UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea in Giurisprudenza Tesi di Laurea MUSEI, NUOVE TECNOLOGIE E DIRITTO D’AUTORE: UN’ANALISI COMPARATA Relatore: Prof. Roberto Caso Laureanda: Francesca Dal Molin Parole chiave: Diritto dell’era digitale – Comparazione giuridica – Musei – Tecnologie digitali – Diritto d’autore Anno Accademico 2006/2007 Ai miei genitori, per tutto il supporto morale e materiale che mi hanno dato in questi anni, senza chiedere in cambio niente, se non la mia serenità Ringraziamenti: Ricordare significa far passare di nuovo dal cuore, che per gli antichi è la sede della mente… Nel mio passano tutte le inquiline di Via Diaz n. 8, grazie per l’amicizia e la spensieratezza, vi voglio bene. Grazie a Anna, Elisa, Sara, Adele, Paola. Grazie a Mariella per essermi stata vicino nei momenti duri. Grazie a Alessia e Erika. Grazie a Isabella, Anna e Veronica per avermi sopportato nelle ultime concitate fasi della stesura. Grazie a Luca e Cristina, in qualità di “scriba”! Grazie ai sorrisi e alle lacrime degli ultimi tre anni, che mi hanno fatto crescere e reso più forte. Lode e onore al VECCHIO VECCHIO ordinamento! Grazie a Don Gianni per gli strumenti informatici! Vorrei infine ringraziare la dott.ssa Alessandra Schiavuzzi, l’avv. Silvia Stabile, Davide Orlando e il dott. Paolo Guarda per la gentilezza e la disponibilità. “L’arte è una lotta. Nell’arte bisogna metterci la pelle. (…) Piuttosto che esprimermi debolmente preferisco tacere” F. Millet INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO PRIMO BENI CULTURALI E ISTITUZIONE MUSEALE: L’EVOLUZIONE STORICO – 1.1 1.2 NORMATIVA I beni culturali in Italia, breve percorso storico – legislativo 4 1.1.1 Dall’antichità agli Stati preunitari 6 1.1.2 Dall’unità d’Italia 15 1.1.3 Dal 1939 ai giorni nostri 20 Uno sguardo all’estero, la dimensione sovranazionale dei beni culturali 36 1.2.1 Organismi e convenzioni internazionali per la tutela dei beni culturali 1.3 38 1.2.2 I beni culturali e l’Unione Europea 42 1.2.3 Protezione in taluni Stati europei e cenni su quella oltreoceano 46 Transizione da bene culturale a risorsa economica? 62 1.3.1 Un quadro della situazione attuale: tutela, valorizzazione, fruizione, gestione 1.4 65 1.3.2 Gli strumenti della valorizzazione 71 Il museo: un cambio d’immagine 79 1.4.1 L’evoluzione del museo: da struttura contemplativa… 80 I 1.4.2 (segue) …a struttura divulgativa 82 1.4.3 Il museo contemporaneo: definizione e missioni 86 1.4.4 Pubblico e comunicazione 92 1.4.4.1 Il marketing museale 1.4.5 Gestione e standard dei musei 97 100 CAPITOLO SECONDO BENI CULTURALI, MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE 2.1 L’avvento delle nuove tecnologie 104 2.2 Europa e digitalizzazione 108 2.3 Pubblico e nuove tecnologie 113 2.4 Gli strumenti a servizio dell’utente 116 2.4.1 Collegamenti video 117 2.4.2 Banche dati e archivi online 118 2.4.3 Guide multimediali e interattive 120 a) CD rom o DVD rom 120 b) Chioschi multimediali e work stations 121 c) Audio e videoguida 122 2.4.4 Musei virtuali 125 2.4.4.1 Standard per il web 2.5 Vantaggi e svantaggi delle nuove tecnologie II 131 132 CAPITOLO TERZO IL DIRITTO D’AUTORE E LA SFIDA DEL DIGITALE 3.1 L’origine e lo sviluppo dei diritti sulle opere dell’ingegno 134 3.2 I livelli di protezione: 137 a) internazionale 137 b) comunitario 139 c) nazionale 141 3.3 Copyright e diritto d’autore: concetti fondamentali 144 3.4 Musei e digitalizzazione dei contenuti 149 3.5 Proprietà intellettuale nel museo: la costruzione del sito web 158 3.5.1 I contenuti: 166 3.6 a) testi, immagini, suoni 167 b) linking e framing 175 c) nome di dominio 179 d) opera multimediale 181 e) banca dati 194 3.5.2 La tutela giuridica: che tipo di qualificazione per il museo? 201 Criticità: riproduzione e fruizione 206 a) Eccezioni e limitazioni, fair use e fair dealing 208 b) I sistemi di DRM 218 III CAPITOLO QUARTO “BEST PRACTICES” PER I MUSEI 4.1 4.2 Gestione dell’intellectual property 225 a) Pratiche di inventario della proprietà intellettuale 226 b) Politiche di gestione 233 c) Gestione e negoziazione dei diritti 235 Business opportunities 237 CONCLUSIONI 244 BIBLIOGRAFIA 251 IV INTRODUZIONE Questa tesi si propone di analizzare il processo evolutivo, dall’antichità ai giorni nostri, della tutela, della fruizione e della gestione dei beni culturali, custoditi all’interno dei musei, che risultano ora arricchirsi di nuovi significati grazie all’avvento delle tecnologie digitali. Lo sviluppo di Internet ha permesso loro di essere rappresentati in maniera diversa e più innovativa; e di essere altresì utilizzati per la creazione di opere dell’ingegno, per costituire una nuova forma di trasmissione della conoscenza. La sfida della digitalizzazione ha gettato le basi per il futuro della comunicazione, ma il rispetto delle norme legislative non è sempre agevole. La tutela oggi approntata deve tenere in considerazione i diritti che ciascuna opera creata porta con sé, i quali, se correttamente applicati, permettono una efficace predisposizione e un efficace sfruttamento dei contenuti. La trattazione è organizzata in quattro capitoli, ciascuno dei quali prende in considerazione una diversa fase evolutiva. Per ogni excursus storico, l’esame partirà dai tempi più antichi, per arrivare all’uso corrente. Inoltre, talune materie verranno affrontate attraverso una comparazione con gli Stati Uniti e l’Australia, senza pretese di completezza e di esaustività. Il primo capitolo illustra in dettaglio la nascita, lo sviluppo e l’affermazione della protezione dei beni culturali nel nostro paese. È un lungo percorso, che ha conosciuto periodi di grande incuria e momenti di sviluppo di una efficace tutela. L’analisi prosegue attraverso l’operato delle organizzazioni internazionali, per mezzo delle tappe fondamentali segnate dalle convenzioni 1 internazionali. L’indagine si sposterà poi sul contesto degli Stati dell’Europa, del continente australiano e dell’esperienza statunitense. La politica culturale e la produzione normativa condurranno alla valutazione della nuova concezione di bene culturale, che va oltre un mero criterio estetizzante ed estende il campo d’intervento introducendo la dimensione economica. La considerazione della dimensione economica agevolerà, poi, la strategia di sfruttamento degli stessi beni. Lo studio si chiude con l’analisi della struttura museale, nella quale la finalità di conservazione nel lungo periodo ha avuto una funzione preminente sulle finalità conoscitiva e comunicativa. Oggi il museo si sostanzia in un soggetto attivo nella creazione e divulgazione della cultura, in grado di creare un nuovo contesto conoscitivo che può essere fruito da un gran numero di utenti. Il secondo capitolo segna l’entrata, nel museo, di Internet e delle nuove tecnologie, che rappresentano l’occasione per sondare un nuovo approccio col pubblico reinventando il messaggio culturale per renderlo accessibile a tutti. Si prenderanno in considerazione anche le politiche europee di digitalizzazione e la reazione del pubblico a tali novità. Di seguito si proporranno alcuni esempi di strumenti creati dalle nuove tecnologie, implementati nei musei. È importante segnalare l’importanza dell’elemento della virtualità nei musei: fruizione virtuale in qualche modo depotenziata rispetto all’originale, ma che elimina la passività della mera contemplazione degli oggetti custoditi. Nel terzo capitolo si condurrà un’analisi specifica dei diritti di proprietà intellettuale innescati dalle nuove tecnologie, prendendo le mosse da un’analisi generale, per giungere a scandagliare alcuni aspetti particolari. Si cercherà di 2 delineare la fondamentale attività di digitalizzazione che caratterizza l’attività odierna dei musei e delle altre istituzioni culturali. L’esame poi si fa più particolare prendendo in considerazione la realizzazione del sito web e tutte le problematiche che sorgono in relazione a questa operazione. L’ambiente digitale e l’avvento delle nuove tecnologie impongono di rivedere taluni concetti e comportamenti che assumono profili diversi e complessi, come l’attività di riproduzione. L’ultimo capitolo getta uno sguardo sulla gestione pratica dei diritti di proprietà intellettuale. I musei dovrebbero realizzare politiche interne e strategie di sfruttamento delle proprie risorse, tenendo presente qual è lo scopo che è stato loro assegnato e lavorando senza far subire detrimento alla propria reputazione. L’elaborato si chiude con alcune conclusioni. 3 CAPITOLO PRIMO BENI CULTURALI E ISTITUZIONE MUSEALE: L’EVOLUZIONE STORICO – NORMATIVA “La verità è che il museo è legato inscindibilmente alla società che lo ha istituito, ha espresso la società stessa nella sua totalità” (G. PINNA, Per un museo moderno, in L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal ‘500 ad oggi, Milano, 1989) 1.1. I beni culturali in Italia, breve percorso storico – legislativo Il nostro paese racchiude al suo interno un ragguardevole patrimonio storico, artistico e culturale, frutto della sedimentazione dei secoli e idoneo a congiungere il “passato e il presente delle culture che popolano una nazione”, presente che viene così arricchito “di storia e di senso”1. Da più parti si afferma che tale patrimonio costituisce circa la metà o addirittura la quasi totalità di quello mondiale 2. Questa ricchezza non ha però impedito, nel corso del tempo, distruzioni, saccheggi, sperperi e depauperamenti a causa delle numerose guerre o ad opera di collezionisti senza scrupoli. Bisogna attendere molto per una compiuta definizione del concetto di bene culturale, così come di patrimonio 3. Il percorso giuridico – legislativo è ampio e complesso; si parla di una tradizione molto lunga che ha visto la formazione 1 V. F. BOTTARI, F. PIZZICANELLA, L’Italia dei tesori, legislazione dei beni culturali, museologia, catalogazione e tutela del patrimonio artistico, Bologna, 2002, 2. 