridica pubblica, un proprio statuto e propri organi.
Il terzo comma introduce la gestione indiretta, la quale prevede la
concessione a terzi delle attività di valorizzazione, tecnica che viene definita
esternalizzazione o outsourcing, avvalersi cioè di risorse esterne, in modo
particolare ricorrendo alle risorse finanziarie o alle esperienze e ai mezzi
privati177. La scelta fra le due diverse tipologie dipende dal risultato di una
valutazione comparativa per la sostenibilità economico – finanziaria e una
valutazione di efficacia in base a obiettivi posti come base. La pratica
dell’esternalizzazione nel settore della cultura risale nel tempo agli anni Novanta,
periodo in cui si pongono le prime disposizioni sulle forme di gestione e si profila
176
177
Cfr. BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 197.
Idem, 197.
69
in modo più incisivo il possibile intervento dei privati. Troviamo dapprima la cd.
“Legge Ronchey” che si occupava dell’affidamento dei servizi di fruizione per il
pubblico, denominati servizi aggiuntivi, ai privati; successivamente il d. lgs. 20
ottobre 1998, n. 368, che istituisce il Ministero per i beni culturali, estende
l’esternalizzazione al settore della cultura, all’articolo 10. Paradossalmente si
preferisce affidare la gestione dei beni ai privati piuttosto che alle autonomie
territoriali, introducendo la possibilità per il Ministero di stipulare accordi soggetti
privati per la valorizzazione dei beni culturali178. Il percorso continua con la legge
finanziaria per il 2002, l. 28 dicembre 2001, n. 448, che all’art. 33 ha cercato di
rendere operante l’art. 10 già citato aprendo la possibilità di affidare a soggetti
“diversi da quelli statali” la gestione di servizi finalizzati “al miglioramento della
fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico come definiti
dall’art. 152 d. lgs. 112/98”, andando a stabilire un nuovo rapporto pubblico –
privato nel settore dei beni culturali179. L’articolo ha suscitato numerose
perplessità da parte degli studiosi e degli operatori, che constatavano una difficile
realizzazione e ravvisavano profili di incostituzionalità.
La complessità intorno al concetto di gestione non è invece presente in
Francia. Sebbene siano assegnate specifiche competenze, ogni amministrazione
può predisporre interventi sui beni, senza essere limitata dall’attribuzione di
quella specifica competenza a un altro soggetto istituzionale. Sono inoltre istituiti
appositi enti pubblici di cooperazione istituzionale, che coordinano gli interventi
178
Idem, 198.
Cfr. M. CAMMELLI et alii, Beni culturali e imprese, una collaborazione “virtuosa” tra pubblico
e privato, Roma, 2002, 19.
179
70
sui beni, a differenza dell’Italia dove ci si limita ad accordi tra le
amministrazioni180.
1.3.2 Gli strumenti della valorizzazione
Abbiamo visto che la gestione ha, per così dire, un carattere neutro, non è
un’autonoma funzione ma un combinazione di attività e operazioni che integrano
tutela, fruizione e valorizzazione del bene culturale. La stessa valorizzazione
concepisce il bene come una risorsa e tramite la predisposizione di risorse sia
umane che finanziarie, tenta di aumentare il suo valore economico e sociale.
Una delle prime leggi che ha avuto come obiettivo la valorizzazione
culturale ed economica è la già citata “Legge Ronchey” 181, L. 14 gennaio 1993, n.
4, recante “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali e disposizioni in
materia di biblioteche statali e archivi di stato”. Questa disposizione normativa
determina una svolta nel panorama culturale italiano di quel periodo introducendo
importanti novità per i musei statali e i beni culturali. Lo Stato dà la possibilità,
per la prima volta, di assicurare “l’apertura quotidiana, con orari prolungati” di
musei e biblioteche e archivi di stato e di stipulare accordi con volontari ad
integrazione del personale della pubblica amministrazione e di istituire servizi
aggiuntivi offerti al pubblico a pagamento.
I servizi aggiuntivi possono essere ricondotti a quattro ambiti principali:
 accesso al museo, con riferimento ai servizi informativi e di prenotazione
della visita;
180
181
Cfr. AMIRANTE, DE FALCO, cit., 222 - 226.
Proposta da Alberto Ronchey, all’epoca Ministro per i beni culturali.
71
 divulgazione e didattica, relativamente ai servizi di organizzazione delle
visite didattiche e di produzione e noleggio delle audioguide;
 comfort e relax, ovvero i servizi di guardaroba (comunemente offerti senza
il pagamento di un corrispettivo da parte degli utenti) e di bar, caffetteria e
ristorante;
 shopping, attraverso la vendita di libri o oggettistica (bookshop),
evoluzione storica della tradizionale attività di vendita di souvenir (ricordi
di viaggio) che fin dal Settecento ha accompagnato il fenomeno
turistico182.
Queste attività di supporto, che rappresentano tutte quelle attività commerciali
collaterali ai normali servizi culturali di un museo, vengono concesse a soggetti
privati o enti pubblici economici anche costituenti società o cooperative, mediante
l’appalto e poi la gestione. Si può quindi parlare di esternalizzazione o
outsourcing e dell’ingresso all’interno dei musei della logica imprenditoriale 183.
Si noti che gli scopi più generali previsti sono individuabili nel rendere più
completa e gradevole l’esperienza di visita del museo, predisporre uno strumento
di comunicazione e promozione dell’immagine del museo e fornire redditi
aggiuntivi al bilancio del museo stesso. Da tutto ciò può derivare miglioramento
della qualità della visita per l’utente, che avrà a disposizione numerosi servizi a
suo vantaggio che matureranno un giudizio positivo sulla visita complessiva 184.
182
Vedi R. GROSSI (a cura di), Politiche, strategie e strumenti per la cultura, secondo rapporto
annuale federculture 2004, Torino, 2004, 174.
183
Cfr. G.MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali, l’ambiente normativo e
culturale: opportunità e vincoli per il management delle istituzioni culturali, Milano, 2004, 35-38.
184
In questo senso L. CARLINI, Primo rapporto Nomisma sull’applicazione della legge Ronchey,
anno 2000, reperibile all’URL: «http://www.musei-it.net/docs/nomisma/»
72
L’importanza era già stata avvertita in alcuni paesi europei come la
Francia, dove, infatti, uno dei primi compiti dello Stato è garantire la fruizione del
patrimonio culturale, e la Gran Bretagna.
Nel 1995, con l’art. 47 quater del d.l. 23 febbraio, n. 41, si è esteso
l’elenco dei servizi aggiuntivi e si è introdotta la possibilità di affidamento in
gestione a fondazioni culturali e bancarie, società o consorzi, che potevano essere
costituiti per tali finalità. Qualche anno dopo, si sono raggiunti ulteriori sviluppi
attraverso il loro inserimento nell’art. 112 del d. lgs. 490/99 recante il “Testo
unico per i beni culturali e ambientali”, con la denominazione “Servizi di
assistenza culturale e di ospitalità”, che oggi, dopo l’emanazione del codice dei
beni culturali e del paesaggio si trovano all’art. 117 e sono rubricati come “Servizi
aggiuntivi”185.
La legge ha incontrato delle difficoltà iniziali e il primo servizio aggiuntivo è stato
attivato solo qualche anno dopo. Tuttavia, da allora, la loro crescita per numero,
diffusione e qualità è stata piuttosto significativa, tanto da rendere ottimistiche le
185
Il cui testo ribadisce la tipologia dei servii aggiuntivi già previsti dall’art. 112.
“Articolo 117 (Servizi aggiuntivi): 1. Negli istituti e nei luoghi della cultura indicati all’
Articolo 101 possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico.
2.
Rientrano
tra
i
servizi
di
cui
al
comma
1:
a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e
informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;
b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del
prestito
bibliotecario;
c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;
d) la gestione dei punti vendita e l’utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;
e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, i
servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;
f)
i
servizi
di
caffetteria,
di
ristorazione,
di
guardaroba;
g) l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.
3. I servizi di cui al comma 1 possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di
vigilanza
e
di
biglietteria.
4. La gestione dei servizi medesimi è attuata nelle forme previste dall’Articolo 115.
5. I canoni di concessione dei servizi sono incassati e ripartiti ai sensi dell’Articolo 110.”
73
ricerche condotte sul loro funzionamento, a distanza di poco tempo
dall’attivazione dei servizi186. In verità i risultati dell’applicazione della legge
sono stati piuttosto eterogenei: le gare di concessione degli appalti hanno
coinvolto strutture sia principali che minori, con scarso equilibrio e necessità di
trovare nella prassi gli elementi necessari anche a causa della rapida evoluzione
politica e legislativa. Si può comunque riconoscere che l’effetto positivo legato
alla presenza dei servizi aggiuntivi si riflette a livello di sistema e migliora
l’immagine del museo come istituzione culturale e la sua percezione come
apprezzabile alternativa di utilizzo del tempo libero 187. Per quanto riguarda
l’andamento dei servizi, si riscontra una sostanziale stabilità degli incassi
complessivi e se da un lato ciò indica che gli utenti mostrano apprezzamento e
seguitano a farne uso, dall’altra, in una prospettiva di redditività e sviluppo futuri
potrebbe individuare come insostenibile la presenza dei privati. Sarà necessario
riflettere sull’andamento degli ultimi anni e cercare di coniugare i diversi interessi
in gioco, a vantaggio di utenti e operatori188.
Negli
stessi
anni
andavano
sviluppandosi
i
fenomeni
della
sponsorizzazione. Questa pratica è oggi definita come una “forma di
comunicazione pubblicitaria rivolta alla divulgazione del nome di un soggetto
produttore di beni. Viene attuata attraverso appositi contratti con i quali una
parte, lo sponsor, si obbliga solitamente al pagamento di somme di denaro, al fine
di ottenere la divulgazione del proprio marchio in occasione delle attività svolte
186
In questo senso CARLINI, cit.
In questo senso R. GROSSI (a cura di), cit., 177.
188
Idem, 184-185.
187
74
dallo sponsorizzato”189. I gestori inizialmente erano riconoscibili in mecenati che,
col tempo, hanno iniziato a delineare un’ottica imprenditoriale in cui disporre i
loro contributi in denaro o servizi, con la convinzione che fossero investimenti
sull’immagine. Si era avvertita poi la necessità di trasformare in contratto la
sponsorizzazione. Le prime forme avevano ancora un costo molto basso e c’era
larga disponibilità ad accogliere le necessità esposte dal direttore del museo,
naturalmente per finalità di fruizione e valorizzazione del bene. Oggi la situazione
è più complessa e si lavora con più sponsor che intervengono con somme diverse
per richieste specifiche190. Il codice tratta l’argomento all’articolo 120191,
inquadrando la sponsorizzazione come una delle modalità con le quali può
esplicarsi la partecipazione dei privati alle attività da valorizzazione e anche alla
tutela. E si specifica inoltre che la finalità del contributo deve essere la
progettazione o la realizzazione di una iniziativa di tutela o valorizzazione del
bene in questione192.
189
V. voce “sponsorizzazione” in, Enciclopedia Universale, Le Garzantine, Milano, 2005, 1448.
Cfr. P. BISCOTTINI, Note di museologia, Milano, 2004, 40 - 41.
191
“Articolo 120 (Sponsorizzazione di beni culturali): 1. E’ sponsorizzazione di beni culturali ogni
forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti privati alla progettazione o all’attuazione
di iniziative del Ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti
privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di
promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività dei soggetti
medesimi. 2. La promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l’associazione del nome, del
marchio, dell’immagine, dell’attività o del prodotto all’iniziativa oggetto del contributo, in forme
compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o
valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione. 3. Con il contratto di
sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo nonché le forme del
controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si
riferisce.”
192
In questo senso G. PIPERATA, Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali,
reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/1/piperata.htm»
190
75
Il codice suggerisce ulteriori fattispecie di sostegno alle attività di
valorizzazione dei beni culturali, ad esempio all’articolo 121 193, dove si
prevedono protocolli di intesa tra il Ministero, le Regioni ed altri enti pubblici
territoriali, ciascuno nel proprio ambito. Da una parte troviamo tali enti, dall’altra
le fondazioni bancarie che sono istituzioni benemerite che svolgono compiti
specifici nel settore della cultura. Il codice si è preoccupato di attivare un
meccanismo che preveda il coinvolgimento diretto delle fondazioni con le
istituzioni pubbliche.
Nella prassi, le situazioni delineate spesso si intrecciano fra loro e non
sono facilmente inquadrabili nell’una o nell’altra delle categorie indicate.
Il significato più profondo delle innovazioni di cui si è parlato è quello di avere
recepito a livello di norma il concetto di investimento culturale.
Il codice dei beni culturali tuttavia non racchiude in sé la disciplina di tutti
gli strumenti che è possibile utilizzare per la valorizzazione dei beni. Ci sono altri
provvedimenti degni di nota, che riguardano in particolar modo il patrimonio
immobiliare pubblico. Il termine valorizzazione, applicato ai beni pubblici, è
normalmente utilizzato per indicare quelle diverse attività che intendono
trasformarli in fonti di reddito, tramite strumenti che assicurino una gestione
proficua, o l’alienazione. La gestione dei beni di proprietà pubblica è da sempre
193
“Articolo 121 (Accordi con le fondazioni bancarie): 1. Il Ministero, le regioni e gli altri enti
pubblici territoriali, ciascuno nel proprio ambito, possono stipulare, anche congiuntamente,
protocolli di intesa con le fondazioni conferenti di cui alle disposizioni in materia di
ristrutturazione e disciplina del gruppo creditizio, che statutariamente perseguano scopi di utilità
sociale nel settore dell’arte e delle attività e beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di
valorizzazione sul patrimonio culturale e, in tale contesto, garantire l’equilibrato impiego delle
risorse finanziarie messe a disposizione. La parte pubblica può concorrere, con proprie risorse
finanziarie, per garantire il perseguimento degli obiettivi dei protocolli di intesa.”
76
uno dei settori più improduttivi e dispendiosi per l’amministrazione, che spesso
non conosce la reale entità dei propri possedimenti. Fino agli anni Ottanta vigeva
una politica di quasi totale inutilizzabilità economica, solo dopo si introdusse nelle
politiche pubbliche la consapevolezza della necessità che un tale patrimonio
dovesse essere valorizzato in termini economici. Verso la fine degli anni Novanta,
poiché i conti pubblici versavano in condizioni disastrose, l’impulso verso la
privatizzazione del patrimonio immobiliare si fece sempre più pressante, suggerita
a più parti per risanare la finanza pubblica 194. Il legislatore si mette così all’opera
per predisporre una normativa che permetta le dismissioni immobiliari, basata, ad
esempio, sul principio di dismissione in blocco unico del patrimonio immobiliare
mediante il conferimento ad una i più società veicolo appositamente costituite.
La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria nata nell’esperienza dei
paesi anglosassoni e arrivata nel nostro paese alla fine degli anni Novanta,
applicata ai proventi delle dismissioni immobiliari, trasforma i beni in strumenti
finanziari da collocare sul mercato 195. I passaggi più importanti dal punto di vista
normativo sono stati due: la L. 23 novembre 2001, n. 410196 con la quale si
autorizza il Ministero dell’Economia a costituire società allo scopo di realizzare
operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del
patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici; e la L. 15 giugno 2002,
n. 112197 con la quale si è prevista la possibilità di cedere il patrimonio dello Stato
194
Cfr. A. SERRA, Scip, Patrimonio Spa e Infrastrutture Spa: le società per la “valorizzazione”
dei beni pubblici. L’impatto sul regime dei beni trasferiti, reperibile all’URL:
«http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/2/serra.htm»
195
Vedi SERRA, cit.
196
Che ha convertito il D.L. 25 settembre 2001, n. 351.
197
Che ha convertito il D.L. 15 aprile 2002, n. 63.
77
a due società per azioni create per l’occasione, “Patrimonio dello Stato Spa” e
“Infrastrutture Spa”. Alla prima possono essere trasferiti tutti i beni immobili, il
tutto può essere ulteriormente trasferito a “Infrastrutture Spa”, società creata per
finanziare la realizzazione di opere pubbliche e aperta anche al capitale privato. Il
patrimonio che viene conferito include tutto, dai parchi alle coste, dagli edifici
storici ai musei. C’è però una particolarità, nel caso di beni culturali di
“particolare valore storico e artistico”: il loro trasferimento dovrebbe avvenire
d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali. Secondo le intenzioni del
Governo, la creazione di queste società di capitale pubblico, ma di diritto privato,
dovrebbe servire a valorizzare e gestire il patrimonio pubblico italiano, anche se
non sono ben chiari i meccanismi che regolano le operazioni di vendita. Il nuovo
codice, per tutelare i beni di particolar pregio, introduce un necessario passaggio
attraverso la verifica dell’interesse culturale, a cui consegue un regime di
alienabilità “controllata” o libera, a seconda dell’esito. L’introduzione di questa
pratica ha infiammato l’opinione pubblica e suscitato le ire di molti studiosi198.
Tornando indietro nel tempo, altre forme di valorizzazione dei beni del
patrimonio risalgono al 1997, con la l. 8 ottobre, n. 352, che ha istituito la società
Sibec per la promozione e il sostegno finanziario e organizzativo di progetti di
intervento di restauro, di recupero e di valorizzazione dei beni culturali. Tale
norma è stata poi sostituita nel 2003, dalla l. 16 ottobre, n. 291, con successive
innovazioni, che ha previsto la costituzione della società Arcus Spa, per lo
sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo. Anch’essa, come la Sibec,
198
Tra cui SETTIS, più volte citato, che ha risposto al provvedimento con la pubblicazione del libro
Italia Spa, l’assalto al patrimonio culturale, cit., che contiene forti invettive.
78
rappresenta uno strumento finanziario che si preoccupa di agevolare l’utilizzo e il
reperimento di risorse economiche, sia pubbliche che private. Tali risorse vengono
raccolte e investite per fini di restauro, recupero e, in genere, di promozione dei
beni culturali, per questo può essere considerata strumento di valorizzazione 199.
1.4.
Il museo: un cambio d’immagine
Il museo è cambiato. Ed è tuttora in trasformazione. Lo sterile contenitore
di oggetti visto da sempre come luogo polveroso e tutt’altro che invitante,
frequentato solo dagli studiosi, non esiste più. Si rivela, invece, l’esistenza di una
struttura viva e funzionale, in grado di organizzare in maniera unitaria azioni e
servizi per la tutela, la fruizione e la valorizzazione dei beni in essa racchiusi. La
trasformazione era iniziata dalla presa di coscienza, da parte della collettività,
dell’importanza del concetto di bene culturale 200 e dal conseguente interesse verso
il patrimonio, dal punto di vista sociale, politico ed economico. La maggiore
conoscenza di questi temi aveva accresciuto la domanda culturale da parte del
pubblico, rappresentato da strati di popolazione con esigenze e livelli culturali
differenti, espressa nella richiesta di fruizione dei beni.
Il museo si trova oggi ad essere una struttura polifunzionale: un luogo
fisico, un servizio, un luogo d’incontro. Ha, inoltre, svariate funzioni:
199
In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 224.
Enucleato per la prima volta, come abbiamo visto, negli anni Sessanta, dalla Commissione
Franceschini.
200
79
conservazione degli oggetti e della memoria, esposizione, promozione culturale e
comunicazione, opportunità economica201.
Il ricordo si intreccia con l’avvenire, la staticità incontra la dinamicità; nel
contesto di questa macchina complessa. Tutte queste attività contribuiscono alla
stessa finalità, cioè alla trasmissione alle generazioni che verranno del significato
che il patrimonio porta con sé.
Esso è anche il luogo delle mille definizioni, che cercano “un equilibrio,
sempre provvisorio, ma possibile tra istanze che sembrano inconciliabili:
conservazione e fruizione, sicurezza e accessibilità, decontestualizzazione e
ricontestualizzazione, distanza e familiarità, interpretazione ed esperienza” 202.
Vedremo più in dettaglio la nascita delle prime strutture, l’evoluzione del
concetto di museo, la relativa legislazione e tutte le altre funzioni.
1.4.1 L’evoluzione del museo: da struttura contemplativa…
Cominciamo dal nome. La parola museo ricorda le muse, che nella
mitologia greca erano le nove figlie di Zeus, padre degli dei, e di Mnemosine, dea
della memoria. Letteralmente le muse erano “coloro che meditano, che creano con
la fantasia”; in senso più esteso fungevano da protettrici ed ispiratrici delle arti.
Era dedicato a loro il famoso “Mouseion” ad Alessandria d’Egitto, il palazzo
reale che accoglieva il più famoso circolo intellettuale dell’antichità 203. La
struttura era sorta nel IV secolo a.C., al tempo di Tolomeo I Sotere, ed era
201
Cfr. L. CATALDO, M. PARAVENTI, Il museo oggi. Linee guida per una museologia
contemporanea, Milano, 2007, 42.
202
V. M. V. MARINI CLARELLI, Che cos’è un museo, Roma, 2005, 7.
203
Idem, 9.
80
impiegata dagli scienziati e dai letterati per esercitare le loro discipline senza
doversi preoccupare del sostentamento. Alessandria era, così, diventata la patria
delle scienze pure e applicate e constava di biblioteca, osservatorio astronomico,
giardino botanico e zoologico. Entrando nell’età romana, il circolo si era
arricchito anche di studi geografici e filosofici; e le opere degli artisti erano ivi
conservate. Anche se non è certo che fra le sue attività si trovasse l’esposizione di
cimeli e opere d’arte per fini educativi e culturali, è da lì che deriverebbe la
“sacralità del museo” e la sua funzione contemplativa 204.
A Roma era diffusa la pratica di spoliazione delle città vinte. Si
trasportavano in patria numerosi oggetti e opere d’arte che alimentavano il
collezionismo privato, con successiva esposizione al pubblico. L’uso di
raccogliere antichità si era mantenuto anche durante il Medioevo, anche se il loro
impiego era prevalentemente strumentale, generalmente per il riutilizzo dei
materiali; e sono le chiese e le cattedrali a svolgere la funzione di conservazione.
L’uso moderno del termine museo era iniziato nel periodo del
Rinascimento: si era elaborato un nuovo modello culturale, si studiava, si
ricostruiva, si raccoglieva l’antico, le vestigia delle antichità romane erano
diventate oggetto di culto. “Si colleziona da sempre per lo stesso motivo:
prestigio, status symbol, studio. L’oggetto collezionato, inoltre, perdendo la
propria collocazione originaria, acquisisce nuovi significati”205. Proprio questa
pratica rappresentava il motore propulsivo e costitutivo del museo. Dal XV secolo
rinasceva la volontà di tutta una serie di personalità come sovrani, studiosi, artisti
204
205
Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 3-4.
V. A. PIROZZI, Elementi di museotecnica, Napoli, 2002, 7.
81
di tutta Europa di collezionare tesori dell’arte contemporanea e antica 206. Le
ricche famiglie aristocratiche erano entrate in competizione per aggiudicarsi i
pezzi migliori, che erano conservate nelle gallerie dei palazzi e poi talvolta
venivano anche esposti al pubblico.
1.4.2 (segue) …a struttura divulgativa.
Dal XVII secolo, si era fatta strada l’idea della raccolta destina al pubblico,
perché l’esperienza diretta poteva favorire la conoscenza e l’istruzione.
In Inghilterra, ad Oxford, nel 1683, Elias Ashmole aveva fatto diventare
pubblica la sua collezione e fatto nascere ufficialmente il museo. L’ingresso era
possibile a tutti, non solo agli studenti, con pagamento di un biglietto d’ingresso.
Gli oggetti potevano essere osservati e toccati: ecco lo scarto dalla struttura
sacrale e silenziosa a cui i frequentatori erano avvezzi!
In tutta Europa la divulgazione del sapere era considerata una
responsabilità pubblica. Le collezioni diventavano strumento per l’identità
collettiva e con l’influenza dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese nasceva
l’idea di museo in senso moderno, un luogo pubblico in cui venivano conservate
le memorie del passato207. Rispondeva a questa definizione il Louvre di Parigi,
seguito dal British Museum, fondato nel 1759. Entrambi erano nati in
conseguenza di trasformazioni della società e per soddisfare le nuove esigenze
culturali. Francia e Inghilterra erano in competizione per soffiarsi i reperti
archeologici e si proponevano come custodi di una cultura universale, salvando
206
207
Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 119 – 124.
Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 18.
82
ciò che per ignoranza il paese d’origine aveva trascurato. Le diverse visioni della
funzione comunicativa erano peculiari. In maniera diversa da oggi, comunicare
un’idea o un concetto, all’interno dei musei, era comunque importante. L’uso
strumentale del museo aveva portato la Francia ad autocelebrarsi, a magnificarsi
l’imperialismo, il potere e la superiorità. L’Inghilterra invece si preoccupava di
fornire l’idea dello sviluppo progressivo dell’arte, gradino dopo gradino, per
giungere all’esaltazione della classicità greca. Era importante mostrare la distanza
rispetto alla perfezione. Il concetto però arrivava al visitatore senza mediazione, si
dava per scontato che chi entrava nel museo sapesse già cosa cercare208.
All’inizio del XX secolo non c’era più il frenetico accumulo di oggetti, le
pratiche
di
spoliazione
si
erano
arrestate,
si
era
quindi
realizzato
l’approfondimento della ricerca scientifica 209.
Negli Stati Uniti, le prime strutture museali erano nate come imitazione di
quelle europee, con la differenza di non avere mai avuto finalità politiche, ma
piuttosto didattiche. I musei più importanti erano nati a metà del 1800: il Museum
of Modern Art, Moma, di New York, il Museum of Fine Arts a Boston, l’American
Museum of Natural History. I fondatori e i gestori erano soggetti privati210.
L’attività europea di recupero reperti si era rivelata utile anche per i musei
statunitensi: questi avevano, infatti, così potuto acquistare numerosi pezzi che
favorivano la rassomiglianza tra i musei europei e americani 211. Gli stessi privati,
inoltre, avevano iniziato a viaggiare per l’Europa alla ricerca di opere d’arte. Si
208
In questo senso K. SCHUBERT, Il museo. Storia di un’idea. Dalla rivoluzione francese a oggi,
Milano, 2004, 20–34.
209
Idem.
210
I maggiori musei erano infatti nati dall’idea dei soci di club privati.
211
Cfr. SCHUBERT, cit., 47-50.
83
può individuare anche una peculiarità: la creazione di luoghi che racchiudevano al
loro interno tutta una serie di curiosità e stranezze212. Negli Stati Uniti
l’imitazione era comunque sempre presente, sia per ammirazione della storia e
della tradizione europea, sia per una sorta di senso di inferiorità. Ciò si constatava
anche nell’allestimento delle cosiddette period rooms213: ricostruzioni di
particolari ambienti, riprodotti nei minimi dettagli.
Con l’infuriare della seconda Guerra Mondiale, i capolavori europei erano
stati inviati ai musei americani, notevolmente più sicuri. Estremamente
danneggiati dalla guerra, i musei europei non risultavano più inseriti, come quelli
americani, in un “contesto produttivo che ne valorizzi le funzioni e ne definisca i
compiti”214. Così, mentre negli Stati Uniti si era creato un “rapporto dinamico
tra mercato dell’arte, industria culturale, università e musei, nell’Europa sempre
più “vecchia” i musei tendono a diventare polverosi depositi di cose morte”215.
Durante la ricostruzione, in Europa, i musei restano privi di finanziamenti e di
personale e… “muoiono davvero”216.
Negli anni Settanta il percorso di ricostruzione poteva considerarsi
concluso. Entrava nella disponibilità della gente il tempo libero, e quindi la
possibilità di dedicarsi al turismo. Il museo era tornato ad essere un luogo
212
Sono i “Dime museums” che presentavano varie e particolari attrazioni, come la donna barbuta,
i gemelli siamesi, i night-blooming cactus, i cani sapienti. E se queste attrazioni sembrano un
fenomeno mostruoso, si ricordi che, etimologicamente, la parola “mostruoso” proviene dal latino
“monstrum”, cioè mirabile, da mostrare, un fenomeno contro natura, ma anche un prodigio! Tali
luoghi si sono evoluti, in tempi recenti, nei parchi a tema, come Disneyland, che presentano “il
surreale quotidiano, il sogno senza costrutto, il kitsch, la trasgressione”; V. A. MOTTOLA
MOLFINO, Il libro dei musei, Torino, 1991, 172-186.
213
Presenti anche in Gran Bretagna.
214
V. L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal 500 ad oggi,
Milano, 1989, 70.
215
Idem.
216
Idem, 71.
84
destinato all’apprendimento ma anche al divertimento; un luogo “orientato non
soltanto alla ricerca e all’esposizione, ma molto più attento al pubblico
all’interno, in una prospettiva di servizio”217.
Il museo moderno deve accattivarsi schiere di pubblico identificando
desideri e preferenze del pubblico. I cambiamenti economici e sociali 218 avevano
influito sul suo aspetto: possibilità di efficace illuminazione, i servizi di assistenza
al visitatore come presenza di supporti tangibili. La fotografia aveva permesso di
riprodurre le opere in cataloghi e libri d’arte. Gli allestimenti nelle strutture erano
stati semplificati per valorizzare gli oggetti. Venivano facilitati i percorsi visivi e
studiate le condizioni di illuminazione 219. Si organizzavano sempre più spesso
mostre temporanee, l’arte non era più solo per pochi, il museo non rappresentava
più un luogo di meditazione esclusivo, ma assumeva una nuova funzione: si era
desacralizzato ed era diventato spazio culturale con una propria utilità sociale 220.
Il museo rappresenta, ora, un luogo d’incontro che fa parte della vita
quotidiana, e queste funzioni continuano ad essere mantenute, anzi, vengono
sempre più perfezionate e adattate alle esigenze degli utenti. Si effettuano ricerche
e indagini per controllare la risposta dei visitatori ai servizi e alle mostre. Ci sono
uffici addetti al marketing e alla comunicazione, come al Moma di New York o
alla Tate Gallery di Londra221.
217
V. SCHUBERT, cit., 80.
Cfr. SCHUBERT, cit., 93, 94.
219
In questo senso C. S. BERTUGLIA, F. BERTUGLIA, A. MAGNAGHI, Il museo tra reale e virtuale,
Roma, 1999, 100-101.
220
In questo senso PIROZZI , cit., 12.
221
Cfr. SCHUBERT, 93 - 95.
218
85
In seguito si vedrà anche come le nuove tecnologie abbiano arricchito il
panorama dei servizi offerti al visitatore, cercando di sviluppare al massimo le
conoscenze e le percezioni.
1.4.3 Il museo contemporaneo: definizioni.
Abbiamo visto come il museo, nato come luogo per l’ispirazione e la
creatività, si sia a poco a poco trasformato nel luogo della memoria e della
conoscenza. Questa memoria si tramanda attraverso le testimonianze del passato e
la conoscenza si apprende per mezzo di quelle stesse testimonianze 222.
Vedremo i molteplici modi di descrivere la struttura museale, di mezzi e
servizi, organizzati per soddisfare le esigenze degli utenti, e tutto il complesso in
cui si articola il cosiddetto sistema-museo. Sistema, perché è costituito da un
insieme di attività che interagiscono tra loro e cercano di raggiungere gli obiettivi
prefissati. È una realtà complessa che ha però una struttura abbastanza semplice
perché si fonda sulla sua collezione, quindi il suo contenuto, sulla sua sede, sul
pubblico e sulla sua gestione223.
Innanzitutto, “non si può parlare di museo (…) se non si ammette che siamo noi –
la società entro cui vive e opera (…) – gli artefici di ciò che esso è, di ciò che
rappresenta, di ciò che conserva e di come lo racconta”224. Il museo degli inizi,
infatti, aveva già cominciato a seguire il flusso dei cambiamenti sociali e delle
diverse politiche adottate dagli Stati, ora autocelebrative, ora propagandistiche,
222
Cfr. F. SISINNI, Presentazione, in Il museo, 1992, 0,1-2.
Temi trattati in questo e nei prossimi paragrafi.
224
V. P. C. MARANI, R. PAVONI, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al
contemporaneo, Venezia, 2006, 23.
223
86
ora didattiche. E questo suo oscillare tra le diverse funzioni cambia la definizione
che il museo dà di sé stesso nel tempo.
Durante i primi cento anni di sviluppo della struttura non sono mai state
analizzate le premesse o gli intenti. Ciò è avvenuto solo in anni recenti, con la
nascita di discipline come la museologia225 si è proposta l’analisi del museo come
soggetto storico226.
Il museo è “specchio e metafora della società in cui è inserito”227 e lo
stesso allestimento degli oggetti non rimanda una realtà o verità assoluta, ma è
sempre mediata da ideologie, politiche, tradizioni o tensioni228. Si percepiscono,
inoltre, maggiormente i cambiamenti nell’approccio, se si vanno ad osservare i
diversi allestimenti visibili in un certo arco di tempo, all’interno della stessa
struttura museale.
Si trovano tantissimi modi per descrivere il museo: “un luogo di incontro
umano, una memoria collettiva, un luogo di espressione collettiva nel quale si
rispecchiano la storia civile e intellettuale di una comunità, la vitalità culturale di
questa comunità, la sua capacità di legare il passato storico alla realtà del
momento attuale”229 e lo si istituisce per il “desiderio di raccogliere e
conservare, in luoghi idonei, quanto è ritenuto espressione significativa dell’arte,
allo scopo di preservarlo all’ingiurie del tempo e degli uomini, di consentire alle
225
La museologia fa parte, assieme alla museografia e alla museotecnica, delle discipline che
riguardano la vita e l’organizzazione del museo. La museologia è una scienza che studia i
contenuti e la storia degli oggetti del museo e individua il modo in cui questo sapere dev’essere
trasmesso all’esterno; la museografia progetta gli spazi espositivi con un legame logico e
semantico tra architettura del museo e contenuto; e la museotecnica comprende le attività e le
conoscenze che riguardano i problemi espositivi. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 70.
226
Cfr. SCHUBERT, cit., 33-34.
227
V. M. L. TOMEA GAVAZZOLI, Manuale di museologia, Milano, 2003, XIII.
228
In questo senso MARANI, PAVONI, cit., 23.
229
V. BINNI, PINNA, cit., 77.
87
varie generazioni di avere testimonianze dell’attività umana nello scorrere degli
anni e di accrescere il benessere intellettuale”230. È una “raccolta di oggetti e
(…) di informazioni” che sono “il risultato di una scelta” 231. Ma “non è un
deposito o un semplice contenitore di cose, ma una struttura o un’istituzione che
raccoglie una ben precisa selezione di testimonianze a cui sia attribuito valore di
civiltà”; è anche “un servizio offerto, da enti pubblici o privati, alla comunità, la
cui funzione sociale e culturale consiste nel garantire la conservazione dei beni e,
nel contempo, il loro godimento”232. È “l’arca di Noè che protegge ciò che sta al
suo interno dalle forze del mondo ostile circostante. È l’agente della società
impegnato a contrastare la naturale tendenza al decadimento delle cose. È fonte
di stabilità e dunque di rassicurazione” 233.
In Italia il museo gode di una tradizione di eccellenza nella qualità e di
un’estensione capillare su tutto il territorio. Si possiedono innumerevoli collezioni
artistiche ed è inoltre molto diffuso il flusso di nuove acquisizioni. Queste
derivano da scavi archeologici, donazioni o reperimenti fortuiti.
Almeno dalla fine dell’Ottocento, fino alla Repubblica, la legislazione
statale aveva fatto scomparire il termine “museo” per farlo regredire a “raccolta
governativa”, a “collezione” aperta al pubblico, o “luogo” accessibile tramite
pagamento di una tassa d’ingresso. A poco a poco tutti i musei, anche quelli degli
enti locali, che inizialmente avevano mantenuto un’identità in qualche modo
distinta, erano diventati solo “contenitori di cose”. A metà degli anni Sessanta si
230
V. V. MILONE, Il museo. Da entità statica a istituzione dinamica, Bari, 2004, 11.
V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 17.
232
V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 101.
233
V. BALBONI BRIZZA, Il museo come forma complessa, in Nuova museologia, 2003, 3, 18,
reperibile all’URL: «http://www.nuovamuseologia.org»
231
88
era aperto il dibattito: era inoltre stata emanata un’importante legge, che
riconosceva formalmente i musei “non statali” 234 anche se le innovazioni erano
poche e i risultati modesti e disattesi. Solo alla fine degli anni Ottanta il museo era
riconosciuto come “entità”, e si erano fatte strada le istanze di autonomia.
All’inizio degli anni Novanta la legge Ronchey aveva presentato tutto l’ambito
del servizio pubblico e innovato la pratica della gestione; con i decreti Bassanini e
le prime forme di decentramento il museo era finalmente riconosciuto come
istituto, e si prevedevano le prime forme di autonomia 235.