2 Cfr. SETTIS, Italia S. p. A. L’assalto al patrimonio culturale, Torino, 2002, 14; A. TRENTINI, Codice dei beni culturali e del paesaggio, commentario ragionato del d. lgs 22 gennaio 2004, n. 42, Rimini, 2005, 21; G. MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali, Milano, 2004, 11, dato introdotto da una interessante tabella che evidenzia i primi dodici paesi per numero di siti iscritti nella lista del patrimonio culturale mondiale dell’UNESCO. 3 Il termine “bene” fu usato, per la prima volta in Italia, dalla Commissione “Franceschini” negli anni ’60, di cui si parlerà più diffusamente in seguito. 4 progressiva di una coscienza civile, di un sentimento di protezione e custodia di quel patrimonio che concorre a formare la storia, la cultura e l’identità dell’Italia. È essenziale porre l’attenzione sull’attributo di pubblicità del patrimonio: i beni che lo compongono devono essere in ogni caso destinati alla pubblica fruizione, solo così si spiega la tutela anche nei confronti dei patrimoni privati. Uno storico dell’arte c’illustra il motivo per il quale il patrimonio italiano è tanto importante nel mondo, infatti “nel nostro Paese si è elaborata negli ultimi secoli una cultura della conservazione molto attenta e molto sofisticata, che ha valorizzato i singoli monumenti, grandi e piccoli, come parte di un insieme incardinato nel territorio, di una rete ricca di significati identitari, nella quale il valore di ogni singolo monumento od oggetto d’arte risulta non dal suo isolamento, ma dal suo innestarsi in un vitale contesto. È questa cultura che ha in primo luogo garantito in Italia la conservazione dei monumenti in misura maggiore che altrove”4. Inoltre, “le regole della tutela non sarebbero mai nate senza un forte senso civico innestato da una conservazione tanto intensa, tanto capillare, tanto continuativa del nostro patrimonio culturale; né questa conservazione sarebbe tanto densa e duratura, se non fosse stata garantita da regole efficaci nel lungo corso dei secoli”5. La cura che l’Italia dedica al proprio patrimonio è tanto importante da venire definita “Modello Italia”6: il nostro paese possiede la legislazione più protettiva dei propri beni culturali sebbene la maggior parte di essi sia di proprietà di privati o di enti ecclesiastici. Il punto di forza consiste nel ritenere il patrimonio 4 V. SETTIS, cit, 14. V. G. VOLPE, Manuale di legislazione dei beni culturali, storia e attualità, Padova, 2005, XVI. 6 V. SETTIS, cit., 15. 5 5 culturale italiano “un insieme…soggetto a protezione in quanto depositario di una memoria storica che appartiene ai cittadini”7. Ogni cittadino si sente parte di una tradizione che lega saldamente i beni al territorio “in un continuum di musei, opere distribuite nel territorio…ambiente e paesaggio” 8 e che ogni sua espressione è parte fondamentale di città, province, regioni. È come possedere una sorta di eredità che si intende trasmettere ai posteri. 9 Per tracciare una panoramica che abbia una parvenza di completezza nell’oltremodo ampia tematica dei beni culturali, ritengo sia opportuno ricostruire un quadro storico sistematico concernente l’evoluzione della legislazione, che parte dall’antichità e arriva fino ai nostri giorni. 1.1.1. Dall’antichità agli Stati preunitari Il punto di partenza scelto si riferisce ad un passato piuttosto lontano: la Roma dell’età antica10, la quale ha contribuito in modo decisivo alla configurazione e alla valorizzazione di quel patrimonio che tutto il mondo ci invidia. L’analisi si muoverà attraverso l’età monarchica, l’età repubblicana e quella imperiale. La disciplina normativa prevista per quelli che oggi chiamiamo beni culturali è frutto di una lenta evoluzione che trova radici significative nel mondo classico ed una sintesi efficace nel diritto romano 11. 7 V. VOLPE, cit., XVI. V. VOLPE, cit., XVI. 9 Cfr. SETTIS, cit., 26. 10 In questo senso VOLPE, cit., 1. 11 Cfr. A. PONTRELLI, L’organizzazione e la tutela dei beni culturali, in V. CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Milano, 1999, 245. 8 6 È curioso scoprire come i cittadini romani dell’inizio dell’età monarchica non potessero liberamente dedicarsi alle cd. “arti sedentarie e illiberali”, occupazioni manuali colpevoli di suscitare “turpi desideri” e “passioni illecite che guastavano i corpi e le anime di quelli che le esercitavano”, così scriveva uno storico e retore greco12. Solo le tradizionali attività dell’agricoltura e della guerra erano in grado di portare al dominio di se stessi e condurre i cittadini”non all’offesa reciproca ma alla ricchezza a spese dei nemici”. Nei tempi antichi infatti prevaleva la strategia di devastazione del patrimonio, il bottino di guerra rappresentava la finalità prevalente e gli eserciti che occupavano i paesi erano animati dal desiderio di distruggere e depredare. Tuttavia inizialmente le opere d’arte non possedevano un autonomo valore, erano ancora considerate inutili, al contrario del denaro e di ricchezze di altro tipo. Solo in qualche caso si notava un personaggio illuminato, che prestava adeguata attenzione al patrimonio artistico e tentava una primitiva forma di tutela. Con l’avvicendarsi delle fasi storiche, poi, passando attraverso la Repubblica, fino all’età imperiale, la visione dei cives romani iniziava a cambiare. Cresceva l’ammirazione per l’arte dei greci, il bottino di guerra oramai comprendeva statue greche e oggetti di lusso, sottratti con lo scopo di abbellire la città e coadiuvare il trionfo dei generali, rimpatriati vittoriosi dalle loro imprese. Roma non conosceva ancora una tale tradizione artistica, per questo le opere d’arte venivano subito considerate come appartenenti alla città ed al popolo romano. 12 Si tratta di Dionigi di Alicarnasso, v. VOLPE, cit., 1. 7 Ecco come è nata l’idea di patrimonio di tutti, che spingeva le personalità influenti, come gli stessi generali, a esortare “la pubblica fruizione di opere in mano privata”13. Lo stesso imperatore Tiberio si era appassionato ad una statua che aveva fatto trasportare nella sua casa, la quale, però, era stata destinata ad un uso pubblico; il suo comportamento era talmente sgradito dal popolo romano da imporre allo stesso principe la restituzione del bene. Ad un privato non era consentito un siffatto comportamento, nemmeno se si trattava dell’imperatore14! Nasceva, così, l’idea delle res populi romani facenti parte di un demanio pubblico, che le rendeva imprescrittibili e inalienabili; le opere in mano privata erano sottoposte a un “vincolo di destinazione all’uso pubblico” che nemmeno il proprietario avrebbe potuto eliminare 15. Si riconoscevano “profili di interesse pubblico nel rapporto con i beni e le opere d’arte”16 e si cercava di assicurarne la pubblica fruibilità; editti e senatoconsulti prevedevano a chiare lettere la tutela delle opere d’arte e vi preponevano una speciale magistratura. L’età repubblicana vedeva, quindi, l’affermazione di nuovi ideali, sensibili alla conservazione e alla valorizzazione delle opere d’arte, alla protezione e alla tutela di un patrimonio che ancora andava formandosi, ma già era cospicuo. È peculiare l’uso dei concetti di vincolo e inalienabilità, fondamentali, ancor oggi, nella politica di tutela di quelli che chiamiamo beni culturali. Il valore sociale delle opere, assieme a quello etico e artistico contribuiva all’affermazione di una identità culturale, un’esigenza che si avvertiva fortemente, 13 Cfr. VOLPE, cit., 3. V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 20. 15 In questo senso VOLPE, cit., 4. 16 Cfr. PONTRELLI, cit., 245, 246. 14 8 in epoca romana, soprattutto nelle fasi di trasformazione politica e sociale, come il passaggio dalla Repubblica all’Impero17. Taluni magistrati venivano preposti alla tutela del patrimonio e avevano il compito di dare applicazione a tutto il sistema legislativo di protezione. Con la decadenza dell’Impero, il sistema cominciava a venire meno, così come il godimento pubblico di opere e monumenti. Con Costantino e Teodosio I il cristianesimo era stato, dapprima, riconosciuto e poi elevato a religione ufficiale dell’impero18. Questo dava il via ad una progressiva attività di spoliazione di tutti gli edifici di età pagana e di reimpiego dei materiali recuperati19, per la costruzione di altre opere, soprattutto in onore del nuovo culto. Il sentimento di avversione per la passata tradizione pagana concepiva la spoliazione come una offesa e una distruzione sistematica tanto da divenire attività estremamente diffusa. Nonostante ciò, si potevano riconoscere delle eccezioni. Per porre un freno alla rovina di opere ed edifici venivano imposti dei vincoli ai privati, il cittadino non poteva procedere alla distruzione del proprio edificio o alla vendita degli ornamenti ad altri privati20. Il sentimento di conservazione e di preservazione di un’identità era ancora forte negli animi e si contrapponeva l’atteggiamento ormai diffuso di noncuranza, che avrebbe caratterizzato l’età nella quale ci si stava lentamente addentrando, il Medioevo. 17 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 20, 21. In questo senso VOLPE, cit., 10. 19 Spoliazione intesa come asportazione abusiva e indiscriminata di materiali di pregio dai monumenti più antichi; reimpiego inteso come pratica diffusa in età paleocristiana e medievale di riutilizzare frammenti di monumenti antichi per la costruzione e l’ornamentazione di nuovi edifici; V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 21. 20 Cfr. VOLPE, cit., 12, 13. 18 9 Il re barbaro Teodorico si era impegnato nella conservazione e nella promozione e aveva cercato di attuare un programma di valorizzazione delle antichità romane, irrinunciabile testimonianza di un passato della civiltà. Egli aveva disposizioni per ripristinare monumenti e sensibilizzato la cittadinanza alla preservazione. Ma aldilà di questo interesse e dell’attività di trascrizione e trasmissione della cultura documentaria e letteraria antica, ad opera dei conventi e di alcune corti illuminate, durante il Medioevo erano svaniti in modo progressivo l’azione di salvaguardia e di protezione di monumenti e opere del passato. L’unica eccezione era costituita dalla conservazione e dalle valorizzazione in particolare di oggetti ed edifici destinati anche al culto. Il papato in particolare aveva tentato di promuovere un ideale di forza e grandezza, mutuandolo dal glorioso passato di Roma, che rispecchiasse e intensificasse la sua supremazia spirituale e secolare 21. Tuttavia il degrado e l’abbandono erano tornati a ripresentarsi: nel secolo XIV, Papa Clemente V muoveva verso Avignone dando inizio a quel periodo chiamato “cattività avignonese”22; la città di Roma era in forte degrado per la lontananza del papato e un tale decadimento suscitava nei cittadini il desiderio di ritorno ai fasti del passato. Solo nel Quattrocento, con il Concilio di Basilea e la chiusura dello scisma d’Occidente, la crisi del cristianesimo trovava una via d’uscita e la Chiesa manifestava unità e potenza. 21 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 24. Durante questo periodo, che si sviluppa dal 1378 al 1417, si elessero due Pontefici, uno dei quali risiedeva ad Avignone, l’altro a Roma. 22 10 Si delineava ormai il periodo dell’Umanesimo, gli studiosi avevano riscoperto il rispetto e persino l’adorazione per il passato classico, declinato in arte, poesia, bellezza; i Pontefici ponevano come uno degli obiettivi principali un programma politico per la realizzazione di progetti urbanistici e di restauro; nascevano mecenatismo e collezionismo di opere classiche e contemporanee; si promuovevano, inoltre, studi archeologici. Un intenso sentimento di rinascita e salvaguardia aveva pervaso Pontefici, principi e signori; la loro preoccupazione era quella di riportare le città al loro antico splendore23. Verso la fine del Quattrocento si poteva riconoscere una vera e propria volontà di continuità col passato che assurgeva a modello estetico di riferimento e costituiva un insieme di ricchezze da scoprire. Si riconosceva ormai l’esistenza di un patrimonio culturale che necessitava di essere custodito da persone competenti, in grado di individuare cosa era degno di pregio e quindi di tutela. Si ripresentava la misura della sottrazione di taluni beni privati per sottoporli a vincolo pubblico, rendendoli, così, patrimonio collettivo. La costruzione di questa consapevolezza era passata attraverso i secoli del Cinquecento e del Seicento, caratterizzati dall’affinamento di regole giuridiche già in vigore e da tentativi di dare sistematicità alla disciplina 24. La normativa di tutela dei beni si fondava su due punti principali: il controllo degli scavi, per evitare i furti degli stessi beni rinvenuti, e il divieto di esportazione. 23 24 In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 25. Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 29. 11 Il Settecento, età dell’Illuminismo, pervaso da un forte senso di razionalità, aveva concretizzato la riconduzione ad unità dell’immensa mole di interventi legislativi. Un editto dell’inizio del secolo “delineava una suddivisione tematica e culturale dei beni, distinguendo le “cose” artistiche che erano frutto del genio creativo, da quelle che erano espressione degli aspetti culturali e storici di un popolo” 25. L’arte e l’antichità assumevano un nuovo ruolo sociale di diffusione della cultura anche in ambito internazionale; le città si arricchivano di nuovi visitatori; iniziava il fenomeno del Grand Tour; l’Italia era divenuta una meta ambita non soltanto di pellegrini attratti dai luoghi di culto, ma anche di intellettuali, intenditori, artisti che visitavano le innumerevoli risorse paesaggistiche e artistiche italiane, aprendo il mercato delle opere d’arte che contribuiva alla formazione delle collezioni, anche straniere, meccanismo sorvegliato in malo modo dalla concessione di licenze di esportazione, dal momento che erano cresciute le spoliazioni e le esportazioni illegali26. Alla fine del Settecento Napoleone, giunto al potere, aveva iniziato la sua campagna, e con essa iniziava altresì una stagione di saccheggi e sottrazioni al patrimonio culturale, attività da lui consentite e ritenute ordinarie, tanto da averle trasformate in “furti legalizzati”. Molte delle opere d’arte dei paesi sconfitti, e in particolar modo dell’Italia, venivano trasferite in Francia; la sola nazione degna di possederle. Lo spostamento comprendeva sculture e quadri, libri, manoscritti, 25 26 BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 29. Cfr. VOLPE, cit., 35. 12 considerati “trofei in grado di risarcire i danni di guerra” 27. Per evitare che si parlasse di esproprio, Napoleone era riuscito a porre i trattati di pace come base giuridica e successivamente, in Francia, i beni trafugati andavano a costituire la sua collezione museale. A seguito dell’attività napoleonica di spoliazione, solo un editto, proveniente dal Vaticano, con carattere di urgenza ed eccezionalità, aveva provato ad arginare il fenomeno. Il provvedimento riorganizzava i principi della conservazione, della protezione e della produzione. La tutela era estesa a tutto il patrimonio mobile, pubblico e privato, e si affermava il criterio della protezione preventiva. I redattori procedevano alla compilazione di un elenco dettagliato di tutti i generi di opere che non potevano essere vendute. In più, i proprietari privati di Gallerie o Musei o comunque di oggetti antichi di particolar pregio erano tenuti ad autorizzare controlli periodici dello Stato, soprattutto per verificarne lo stato di conservazione. La proprietà, in questo modo, subiva una sorta di compressione, situazione che fino ad allora non era mai stata contemplata. Questa previsione sembrava davvero “sancire la natura pubblica dell’interesse storico e artistico dei beni in questione”28. La normativa risultava in quel periodo assai utile, ma non completamente efficace, in quanto i commerci illegali erano ancora fiorenti. La potenza francese era stata, infine, arrestata. Napoleone aveva perso le sue guerre, con la Convenzione di Vienna si era ristabilita la pace e con essa tutti i Paesi privati dei loro beni artistici potevano pretendere la loro restituzione. Se per Napoleone le opere d’arte costituivano trofei della vittoria, per i paesi depredati, 27 28 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 34. V. VOLPE, cit., 49. 13 invece, diventavano simboli della liberazione. Ogni nazione aveva, così, inviato i propri delegati in Francia per il recupero delle opere. In ambito giuridico si faceva strada “una prima prospettiva internazionale in fatto di tutela, con un particolare riconoscimento del valore del patrimonio italiano”29. Il compito di recuperare i beni saccheggiati all’Italia era stato assegnato al grande artista Antonio Canova, che già ricopriva la carica di prefetto delle Antichità, ed era personalità di riguardo nel campo della protezione dell’arte. Grazie al suo operato, una grande quantità di opere era tornata sul suolo italiano. L’esperienza napoleonica aveva aperto definitivamente gli occhi sull’importanza della salvaguardia e della tutela dei beni culturali. Nel 1820 il cardinale Bartolomeo Pacca aveva emanato un editto che si riconosceva essere “pietra miliare della legislazione di tutela storico – artistica”30. Tale normativa costituiva la prima organica sistemazione giuridica sulla salvaguardia e l’innovazione riguardava sia l’impianto normativo, sia gli strumenti applicativi. Per fare qualche esempio, si andava a trattare delle esportazioni, istituendo una tassa doganale; si ponevano dei criteri guida per l’apposizione dei vincoli sui beni privati; veniva affrontato il tema della definizione del patrimonio da tutelare. Una struttura piramidale vigilava sull’applicazione delle norme, c’erano tecnici ed esperti, commissioni periferiche e una commissione permanente a cui si era affidato l’incarico di vigilare sulle belle Arti. Si riconosceva una mancata applicazione integrale di questo editto, ma 29 30 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 36. V. VOLPE, cit., 50. 14 la sua struttura era comunque assai importante come anticipazione della legislazione successiva31. La sistemazione della materia dei beni culturali trova le sue origini nella legislazione degli Stati preunitari, i quali, nella maggior parte, avevano stabilito regole sulla circolazione e sulla conservazione delle cose d’arte e di storia, anche se ancora non si era sviluppata pienamente l’idea di protezione di un “patrimonio collettivo”32. Lo Stato Pontificio aveva sempre posseduto una cospicua normativa in tema di beni culturali, che altri stati italiani preunitari avevano molto spesso preso come esempio. Importante era la produzione normativa del Granducato di Toscana, attento alla salvaguardia dei propri beni mobili, e quella della Repubblica Veneta. Quest’ultima, da sempre fondamentale snodo commerciale, possedeva un fornito patrimonio, interamente catalogato, e per questo più accuratamente conservato 33. 1.1.2. Dall’Unità d’Italia al 1939. Dopo l’Unità d’Italia, avutasi nel 1861, era stato mantenuto pressoché inalterato l’impianto normativo degli Stati preunitari, per quanto riguardava la materia della tutela dei beni culturali. Continuava altresì l’applicazione del recente editto Pacca, emanato dallo Stato Pontificio, che non aveva comunque dato risultati incoraggianti34. 