Dopo la lunga “dimenticanza” della legislazione, la prima fonte normativa
statale che aveva dato una definizione al museo era stata il d. lgs. 490/99, il quale
all’art. 99 co. 2 lett. a, lo descriveva come una “struttura comunque denominata
organizzata per la conservazione, valorizzazione e fruizione di raccolte di beni
culturali”. Era una definizione “povera”, che tralasciava organizzazione e
gestione, il museo continuava ad essere una articolazione interna dell’ente a cui
apparteneva. È poi intervenuto il d. lgs. 42/2004, il Codice dei beni culturali e del
paesaggio, che individua all’art. 101, co. 2 lett. a, gli istituti e i luoghi della
cultura, definendo il museo: “una struttura permanente che acquisisce, conserva,
ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”. I comma 3
e 4 inoltre qualificano il museo come bene d’interesse pubblico, a prescindere
dall’appartenenza pubblica o privata. La definizione proposta dal Codice è in linea
234
Li divideva in quattro categorie: multipli, complessi di musei con un’unica direzione; grandi,
medi e minori, a seconda dell’importanza delle loro collezioni e impegnava gli enti proprietari a
predisporre un regolamento di organizzazione e funzionamento che contemplasse persone, mezzi e
sede.
235
Cfr. D. JALLA, Il regolamento del museo come strumento di gestione: dimensione giuridica e
strategica.,
reperibile
all’URL:«http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it
/pdf/sani/musei%20e%20codice.pdf»
89
con quella fornita dall’ICOM, già nel 1986, ma rivisitata nel 2004, nell’art. 2 del
suo statuto: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al
servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche
che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo
ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di
studio, educazione e diletto”.
È importante però notare, come sottolinea il prof. Jalla 236, che tra le
funzioni del museo evidenziate dall’art. 2, co. 2, lett. a, del Codice, manca la
ricerca; e tra le finalità non si trova il diletto, “condannando i curatori a mere
funzioni burocratiche e di conservazione e i visitatori alla noia”237. Sono due
assenze importanti, che hanno spinto l’ICOM Italia a richiedere l’integrazione
della definizione.
Anche negli Stati Uniti troviamo varie definizioni di museo. L’American
Association of Museums nel suo “Code of Ethics for Museums” afferma che i
musei americani sono tra loro molto diversi, ma hanno un comune denominatore:
“making a unique contribution to the public by collecting, preservative, and
interpreting the things of this world” 238. Questo codice, inoltre, riconosce la
varietà di grandezza e di tipo e a livello federale, il Museum and Library Service
Act definisce il museo come: “a public or private non profit agency or institution
organized on a permanent basis for essentially educational or aesthetic purposes,
236
Idem.
V. F. NICCOLUCCI, Biblioteche digitali e musei virtuali, in Digitalia, 2006, 2, 40, reperibile
all’URL: :«http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf».
238
V. AAM, What is a museum?, reperibile all’URL: «http://www.aam-us.org».
237
90
which, utilizing a professional staff, owns or utilizes tangible objects, cares for
them, and exhibits them to the public on a regulator basis”239.
La definizione dell’ICOM, valida ovviamente anche per gli Stati Uniti, ci
propone anche la cosiddetta missione del museo, insita nella sua stessa
definizione: deve svolgere le funzioni istituzionali che gli sono proprie, che sono
regolate dalla legislazione interna alla Stato, e che possono essere la
conservazione, la tutela e la promozione dei beni. La consapevolezza che tutte le
scelte si riflettono sulla collettività e le future generazioni, impone che la missione
debba essere contenuta formalmente nell’atto costitutivo o nel regolamento del
museo. Ciò è quanto ci dice il D.M. 10 maggio 2001 “Atto di indirizzo sui criteri
tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art. 50
co. 6, d. lgs. 112/98). In genere la missione segue le previsioni della Costituzione,
quindi il museo deve tendere a:
 “conservare il patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale;
 promuovere la valorizzazione e la diffusione dei contenuti culturali del
patrimonio storico”240.
I musei statunitensi sentono l’idea di missione molto più di quelli italiani. Ogni
istituzione ha la propria, ma quasi tutte condividono il principio dell’educazione,
assieme a quello conservativo, che deve arrivare all’utente attraverso una
piacevole esperienza. È significativa, a tale scopo, questa citazione: “We believe
in the power of art to ignite the imagination, stimulate thought, and provide
239
Idem.
V. F. CAPOROSSI GUARNA, F. DAINELLI, I. SANESI, L’economia del museo. Gestione, controllo,
fiscalità., Milano, 2002, 19.
240
91
enjoyment”241. Ma definizione in assoluto più evocativa è il “museo come terra
dei sogni”242.
1.4.4. Pubblico e comunicazione
Il museo è un sistema di comunicazione: gli oggetti che esso espone243
comunicano un messaggio, sempre diverso, a seconda delle finalità che intende
perseguire. L’atto del comunicare abbraccia tutti gli aspetti del suo
funzionamento, e se il suo ruolo attuale è quello di essere un servizio pubblico,
com’è negli intendimenti dell’ICOM, servizio che si riconosce essere necessario,
altrettanto necessario è il ruolo comunicativo insito in esso.
Quanti tipi di comunicazione esistono? Esistono diversi tipi di approcci, che non
possono essere trattati in questa sede; ci si limita ad individuare essenzialmente
due modi di trasmettere il messaggio: una comunicazione “interna” ed una
“esterna”. La prima ha a che fare con l’allestimento e l’esposizione degli oggetti,
quindi riguarda anche la funzione didattico - educativa. La seconda, invece,
rimanda all’impatto del museo all’esterno: dall’architettura materiale a quella
virtuale. Ad entrambe le modalità si applicano le nuove tecnologie, via
privilegiata di comunicazione del museo contemporaneo244. C’è un elemento che
è fondamentale, assieme agli oggetti245 per l’esistenza del museo, e che con essi si
relaziona: il pubblico. Vale la pena soffermarsi su questo punto per chiarire che
241
V. C. ACIDINI LUCHINAT, Il museo d’arte americano. Dietro le quinte di un mito, Milano, 1999,
40; Cfr. TOMEA GAVAZZOLI, cit., 8, 9.
242
V. BALBONI BRIZZA, cit., 18.
243
O anche la mancanza di oggetti tangibili come per i musei virtuali, che vedremo in seguito.
244
Di cui si tratterà in seguito, dal par. 1.5.
245
Materiali o virtuali.
92
esso è cambiato rispetto al passato, e la sua evoluzione la si può distinguere in tre
fasi:
1. è inizialmente rappresentato da un’èlite intellettuale: studiosi, artisti. I
visitatori sono affini al personale scientifico, e in grado di decifrare i
messaggi trasmessi attraverso le raccolte. Il grande pubblico, invece, vede
il museo con un sentimento di soggezione e lo considera lontano dalla
realtà;
2. diventa poi una massa da educare, sia nel comportamento, sia nelle
modalità di apprendimento. Il visitatore deve solo imparare, non può
valutare criticamente;
3. infine viene considerato fruitore, ma anche utente. Egli può richiedere ed
esigere dei servizi dal museo, ma resta comunque un ricettore passivo di
contenuti.
Oggigiorno il pubblico è diventato interlocutore, può interagire col museo. È più
vasto, caratterizzato da diversa preparazione culturale, e gli devono essere forniti
gli strumenti utili per decifrare i vari messaggi che gli vengono proposti246.
Ma passiamo alle modalità di comunicazione.
La comunicazione “interna” si confronta continuamente con l’allestimento
degli spazi, e diventa così visiva. Deve, inoltre, essere anche integrata da quella
verbale, scritta od orale. La distribuzione degli oggetti secondo particolari
tematiche, ciascuna delle quali ha il suo percorso espositivo, è compito della
museologia; il modo con cui questo viene comunicato al visitatore appartiene alla
246
In questo senso MARINI CLARELLI, cit., 17.
93
museografia247. Poiché le opere d’arte sono “segni”, proprio per questo sono
naturalmente predisposte alla comunicazione. Bisogna “far parlare” le opere per
“trasmettere cultura”248. Tali segni contribuisco a raccordare il gruppo sociale alla
sua storia e per l’attività educativa dell’utente durante la sua visita è necessario:
individuare il tipo di pubblico, individuare gli obiettivi che si vogliono
raggiungere, e infine la metodologia per conseguirli. Solo così un’attività didattica
potrà funzionare.
Il pubblico che ci si può trovare davanti, quindi, è piuttosto eterogeneo. Da
quando si è cominciato a prestare attenzione alla didattica all’interno del
museo249, l’obiettivo sono diventate le giovani generazioni: bambini ed
adolescenti. Entrano in gioco qui numerose teorie sull’apprendimento e studi
pedagogici per supportare l’applicazione dell’apprendimento museale al mondo
della scuola. Vengono proposti laboratori o seminari che sviluppino nel soggetto
la creatività e gli permettano di creare associazioni tra ciò che vede e ciò che fa 250.
Nel dibattito si citava spesso un proverbio cinese: “Se ascolto, dimentico. Se
vedo, ricordo. Se faccio, capisco”. Come esempio, qui nel Trentino Alto Adige, e
più precisamente a Trento, è possibile citare il Museo Tridentino di Scienze
Naturali. È un validissimo esempio di didattica museale applicata, per i bambini.
Vengono proposte numerosa attività: laboratori creativi per famiglie, visite
247
Cfr. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI cit., 33, 34.
V. F. ANTINUCCI, Comunicare nel museo, Roma-Bari, 2004, X.
249
In Italia è successo circa venticinque anni fa, periodo in cui avevano luogo i primi convegni sul
tema.
250
Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 197, 198.
248
94
notturne, possibilità di interagire con gli oggetti251. Le attività possono anche
essere previste solamente per gli adulti252.
Il mondo anglosassone ha sempre rivolto ampia attenzione alla dimensione
educativa. Il museo americano, per esempio, è esso stesso nato come strumento
divulgativo, per elevare la cultura della cittadinanza. I direttori propongono molte
attività per i bambini, assolutamente efficaci in quelle zone degradate che
potrebbero “deviare” la cultura. Deve essere, inoltre, sempre più perfezionata la
formazione degli operatori dell’educazione e della comunicazione.
Per comunicare il proprio messaggio, il museo deve decidere di attivare
delle mostre temporanee, per veicolarlo più agilmente. In questo caso, infatti, il
linguaggio è “più immediato ed emozionale, basato sull’attualità della
conoscenza e sull’evoluzione delle scoperte, concentrato sulla suggestione
dell’approfondimento di un tema”253.
Per quanto riguarda la comunicazione esterna, l’incidenza architettonica è
fondamentale. Nel museo contemporaneo il progetto dell’edificio non è
assolutamente indifferente alla natura degli oggetti esposti. Si può dire che: “la
funzione cognitiva dell’architettura deve coniugarsi con la funzione di
rappresentazione”254. Se il museo è situato in un’area facilmente accessibile della
251
Cito solo alcune delle iniziative: “Una giornata da primati. Alla conquista dell’altro sesso”.
Tecniche di seduzione: le forme più strane e curiose di comunicazione amorosa fra gli animali;
“Discovery room”, una stanza delle scoperte per vivere in maniera ludico – creativa il mondo
degli scimpanzè. Oppure posso citare le iniziative in collaborazione con il Museo dell’aeronautica
G. Caproni, sempre a Trento: “Pianeti giganti”, visita guidata al planetario starlab; “Indizi al
volo…con merenda”, caccia al tesoro tra gli aerei.
252
Iniziativa attivata al Museo Tridentino di Scienze Naturali: “Aperitivo al museo”, sfizioso drink
tra arte e scienza per un momento di intelligente relax a fine giornata.
253
V. SISINNI, cit., 2.
254
V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI cit., 111.
95
città assurge a istituzione chiaramente didattica 255, e non è più solamente un
contenitore. Oggi la struttura è più complessa e perfezionata. Negli Stati Uniti i
musei sono stati trasferiti nelle aree centrali della città. Molti di loro hanno
un’opulenta architettura che ricorda quella dei templi greci.
La parte più importante resta comunque la predisposizione di
un’accoglienza di tipo commerciale: librerie, auditorium, caffetterie e ristoranti.
Qui sono indispensabili mentalità economica e strumenti di gestione, come per il
marketing; Inoltre, la comunicazione esterna, mettendosi anche in rapporto con il
territorio che ospita il museo, si lega intimamente altresì alla missione
dell’istituzione museale che, abbiamo visto, deve diffondere la cultura nel
territorio e preservarla.
Nei musei italiani, solo dagli anni ’90, sono state avviate politiche di
valorizzazione del patrimonio attraverso un rafforzamento delle politiche
promozionali, un’offerta di migliori condizioni di fruibilità dei musei, la dotazione
di “servizi aggiuntivi” per l’utenza per aumentare il grado di soddisfazione e
diversificare le fonti di entrata. La svolta all’innovazione è stata data dal Trattato
di Maastricht, che ha ripensato il rapporto tra cittadini e Pubblica
Amministrazione256.
I museum stores, i negozi del museo, si articolano generalmente in
bookshop o giftshop, cioè libreria o articoli da regalo. In gran parte si trova un
unico grande negozio che li contiene entrambi. Ci sono altri tre formati: vendita
tramite distributori automatici, per piccoli libri od oggetti, e-commerce (i
255
256
Idem, 112.
Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 264.
96
cataloghi del Moma), e vendita tramite negozi esterni, collegati comunque al
museo257.
In Italia troviamo musei statali, di proprietà dello Stato. Essi hanno
contenuto per lo più artistico e archeologico e le collezioni sono un patrimonio
direttamente alle dipendenze del Ministero. Qui i bookshop sono stati attivati con
la legge Ronchey che prevedeva la gestione di competenza della direzione del
museo o affidata in concessione a soggetti privati esterni.
Poi i musei civici di proprietà delle municipalità, dove la gestione dei negozi è di
pertinenza della direzione del museo, ma può essere esternalizzata e affidata a
soggetti privati258.
I bookshop comunque non costituiscono una fonte di entrata da consentire
autonomia finanziaria al museo stesso, e non potranno mai esserlo 259.
1.4.4.1 Il marketing museale.
Alla comunicazione “esterna” appartiene anche il marketing, definibile
come “un processo non casuale finalizzato al raggiungimento della missione, che
si pone al servizio del museo, e cerca di avvicinare l’offerta ai desideri di alcuni
segmenti-obiettivo individuati”260. È necessario, quindi, stabilire le finalità che il
museo si propone di raggiungere, per poi fissare i metodi per il loro
raggiungimento. Il museo offre “prodotti culturali” che devono essere forniti a chi
257
Idem, 17, 18.
Idem, 39, 40.
259
Idem, 47.
260
V. S. BAGDADLI, Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della
cultura, Milano, 1997, 115.
258
97
li desidera e secondo determinate modalità. Il museo deve perciò comportarsi
come un’azienda e conoscere le strategie di mercato261.
Il museo contemporaneo è rivolto al maggior numero di persone possibile.
Anche l’architettura, anch’essa, come visto, fattore di comunicazione, cerca di
provvedere ad un allestimento che accolga efficacemente il pubblico. Quando un
soggetto decide di visitare un museo, compie una esperienza lunga, che non può
essere definita nella durata. Sceglie il museo, sceglie quando raggiungerlo e poi
effettua la visita. È intorno a questo processo che ruota tutta una serie di servizi di
supporto, dalla prenotazione on-line, per esempio, fino all’acquisto, al termine
della visita, di souvenir262. Nei musei contemporanei troviamo librerie, negozi di
articoli che riproducono ciò che il soggetto ha visto durante la visita, caffetteria, e
nei casi di strutture più complesse anche auditorium, ristoranti e gallerie
commerciali. Quindi, proprio per la presenza di queste strutture, è necessario che
il museo disponga di una “mentalità economica” e che la metta in pratica con
adeguati “strumenti di gestione”263.
Negli Stati Uniti il settore dei negozi museali è una realtà complessa e
articolata. Anzi si discute se l’eccessiva commercializzazione dei musei ne abbia
compromesso il potenziale ruolo educativo, che è una delle caratteristiche
principali della missione di quei musei. Bisogna anche rilevare, però, che prima di
essere un’analisi per verificare i bisogni del pubblico e aumentarne la
soddisfazione, il marketing è stato un utile strumento per migliorare la situazione
261
In questo senso PIROZZI, cit., 67, 68.
In questo senso C. MAURI, A. CIRRINCIONE, Shopping nei musei. Emozioni e acquisti nei
museum shop, Milano, 2006, 9.
263
V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 113.
262
98
economico-finanziaria, in passato in forte dissesto. Biglietti d’ingresso, attività
accessorie e mostre temporanee si erano rivelate molto redditizie 264; infatti la
comunicazione ha anche la funzione di convincere il pubblico ad “assumere
determinati comportamenti d’acquisto”265. In Italia queste attività non sono così
sviluppate da poter consentire ai musei un’autonomia finanziaria. La prevalenza
dei musei, poi, non è privata, e non potrebbe comunque raggiungere
l’indipendenza.
Le strategie di marketing dei musei americani si rivolgono anche ai
potenziali sostenitori del museo. Infatti, gli stessi opuscoli di talune strutture
illustrano la possibilità di diventare membri dell’associazione museale, secondo
diverse formule ad ognuna della quali corrisponde un pacchetto diverso di
agevolazioni. Oppure viene proposta la possibilità di diventare membri del
Volunteer Activities Council e di scambiare il proprio tempo per attività di
supporto all’istituzione museale. Infine, è possibile affittare taluni ambienti del
museo per incontri d’affari o ricevimenti266. I musei americani, infatti, sono quasi
tutti privati e appartengono al settore delle organizzazioni non-profit, che è
definito il terzo settore dell’attività americana. Tali strutture hanno, quindi,
bisogno di reinvestire i guadagni per lo sviluppo dell’istituzione stessa. Sono
possedute da un board of trustees, cioè un gruppo di persone che contribuiscono
personalmente alle finanze del museo e sollecitano finanziamenti altrui. Talune
strutture sono talmente grandi da essere suddivise in dipartimenti, ciascuno dei
quali è presieduto da uno dei trustees. Il collegamento tra il gruppo e il museo è
264
In questo senso BAGDADLI, cit., 116, 117.
V. BAGDADLI, cit., 107.
266
Cfr. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 116.
265
99
dato dal direttore o dalla direttrice, che opera nella maggior parte dei casi con un
rapporto fiduciario senza contratto267.
In Italia non si vedono questi soggetti come un gruppo specifico verso cui
indirizzare sforzi o progettazione delle offerte, dato che comunque il 90% dei
finanziamenti proviene dallo Stato. La concentrazione è rivolta, invece, al
pubblico che risulta essere disomogeneo e quindi dovranno essere fatti notevoli
sforzi per servirlo al meglio 268.
Prima di procedere alle attività vere e proprie di marketing è necessario
effettuare un’analisi che riveli “i fattori critici di successo” e il “sistema di
minacce - opportunità”269. Si deve prestare attenzione alle necessità dei vari
gruppi di soggetti che hanno a che fare col museo, quindi la domanda; i soggetti
contribuiscono a formare la domanda, e infine le “dinamiche competitive”270, con
altri soggetti atti a soddisfare gli stessi bisogni. È necessario lavorare su questi
fattori ed elaborare un piano che riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati.
1.4.5 Gestione e standard dei musei.
In Italia è lo Stato che gestisce le raccolte museali, gestione che risulta
meno forte dove la proprietà del museo è di enti pubblici o territoriali. Il museo
statale non ha una propria autonomia giuridica, né un suo bilancio, né un budget
per le attività che vorrebbe svolgere. Le competenze di gestione spettano
comunque al Ministero, articolato in dipartimenti e direzioni. Il funzionamento
267
In questo senso ACIDINI LUCHINAT, cit., 11-12.
Cfr. BAGDADLI, cit., 113, 114.
269
V. CATALDO, PARAVENTI, cit., 280.
270
Idem.
268
100
delle strutture è, quindi, legato alle attività ed alle risorse finanziarie del
Ministero. Siamo ancora lontani da una gestione dinamica e con carattere di
managerialità. Per i musei degli enti locali, lo Stato tutela e controlla le raccolte,
mentre la competenza legislativa appartiene alle regioni. Secondo l’art. 117 della
Costituzione, infatti, lo Stato può emanare solo disposizioni legislative di
principio, la cui attuazione è affidata alle regioni. Per quanto riguarda musei e
beni culturali i principi a cui devono fare riferimento le normative regionali sono
individuati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
I musei locali sono molto numerosi e con strutture, modalità di esposizione
e gestione diversificate271. Grazie a una ridefinizione del rapporto tra Stato ed Enti
locali, questi ultimi sono stati indotti ad una valorizzazione del patrimonio
museale ed a cercare di avviare un modello di gestione integrata dei servizi 272. Per
cercare di superare la gestione centralizzata si era attivata una procedura per
trasferire la gestione di musei e beni statali agli enti locali. I risultati però non
sono stati quelli sperati.
I musei statali hanno esclusivamente forma gestionale diretta o “in
economia” ed è anche maggioritaria nei musei degli enti locali. La gestione
indiretta è giustificata solo se garantisce più efficacia e sostenibilità economicofinanziaria. Stato, Regioni ed enti pubblici possono però stipulare accordi di
valorizzazione dei musei pubblici e anche privati273.
271
Cfr. MILONE, cit., 60-62.
Idem.
273
Cfr. A. GARLANDINI, L’intervento delle Regioni a favore dei musei, uno scenario in profondo
cambiamento,
2006,
2,
reperibile
all’URL:
«http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/2/garlandini.htm»
272
101
I criteri di gestione per i musei sono stati definiti dagli Standard Museali,
pubblicati come “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di
funzionamento e sviluppi dei musei” 274. Tale documento è frutto di un lungo
processo e di un dibattito nazionale e internazionale che a portato anche a redigere
“carte dei servizi”275. L’atto è una sintesi tra esigenze di conservazione, fruizione
e promozione dell’istituto museale moderno e individua otto ambiti di riferimento,
con relative linee guida per la definizione degli standard, ed è valido per tutti i
musei italiani, indipendentemente dal loro regime di appartenenza.
Gli ambiti riguardano:
1. Status giuridico: previsto anche dall’ICOM, serve per dotare i musei di
statuti, regolamenti o altri documenti per riconoscere loro uno status. Essi
devono indicare, tra le altre cose, le finalità, le funzioni e le attività.
2. Assetto finanziario: ovvero la messa a punto dei bilanci preventivo e
consuntivo.
3. Strutture del museo: per raggiungere garanzie di qualità, tramite procedure
e risorse specifiche.
4. Personale: deve essere qualificato e l’impiego dipende dalla dimensione
del museo, dall’importanza delle collezioni, e dalle responsabilità della
struttura.
5. Sicurezza del museo: riguarda la salvaguardia degli edifici, dei contenuti,
degli occupanti, nonché il restauro dei primi.
274
D.M. 10 maggio 2001 (art. 150 co. 6, d.lgs. 121/98).
Più diffuse in Gran Bretagna, sono tentativi di ridare efficacia alla Pubblica Amministrazione
facendo partecipare gli utenti al controllo del servizio.
275
102
6. Gestione e cura delle collezioni: implica il rispetto di standard relativi allo
status giuridico, alle finanze, al personale, alle strutture e alla sicurezza.
Risulta fondamentale un documento con gli indirizzi relativi alla gestione
e alla cura delle collezioni per raggiungere gli obiettivi di conservazione e
fruizione.
7. Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi: missione,
informazione, accesso e fruizione.
8. Rapporti con il territorio: centri di interpretazione del territorio stesso con
l’attivazione di indagini di ricerca e di conservazione276.
276
Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 75-82.
103
CAPITOLO SECONDO
BENI CULTURALI, MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE
“il virtuale non “sostituisce” il “reale”:
moltiplica le occasioni di attualizzarlo”
(P. LÉVY, Cybercultura. Gli usi sociali delle
nuove tecnologie, Milano, 1999)
2.1
L’avvento delle nuove tecnologie
Abbiamo visto nel paragrafo 1.4.4 come l’architettura contribuisca alla
creazione di un “museo – ambiente funzionale alla comunicazione intesa come
continuità fra contesti espositivi e spazi dedicati al pubblico”277. A coadiuvare
quella che abbiamo definito “comunicazione esterna”, troviamo i cosiddetti
“media digitali”: le nuove tecnologie. Solo un decennio fa espressioni come
cyberspazio, realtà virtuale, new media, ci erano quasi sconosciute, mentre oggi
fanno sempre più parte della nostra realtà quotidiana.
Innovazione e tecnologia rappresenta un binomio su cui da tempo si punta:
le nuove tecnologie, intese come un mezzo per raggiungere gli obiettivi e non
come un fine a sé stante278, trasformano i sistemi tradizionali di tutela, gestione e
valorizzazione dei beni culturali, poiché cambiano i modi di produrre e diffondere
la cultura.
Sono stati attribuiti alcuni caratteri essenziali al nostro presente, tra cui
“società dell’informazione” ed “era digitale”: è questo il concetto chiave su cui è
necessario fare una breve riflessione, poiché intorno ad esso ruota tutta
277
V. S. MONACI, Il futuro nel museo. Come i nuovi media cambiano l’esperienza del pubblico,
Milano, 2005, 27.
278
In questo senso S. BODO (a cura di), Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee,
Torino, 2000, 83.
104
l’innovazione di cui andiamo discutendo. Il termine “digitale” 279 caratterizza “un
segnale, una misurazione o una rappresentazione di un fenomeno attraverso i
numeri”280, grazie alla digitalizzazione delle informazioni e quindi al loro
inserimento nella rete informatica, avviene l’incontro tra le tecnologie
informatiche e le tecnologie della comunicazione. Tramite le reti di computer, i
contenuti trasformati in bit possono viaggiare e trasferire dati molto velocemente,
migliorando il grado di accessibilità dei contenuti, e in questo caso di quelli
culturali. All’interno di questo processo si inseriscono efficacemente le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione281 che sfruttano la tecnologia digitale e
consistono in sistemi multimediali interattivi, realtà virtuale, connessione
telematica su larga scala attraverso la condivisione di un protocollo comune di
comunicazione, come Internet 282. Queste tecnologie hanno avuto un impatto
profondo con la società e, in questo caso, col settore dei beni culturali 283.
279
La cui derivazione è anglosassone, anche se l’etimologia è Latina: da “digitus” che significa
“dito” e che quindi “serve per numerare”.
280
V. PASCUZZI, cit., 17. Più specificamente, il codice digitale che sta alla base del funzionamento
dei computer e di altri dispositivi odierni è un codice di tipo binario che utilizza i due stati
fondamentali in cui si può venire a trovare un dispositivo che funziona con la corrente elettrica:
zero – uno. Qualsiasi informazione può essere ridotta a una sequenza di zero e uno. Il termine
“binario” è l’inglese binary digit, da cui bit, la più piccola quantità di informazione scambiabile
attraverso la rete informatica.
281
ICT, Information and Communication Technologies.
282
Tematiche di cui si tratterà più diffusamente in seguito.
283
P. LÉVY nel suo libro Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, cit., 26, è contrario
all’uso del termine “impatto”. Egli sostiene che, in questo modo, la tecnologia sarebbe
paragonabile a un proiettile e la società a un bersaglio. È quindi evocata una metafora errata. È
invece corretto pensare che è ”impossibile separare l’essere umano dal suo ambiente materiale, dai
segni e dalle immagini tramite cui conferire senso alla vita e al mondo”. Il mondo materiale e
artificiale non può essere separato dalle idee con cui gli oggetti tecnici vengono realizzati, le
tecnologie sono quindi il prodotto di una data società o cultura.
105
Tutti questi fenomeni comunque non sono da intendere come qualcosa che
si è sviluppato ex novo, dal nulla, ma rappresentano il risultato di un processo che
ci accompagnano da più di un trentennio 284.
Le prime applicazioni delle nuove tecnologie riguardavano sistemi di
conservazione e gestione degli archivi, con lo scopo di produrre maggiore
efficienza e qualità dei servizi offerti. Si è cercato di sviluppare e migliorare le
modalità di ricerca e recupero delle informazioni, con l’ausilio di complesse e
sofisticate metodologie per indicizzare e strutturare i dati. Ulteriori applicazioni
hanno poi portato alla costruzione di banche dati tematiche consultabili on line285. Tali strumenti hanno poi cominciato ad interessare le biblioteche ed infine
i musei. Abbiamo visto, infatti, come sia oggi di vitale importanza catturare
l’interesse dell’utente, proporgli un’accattivante presentazione dell’opera, e
conquistarlo con un’esperienza che lo coinvolga, e desti il desiderio di ripeterla.
Con l’introduzione dei nuovi modelli di fruizione delle opere e più in generale del
patrimonio, questo è diventato possibile.
Si ricordi che dalla nascita del collezionismo, gli oggetti sono stati
presentati come finalizzati a se stessi, anzi trasportati dai luoghi di provenienza
verso altri stati. Nell’epoca del digitale di può invertire la tendenza e creare
“musei trasversali” in cui si possono raggiungere in modo virtuale fonti
d’informazione sparse per tutto il pianeta, ma collegate in rete286.
284
In questo senso L. GRANATA, Dopo i beni culturali. Biblioteche e musei nell’era di Internet,
Napoli, 2001, 19.
285
Cfr. A. MACCANICO, Tecnologie, beni culturali e memoria, in P. GALLUZZI, P. A. VALENTINO,
I formati della memoria. Beni culturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio, Firenze,
1997, 4.
286
Idem, VII.
106
Secondo Antinucci si possono individuare tre caratteristiche fondamentali
che differenziano le tecnologie applicate ai beni culturali287:
1. sono
“a base visiva” quindi “mettono al centro della
comunicazione e della elaborazione l’immagine anziché il testo”;
2. sono “interattive” cioè richiedono all’utente di “agire, scegliere e
rispondere ad ogni passo della comunicazione facendola così
strutturare a lui stesso in una illimitata varietà di percorsi”;
3. sono “connesse” in modo tale che un “numero illimitato di fonti di
informazione di tutti i tipi sia accessibile in tempo reale e in forma
interattiva”.
Ciò è assai importante perché in questo settore gli oggetti con cui si ha a che fare
sono principalmente di natura visiva. Inoltre, grazie all’interattività, si modifica il
tradizionale tipo di comunicazione in quanto l’utente è chiamato ad interagire,
quindi deve sviluppare un modo di apprendimento che si definisce “senso –
motorio”288.
287
Cfr. F. ANTINUCCI, Beni artistici e nuove tecnologie, in GALLUZZI, VALENTINO, cit., 121-122.
La mente umana, durante i processi di apprendimento ed elaborazione può procedere con due
modi, molto differenti: Un primo modo detto “simbolico – ricostruttivo” e un secondo modo detto
“senso – motorio”. Con il primo modo si legge un testo con un’informazione conoscitiva, lo si
comprende, si elabora nella mente e si apprende quanto letto; è il comune “studio individuale”.
Con il secondo modo, si osserva un oggetto, lo si percepisce con i propri sensi e si interviene
sull’oggetto stesso con la propria azione motoria. Dopodichè si osservano le conseguenze della
propria azione. Quest’ultimo è il modo più naturale per l’uomo, è quello messo in atto dai bambini
nei primi anni di vita, è il comportamento di tutte quelle persone che preferiscono tentare di
utilizzare un oggetto senza leggere le istruzioni! Dall’invenzione della stampa, le conoscenze sono
state fatte passare in forma testuale, anche se le conseguenze non sono di poco conto, bisogna
infatti fare i conti con difficoltà, lentezza e fatica dell’apprendimento simbolico – ricostruttivo!
288
107
2.2
Europa e digitalizzazione
Le nuove tecnologie della comunicazione possono davvero offrire
all’Europa l’opportunità di puntare sulla riscoperta e sulla valorizzazione del
patrimonio culturale comune. Per mezzo di questi strumenti le inevitabili lacune
di coesione e di identità tra gli Stati membri potrebbero essere colmate; e le
possibili strategie di sviluppo sarebbero dotate di maggiore effettività. Ne sono
convinti i rappresentanti di tali Stati, riuniti dalla Commissione europea, dal 2001,
nel cosiddetto “Gruppo europeo dei rappresentanti nazionali per la
digitalizzazione del patrimonio culturale” (NRG); e nominati da ciascuno stato
dell’Unione.
L’istituzione di tale organo rispondeva all’esigenza espressa da una
raccomandazione contenuta nel piano d’azione eEurope che, a partire dall’anno
2000, mira a creare tra gli Stati membri meccanismi di coordinamento di
programmi e progetti nazionali per facilitare la creazione di contenuti digitali a
disposizione dei cittadini europei. È, infatti, diventata centrale, per le politiche
europee, la fruizione del patrimonio culturale comune attraverso la sua
digitalizzazione, e perciò è necessario “riunire le forze” per perseguire obiettivi
comuni.
Nel 2001, nella cittadina svedese di Lund, sono stati elaborati importanti
principi su questo argomento, e un piano d’azione per attuarli: l’attività dell’NRG
si basa proprio su di essi ed ha il compito di custodirne l’effettività. Si prevede
come punto principale l’adozione di standard comuni e l’avanzamento verso una
piattaforma europea, costituita per mezzo di una serie di linee guida e
108
raccomandazioni289. I primi progetti di applicazione delle tecnologie al settore dei
beni culturali risalgono agli anni Ottanta, ma è solo con il riconoscimento formale
della cultura come oggetto di azione dell’Unione, da parte del trattato di
Maastricht290, che l’intervento della Comunità si è fatto più incisivo. Si prevede la
disposizione di programmi quadro che si estendono per determinati periodi di
tempo, nei quali rientrano numerosi diversi progetti291.
Nell’ambito del quadro di riferimento europeo descritto si inserisce il
progetto “Ministerial Network for Valorising Activities in digitisation”
(MINERVA) 292 che ha il compito di coadiuvare l’attività dell’NRG. È un progetto
nato nel 2002 e terminato nel 2006, finanziato dalla Commissione europea e dagli
Stati membri con lo scopo di facilitare una comune visione europea nella
definizione di azioni e programmi nel campo dell’accesso e fruizione in rete del
patrimonio culturale. L’obiettivo è quello di delineare possibili soluzioni che
consentano di raggiungere un equilibrio tra fruibilità del patrimonio culturale e
scientifico e tutela dei diritti, in particolare dei diritti di proprietà intellettuale. Si
riconosce, infatti, che l’individuazione dei diritti è fondamentale nel momento di
erogazione e gestione dei servizi, da parte delle istituzioni. Queste stesse
istituzioni, in particolare archivi, musei, biblioteche, necessitano inoltre di poter
contare su un modello di licenza o contratto delineato e condiviso dai Ministeri
289
Cfr. MINERVA E UROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities
in
digitisation.
Attività
2003-2004,
reperibile
all’URL:
«http://www.minervaeurope.org/publications/minervabooklet2003-2004-i.pdf»
290
V. art. 151 (ex 128), par. 1.2.2.
291
Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 49.
292
Nato all’interno del programma quadro eContent.
109
della Cultura europei che rispetti gli interessi delle parti in gioco e che salvaguardi
il diritto all’informazione per tutti i cittadini europei293.
MINERVA ha dato vita a una rete di Ministeri europei della cultura,
coordinati dal Ministero italiano, con l’obiettivo di armonizzare le attività di
digitalizzazione. I contatti con gli altri paesi, con organismi internazionali, con
altri progetti con scopo simile hanno favorito la convergenza fra archivi,
biblioteche, musei, siti archeologici, in una prospettiva di integrazione dei
servizi294. Tali indicazioni favoriscono lo sviluppo di contenuti interoperabili e lo
scopo di promuovere approcci che supportino la conservazione a lungo termine
dei materiali digitali. Nel 2004 è stata realizzata un ampliamento del progetto
MINERVA, attraverso “MINERVAplus”, per estendere i risultati ottenuti ai nuovi
paesi entrati a far parte dell’Unione Europea. Le linee d’azione dei due progetti
proseguono comunque in sintonia, i nuovi partner sono impegnati nelle stesse
tematiche del precedente progetto, ma focalizzano l’attenzione su argomenti
specifici295. MINERVAplus in particolare ha condotto uno studio sui sistemi di
293
Cfr. MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE
TECNOLOGIE, Relazione informativa. Digital Rights Management, reperibile all’URL:
«http://www.innovazione.gov.it/ita/intervento/normative/pubblicazioni/digital_rights/digital_rights
_management_full.pdf»
294
Taluni dei prodotti concreti di MINERVA sono stati: “Handbook for quality in cultural
website”, “Ten cultural websites’ quality principles”, “Linee guida tecniche per i programmi di
creazione di contenuti culturali digitali”. Per maggiori informazioni:
«http://www.minervaeurope.org/events/parma/parmaconference.htm»
«http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria-i.htm»
«http://www.minervaeurope.org/publications/technicalguidelines.htm»; v. anche par. 2.4.4.1.
295
Cfr. MINERVA E UROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities
in digitisation. Attività 2003-2004, cit.
110
Digital Rights Management per definire i bisogni delle istituzioni culturali e
testare le piattaforme tecnologiche296.
Nel 2003, durante la presidenza italiana, l’NRG ha elaborato un nuovo
documento strategico, la “Carta di Parma”. Essa rappresenta l’evoluzione dei
“Principi di Lund” e serve a consolidare gli obiettivi raggiunti e ad individuare
quelli da raggiungere. È importante sottolineare che, tra gli altri principi, la Carta
propone di “trovare un giusto equilibrio tra il diritto di accesso al patrimonio
culturale e scientifico e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale”; a tal
proposito sostiene “tutte le azioni rivolte ad incrementare l’accessibilità e
superare le barriere legislative e normative, incoraggia il dialogo tra esperti di
diritti di proprietà intellettuale, imprese che applicano sistemi di Digital Rights
Management e imprese produttrici di contenuti”297.