31 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 36, 37. In questo senso PONTRELLI, cit., 246, 247. 33 In questo senso VOLPE, cit., 57. 34 VOLPE, cit., 64. 32 15 Nel nuovo Regno d’Italia si registravano grossi fermenti: flussi migratori, espansione e speculazione edilizia avevano messo da parte la politica di salvaguardia e tutela del patrimonio e si erano registrati effetti deleteri su di esso. Paradossalmente era sanzionata maggiormente l’alienazione degli immobili riconosciuti come beni culturali, che gli eventuali danni o le distruzioni. Nel 1848 Carlo Alberto aveva concesso una carta costituzionale ai sudditi, la quale sanciva, all’articolo 29, l’inviolabilità della proprietà privata. Per questo tutti i tentativi di introdurre una disciplina organica per proteggere gli oggetti di particolare pregio erano falliti; avrebbero infatti interferito con la sfera di libertà dei privati35. L’unica normativa che si proponeva di salvaguardare i beni concerneva solo le situazioni di incuria o negligenza da parte dei proprietari, per le quali era prevista la possibilità di espropriare la proprietà privata in tutto o in parte, in base ad un interesse pubblico 36. Proprio la legge 25 giugno 1865, n. 2359 “Espropriazione per causa di pubblica utilità”, aveva messo in discussione l’inviolabilità della proprietà privata, in quanto l’articolo 83 contemplava la possibilità di esproprio da parte dello Stato di immobili di valore storico, nel caso di incuria o negligenza da parte del privato. Con l’entrata in vigore del codice civile, sempre nel 1865, si era verificata l’abolizione degli istituti del fedecommesso e del maggiorascato37: secondo gli 35 Cfr. PONTRELLI, cit., 247. In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 40. 37 Il fedecommesso è un istituto che riguarda il diritto successorio, regola il testamento degli eredi i quali hanno il divieto di disperdere il patrimonio familiare, se possiede una valenza storico – artistica, trasmettendolo intatto da un soggetto ad un altro; il maggiorascato è un istituto simile, la trasmissione qui avviene da primogenito a primogenito; BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 41. 36 16 studiosi rappresentavano illegittime limitazioni del diritto di proprietà e anche della libera circolazione dei beni. Un ravvedimento si era verificato solo nella provincia di Roma: il vecchio Stato Pontificio disponeva di un ingente patrimonio storico – artistico e nel 1870, per evitarne la dispersione, erano stati ripristinati gli istituti aboliti. Da più parti si manifestava l’esigenza di una legislazione unitaria in tutto il Regno d’Italia. Si discutevano numerosi progetti di legge e si avvicendavano numerosi ministri. Erano stati emanati alcuni regi decreti, caratterizzati comunque da un impianto frammentario e provvisorio, ma non era decollata una normativa unitaria. Il Ministro pro tempore alla Pubblica Istruzione Correnti aveva proposto un progetto di legge molto articolato, basato sull’idea che il patrimonio dovesse essere conservato gelosamente e preservato dalle distruzioni, ma non aveva avuto fortuna. Dobbiamo entrare nel ventesimo secolo per incontrare il primo sistema di norme dotate di una certa organicità: la legge 12 giugno 1902, n. 185 “Conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte e antichità”, la quale aveva introdotto il principio di tutela di beni mobili e immobili che avevano pregio d’arte. Il testo presentava tuttavia alcune lacune, come il divieto di esportazione per le sole opere di sommo pregio. L’applicazione della legge era stata difficoltosa e non era diventata un punto di riferimento in materia. Nel 1906 era stata nominata una commissione ministeriale, dai cui lavori sarebbe emersa la futura legge 20 giugno 1909, n. 364 “Norme per l’inalienabilità 17 delle antichità e delle belle arti”, detta comunemente “legge Rosadi” 38. Tale provvedimento e il successivo regolamento applicativo 39 costituivano la prima legge veramente organica e moderna che assicurava la protezione del patrimonio storico – artistico nazionale. In essa era previsto, tra le altre cose, il principio della inalienabilità di beni appartenenti a Stato, enti pubblici e privati, che la comunità considerasse aventi un valore storico – culturale. Inoltre lo Stato aveva il dovere di dare il proprio parere sulla gestione del bene da parte del privato e di vigilare sulla circolazione e l’esportazione dei beni. Le soprintendenze erano state ulteriormente perfezionate con nuove competenze, sempre votate alla conservazione e alla tutela. Altra importante novità era l’introduzione dell’espressione “cose mobili o immobili di interesse storico, archeologico o artistico”, che individuava questa categoria particolare di testimonianze uniche e irripetibili, che illustravano la cultura di un popolo ed erano soggette alla legislazione relativa. Il patrimonio era preso in considerazione in chiave più moderna, “come mezzo in vista di un fine conoscitivo, del quale lo Stato doveva farsi garante, attraverso politiche mirate di protezione e di diffusione delle conoscenze acquisite”40. Le leggi n. 185 del 1902 e n. 364 del 1909 “avevano introdotto i primi strumenti moderni di protezione per le cose mobili d’interesse storico, archeologico e artistico, codificando il principio dell’interesse pubblico, l’obbligo di conservazione e i necessari poteri strumentali 38 Era stata infatti proposta dal Ministro Rosadi, accanito sostenitore delle belle arti e delle bellezze naturali, cfr. VOLPE, cit., 77, 78. 39 Il regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363 “Regolamento di esecuzione delle leggi 20 giugno 1909, n. 364, e 23 giugno 1912, n. 688, per le antichità e le belle arti”. 40 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 43, 44. 18 della pubblica amministrazione, e andando, infine, a costituire l’archetipo della legislazione successiva” 41. È doveroso, però, notare che a partire dalla prima legge di tutela dopo l’Unità, quella del 1902, e anche con la successiva legge del 1909, il termine “museo” era scomparso dalla legislazione italiana. Era tutelato solo in quanto “raccolta governativa” e sul piano giuridico era regredito a semplice “collezione”, da un lato, e a “luogo”, dall’altro. Dall’Unità d’Italia al 1939, il processo che aveva portato ad una compiuta disciplina della materia dei beni culturali era stato lungo ed elaborato. L’opinione pubblica aveva prestato grande attenzione al patrimonio culturale e raggiunto la consapevolezza che esso meritava la massima considerazione. Si registravano, però, grosse ostilità in ambito parlamentare. Prima dell’Unità il patrimonio culturale era stato disciplinato compiutamente con la normativa mutuata dallo Stato Pontificio: il sistema era organico, doveva condurre ad una tutela efficace del patrimonio, ma se talune forze spingevano in questa direzione, tal’altre contrastavano ferocemente una siffatta organizzazione, in forza dell’articolo 29 dello Statuto Albertino, che, come detto, sanciva l’inviolabilità della proprietà privata. I tentativi degli studiosi si arenavano sui lavori parlamentari, a cui tali forze si opponevano. La sistemazione odierna della materia trova importanti riferimenti negli interventi degli Stati preunitari, la maggior parte dei quali aveva previsto forme di controllo pubblico sulla circolazione e sulla conservazione delle cose d’arte e di 41 V. PONTRELLI, cit., 248. 19 storia. Il sistema normativo di tali Stati sarebbe rimasto in vigore a lungo, in quanto a lungo gli studiosi non erano a raggiungere un accordo sul tema della tutela giuridica del patrimonio 42. Solo con l’inizio del ventesimo secolo, i lavori parlamentari erano giunti all’emanazione di due importanti leggi, che erano degne di costituire un modello per la legislazione successiva43. 1.1.3. Dal 1939 ai giorni nostri. Nei primi decenni del XX secolo erano state emanate le prime leggi che si riferivano ad uso, conservazione e tutela “dei beni e delle cose di interesse storico, artistico e archeologico”44. Nonostante le difficoltà incontrate per rendere produttivi i lavori parlamentari, era un periodo fertile, ricco di riflessioni. La legge Rosadi denotava già una larghezza di vedute, in quanto tendeva ad ottenere una sistemazione integrale delle cose di interesse storico e artistico e delle bellezze naturali, cercando di potenziare il ruolo dello Stato, prevedendo una forte organizzazione amministrativa. Ci si stava inoltrando nel periodo fascista, particolarmente attento alla cura della “bellezza”. Questa normativa generale era stata integrata e corretta fino a giungere, nel 1939, alla emanazione di due leggi, che avrebbero rappresentato per oltre un cinquantennio la principale riforma del Novecento, in tema di tutela del patrimonio. Mi riferisco alla legge 1° giugno 1939, n. 1089 “Tutela delle cose di 42 Cfr. PONTRELLI, cit., 246, 247. Idem, 247, 248. 44 V. TRENTINI, cit., 23. 43 20 interesse artistico e storico” e alla L. 21 giugno 1939, n. 1497 “Protezione delle bellezze naturali”. Da notare che anche in questi testi legislativi non compare la parola museo. Tale riforma era legata al nome di Giuseppe Bottai che se ne era fatto promotore e garante, e che ricopriva, nel governo fascista, il ruolo di Ministro dell’Educazione nazionale. La trattazione introduceva la locuzione “beni culturali”, ma tale espressione non era ancora ufficialmente comparsa e l’oggetto preso in considerazione dalle leggi citate riguardava le “cose”: il nesso era ancora il valore materiale. L’identificazione di tali “cose” avveniva attraverso l’utilizzo di criteri restrittivi e classificazioni gerarchiche di natura estetica: si faceva riferimento alle cose aventi “cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica”, “bellezze panoramiche considerate come quadri naturali” 45. Tali stringenti caratteri permettevano la facile identificazione della cosa “di non comune pregio” e facilitavano l’intervento sui singoli oggetti, sia per la tutela, che per il restauro o la promozione. Anche se il linguaggio legislativo privilegiava l’elemento oggettivo, la base d’appoggio del legislatore era costituita dalla coscienza collettiva, che considerava le bellezze e i monumenti come “patrimonio culturale”, il quale forniva unità e identità alla comunità. La riforma Bottai possedeva numerosi pregi: essa, infatti, razionalizzava la legislazione precedente, integrandola con criteri e norme che non erano stati considerati adeguatamente. Individuava puntualmente la procedura di apposizione 45 V. M. MONTELLA, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003, 22. 21 del vincolo sui beni privati, mobili o immobili, attraverso l’atto di notifica, in modo che la fruizione diventasse pubblica. Venivano inoltre disciplinate conservazione, esportazione, importazione ed espropriazione dei beni. Solo le opere degli autori viventi venivano escluse dalla tutela, il commercio, infatti, ne sarebbe risultato inevitabilmente intralciato. Infine, nel caso di mancato rispetto dei precetti contenuti, erano previste norme sanzionatorie 46. Nonostante sulla carta la riforma si presentasse ben articolata e promettente, la sua attuazione fu assai difficile. C’era chi lamentava la mancata emanazione di un decreto applicativo atto a sviluppare alcune tematiche poste solo in termini generali47, compito che sarebbe stato comunque non facile, data la mancanza di precedenti a cui fare riferimento48. C’era chi invece sosteneva che la legge racchiudesse lacune e imperfezioni49 tali da incidere sul raggiungimento degli scopi prefissati50. Ma c’era anche un altro fattore significativo di cui è necessario tenere conto: era in atto la Seconda Guerra Mondiale, la quale non aveva certo contribuito allo spiegamento degli effetti della legge. Anzi il periodo era funestato dalla distruzione e dalla dispersione di un gran numero di opere51. Se però guardiamo la riforma dalla prospettiva attuale, essa appariva estremamente accorta e innovativa e poteva ancora rivestire il ruolo di fonte dei 46 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 46. Ciò per quanto riguarda soprattutto la L. 1089, per la L. 1497, infatti, un regolamento di attuazione venne emanato, il r.d. 1357/40. 48 In questo senso BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47. 49 Tra cui la mancanza di una compiuta definizione di “bene culturale”, a cui si sopperirà in seguito. 50 In questo senso TRENTINI, cit., 25. 51 Cfr. VOLPE, cit., 95. 47 22 principi vigenti in materia di conservazione, tutela e divulgazione del patrimonio 52. Al quadro fornito dalle leggi del ’39 si collega l’emanazione di altri due importanti provvedimenti: il Codice Civile nel 1942 e la Costituzione nel 1948. Il Codice Civile, attraverso gli articoli 822 e 824, ricomprende nel demanio dello Stato i beni immobili di interesse storico, artistico e archeologico e le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche 53. Il museo continuava ad essere considerato non in quanto istituto e servizio, ma in quanto collezione o luogo di “custodia delle cose”. La Costituzione, tappa basilare nella storia della Repubblica italiana, inseriva tra i suoi principi fondamentali quelli di promozione culturale e tutela del patrimonio. L’articolo 9 allacciava il principio della tutela del patrimonio storico e artistico e del paesaggio al dovere di promozione dello sviluppo della cultura 54. Proprio il compito di promozione suggeriva di “utilizzare” i beni come “strumenti di cultura”, e sulla base di questo procedere alla tutela, alla protezione ed al rispetto dei beni stessi55. La Costituzione stabiliva un collegamento tra bene e patrimonio culturale e definiva lo Stato italiano come “Stato di cultura”, imponendogli l’adozione di ruolo attivo per garantire lo sviluppo della cultura e la formazione di una coscienza collettiva che riconosca come valore quello della protezione del patrimonio56. 52 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47. Idem, 45, 46. 54 L’articolo 9 della Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. 55 In questo senso PONTRELLI, cit., 249. 56 Idem, 250, 251; cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47. 53 23 Il contesto storico in cui si trovava ad essere promulgata la Costituzione, e perciò anche i principi di cui abbiamo parlato, è tuttavia alquanto complesso. La Seconda Guerra mondiale era appena terminata e molti ritenevano quantomeno controproducente focalizzare l’attenzione e le energie su degli obiettivi così “marginali”. Tale atteggiamento aveva portato a non applicare la legislazione, inclusa la legge Bottai, ed a relegare i beni in uno stato di oggettivo abbandono 57. Negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie al massiccio sviluppo economico e sociale, si assisteva all’enorme espansione delle città, comprese le città d’arte. Di conseguenza era cresciuta, nell’opinione pubblica, la consapevolezza della necessità di proteggere il patrimonio. Sull’onda del movimento di opinione erano stati organizzati convegni intorno al problema e si promuovevano studi per conoscere a fondo il vero stato delle cose. Per perseguire efficacemente tutti gli scopi, il Ministero aveva istituito nel 1963 una Commissione parlamentare mista, formata da politici e studiosi, che viene ricordata con il nome di “Commissione Franceschini” 58. A quest’organo era affidato l’arduo compito di svolgere una completa indagine sull’intera problematica dei beni culturali, e definire proposte di legge per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali anche tramite la revisione di leggi già esistenti59. La Commissione aveva lavorato per due anni e pubblicato un documento in tre volumi intitolato “Per la salvezza dei beni culturali in Italia”, in cui delineava tutta la gamma dei beni culturali. È fondamentale notare che la Commissione definiva quelle che prima erano le “cose 57 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 47, 48. Dal nome dell’on. Francesco Franceschini che la presiedeva; l’istituzione avvenne con la l. 310/64. 59 Cfr. S. MUSMECI, Il concetto di bene culturale, Acireale, 1996, 15. 58 24 di interesse storico e artistico” come beni culturali, e in modo più specifico come beni che costituiscono “testimonianze materiali aventi valore di civiltà”, concetto composito in cui la materialità del bene confluiva nella immaterialità del valore ideale di civiltà60. La locuzione bene culturale implicava una nuova e diversa nozione di cultura, rappresentando un oggetto che include anche monumenti e cose assoggettabili a vincolo, ma “non si esauriva né materialmente né concettualmente nella loro somma”, “non ci si limitava più a episodi di eccellenza estetica”, ma si andava più a fondo per cogliere l’aspetto della “testimonianza delle passate civiltà” 61. Si passava dall’uso di un criterio “estetico” per l’individuazione del bene protetto a un criterio “storicistico”. La definizione era aperta, il suo contenuto non poteva essere vincolante e definito 62. L’accento doveva essere posto sul valore culturale del bene, sulla sua funzione sociale, e non sulla sua materialità. Anche l’intervento pubblico doveva essere diverso, meno rinchiuso nella tutela, ma aperto piuttosto a garantire la fruizione tramite le attività di valorizzazione e gestione. La formula utilizzata dalla Commissione per descrivere i beni culturali, ovvero “testimonianze aventi valore di civiltà”, era stata mantenuta anche in provvedimenti molto recenti, tra cui il Testo Unico del 199963 e il recente Codice 60 È la prima volta che l’espressione “beni culturali” compare in un documento ufficiale italiano, ma in realtà la definizione è presente già nel 1954 nella Convenzione Internazionale dell’Aja per la tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato, in questo senso TRENTINI, cit., 26; BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 48, 49; VOLPE, cit., 113, 114. 61 V. C. BARBATI, M. CAMMELLI, G. SCIULLO, Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2006, 2. 62 V. MONTELLA, cit., 31, 32. 63 D. lgs 29 ottobre 1999, n. 490 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell' art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352”. 25 del 200464. Ciò per sottolineare ancora una volta l’abbandono della materialità e l’adozione di una concezione più aperta e adeguata agli oggetti in questione, poiché “il diritto è un luogo di mediazione di interessi che nascono e si incrociano al di fuori di esso e in esso invocano riconoscimento e rispetto” 65. Purtroppo l’indagine condotta dalla Commissione non aveva portato ad alcuno specifico provvedimento normativo. Nonostante questo, il programma governativo non si era esaurito, nel 1968, infatti, era stata nominata un’altra Commissione parlamentare, la “Commissione Papaldo”, a cui era affidato il compito di proseguire il lavoro di indagine già iniziato e proporre uno schema di legge per la riforma delle strutture dell’amministrazione dei beni culturali 66. Anche gli studi condotti da questa Commissione non approdarono a un provvedimento definitivo e ufficiale. Negli anni successivi, indagini e dibattiti non si erano fermati e si lavorava alacremente per arrivare, nel 1975, all’istituzione del “Ministero per i beni culturali e ambientali” 67: il paese aveva, così, un organo specifico in grado di indagare efficacemente lo stato dei beni culturali e di intervenire in modo mirato. Con questa legge istitutiva del Ministero diveniva ufficiale l’uso dell’espressione bene culturale68. 