Nel 2004 è stato avviato un altro progetto: “Multilingual Inventory of
Cultural Heritage in Europe” (MICHAEL) all’interno del programma quadro
Electronic trans-european networks (eTen). Esso si avvale del sostegno dell’NRG
e del progetto MINERVA fra il Ministero italiano per i beni e le attività culturali,
il francese Ministére de la culture et de la communication e il Museums libraries
and archives council del Regno Unito. Fondandosi sui risultati raggiunti dal
progetto MINERVA nel campo degli inventari di collezioni digitali e degli
standard tecnici per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali,
MICHAEL ha l’obiettivo di creare un portale trans-europeo per l’accesso online
296
MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione,
reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org».
297
V. MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE
TECNOLOGIE, Relazione informativa. Digital Rights Management, cit.
111
multilingue ai contenuti culturali digitali di Francia, Italia e Regno Unito. In
questo modo, attraverso l’adozione di standard condivisi, MICHAEL porterà
all’allineamento e all’interoperabilità dei portali culturali nazionali, permettendo
ai cittadini europei di “navigare e compiere ricerche nell’ambito delle collezioni
culturali digitali dei paesi aderenti” 298. Nel 2005 si è esteso il progetto in
“MICHAELplus”, attraverso il coinvolgimento di altri paesi europei proposto dal
Ministero per i beni e le attività culturali (MiBAC) 299. Il progetto quindi censisce
e dà accesso alle collezioni digitali, intendendo per “collezione digitale” una
“aggregazione di oggetti digitali. Il termine collezione indica che la risorsa
digitale è descritta collettivamente; le sue parti possono comunque essere
descritte e “navigate” indipendentemente”300.
Nel 2005 è stato predisposto un nuovo Piano d’azione, il “Dynamic Action
Plan”, che approfondisce e sostituisce i “Principi di Lund” e cerca di eliminare
gli ostacoli individuati nel tempo, tracciando la rotta da seguire nei prossimi anni.
L’obiettivo resta quello di assicurare ai cittadini europei un accesso facile e
immediato al patrimonio culturale 301.
I progetti, nel loro complesso cercano di individuare e rimuovere gli
ostacoli al mantenimento delle risorse culturali digitali, assieme al bisogno di
individuare soluzioni tecnologiche e modelli di sviluppo economico. Sempre
298
V. l’URL: «http://www.michael-culture.org» e v. R. CAFFO, Il Piano d’azione dinamico per il
coordinamento europeo della digitalizzazione di contenuti culturali e scientifici, in Digitalia,
2006, 1, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20061_globale.pdf» .
299
L’estensione coinvolge Finlandia, Germania, Grecia, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo,
Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria.
300
V. R. CAFFO, Progetto MICHAEL, reperibile all’URL: «http://www.michael-culture.org».
301
Cfr. R. CAFFO, Il Piano d’azione dinamico per il coordinamento europeo della digitalizzazione
di contenuti culturali e scientifici, cit.
112
maggiori quantitativi di informazioni, infatti, sono “collezioni digitali primarie”
(born digital) e la loro conservazione è necessaria, non solo per il settore
culturale. Si prospetta, quindi, una collaborazione con progetti internazionali ed
europei sul tema della conservazione a lungo termine 302. Inoltre, l’Italia si è
proposta per guidare gli studi che riguardano la sostenibilità dei contenuti digitali,
facendo tesoro delle esperienze maturale attraverso il progetto MINERVA, il
quale si è occupato di copyright e diritto d’autore; e quello dell’abbattimento dei
costi della digitalizzazione, cercando di creare una struttura europea per la
digitalizzazione.
2.3
Pubblico e nuove tecnologie
Nella nostra società la trasmissione di messaggi culturali passa necessariamente
attraverso le nuove tecnologie. Nonostante la nostra età sia stata denominata
“società dell’informazione”, esiste ancora, in realtà, un forte deficit di
informazione e conoscenza: si registra un elevato divario tra il sapere detenuto dai
soggetti. Tuttavia, la domanda culturale è in continuo aumento, intesa come
rivolta al patrimonio fisico e ai fenomeni come mostre ed esposizioni temporanee.
La richiesta di cultura domina le motivazioni principali di spostamento dei turisti,
che sono sempre più “maturi, consapevoli ed esigenti” 303. Il visitatore, infatti,
parte provvisto di una approfondita ricerca di informazioni che riguardano tutti gli
302
MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione,
cit.
303
V. A. GRANELLI, F. TRACLÒ (a cura di), Innovazione e cultura. Come le tecnologie digitali
potenzieranno la rendita del nostro patrimonio culturale, Milano, 2006, 2.
113
aspetti della sua visita e, per farlo, si avvale, prevalentemente, di strumenti
informativi che trova in rete.
Proviamo ad analizzare questo soggetto: il visitatore di un museo 304.
Secondo un’efficace figura evocativa utilizzata da Bertuglia il museo
rappresenterebbe un “giacimento di informazioni” e le nuove tecnologie
sarebbero gli “strumenti per estrarre le informazioni dal museo” 305.
Possiamo distinguere due tipi ideali di utenti:
 l’utente diretto;
 l’utente remoto.
L’utente remoto è una nuova figura che scaturisce dall’impiego delle nuove
tecnologie: la capillare diffusione di Internet 306 nella società e la digitalizzazione
del patrimonio hanno permesso alle istituzioni culturali come i musei di
condividere con il pubblico un flusso pressoché illimitato di informazioni e ha
permesso agli individui di procedere a un “consumo a domicilio” 307 di cultura.
Questo segna una svolta rispetto al passato: l’utente può scegliere il momento del
consumo, la durata, l’oggetto, riducendo tempo e costi. Le conoscenze in cui si
imbatterà potranno essere fine a se stesse o indurre il soggetto a una visita diretta
nei luoghi di cui si sono individuate le informazioni. In questo caso l’utente si
trasforma in utente diretto. È, quindi, possibile che un soggetto possa
rappresentare, al tempo stesso, entrambe le tipologie, facendo precedere la visita
304
Che da ora chiameremo “utente”.
V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 154.
306
Su cui si farà un breve approfondimento in seguito.
307
V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 163.
305
114
da una ricerca; ma è anche possibile che l’utente remoto non diventi mai utente
diretto.
Tutto ciò permetterà di valorizzare non solo i grandi musei, ma anche e soprattutto
quelli di piccole dimensioni che acquisteranno una “visibilità insperata”308.
Per quanto riguarda l’utente diretto, egli si trova all’interno del museo ed è a
stretto contatto con gli oggetti. Le nuove tecnologie gli permettono di esaminare i
beni da un punto di vista diverso o in modo più approfondito.
L’utente remoto, invece, può stabilire diversi tipi di contatto col museo e con gli
oggetti:
 può stabilire una relazione precedente di preparazione a una visita;
 può stabilire una relazione che è fine a se stessa e che:
 non porterà a una visita futura,
 porterà a una visita futura;
come abbiamo visto, ma
 può stabilire una relazione successiva alla visita per rielaborare ciò che ha
visto309.
Questo stesso utente può rappresentare una fatta di popolazione molto
eterogenea. L’età è un elemento fortemente discriminante: è, infatti, facilmente
intuibile come i giovani siano i più stimolati all’uso delle nuove tecnologie, in
quanto portatori di una cultura più orientata all’utilizzo dell’informatica, grazie
alla scuola e ai media di comunicazione, come la televisione. Gli anziani, invece,
308
309
Idem, 161.
Idem, 149-151.
115
incontrano diverse barriere tra cui la complessità di utilizzo o la non
comprensione delle informazioni310.
I nostri comportamenti sono in linea con quelli degli Stati dell’Europa
centrale, ma notevolmente diversi da quelli dell’Europa del nord e degli Stati
Uniti, dove si riscontra una penetrazione decisamente maggiore dei computer, e
dell’informatica in generale, nelle famiglie. Si può prevedere, però, che col tempo
l’alfabetizzazione informatica crescerà e farà sempre più parte della vita
quotidiana e che, quindi, tutti un giorno ne saranno coinvolti311.
2.4
Gli strumenti a servizio dell’utente
In che cosa consistono le nuove tecnologie, applicate ai musei, o che ad essi si
collegano? Stiamo parlando di:
 Collegamenti video
 Banche dati e archivi ondine
 Guide multimediali e interattive
a)
CD rom o DVD rom
b)
Chioschi multimediali e work stations
c)
Audio e videoguide
 Musei virtuali
Tra queste si possono individuare le tecnologie per la fruizione in loco, come
collegamenti video, chioschi o audio e videoguide e tecnologie per la fruizione
“da remoto”, come CD rom e DVD rom, banche dati, musei virtuali.
310
311
Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 13-21.
Idem.
116
Collegamenti video, banche dati e musei virtuali saranno esposti ciascuno in un
separato paragrafo; CD rom e DVD rom, chioschi e audio e videoguide invece
sono partizioni del paragrafo intitolato Guide multimediali o interattive.
Ritengo opportuno soffermarmi brevemente ad illustrare la tecnologia che
supporta in gran parte questi strumenti: Internet.
Internet è la più importante rivoluzione tecnologica della nostra società ed
è il simbolo dell’era digitale. Essa può essere intesa come una rete di reti collegate
fra loro che usano dei protocolli di comunicazione comuni312. Internet è nata da
presupposti di tipo strategico – militare, negli anni Sessanta negli Stati Uniti. Già
negli anni Settanta è divenuta un mezzo dagli usi più svariati, non militari. Il suo
successo è stato decretato dalla crescita esponenziale dei computer connessi e
dalla conseguente circolazione di innumerevoli informazioni. Per aiutare gli utenti
a districarsi tra esse sono stati perfezionati dei cosiddetti “software di
navigazione”; quello attualmente più diffuso è il World Wide Web, da cui si inizia
la navigazione verso altri siti. Il protocollo di comunicazione del “www” è detto
“http” HyperText Transfer Protocol313.
2.4.1 Collegamenti video
Nei musei, in particolare all’interno di una mostra, i collegamenti video
possono essere intesi come pannelli che rimandano immagini delle opere,
immagini dell’autore o degli autori coinvolti nell’evento. Spesso sono coadiuvate
312
I protocolli di comunicazione sono un’insieme di regole per comporre dei messaggi e
consentirne lo scambio tra due macchine. L’insieme dei protocolli di comunicazione di base, usati
da Internet, è TCP/IP Transmission control protocol/Internet protocol.
313
Cfr. PASCUZZI, cit., 22,23; GRANATA, cit., 38, 39.
117
da musica ed effetti sonori, creati per l’occasione o raccolti tra gli esistenti, che
creano una particolare e studiata atmosfera e favoriscono l’immersione dell’utente
nell’ambiente.
Come abbiamo visto, il museo contemporaneo può anche ospitare
“strutture per l’intrattenimento” del pubblico, come un auditorium. Esso può
essere impiegato anche per, ad esempio, mostrare il lavoro compiuto dai
conservatori o mostrare il loro lavoro ancora in corso, a cui assiste il pubblico, che
può porre delle domande.
Possiamo inserire in questo ambito anche le videoconferenze, importanti
per consolidare i rapporti tra le singole istituzioni museali e per l’interscambio
professionale 314; così pure il servizio di fruizione di spettacoli on - line, per
l’utente connesso ad Internet, siano essi mostre, documentari o informazioni
culturali. I video sono già registrati e pubblicati in rete, la loro fruizione è
possibile con due modalità: in tempo reale attraverso Internet oppure tramite
previo download sul proprio computer315.
2.4.1 Banche dati e archivi online
L’art. 2, n. 9, della legge 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto
d’autore e di altri diritti concessi al suo esercizio”, definisce le banche dati come
“raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o
metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o
in altro modo”.
314
In questo senso A. FAHY, Leggibilità e accesso: le tecnologie dell’informazione e della
comunicazine al servizio del museo d’arte, in BODO, cit., 92 - 97.
315
Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 110, 111.
118
Nel corso degli ultimi decenni e grazie allo sviluppo delle tecnologie
informatiche e quindi del fenomeno della digitalizzazione, sono andate assumendo
importanza sempre maggiore. I siti web dei musei riescono a predisporre banche
dati e gli utenti registrati possono anche estrarre, previa accettazione di una
licenza d’uso e con il pagamento di una determinata somma, delle immagini
digitali che riproducono opere del museo 316.
Si può trovare, così, un inventario visivo completo delle collezioni e
l’insieme dei dati costituisce il patrimonio del museo. Si noti che la dottrina
qualifica le mostre e le raccolte d’arte come “banche dati” e ciò si può applicare
anche alle esposizioni virtuali o ai musei virtuali317.
Inizialmente non è stato facile organizzare degli archivi, a causa delle
difficoltà incontrate per la conversione dal cartaceo al digitale. Inoltre mancavano
degli standard univoci da seguire. Ma con la progressiva diffusione di Internet e
con tutte le potenzialità offerte dalle tecnologie telematiche il processo di
conversione ha subito un’accelerazione. La definizione di un protocollo comune
ha reso meno difficile il conseguimento di obiettivi come accessibilità e fruizione.
In Italia non esiste una rete di risorse a livello nazionale, ma sono in atto
esperienze e progetti collegati a particolari istituzioni318.
316
Cfr. S. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. Ind.,
2002, 3, 302.
317
Cfr. S. STABILE, G. GUERZONI, I diritti dei musei. La valorizzazione dei beni culturali nella
prospettiva del rights management, Milano, 2003, 243.
318
Cfr. MONACI, cit., 88-90.
119
2.4.2 Guide multimediali e interattive
I musei producono tutta una serie di materiali audiovisivi, multimediali e
interattivi che hanno il compito di coadiuvare l’attività e la missione del museo.
Ho diviso questi strumenti in tre parti:
a) CD rom e DVD rom
b) Chioschi multimediali e work stations
c) Audio e videoguide
a) CD rom e DVD rom
Facciamo un po’ di chiarezza: con il termine “multimedialità” si intende “la
possibilità di produrre e di ricevere informazione e di comunicare attraverso testi
scritti, voci, musica, immagini o grafica, utilizzando lo stesso supporto fisico o gli
stessi canali di trasmissione” 319. Si possono, quindi, trovare media differenti: se
almeno due di questi elementi sono presenti, allora il documento può essere
definito “multimediale”.
Tutti questi elementi sono in formato digitale e, nel caso di CD rom e
DVD rom, fissati su un supporto ottico.
I prodotti multimediali sono quasi sempre anche interattivi e ciò indica
l’interazione di un soggetto con un oggetto, o meglio una macchina, e la macchina
risponde in un determinato modo che innesca nel soggetto un nuovo
comportamento. Il tutto andrà a creare una sorta di “circolarità comunicativa”320.
319
V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 156.
V. CD rom allegato a P. A. BERTACCHINI, E. BILOTTA, P. PANTANO, Il museo nell’era digitale,
Catanzaro, 1997.
320
120
CD rom e DVD rom rappresentano il punto di arrivo di ricerche
abbastanza recenti. Questi supporti sono comparsi negli anni Ottanta, permettono
di registrare dati eterogenei321 in forma digitale che una volta registrati non sono
più modificabili322. Il DVD è una variante “ad alta densità” di caricamento dei
dati, è cioè più capiente e può contenere tracce video e audio di qualità superiore.
Esso permette anche all’utente di muoversi all’interno del disco tra titoli e
capitoli323. Possiamo trovarci di fronte a visite virtuali, percorsi interattivi che
offrono approfondimenti sulle opere di una collezione 324, giochi interattivi e
servizi didattici, rivolti ad un pubblico di giovani o giovanissimi. L’ultimo
impiego citato vuole avvicinare i ragazzi al mondo dell’arte e realizzare quello
che oggi viene chiamato “edutainment”325, in altre parole “imparare divertendosi”
e può essere anche applicato alle finalità del museo virtuale.
Tali elementi sono un valido veicolo di trasmissione della conoscenza e di
diffusione della cultura. La loro realizzazione deriva da un progetto che molto
spesso è orientato alla promozione di una istituzione museale e perciò suscita, o
dovrebbe suscitare, nell’utente la curiosità e la voglia di visitare la struttura.
b)
Chioschi multimediali e work stations
Chioschi multimediali e work stations, appartenendo alla fruizione in loco,
sono situati all’interno del museo.
321
Come si è visto testi, immagini, suoni.
Rom infatti significa read only memory.
323
Cfr. GRANATA, cit., 33-34.
324
Approfondimenti che spesso non sarebbero realizzabili all’interno di una esposizione.
325
È un neologismo nato dalla fusione dei termini inglesi education e entertainment e indica tutta
quella serie di attività che servono per un apprendimento ludico e sono supportate dall’informatica
e rivolte a un pubblico giovane.
322
121
Le due tipologie sono similari e consistono in postazioni computerizzate
che utilizzano le nuove tecnologie per mostrare contenuti testuali e grafici, audio e
video e danno informazioni relative ai materiali esposti. Possono anche fornire
servizi informativi su come orientarsi all’interno della struttura museale e su come
usare i media presenti al suo interno.
Sono utili all’approfondimento delle tematiche trattate, per esempio, in una
mostra temporanea: talune postazioni possono essere anche fornite di stampante
per portare con sé le informazioni raccolte326.
c)
Audio e videoguide
In generale, le audio guide permettono all’utente di una struttura museale,
di una città d’arte o di un altro luogo significativo, di effettuare la visita
utilizzando come supporto una guida audio che fornisce spiegazioni e
informazioni su quanto si sta vedendo.
Questo strumento è in forte evoluzione: esso si è, infatti, aggiunto
all’ascolto di voci e suoni anche la visione di immagini, filmati e collegamenti in
rete. La tipologia più utilizzata permette un ascolto e una visione individuale da
parte dell’utente ed è programmabile secondo le sue richieste, in un’ottica di
“personalizzazione del servizio che offre al visitatore libertà rispetto alla
fruizione della visita”327.
326
327
Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 170; CATALDO, PARAVENTI, cit., 240-241.
V. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 164.
122
Cito due esempi particolari di applicazione di questo strumento, uno
previsto per la fruizione in loco, all’interno del museo, l’altro per la fruizione
all’aperto, per un’area cittadina o più estesa.
Il primo esempio concerne una video-guida su palmare implementata
all’interno del Museo Didattico della Seta, con sede a Como 328. Tale innovativa
guida è denominata i-muse, interactive museum, e costituisce il progetto
imprenditoriale di Davide Orlando, Guido Panini, Luca Fadigati e Paolo
Sinigaglia. Nel mese di agosto 2007 si sono conclusi i test di usabilità dello
strumento, prove a cui ho partecipato personalmente e con entusiasmo. La
piacevole voce di una guida virtuale, Chiara, presenta all’utente il museo in cui è
entrato, la sua storia, e lo indirizza verso la possibilità di personalizzare il palmare
modificandone talune impostazioni. È possibile cambiare lingua d’ascolto,
volume dell’audio, impostazione del touch screen per persone che utilizzano l
mano sinistra. Inoltre è previsto un servizio “preferiti”, grazie al quale il
visitatore, durante la visita, può apporre un “segnalibro” ad un particolare
argomento che lo ha colpito, il segnalibro salva immagini e informazioni in una
speciale pagina, che potrà essere in qualsiasi momento consultata, e che conterrà il
contenuto che l’utente ha più apprezzato329. La struttura museale330 è mappata da
una serie di segnalatori, contrassegnati da un numero progressivo, il palmare è in
grado di captare il segnale collocato in un particolare punto di attrazione, accanto
al numero, collocato su di un pannello, in prossimità di determinati oggetti.
328
«http://www.museosetacomo.com»
Nelle intenzioni dei progettatori c’è anche la possibilità, se l’utente ne manifesta il desiderio, di
inviargli via e-mail le informazioni e le immagini, salvate durante la visita, in modo da poter
conservare i contenuti ritenuti più significativi.
330
Durante i test le sale coinvolte erano solo tre, sulle nove presenti.
329
123
Ricevuto il segnale, viene inviato il corrispondente programma audio e video che
avrà come punto di partenza l’oggetto accanto al quale è stato posto il segnale.
Seguendo i punti di attrazione in ordine numerico, la descrizione avrà anch’essa
un ordine cronologico.
Le informazioni sono estremamente interessanti e riescono ad essere
accattivanti, fornendo anche immagini, filmati e musiche d’epoca331; la
comprensione risulta, così, più intuitiva e semplice.
Alla fine della visita è proposta la compilazione di un questionario per
cogliere pregi e criticità del servizio e renderlo ancora più funzionale 332.
Altro esempio è una guida multimediale, prevista come sistema di
promozione territoriale per il Trentino Alto Adige333. Tale progetto coinvolge il
centro di ricerca “Fondazione Bruno Kessler” 334- IRST Centro per la ricerca
scientifica e tecnologica, è finanziato dalla provincia di Trento e si inserisce
nell’ambito dello studio “PEACH” Personal Experience with Active Cultural
Heritage. Tale studio è stato condotto nel quinquennio 2001 – 2005 e ha prodotto
un prototipo concepito per la visita al Castello del Buonconsiglio, in particolare
per la visione degli affreschi, del XV secolo, di Torre Aquila che presentano il
famoso “ciclo dei mesi”. La ricerca, però, ora si è ampliata, il progetto
attualmente in atto studia una guida capace di fornire informazioni su tutto il
territorio, non solo nei musei, che hanno comunque bisogno di essere messi in
331
Si parla, infatti, della coltivazione del baco da seta e della successiva produzione e stampatura
del filato.
332
Per maggiori informazioni è possibile visitare il blog di uno dei progettatori, Davide Orlando,
«http://blog.albegor.com»
333
Un esempio estero di guida outdoor lo si ritrova in Grecia, tramite “archeoguide” fornite ai
visitatori di siti archeologici, con informazioni e ricostruzioni in 3D.
334
Conosciuta come ITC Istituto Trentino di Cultura, fino al 1° marzo 2007.
124
contatto con esso, per una fruizione più completa. Vi sono coinvolte istituzioni,
associazioni, enti di promozione e musei. Inoltre le APT 335 sono chiamate a
fornire informazioni, percorsi culturali e aggiornamenti degli stessi, garantendo
qualità dei contenuti e promuovendo la guida tra i cittadini e i turisti.
Dovrebbe essere un’unica piattaforma a servizio del turista, noleggiabile, e
con informazioni su cinema, teatro, eventi, sport.
La tecnologia utilizzata dal palmare è quella GPRS/GPS con dispositivo di
rilevamento satellitare e di auricolare. È anche in previsione la possibilità di
fornire i servizi attraverso cellulare, il turista potrebbe, infatti, scaricarvi un menu
di informazioni.
2.4.4 Musei virtuali
Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha portato anche all’affermazione di
tutti quei fenomeni riconducibili sotto l’espressione generale di “museo virtuale”.
Ciò è stato possibile per due ragioni:
 l’introduzione di una tecnologia capace di elaborare immagini
statiche e in movimento;
 lo sviluppo di capacità e velocità delle reti di interconnessione tra
computer, l’avvento di Internet e il suo forte impatto sociale.
La tecnologia ha, quindi, cominciato a supportare altre modalità 336.
Come già si è ricordato, il modo più diffuso di apprendimento è quello
“simbolico – ricostruttivo”337. Ad un certo punto, però, la tecnologia è stata
335
336
Aziende Provinciali per il Turismo.
Cfr. F. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, in Sist. Int., 1998, 2, 282.
125
capace di supportare l’altra modalità di apprendimento, quella “senso – motoria”,
con la conseguente possibilità di interagire con gli oggetti percepiti coi sensi.
Quindi tecnologia delle immagini e interazioni con esse 338.
Tale tecnologia, avendo a che fare con oggetti visivi, si coniuga
perfettamente ai musei, i quali, perlopiù, hanno a che fare con opere d’arte
figurativa. Anzi questo settore beneficia più di altri di questa novità, poiché la
modalità di apprendimento “simbolico – ricostruttiva” non è altrettanto
intuitiva339.
Sotto il concetto di museo virtuale possiamo individuare diverse
elaborazioni. Innanzitutto parliamo di informazioni presenti in rete e più
precisamente su Internet: il museo smette di essere istituzione statica e ha, invece,
la possibilità di veicolare un’immagine di sé più nuova e dinamica.
Si può operare una distinzione tra:
 musei che hanno un referente reale e decidono di “sdoppiarsi”
creando una loro versione virtuale;
 musei che non esistono nella realtà, ma solo sul web;
 ricostruzioni virtuali di monumenti andati perduti o non visitabili.
Per quanto riguarda il primo punto, si è scritto340 che “il museo nell’era
telematica non può essere il clone digitale del museo così come esso esiste
attualmente. Sarebbe una visione limitata e di scarsa fruibilità, si intende invece
uno strumento capace di togliere l’oggetto museale dall’isolamento e dalla
337
V. par. 1.5.1.
Cfr. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, cit., 283.
339
Idem, 284.
340
V. A. CONCINA, Le tecnologie per la cultura o una nuova cultura delle tecnologie?, in Econ.
Cult., 1996, 1, 63.
338
126
situazione di alienazione e di sradicamento nella quale si trova all’interno, per
restituirgli i parametri e i riferimenti necessari per leggerlo e quindi apprezzarlo
nelle sue caratteristiche, ponendo il museo in una funzione centrale nella
produzione e nella diffusione della cultura”341.
Considerando, invece, l’ultimo punto, ci sono opere che non sopportano la
presenza di molti visitatori, per questioni fisico – ambientali. La riproduzione
mediante le nuove tecnologie può risolvere il problema. Si deve comunque fare in
modo di restituire all’utente le stesse condizioni, percettive e visive, che
assumerebbe nella visita reale; infatti, e questo vale anche per CD rom e DVD
rom, senza alcun “valore aggiunto”, dopo l’impatto della novità, “resteranno solo
frustrazione e noia”342.
Le tecnologie disponibili per creare musei e collezioni virtuali sono,
infatti, sostanzialmente tecnologie di visualizzazione, impiegate per offrire
rappresentazioni visive globali, di particolari e dettagli o ricostruzioni dell’aspetto
passato di oggetti343; colmando, così, le lacune dovute all’inaccessibilità o alla
lontananza o alla distruzione totale o parziale degli stessi344.
341
Si noti che sebbene un artefatto digitale sia solo un sostituto parziale di un’opera d’arte
originale, è utile ricordare che il valore assegnato ad un’opera d’arte deriva in gran parte da
concezioni sociali che riguardano il valore speciale, l’autorità e la presenza della copia originale
come opposta agli artefatti. Gli artefatti digitali, però, abbracciano e ingrandiscono simili valori
espressivi, estetici e storici che tradizionalmente definiscono l’interesse del pubblico nella
conservazione culturale delle opere tangibili. E un interesse simile esiste anche per le opere che
sono “born digital” e non esiste un corrispondente reale, lo vedremo dopo al par. 3.5, in questo
senso G. PESSACH, Museums, Digitization and Copyright Law – Taking Stock and Looking Ahead,
2007, reperibile all’URL: «http://wwwssrn.com/abstract=961328».
342
V. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, cit., 288, 289.
343
Siano essi pezzi di una collezione, monumenti o siti storici-archeologici.
344
Si parla, in questi casi, di “augmented reality”, in cui vengono mescolati elementi visivi reali e
altri digitali virtuali, per “aumentare”, appunto, la comunicazione del patrimonio culturale; cfr. F.
NICCOLUCCI, cit., 41, 42.
127
Legati al museo troviamo poi numerosi altri servizi, come la prenotazione
e l’acquisto di biglietti, spesso gestita da concessionari che adottano criteri di
efficacia ed efficienza. I servizi tecnologici utilizzati sono di vario tipo e variano a
seconda delle infrastrutture tecnologiche possedute del gestore345. C’è poi la
possibilità, per gli utenti, diretti e remoti, di condividere informazioni attraverso
l’uso di forum e mailing list, dando origine a gruppi di discussione 346.
Le distinzioni prima considerate si possono articolare in:
 pagine elettroniche che contengono informazioni essenziali
sul museo;
 guide digitali con riproduzioni del museo reale sul web, con
immagini di collezioni e mostre temporanee;
 cataloghi elettronici con descrizioni delle collezioni
possedute e con banche dati di ricerca,
 ipertesti sviluppati347 con rimandi, magari, a opere esterne
alla collezione;
 visite virtuali;
 giochi interattivi;
 rimandi sui restauri in corso348.
345
Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 155.
Posso affermare in prima persona l’utilità di questi strumenti: tramite l’iscrizione alla mailing
list del sito «http://www.musei-it.net», che si occupa di musei e nuove tecnologie, sono venuta a
conoscenza della possibilità di poter effettuare un test di usabilità della videoguida su palmare al
Museo Didattico della Seta di Como, di cui ho parlato precedentemente nel par. 2.4.2 sub c).
347
Ogni pagina del Web è, infatti, strutturata in modo ipertestuale: si trova un sistema di
organizzazione delle informazioni che permette un collegamento ad altri documenti consimili,
tramite parole – chiave che vengono registrate da un sistema informatico chiamato “motore di
ricerca” e che contiene le informazioni relative. Il percorso di consultazione può essere semplice e
lineare e più complesso, cioè fatto secondo associazioni di idee. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit.,
242.
346
128
In tutti i casi è comunque necessario predisporre una replica digitale di
oggetti reali, l’esempio più semplice può essere un’opera d’arte figurativa, da
utilizzare nella presentazione del museo. La semplicità, tuttavia, è solo apparente:
ci sono delle “sfide tecnologiche” da vincere. Innanzitutto si deve focalizzare
l’attenzione sulla qualità delle immagini; realizzare di immagini di alta qualità
corrisponde alla realizzazione di archivi di grosse dimensioni che rallentano le
prestazioni informatiche e fa cadere l’interesse del visitatore349. È quindi di vitale
importanza la ricerca del miglior trade-off tra qualità e prestazioni. Altro
importante aspetto riguarda la proprietà intellettuale delle opere che vengono
rappresentate, soprattutto su Internet, dove tutti possono facilmente accedere alle
immagini ed impiegarle anche in usi non consentiti350.
Proviamo ora a dare una definizione di “museo virtuale”: è “un ambiente
informatico caratterizzato da una struttura ipertestuale e ipermediale ed un
sistema di interfacce e di metafore che si avvalgono di una rappresentazione
grafica più o meno intuitiva e che consentono la navigazione all’interno di tale
ambiente, ovvero la possibilità da parte del visitatore di compiere delle azioni e
quindi di interagire col contesto potendolo anche modificare”351.
Un museo può considerarsi virtuale se è “interattivo, polisemico,
multidisciplinare e capace di attivare i diversi sensi del visitatore virtuale 352; se
permette l’accesso a dati invisibili e la contestualizzazione delle informazioni,
348
Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 101.
Cfr. F. NICCOLUCCI, cit., 42.
350
Di questo argomento si tratterà in seguito, in modo più approfondito.
351
V. M. FORTE, M. FRANZONI, Il museo virtuale: comunicazione e metafore, in Sist. Int., 1998, 2,
208.
352
Diventando, quindi, multisensoriale.
349
129
l’interscambio con altri ambienti reali e virtuali e la leggibilità delle opere e degli
episodi dinamici che contiene. Inoltre deve essere multitemporale, capace di far
evolvere le informazioni nel tempo 353, di renderle indipendenti dal territorio e di
connetterle infine per rendere il museo uno spazio conoscitivo che si incrementa
di significati e conduce, attraverso l’uso di metafore semplici, verso informazioni
più complesse”354.
La realtà virtuale può rafforzare le potenzialità comunicative del museo e
insegnare un atteggiamento creativo. Permette di imparare in modo più semplice
di come sarebbe possibile nella realtà fisica. Tutto ciò può essere di grande aiuto
all’istituzione culturale, per il raggiungimento della sua missione. Per realizzare
questi obiettivi è necessario prestare molta attenzione alle modalità della
comunicazione: si deve narrare una storia in formato digitale che prenda spunto
dalla materialità e abbandoni lo stile un po’ pedante che ha in passato
caratterizzato l’informazione museale 355.
Fino a una decina di anni fa la presenza di un museo on - line non era di
grande rilievo: i materiali forniti erano pochi e l’interazione con l’utente scarsa.
Era poco più che una vetrina elettronica delle tradizionali informazioni contenute
in opuscoli e depliant. Secondo alcuni studi, specialmente nel nostro paese, il
museo virtuale tende ancora ad essere una mera riproduzione di quello reale, di
cui si ripropone la struttura tridimensionale. È questa la maggiore criticità di
questo strumento, di cui, forse, devono ancora essere comprese e applicate
appieno le potenzialità, nonostante gli studi approfonditi.
353
Che si traduce in dinamicità.
V. FORTE, FRANZONI, cit., 208.
355
In questo senso NICCOLUCCI, cit., 47.
354
130
2.4.4.1 Standard per il Web
Nell’ambito del progetto europeo MINERVA è stato messo a punto un
documento di indirizzo dal titolo “Musei & Web”, per orientare sia la
progettazione dell’architettura del sito, sia la realizzazione pratica; sfruttando
modelli messi a disposizione online e personalizzabili.
Un museo on - line, quindi, dovrebbe essere composto dalle seguenti aree:
 informazioni su accesso, collocazione, orari e servizi del museo,
con eventualmente servizi di prenotazione o acquisto dei biglietti;
 informazioni storiografiche, istituzionali, logistiche e spaziali sul
museo, con mappe e foto;
 informazioni e descrizioni delle collezioni permanenti, con
cataloghi e inventari. Possono essere presenti descrizioni per
ciascuna opera, sia catalografiche che di commento e illustrazione;
 informazioni sulle mostre non permanenti, con note relative allo
scopo e al fondamento teorico della mostra, che tendenzialmente si
rifanno al contenuto del cataloghi stampati;
 strumenti didattici per fini educativi e divulgativi che aiutano la
comprensione delle opere;
 sezioni per il merchandising, con possibilità di e-commerce;
 sezioni per studiosi con link a risorse più approfondite o a
biblioteche e archivi museali e servizi specifici di riproduzione
fotografica delle opere;
131
 sezioni per il rapporto con il pubblico, con indirizzi e-mail per
raggiungere gli “addetti ai lavori”, questionari di raccolta di
reclami o proposte356.
2.5
Vantaggi e svantaggi delle nuove tecnologie
Alla fine della trattazione, possiamo enucleare una serie di vantaggi e di svantaggi
legati all’introduzione delle nuove tecnologie negli ambienti museali e non solo.
Cominciamo con i vantaggi:
 le tecnologie permettono di “parlare linguaggi differenti dal
tradizionale” e di realizzare nuovi servizi e prodotti357;
 creano collegamenti spazio temporali che si adattano di più a un
modello di apprendimento di un pubblico giovane, e sono capaci di
destare l’attenzione358;
 possono offrire infiniti livelli di apprendimento, per incontrare le
diverse esigenze di pubblico che può essere più qualificato, o con
generico interesse all’apprendimento, o più anziano359;
 possono essere studiate soluzioni personalizzate per un determinato
settore di riferimento, con desideri ed esigenze chiari e definiti;
 è possibile accrescere la professionalità del personale occupato e
offrire nuove possibilità di occupazione;
 possono coadiuvare il museo nel compimento della sua missione.
356
Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 254 - 255.
In questo senso GRANELLI, TRACLÒ, cit., 27.
358
Idem.
359
Idem.
357
132
Passiamo ora agli svantaggi:
 il contatto indiretto con un museo può raggiungere un grado tale di
soddisfazione da scoraggiare quello diretto;
 i costi di produzione e di aggiornamento dal punto di vista
tecnologico360 e contenutistico361 possono diventare molto alti;
 un eccesso di informazioni può portare alla neutralizzazione e alla
saturazione, negative per la comprensione dell’opera;
 l’uso di tecnologie troppo avanzate e “invadenti” può allontanare
gli utenti meno esperti;
 può diventare alto il costo per l’aggiornamento del personale;
 infine la criticità più forte di tutte le altre, insita nello stesso
sviluppo della digitalizzazione, la circolazione dell’informazione nel
momento in cui le tecnologie diventano obsolete, da questo dipende la
sopravvivenza di tutti i documenti. È necessario pensare a dei supporti
che possano leggere anche le informazioni prodotte molto tempo prima
e che, con la velocità di trasformazione delle tecnologie, possono
considerarsi espresse con tecnologia già “vecchia”.
360
361
Nel web, infatti, le tecnologie evolvono rapidamente.
Se le sale cambiano la disposizione bisogna modificare la ricostruzione.
133
CAPITOLO TERZO
IL DIRITTO D’AUTORE E LA SFIDA DEL DIGITALE
“Il diritto d’autore è sempre stato
in guerra con le tecnologie”
(P. Cerina, Protezione tecnologica delle opere e
sistemi di gestione dei diritti d’autore nell’era digitale:
domande e risposte, in Dir. Ind., 2001, 1)
3.1
L’origine e lo sviluppo dei diritti sulle opere dell’ingegno
Gli antichi non conoscevano forme di tutela della proprietà intellettuale; le
opere venivano, infatti, spesso trasformate e manipolate. Ciò che davvero contava
era il ricordo dell’opera e del messaggio che essa voleva veicolare362.