64 D. lgs 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. 65 V. VOLPE, cit., 116, 117. 66 Non esisteva infatti una struttura autonoma che si occupasse di beni culturali, essi erano ancora affidati alla pubblica istruzione, con inefficienza di mezzi e di risorse finanziarie. 67 Con la L. 29 gennaio 1975, n. 5 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 14 dicembre 1974, n. 657, concernente la istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali”. 68 In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 1. 26 Di tanto in tanto venivano varate nuove leggi, che non portavano, tuttavia, ad una vera e propria riforma del settore, in quanto piuttosto rappresentavano delle misure di emergenza. Restava, quindi, in vigore, senza sostanziali modifiche, la legislazione Bottai. Si giunge a qualcosa di più concreto solo nell’ultimo decennio del Novecento: erano stati emanati una serie di provvedimenti che anzitutto tentavano di disciplinare i rapporti tra Stato, Regioni ed Enti Locali, nonché il coinvolgimento dei privati69. Vanno ricordate la “legge Ronchey” nel 1993 70 e la “legge Bassanini” nel 199771: la prima consentiva di attivare per la prima volta una collaborazione proficua tra il pubblico e il privato, permettendo l’ingresso nelle strutture museali di volontari costituiti in associazioni; la seconda, invece, ribadiva il compito della tutela come proprio dello Stato, prevedendo comunque una delega al Governo per il possibile conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti Locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Successivamente era stato emanato il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, con il quale si stabilivano le vie praticabili per una collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, che comprendono tutela, valorizzazione, gestione e promozione. Venivano compiutamente definiti concetti prima nebulosi, e trattati in modo sintetico: in 69 Di cui si parlerà più diffusamente in seguito, nel par. 1.3. L. 14 gennaio 1993, n. 4 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 novembre 1992, n. 433, recante misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni in materia di biblioteche statali e di archivi di Stato”. 71 L. 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. 70 27 particolare l’articolo 148 analizzava distintamente i concetti di bene culturale e ambientale, attività culturali, tutela, gestione, valorizzazione e promozione 72. Tuttavia, nonostante le competenze fossero divise tra i diversi livelli istituzionali, era difficile fissare dei confini operativi tra l’una e l’altra attività 73. Il d. lgs 112/98 procedeva ad una ripartizione delle competenze secondo il criterio della sussidiarietà: lo Stato aveva competenze specificamente individuate, mentre Regioni ed Enti Locali concorrevano all’attività di conservazione, anche se, per quest’ultima, non erano previsti né modalità, né mezzi di attuazione74. Da notare che la funzione della gestione, in particolare di musei o altri beni culturali, era “trasferibile”: salve le funzioni e i compiti di tutela riservati allo Stato, essa riguardava l’autonomo esercizio delle attività concernenti, tra l’altro, l’organizzazione ed il funzionamento, i servizi aggiuntivi, le riproduzione e le concessioni d’uso dei beni, lo sviluppo delle raccolte museali75. Il d. lgs. 112/98 aveva fornito anche un indiretto ma significativo contributo al riconoscimento formale del museo come istituto76. 72 Articolo 148: “1. Ai fini del presente decreto legislativo si intendono per : a) “beni culturali”, quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge; b) “beni ambientali”, quelli individuati in base alla legge quale testimonianza significativa dell’ambiente nei suoi valori naturali o culturali; c) “tutela”, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione; d) “valorizzazione”, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione; e) “attività culturali”, quelle rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte; f) “promozione”, ogni attività diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali.” 73 In questo senso MONTELLA, cit., 38. 74 Cfr. T. ALIBRANDI, P. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 159 - 161. 75 V. art. 152 co.3 d. lgs 112/98. 76 In questo senso MONTELLA, cit., 53; MAGNANI, cit., 214, 215. 28 Negli stessi anni in cui venivano emanati i citati provvedimenti legislativi, si metteva in moto una riflessione tra gli studiosi sulla possibilità di allargare il sistema dei beni culturali alle attività culturali. Tale volontà si era tradotta nel d. lgs. 368 del 1998 “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che concerneva altresì l’implementazione di attività come quelle teatrali, musicali, cinematografiche, danza e altre forme di spettacolo, la fotografia, le arti plastiche e figurative, il design industriale. Si introduceva anche la vigilanza sullo sport, competenze derivate dal soppresso Ministero dello sport, Turismo e Spettacolo. “Si realizzava a livello organizzativo il trapasso dal bene culturale, inteso come res, all’attività avente valore culturale”77. Il Ministero si occupava di tutela, gestione e valorizzazione dei beni considerati, secondo le disposizioni del d. lgs. 112/9878 e possedeva anche competenze e risorse in materia di diritti d’autore, attraverso la vigilanza sulla Società per il diritto d’autore; e competenze nel campo dell’editoria 79. Recentemente, il d. lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 “Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali”, ha realizzato una riforma delle divisioni interne al Ministero. Come si può facilmente notare, gli interventi in materia di beni culturali continuavano ad essere caratterizzati da affastellamenti di leggi e decreti che sebbene avessero lo scopo di “rendere meno oscuro” l’ambito delle competenze spettanti ai vari organi, non contribuivano a dare unitarietà al sistema. 77 V. ALIBRANDI, FERRI, cit., 118. Ora abrogato dal d. lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. 79 Cfr. VOLPE, cit., 329. 78 29 Alla fine degli anni Novanta, l’obiettivo dell’unitarietà sembrava meno lontano: con l’emanazione della la legge 8 ottobre 1997, n. 352 “Disposizioni sui beni culturali”, veniva affidato al Governo il compito dell’adozione di un decreto legislativo recante un Testo Unico nel quale fossero riunite e coordinate tutte le disposizioni vigenti in materia di beni culturali e ambientali80. Sebbene l’utilizzo di un Testo Unico implicasse l’accorpamento unicamente dell’esistente con scarso spazio per l’innovazione, era comunque un altro passo verso la riforma e la semplificazione. Il Testo Unico emanato era contenuto nel d. lgs. 490/1999, e trovava la sua base nella L. 1089/39 81, la quale rappresentava la legislazione di riferimento del periodo storico precedente. Per quanto riguarda i rapporti tra Stato, Regioni ed Enti Locali, la L. 1089 affidava la tutela solo allo Stato mentre il d. lgs. 490/99 riprendeva le disposizioni contenute nel d. lgs. 112/98 riguardo i trasferimenti di competenza dallo Stato alle Regioni. Qualche anno dopo, con la L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, venivano nuovamente messi in discussione e modificati i rapporti tra Stato e autonomie territoriali. Premesso che, nell’esercitare la propria potestà legislativa, Stato e Regioni devono adeguarsi al limite del “rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” 82, si poteva individuare un rafforzamento dell’autonomia spettante a Regioni, Province, Città 80 L’art. 1 co.1 di tale legge recita infatti: “Il Governo delle Repubblica è delegato ad emanare, entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali. Con l’entrata in vigore del testo unico sono abrogate tutte le previdenti disposizioni in materia che il Governo indica in allegato al medesimo testo unico.” 81 La quale, con l’entrata in vigore del Testo Unico, viene abrogata. 82 Art. 117 co. 1. 30 Metropolitane e Comuni; con questa riforma lo Stato è tutt’ora titolare di una potestà legislativa che può definirsi “speciale”, poiché esso è legittimato a disciplinare in via esclusiva, con proprie leggi, solo una serie di materie tassativamente elencate nel comma 2 dell’art. 117 Cost.. Per le restanti materie, la potestà legislativa va alle Regioni, che si trovano perciò a disporre di una potestà generale, che precedentemente spettava allo Stato. In base a quanto dispone il nuovo art. 117 Cost., alla potestà legislativa esclusiva dello Stato viene riservata la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”83, mentre alla potestà legislativa concorrente è assegnata la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “promozione e organizzazione di attività culturali” 84. La valorizzazione è ripartita tra Stato e Regioni in maniera orizzontale, secondo il criterio dell’appartenenza del bene, e in maniera verticale secondo lo schema della legislazione concorrente. Le materie appena citate verranno disciplinate con legge statale solo per quanto riguarda la determinazione dei principi fondamentali. Il legislatore costituzionale non fa nessun riferimento alla gestione, che la legislazione ordinaria, invece, include tra le attività delle quali possono essere oggetto i beni culturali85. E siamo all’ultima tappa, in ordine di tempo, del percorso di riforma e semplificazione perseguito dal legislatore: l’emanazione di quello che viene comunemente definito “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, entrato in vigore il 1° maggio 2004, attraverso il d. lgs. 42/2004. Tale decreto attua la legge 83 comma 2, lett. s). comma 3. 