Anche nell’età romana non erano riconosciuti diritti all’autore sull’opera
da lui prodotta. Tale comportamento era dovuto in gran parte alle difficoltà nella
duplicazione dell’opera stessa, pratica che più di ogni altra farà discutere, nel
tempo, gli studiosi. L’unica via praticabile era, invero, la copiatura a mano del
testo, fatta dagli schiavi. Essendo molto laboriosa tendeva a raggiungere un costo
identico a quello dello scritto in sé, quindi era davvero poco conveniente 363.
Il diritto d’autore è un concetto che si sviluppa in epoca più tarda,
precisamente nell’età moderna. Con l’avvento della stampa a caratteri mobili, la
riproduzione e la distribuzione delle opere letterarie diventa più facile, molto
remunerativa e custodita da nuove figure che andavano assumendo grande
importanza nella società: stampatori ed editori. Essi avevano ottenuto dai sovrani
362
In questo senso L. CHIMIENTI, La nuova proprietà intellettuale nella società dell’informazione.
La disciplina europea e italiana, Milano, 2005, 29.
363
Cfr. U. IZZO, Alle radici della diversità tra Copyright e diritto d’autore, in G. PASCUZZI, R.
CASO (a cura di), I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritti d’autore italiano,
Padova, 2002, 44.
134
taluni “privilegi di stampa”364 per trarre profitto dall’attività di creazione e
controllare la circolazione delle idee365.
Il sistema dei privilegi durò fino al XVIII secolo, periodo in cui si
emanavano le prima leggi nazionali. Il complesso di concessioni e licenze in capo
agli editori costituiva il primo nucleo concettuale su cui poi si sarebbe sviluppata
la tutela delle opere dell’ingegno 366.
La legge più antica sul tema è lo Statute of Anne, emanato in Inghilterra
nel 1710; seguito dal Federal Copyright Act, negli Stati Uniti nel 1790 e dalle
leggi francesi rivoluzionarie del 1791 e del 1793. Questi atti legislativi iniziavano
a delineare i due differenti modelli giuridici di common law e civil law. Mentre le
prime due leggi privilegiavano una visione patrimonialistica della tutela,
attraverso il “diritto alla copia”, il copy - right appunto; le altre due erano rivolte
maggiormente alla considerazione della personalità dell’autore, creando un diritto
“morale” distinto da quello patrimoniale, poiché “chi crea ha diritto – per il sol
fatto di aver creato – di vedersi riconosciuta una serie di tutele”367.
In seguito il modello di civil law sarà ripreso dagli altri paesi continentali,
inclusa l’Italia368. Negli Stati Uniti, invece, si rielaborava il modello di common
law. Nati come colonie britanniche, essi avevano conservato per molto tempo una
sorta di “dipendenza culturale” dalla madrepatria, della quale cercarono di
364
Che comprendevano concessioni e licenze per la stampatura, la distribuzione e i successivi
investimenti.
365
In questo senso A. SIROTTI GAUDENZI, Il nuovo diritto d’autore. La tutela della proprietà
intellettuale nella società dell’informazione, Rimini, 2005, 30, 31.
366
In questo senso IZZO, cit., 49.
367
V. SIROTTI GAUDENZI, cit., 31.
368
Si rimarca che copyright inglese e diritto d’autore francese costituiranno gli archetipi del
copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cfr. IZZO, cit., 50.
135
disfarsi. Dopo la Guerra d’Indipendenza i fermenti autonomistici si erano fatti più
incisivi e pressoché tutti gli Stati avevano provveduto all’emanazione di proprie
leggi, senza ancora, però, elaborare una concezione univoca di copyright369. Con
l’emanazione del Copyright Act del 1790 si optò per la separazione tra i termini
“proprietor” e “author”, per sottolineare la differenza fra i due soggetti370.
Dunque, mentre la tradizione “europea” riconosceva un diritto innato
all’autore dell’opera e lo teneva distinto da un successivo diritto patrimoniale; nei
paesi anglosassoni il riconoscimento dei diritti si caratterizzava per connotati
prevalentemente utilitaristici: i diritti sono attribuiti perché il soggetto promuova
l’economia e la cultura nella società, la quale, per il proprio progresso preferisce
chiudersi alle influenze straniere371.
Nella penisola italiana un primo decreto in materia di diritto d’autore
veniva emanato dal Governo rivoluzionario piemontese nel 1799, seguito da una
legge più completa, promulgata nel 1801 dalla Repubblica Cisalpina. In seguito
tutti gli Stati pre-unitari si dotarono di proprie leggi; tuttavia questa pratica aveva
impedito di realizzare una visione d’insieme della materia, che continuava a
rimanere frammentaria372. La prima legge italiana risale al 1865 e disciplina in
modo organico la tutela della proprietà intellettuale. È stata poi tradotta nel Testo
Unico 19 settembre 1881, n. 1012, rimasto in vigore fino al 1925 373.
369
In questo senso R. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore
italiano, in PASCUZZI, CASO (a cura di), cit., 133 – 144.
370
Idem, 152.
371
Idem.
372
Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE SUI CONTENUTI DIGITALI NELL’ERA DI INTERNET, I
contenuti
digitali
nell’era
di
Internet,
2005,
30,
reperibile
all’URL:
«http://www.innovazione.gov.it»
373
Idem.
136
3.2
I livelli di protezione
Come per i paragrafi 1.2.1 e 1.2.2 andiamo brevemente ad analizzare la
dimensione normativa sopranazionale, in questo caso del diritto d’autore.
Attualmente il quadro normativo del diritto d’autore risulta essere
abbastanza complesso. Quello che verrà descritto è il riflesso del frenetico
progresso tecnologico che ha fornito nuovi stimoli e nuove opportunità ai creatori
e ai fruitori delle opere dell’ingegno, la cui diffusione molto spesso supera i
confini nazionali374. Questa nuova “Società dell’informazione” va ad intrecciare
scenari internazionali, comunitari e nazionali differenti, ma che si compenetrano e
si influenzano a vicenda. L’analisi si snoderà, appunto, attraverso la prospettiva
internazionale, comunitaria e nazionale, includendo in quest’ultima anche il
livello di protezione fornito negli Stati Uniti e in Australia.
È importante rimarcare che non può trattarsi di divisioni nette, poiché
talune normative dipendono o derivano da altre, e solo per chiarezza verranno
trattate separatamente.
a) internazionale
Apriamo il quadro normativo con la prospettiva internazionale.
I provvedimenti più risalenti nel tempo risalgono alla fine dell’Ottocento:
la “Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale” del 1883
e la “Convenzione di Berna per la creazione di una unione internazionale per le
374
Idem.
137
opere letterarie e artistiche” del 1886, che rappresenta la più antica fonte di
diritto internazionale in tema di diritto d’autore.
Si ricorda poi la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”
dell’ONU, nel 1948; la quale riconosceva, all’art. 27, il valore della proprietà
intellettuale e dal cui spirito nascerà, poi, nel 1952, la “Convenzione universale
del diritto d’autore” di Ginevra 375.
Nel 1967 veniva firmata a Stoccolma la Convenzione istitutiva
dell’”organizzazione mondiale della proprietà intellettuale” (OMPI), più
conosciuta come “World Intellectual Property Organization” (WIPO), che si
proponeva di tutelare la proprietà intellettuale nel mondo. Successivamente, nel
1996, a Ginevra, venivano adottati due trattati WIPO che rivestono un ruolo
centrale nel panorama internazionale. Si tratta del “WIPO Copyright Treaty” 376e
del “WIPO Performances and Phonograms Treaty”377.
Si ricorda che l’aumentato rilievo economico della protezione dei diritti
d’autore, dovuto in gran parte alla crescita degli scambi commerciali, ha favorito
l’adozione di due accordi: l’”Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual
Property Rights”, il cosiddetto TRIPs Agreement, e l’”Agreement on Trade and
Triffs” (GATT). Questi accordi erano allegati all’accordo istitutivo della “World
375
Revisionata, poi, nel 1971 e ratificata dall’Italia nel 1977, in vigore dal 1980. Si rammenta che
tutte la Convenzioni citate sono state poi oggetto di revisione negli anni successivi; cfr. SIROTTI
GAUDENZI, cit., 40 – 47.
376
Trattato WIPO – OMPI sul diritto d’autore.
377
Trattato WIPO – OMPI sulle interpretazioni, le esecuzioni e i fonogrammi.
138
Trade Organization”378e il tentativo era quello di armonizzare le normative
nazionali in tema di proprietà intellettuale 379.
La WIPO portava avanti un piano di lavoro, la cosiddetta “WIPO Digital
Agenda”, per studiare le questioni che sorgevano dall’utilizzo della rete Internet
nella commercializzazione e fruizione delle opere protette dal diritto d’autore380.
b) comunitario
Un altro apporto scientifico sull’argomento era stato dato anche
dall’Unione Europea per mezzo dei suoi “Libri Verdi in materia di diritti d’autore
e società dell’informazione”.
È importante ricordare il “Libro Verde sul diritto d’autore e le sfide della
tecnologia – problemi di diritto d’autore che richiedono un’azione immediata”,
del 1988. Da qui parte tutta la riflessione europea, la quale tendeva
all’armonizzazione della normativa tra gli Stati membri, poiché la disomogeneità
e l’incertezza dissuadevano dall’utilizzazione economica dei diritti. Questo lavoro
ha creato un contesto favorevole per l’innovazione e la creatività garantendo un
buon livello di protezione. Negli anni la riflessione ha prodotto alcuni
aggiornamenti dell’iniziale Libro Verde, che andavano ad occuparsi anche dei
diritti connessi. Gli sforzi si sono, inoltre, concentrati sulla tutela delle banche dati
e sulla durata della protezione del diritto d’autore381.
378
Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
Cfr. P. MARZANO, Diritto d’autore e Digital Technologies. Il Digital Copyright nei trattati
OMPI, nel DMCA e nella normativa comunitaria, Milano, 2005, 7.
380
Idem, 21.
381
In questo senso COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 31, 32.
379
139
Nel frattempo erano stati recepiti a livello comunitario i trattati
internazionali WIPO.
Si sentiva la necessità di “delineare con chiarezza un diritto esclusivo che
consentisse di governare con efficacia la comunicazione al pubblico delle opere
dell’ingegno tramite Internet e di stabilirne, in maniera armonica con quanto
previsto per il diritto di riproduzione, le eccezioni ed i limiti”382. Il prodotto di
questa
riflessione
è
la
direttiva
2001/29/CE
del
22
maggio
2001
sull’”Armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi
nella società dell’informazione”. Essa regola gli aspetti economici legati al diritto
d’autore, cioè diritti esclusivi di sfruttamento economico delle opere protette,
eccezioni al diritto d’autore nel contesto delle utilizzazioni libere, misure
tecnologiche di protezione. Tale direttiva si basa su principi e regole già
considerati in precedenza dall’Unione Europea, attraverso altre importanti
direttive383; e l’ultimo aggiornamento è stato fatto con la direttiva 2004/48/CE, sul
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.
Si prenderà, in seguito, in esame la direttiva 2001/29/CE perché affronta
temi che possono rivelarsi molto importanti per istituzioni culturali come i musei.
Essa è stata recepita in Italia tramite il d. lgs. 9 aprile 2003, n. 68, “Attuazione
della direttiva 2001/29/CE
del
Parlamento
382
europeo
e del
Consiglio
V. MARZANO, cit., 23.
Direttiva 91/250/CEE sulla tutela giuridica dei programmi per elaboratore; direttiva
92/100/CEE relativa al diritto di noleggio, prestito e diritti connessi al diritto d’autore in materia di
proprietà intellettuale e di alcuni diritti connessi; direttiva 98/83/CEE sul diritto d’autore
nell’ambito della radiodiffusione via satellite e nelle trasmissioni via cavo; direttiva 93/98/CEE
riguardante l’armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti
connessi; direttiva 96/9/CE sulla tutela delle banche dati.
383
140
sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi
nella società dell’informazione”.
c) nazionale
In Italia il corpus legislativo di riferimento è costituito dalla l. 22 aprile
1941, n. 633 “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo
esercizio” e successive modifiche e integrazioni384. Essa tutela le opere
dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica,
alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne
sia il modo o la forma di espressione. Inoltre, sono protetti i programmi per
elaboratore in virtù della Convenzione di Berna, nonché le banche dati che, per la
scelta o la disposizione del materiale, costituiscono una creazione intellettuale
dell’autore385.
La normativa italiana in tema di diritto d’autore riconosce all’autore i
diritti patrimoniali e i diritti morali sull’opera realizzata. Disposizioni sul diritto
d’autore si trovano anche nel nostro Codice Civile del 1942 agli artt. 2575 – 2583.
La prospettiva nazionale coinvolge anche la comparazione con i modelli
nordamericani ed australiani, espressioni differenti del modello giuridico di
common law, nei quali si realizzano diversi adattamenti del copyright.
384
Specialmente ad opera delle direttive dell’Unione Europea, che sono integrate nella legislazione
statale anche grazie all’opera del “Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore”, ai
sensi degli artt. 190 e 193 della l. 633/41, costituito presso il Ministero dei beni e delle attività
culturali, al cui interno è presente una Commissione speciale che elabora le proposte ai fini della
revisione; cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 31.
385
Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 30.
141
Si effettuerà, quindi, una breve introduzione alla protezione attuale del
copyright in questi paesi.
L’analisi delle origini si era arrestata al Copyright Act statunitense del
1790. Le modifiche del secolo successivo ancora non avevano incluso il diritto
morale e non avevano aderito alla Convenzione di Berna 386, rafforzando la
volontà di isolazionismo 387. Nel 1909 era intervenuta una modifica del Copyright
Act, che ancora omette i diritti morali e anche connessi. Nello stesso periodo, in
Australia, veniva emanato un Copyright Act, più volte revisionato, che
riconosceva
il
copyright
sulle
opere
pubblicate
e
non
pubblicate.
Successivamente, nel 1968, si promulgava il Copyright Act che è ritenuto la legge
più importante, sul diritto d’autore, grazie anche all’azione di talune Commissioni
di indagine in grado di elaborare proposte da riferire al governo, sulle più
importanti questioni che richiedevano immediata attenzione 388. Si segnala in
particolare l’introduzione, negli anni successivi, di eccezioni al copyright per
quanto concerne la riproduzione, che riguardano le biblioteche (“libraries”) e
successivamente anche gli archivi (“archives”). Si nota che il termine “archives
means four listed archives and public museums and galleries more generally” 389.
386
Contrariamente allo stato australiano
In questo senso CASO, cit., 167.
388
Come “Spicer Committee” o “Franki Committee”, cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright
and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, 2006, 10, reperibile all’URL:
«http://ssrn.com/abstract=881699».
389
Secondo il Copyright Act 1968; inoltre il termine publico intende indicare istituzioni senza
scopo di lucro; cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Without walls: Copyright Law and Digital
Collections in Australian Cultural Institutions, 2007, 205, reperibile all’URL:
«http://ssrn.com/abstract=1007391».
387
142
La costituzione degli Stati Uniti sancisce che il primo scopo della legge sul
copyright è “to promote the progress of Science and the Useful Arts”390, La
versione australiana “lacks the poetry of the foregoing”391 e stabilisce solamente
che il Commonwealth ha il potere di legiferare per governare in modo efficace la
nazione, includendo la possibilità della normazione relativa a brevetti, copyright e
simili392.
Negli Stati Uniti, nel 1976, era intervenuta una vasta novellazione del
Copyright Act “domestico”, che introduce la dottrina del “fair use”393, ma non
dava ancora spazio ai diritti morali. Veniva, inoltre, inserita la protezione del
copyright anche nello “United States Code”, title 17. Si assicurava protezione agli
autori di “original works of authorship, including literary, dramatic, musical,
artistic and certain other intellectual works”394.
Dagli anni Ottanta le due tradizioni giuridiche realizzavano un parziale
riavvicinamento. Iniziavano ad entrare in gioco le tecnologie digitali per
elaborare, riprodurre e diffondere le opere dell’ingegno. Gli Stati Uniti
possedevano già una crescente potenza nel settore dell’informatica e davano il via
ad una intensa legislazione e la Comunità Europea preparava la sua attività di
armonizzazione che teneva conto delle innovazioni tecnologiche e della
introduzione di Internet 395. Da ultimo, nel 1990, gli Stati Uniti introducevano il
390
M. M. LEAN, Copyright and the World Wide Web, 1995,
reperibile all’URL:
«http://ausweb.scu.edu.au/aw95/future/lean/».
391
Idem.
392
Idem.
393
Vedi par. 3.6 a).
394
V.
COPYRIGHT
OFFICE,
Copyright
Office
basics,
reperibile
all’URL:
«http://www.copyright.gov/help/faq».
395
In questo senso CASO, cit., 168.
143
“Visual Artist Right Act” che conteneva un nucleo di diritti morali per l’autore di
opere d’arte figurativa396 e, nel 1998, il “Digital Millennium Copyright Act”
(DMCA), normativa molto complessa su cui ancor oggi si dibatte, che riguarda i
sistemi tecnologici di protezione397.
All’inizio del Duemila, in Australia veniva implementato un altro
emendamento che “confirmed that digitisation introduced a technology – neutral
“right of communication” (which includes publishing material on the Internet);
introduced an enforcement regime in relation to anti – circumvention devices and
electronic rights management information; and extended the libraries and
archives provisions to the digital environment”398.
3.3
Copyright e diritto d’autore: concetti fondamentali
La proprietà intellettuale esiste per incentivare lo sviluppo della cultura e
stimolare la “creatività della società”, nel rispetto della “libertà di ogni forma
espressiva, anche artistica, dell’intelletto umano” 399. Con l’avvento della società
dell’informazione e delle nuove tecnologie, il tipo di beni considerato diviene
ancora più effimero, o forse dotato di una “nuova materialità”, perché affidato a
un supporto digitale.
Si tenterà di delineare il sistema giuridico della proprietà intellettuale, che
costituisce la base e la fonte di tutti i diritti dei musei, che sono oggetto
dell’indagine.
396
Erano, comunque, diritti rinunciabili.
Vedi par. 3.6 b).
398
V. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for
Digitisation, cit., 10.
399
V. GUERZONI, STABILE, cit., 89.
397
144
La legge italiana sul diritto d’autore400 prevede in capo all’autore
dell’opera un fascio di diritti:
1. di natura morale o personale;
2. di natura economica o patrimoniale
1. I diritti morali attengono al riconoscimento della paternità all’autore
dell’opera, sono inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, irrinunciabili,
di durata illimitata e si trasferiscono agli eredi. Tendono inoltre al
mantenimento dell’integrità dell’opera, infatti, qualora i diritti patrimoniali
fossero stati ceduti, l’autore potrà in qualunque momento rivendicare la
paternità dell’opera, negare modificazioni, mutilazioni o deformazioni di
essa che pregiudichino il suo onore o la sua reputazione.
2. I diritti patrimoniali attribuiscono all’autore dei diritti “esclusivi” di
utilizzazione e sfruttamento dell’opera. Sono limitati nel tempo,
trasmissibili, cedibili, rinunciabili e soggetti a decadenza. Hanno una
specifica durata che corrisponde alla vita dell’autore più i settant’anni
successivi alla sua morte. Alcuni esempi di tali diritti sono: il diritto di
riproduzione, di comunicazione, di distribuzione, di traduzione, di
noleggio, di prestito.
Esistono anche delle eccezioni al diritto d’autore, previste dalla legge, le
cosiddette “utilizzazioni libere”401 in cui si fanno rientrare gli usi liberamente
esercitabili dai terzi, poiché non creano concorrenza economica delle opere 402. Nel
sistema della proprietà intellettuale si inserisce anche la proprietà industriale, la
400
L. 633/41.
O fair use o fair dealing, di cui si parlerà in seguito.
402
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 79.
401
145
quale comprende invenzioni e modelli industriali, nuove varietà vegetali,
topografie di prodotti a semiconduttori, marchi, denominazioni d’origine
geografica, protetti dal complesso di norme che è il diritto brevettale. Mentre il
diritto d’autore nasce contemporaneamente alla nascita dell’opera, il diritto
brevettale prevede invece che sia lo Stato, e seguito della richiesta del soggetto, a
concedere la protezione403.
Da ultimo si analizzano i “diritti connessi”, i quali pur avendo ciascuno
una diversa natura giuridica e un diverso contenuto, presentano una connessione
diretta o indiretta con l’esercizio o l’oggetto del diritto d’autore. Essi sono legati
ad attività funzionali e connesse alla creazione, alla riproduzione e alla
divulgazione dell’opera dell’ingegno. Sorgono da un’attività che contiene un
grado di espressione creativa e di interpretazione personale che legittima la
nascita di un diritto di esclusiva sui frutti di questa attività 404. Possono sorgere, ad
esempio, in capo a chi presta il proprio contributo, che può essere anche
finanziario e non creativo, nell’ambito di opere tutelate dal diritto d’autore 405.
In Australia la proprietà intellettuale è il nome che si dà a tutta una serie di
leggi che riguardano “patents, trademarks, designs, circuit layouts, plant breeder
and copyright”406. Il copyright, quindi, è un’area dell’intellectual property, che
403
Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 8, 9. Ai nostri fini, tale tipo di protezione entra
in gioco, per quanto riguarda i musei, ad esempio nella gestione dei marchi per la vendita del
merchandising o per l’assegnazione di un nome di dominio, che si rifanno a questo sistema di
norme.
404
Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 9.
405
Come per i costitutari di banche dati, anche se la questione è ancora controversa; o interpreti e d
esecutori.
406
V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Copyright law in Australia. A short guide, 2005,
reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au/copyright/shortguide».
146
attribuisce un fascio di “exclusive economic rights”407 per esercitare determinate
attività come “the right to copy, publish, comunicate (eg broadcast, make
available online) and publicly perform the copyright material” 408. I diritti
assicurati non sono dissimili da quelli italiani. Si prevedono anche dei diritti
morali, introdotti nella legislazione solo dall’anno 2000. Ne sono previsti di tre
tipi: il diritto di paternità, il diritto contro la falsa attribuzione di paternità, il
diritto di integrità. Non solo l’“author” li possiede, ma anche “makers of a film”,
è quindi possibile che vi siano più proprietari dei diritti morali. Sono considerati
diritti aggiuntivi a quelli previsti dal Copyright Act: la persona che li possiede,
infatti, può, in certe circostanze, rinunciarvi409.
Anche negli Stati Uniti è possibile rinunciare ai diritti morali, i quali sono
presenti in maniera molto sfumata, non esistendo un sistema generale di diritti
morali. Inoltre non sono contenuti nella legge fondamentale sul copyright, ma in
un atto separato da essa, il “Visual Artist Right Act”, come abbiamo visto; e i
diritti ivi menzionati riguardano solo paternità e integrità e possono legittimare gli
usi commerciali delle opere protette, come la riproduzione in libri e riviste 410.
Si nota che la normativa statunitense richiede inoltre che l’opera venga
fissata “in any tangibile medium of expression (sec. 102 (a))”411, mentre in Italia
l’atto stesso della creazione fa sorgere i diritti. La protezione del copyright è data
dal title 17 dello United States Code agli autori di “original works of authorship”,
407
Idem.
Idem.
409
Cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for
Digitisation, cit., 106, 107.
410
Cfr. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cit.,
190.
411
Idem, 173.
408
147
including literary, dramatic, musical, artistic, and certain other intellectual
works”412, La protezione vale sia per le opera pubblicate che non pubblicate. C’è
inoltre la sezione 106 del Copyright Act che si occupa di fornire dei diritti al
proprietario del copyright, che a sua volta può autorizzare terzi a compiere le
medesime attività. Si tratta di: “to reproduce the work in copies or phonorecords;
to prepare derivative works based upon the work; to distributed copies or
phonorecords of the work to the public by sale or other transfer of ownership, or
by rental, lease or lending; to perform the work publicly, in the case of literary,
musical, dramatic, and choreographic works, pantomimes, and motion pictures
and other audiovisual works; to display the work publicly in the case of literary,
musical, dramatic, and choreographic works, pantomimes and pictorial, graphic,
or sculptural works, including the individual images of a motion picture or other
audiovisual work; and in the case of sound recordings, to perform the work
publicly by means of a digital audio transmission”413. Inoltre “certain authors of
work of visual art have the right of attribution and integrity as described in
section 106A of the 1976 Copyright Act”414.
412
V. COPYRIGHT OFFICE, cit.
Idem.
414
Idem.
413
148
3.4
Musei e digitalizzazione dei contenuti
Nell’era digitale, la tutela della proprietà intellettuale è condizionata in
ugual misura dal diritto e dalla tecnologia.
Se, come abbiamo visto, il museo moderno ha cambiato la sua funzione e
le sue attività, rispetto al passato415; oggi, grazie alla comparsa di Internet, viene
spinto in una sorta di “postmodernità” in cui è coinvolto in attività che risultano sì
facilitare ancor più la sua missione, accelerando e ampliando la diffusione delle
opere, ma che, dall’altro canto, presentano notevoli problemi da un punto di vista
giuridico. E questo proprio perché hanno a che fare con l’immaterialità e col
carattere pubblico dei beni416.
Il copyright agisce direttamente e indirettamente nel formare il contenuto
delle collezioni digitali e delle attività delle istituzioni culturali, le quali sono state
definite “Without Walls” 417. Un museo potrebbe decidere di digitalizzare le sue
raccolte più rinomate per aumentare il numero di visitatori, oppure per ridurre il
numero di quelli che richiedono la visione diretta dei pezzi più fragili o
deteriorabili, o ancora per fare da supporto alla ricerca e all’educazione, che
permetterebbe loro di conseguire la propria missione 418.
Quando si parla di diritti di proprietà intellettuale, all’interno dei musei, si
fa generalmente riferimento:
415
V. paragrafi 1.4.1, 1.4.2, 1.4.3.
In questo senso CONCINA, cit., 63.
417
V. HUDSON, KENYON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian
Cultural Institutions, cit..
418
In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, Manuale di buone pratiche per la
digitalizzazione
del
patrimonio
culturale,
reperibile
all’URL:
«http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/goodpract/document/buonepratiche1_3.
pdf »; A. T. KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, 2004,
reperibile all’URL: «http: //ssrn.com/abstract=603861».
416
149
1. ai diritti di noleggio, prestito e uso e di autorizzazione degli stessi419;
2. ai diritti di pubblicazione, anche in raccolta420 e di autorizzazione degli
stessi;
3. ai diritti di riproduzione, diffusione e distribuzione su supporti off - line421
e on - line422;
4. i diritti di uso commerciale di marchi, loghi e riproduzioni 423;
5. i diritti di traduzione424;
6. i diritti di elaborazione425;
7. i diritti sugli allestimenti museali;
8. i diritti d’autore su progetti ed eventi espositivi auto e coprodotti426.
In questa sede mi occuperò prevalentemente dei diritti descritti al punto 3,
su supporti online.
Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha trasformato il quadro della tutela
del diritto d’autore, a causa:
 della quantità dei diritti coinvolti;
 della varietà di essi;
 del numero dei titolari di essi;
 del modo in cui le collezioni sono acquisite, preservate e
interpretate;
419
Ad esempio per loghi e marchi istituzionali, riproduzioni di ogni tipo, pezzi originali dati in
prestito per mostre temporanee.
420
Su libri, cataloghi, materiale didattico, audiovisivi.
421
Come per stampe fotografiche, diapositive, nastri, calchi, rilievi.
422
Come per cataloghi online o raccolte di immagini.
423
Come per la produzione di oggettistica e merchandising.
424
Sui testi, su progetti e d eventi espositivi, su software proprietari.
425
Su testi, riproduzioni, progetti.
426
Cfr. GUERZONI, cit., 34 - 35.
150
 delle nuove modalità di distribuzione e fruizione dei contenuti;
 delle difficoltà della conservazione a lungo termine delle risorse
digitali427.
Elaborare progetti di digitalizzazione può rendere questo scenario piuttosto
complesso: si intrecciano interessi privati e istituzionali che sollevano numerosi
problemi sia per i percorsi normativi da seguire, sia per l’assicurazione del
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e del diritto di accesso all’informazione
e alla conoscenza428. Si rivela di vitale importanza l’individuazione di punti di
equilibrio tra le diverse esigenze dei portatori di interessi sui contenuti culturali
digitali.
Per quanto riguarda il panorama italiano, il problema più grave è
rappresentato dall’”assenza di una basilare conoscenza dei diritti” 429 e “lo
sviluppo delle competenze sui principi fondamentali della proprietà intellettuale è
essenziale se i musei vogliono rispettare e mantenere i legami legali che
definiscono e governano la pluralità dei differenti ruoli che vanno ed andranno
ad assumere”430. Le “nostre” istituzioni culturali sono state, in qualche modo,
“prese alla sprovvista” dalla rapidità con cui le tecnologie hanno reso allettanti le
loro collezioni e i relativi diritti e sono state forzate a riflettere sulle possibilità che
si aprivano loro e sui rischi che comporta il processo della digitalizzazione 431.
427
In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, Tutela dei dati e dei diritti di
proprietà intellettuale in relazione all’accesso in rete del patrimonio culturale. Prime
considerazioni,
reperibile
all’URL:
«http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/servprov/ipr/documents/wp4ipr040615.p
df ».
428
Idem.
429
V. G. GUERZONI, Diritti di proprietà reale e intellettuale dei musei, in Econ. Cult., 2003, 1, 34.
430
Idem, 34.
431
In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 57.
151
Rischi di cui è ben conscia, invece, la nazione australiana, il cui governo propone
una politica di persuasione verso le istituzioni culturali affinché “diventino
digitali”432. Un emendamento al copyright del 2000, il Digital Agenda Act, aveva
lo scopo di assicurare che le istituzioni culturali potessero promuovere l’accesso
al materiale nell’ambiente digitale “on reasonable terms”433, tenendo conto dei
benefici che ciò poteva portare all’accesso pubblico e promettendo un’adeguata
remunerazione per i creatori e gli investitori. L’Australia ha anche condotto uno
studio sulla digitalizzazione nei musei434, attraverso l’intervista a numerosi
operatori del settore culturale. L’eterogeneità delle istituzioni coinvolte ha rivelato
che non tutte svolgono quotidianamente pratiche di digitalizzazione o sviluppano
progetti a lungo termine, ma il settore è, comunque, fortemente permeato e
sensibile a queste pratiche435.
Cerchiamo ora di concretizzare qualche spunto tra quelli offerti finora.
Innanzitutto, rileviamo che l’innovazione apportata da Internet e dalle
nuove tecnologie ha messo i musei di fronte alla possibilità di:
 digitalizzare le loro collezioni;
 renderle disponibili sul web, potenzialmente per gli utenti
di tutto il mondo.
Tali nuove opportunità sollevano, tuttavia, degli interrogativi; ci si chiede se è più
consono alla struttura del museo commercializzare le immagini o implementare
432
“become digital”, v. E. HUDSON, A. T. KENYON, The impact of copyright on Digitisation
Practices in Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, 2007, reperibile all’URL:
«http://ssrn.com/abstract=1065622 ».
433
Idem.
434
E nelle altre istituzioni culturali.
435
In questo senso HUDSON, KENYON, The impact of copyright on Digitisation Practices in
Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, cit.
152
un regime di accesso libero per gli utenti o quale collocazione dare ai nuovi tipi di
intermediari, nel campo del patrimonio culturale; che Pessach436 definisce “neo –
commercialized intermediaries, profit – motivated” nel campo della “knowledge
retrieval”, come Google e i progetti che ha avviato437, o “civic – engaged and
common – based activities” come The Internet Archive e Wikipedia. Ciò che più
interessa il museo è, però, la determinazione dei diritti di proprietà sugli oggetti e
sui contenuti. Solo così sarà in grado di impostare e realizzare i progetti di
digitalizzazione. Sebbene i musei si siano sempre confrontati con il copyright in
contesti come cataloghi stampati, pubblicità o merchandising; quando si passa alla
sfera digitale, le attività si complicano, tecnicamente e giuridicamente e li
costringe a confrontarsi con la copyright law ad ogni passo e per ogni azione che
compiono438. Un bene culturale, dotato di materialità, può diventare oggetto di
una riproduzione, e se questa riproduzione è digitale, essa “è soggetta a una
distinta disciplina e tutela rispetto al bene culturale riprodotto e in sé
considerato”439. È di fondamentale importanza chiarire che le istituzioni molto
spesso posseggono fisicamente i materiali protetti da copyright, ma assai
raramente sono proprietari dei diritti immateriali di un’opera440. E questo è
pacifico, sia nei paesi appartenenti all’Unione Europea, che in Australia o nel
Nordamerica.
I musei possono essere considerati come:
436
Cit.
Google Library Project, Google News Archive Search, Google Scholar sono solo alcuni di essi.
438
Cfr. PESSACH, cit.
439
V. GUERZONI, STABILE, cit., 184.
440
In questo senso A. PINNA, Problemi relativi alla riproduzione on line di opere museali protette
dal diritto d’autore, in Nuova Museologia, 1999, 1, 11; A. T. KENYON, E. HUDSON, Copyright,
Digitisation and Cultural Institutions, cit.; GUERZONI, STABILE, cit., 184.
437
153
1. utenti di materiale protetto da copyright;
2. proprietari di materiale protetto da copyright.
La più comune utilizzazione di materiale protetto da copyright è la riproduzione di
un’opera per la costruzione di una collezione di immagini digitali sul sito web del
museo. Tale riproduzione, però, è permessa solo al proprietario dei relativi diritti
d’autore sull’opera originale441. Ad avallare questo presupposto troviamo, ad
esempio, negli Stati Uniti, il “public display right”442, il diritto di esporre al
pubblico un’opera443, da cui si evince che anche l’esibizione degli artefatti digitali
nel website del museo può essere considerato un atto che richiede l’autorizzazione
dai relativi copyright owners. È possibile anche estendere l’obbligo a tutte le
nazioni che aderiscono al WIPO Copyright Treaty , poiché, all’art. 8, esso cita
questo diritto: “making a work available to the public”, sul quale può essere
condotto lo stesso ragionamento444. In Italia si può accostare a questi diritti quello
previsto dall’art. 16 co. 1 della legge sul diritto d’autore445, il quale prevede “il
diritto esclusivo di comunicazione al pubblico”. Sebbene “la diffusione a distanza
non comprenda espressamente la trasmissione online dell’opera dell’ingegno” 446,
un tale principio può essere suggerito dal prosieguo dell’articolo: “la messa a
disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi
accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”. In Australia, tra i diritti
441
Cfr. PINNA, cit., 11; KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions,
cit.; PESSACH., cit.; cfr. Sec. 17 United States Code.
442
Sec. 17 U.S.C.
443
Sec. 101 U.S.C. “to “display” a work means to show a copy of it (...)”, cfr. CASO, Lineamenti
normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cit., 175.
444
In questo senso PESSACH, cit.
445
L. 633/41.
446
V. E. GUERINONI, G. MORETTINI, La nuova legge sul diritto d’autore nell’era multimediale, in
G. CASSANO (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002,
971.
154
esclusivi assicurati al proprietario c’è quello di comunicazione al pubblico:
“making digitised content available online, for instance on publicly – accessibile
websites, will costitute “communication to the public”447 and, possibly,
publication of the work” 448.
Il Digital Agenda Act, a cui si è fatto riferimento all’inizio del paragrafo,
ha ampliato i diritti dei titolari di copyright in vari modi. Innanzitutto l’atto,
specificando che “converting a work into, or from, a digital form reproduces the
work”449, ha assicurato che per digitalizzare qualsiasi tipo di materiale è
necessario chiederne il consenso al legittimo proprietario, similmente a quanto
accade in Italia o negli Stati Uniti. Inoltre, “enforcement measures” 450 sono state
imposte per proteggere la loro posizione di forza, le quali comprendono le misure
tecnologiche di protezione che, per prevenire o inibire l’infrazione del copyright,
usano meccanismi di controllo dell’accesso e della copia451.
Quindi l’estremo potere e la libertà di decisione nelle mani dei proprietari,
i quali, fondamentalmente, possono dettare le circostanze nelle quali la
digitalizzazione
e
la
comunicazione
hanno
luogo452,
sono
motivo
di
preoccupazione in dottrina, dove i “copyright pessimists” parlano di “digital
lockup”453, il “digitale chiuso a chiave”!
Se ottenere la disponibilità del materiale diventa, per i musei, alquanto
macchinoso, non resta loro altro da fare che:
447
V. Copyright Act ss 31(1).
V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit.
449
V. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
450
Idem.
451
V. par. 3.6 b).
452
Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
453
In questo senso KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
448
155
 affidarsi alla negoziazione di un “accordo” con i proprietari,
tale tipo di accordo è una licenza;
 scegliere di digitalizzare materiale che è già nel “pubblico
dominio”, poiché si sono estinti i diritti d’autore su di esso.
Si rimarca che, comunque, la negoziazione delle licenze rappresenta una
pratica onerosa per il museo, a causa della difficoltà ad identificare, localizzare e
contattare i proprietari. Può, inoltre, sorgere il problema delle “opere orfane” delle
quali non si conosce l’autore, o il cui autore è impossibile da individuare e
contattare; e in mancanza di una autorizzazione devono essere messe da parte454, e
ciò può avere conseguenze ancora più spiacevoli: “la mancata concessione di
autorizzazioni per la digitalizzazione e la pubblicazione sul web, può provocare il
fallimento del progetto stesso”455.
Resta da analizzare la posizione del museo come proprietario di materiale
protetto da copyright. In questo caso, la discussione si sposta sul prodotto della
digitalizzazione, e ci si chiede se sia dotato di sufficiente originalità, requisito
presente in tutte le legislazioni456. La questione è ancora aperta e dibattuta, per
quanto riguarda l’Unione Europea, dal momento che si riconosce un indipendente
“diritto sui generis” sulla banca dati457, e volendo intendere il museo come un
database di immagini digitali, ci si chiede se esista un unico diritto, che sarà
detenuto dal museo che l’ha creata, o se ne esista uno per ogni immagine che la
454
Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.
456
Sec. 17 U.S.C., sec. 32 Copyright Act, art. 1 L. 633/41 a cui si fa riferimento alla “creatività”.
457
V. par. 3.5.1 sub e).
455
156
compone458. Negli Stati Uniti grazie alla giurisprudenza, è stato introdotto il
requisito della creatività per la protezione del copyright; e i databases sono stati
introdotti tra le opere “non –creative”, ma il problema è tuttora in discussione 459 .
Inoltre spesso la mera riproduzione di fotografie e immagini non incontra
il requisito dell’originalità. Pur tenendo conto degli sforzi e dell’abilità per
produrle, nel caso delle fotografie, esse mancano di creatività.
Rimane complicato descrivere la posizione dei musei come proprietari,
soprattutto perché questa condizione si scontra con la loro ragione di esistere più
profonda: “most museums are public charitable organizations with the pur pose
of furthering cultural, educational and scientific values”460.
Un ultimo punto da trattare riguarda l’accennata difficoltà della
conservazione a lungo termine delle risorse digitali461. La tecnologia cambia
rapidamente, e il supporto digitale diventa fragile. In Italia manca, ad oggi, una
specifica politica finalizzata ad assicurare la conservazione delle risorse digitali, la
quale favorirebbe la sicurezza dei contenuti, a vantaggio di proprietari ed utenti462.
Tuttavia, si possono individuare alcune linee guida, individuate dalla “Carta di
Firenze”, per l’Unione Europea, dalla biblioteca nazionale australiana di Canberra
e dall’UNESCO, le quali suggeriscono:
1. una copia periodica dei dati, per trasferire le informazioni da un supporto
che rischia l’obsolescenza, ciò vale soprattutto per CD e DVD;
458
In questo senso PESSACH, cit.
Idem.
460
V. PESSACH, cit.
461
A cui si era già accennato nel par. 2.5.
462
In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, cit.
459
157
2. migrazione e conversione dei dati alla modificazione delle tecnologie
software;
3. conservare almeno un esemplare dell’ambiente software originale con cui
si sono prodotti i dati463.
3.5
Proprietà intellettuale nel museo: la costruzione del sito web
Le istituzioni culturali, e in particolare i musei, che gestiscono le risorse
digitali hanno a che fare con:
 risorse digitali di riproduzione dei beni culturali;
 risorse “born digital”, cioè che nascono su un supporto
digitale.
Ai nostri fini, tra le risorse “born digital” si possono riconoscere siti web, banche
dati, come quelle di immagini, opere multimediali464.
Per realizzare, sviluppare e rendere operante un sito web, un museo può
utilizzare proprie risorse interne, o affidarsi a società specializzate nella sua
creazione465:
 per tutti gli aspetti che risultano coinvolti;
 attraverso una collaborazione con la società stessa466.
463
Cfr. GRUPPO DI LAVORO SULLA DIGITALIZZAZIONE DEL MATERIALE CARTOGRAFICO, Linee di
indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale cartografico, 2004, 15, reperibile all’URL:
«http://193.206.221.20/PDF/Linee_guida_cartografia.pdf». “Conservare il file master e i metadati
(che rappresentano l’informazione che descrive un insieme di dati, normalmente al fine di
raggiungere gli obiettivi di ricerca dell’esistenza di un documento, localizzazione dello stesso e
selezione) corrispondenti significa evitare di dover digitalizzare nuovamente ciascun esemplare,
proteggendo, così, gli originali in condizioni delicate ed evitando di dover ripetere il pesante
lavoro di informatizzazione”, V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.
464
Idem.
465
I soggetti coinvolti sono, in realtà, di varia natura giuridica: soggetti istituzionali, società,
editori, consulenti.
158
Una tale opera è molto complessa, data la mole dei diritti coinvolti. I
soggetti che si apprestano a progettare un sito web culturale, siano essi i musei
stessi o altri, devono individuare i diritti collegati alle risorse create ed assicurarsi
di non incorrere nell’infrazione del diritto d’autore.
Nell’Unione Europea, i gruppi di lavoro del progetto MINERVA hanno
elaborato un “Manuale di buone pratiche per la digitalizzazione del patrimonio
culturale”467, che si rivolge ai gruppi di lavoro costituiti all’interno delle varie
istituzioni culturali, o che operano attraverso di esse, che hanno in previsione o in
corso di realizzazione progetti di digitalizzazione di documenti e di materiale
iconografico. Oltre a questo, anche un manuale sui principi da seguire per coloro
che si trovano a dover realizzare siti web culturali468; tali regole sono state create
in vista di un’applicazione a tutte le istituzioni culturali, compresi, quindi, i musei,
e sono volutamente generali, in modo che possano essere utilizzate per qualsiasi
tipo di sito web: “the present document (…) is designed for all cultural
institutions which are building or maintaining a Website which presents their
assets and/or initiatives on the Internet” 469. Inoltre, sono stati concepiti per
realizzare degli standard comuni nella pratica di digitalizzazione, negli Stati
dell’Unione Europea: “The availability of high-quality Websites encourages
466
Idem, cfr. GUERZONI , STABILE, cit., 233.
V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.
468
A cui è stato fatto cenno in precedenza, nel par. 2.4.4.1, MINERVA WORKING GROUP 5,
Quality
principles
for cultural
websites: a
Handbook,
reperibile
all’URL:
«http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycommentary/qualitycommentary050314final.
pdf ».
469
V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.
467
159
European citizens to discover, to explore and to benefit from online material
representing the inique diversità of European culture”470.
Le linee guida, le indicazioni, gli standard applicabili all’Italia e a cui il
nostro paese fa riferimento, sono previste per l’utilizzo da parte di tutti gli Stati
dell’Unione. Lo scopo è, come è stato segnalato, la creazione di pratiche comuni
in tutti i paesi, i quali però sono provvisti di organi, tradizioni e patrimoni
differenti.
Le pratiche nordamericane e australiane, invece, sembrano avere più
familiarità col nuovo contesto digitale 471. In Italia non si ha ancora una visione
complessiva del problema e non si sono ancora individuate chiaramente le figure
professionali deputate alla gestione pratica della situazione 472.
Secondo il “Manuale di buone pratiche” di MINERVA, nel pianificare un
progetto di digitalizzazione, in questo caso un sito web, è di fondamentale
importanza che l’istituzione coinvolta si ponga alcune domande, prima di iniziare
il lavoro:
 “Cosa (va fatto)?
 Chi (dovrebbe farlo)?
 Dove (lo si dovrebbe fare)?
 Quando (dovrebbe aver luogo)?
 Come (sarà fatto)?”473
470
V. MINERVA WORKING GROUP 5, cit.
Come è emerso dall’emendamento del 2000 al Copyright Act, a cui si è fatto riferimento al par.
3.4.
472
In questo senso GUERZONI, cit., 34; GUERZONI, STABILE, cit., 19.
473
V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit.
471
160
Mete o obiettivi dovrebbero essere assolutamente chiari, poiché avranno un
impatto diretto sulla selezione del materiale, sul diritto di riproduzione e sulla
pubblicazione. È inoltre importante esaminare progetti analoghi precedenti, per
evitare di commettere gli stessi errori e sollecitare la nascita di nuove idee.
Riguardo la distribuzione del contenuto su Internet, l’istituzione deve
chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze sullo stesso progetto, per un uso
scorretto del materiale, senza, cioè, l’autorizzazione dei proprietari e se sono stati
fatti tentativi per individuare i detentori dei diritti474.
L’altro lavoro di MINERVA, “Quality priciples for cultural websites: a
Handbook”, propone dieci qualità importanti che un sito culturale dovrebbe avere,
per essere di buona qualità:
1. “transparent;
2. effective;
3. maintained;
4. accessible;
5. user – centred;
6. responsive;
7. multi – lingual;
8. interoperable;
9. managed;
10. preserved”475.
474
475
Idem.
V. MINERVA WORKING GROUP 5, cit.
161
Deve identificare l’identità, lo scopo del sito e l’organizzazione preposta alla sua
gestione; deve rendere il contenuto valido per gli utenti e rispondere ai loro
bisogni, in modo che possano facilmente trovare le informazioni, deve essere
costantemente aggiornato; deve tener conto delle eventuali disabilità degli utenti;
deve fornire un accesso in più lingue differenti; deve fornire informazioni nella
rete delle istituzioni culturali; deve essere gestito nel rispetto dei diritti di
proprietà intellettuale; deve essere prevista la conservazione a lungo termine del
contenuto476. Rispetto a quest’ultimo punto, si è resa importante l’estensione del
“deposito legale” per tale tipo di risorse culturali in rete. La Comunità Europea ha
finanziato vari progetti per inquadrare la questione e proporre soluzioni tecniche e
giuridiche. Alcuni fattori sono generalmente di ostacolo a una soluzione
soddisfacente per le istituzioni culturali e per gli editori e/o i produttori:
 complessità tecnica e onerosità economica della “cattura”477
dei siti web. Il più recente esempio di cooperazione
transnazionale per coordinare la “cattura” del web è dato
dal
Consorzio
Internatinal
Internet
Preservation
Consortium (IIPC)478, che vede la partecipazione e il
contributo economico di istituti e biblioteche nazionali
come Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Library of
Congress, Library and Archives Canada, National Library
of Australia, Internet Archive;
476
Idem.
Detta “harvesting”.
478
V. «http://www.netpreserve.org».
477
162
 ingenti interessi economici della parte privata in gioco, a
fronte di un budget sempre più contenuto delle istituzioni
culturali;
 mancanza di un quadro giuridico a favore delle istituzioni
culturali per la raccolta delle risorse elettroniche, la
catalogazione, la fruizione e la conservazione nel lungo
periodo.
Quando la creazione del sito web è affidata a soggetti esterni, per stabilire
gli impegni e le competenze, il museo si affida a specifici contratti con la società
che dovrà eseguire il lavoro. Le parti contraenti possono anche affidarsi a modelli
internazionali di contratto che vengono definiti “Museum Web Site Development
Agreements”479. Essi fissano e disciplinano i seguenti principali aspetti: “l’aspetto
tecnico concernente la grafica e il design del sito, nonché la loro trasformazione
in forma codificata (software); la consegna e accettazione, da parte del museo,
del sito web; i servizi accessori relativi alla manutenzione e all’hosting del sito
web presso la società o il provider con il quale la società ha stipulato appositi
contratti; la regolamentazione dei diritti di proprietà intellettuale con riguardo
alla creazione e allo sviluppo del sito web (sia con riferimento alla grafica, al
design e sia in riferimento allo sviluppo di software), la registrazione, in nome e
per conto del museo, del nome di dominio relativo, sotto il top level domain
“.org” o il nuovo top level domain “.museum”, quest’ultimo dedicato alle
organizzazioni che svolgono, in modo prevalente, l’attività di conservazione,
479
V. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 301;
GUERZONI, STABILE, cit., 233.
163
valorizzazione e fruizione pubblica di raccolte di beni culturali” 480. Si prevedono,
poi, tutta una serie di procedure di consegna e accettazione del sito, fasi di test e
installazione finale e messa a disposizione del pubblico. I “Museum Web Site
Development Agreements” fanno parte di uno studio promosso dalla WIPO e
iniziato dal Dr. Michael S. Shapiro, segretario dell’Intellectual Property
Institute481. Più specificamente, tale accordo contiene queste parti:
1. introduction, dove si individuano i soggetti, il museo committente e la
società che deve sviluppare il sito;
2. definitions, in cui si analizzano varie espressioni come web site o web
page, per allontanare qualsiasi fraintendimento nello svolgimento del
lavoro;
3. design and development, in cui si specifica il lavoro che la società è tenuta
a fare e si stabilisce quale materiale il museo è tenuto a fornirle;
4. delivery and acceptance, in cui la società si impegna a consegnare il
prodotto in tutti i suoi elementi costitutivi e a consegnare altresì un
modello dimostrativo del sito proposto. Se il museo ravvisa delle
imprecisioni, deve comunicarle per iscritto alla società in modo che essa
possa apportare le adeguate correzioni. Una volta che il museo ha dato la
sua approvazione finale, la società realizzerà concretamente il sito, in
conformità a quanto stabilito. Dopo la consegna, il museo ha a
disposizioni ulteriori dieci giorni per ispezionarne il funzionamento ed
480
Idem 302; idem, 233, 234.
V. M. S. SHAPIRO,
«http://www.wipo.org».
481
Museums
and
164
the
Digital
Future,
reperibile
all’URL:
ordinare eventuali altre correzioni. È la società stessa ad essere incaricata
dell’installazione del sito sul server del museo.
5. hosting and maintenance [optional], in cui è affidato alla società il
compito della conservazione e del mantenimento del sito, che deve essere
disponibile per gli utenti 24 ore su 24 e deve essere aggiornato con nuovo
materiale entro 3 giorni lavorativi, a partire dal suo ottenimento.
6. intellectual property rights, in cui il museo stabilisce che la società è
autorizzata ad utilizzare le immagini e la documentazione solo per le
attività connesse allo sviluppo del sito. Tutti gli altri usi non specificati
sono da considerarsi non consentiti e riservati al museo. Proprio il museo è
il solo ed esclusivo proprietario del sito, inclusi i diritti di copyright,
marchi, brevetti o ogni altro diritto di proprietà intellettuale. La società è
tenuta a trasferire il “source code” del sito al museo, il quale potrà anche
creare altro materiale derivato, realizzare adattamenti, modifiche e
aggiornamenti;
7. domain name registration, in cui la società è tenuta ad eseguire tutte le
azioni necessarie per la registrazione del nome di dominio;
8. compensation and payment, in cui si specifica l’ammontare del prezzo
della realizzazione e le modalità di pagamento;
9. term and termination, in cui si specifica che tale accordo è rinnovabile,
anche se per un massimo di cinque volte. Si specificano anche i casi di
rottura anticipata e gli effetti;
165
10. representation and warranties, in cui si specifica che la società sarà la sola
ad occuparsi della realizzazione del sito e che non verranno infranti diritti
di proprietà intellettuale, marchi, diritti di privacy, diritti morali. Il museo
deve garantire che non infrangerà il copyright e si specifica che non è
responsabile per i compiti che è la società a dover eseguire;
11. indemnification, in cui si specifica che la società si deve preoccupare dei
rimedi risarcitori per il museo e il suo staff da eventuali responsabilità,
danni, costi e spese;
12. insurance, in cui si specifica che viene attivata una polizza assicurativa
per la durata dell’accordo che copra dei particolari rischi;
13. general provisions, in cui si vieta alla società di subappaltare il lavoro
senza il preventivo consenso del museo, e si danno altre informazioni
generali482.
3.5.1 I contenuti
Nel tracciare il sito web come “contenitore”, mi occuperò di diversi
aspetti. La riproduzione delle immagini è, senza dubbio, il tema centrale intorno a
cui ruota tutta l’attività del museo digitale. Nella costruzione del sito entrano in
gioco anche riproduzioni di testi e suoni, che, assieme alle immagini, aiutano il
museo a diffondere ancor più il suo messaggio. Tutti questi elementi possono,
inoltre, essere contenuti all’interno di banche dati e opere multimediali, forme
espressive in cui si può declinare la forma del museo stesso. Infine, si considerano
482
Idem.
166
elementi che attengono alla attivazione e gestione del sito, come nomi di dominio,
linking e framing.
a) testi, immagini e suoni
Pressoché tutte le attività digitali che hanno a che fare con i beni culturali
sottintendono un’attività di riproduzione. L’immagine del bene culturale su
supporto materiale che viene riprodotta attraverso la tecnica digitale è soggetta ad
una disciplina e tutela diversa rispetto al bene culturale che è stato riprodotto 483.
Il mercato delle immagini, è “business to business”, poiché non si rivolge
al consumatore finale, bensì ad altri soggetti, siano essi istituzioni pubbliche,
organizzazioni non profit, aziende, grafici, web designer, produttori e licenziatari
di merchandising, e così via484. Fino a poco tempo fa, la maggior parte delle
riproduzioni derivava da agenzie fotografiche locali, che operavano sul mercato
da molto tempo, tanto da creare una situazione di monopolio. Le attività erano
comunque legate alla dimensione fisica del supporto e al sistema territoriale di
tutela del diritto d’autore. Ora la maggior parte delle immagini utilizzate deriva da
formati digitali ed è offerta da specifici fornitori, la cui attività non è più legata a
specifici contesti territoriali485. Il prezzo delle immagini dipende
 dal loro utilizzo,
 dalla risoluzione,
 dalla quantità dei diritti negoziati,
483
In questo senso STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit.,
303.
484
In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 37.
485
Idem, 38.
167
 dalla possibilità di utilizzi suppletivi486.
Gli operatori riconoscibili, nell’ambito museale possono essere divisi in tre
categorie487:
1. Soggetti profit, sia pubblici che privati:
il museo deve fronteggiare la nascita di “commercial digital images agencies”
come Corbis o Getty Images, agenzie specializzate nella gestione dei diritti di
riproduzione e uso delle immagini, che raccolgono, digitalizzano e poi danno in
licenza, sia per usi commerciali che privati, opere d’arte, fotografie, immagini.
Nonostante la digitalizzazione sia un sistema tecnicamente complesso e costoso,
specialmente per le istituzioni con risorse limitate come i musei, tali agenzie sono
pronte ad investire grosse somme di denaro per produrre e gestire banche dati di
immagini digitali dei musei. Spesso, inoltre, le agenzie chiedono e ottengono di
essere le sole proprietarie dei diritti intellettuali sulle immagini digitalizzate, e di
gestire, quindi, l’intero patrimonio iconografico del museo. E finiscono, così, per
diventare la risorsa maggiore dalla quale i musei possono trarre materiale
culturale per le loro attività e le stesse agenzie scelgono spesso musei e altre
istituzioni culturali come mercato di riferimento488. Troviamo anche collecting
societies di proprietà pubblica, come la SIAE.
486
Ad esempio il merchandizing su diverse linee di prodotti.
In questo senso GUERZONI, cit., 43, 44.
488
Cfr. PESSACH, cit.
487
168
2. Soggetti non profit:
sono consorzi o federazioni di istituzioni museali o culturali come AMICO 489,
NINCH490, o CANCOPY491 che “sono state costituite al fine di scorporare le
attività di tutela e gestione dei diritti per delegarle ad organismi più
rappresentativi, dotati di competenze specifiche, capaci di codificare standard
contrattuali e negoziali, in grado di far valere il proprio maggior peso
contrattuale in sede negoziale e redistributiva”492. Secondo alcun ricerche, queste
agenzie agiscono come “raccoglitori” di materiale iconografico e documentale per
poi destinarlo ad usi educativi, didattici e scientifici.
3. Soggetti misti:
rappresentano “soggetti giuridici e capitali pubblici e privati in forme societarie o
consortili”493; alcuni esempi possono essere le agenzie pubbliche come Réunion
des Musèes Nationaux, che raccolgono risorse e finanziano progetti. Sono
organismi di grandi dimensioni che sono sostenute dagli enti pubblici che li hanno
formati e che possono contare su una certa indipendenza: situazione difficilmente
realizzabile in Italia, senza un adeguato impegno statale 494.
489
Art Museum Image Consortium, è un’organizzazione non profit nata nel 1997 che raggruppa le
istituzioni culturali del Nordamerica e d’Europa, proprietarie di collezioni d’arte che collaborano
per promuovere usi didattici, educativi e scientifici dei loro materiali; cfr. GUERZONI, STABILE,
cit., 63.
490
National Iniziative for a Networked Cultural Heritage, è un consorzio nato negli Stati Uniti nel
1993 che raggruppa archivi, biblioteche, musei, fondazioni private e agenzie governative. Ne fa
parte anche l’AMICO e AAM (American Association of Museums). Promuove l’accesso a fonti
comuni, attraverso le nuove tecnologie.
491
Canadian Copyright Licensing Agency, agenzia non profit fondata nel 1988 da scrittori ed
editori canadesi per la concessione di licenze di pubblico accesso ad opere coperte da copyright;
idem.
492
V. GUERZONI, cit., 43.
493
Idem, 44.
494
Idem.
169
Nel caso
della pubblicazione dei testi,
è
necessario
acquisire
preventivamente i diritti di utilizzazione economica dai legittimi titolari. Per
l’introduzione nel sito web bisogna negoziare anche alcuni diritti più specifici: il
consenso alla trasformazione in linguaggio binario; il consenso a diffondere
l’opera al pubblico attraverso la rete telematica; il consenso a possibili
modificazioni e/o adattamenti all’opera. Lo stesso procedimento va ripetuto per
l’acquisizione dei suoni495. Per gestire gli eventuali suoni da inserire nel sito web,
è consigliabile affidarsi ad un intermediario specializzato, come la SIAE, in Italia,
per la corretta individuazione di autori e/o interpreti dei brani e per la cessione dei
diritti di utilizzazione economica496.
Nel predisporre i contenuti del sito, quindi, si deve tenere presente che
tagliare, incollare, rielaborare, tradurre o adattare un lavoro soggetto a diritti
d’autore, richiede un preventivo permesso.
Si possono, invece, pubblicare liberamente:
 testi ufficiali di atti dello Stato e delle amministrazioni
pubbliche, sia italiane che straniere 497;
 opere poste dall’autore nel pubblico dominio, attraverso una
dichiarazione esplicita dell’autore stesso;
 opere su cui sono decorsi i termini per la protezione legale
dei diritti patrimoniali. Bisogna però prestare attenzione ai
495
Cfr., S. CERUTTI, Aspetti legali dell’opera multimediale, 2002, in CASSANO, (a cura di) cit.,
1014.
496
Cfr., L. TURINI, L’opera telematica, 2002, in CASSANO (a cura di), cit., 989.
497
Si noti, però, che in Australia è necessario chiedere il permesso al Governo per la
pubblicazione, anche su Internet, della legislazione, cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA,
Copyright law in Australia. A short guide, cit.
170
diritti morali, non soggetti a prescrizione. E’ necessario
indicare la paternità dell’opera, non intervenire con
modifiche non autorizzate, non pubblicare opere inedite che
l’autore, finché era ancora in vita, ha voluto restassero
inedite.
Si noti che in Australia il copyright prevede delle eccezioni all’infrazione
del diritto morale. “The purpose for which the work is used” 498 può dare la
possibilità di infrangere il copyright. È necessario, tuttavia, un consenso scritto.
Ciò vale anche per coloro che hanno creato un’opera “in the course of
employement”499.
Sempre per quanto riguarda il diritto morale, si noti che sia in Australia
che in Italia è importante soffermarsi sul diritto all’integrità, quando si tratta del
processo di digitalizzazione. Un autore, infatti, potrebbe non apprezzare il fatto
che di una sua opera vengano, all’interno della pagina web, modificati i colori,
proprio a causa della digitalizzazione e della riduzione in bit; o l’opera venga
troncata, per un più agile inserimento su Internet500.
Ci sono poi opere il cui utilizzo è compreso sotto le cosiddette utilizzazioni
libere501 come:
 riproduzione di articoli di attualità di carattere economico,
politico o religioso a meno che la loro utilizzazione non sia
498
Cfr., HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions Guidelines for digitisation, cit.
Idem, 113.
500
In questo senso LEAN, cit.
501
V. anche par. 3.6 a).
499
171
stata espressamente riservata. Bisogna, in ogni caso,
indicare fonte, data e nome dell’autore;
 discorsi di interesse politico o amministrativo tenuti in
pubblico ed estratti di conferenze aperte al pubblico;
 riassunti o citazioni di brani di opere a scopo di
informazione o critica, sempre che tale comportamento non
costituisca
concorrenza
all’utilizzazione
economica
dell’opera. È necessario, altresì, indicare autore, titolo ed
editore.
Il museo molto spesso affida l’attività di sviluppo delle immagini digitali
ad una società specializzata. Tra i due soggetti interviene, quindi, un accordo,
detto Digital Images Devolopment Agreement, il quale tratta alcuni aspetti
principali:
1. “diritti di proprietà intellettuale sulle immagini che riproducono i beni
culturali oggetto del patrimonio artistico e culturale del museo;
2. le specifiche tecniche relative allo sviluppo delle immagini (risoluzione
delle immagini; adattamenti e modificazione consentite, quali la
correzione dei colori, le sfumature e le ombreggiature; uso di sistemi di
watermarking502 ed altri mezzi utili alla protezione dei diritti generati dal
bene culturale);
3. gli standard di qualità delle immagini in formato digitale (conformità al
prototipo approvato dal museo);
502
V. par. 3.6 sub b).
172
4. i corrispettivi dovuti a fronte dell’attività prestata dalla società fornitrice
dei servizi e gli ulteriori corrispettivi per la cessione a titolo definitivo dei
diritti d’autore sulle immagini così sviluppate ovvero per le relative
licenze d’uso, qualora le parti non si siano accordate a favore di un
trasferimento a titolo definitivo dei diritti di proprietà intellettuale a
favore del museo;
5. le garanzie e le responsabilità concernenti la corretta esecuzione del
contratto”503.
Nel caso inverso, può anche essere il museo a mettere a disposizione le
immagini in formato digitale. I destinatari possono essere gli utenti o le stesse
agenzie. In questi casi viene implementata una licenza d’uso, la quale specifica:
 il numero delle immagini coinvolte,
 gli scopi dell’utilizzazione,
 il periodo di tempo in cui è possibile lo sfruttamento,
 il territorio (che può comprendere internet) e
 il pagamento504.
Un’ultima considerazione riguardo la formazione e la fruizione del
prodotto digitale.
Nel processo di digitalizzazione è importante considerare la qualità
dell’immagine, la cosiddetta risoluzione. Ci sono numerosi fattori che entrano in
gioco; e il livello della qualità che si può ottenere dipende da tutto il processo
tecnico di acquisizione in digitale che è molto complesso. Normalmente le
503
504
V. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 304.
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 240
173
richieste inoltrate a coloro che digitalizzano le immagini si fermano a pixel e
profondità del colore505. Tenere conto, invece, di tutti gli aspetti tecnici
garantirebbe un certo livello di qualità delle immagini, che, tuttavia, deve essere
scelto ponderando le disponibilità tecnologiche ed economiche e gli obiettivi del
progetto. Negli ultimi anni sono state sviluppate tecnologie che rendono la
fruizione delle immagini più veloce, poiché nuove soluzioni di memorizzazione e
di software riescono ad elaborare le richieste in modo più efficiente e per
un’utenza differenziata506. Assai innovativa è, inoltre, la possibilità di
decomprimere il file in molti modi507, che dipendono dal tipo di utente che ne fa
richiesta508. Generato il file compresso, si può “progettare a piacere la sequenza
di decompressione secondo un preciso ordine di risoluzione, qualità, scala
cromatica, etc., così da poter stabilire diversi livelli di fruizione”509. Ad esempio,
si potrà vedere un’icona prima in gradazioni di grigio, poi aggiungervi il colore,
poi zoomare. E tutto ciò solo seguendo le istruzioni per passare all’azione
successiva, senza comprimere di nuovo l’immagine. Ciò permetterebbe, quindi, di
fornire un’immagine che si avvicini il più possibile a quella originale, per rendere
la maggior quantità di informazioni possibile, come se si avesse di fronte il bene
autentico.
Questo settore di sviluppo delle immagini e concessione delle stesse tramite
licenza è un settore che si sta espandendo velocemente e le istituzioni italiane
505
Cfr. F. LOTTI, La qualità delle immagini dei progetti di digitalizzazione 2006, 2, 22, 23, in
DigItalia,
reperibile
all’URL:
«http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf».
506
Idem, 29.
507
Progetto JPEG2000.
508
Utente generico, abilitato, pagante, e così via.
509
V. LOTTI, cit., 34.
174
dovrebbero approfittarne, data la mole di patrimonio che potrebbe essere
digitalizzato e reso fruibile in maniera innovativa, per il pubblico.
b) linking e framing
Si passa ora a trattare un’altra tipologia di infrazione al diritto d’autore510,
che attiene specificamente alla gestione del sito web.
Con l’avvento di internet e dell’era digitale, sono aumentare a dismisura le
informazioni che possono essere reperite sul web. Mentre “naviga”, l’utente
prende visione di contenuti che non sono posti in un’unica lineare sequenza, come
potrebbe accadere per un testo cartaceo, ma possono essere scelti autonomamente,
essendo interconnessi gli uni agli altri. Tramite una connessione attraverso un
link, il soggetto crea un proprio percorso di lettura. Questo è l’elemento che
caratterizza un ipertesto, come suggerisce la parola stessa, qualcosa che va al di là
del semplice testo: un insieme di informazioni interconnesse 511.
Lo stesso creatore di un sito web sa che il suo prodotto non sarà
completamente nuovo, ma si baserà, in parte, sull’assemblaggio di parti già
esistenti. Se questo soggetto si limita a copiare, egli è perseguibile ai sensi di
legge; se però effettua solo dei rimandi, può non incorrere nell’infrazione; ma
dipende dal tipo e dalle modalità con cui ciò viene effettuato512.
510
Rispetto a quelle viste nel par. 3.4 e 3.5.
In questo senso A MUSSO, Ipertesti e thesauri nella disciplina del diritto d’autore, in AIDA,
VII, 1998, 211.
512
In questo senso TURINI, cit., 994.
511
175
È bene ricordare che in passato si riteneva che anche il semplice
caricamento di una pagina web nella memoria RAM513, data la riproduzione
temporanea
dell’opera,
poteva
costituire
violazione
del
copyright.
Successivamente, però, riconosciuto il valore fondamentale del link per operare su
Internet, si è stabilito che un utente, per il fatto stesso di essere sul web, realizza
una “licenza implicita” per tale pratica514.
Il rimando è effettuato tramite il link, un “collegamento ipertestuale ad
uno spazio internet, strumento fondamentale e indispensabile per la
comunicazione in rete”515, che permette di “navigare” tra le pagine del World
Wide Web.
Esistono diversi tipi di collegamenti e di classificazione dei link.
Innanzitutto si suole distinguere tra:
 link interni, che sono collegamenti tra le pagine di uno stesso sito e
 link esterni, che spostano l’utente nelle pagine di un sito diverso da
quello iniziale.
Per quanto riguarda i link interni, tutto ciò che viene richiamato rientra
nell’ambito della titolarità del gestore di quello spazio web. Non c’è bisogno di
una licenza, implicita o esplicita, poiché si tratta del modo normale di costruire un
sito ipertestuale516. Riguardo i link esterni, l’utente è rinviato presso contenuti che
513
Random Access Memory, la memoria “volatile” del computer in cui vengono memorizzati i
dati, ad esempio, sul documento su cui si lavora in quel momento.
514
In questo senso T URINI, cit., 996; PESSACH, cit.; T. J. WALTON, Copyright, reperibile all’URL:
«http://netatty.com/copyright.html».
515
V. TURINI, cit., 994.
516
Cfr. TURINI, cit., 995; G. DE FRANCESCO, Siti web e diritti di proprietà intellettuale, reperibile
all’URL:
«http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria_i/indice0512/defrancescositiwebipr.ht
ml».
176
non sono propri del titolare del sito che ha apposto il link. E in questi casi possono
configurarsi alcuni illeciti517.
Si distingue ulteriormente tra surface link, deep link e framing.
Il surface link consente all’utente di entrare in un sito diverso, comprendendo il
passaggio dalla home page del sito “chiamato”. Questo causa generalmente pochi
problemi, perché tale sito potrebbe essere interessato dall’acquisita visibilità. La
forma di collegamento del deep link è insidiosa: ci si collega alla pagina di un
altro sito , ma senza transitare dalla home page 518. La giurisprudenza italiana ha
dimostrato un atteggiamento non uniforme riguardo a queste situazioni,
configurandole o come illecita forma di concorrenza o come assoluta liceità519.
Con il framing, la pagina richiamata attraverso il link viene inserita all’interno
della struttura della pagina web attraverso la quale si è effettuato il link, e diventa
parte integrante della stessa.
Negli Stati Uniti il deep link, se non viene espressamente autorizzato dal
titolare del sito a cui si rimanda, è considerato illecito 520.
In Italia esiste la pratica dell’accordo fra i proprietari dei siti, sul modo di
apporre i link, citare e riprodurre i documenti, all’interno delle proprie pagine521.
Il framing, negli Stati Uniti come in Italia, è anch’esso considerato illecito,
senza espressa autorizzazione. “In entrambi i casi sussiste una situazione di forte
incertezza nel visitatore che non ha agilmente modo di comprendere quale sia la
517
Cfr. M. S. SPOLIDORO, Il sito WEB, in AIDA, 1998, VII, 188, 189.
Cfr. TURINI, cit., 995; SIROTTI GAUDENZI, cit., 259, 260, MUSSO, cit., 248, 249.
519
Cfr. TURINI, cit., 995
520
Anche se, secondo alcune opinioni, il deep link è l’unico modo per citare la fonte.
521
Cfr SIROTTI GAUDENZI, cit., 260.
518
177
vera fonte del materiale visualizzato”522. Si ritiene, comunque, che il framing
violi il diritto d’autore se non viene resa esplicita la fonte dell’informazione che si
visualizza. Inoltre, diventa concorrenza sleale quando serve a sfruttare la notorietà
di un altro sito o dei servizi da questo offerti, senza autorizzazione o senza versare
un corrispettivo523.
Date le questioni giuridiche sorte, gli operatori hanno elaborato un tipo di
accordo, detto “Web linking agreement”, che stabilisce le condizioni per
effettuare link senza rischi di infrazione524. Questo tipo di accordo si rivela
necessario per tutti coloro che devono creare un sito web e cercano di fornire
all’utente il maggior numero di informazioni possibili; come nel caso del sito
istituzionale di un museo, che può avvalersi anche di risorse esterne, che non gli
appartengono direttamente, per diffondere il suo messaggio e portare a
compimento la sua missione. Esso potrebbe, infatti, inviare l’utente a contenuti su
cui non possiede il copyright, ed in questo modo:
 non controllare la possibilità di scaricare informazioni che,
forse, il proprietario non voleva distribuire o
 facilitarlo nell’usare materiale per scopi diversi da quelli
coperti da utilizzazioni libere, fair use o fair dealing525.
522
V. TURINI, cit., 996
Cfr. DE FRANCESCO, cit.
524
Idem.
525
V. par. 3.6 a).
523
178
c) nome di dominio
Ogni computer connesso alla rete è fornito di un indirizzo IP526, cioè una
sequenza di numeri che lo identificano. Dal momento che si rivela difficoltoso
ricordare una serie di numeri, mentre è più semplice memorizzare una parola,
sono state associate a quei numeri sigle o parole 527.
Partendo da questo esempio, «http://www.ambientediritto.it», i nomi di
dominio sono così strutturati:
 la parte a destra del punto, “.it”, è detta Top Level Domain, che
indica l’area geografica, come in questo caso528, o l’area tematica
di appartenenza529;
 la parte a sinistra del punto , “ambientediritto”, è detta Second
Level Domain, espressione alfabetica scelta autonomamente
dall’utente, che identifica delle particolari pagine.
Ogni parte dell’IP numerico è unica, quindi ogni computer della rete è
identificato da un unico e particolare nome di dominio 530.
Secondo la giurisprudenza, il nome di dominio ha anche una funzione di
segno distintivo, rispetto alla possibilità di attrarre l’interesse degli utenti della
rete. Pertanto, in questo campo occorre rispettare le normative a tutela della
proprietà intellettuale, ma anche del nome, dei segni distintivi e dei marchi 531.
526
Internet Protocol, protocollo di comunicazione che serve a spostare pacchetti di dati da una
macchina all’altra, cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 235.
527
Idem.
528
“.it” per l’Italia, “.fr” per la Francia, e così via.
529
Come “.com” per indicare le attività commerciali.
530
cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 236.
531
In questo senso, DE FRANCESCO, cit.
179
È necessario specificare che, nell’andare alla caccia di un nome per il sito,
non è possibile utilizzare il titolo stesso di un’opera dell’ingegno, senza il
permesso dell’autore; ciò vale anche per denominazioni di organizzazioni o
prodotti identificabili come marchi o insegne, e pertanto tutelati ai sensi della
normativa sulla proprietà industriale 532. L’uso di un marchio altrui come nome di
dominio è, generalmente illecito: gli utenti, infatti, visiterebbero il sito credendo
che sia di proprietà del titolare del marchio e ciò potrebbe creare confusione
relativamente all’associazione erronea tra diversi segni distintivi e circa la
provenienza dei prodotti, dei servizi, per non parlare del danno alla reputazione.
Secondo l’esperienza statunitense, in generale i nomi di dominio registrati che
contengono un marchio di fabbrica, rappresentano una violazione. Le corti
americane, tuttavia, non detengono una visione univoca del problema e non hanno
avuto molto successo nel forzare i proprietari del nome di dominio, che
rappresenta una presunta violazione, ad abbandonare l’uso del nome registrato.
L’ICANN533, autorità che si occupa, negli Stati Uniti, dell’assegnazione dei nomi
di dominio, ha istituito una procedura di arbitraggio per determinare se il
proprietario di un marchio abbia la facoltà di eliminare un nome di dominio. Se,
poi, le corti americane sollevano obiezioni sulla decisione raggiunta, il sito resta
tale534.
532
Idem.
International Corporation of Assignad Names and Numbers, responsabile dell’assegnazione dei
nomi di dominio negli USA. IANA (Internet assigned Numbers Authority), è l’autorità che sta al
vertice nell’assegnazione dei nomi di dominio; essa ha delegato le sue funzioni a distinte autorità
continentali, europea e sud-asiatica, da cui dipende, ad esempio il GARR in Italia.
534
In questo senso T. J. WALTON, Trademark, 2000, reperibile all’URL:
«http://www.netatty.com/trademark.html».
533
180
La WIPO ha acutamente chiamato il nome di dominio “the human form of
Internet address. Like commercial entities in cyberspace, domain names serve not
only as the street and houses on the Internet but also as the signposts for
electronic business”535. Nel cyberspazio è di fondamentale importanza, per I
musei, avere un’identità certa, sicura e appropriata, che permetta agli utilizzatori
di confidare sulle risorse dell’istituzione. L’ICANN ha approvato la costituzione
di un Top Level Domain “.museum”, che favorirebbe l’istituzione culturale nel
registrare i propri nomi di dominio, il riconoscimento di un’identità sicura e
l’assicurazione di autenticità dei contenuti536. L’organizzazione preposta a rendere
operativa tale iniziativa è MuseDoma537, la quale aspira a stabilire “a cultural
sector on the Internet”538. Essa deve anche vigilare su eventuali comportamenti
illeciti: “there are persons all toot eager to appropriate the name, the goodwill,
and intellectual assets of museums for their own purposes” 539; tali pratiche
possono, infatti, danneggiare la reputazione del museo, per questo devono
investire tempo e risorse per difendere i loro nomi di dominio.
d) opera multimediale
Il museo dell’era digitale, sia che crei un suo “alter ego” su Internet o che
proponga nuove e diverse attività sul suo sito web o nei suoi locali, è
ripetutamente coinvolto nell’utilizzo e nella costruzione di opere multimediali.
535
Cfr. SHAPIRO, cit.
Idem.
537
Museum Domain Management Association.
538
V. C. KARP, Launching the Top - Level Domain . museum, 2001, reperibile all’URL: «http://
icom.museum/». Il top level domain dell’ICOM ne rappresenta un esempio.
539
V. SHAPIRO, cit.
536
181
Pensiamo, ad esempio, alla visita virtuale di una galleria d’arte, nella quale
possiamo:
 vedere le riproduzioni digitali delle opere ivi custodite,
 ascoltare una voce narrante e/o
 leggere una didascalia che ci spieghi la storia dell’opera,
dell’autore o del luogo in cui è presente,
 essere accompagnati da un sottofondo musicale.
Si prenda altrimenti come esempio la video guida multimediale realizzata al
Museo della Seta di Como, che ho illustrato al par. 2.4.3 sub c). In quell’esempio
l’utente è coinvolto in una visita reale al museo, ma attraverso una videoguida su
palmare, che permette di selezionare autonomamente gli argomenti, è in grado di
ascoltare le spiegazioni sugli oggetti custoditi ed ottenere anche informazioni
aggiuntive. Tutto ciò accompagnati anche da filmati dell’epoca, riprodotti su
palmare, e dalla possibilità di interagire con lo strumento scegliendo lingua,
percorsi, argomenti.
L’opera multimediale è fonte di molteplici informazioni, di cui il
museo si avvale per la sua straordinaria capacità di restituire immediatezza nella
ricezione delle informazioni e di rendere l’utente attivo attraverso la scelta del
proprio autonomo percorso, fino a diventare lui stesso “creatore” dell’itinerario
conoscitivo. In questo modo il museo è anche facilitato nel compito di
raggiungere la sua missione e diffondere il suo messaggio, sia ad utenti che lo
visitano realmente, sia a coloro che non avrebbero voluto visitarlo ma attraverso
182
Internet ne stanno considerando l’eventualità, sia a coloro che non ne hanno la
possibilità540.
La scoperta dell’opera multimediale, tuttavia, non è recentissima. Già
da più di dieci anni si produce materiale multimediale come i CD rom, che poi si è
perfezionato fino ad approdare alla rete Internet541.
Sempre in quel periodo, i creatori di opere multimediali riportavano
una percentuale molto alta di rifiuti nell’accordare loro, da parte degli autori dei
contenuti che avrebbero dovuto essere utilizzati, i permessi per lo sfruttamento.
Molto probabilmente la causa si riconnette alla mancata comprensione dei reali
diritti coinvolti, data la novità dell’utilizzo di quel tipo di tecnologia, perciò il
rifiuto sembrava la strada più sicura da percorrere. Si segnala che ciò accadeva
anche nella costituzione di banche dati e website542.
Facciamo una piccola premessa. È necessario specificare di quale tipo
di opera stiamo parlando. La riflessione dottrinale sulla della tecnologia digitale
ha dato origine ad una nuova categoria di “beni immateriali” la cui caratteristica è
la “dematerializzazione” del tradizionale supporto materiale in cui sono immessi,
dato il processo di “digitalizzazione” delle informazioni a cui sono sottoposti, che
prevede la riduzione in bit. Come efficacemente descritto da Nivarra, “impiego
della tecnica digitale che annulla la specificità di ogni singolo linguaggio sia esso
musicale, testuale, visivo, nelle sue ininterrotte catene di 0 e 1” 543. Queste nuove
forme di elaborazione e trasformazione dell’opera hanno portato alla nascita dei
540
V. par. 2.3.
V. par. 2.4.3. sub a), cfr. R. E. PANTALONY, Wipo Guide on Managing Intellectual Property for
Museums, 2007, reperibile all’URL: «http: //www.wipo.int/copyright/museums_ip/guide.html»
542
In questo senso LEAN, cit.
543
V. L. NIVARRA, Le opere multimediali su Internet, in AIDA, 1996, V, 136.
541
183
cosiddetti “beni informatici”, strutturabili attraverso un computer, entro cui si
possono comprendere opere multimediali, banche dati, software544. Solo le prime
due tipologie saranno oggetto di specifica analisi, in questo e nel prossimo
paragrafo.
È necessario trovare una collocazione giuridica per i beni informatici, i quali
vengono,così, trasformati in beni giuridici informatici. Tale nozione, nel mondo
anglosassone è resa con “legal hybrid”545.
Nel cercare di definire tale tipo di opera, partiamo dall’attributo
“multimediale”. Il relativo termine “multimedia” deriva dal mondo anglosassone,
ma ancor prima da quello latino: “media”, il plurale di “medium”, significa
mezzo; ed indica, insieme al termine “multi”, più mezzi di comunicazione che
veicolano il proprio messaggio e vengono incorporati, poi, in un unico supporto
che fonde insieme i vari messaggi, creandone uno nuovo generale. I messaggi,
però, grazie alle scelte che l’utente pone in essere, possono diventare
molteplici546.
Nonostante tale prodotto
non rappresenti più una
novità547
l’inquadramento sistematico 548 di tale opera è problematico ora come lo era dieci
anni fa549.
544
In questo senso M. BARCAROLI, Problemi di Diritto Comparato di autore nell’opera
multimediale, in Riv. Dir. Aut, 1999, 2, 181; C. DI COCCO, Multimedialità e diritti d’autore, in Dir.
Int., 2007, 3, 298; B. CUNEGATTI, G. SCORZA, Multimedialità e diritto d’autore. Multimedia,
banche di dati, software e mp3 alla luce della direttiva 2001/29/CE, Napoli, 2001, 5; M.
D’ANNIBALE, La classificazione delle opere multimediali nella legge sul diritto d’autore, in Dir.
Aut., 2007, 3, 369.
545
Cfr. BARCAROLI, cit, 189.
546
Idem, 186; DI COCCO, cit., 298. Intesi come testi, immagini, suoni, sono, secondo Nivarra “la
traduzione visiva di quelli intreccio di relazioni e di assonanze di cui si alimenta la conoscenza”
cit, 138.
547
Cfr. NIVARRA, cit., 139.
184
E oltre ad indagare il suo possibile inquadramento, c’è chi si chiede
anche se la figura dell’informatico sia assimilabile a quella dell’autore550.
Ma analizziamone le caratteristiche. Essa è caratterizzata da:
 digitalità, che riguarda la sua necessaria forma di espressione in
linguaggio binario, il quale permette al computer di raccogliere ed
elaborare le informazioni;
 multimedialità, che fa riferimento alla sua composizione in
immagini, testi, suoni, connessi tra loro e che rappresentano opere
protette dal diritto d’autore551;
 interattività, che sta ad indicare che l’opera funziona attraverso un
cd. “software gestionale”, che permette all’utente, grazie anche
all’ipertestualità, di creare percorsi di consultazione sempre
personalizzati, diventando egli stesso, come abbiamo visto
all’inizio, creatore. Si riconosce una “creatività multiforme” perché
l’utente può compiere tutte le scelte consentite dal software
gestionale552.
Si specifica, inoltre, che l’opera multimediale può essere realizzata offline, intendendo con questo l’utilizzo di CD rom o DVD; oppure on - line quindi
su Internet, strumento che la rende ivi realizzabile 553.
548
Sia per qualificazione giuridica che disciplina normativa.
Cfr. DI COCCO, cit., 297; BARCAROLI, cit., 183; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 5.
550
In questo senso, M. D’ANNIBALE, cit., 370.
551
I dati, una volta digitalizzati: “divengono dati svincolati dalla realtà materiale, indipendenti
dal supporto sul quale sono inizialmente registrati ed estremamente permeabili a qualunque tipo
di operazione” , v. DI COCCO, cit., 299.
552
V. D’ANNIBALE cit., 381; cfr. BARCAROLI, cit., 155-188; SIROTTI GAUDENZI, cit., 215.
553
Cfr. D’ANNIBALE, cit., 373; BARCAROLI, cit., 384.
549
185
Queste due tipologie configurano, rispettivamente, la multimedialità
statica554 e dinamica555.
Le caratteristiche dell’opera fuse insieme costituiscono il prodotto
multimediale, che si distingue per due elementi:
1. il “contenuto informativo”, che rappresenta la totalità dei dati
digitalizzati provenienti da opere o porzioni di esse che sono
fruibili dall’utente attraverso una “navigazione reticolare”556;
2. il “programma di gestione”, cioè la componente software, un
sistema informatico che coordina le parti e i contenuti in modo
che possano essere utilizzati dall’utente.
Tali due componenti sono “interdipendenti, in quanto l’una è del tutto
inutile senza l’altra, e fra loro deve sussistere una forte integrazione perché il
multimedia possa essere utilizzato efficacemente dall’utente finale”557.
“Although multimedia products are of such great economic
importance, there is no direct legislation to protect them”558. Ciò non significa
però che non ci sia un qualche tipo di protezione a questi prodotti. Ma la
protezione trovata, in Italia come negli altri paesi e nei trattati internazionali, è
essenzialmente un miscuglio degli esistenti regimi di protezione per altre simili
opere dell’ingegno559.
554
Che fa riferimento al medium che la incorpora.
Che fa riferimento allo spazio extra geografico a cui è possibile accedere attraverso Internet;
cfr. CERUTTI, cit., 1012.
556
V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 6.
557
V. DI COCCO, cit., 299
558
V. I. A. STAMATOUDI, Copyright and Multimedia Products A Comparative Analysis,
Cambridge, 2002, 5
559
In questo senso STAMATOUDI, cit., 5; NIVARRA, cit., 136; DI COCCO, cit., 304; CUNEGATTI,
SCORZA, cit., 10.
555
186
Innanzitutto l’opera multimediale può essere considerata opera
dell’ingegno poiché è dotata di creatività 560: infatti, come dice Nivarra, dà vita ad
“una creazione originale frutto di progetto culturale anche di livello elevato (…).
E questo valore aggiunto creativo, a sua volta, non deriva da un lavoro di mero
coordinamento”561 anzi molto spesso il livello di creatività sul prodotto finito può
essere anche superiore a quello che potrebbe potenzialmente derivare dalla somma
delle sue componenti562.
Il progetto creativo è generalmente imputabile al cosiddetto “regista
multimediale” che sviluppa l’idea principale 563 e genera l’idea che sarà poi
realizzata con l’aiuto di grafici, esperti software ed esperti di contenuti.
Raramente è realizzata da un solo soggetto, a cui spetterebbero, pacificamente,
alla fine, tutti i diritti sull’opera.
Quindi alla realizzazione dell’opera partecipa un gruppo di soggetti,
ciascuno dei quali fornisce il proprio contributo intellettivo originale per la
realizzazione. C’è infine poi, il finanziatore, o produttore multimediale che mette
a disposizione i mezzi finanziari e successivamente ne cura l’edizione 564.
Diversi esperti per diversi tipi di contenuti; proviamo ora a cercare una
definizione: l’opera multimediale è “la combinazione e la gestione simultanea, ad
560
Altresì se dotata di creatività di modesta entità, come richiesto nei paesi di common law, dove
si prevede solo che l’opera non sia copiata.
561
V. NIVARRA, cit., 137
562
In questo senso DI COCCO, cit., 304.
563
V. idem, BARCAROLI, cit., 210.
564
Cfr. DI COCCO, cit., 305.
187
opera di un programma, di porzioni di opere appartenenti a diverse tipologie,
tradizionalmente veicolate da media differenti,resi in formato digitale”565.
Ancora, è “un’opera realizzata dall’ingegno di un uomo che può
essere consultata in modi diversi (audio, video, lettura, narrazione, animazione,
storia, arte, dizionario) e non in un modo unico come un film, un libro, la radio, o
la televisione, a seconda degli interessi di chi la fruisce” 566.
Ancora, è un’opera che “combine on a single medium more than one
different kind of expressions in an integrated digital format, and which allow their
users, with the aid of a software tool, to manipulate the contents of the work with
a substantial degree of interactivity”567.
La definizione normativa dell’opera multimediale è, tuttavia, una
questione aperta; non esistono fonti specifiche o norme che le attribuiscono uno
specifico regime giuridico.
In Italia, in realtà, il termine “multimediale” è apparso per la prima
volta nel 2000, in un testo legislativo 568 trasposto poi nell’art. 17 ter l. 633/41. Era
il primo riconoscimento formale da parte del legislatore, il quale, tuttavia, non ha
introdotto una definizione o ne ha specificato una disciplina giuridica. L’unico
modo per trovare una disciplina, dunque, è fare una comparazione con i modelli
esistenti.
Innanzitutto, la Convenzione di Berna prevede la protezione per
materiale originale che sia “literary and artistic works, meaning every production
565
V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 6
V.
V.
SPATARO,
Opera
Multimediale,
//www.civile.it/ilaw/diziovisual.asp?num=764»
567
Definizione di I. A. STAMATOUDI, in DI COCCO, cit., 301.
568
D. lgs 248/2000.
566
188
reperibile
all’URL:
«http:
in the literary, scientific and artistic domain, whatever its form or mode of
expression”569. Qualsiasi opera che possegga tali caratteristiche viene protetta,
senza che venga fatta una preventiva classificazione dell’opera.
In Europa la visione è simile alla Convenzione, per cui una preventiva
classificazione non è richiesta. Così accade anche negli Stati Uniti, i quali però
prevedono dei requisiti forse ancora più restrittivi: la section 102 del Copyright
Act assegna tre caratteristiche alle opere per poter essere protette:
 “it has to be a work
 it has to be original
 it has to be fixed in a tangible medium of expression”570.
Tenendo conto, però del concetto molto largo di originalità, la
restrittività viene allentata.
L’individuazione del regime giuridico si rivela fondamentale sia per
una corretta protezione, sia per una sviluppo più generale del mercato poiché gli
imprenditori non resterebbero bloccati dalla mancanza di chiarezza legislativa.
Nel scegliere il regime più adatto, la maggiore difficoltà è data dal
rapporto che si realizza tra le sue più componenti. È importante ricordare che
l’opera multimediale è composta, nella maggior parte dei casi, da altre opere che,
a loro volta, sono protette dal diritto d’autore. E ciò accade a prescindere dalla
protezione che verrà accordata all’opera, nel suo complesso. Inoltre, non si
possono trascurare i diritti che appartengono ai singoli autori dei contenuti
569
570
V. STAMATOUDI, cit., 187.
Idem, 88.
189
utilizzati. Sembra ad oggi, che nessuna categoria italiana di opera dell’ingegno
possa ritenersi adatta.
Questa può rivelarsi un’operazione ardua, poiché:
 è necessario ottenere almeno il consenso per la riproduzione e alla
elaborazione delle opere;
 si ravvisa frammentarietà e pluralità di diritti, sia d’autore che
connessi, in capo a molteplici soggetti, da qui la difficoltà di
ottenere tutti i consensi;
 la necessità dell’acquisizione dei diritti per ogni territorio nel quale
l’opera sarà usata, complica lo sfruttamento della stessa sul web,
poiché si rende indispensabile raccogliere i diritti praticamente per
tutti i paesi del mondo, con le connaturate differenze degli stessi;
 poiché la realizzazione dell’opera impone una modificazione dei
materiali originali, coloro che hanno acquistato dei diritti di
sfruttamento sugli stessi e a cui andrebbero indirizzate le richieste
potrebbero non disporre anche del diritto di modifica571.
Innanzitutto, è possibile far rientrare l’opera multimediale all’interno
delle opere derivate, figura prevista dal diritto d’autore, al di là delle previsioni
per ogni singola tipologia. Essa infatti, utilizzando contenuti preesistenti e
rielaborandoli creativamente presenta le sue caratteristiche tipiche 572.
571
572
In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 119, 120; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 14, 15.
Idem 119; idem 19, 20.
190
Ma poiché l’opera multimediale è dotata delle caratteristiche di
digitalità e interattività, diventa difficile inquadrarla in una delle figure
tradizionali:
 Opera comune o opera in collaborazione o opera in comunione.
È un’opera creata attraverso il contributo “indistinguibile e inscindibile di più
persone”573. Però il ruolo che copre il soggetto che cura l’ideazione e la
realizzazione dell’opera multimediale risulta incompatibile con quest’opera, dove
tutti i soggetti danno lo stesso tipo di contributo. Inoltre nell’opera multimediale
non c’è una “fusione irreversibile delle singole porzioni” 574
 Opera collettiva
È costituita da una riunione di opere o di parti di esse, che rimangono
individuabili e riconoscibili. Se sulla carta sembrerebbe adattarsi alle opere
multimediali, sorgono delle perplessità nel caso in cui le attività di coordinamento
e organizzazione dell’opera siano svolte da un programma per elaboratore
individuato appositamente, eventualità non prevista dal legislatore.
Nonostante ciò, la figura che ne coordina la realizzazione trova, invece,
riconoscimento575.
 Opera composta e in particolare opera cinematografica
E’ costituita da una pluralità di contributi distinti tra loro ma connessi strettamente
per una unica e precisa finalità espressiva 576. Si riscontra una fusione di elementi
letterali, figurativi e musicali; ma mentre nell’opera cinematografica le immagini
573
V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 21.
V. DI COCCO, cit., 305
575
Cfr. DI COCCO, cit., 305; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 23.
576
Cfr. E. FALABELLA, N. PEDDE, Il giurista Multimediale, Roma, 2001, 42.
574
191
sono montate per seguire una sequenza, l’opera multimediale trae la sua
peculiarità dall’interattività e, quindi, dalla non linearità577.
 Opera audiovisiva
E’ un’opera che può essere fruita con diversi mezzi come la televisione o un
apparato informatico, ma non ha la caratteristica dell’interattività e non c’è la
componente del software578.
 Opera letteraria
In questo caso l’opera multimediale potrebbe essere considerata un insieme di dati
omogenei, espressi in forma digitale. In tal maniera viene considerato letterario
anche il software.
Ma c’è da notare che la semplice digitalizzazione non può modificare la natura
giuridica dell’opera e quindi una tale riqualificazione potrebbe essere fatta solo in
base ad una espressa disposizione normativa 579
 Programma per elaboratore
In questo modo viene enfatizzato il ruolo svolto dal software che consente la
consultazione dell’opera multimediale, e ricondotto l’intero prodotto a questa
disciplina, a prescindere dal contenuto.
Non bisogna però dimenticare che il programma rappresenta solo una parte
dell’insieme580.
577
In questo senso CUNEGATTI, SCORZA, cit., 30, 31; DI COCCO, cit., 308.
Cfr. DI COCCO, cit., 308.
579
Idem, 307; cfr. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 33.
580
Cfr. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 28, 29.
578
192
 Resta un’ultima ipotesi per cercare di trovare una tutela per le
opere multimediali: comprenderle all’interno della protezione
offerta alla banche dati.
Dal punto di vista della struttura e del contenuto le due tipologie di opere
presentano notevoli affinità. Si ravvisano queste caratteristiche: opera composita,
contenuto informativo digitalizzato, software preposto alla fruizione, lavoro di
équipe, con ruoli diversi per ciascun soggetto. Si è ritenuto che questa fosse
l’unica assimilazione possibile, ma anche qui, in realtà, ci sono diversi problemi.
Innanzitutto le informazioni, i dati o le opere che romano l’opera
multimediale “non sono necessariamente indipendenti e/o individualmente
accessibili”581.
In più la definizione di banca dati comprende anche la forma non
informatizzata, ciò è rilevante se si pensa che uno degli elementi portanti
dell’opera multimediale è il software gestionale, il quale, tra l’altro, per espressa
previsione della normativa, non riceve diretta protezione.
Non resta altro da fare che condurre l’indagine con riferimento ai
singoli casi di opere multimediali, perché di volta in volta potranno occorrere le
condizioni che configurano un’opera o un’altra.
“Ciò che caratterizza l’opera multimediale in quanto “prodotto” non
è la sua struttura, bensì il modo di utilizzazione”582.
581
582
V. DI COCCO, cit., 309.
V. M FABIANI, Banche dati e multimedialità, in Riv, Dir. Aut., 1999, 1, 11.
193
Quindi si procederà per affinità, oppure, come suggerisce Stamatoudi,
“a new classification must be introduced for the group of new technological
productions”583.
e) banca dati
Abbiamo visto nel capitolo 2 come le banche dati possano
rappresentare una forma di impiego delle nuove tecnologie, che permette al museo
di coadiuvare l’utente nella ricerca di determinati tipi di materiale e di trasmettere
il proprio messaggio.
Si parla delle banche dati on - line, dalle quali gli utenti,
preventivamente registrati sul sito web, possono ottenere, a determinate
condizioni, previste in una licenza584, immagini di riproduzione dei beni culturali
o altro materiale 585.
Questa è la forma “tradizionale” delle banche dati, tuttavia, grazie ad
una esposizione virtuale o all’eventualità che il museo stesso “si trasferisca” su
Internet, può essere realizzata un’altra tipologia di banche dati. Tali modalità sono
strettamente connesse alla possibilità, offerta dalla legislazione, di tutelare non
solo le banche dati incorporate in un supporto materiale, ma anche in “qualsiasi
altra forma”586.
Ma vediamo qual è la protezione giuridica prevista per questo
strumento.
583
V. STAMATOUDI, cit., 194.
Ad esempio, il pagamento di una certa somma.
585
Cfr. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 302.
586
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 243. Per una trattazione più ampia v. par. 3.5.2.
584
194
Il primo riconoscimento normativo per le banche dati è stato fornito a
livello internazionale dagli accordi GATT/TRIPs del 1994 587. Essi affidano588 loro
protezione
come
“creazioni
internazionali
in
quanto
la
selezione
o
l’organizzazione del loro contenuto rappresentino un’opera dell’ingegno”589;
subito dopo sono intervenuti i trattati WIPO590: il Copyright Treaty, infatti, all’art.
5 dispone che “le compilazioni di dati o altro materiale, in qualsiasi forma, che a
causa delle selezione o della disposizione del loro contenuto costituiscono
creazioni intellettuali sono protette in quanto tali. La protezione non copre i dati
o il materiale stesso e non pregiudica i diritti d’autore eventualmente esistenti sui
dati o sul materiale contenuti della compilazione”591.
Si è, poi, fatto avanti il legislatore comunitario, che fornisce protezione
legale alle banche dati con la direttiva 1996/9/CE, recepita in Italia con il d. lgs 6
maggio 1999, n. 169592. Il decreto ha modificato taluni articoli della l. 633/41; la
quale ora dispone che sono protette dal diritto d’autore anche “le banche dati che
per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione
intellettuale dell’autore”.
La definizione completa di banca dati è, invece, sancita nell’art. 2 n. 9
della stessa legge, il quale precisa che sono protette “le banche dati di cui al
secondo comma dell’articolo 1 intese come raccolte di opere, dati o altri elementi
indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente
587
General Agreement on Tariffes and Trade (GATT); Trade Related Aspects of Intellectual
Property Rights (TRIPS); v. par. 3.2 sub a).
588
All’art. 10 paragrafo 2.
589
V. B. CUNEGATTI, Le Banche di dati, in CASSANO (a cura di), cit., 1023.
590
World Intellectual Property Organization, v. par 3.2 sub a).
591
V. CUNEGATTI, cit., 1023.
592
“attuazione della direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati”
195
accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo” si precisa, inoltre che “la
protezione non si estende al contenuto della banca dati e lascia impregiudicati i
diritti esistenti sullo stesso”593. È la prima definizione completa che si trova in
una normativa.
Negli Stati Uniti, la Circolare 65 594 del Copyright Office dà una
definizione di “automated databases”: “un corpo, costituito da uno o più files, di
fatti, dati o altre informazioni assemblati in una forma organizzata che ne
consente l’utilizzo in un computer”595.
In Australia i databases sono protetti come “compilations, often of vast
amounts of information, stored in electronic format”596.
Nonostante il Copyright Office avesse prodotto una definizione di
automated database; a livello federale le banche dati non sono soggette a
protezione. Il database è proteggibile solo quando assume i caratteri di una
“compilation”, che è definita, invece, come “costituita dalla raccolta e
dall’assemblaggio di materiali preesistenti o di dati selezionati, coordinati o
arrangiati in maniera tale che l’opera risultante costituisca l’espressione di una
creazione originale”597. È proprio su quest’ultimo concetto che occorre
soffermarsi. Una banca dati è protetta se è frutto di una creazione intellettuale
dell’autore598. Sebbene la direttiva 96/9/CE non utilizzi espressamente il termine
originale, si considera che essa si riferisca al requisito dell’originalità, che è il
593
Idem.
Copyright Registration for Automated Databases.
595
V. L. MANSANI, La protezione dei database in Internet, in AIDA, 1996,V, 149.
596
V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit.
597
V. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153.
598
Cfr. art. 3 par. 2 della direttiva.
594
196
presupposto alla sussistenza del quale si procede alla tutela secondo il diritto
d’autore599. Infatti, per scegliere o disporre il materiale, occorre che l’autore
utilizzi un certo grado di originalità 600. Anche la tradizione statunitense segue
questa impostazione, sebbene il concetto di originalità abbia seguito una
particolare evoluzione. Da circa metà del 1980, la giurisprudenza statunitense
sosteneva la “sweat of the brow doctrine”601, un orientamento secondo il quale “il
presupposto della creatività sussisterebbe per il solo fatto che la raccolta di dati
sia frutto di “industriosità”, “fatica”, “lavoro e spese” da parte del
compilatore”602. Questa dottrina assicurava una protezione tanto ampia da
abbassare significativamente il livello i creatività richiesto per la protezione del
copyright, ed era stata invocata in uno storico caso americano del 1991 603 in cui la
Corte Suprema ha affermato che una compilazione di dati che consiste in una
guida telefonica non merita la tutela del copyright, poiché mancava l’elemento
della creatività, benché modesto, “che è preteso dal criterio dell’originalità
dell’opera e che si ricava dalla clausola della Costituzione che tollera i diritti di
privativa (copyright e brevetto) se funzionali al “progresso della scienza e delle
599
In questo senso F. RONCONI, Trapianto e rielaborazione del modello normativo statunitense: il
diritto d’autore di fronte alla sfida digitale, in PASCUZZI, CASO (a cura di), cit., 272.
600
Si noti che è sufficiente che l’originalità riguardi o la scelta delle materie o la disposizione delle
stesse.
601
La “dottrina del sudore della fronte”.
602
Cfr. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153.
603
Feist v. Rural Telephone Co. 111 S. Ct. 1282 (1991), nel quale la società Feist era accusata di
aver copiato senza la necessaria autorizzazione grosse porzioni di un elenco telefonico utilizzato in
precedenza dalla società concorrente Rural. Rural aveva invocato la “sweat of the brow doctrine”,
assumendo di aver sostenuto notevoli sforzi anche economici per la raccolta delle informazioni e
chiedeva che il concorrente non potesse avvantaggiarsi dei risultati tramite la riproduzione.
L’argomento è stato rigettato dalla Corte Suprema.
197
arti””604. Dopo questo episodio le corti americane, per un certo periodo, non
hanno mantenuto un orientamento unitario; ma nonostante l’abbassamento della
soglia della creatività richiesta per la protezione, il copyright continuava ad essere
assicurato a banche dati, raccolte, repertori, cataloghi, e così via, sia in forma
analogica che digitale, che potevano essere avvicinate alla definizione di
compilation605.
In Australia si è verificato il caso esattamente contrario. La Corte
Federale606 ha stabilito che un elenco telefonico è sufficientemente originale per
ottenere la protezione del copyright. Ciò se è stato compiuto un sufficiente sforzo
intellettuale nella selezione e nell’organizzazione dei fatti, o se l’autore ha
realizzato un lavoro sufficientemente dispendioso in termini di sforzi e spese607.
Inoltre, la banche dati sono protette come originali opere letterarie.
Si noti che sia in Italia che in Australia, se la banca dati contiene opere
che sono protette dal diritto d’autore, la protezione continua a sussistere su ogni
singolo elemento608.
Negli Stati Uniti sono esclusi dalla protezione i dati normalmente
fattuali609.
604
V. J. H. REICHMAN, La guerra delle banche dati. Riflessioni sulla situazione americana, in
AIDA, 1997, V, 226.
605
I cui caratteri sono: selezione delle informazioni contenute; coordinamento di tali informazioni;
loro arrangiamento e adattamento per consentirne il reperimento con un sistema di ricerca;
originalità creativa del contenuto. Cfr. REICHMAN, cit., 227; MANSANI, La protezione dei database
in Internet, cit., 153.
606
Nel caso Desktop Marketing Systems v. Telstra Corporation [2002] FCAFC 112.
607
Cfr. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit.
608
La direttiva all’art. 3 par. 2 dice che la tutela “non si estende al loro contenuto e lascia
impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”.
609
Cfr. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 156
198
Ma la vera differenza realizzata dalla direttiva 96/9/CE riguarda il
riconoscimento di un diritto speciale, il cosiddetto diritto “sui generis”, in capo
all’autore della banca dati610.
In base ad esso l’autore ha il diritto esclusivo “eseguire o autorizzare:
la riproduzione permanente o temporanea, totale o parziale, della banca di dati
con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma; la sua traduzione, il suo adattamento,
una sua diversa disposizione e ogni altra modifica, oltre a qualsiasi riproduzione,
distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico dei
risultati di queste operazioni; la distribuzione al pubblico dell’originale o di
copie della banca di dati; la presentazione, la dimostrazione o la comunicazione
in pubblico della banca di dati, ivi compresa la sua trasmissione effettuata con
qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma”611.
La finalità di un tale riconoscimento è di tutelare l’investimento
compiuto dall’autore612, il quale può estrinsecarsi attraverso l’impiego di mezzi
finanziari, tempo, lavoro ed energie 613.
Tale diritto è indipendente dal fatto che il contenuto sia,
autonomamente, coperto dal diritto d’autore. Si noti che questa esclusiva
dell’autore ha una durata di quindici anni, ma può durare potenzialmente
all’infinito, infatti qualora lo stesso autore apporti al contenuto un’integrazione o
un aggiornamento sostanziale, il termine può decorrere nuovamente.
610
Artt. 7 e ss. della direttiva.
V. CUNEGATTI, cit., 1025, 1026.
612
Denominato costitutore.
613
In questo senso MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 157; CUNEGATTI, cit.,
1027.
611
199
Il diritto del costitutore della banca dati si avvicina alla dottrina,
precedentemente esposta, “sweat of the brow”, che aggiunto alla lunga durata,
realizza una tutela molto protezionistica. La strada seguita dagli Stati Uniti, così
come dall’Australia, è più liberale e permette una più facile circolazione delle
informazioni614. Se la tutela assicurata negli Stati Uniti riguarda solo la struttura e
l’organizzazione della banca dati, altre possibili forme di tutela sono ravvisabili
nella misappropriation, nell’unfair competition e nelle tutele contrattuali615.
Dal momento che la nostra attenzione è rivolta alle banche dati su
Internet, si nota che il “principio dell’esaurimento comunitario” 616 che riguarda la
distribuzione al pubblico, deve sottostare ad alcuni limiti:
 il diritto di controllare il noleggio non si esaurisce;
 l’esaurimento non opera nel caso in cui la banca dati è distribuita
on - line617. Questa ipotesi, infatti, configura una presentazione di
servizi e non una consegna di beni618.
Per quanto riguarda, invece, il diritto di comunicazione, dimostrazione
e presentazione in pubblico, il d. lgs 169/99 all’art. 4619 di recepimento della
direttiva ha specificato che si tratta di “trasmissione effettuata con qualsiasi
mezzo e in qualsiasi forma”. Si ritiene inoltre che non possa verificarsi
l’esaurimento in ambito telematico nemmeno in quest’ipotesi620.
614
Idem.
Cfr. RONCONI, cit., 295, nota 414.
616
Secondo cui “la prima vendita di una copia di una banca dati nella comunità da parte del
titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di controllare all’interno della
comunità la rivendita della copia”, art. 5 lett. c) della direttiva.
617
Contrariamente a quanto accade a quelle fissate su supporto materiale.
618
Cfr. RONCONI, cit., 279; CUNEGATTI, cit., 1026.
619
Che corrisponde all’art. 64 quinquies l. 633/41.
620
Cfr. RONCONI, cit., 279; CUNEGATTI, cit., 1026.
615
200
Rispetto al diritto dell’autore di vietare le attività di estrazione della
totalità o di una parte sostanziale del contenuto su un altro supporto; esso è
particolarmente significativo se applicato alle banche dati on line, poiché spesso
l’utente privato può “assumere la veste di “produttore secondario” e quindi di
potenziale concorrente del costitutore della banca dati”621, grazie alla facilità con
cui le informazioni possano essere copiate e assemblate.
Si ricorda, inoltre, che esistono delle eccezioni ai diritti esaminati, in
capo all’utente legittimo, che può agire senza la previa autorizzazione dell’autore.
Tali eccezioni fanno parte delle libere utilizzazioni622.
3.5.2 La tutela giuridica: che tipo di qualificazione per il museo?
La creazione di un sito web, come può essere quello del museo, è
assimilabile ad una qualsiasi altra attività creativa di opere protette dal diritto
d’autore.
Esso è composto, come abbiamo visto, da diversi elementi, a partire
dai più semplici, quali immagini, testi, suoni, sino ad arrivare ai più complessi,
quali banche dati e opere multimediali, che realizzano l’unione di più elementi.
C’è anche da considerare il software, che può essere utilizzato per le trasmissioni
via Internet o sviluppato appositamente per la pubblicazione del sito web.
Ci sono diverse attività che coinvolgono il sito:
 Web content, la messa a disposizione dei contenuti;
 Web publishing, pubblicazione on line di informazioni e dati;
621
622
V. RONCONI, cit., 291, nota 399.
Che verranno trattate più diffusamente nel par. 3. 6 a).
201
 Web design, elaborazione grafica dei contenuti.
Possono essere, quindi, riuniti in una stessa pagina, diversi diritti di
sfruttamento economico delle opere ivi contenute623.
È ovvio che, nella fase della progettazione è necessario verificare la provenienza
dei materiali che si intendono utilizzare, individuarne i titolari dei diritti e ottenere
le indispensabili liberatorie624.
Si è visto che per la realizzazione di opere multimediali e di banche
dati entrano in gioco un gran numero di diritti e altrettanti titolari e rintracciarli
può diventare complicato. Una volta realizzato il sito nel rispetto dei diritti
detenuti sui contenuti incorporati, si potrà provvedere ad assicurare il rispetto dei
diritti sull’opera creata e sui materiali pubblicati.
Per identificare quale sia la tutela che la legge può offrire al sito web, è
necessario analizzare le caratteristiche dell’opera che il sito del suo insieme la
rappresenta, tenendo conto anche del requisito dell’originalità.
Ci sono degli orientamenti che accostano il sito web alla banca dati625.
Prima di circostanziare l’affermazione, specifichiamo che nel nostro
ordinamento “musei, esposizioni, collezioni private ed altre raccolte di opere
d’arte aventi il carattere di creazioni intellettuali per la scelta o la disposizione
dei materiali che li compongono sono tutelati (…) come opere dell’ingegno in
base agli articoli 1 e 3 della l. 633/41”626. Ciò viene interpretato in modo da
fornire la protezione concessa dall’art. 2 par. 5 della Convenzione di Berna,
623
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 142, 143
Cfr. DE FRANCESCO, cit.
625
Cfr. P. GALLI, Musei e banche dati, in AIDA, 2004, XIII; C.E. MAYR, Banche dati e musei, in
AIDA, 1997, VI.
626
V. L. MANSANI, Musei, esposizioni e banche dati, in AIDA, 1999, VIII, 191.
624
202
secondo la quale “le raccolte di opere letterarie o artistiche (…) che, per la scelta
o la disposizione della materia, abbiano carattere di creazioni intellettuali, sono
protette come tali”627.
Il museo, come in precedenza628, è un’istituzione culturale che
colleziona le opere, le conserva, le esibisce al pubblico, raccoglie documentazione
e rende, in questo modo, beneficio alla collettività, senza contare la diffusione del
suo messaggio 629. Tutto il complesso di azioni che l’istituzione pone in essere, ad
esempio per realizzare le esposizioni, comprende sforzo creativo dei curatori,
scelta del tema, individuazione del percorso critico, selezione e acquisizione delle
opere e costituisce una elaborazione di dati630. E in questo senso possono essere
considerate banche dati. Inoltre, musei, collezioni ed esposizioni sono tutti
definibili “raccolte”, quindi come “insiemi unitari di opere, l’utilità ed il valore
dei quali, proprio in virtù della loro unitarietà, è superiore a quello della somma
delle opere che li compongono”631.
La definizione della direttiva 96/9/CE menziona espressamente il
termine “raccolta” e lo accosta alla assistenza di altri tre fattori:
 Raccolta di opere o di altri elementi indipendenti
Il museo la più antica espressione della conservazione degli oggetti,
esso raccoglie opere fornite di dati e indicazioni per comprenderne il significato e
per offrire al visitatore la possibilità di fruirle in modo indipendente l’una
dall’altra;
627
Idem.
V. paragrafi 1.4 ss.
629
In questo senso MAYR, cit., 112.
630
Idem.
631
V. MANSANI, cit., 184.
628
203
 Sistematicità o metodicità della disposizione
Specialmente per quanto riguarda le esposizioni dedicate ad un tema
specifico, vengano riunite opere piuttosto omogenee tra loro, in cui la
sistematicità può risultare più facile; ma anche opere ed elementi più vari che
seguono un filo logico ricostruito ad hoc. In generale comunque, nessun museo
tende ad esporre gli oggetti in modo disordinato.
 Accessibilità individuale delle opere
Ogni pezzo infatti ha una sua autonomia e può essere apprezzato
singolarmente632. C’è chi sostiene che l’accessibilità individuale delle opere
diventi, per quanto riguarda il museo, piuttosto macchinosa, perché non si ritiene
che il sistema di reperimento dei dati sia sufficientemente valido 633.
Generalmente, però, le raccolte del museo sono ordinate secondo
criteri sistematici e facilitano l’utenza nella ricerca 634.
In generale, quindi, l’organizzazione di una raccolta di opere o di un
evento espositivo riflette un impegno culturale creativo, mediante la raccolta di
opere ed elementi in maniera sistematica e metodica che sono accessibili
individualmente.
Grazie ad Internet le opere, prima esclusivamente esposte al pubblico
locali del museo, sono ora oggetto di diffusione on - line. La disciplina delle
banche dati è, perciò, applicabile non solo ad esposizione di opere fisicamente
tangibili, ma anche ad esposizioni virtuali o ai musei virtuali.
632
Cfr. MAYR, cit., 117; GALLI, cit., 519 – 521.
In questo senso MANSANI, cit., 187.
634
In questo senso GALLI, cit., 525.
633
204
La protezione della direttiva, infatti, è accordata a prescindere dalla
“materialità” della stessa banca dati che è considerata di per sé635.
Il museo come banca dati può essere anche inteso come la traduzione
in formato elettronico del catalogo dell’istituzione, sia esso testuale e/o figurativo,
che permetta agli utenti di interagire per ottenere le informazioni desiderate636.
La definizione di raccolte, data in precedenza, richiama l’attenzione
anche su un altro fattore: il valore aggiunto che acquistano le opere nel contesto di
un’esibizione ciò ricorda la descrizione delle opere multimediali, secondo la quale
la riunione delle componenti realizzerebbe un livello di creatività superiore alle
singole parti, nonché di qualità diversa. Taluni altri orientamenti, infatti, quando il
museo acquista il valore aggiunto dell’interattività, accostano il sito all’opera
multimediale637. Le mostre virtuali possono essere realizzate come opere
multimediali, le quali riceveranno una protezione ricavata dal modello di opera
dell’ingegno a cui più si avvicina.
La presenza dell’opera multimediale può:
 inglobare l’intero sito web
 occuparne solo una parte
 essere contenuta in una banca dati.
Nel primo caso riceverà la protezione appena vista, ma se il sito del
museo, che può rappresentare lo stesso museo in forma virtuale ingloba
un’esposizione, che nella realtà fisica riceve la protezione come banca dati, la
635
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 243.
Cfr. L. SOLIMA, E. SANSONE, I musei ed Internet: un’indagine sperimentale, in Econ. Cult.,
2000, 1, 84.
637
Cfr. DE FRANCESCO, cit.
636
205
trasposizione su Internet rende la protezione un po’ incerta. L’opera, in questo
caso l’opera multimediale, per i caratteri di affinità con la tutela delle banche dati,
potrebbe essere avvicinata a questo tipo di protezione, inglobando la banca dati.
Nel caso l’opera multimediale occupasse solo una pare del sito, è
necessario tentare di qualificare l’opera per affidarle una protezione adatta, mentre
il resto delle pagine sarà tutelato in base all’opera di elaborazione e creazione
della struttura del sito, in cui le opere sono contenute.
Se invece l’opera si trova a far parte di una banca dati, come abbiamo
visto il contenuto della banca dati rimane impregiudicato, quindi l’opera sarà
tutelata di per se, senza dipendere dalla tutela fornita alla banca dati.
Si noti, tuttavia, che un sito non esiste se non in un ambiente digitale e
richiede un software per essere fruito ed è in genere caratterizzato
dall’interattività, tutte caratteristiche che lo avvicinano all’opera multimediale 638.
Si riconosce anche il diritto “sui generis” del costruttore, il quale
abbia posto in atto un investimento rilevante sotto il profilo quantitativo e
qualitativo639, il quale risulta, nella più parte dei casi, piuttosto rilevante.
3.6
Criticità: riproduzione e fruizione
Si è visto che i diritti di proprietà intellettuale permettono agli autori di
opere dell’ingegno di proteggere le loro creazioni. Tali diritti indicano cosa è
lecito fare con tali opere. Con l’avvento di Internet, e la conseguente possibilità di
accedere ad un ampio numero di informazioni è diventato molto più difficile
638
639
Cfr. DE FRANCESCO, cit.
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 244.
206
raggiungere un equilibrio tra protezione e fruizione. Le tecnologie digitali, grazie
alla separazione dell’opera dal suo supporto materiale, permettono di copiare in
modo perfetto, economico e illimitato i contenuti e di disseminarne facilmente le
copie. Senza adeguata protezione, gli autori potrebbero decidere di non rendere
più disponibile il loro contenuto on - line, in forma digitale: infatti, “the web can
be converted into an inexpensive and widespread distribution medium”640.
La rivoluzione tecnologica ha profondamente modificato le modalità di
protezione del diritto d’autore: con l’eliminazione del supporto materiale, ciò che
ora si tende a commercializzare è il diritto d’accesso all’opera, il diritto di
riproduzione e di diffusione, i quali diventano tutti concetti chiave.
In questo contesto sono anche stati sviluppati dei sistemi di protezione
tecnologica dei contenuti, in risposta alla diffusione illegale del materiale
attraverso le reti641.
Sono già state descritte le difficoltà, incontrate dai musei, in riferimento
alla riproduzione delle opere, in un’ottica di digitalizzazione crescente all’interno
delle istituzioni culturali. Per il museo come utilizzatore di contenuti protetti da
copyright è difficile riconoscere i diritti e richiederne i relativi permessi senza
impiegare considerevoli sforzi, anche economici.
Si riconoscono, tuttavia, delle situazioni in cui viene a cadere il diritto
esclusivo di utilizzazione economica dell’opera, poiché il comportamento posto in
essere dal soggetto che ha a che fare con un determinato contenuto rientra tra la
640
V. N. LUCCHI, Intellectual property rights in digital media: a comparative analysis of legal
protection, technological measures and new business models under E.U. and U.S. law, 7,
reperibile all’URL: «http: //papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=704101».
641
In questo senso COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit..
207
cosiddette “utilizzazioni libere”, o per meglio dire nelle “eccezioni e limitazioni
del diritto d’autore”. Questo principio si ritrova anche nell’ordinamento
statunitense, e va sotto il nome di “fair use”, e in quello australiano, declinato nel
“fair dealing”. Verranno analizzate queste tipologie di tutela nei diversi
ordinamenti, prendendo in considerazione anche le previsioni in tema di
protezione dei contenuti, sia attraverso l’adozione di misure tecnologiche, sia
attraverso la conclusione di licenze che permettono un legittimo sfruttamento del
materiale.
a) Utilizzazioni libere, fair use e fair dealing
Il diritto d’autore nella società dell’informazione ha dato origine ad un acceso
dibattito per quanto riguarda le eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Si
sosteneva, infatti, che queste avrebbero dovuto essere limitate, poiché i nuovi
media mettono a disposizione le opere dell’ingegno a condizioni più vantaggiose
per gli utenti642. Esse dovrebbero rappresentare un punto di equilibrio tra
l’esigenza di tutela del creatore dell’opera, che vanta un interesse esclusivo allo
sfruttamento, e del pubblico interesse, che “in astratto imporrebbe la libera
fruibilità dell’opera medesima” 643. Ma il mezzo tecnologico permette che il
documento digitale elimini tutti i vincoli impliciti che stanno a fondamento della
disciplina in materia di eccezioni, come:
 la creazione di entità necessariamente
materiali e
permanenti dell’opera;
642
In questo senso MARZANO, cit., 251.
V. L. NIVARRA, V. RICCIUTO, Internet e il diritto dei privati. Persona e proprietà intellettuale
nelle reti telematiche, Torino, 2002, 171.
643
208
 la presenza di costi creazione;
 la possibilità di creare una ridotta quantità di opere;
 la qualità più bassa della riproduzione rispetto all’originale;
 il costo di trasmissione e distribuzione dell’opera copiata644.
Attraverso gli strumenti informatici l’utente può facilmente rielaborare e
trasmettere i contenuti, diventando, in qualche modo, creatore degli stessi. È
difficile, così, nell’ambiente digitale, distinguere tra uso privato e uso
commerciale, concetto fondamentale per la disciplina delle eccezioni 645.
Per andare alle radici di questa tematica, bisogna considerare ciò che è
stato previsto dai trattati internazionali.
Dal momento che il materiale digitale, che è protetto da copyright, può
essere facilmente spedito da un capo all’altro del globo, esso diventa parte
importante del commercio internazionale. Si è cercato, perciò, di creare un
sistema sopranazionale di protezione, all’interno del quale il materiale protetto in
uno Stato ricevesse effettiva protezione anche da parte degli ordinamenti degli
altri. Ci sono numerose convenzioni, di cui Italia, Australia e Stati Uniti risultano
sottoscrittori, che contengono standard comuni per stabilire eccezioni e limitazioni
al copyright. Ci riferiamo alla Convenzione di Berna, del TRIPs Agreement, del
WIPO Copyright Treaty e al WIPO Performances and Phonograms Treaty646 e
infine all’Australia – U.S. Free Trade Agreement647. Tutte queste convenzioni
illustrano il cosiddetto “three – step test”, un insieme di indicazioni disegnate
644
Idem, 173.
Idem.
646
Convenzioni di cui si è parlato al par. 3.2 sub a).
647
Di cui, però, l’Italia non fa parte.
645
209
come aiuto per l’applicazione di eccezioni e limitazioni. Secondo il test ci si deve
limitare:
1. “to certain special cases,
2. which do not conflict with a normal explotation of the work, and
3. do not unreasonably prejudice the legitimate interests of the right
holder”648.
Le proposte per nuove eccezioni o per la modificazione di quelle esistenti deve
essere conforme a questo tipo di test.
In Italia, il tema delle eccezioni e limitazioni ha subito una sostanziale
modifica attraverso il decreto di recepimento della “direttiva 29/2001/CE
sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi
nella società dell’informazione”. Il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68649 ha
modificato la L. 633/41. La direttiva regola gli aspetti economici del diritto
d’autore, quindi i diritti esclusivi di sfruttamento economico delle opere;
disciplina le eccezioni al diritto d’autore650; inserisce novità in materia di misure
tecnologiche651 e di informazione sui diritti.
Il modello degli Stati Uniti, per quanto riguarda il tema delle utilizzazioni libere,
si discosta profondamente da quello italiano. Nel title 17 dell’U.S.C. alla section
107 si trova la difesa generale della “fair use doctrine” che non è accostata ad usi
648
V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exeptions. An examination of fair use,
fair dealing and other exeptions in the Digital Age, 2005, reperibile all’URL:
«http://www.ag.gov.au».
649
“Attuazione della direttiva 29/2001/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 maggio
2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società
dell’informazione”650
Che non possono essere applicate se arrecano nocumento agli interessi legittimi dei titolari dei
diritti o contrastano col normale sfruttamento economico di opere e materiali protetti.
651
Che saranno trattate nel prossimo sub paragrafo.
210
specifici, ma resta una clausola generale. Il modello open – ended statunitense è
influenzato in parte dalla protezione più ampia che gli Stati Uniti danno al “free
speech”, la libertà di parola, e in parte dall’azione, nel corso del tempo, di gruppi
di pressione, specifici ed organizzati652.
L’Australia prevede le “statutory exeptions”, in particolare le previsioni
del “fair dealing”. Una “statutory exeption” permette ad un soggetto di porre in
essere taluni atti esclusivi riservati al possessore del copyright. Queste eccezioni
non sono contenute in un’unica sezione del Copyright Act, ma sono ivi disperse;
inoltre il “fair dealing” è racchiuso al loro interno. Molto importanti per le
istituzioni culturali sono le “libraries and archives provisions”, contenute sempre
all’interno del Copyright Act, in tre distinte parti. La normativa australiana ha
recentemente subito una modifica proprio sul tema delle eccezioni al copyright:
nel 2006 il Copyright Act è stato emendato attraverso l’introduzione di
“exceptions for cultural and educational institutions”653.
Secondo la section 107 dell’U.S.C., il fair use costituisce una
combinazione di questioni legali e fattuali: “(…) the fair use of a copyrighted
work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by other
means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news
reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or
research, is not an infringement of copyright. In determining whether the use
made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered
shall include:
652
Cfr. CASO, cit., 185; KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit..
Cfr. HUDSON, KENYON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian
Cultural Institutions, cit.
653
211
1. The purpose and character of the use, including whether such use is of a
commercial nature or is for non – profit educational purposes;
2. The nature of the copyrighted work;
3. The amount and substantially of the portion used in relation to the
copyrighted work as a whole; and
4. The effect of the use upon the potential market for or value of the
copyrighted work.
The fact that a work is unpublished shall not itself bar a finding of fair use if such
finding is made upon consideration of all the above factors.”654
Quando la corte sarà chiamata a pronunciarsi sul fair use dovrà tener conto di
ciascun fattore rilevante rispetto a ciascuna delle indicazioni fornite dal testo della
legge, e si ritiene inoltre che questi criteri di valutazione siano i più importanti, ma
non gli esclusivi, per stabilire se c’è stata o meno violazione del copyright.
L’analisi tiene anche in considerazione il criterio del pubblico interesse, che sta
alla base della tutela fornita al creatore e del principio della libertà di parola, su
cui si basa il fair use. Con l’emersione delle possibilità offerte dai nuovi mezzi
tecnologici, il concetto del fair use si è fatto ancora più ampio e non ha fatto altro
che aumentare anche le riflessioni su cosa, di volta in volta, possa essere
ricompreso sotto questa eccezione655.
Nell’ordinamento australiano comportamento “fair” dipenderà da vari fattori,
incluso il carattere del comportamento, i suoi effetti sul mercato per l’opera, e la
possibilità di ottenere l’opera in un tempo ragionevole ad un prezzo commerciale
654
V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exemptions. An examination of fair
use, fair dealing and other exemptions in the Digital Age.
655
In questo senso NIVARRA, RICCIUTO, cit., 179, 180.
212
ordinario656. I caratteri si avvicinano a quelli proposti dagli Stati Uniti, ma si
ravvisa un ridimensionamento con riguardo ai comportamenti concreti; le
eccezioni di fair dealing “apply to dealings undertaken for the purposes of:
 research or study;
 criticism or review;
 reporting the news or
 the giving of professional advice by a lawyer, patent
attorney or trade mark attorney.
They do not apply to dealings performed for other purposes, regardless of how
fair these dealings might be”657. Già questa precisazione si trova in contrasto con
la clausola generale di fair use degli Stati Uniti.
Sebbene siano limitate a quattro scopi, le eccezioni di fair dealing sono
viste come una promozione della creazione di nuove opere basate su opere
esistenti superando le difficoltà nella negoziazione delle licenze per ogni uso del
materiale protetto da copyright. Tali eccezioni, tuttavia, sono viste anche come
elemento centrale nella definizione dei diritti dei proprietari di copyright658.
Il fair dealing non costituisce l’eccezione più importante per le istituzioni
culturali, per due principali ragioni:
 innanzitutto, sorge solo per accordi all’interno di uno dei
quattro scopi previsti, che non coprono molte delle attività
delle istituzioni;
656
Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for digitisation, cit.
658
Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
657
213
 inoltre lo scopo rilevante riguarda il momento in cui le
istituzioni culturali hanno a che fare con opere protette da
copyright per conto di terze parti659. In questo caso, infatti,
le istituzioni culturali devono contare su altre condizioni
statutarie per evitare la responsabilità.
Le eccezioni più rilevanti, come abbiamo già accennato, sono le “libraries and
archives provisions”, presenti nel Copyright Act sin dalla sua realizzazione. Esse
puntano a promuovere gli interessi pubblici nell’essere capaci di accedere al
materiale protetto da copyright, e permettono alle istituzioni culturali di fare un
qualche uso del materiale senza pagare i proprietari. Per esempio, certe
riproduzioni potrebbero essere fatte per fornire agli utenti della biblioteca di
condurre ricerca o studio 660, o per fornire ad altre biblioteche di aumentare le loro
collezioni661. Le istituzioni potrebbero inoltre fare conservazione o sostituzione
delle copie di materiale nelle loro collezioni662. Tali condizioni sono molto
dettagliate, e permettono alle istituzioni attività come: “responding to user
requests for copies of published works and articles; participation in the
interlibrary loan scheme; preservation of manuscripts, original artistic works,
sound recordings held in the form of a “first record” and films held as a “first
film”; replacement of published items that are not commercially available; and
reproduction of literary, dramatic, musical and artistic works for administrative
659
Come, ad esempio, la copia di articoli per fornirli agli utenti che ne fanno richiesta.
Copyright Act ss 49, 50.
661
Copyright Act ss 50.
662
Copyright Act ss 51A, 110B.
660
214
purposes”663, tutte previsioni contenute all’interno del Copyright Act. Non si
applicano, però, a biblioteche ed archivi che sono for profit.
Per quanto le richieste degli utenti, la riforma del 2006 ha allargato le
eccezioni esistenti, prevedendo una sorta di nuovo diritto di comunicazione al
pubblico. Le provision sono state estese alla riproduzione digitale del materiale, e
non
meramente
analogica,
ed
esteso
la
possibilità
di
“comunicarlo
digitalmente”664. Se un utente richiede una copia di un determinato materiale è
possibile fornirgliela in formato digitale, ma una volta che il materiale viene
fornito, la copia digitale deve essere distrutta. Questo perché è proibita la
creazione di collezioni digitali. Inoltre, un’opera può essere resa disponibile
mediante l’utilizzo di terminali situati all’interno dell’istituzione (in queste
macchine è impossibile fare copia del materiale visionato); oppure la copia
dell’opera può essere fatta per scopi di conservazione, ma solo se l’originale è
andato perduto o è talmente deteriorato da non poter essere esposto665.
In Italia si rinviene una visione simile a quella considerata. Bisogna
innanzitutto specificare che la direttiva 29/2001/CE666 impone agli Stati membri
di disporre una propria disciplina per tre diritti esclusivi: diritto di riproduzione 667,
diritto di comunicazione668 e diritto di distribuzione669; e prevede, all’articolo 5,
eccezioni e limitazioni in relazione a questi tre diritti. L’articolo 5, par. 3, lett. n,
663
V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for digitisation, cit
Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.
665
Anche queste previsioni sono contenute nel Copyright Act; Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright,
Digitisation and Cultural Institutions, cit.
666
Attuata in Italia mediante il d. lgs. 68/2003.
667
Art. 13 della l. 633/41, conforme all’art. 2 direttiva 29/2001/CE.
668
Art. 16 della l. 633/41, conforme all’art. 3 direttiva 29/2001/CE.
669
Art. 17 della l. 633/41, conforme all’art. 4 direttiva 29/2001/CE.
664
215
attua un’armonizzazione del diritto d’autore che può essere applicato alla
comunicazione delle opere al pubblico, il quale è rilevante tanto quanto il diritto
di riproduzione, nel contesto digitale. Tale diritto di comunicazione comprende
“tutte le comunicazioni al pubblico non presente nel luogo in cui esse hanno
origine, comprendendo qualsiasi trasmissione” 670; ciò significa che risulta
compresa altresì la trasmissione “on – demand”, cioè su richiesta dell’utente,
anche on - line ed interattiva. Queste trasmissioni, infatti, presuppongono che
l’utente possa accedervi nel luogo e nel momento scelti individualmente. La
comunicazione o messa a disposizione di materiali, prevista però per singoli
individui, è possibile all’interno delle istituzioni culturali come biblioteche, istituti
di istruzione, musei e archivi; ma su terminali dedicati solo a scopi di ricerca o
attività privata di studio. Inoltre i materiali devono essere appartenenti alle loro
collezioni e non sottoposti ad accesso consentito sulla base di accordi contrattuali
di licenza o cessione671.
Passando al diritto di riproduzione, ora si prevede che la fotocopia di opere
esistenti all’interno degli enti non profit, quali ad esempio biblioteche aperte al
pubblico, musei o archivi pubblici è libera672. La peculiarità di tale disposizione
consiste nella sua limitazione a casi specifici presi in considerazione dal diritto di
riproduzione e “non comprende l’utilizzo eseguito nell’ambito della fornitura o
messa a disposizione on line di opere o altri materiali protetti, ricompresi nel
diritto di comunicazione al pubblico”673. Le eccezioni previste per le istituzioni
670
V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 91.
Art. 71 ter della l. 633/41.
672
Art. 68 co. 2 l. 633/41, conforme all’art. 5 par. 2 lett. c) della direttiva 29/2001/CE.
673
V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 96.
671
216
culturali non comprende l’utilizzo posto in essere nell’ambito della fornitura o
messa a disposizione on-line, la tutela fornita dal diritto di comunicazione, quindi,
è esclusa da quello di riproduzione. In dottrina ciò è giustificato sostenendo che il
diritto di riproduzione da solo non riuscirebbe a “compenetrare i diversi aspetti
necessari alla protezione dell’utilizzazione a distanza on demand”674. Si ritiene
inoltre che sarebbe stato più proficuo generare un nuovo “diritto di trasmissione
telematica”675 che prendesse in considerazione tutti gli aspetti innovativi apportati
dal mezzo tecnologico.
L’unica eccezione prevista al diritto di riproduzione che riguarda la
fornitura di servizi on - line riguarda la liceità di “atti di riproduzione transitori
ed accessori che non hanno un proprio valore economico e non creano dunque
concorrenza all’opera originaria protetta” 676, con ciò comprendendo non solo la
memorizzazione transitoria nella memoria del computer 677 ma anche tutti i meri
atti che facilitano la navigazione in rete e il funzionamento dei sistemi di
trasmissione.
Si può, tuttavia, concludere che non è stato introdotto un modello simile a
quello statunitense di open – ended fair use, le condizioni applicate, infatti, sono
piuttosto restrittive.
In Australia, grazie alla riforma del 2006, è stata introdotta una sorta di
“flexible dealing”678 per le istituzioni culturali, il quale permette l’utilizzazione di
674
V. CHIMIENTI, cit., 31.
Idem.
676
V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 92.
677
Alla stessa conclusione era già arrivata, peraltro, la dottrina, v. par. 3.5.1 b).
678
Espressione non esplicitamente contenuta nel testo della legge; cfr. Cfr. KENYON, HUDSON,
Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit.
675
217
materiale protetto “for certain socially useful purposes” 679. Le eccezioni devono
sottostare a due limiti, ossia l’uso deve essere:
 “made “by or on behalf of the body administering a library
or archives”;
 made “for the purpose of maintaining or operating the
library or archives (including operating the library or
archives to provide services of a kind usually provided by a
library or archives)”; and
 not made “partly for the purpose of the body obtaining a
commercial advantage or profit”680.
Il punto che riguarda la fornitura di servizi solitamente offerti dall’istituzione
comprende non solo gli usi amministrativi interni ma anche la somministrazione
di servizi agli utenti. Quanto detto potrebbe quindi comprendere la realizzazione
di riproduzioni pubblicamente accessibili, aprendo la discussione sul fatto che la
riproduzione compiuta dalle istituzioni culturali ricada sotto una eccezione.
Inoltre, la gestione delle risorse degli istituti culturali risulterebbe più facile,
poiché la digitalizzazione diventerebbe la strada praticabile nel caso la
tradizionale forma di licenza non fosse disponibile.
b) I sistemi di DRM
L’espressione Digital Rights Management può avere vari significati e varie
funzioni. Una definizione condivisa può essere quella di “sistemi tecnologici in
679
680
Idem.
Idem.
218
grado di definire, gestire, tutelare e accompagnare le regole (in gergo: diritti) di
accesso e di utilizzo su contenuti digitali (e. g., testi, suoni, immagini e video)”681.
Gestire i diritti significa distribuire contenuti digitali per la fruizione tramite
protezioni tecnologiche e mediante la stipulazione di contratti che, nel campo
digitale, normalmente avviene in maniera automatica682.
Le misure tecnologiche di protezione sono create per prevenire l’accesso
all’opera protetta o al dispositivo in cui viene incorporata; oppure riguardano i
meccanismi di controllo dell’uso che ne viene fatto683. Esse vengono
generalmente ricompresse nella più generale definizione di Digital Rights
Management Systems e sono usate in combinazione con altri sistemi tecnologici
che servono a gestire informazioni per individuare l’opera, i diritti esistenti, i
soggetti a cui appartengono, e così via 684. La differenza tra misure tecnologiche di
protezione e sistemi di DRM si trova nel fatto che tali sistemi non solo proteggono
il contenuto digitale ma costituiscono anche l’infrastruttura tecnologica del
mercato di questi contenuti685. Si opera una distinzione tra misure tecnologiche di
protezione e informazioni elettroniche sul regime dei diritti. Nelle prime rientrano
tutte le misure deputate a prevenire o limitare l’accesso alle opere o al materiale
protetto o ad impedire procedimenti diretti di riproduzione delle opere e dei
681
V. R. CASO, Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto
e diritto d’autore, Padova, 2004, 5.
682
Idem.
683
Cfr. F. BRAVO, DRM, contrattazione telematica e contrattazione mediante agenti software
nella distribuzione B2C, in S. BISI, C. DI COCCO (a cura di), La gestione e la negoziazione
automatica dei diritti sulle opere dell’ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici, Bologna,
2006, 79.
684
Idem.
685
Cfr. R. CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di
protezione al “Digital Rights Management”, in Foro it., 2004, II, 611.
219
materiali686; le altre invece prevedono delle informazioni sul copyright inserite
nelle opere e nei materiali, in formato elettronico687. La distinzione, perciò, è
effettuata sulla base dei compiti che svolgono e delle finalità a cui tendono, anche
se, spesso, tali attività sono svolte dallo stesso strumento688.
L’architettura informatica del DRM non ha una precisa regolamentazione,;
le misure tecnologiche, invece, sono contemplate dalla normativa degli Stati; e ciò
è il riflesso della pressioni esercitata dalla digitalizzazione 689.
La conformità alla legge di tali previsioni deriva dall’articolo 11 del WIPO
Copyright Treaty690, il quale statuisce che “contracting parties shall provide
adequate legal protection ed effective legal remedies against the circumvention of
effective technological measures that are used by authors in connection with the
exercise of their rights under this Treaty or the Berne Convention and that restrict
acts, in respect of their works, which are not authorized by the authors concerned
or permitted by law”. La norma prende in considerazione la condotta
dell’aggiramento delle misure anti – elusione, quindi la condotta finale
dell’utente, che può essere destinata ad impedire il compimento di quegli atti che
non siano stati autorizzati espressamente del detentore dei diritti sull’opera o che
non sia consentita dalla legge691. Secondo l’opinione maggioritaria, in questo
articolo la protezione delle misure tecnologiche deve essere garantita solo col
686
Come l’encryption technology, la criptazione del contenuto che necessita di una chiave per la
decriptazione.
687
Come watermarking, (l’apposizione di una filigrana digitale permanente nei dati digitali).
688
Cfr. BRAVO, CIT., 80.
689
Cfr. CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di
protezione al “Digital Rights Management”, cit., 612.
690
Contiene previsioni simili anche l’art. 18 del WIPO Performances and Phonograms Treaty.
691
Cfr. MARZANO, cit., 201, 202.
220
rispetto delle tecnologie usate dai proprietari del copyright in relazione
all’esercizio di un diritto protetto dalla copyright law692. La protezione sembra,
perciò, coincidere con lo scopo del copyright, e l’elusione di una misura
tecnologica per far uso di un’opera, mentre ci si sta già avvantaggiando di
un’eccezione al copyright, teoricamente non è proibito dall’art. 11693. Il trattato
WIPO, tuttavia, lascia aperta la questione che riguarda il tipo di atti che viene
proibito, se si tratta degli atti di elusione in sé o la messa a disposizione di
strumenti atti alla circonvenzione delle misure tecnologiche. I vari Stati hanno
implementato il principio in maniere differenti.
La direttiva 29/2001/CE introduce nuove norme riguardo alle misure
tecnologiche, introdotte nella legge 633/41 attraverso il d. lgs. 68/2003. Negli
Stati Uniti è stato emanato, nel 1998, il Digital Millennium Copyright Act
(DMCA), che ha aggiunto la section 1201 al Copyright Act, e, come la direttiva
europea, è basato sull’articolo 11 del WIPO Copyright Treaty. In Australia le
norme che riguardano le misure tecnologiche sono previste all’interno del
Copyright Act, e hanno anche subito delle recenti modifiche nel 2006. Tutte
queste normative cercano di assicurare un ambiente digitale sicuro per la
trasmissione delle informazioni.
692
E non ci saranno rimedi legali quando l’elusione consenta un atto che è permesso sulla base
delle limitazione alla legge sul copyright.
693
Cfr. K. J. KOELMAN, A hard nut to crack: the protection of technological measures, reperibile
all’URL: «http://www.ivir.nl/publications/koelman/hardnut.html»; L. GUIBAULT, The nature and
scope of limitations and exceptions to copyright and neighbouring rights with regard to general
interest missions for the transmission of knowledge: prospects for their adaptation to the digital
environment, 2003, 32, reperibile all’URL: «http://portal.unesco.org/culture/en/files/17316/
108747977511_guibault_en.pdf/l_guibault_en.pdf».
221
È importante specificare che nel DMCA si sancisce il divieto all’elusione
delle misure tecnologiche che controllino l’accesso ad un’opera protetta694 e il
divieto alla fabbricazione, importazione o distribuzione di un “congegno” che
permetta di eludere la misura tecnologica 695. Si segnala che in certi casi come la
salvaguardia di alcuni interessi propri delle istituzioni educative696 è possibile
procedere alla circonvenzione delle misure tecnologiche per l’applicazione del
fair use697. Anche l’Australia prevede delle circostanze nelle quali un congegno
per l’elusione delle misure tecnologiche può essere legalmente prodotto e
distribuito, sebbene siano stati ridotti i casi in cui è possibile. Questa nazione
prevedeva sanzioni solamente contro il traffico di congegni per l’elusione; ora,
invece, si sanziona anche tutto ciò che riguarda l’elusione all’accesso 698. In Italia
le previsioni sulle misure tecnologiche sono state implementate nella legge 633/41
nello stesso modo dell’art. 6 della direttiva. Per misure tecnologiche si intendono
gli atti che impediscono o limitano i comportamenti non autorizzati dal titolare del
diritto d’autore, dei diritti connessi o del diritto sui generis, senza comunque
inibire il normale funzionamento dei mezzi tecnologici. L’art. 102 quinquies
permette ai titolari del copyright di inserire informazioni elettroniche per la
694
Access – control measures e Anti – circumvention provisions. Sono misure che non proibiscono
o impediscono all’utente l’utilizzazione, ma identificano le copie non autorizzate dei materiale
protetti.
695
Questo congegno, inoltre, deve avere limitati utilizzi commerciali oltre a quello di eludere le
misure di protezione e commercializzato da qualcuno che sia al corrente dell’utilizzo che ne viene
fatto. Sono le rights – control measures e anti – device provisions.
696
In cui, probabilmente, possono essere inseriti anche i musei.
697
Eludere, quindi, le access – control measures; Cfr. G. SPEDICATO, Le misure tecnologiche di
protezione del diritto d’autore, in BISI, DI COCCO (a cura di), cit., 187.
698
Cfr. AUSTRALIAN COPYRIGHT COUNCIL, Information Sheet. Copyright Amendment Act 2006,
2007, reperibile all’URL: «http://www.copyright.org.au».
222
protezione delle opere e sanziona le misure di elusione all’accesso e la messa a
disposizione di congegni per l’elusione 699.
L’operato dei musei nell’ambiente digitale risulta piuttosto compromesso
dall’apposizione di misure tecnologiche sui contenuti, poiché esse creano
difficoltà nella gestione dei contenuti, e di conseguenza nella diffusione del loro
messaggio culturale700.
Si è visto che i musei possono essere sia utilizzatori di materiale protetto
che produttori di esso. In ognuno di questi casi701 essi hanno a che fare con licenze
che permettono lo sfruttamento del materiale; proprio perché il contenuto di cui
dispongono ha un alto valore educativo, devono impiegare molta attenzione nella
negoziazione, pena la perdita della reputazione. Il problema molto spesso riguarda
le gestione delle tecnologie di protezione che non tiene conto delle eccezioni di
cui dispongono le istituzioni culturali ed impediscono al pubblico dei musei di
usufruirne appieno. Può inoltre capitare che le eccezioni di cui si parla non siano
nemmeno prese in considerazione dal contratto con cui si stabilisce che uso può
esser fatto del materiale. Il potere contrattuale sta in mano a chi detiene i
contenuti, che fornisce la chiave di accesso ad essi e, se le condizioni non sono
rispettate, può anche negare completamente l’accesso. Sempre più spesso la
tecnologia “don’t discriminate between good users and bad. So if we built
constraints into our computer systems that prevent infringement, we’re also
699
Cfr. SPEDICATO, cit., 202.
In questo senso R. E. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in
Mus. Int., 2002, 4, 13, 14.
701
Sebbene i musei siano, generalmente, più degli utilizzatori che dei produttori.
700
223
making it possible for users to engage in all sorts of lawful copying”702 , allo
stesso modo non risulta semplice distinguere tra “tecnologia “buona” e
tecnologia “cattiva””703 quando le informazioni sono controllate in modo
assoluto, senza tenere conto degli interessi delle parti.
I progetti elaborati da una istituzione culturale possono avvalersi
dell’utilizzo di sistemi di DRM per gestire la loro proprietà intellettuale, cercando
di comprendere anche il raggiungimento del loro scopo. Proprio per questo e per
la doppia situazione di utilizzatori e possessori, l’approccio di un museo è più
complicato di quello di una impresa, la quale non è incaricata di una missione. I
musei risultano, così, “not the driving force in the development of commercially
oriented digital rights management technologies”704, ma possono essere,
comunque, d’aiuto nello sviluppo di tecnologie flessibili che permettano lo
sfruttamento del contenuto per l’educazione, tenendo conto degli interessi delle
parti in gioco705.
702
V. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4,
14.
703
Idem; CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di
protezione al “Digital Rights Management”, cit., 612.
704
V. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4,
18.
705
Idem.
224
CAPITOLO QUARTO
“BEST PRACTICES” PER I MUSEI
“Unpalatable as some may find the thought,
money does matter in museums”
(S. WEIL, Making museums
matter, Washington D.C., 2002)
4.1
Gestione dell’intellectual property
L’analisi fin qui condotta ha accertato che il museo è innanzitutto attività;
esso realizza tutta una serie di atti legati gli uni agli altri e finalizzati al
raggiungimento di un determinato scopo culturale. Tali attività sono, comunque,
complesse, dal momento che dietro a funzioni principali, come possono essere la
conservazione e la promozione dei beni che custodiscono, stanno numerosi doveri
di rispetto dei diritti di utilizzazione, per mantenere intatta la loro reputazione 706.
Sebbene ogni museo custodisca oggetti differenti e proponga servizi ed
attività diverse, sulla base di proprie richieste interne di politica culturale, ci sono
dei compiti che dovrebbero tendere all’applicazione uniforme in tutti gli istituti
culturali, perché necessari alla sua sopravvivenza e al suo stesso sviluppo.
Ciò che si intende suggerire è una gestione solida e sicura dell’intellecual
property (IP); una serie di processi che aiutano ad identificare, organizzare ed
arricchire la comprensione del patrimonio di un museo. Nel passato i musei
identificavano maggiormente la loro proprietà e le loro collezioni come attività
tangibili e materiali: proprietà immobiliari, locazioni, prestiti. Con l’avvento delle
nuove tecnologie e la crescente consapevolezza dei problemi complessi di IP, si
706
In questo senso G. OLIVIERI, M. STELLA RICHTER, I marchi dei musei, in AIDA, VIII, 1999,
224.
225
riconoscono come necessari nuovi processi di gestione dei beni e delle
responsabilità connesse707. Il museo incontra, quindi, come abbiamo visto, il
diritto d’autore sempre più spesso: produzioni multimediali, pubblicazioni,
gestione dei siti web. Queste attività, insieme alle altre, più tradizionali, hanno
bisogno di essere progettate e gestite efficientemente, perciò il museo deve
sviluppare delle “best practices” per non sprecare tempo, denaro ed energie, ma
puntare dritto ai suoi obiettivi.
La gestione dell’IP si inserisce nel cosiddetto “rights management”708, che
si snoda attraverso diverse fasi:
a) pratiche di inventario della proprietà intellettuale;
b) politiche di gestione;
c) gestione e negoziazione dei diritti.
In questo contesto si suole parlare di “slicing” dei diritti, una
“quotazione/suddivisione” che “identifica un processo plurifase che modernizza e
sostanzia i termini degli accordi tra istituzioni titolari dei diritti (right holders) e
loro controparti (right buyers)”709.
a) Pratiche di inventario della proprietà intellettuale;
“The IP audit serves many functions. It tells you exactly what IP you have
and where it came from. It also triggers actions that make a museum more
accountable for its assets and helps facilitate creative projects using
707
Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..
In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 247.
709
Idem.
708
226
“rediscovered” assets. In addition, it helps an institution monitor compliance with
IP laws and avoid infringements”710.
In queste poche righe sta racchiuso tutto il significato del monitoraggio,
dell’individuazione e della classificazione dei beni e dei servizi posseduti o posti
in essere dall’istituzione.
Se un museo non è consapevole delle attività di IP che gestisce, o dei
termini e delle condizioni di esse, esso si trova in una posizione di svantaggio,
poiché non può sfruttare appieno le opportunità del mercato711.
Si procede quindi ad un inventario dei beni materiali712 e immateriali713,
dei servizi e delle attività714.
Condurre questo tipo di ricerca è molto complesso, ma nonostante ciò, il
museo deve essere censito il più frequentemente possibile, senza aspettare che
richieste esterne lo impongano, “the short message is “don’t wait for a triggering
event”715.
Di seguito, un esempio di revisione riportato da Guerzoni e Stabile indica
quali categorie sono prese in considerazione.
I generi di beni e servizi analizzati riguardano:
 gli equipaggiamenti strutturali: impianti di riscaldamento e
climatizzazione; impianti idrici, elettrici e di illuminazione;
sistemi di sicurezza e di vigilanza;
710
V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit
Idem.
712
“beni mobili e immobili, opere, documenti,vfondi archivistici, spazi, riproduzioni di ogni tipo,
eventi espositivi, allestimenti, ecc”, in GUERZONI, STABILE, cit., 248.
713
“basi di dati, archivi digitali, siti web, marchi, loghi, brevetti, know how, ecc”, idem.
714
“scientifiche, editoriali, didattiche, educative, divulgative, conservative, ecc”, idem.
715
V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..
711
227
 gli immobili posseduti: spazi destinati alle attività
dell’istituzione oppure ad attività per il pubblico; parchi e
terreni;
 le mostre e collezioni che sono state prodotte, avendo cura
di distinguere se il supporto è materiale o immateriale, gli
autori, le date di realizzazione e acquisizione: ad esempio
libri, riproduzioni, cataloghi, brochure, locandine, riprese
cinematografiche;
 tutte le attività amministrative svolte dal museo: pulizia e
vigilanza, conservazione e restauro, catalogazione e
archiviazione, attività di divulgazione;
 tutte la attività per il pubblico: gestione delle prenotazioni e
vendita dei biglietti, attività di trasporto e parcheggio,
attività di accoglienza e informazione, servizi di guida e
assistenza didattica, programmi di formazione;
 le attività di comunicazione e promozione: il sito web,
materiali messi a disposizione, sia cartacei che digitali;
 le attività di ricerca, promozione e consulenza;
 i loghi, i marchi, i nomi di dominio, i software proprietari, il
know how, i brevetti, le prestazioni professionali, le licenze,
il merchandising;
228
 le riproduzioni, i testi, il materiale video sia on - line che off
- line716.
Eseguita questa operazione, è indispensabile procedere alla creazione di un
secondo inventario, che consideri i diritti che il museo possiede, e quelli a cui si
può dare origine, in relazione ai beni e ai servizi considerati. Si suole prendere in
considerazione:
 il diritto di riproduzione;
 il diritto di noleggio e prestito;
 i diritti di locazione;
 i diritti di prima pubblicazione e di pubblicazione in
raccolta;
 i diritti di riproduzione su supporti off- line e on - line;
 i diritti di comunicazione al pubblico e di diffusione;
 ogni altro diritto di sfruttamento commerciale 717;
 i diritti di traduzione;
 i diritti di elaborazione;
 i diritti d’autore sugli allestimenti museali718;
 i diritti d’autore su progetti ed eventi espositivi719.
Con il termine diritti si intendono tutte le opportunità di sfruttamento dei beni e
dei servizi, sebbene non siano ancora stati attuati. C’è anche, quindi, una forte
716
In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 248, 249.
Come la produzione su licenza di oggettistica.
718
Che, si ricorda, sono protetti come banche dati.
719
In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 250.
717
229
componente progettuale, in questa operazione. Oltre all’individuazione dei diritti
è necessario verificarne la disponibilità, la negoziabilità, il valore 720.
La guida WIPO per la gestione della proprietà intellettuale721 propone una
regola da seguire, che, alla stregua del metodo giornalistico, suggerisce di porre
queste domande: “Why, Who, When, Where, What” 722:
 Perché si dovrebbe condurre una revisione dell’IP? Per
sapere cosa si possiede e da dove viene; per facilitare i
processi creativi utilizzando il materiale esistente; per
controllare il corretto uso dell’IP ed evitare infrazioni; per
creare una accurata politica di gestione.
 Chi dovrebbe condurla? Qualcuno che abbia a che fare con
queste attività o ne tragga beneficio nel corso della loro
realizzazione.
 Quando deve essere fatta? Prima di iniziare un determinato
affare, per difendersi da un’accusa di infrazione del
copyright, ma più in generale occorrerebbe eseguirla in
maniera regolare.
 Dove di trova l’IP di un museo? Per scoprirlo bisogna
conoscere esattamente tutte la componenti del museo
stesso.
720
Idem.
Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.
722
Idem.
721
230
 Cosa si cerca in particolare? Marchi, nomi di dominio,
copyright, websites, database, conferenze, e così via723.
Vengono, poi, proposti due modelli di inventario, che devono portare ad una
valutazione successiva e ad una strategia di gestione:
“sample inventory sheet 1
 Artist name;
 Type of work;
 Copyright owner and contact info;
 Copyright expiration;
 Public domain?
 License and duration of term;
 Restrictions on use;
 Electronic rights?”
“sample inventory sheet 2
 Episode;
 Segment name;
 Contract type;
 Music title (publisher and composer)
 Public rights;
 Society/collective
 License and licensor
 Distribution
723
Idem.
231
 Restriction on use
 Electronic rights?
 End of term/renewals
 Critical clause
 Any works in public domain?
 Notes”724
L’Italia, nella costante ricerca di adeguamento alle pratiche seguite in
ambito internazionale, rispetto ai ritardi accumulati negli anni, sviluppa
un’ispezione che è molto approfondita. Si stimano beni, servizi, attività e solo in
un secondo momento i diritti collegati alle categorie esaminate. Il mondo
statunitense, più avvezzo a tematiche di questa tipologia, dà per scontata
un’analisi di beni e servizi, focalizzando l’attenzione direttamente sulla proprietà
intellettuale, per una valutazione complessiva più immediata. Trovandosi spesso
al centro di contese a accuse per infrazione del copyright, gli Stati Uniti decidono
di studiare a fondo le tematiche che in assoluto risultano più controverse.
La chiave per condurre una revisione adeguata si trova anche nella ricerca
e nell’utilizzo del materiale adatto. Per trovarlo si deve fare affidamento su gli
archivi di proprietà del museo, accordi di autorizzazione passati e presenti,
informazioni e dati dei titolari dei diritti, accordi di esposizione, ricevute di
pagamento di tasse di ogni tipo, relazioni di conferenze, lettere o email per dar
prova dell’intenzione delle parti725. Il problema maggiore è stato lo sviluppo
dell’esperienza nel trattare la proprietà intellettuale. È di estrema importanza
724
725
Idem.
Idem.
232
segnalare che la gestione dell’IP che ogni museo conduce influenzerà tutta la sua
amministrazione futura, perciò si rivela necessario prestare estrema attenzione e
valutare correttamente le questioni che, di volta in volta, si presentano. Si rivela
necessario, perciò, che ogni istituzioni sviluppi questo genere di pratica, al fine di
evitare di nuocere ad un’altra istituzione o di subire detrimento dall’inefficienza di
una istituzione con cui si relaziona.
b) Politiche di gestione
A questo punto è necessario predisporre una strategia di gestione.
Non ci sono fasi fisse da seguire, una politica può essere creata ad hoc per
una situazione particolare o risultare da studi approfonditi. Si possono, però,
individuare degli elementi guida:
 Una volta realizzata, una strategia ha bisogno di essere
frequentemente aggiornata, per farla stare al passo con le
modifiche della legislazione e delle pratiche di mercato;
 È necessario anche individuare personale specifico e
specializzato che si occupi di sostenerla e svilupparla; che
sia al corrente delle tecniche già utilizzate e sia informato
delle eventuali problematiche sorte. Questo staff può avere
le competenze più diverse: responsabili della gestione dei
diritti di riproduzione, responsabili delle attività didattiche,
responsabili di marketing e comunicazione, registrars e
curatori delle collezioni;
233
 È necessario che la strategia derivi dall’inventario condotto,
per essere certi che le determinate questioni siano state
accuratamente esaminate;
 È necessario che la strategia rispecchi la missione del
museo,
tenendo
in
considerazione
le
politiche
amministrative e economiche esistenti726.
 È necessario considerare la gestione delle richieste di fair
use per scopi didattici, scientifici, filantropici, e definirli in
modo chiaro, per evitare future infrazioni727.
Dalla realizzazione di una strategia, si deve passare alla definizione delle
politiche tariffarie e alla distribuzione dei compiti. Per farlo, devono essere
stabilite e definite nei minimi dettagli le seguenti questioni: gli utilizzi728, gli
acquirenti729, gli utenti finali730, le forme di distribuzione 731, le dimensioni dei
mercati individuati732, la durata delle concessioni, la tipologia di rapporto con gli
acquirenti733. È una fase delicata, poiché bisogna bilanciare diversi interessi:
aderire pienamente alle strategie studiate e predisposte, ma anche realizzare dei
formulari standard di contratto, per agevolare la negoziazione, aumentare il potere
di contrattazione dell’istituzione e facilitare ipotetiche future controversie. Si può
anche cercare di realizzare un insieme di pacchetti di offerta, per adeguarsi ancor
726
Idem.
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 254.
728
Scientifici, educativi, commerciali.
729
Profit, non profit, misti (v. par. 3.5.1 a)), aziende, privati.
730
Per esempio ubblico di massa o di nicchia.
731
Off line o on line.
732
Nazionali, internazionali o locali.
733
Soggetti con cui si è già collaborato o partner occasionali.
727
234
meglio alle necessità e alle richieste dell’istituzione, degli acquirenti, dei
proprietari dei diritti. L’alto livello di accuratezza di ogni pacchetto, tuttavia,
richiede moltissimo lavoro consultivo 734.
c) Gestione e negoziazione dei diritti
La gestione effettiva delle politiche interne è affidata o a professionalità
nell’istituzione, oppure a soggetti esterni, con i quali vengono stipulati vari tipi di
accordi e contratti.
Solamente le istituzioni di piccole dimensioni riescono a porre in essere
una gestione interna, proprio perché la loro limitata grandezza fa si che non vi
siano grosse trattative da coordinare. Le istituzioni di grandi dimensioni
potrebbero provvedervi autonomamente, poiché riescono a reggere i necessari
investimenti per dar vita e mantenere l’organizzazione. Nonostante questo,
preferiscono affidarsi ad una gestione esterna, ritenuta più efficiente. È il caso dei
musei americani, dove la figura dell’agente735 è molto sviluppata e si sta sempre
più specializzando per questo settore. Il mandato d’agenzia permette di seguire
precise questioni di politica amministrativa e dedicare maggiore attenzione alle
pratiche contrattualistiche. Egli, inoltre, “delimita i contorni del mercato, ne fissa
gli standard e ne accredita gli attori, ponendo le basi non solo per un’efficace
opera di tutela, ma contribuendo allo sviluppo di sistemi di licenza capaci di
tenere il passo, più spesso la corsa, dei progressi tecnologici” 736. Nel nostro
paese è ancora poco diffusa, ciò è dovuto in gran parte alla mancata definizione
734
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 254 – 257.
I soggetti agenti sono stati trattati nel par. 3.5.1 a).
736
Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 262.
735
235
precisa dei diritti e dei problemi in gioco. I paesi anglosassoni hanno a che fare
con queste figure da più tempo, grazie ad una gestione più accurata dei diritti.
I soggetti che procedono alla gestione, siano essi interni od esterni,
pongono in essere tutta una serie di compiti:
 realizzazione una stima dei piani d’azione e, se necessario,
migliorarli. Ciò si concretizza nell’analisi delle strategie
passate, nella valutazione di differenti possibilità e
differenti concorrenti sul mercato;
 predisposizione una consulenza permanente sui principi di
libera utilizzazione, nel contesto delle nuove tecnologie e di
Internet, sulle possibilità di riproduzione digitale dei
materiali protetti e sull’allestimento di nuove proposte;
 preparazione e fornitura di diversi pacchetti di diritti e
contratti, comprensivi di accordi di trasferimento o licenza
d’uso;
 controllo dei pagamenti e delle attività di clienti e
licenziatari;
 consulenza legale sui temi più problematici, in base ad una
comparazione con la prospettiva internazionale del diritto
d’autore, consulenza fiscale e processuale 737.
Quando ogni aspetto è stato valutato, predisposto e negoziato, si procederà a
distribuire i contratti, inventariarli, verificarne le scadenze, tutelare le attività e
737
Idem, 264, 265.
236
segnalarne infrazioni, attuare rinegoziazioni nel caso di scadenze, incassare i
pagamenti, mantenere i contatti con i clienti e organizzare incontri periodici738.
Al termine dell’analisi, possiamo concludere che se saranno applicate
coerentemente tutte le fasi descritte, il museo riuscirà senza dubbio a mitigare i
rischi di infrazione in cui può incorrere e a mantenere alta la sua reputazione
attraverso un’efficace trasmissione del suo messaggio. I diritti e le obbligazioni
dell’istituzione verranno chiarificati e non ci sarà spazio per fraintendimenti o
inefficienza.
4.2
Business opportunities
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e di Internet, la facilità nello scambio
delle informazioni, dei beni e dei servizi, hanno permesso ai musei, negli ultimi
dieci anni, di confrontarsi con un nuovo potenziale mercato.
I musei oggi sono obbligati ad “explore their ability to engage in
commercial opportunities” 739, purché le loro missioni non ne risultino
compromesse. In questo contesto, come può l’istituzione assicurarsi di continuare
a rispettare gli stessi standard di qualità e integrità? Il professor Stephen Weil
dello Smithsonian Institute ha sviluppato una formula per capire se un museo
continua a seguire standard di qualità. Esso deve essere:
1. “Purposeful
2. Capable
3. Effective
738
739
Idem, 268.
V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..
237
4. Efficient”740.
Lo scopo rende il museo responsabile e lo obbliga a rispettare in ogni
momento la sua programmazione. La capacità si sostanzia nel know-how
intellettuale e nelle risorse umane e finanziarie che gli permettono di realizzare
esibizioni, di cooperare con i suoi partner, ma soprattutto nel raggiungimento
della sua missione. L’efficacia è il criterio più difficile da misurare, poiché i
musei generalmente sono istituzioni non profit, ma soprattutto non c’è un
consenso generalizzato sul metodo da utilizzare per effettuare questa verifica.
L’ultimo requisito è l’efficienza: essendo il museo non profit, non è una
caratteristica assolutamente prioritaria. Non si tratta di avere un approccio
“business like”, ma di fornire agli utenti un’alta qualità nell’esperienza vissuta
all’interno dell’istituzione, sia essa fisica o virtuale 741.
Nel mondo for profit, per determinare se un’opportunità d’affari potrà
essere un successo, è indispensabile eseguire tutta una serie di prove ed analisi per
determinare il suo potenziale. Le opportunità rilevate sono spesso derivate dai
piani gestionali dell’impresa, e la verifica della potenzialità serve a capire se la
base su cui si sta per costruire è solida e razionale. Nel caso dei musei
quest’operazione è ancora più intricata, poiché, come abbiamo visto, ci sono tutta
una serie di requisiti da rispettare, per scongiurare una perdita di reputazione. Si
rivela arduo mettere insieme in modo armonioso sostenibilità finanziaria e scopo
culturale.
740
741
Idem.
Idem.
238
Prima di analizzare le opportunità che un museo può incontrare, è
necessario specificare alcuni concetti. Innanzitutto, l’istituzione, una volta che si
impegna in una attività, deve assicurarsi di realizzare un “return on investment”;
deve cioè fornire un servizio che si riveli prezioso e apporti un valore aggiunto
alle attività del museo. È, poi, necessario allocare una determinata quantità di
fondi per coprire i costi di lancio del servizio, siano essi privati o pubblici. Si noti
che un partner privato potrebbe anche decidere di non impegnarsi nella
sovvenzione, se il museo non ha compiutamente svolto la sua attività di revisione
e predisposto una chiara politica d’azione. Si deve, perciò, tener conto delle
aspettative che il mercato può creare, nei confronti dell’istituzione.
Ci sono dei mercati potenziali in cui il museo si potrebbe impegnare:
produzione e distribuzione di prodotti tangibili associati al museo o alla sua
collezione, “image licensing” e “museum’s co- branding commercial
partnership”742.
La prima possibilità è da tempo considerata dai musei italiani: a partire
dalla legge Ronchey743 si è dato il via al fenomeno dei cosiddetti servizi
aggiuntivi, come bookshop e commercializzazione dell’oggettistica legata al
museo. Le risorse coinvolte sono, in larga parte, di natura pubblica, essendo
ancora marginale il raccoglimento di fondi da altre fonti. Inizialmente la legge
prevedeva la sola realizzazione di librerie, ma tramite modifiche successive, il
novero dei prodotti contemplati si è fatto più ampio. Generalmente i musei hanno
affidato la gestione di queste attività a terzi, a causa della mancanza di
742
743
Idem.
V. par. 1.3.2.
239
competenze specifiche nella conduzione di un punto vendita e della carenza di
capitali da investire. Con il nuovo codice dei Beni Culturali e del Paesaggio 744, in
vigore dal 2004, il negozio all’interno del museo comprende la vendita di tutta
una serie di oggetti in linea con la collezione dell’istituzione, avvicinandosi, così,
lentamente, all’esperienza americana. È stata inoltre costituita una società di
diritto privato, la Arcus Spa 745 che ha tra i propri scopi quello di valorizzare
commercialmente il patrimonio culturale, cominciando dallo sfruttamento sotto
forma di merchandising. Ora si prevede come prassi normale l’affidamento a terzi
della gestione dei negozi, ma si apre anche la possibilità a società miste di
gestione. Saranno, di fatto, società costituite fra i musei e i soggetti privati, con lo
scopo della gestione di tutte la attività connesse con il museo746.
Negli Stati Uniti i museum stores sono assolutamente differenti da quelli
italiani: la maggiore superficie a disposizione per i negozi e il maggior fatturato
segnano già un distacco che sarà difficile colmare. La realtà americana è più
complessa e articolata e beneficia da molto più tempo dell’intervento dei privati
nel settore, che realizza l’autonomia finanziaria delle istituzioni, traguardo a cui i
nostri musei non potranno mai arrivare747. Le compagnie americane hanno inoltre
sfruttato il settore con la produzione di beni di marca con prezzi medi, abbordabili
per il pubblico di massa, spingendosi fino alla realizzazione di interior designs. Il
settore museale americano, inoltre, si trova anni luce avanti all’Italia per quanto
riguarda l’e – commerce, la vendita on - line dei prodotti. Anche attraverso questa
744
V. par. 1.1.3.
V. par. 1.3.2.
746
Cf. MAURI, CIRRINCIONE, cit., 42 – 47.
747
Idem, 50.
745
240
modalità i musei realizzano grosse entrate, che permettono di mantenere
l’autonomia finanziaria748.
Un’altra attività che impegna il museo è l’”image licensing”. Con lo
sviluppo di Internet, i mercati anglosassoni hanno, per primi, intuito il potenziale
sfruttamento dell’immagine nella rete. Si sono profilate interessanti opportunità di
reddito nel realizzare un sistema di autorizzazione e licenza d’uso delle immagini,
nei vari mercati commerciali e dell’istruzione. Abbiamo già analizzato la
difficoltà dei musei di gestire i diritti di proprietà intellettuale riguardo questi
temi, soprattutto per la presenza di numerosi diritti in capo a proprietari differenti
che necessitano di autorizzazione. Un’immagine elettronica, per esempio,
presenta diritti a livelli multipli per esempio sull’opera d’arte stessa o su una
fotografia dell’opera, tenendo sempre presente la differente protezione dei diritti
di proprietà intellettuale nei diversi paesi. Per questi motivi è necessario creare
una efficiente strategia di gestione, per evitare che le entrate realizzate dal museo
vengano rapidamente erose dalla negoziazione di questi diritti multipli 749.
Per coadiuvare queste attività la WIPO ha predisposto dei modelli di
licenza, che tengano in considerazione tutti gli aspetti rilevanti. Ne abbiamo
considerati degli esempi ai paragrafi 3.5 e 3.5.1 sub a), i quali concernono le
immagini e lo sviluppo di un sito web. Altri formulari sono predisposti per banche
dati, dove spesso sono contenute le immagini o per opere audiovisive 750.
L’ultima frazione di mercato che si analizza riguarda “museum’s cobranding commercial partnership”. Internet, come mezzo di accesso, ha fornito ai
748
Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.
Idem.
750
Cfr. SHAPIRO, cit.
749
241
proprietari di contenuto di sviluppare opportunità legate alla pubblicità e alla
promozione, fondamentali per chiunque voglia operare efficientemente on - line.
Se i contenuti sono interessanti , ben posizionati e resi disponibili attraverso i
motori di ricerca, il pubblico potrà facilmente fruirne e ripeterà l’esperienza. Il
sito del museo, quindi, assurgerebbe ad opera di riferimento, attirando
inserzionisti e promotori che uniranno il loro nome a quello dell’istituzione,
realizzando un vantaggio per entrambi nell’aumento della popolarità e
dell’affidamento del pubblico. Queste relazioni vantaggiose possono, poi,
permettere al museo di mettere a disposizione gratuitamente immagini e contenuti
per gli utenti non profit, ponendo in essere una attività che aiuta l’istituzione a
diffondere il suo messaggio; e continuare a dare in licenza i contenuti per gli
utenti for profit751.
Nell’entrare in affari con un partner commerciale, il museo deve tener
presente:
 che la relazione può apportare notevoli benefici, non solo
economici, ma anche di know how, oltre alla diffusione
della missione tra il pubblico;
 che è necessario mantenere intatta l’integrità del marchio
del museo, impegnandosi in attività che non comportino
detrimento;
751
Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit..
242
 che è necessario sviluppare un’abile strategia per non
lasciarsi condizionare dalle logiche di mercato a scapito
della cultura;
 che è di vitale importanza elaborare una efficace strategia
promozionale per far progredire l’unione realizzata752.
752
Idem.
243
CONCLUSIONI
L’Italia possiede una quota rilevante del patrimonio culturale di tutto il
mondo. Nella nostra storia, la protezione dei beni culturali è passata attraverso
tempi di abbandono ed altri di fervido attivismo. Al giorno d’oggi, la
consapevolezza di “maneggiare” una risorsa inestimabile risulta piuttosto diffusa:
si comincia a capire che le istituzioni culturali svolgono un ruolo insostituibile
nella società dell’informazione, anche partecipando alle dinamiche del mercato,
ma senza abdicare agli importanti compiti educativi e di promozione e diffusione
della conoscenza.
Tuttavia, a dispetto di questa consapevolezza non è stata finora
implementata nessuna seria politica di tutela e valorizzazione dei diritti connessi
alle opere, nonostante le richieste insistenti del mercato e del potere crescente
della tecnologia. Il quadro che abbiamo ricostruito, infatti, delinea, soprattutto per
il nostro paese, più dubbi che certezze.
Come abbiamo visto, l’innovazione apportata da Internet e dalle nuove
tecnologie consente ai musei di digitalizzare le loro collezioni e renderle
disponibili sul web e dunque (potenzialmente) agli utenti di tutto il mondo.
Ciò che si rivela fondamentale, nell’era digitale, è la gestione dei diritti di
intellectual property, i quali, se non sono amministrati correttamente, non
permettono un preciso sfruttamento delle opportunità offerte dalle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Una corretta gestione potrebbe
consentire di rinforzare e consolidare l’abilità dell’istituzione di comunicare con il
244
suo pubblico, aspetto centrale al fine di cercare di raggiungere il suo scopo,
assicurando l’efficacia e l’efficienza del museo. Se queste priorità verranno
rispettate, si raggiungeranno successo e qualità, sfruttando le opportunità offerte
dal mercato, ma bilanciandole con la responsabilità di promozione del patrimonio
culturale, uno dei primi scopi dell’esistenza stessa dei musei.
È necessario, quindi sviluppare solide pratiche per favorire la
digitalizzazione. Come si è visto, in Australia, dottrina e legislatore sono
intervenuti per assicurare la volontà di progredire nel processo di digitalizzazione,
assicurando per tutti accesso e fruizione. Grazie alla riforma recentemente
avvenuta, lo Stato australiano può anche permettere la reale fruizione dei
contenuti ai suoi utenti, per mezzo di un ampliamento del concetto di libera
utilizzazione, che si avvicina a quello statunitense. Anche nel nostro sistema
giuridico sarebbe d’aiuto una politica più aperta alla libera fruizione, poiché le
istituzioni culturali risultano non troppo favorite dalle recenti modificazioni
normative introdotte con il d. lgs. 68/2003 di recepimento della direttiva
29/2001/CE. Dovremmo imparare dalle esperienze straniere, ma il continuo
rafforzamento delle normative europee ed interne relative alla proprietà
intellettuale, rende non facile un cambio di rotta.
Per quanto riguarda la riproduzione, le istituzioni italiane presentano una
debolezza nella contrattazione che dipende, per la maggior parte, dal cattivo stato
in cui versano gli archivi iconografici. Gli originali spesso non sono registrati,
inventariati, catalogati, o addirittura mancano, poiché detenuti da fotografi o
agenzie; numerose riproduzioni versano in cattive condizioni e non vengono
245
correttamente conservate. In questa situazione risulta difficile difendere i propri
diritti. Si rivela, perciò necessario un intervento strutturale per incentivare i
processi di recupero e sistemazione degli archivi, e che si impegni in campagne di
ripresa tali da fornire originali nuovi, di buona qualità, disponibili in più formati,
specialmente on line e che si continuino gli interventi di restauro e di pulizia. Per
questo motivo, approfittando della situazione di incertezza, molte produzioni
risultano da acquisizioni abusive del materiale e molti archivi stranieri conservano
materiale proveniente dal nostro paese, ma acquistato da intermediari di dubbia
reputazione753. Se, dopo un’accurata politica di recupero e “rigenerazione dei
diritti”754, i potenziali acquirenti fossero informati dell’esistenza di una nuova
offerta di materiale, potrebbe crearsi un giro d’affari di riproduzioni nuove, di
ottima qualità, disponibili in diversi formati e imporre la propria presenza sul
mercato. Si può registrare comunque la volontà di cambiare la situazione
esistente; ad esempio il progetto europeo DADDI, Digital Archivi Trough Direct
Digital Imaging, che è nato nel 2000 con lo scopo di realizzazione di un archivio
digitale delle immagini di tutte le opere della Galleria degli Uffizi, da pubblicare,
successivamente, nel nuovo sito Internet del museo che avrebbe dovuto presentare
importanti cambiamenti rispetto agli argomenti e alla loro presentazione, alle
modalità di navigazione, alle tecnologie usate. Il progetto è frutto di una
collaborazione tra la Soprintendenza di Firenze e partner stranieri. L’idea era
quella di realizzare all’interno del sito del museo un vero e proprio motore di
ricerca di immagini interattive ad altissima risoluzione acquisite nel corso del
753
Cfr. GUERZONI, Diritti di proprietà reale ed intellettuale dei musei, cit., 39; GUERZONI,
STABILE, cit., 269, 270.
754
V. GUERZONI, STABILE, cit.., 269.
246
progetto DADDI. Il sito del museo in realtà non è ancora stato rimodernato
tuttavia è stato creato un archivio digitale delle opere acquisite nel progetto
DADDI. Tutti gli aspetti relativi alla gestione dell’archivio sono stati poi
progettati da una società specializzata. Questo progetto ha dimensioni importanti,
che la nostra esperienza non è in grado di sostenere da sola, ma esistono anche
delle modalità di realizzazione meno imponenti ma ugualmente efficaci. Ci si può
anche affidare a piccoli progetti, studiati nei minimi dettagli, integrati con fondi
europei all’uopo predisposti, o con congiunzioni con sponsor dedicati. “La
miglior difesa è l’attacco, la produzione di contenuti di qualità, attenti alle
possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma protetti da contratti e schemi
negoziali capaci di garantirne l’integrità e salvaguardarne nel tempo il valore
economico”755. Qui tocchiamo un’altra nota dolente. Gli schemi negoziali
attualmente presenti nella nostra esperienza non sono uniformi e standardizzati.
La relativa inesperienza del nostro paese si può intuire anche dai numerosi
progetti avviati a livello europeo, come MINERVA, che cercano di traghettare il
nostro paese verso il futuro della trasmissione della cultura e della gestione della
proprietà intellettuale. Questo progetto ha svolto e sta svolgendo un notevole
lavoro di cooperazione tra Stati e istituzioni per indirizzare verso pratiche comuni
e minimizzare i rischi e le criticità.
La digitalizzazione dei materiali comporta un’analisi dei diritti a livelli
multipli, necessari per cercare di evitare un’infrazione del copyright. Anche la
WIPO ha studiato il problema, e ha proposto degli schemi di contrattazione,
755
V. GUERZONI, STABILE, cit., 270.
247
alcuni dei quali sono stati analizzati. Essi rappresentano linee generali che si
auspica vengano implementate in modo generale e perfezionate, se necessario. Il
mercato delle informazioni, infatti, è in continua espansione, e l’offerta di
assistenza nel porre in essere queste nuove attività è basilare per la buona riuscita
dei progetti.
Per gestire correttamente i diritti delle risorse culturali, i progetti devono
innanzitutto identificare e registrare i diritti esistenti sui materiali. Se necessario, i
progetti devono negoziare l’utilizzo con i detentori dei diritti per ottenere il
permesso all’utilizzazione, il permesso deve essere registrato in una licenza che
specifichi la natura e lo scopo, il modo in cui può essere usato, l’estensione
geografica dei diritti, la durata della licenza e la tassa da pagare. Bisogna tenere
sempre presente ciò che si è negoziato e come, per potervi porre rimedio e
rinegoziare, se necessario, oppure per far fronte a citazioni in giudizio.
I diritti negoziati devono essere protetti. Nel networked environment, ogni
contratto che coinvolge la proprietà intellettuale per sua natura è un contratto sulla
trasmissione di diritti di esclusiva.
L’esperienza statunitense ha maturato una certa abilità su questi temi, che
sono all’ordine del giorno da molto tempo. È necessario tenere in considerazione
che è stata introdotta la formula dell’agenzia e dell’agente, che si è rivelata
vincente. L’agente può svelarsi fondamentale per una gestione collettiva dei
diritti, per una più incisiva opera di tutela, per una pratica di standardizzazione
contrattuale e un’equa raccolta e redistribuzione ai titolari delle tasse di
utilizzazione. Oltreoceano si punta all’alta specializzazione di determinati
248
soggetti, i quali, a loro volta, sono deputati alla creazione di modelli contrattuali
altamente specializzati. Se non è possibile trapiantare interamente questa pratica, è
consigliabile almeno osservarne il lavoro e tenerne conto per impostare le proprie
politiche di gestione.
Il web e le nuove tecnologie in generale mostrano un’altra serie di
problematiche. Talune hanno a che fare con la conservazione nel tempo dei
contenuti. Il problema risiede nella veloce obsolescenza delle tecnologie, tanto da
mettere a rischio la salvaguardia dei contenuti e delle produzioni dei nuovi
prodotti multimediali. Si è parlato dell’ingente spesa che comporta la
conservazione e della difficoltà di raggiungere una soluzione comune. La
problematica, quindi, dovrà essere risolta; ma in un futuro prossimo, poiché la
produzione di materiale aumenta di giorno in giorno e la improvvisa scomparsa
dello stesso potrebbe non essere così inverosimile.
Tal’altre riguardano la qualificazione giuridica da applicare ai nuovi
prodotti multimediali e allo stesso sito web. È necessario adeguare le norme
esistenti al mondo tecnologico, che presenta aspetti intricati e stratificazione dei
diritti. È difficile tutelare gli autori e le creazioni in questione. La legge non
stabilisce nulla per quanto riguarda le pagine web756, né tantomeno per le opere
multimediali. Inoltre, le mostre e le esposizioni sul web rientrano nella tutela delle
banche dati, quindi si realizza una sovrapposizione di diritti e di differenti tipi di
tutela che devono essere chiarificati. L’avvento di Internet ha creato
preoccupazioni per quanto riguarda la reale applicabilità delle norme: la
756
Che tendono, comunque, ad essere paragonate a delle opere multimediali.
249
deterritorializzazione causata dall’esistenza di questo mezzo di comunicazione
che rappresenta un non–luogo, minaccia l’effettività delle norme; inoltre la
mancanza di un qualche tipo di sovranità sfida l’applicabilità del diritto statale, a
maggior ragione perché i beni e le attività in questione sono entità sprovviste di un
qualche tipo di supporto, dematerializzate appunto757. Ci si chiede se sia
necessario adattare le leggi esistenti o sia invece più propizio elaborare una nuova
concezione che comprenda queste nuove produzioni e le protegga in maniera
efficace.
Come si può agevolmente inferire dal tono di queste brevi conclusioni, c’è
molto lavoro da fare. L’attività delle istituzioni culturali presenta numerosi aspetti
controversi, che è necessario ridefinire puntualmente. Ci si può però auspicare che
la consapevolezza acquisita negli ultimi anni e la considerazione delle esperienze
maturate all’estero, sia a livello legislativo che operativo, possano assistere
l’impegnativo ma fondamentale cammino che le istituzioni devono percorrere per
diventare competitive e raggiungere in modo davvero efficace la loro missione.
757
In questo senso PASCUZZI, cit., 182 – 187.
250
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ANTINUCCI F., Comunicare nel museo, Roma-Bari, 2004
251
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