85 In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 106 – 109. 84 31 delega 6 luglio 2002, n. 137 “Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore” che all’articolo 10 delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali86. Il Governo avrebbe dovuto seguire taluni principi e criteri direttivi, tra cui: adeguamento agli articoli 117 e 118 della Costituzione; adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali; adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche; aggiornamento degli strumenti per la conservazione e la protezione dei beni anche con la costituzione di fondazioni; riorganizzazione dei servizi anche attraverso la concessione a soggetti diversi dallo Stato87. Il Codice è stato emanato a pochi anni di distanza dalla creazione del Testo Unico. Le motivazioni più plausibili si rintracciano nella già citata modifica del Titolo V parte seconda della Costituzione e nella mancanza di innovatività del provvedimento. Gli articoli 117 e 118 in particolar modo introducevano un riassetto delle competenze e delle funzioni in capo allo Stato e alle Regioni: l’art. 117, come abbiamo visto, modificava i criteri di ripartizione di competenze 86 Art. 10 co.1: “(Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore). 1. Ferma restando la delega di cui all’articolo 1, per quanto concerne il Ministero per i beni e le attività culturali il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e, limitatamente alla lettera a), la codificazione delle disposizioni legislative in materia di: a) beni culturali e ambientali; b) cinematografia; c) teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; d) sport; e) proprietà letteraria e diritto d’autore.” Art. 1 co.1: “(Deleghe di cui all’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59). 1. Il Governo è delegato ad adottare (…) uno o più decreti legislativi (…)”. 87 Cfr art. 10 co. 2 l. 137/2002. 32 legislative tra Stato e Regioni, rafforzando il ruolo regionale. Veniva, infatti, indicato un doppio elenco di materie che si riferiscono o alla potestà legislativa esclusiva dello Stato o alla potestà concorrente, lasciando le materie non espresse agli enti territoriali regionali. L’art. 118, invece, modificava la distribuzione di funzioni amministrative tra centro e periferia, le quali “sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”88; si cerca di spostare il più possibile vicino ai cittadini il centro amministrativo referente89. Si ritiene che il Testo Unico non sia stato innovativo: esso ha sì razionalizzato tutto l’immenso corpus legislativo che partiva dalle leggi del 1939, ma non ha apportato alcuna sostanziale modifica, riportando quasi inalterata tutta la normativa90. Se lo strumento del Testo Unico è un riordinamento di leggi già in vigore, realizzato per facilitarne la conoscenza e l’applicazione, il Codice è invece un testo organico che ha valore normativo di per sé, senza riferimento a leggi precedenti, diretto a regolare la totalità di un vasto campo dell’attività giuridica. La scelta di innovare la materia ricorrendo allo strumento del Codice fa riferimento innanzitutto ad esigenze di aggiornamento e anche di armonizzazione della disciplina per favorirne, allo stesso tempo, analisi e comprensione in armonia appunto con i principi di semplificazione, secondo i criteri predeterminati 88 Comma 1. In questo senso G. VIVOLI, Prime riflessioni sulla tutela del paesaggio alla luce del nuovo Codice dei beni culturali e sul paesaggio (d. lgs. 42/2004), reperibile all’URL: «http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/Codice_beni_culturali.htm» 90 Idem. 89 33 dal legislatore delegante91. La motivazione più forte rimane comunque la modifica sostanziale della Costituzione, che ha reso necessario un adeguamento al mutato scenario che andava creandosi. La nozione attuale di bene culturale si desume dall’art. 2, co. 2, e dagli artt. 10 e 11 del d. lgs. 42/2004: la definizione che troviamo riprende quella contenuta nell’art. 148, co. 1, lett a) del d. lgs 112/98 92 ed è nuova rispetto a quella fornita dal Testo Unico, il quale si limitava ad elencare i beni agli articoli 2 e 3. Tale innovazione opera tuttavia solo sul piano formale: infatti le formulazioni del Testo Unico vengono poi riprese negli articoli 10 e 11 del Codice e troviamo anche l’uso dell’art. 148 del d. lgs 112/98 93. Le entità che il legislatore descrive come beni culturali sono caratterizzate dalla materialità, basti notare che gli articoli 10 e 11 parlano di cose mobili e immobili. In ogni caso l’art. 2, co.2, ultima parte consente la configurazione di uno o più tipi di beni culturali immateriali, che quindi non consistono in beni mobili o immobili; possono essere, ad esempio, opere della letteratura, della musica, dell’ingegno. C’è un altro punto da considerare: le attività culturali, che secondo la Corte Costituzionale “riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura”94 e non sono disciplinate dal regime giuridico dei beni culturali perché non possono essere ricondotte ai tipi di cui si parla negli articoli 10 e 1195. 91 In questo senso TRENTINI, cit., 28. Il testo integrale dell’articolo è già stato riportato precedentemente, in nota. Si noti che tale decreto legislativo è stato abrogato con l’entrata in vigore del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. 93 In questo senso, BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 2 - 3. 94 V. Corte Cost. 19 luglio 2005, n. 285; e 21 luglio 2004, n. 255; BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 4. 95 Cfr. BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 4. 92 34 Per quanto riguarda le categorie speciali all’art. 11, vengono considerati una serie più ampia di beni rispetto a quella che prevedeva il Testo Unico: troviamo infatti “opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni” e “le opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico”96. La normativa statale ora vigente in materia di tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali e paesaggistici è quindi quella contenuta e disciplinata nel Codice97. Si noti che il termine “ambiente” usato per il Testo Unico, è stato sostituito dal termine “paesaggio”. La Corte Costituzionale era già intervenuta, riconoscendone la novità: “il paesaggio passa da una tutela puramente estetica di cose e di luoghi, considerati ciascuno per se stesso, ad una tutela di carattere globale”98, inoltre il sostantivo paesaggio evita la confusione tra i Ministeri, dal momento che già esiste un Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Nel maggio 2006 sono entrate in vigore alcune modifiche al d. lgs 42/2004 tramite il d. lgs. 24 marzo 2006, n. 156 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali” ed il d. lgs. 24 marzo 2006, n. 157 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”. La riforma tocca il procedimento di “verifica dell’interesse culturale” e di autorizzazione per interventi edilizi sui beni tutelati; riguarda inoltre il livello di valorizzazione dei 96 Art. 11 lett. d) e lett. e). Cfr. R. TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Milano, 2004, 2. 98 Idem, 149. 97 35 beni culturali attraverso la gestione diretta o indiretta dei beni, di cui si parlerà più diffusamente in seguito. 1.2 Uno sguardo all’estero, la dimensione sovranazionale dei beni culturali Nel primo paragrafo è stata trattata in dettaglio la nascita, lo sviluppo e l’affermazione del dovere di protezione dei beni culturali nel nostro paese. Percorso lungo, che ha conosciuto momenti storici di disinteresse, incuria e abbandono ed altri caratterizzati, invece, da fervore e vitalità nel riconoscimento di un patrimonio nazionale meritevole di tutela efficace, mirata e duratura. Durante le guerre era prassi saccheggiare i paesi conquistati e impossessarsi dei loro beni, attività considerata legittima poiché nei trattati di armistizio erano inserite delle clausole in merito, appositamente studiate. È possibile riconoscere un’attenuante al fautore principale di questa pratica: Napoleone Bonaparte; egli intendeva contribuire alla crescita culturale del proprio paese e non a caso in Francia in quel periodo erano stati istituiti alcuni tra i più famosi musei del mondo, tra cui il Louvre. Questo museo conteneva molti importanti collezioni artistiche appartenenti alle dinastie più antiche d’Europa, acquisite in una prospettiva lungimirante di pubblica fruizione del patrimonio, favorendo il passaggio verso una concezione più moderna di museo, che si preoccupa di far progredire la società99. Col passare del tempo, in numerosi trattati di pace erano state previste clausole di restituzione e si era affermato quindi il 99 In questo senso D. AMIRANTE, V. DE FALCO, Tutela e valorizzazione dei beni culturali, aspetti sopranazionali e comparati, Torino, 2005, 9. 36 principio di ricostituzione dei singoli patrimoni nazionali, in relazione a criteri di sovranità e proprietà, ma anche di legami con il territorio e la collettività100. Si potevano, così, individuare un nucleo di norme, dapprima consuetudinarie, che regolavano il comportamento delle parti a livello internazionale. Si veniva affermando un diritto dei beni culturali, regolato dal diritto pubblico, essendo i beni considerati oggetti di particolare pregio attribuiti alla sovranità 101. Dopo le norme di natura consuetudinaria era cresciuta l’importanza della codificazione, attraverso la predisposizione di numerose convenzioni, ma ciò solo dalla seconda metà del XIX secolo. Grossa influenza sulle successive codificazioni aveva avuto la Dichiarazione di Bruxelles del 1874 che conteneva principi che per la prima volta erano accorpati in un progetto generale su questa materia, come l’impegno dei paesi belligeranti a prendere tutte le misure necessarie per preservare gli edifici destinati al culto, all’educazione, alle arti. Questi principi erano stati poi ripresi nelle due Convenzioni dell’Aja, elaborate nel 1899 e nel 1907. La tutela durante la Prima Guerra Mondiale, però, era rivelata insufficiente. Tra le due guerre erano stati proposti vari progetti di protezione, tra cui quello dell’Ufficio Internazionale dei Musei che ancora però non avevano dato risultati apprezzabili. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale chiunque poteva rendersi conto della situazione di degrado in cui versavano gli Stati e dell’enorme quantità di perdite subite, sotto diversi punti di vista. Tale contesto aveva almeno favorito la cooperazione tra le Nazioni, per raggiungere scopi di interesse comune, mediante 100 Cfr. M. FRIGO, La circolazione internazionale dei beni culturali, Milano, 2001, 83, 84. Cfr. I. DE PAZ (a cura di), Il diritto dei beni culturali nell’Unione Europea, Genova, 2004, 18; L. MEZZETTI (a cura di), I beni culturali, esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti, Padova, 1995, XV. 101 37 la costituzione di organizzazioni internazionali, associazioni di stati dotate di personalità giuridica. Uno degli obiettivi principali era l’affermazione di principi di giustizia sociale, solidarietà, dignità e libertà per ogni uomo. L’attenzione successiva anche per i beni e il patrimonio culturale va inquadrata in questa prospettiva più ampia di realizzazione di valori di tipo etico – sociale. Si era realizzato in questo modo un profondo dinamismo, fondamentale sia per la trasmissione del patrimonio alle generazioni future sia per l’individuazione delle peculiarità legate alla fruizione, a livello nazionale e internazionale 102. Nei successivi sottoparagrafi verranno analizzate le diverse tipologie di organizzazioni internazionali e il loro operato, assieme alle tappe fondamentali segnate dalle convenzioni internazionali. L’indagine si sposterà poi sul contesto europeo, attraverso la politica culturale e la produzione normativa; infine, verrà proposta una comparazione tra alcuni paesi europei in merito alle rispettive organizzazioni interne. 1.2.1 Organismi e convenzioni internazionali per la tutela dei beni culturali Dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1945, è stata istituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), una delle più conosciute organizzazioni internazionali. Tra i vari compiti suoi propri troviamo la promozione della cooperazione tra gli Stati a molteplici livelli, tra cui quello culturale e il perseguimento della pace e della sicurezza nel mondo. È nel contesto di collaborazione internazionale culturale ed educativa che può essere inquadrata 102 In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 5. 38 un’altra organizzazione internazionale, nata nell’ambito dell’ONU: l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (U.N.E.S.C.O.), istituita a Parigi sempre nello stesso anno. Anch’essa riprende taluni degli obiettivi fatti propri dall’ONU e opera promuovendo la cooperazione tra le Nazioni e verificando la conservazione e la protezione del patrimonio universale formato da opere d’arte, monumenti, libri. Un efficace strumento per realizzare questi compiti è la convenzione: si ricorda per la sua particolare importanza la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all’Aja nel 1954, e ratificata in Italia nel 1958, che costituisce il primo strumento internazionale interamente ed esclusivamente dedicato ai beni culturali ed inoltre reca con sé l’utilizzo, per la prima volta in un trattato internazionale, dell’espressione “beni culturali”, interiorizzata dagli Stati e ormai entrata nel linguaggio comune. Sullo stesso filone riguardante la difesa del patrimonio si pone la convenzione di Parigi del 1972, riguardante la protezione su di un piano mondiale del patrimonio culturale e naturale. Si devono ricordare due principi: da un lato l’esistenza di un patrimonio mondiale comune che supera le realtà nazionali e dall’altro la presenza di un principio di sovranità degli Stati nell’ambito dei loro territori103. I beni che rientrano nella nozione di patrimonio culturale e naturale vengono specificati nella Convenzione stessa, in modo da individuarne l’ambito di applicazione. Gli Stati firmatari li individuano nel loro territorio e provvedono alla loro iscrizione in una particolare lista di beni di “valore universale eccezionale” garantendone la protezione, la conservazione e la 103 Idem, 23, 24. 39 valorizzazione. Facciamo un passo indietro, nel 1970 era stata firmata ancora a Parigi un’altra Convenzione U.N.E.S.C.O., atta ad implementare misure da adottare per impedire e vietare l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali. Si era sentita, infatti, l’esigenza di proteggere il patrimonio presente su ciascuno Stato da queste attività illegali e si era rafforzata, così, l’idea che fosse necessario proteggere il patrimonio sia a livello nazionale che internazionale, attuando una stretta collaborazione. La Convenzione suddetta presentava però delle questioni irrisolte e di difficile interpretazione: non riusciva a penetrare in profondità nelle controversie tra privati o tra stati e privati, arrestandosi all’ambito del diritto internazionale pubblico e attuando comunque una cooperazione generica fra gli Stati104. Questi sono senza dubbio alcuni dei motivi che avevano spinto l’U.N.E.S.C.O. a coinvolgere l’Istituto Internazionale per l’unificazione del diritto privato, l’UNIDROIT, affinché elaborasse uno studio volto ad approfondire la tematica della restituzione dei beni culturali trafugati, dal punto di vista privatistico. La Convenzione elaborata dall’UNIDROIT nel 1995 avrebbe dovuto costituire uno strumento complementare alla già citata Convenzione di Parigi del 1970, attraverso l’introduzione di norme materiali uniformi nei rapporti privatistici105. La Convenzione UNIDROIT cerca tutt’oggi di agevolare la restituzione dei beni culturali e di rafforzare la cooperazione culturale internazionale per una più efficace preservazione e protezione del patrimonio culturale. 104 105 Cfr. FRIGO, cit., 136. In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 38. 40 A completare il quadro delle organizzazioni intergovernative intervengono il Consiglio d’Europa e la stessa Comunità Europea. Il Consiglio d’Europa è la più antica organizzazione politica dell’Europa occidentale. Questo organismo è stato istituito nel 1949 e si è distinto per l’adozione di numerose convenzioni, a livello europeo, relative a specifici settori: archeologia, architettura, paesaggio. Della Comunità europea parleremo in seguito, ma merita attenzione anche un altro organismo intergovernativo: l’International centre for the study of the preservation and the restoration of cultural property 106 (I.C.C.R.O.M). Esso è nato nel 1956, nell’ambito di una conferenza generale dell’U.N.E.S.C.O.; in seguito ad un accordo col governo italiano, si è deciso di fondare tale centro a Roma, nel 1959. Questo organismo si avvale dell’attività di numerosi esperti specialisti, i quali si occupano dei problemi tecnico – scientifici di conservazione e restauro. Le molteplici attività possono essere svolte anche in collegamento con altri istituti come il Consiglio internazionale per i monumenti e i siti storici, I.C.O.M.O.S., fondato nel 1965, con sede a Parigi, importante nel settore della conservazione del restauro. Altri contributi possono derivare anche dal Consiglio internazionale dei musei, I.C.O.M., fondato nel 1946, il cui scopo è la promozione e lo sviluppo dei musei nel mondo e la diffusione della cooperazione fra le istituzioni museali e gli operatori del settore. Tale struttura è affiliata a numerose associazioni internazionali e fornisce assistenza tecnica all’U.N.E.S.C.O. e ai paesi membri. Si ricorda soprattutto che l’I.C.O.M. ha fornito una definizione di museo, argomento che vedremo comunque in seguito. 106 Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali. 41 1.2.2 I beni culturali e l’Unione Europea Il trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Economica Europea, non conteneva alcuna disciplina specifica volta a regolamentare i beni culturali. Non c’erano norme che servissero a tracciare il ruolo della Comunità rispetto agli Stati membri e le modalità di azione della stessa in ambito culturale: gli obiettivi perseguiti infatti erano di natura strettamente economica. Nel trattato istitutivo il patrimonio era preso in considerazione solo come “motivo” per derogare al principio di libera circolazione tra gli Stati membri, in questo caso libera circolazione delle merci. Tale deroga, prevista nell’articolo 36 107, imponeva l’individuazione specifica dei beni culturali appartenenti al patrimonio, per poterne usufruire. Numerosi sono stati i conflitti sorti sull’ampiezza di questa deroga e altrettanto numerose le pronunce del giudice comunitario. Secondo la Corte di Giustizia i beni di interesse storico, artistico e archeologico erano comunque considerati merci a cui potevano essere applicati divieti o restrizioni. Nel periodo che va dagli anni Settanta ai Novanta, la Comunità Europea aveva avviato una discussione sulla tutela del patrimonio artistico; di fatto non era ancora stata fissata una norma sul patrimonio culturale, che stabilisse principi, criteri e mezzi. Un passo importante è stato l’introduzione dell’Atto Unico Europeo nel 1986, la prima riforma ufficiale e sostanziale del settore della cultura. Esso aveva ampliato poteri e politiche della Comunità e nella dichiarazione allegata al testo unico si era affermato che gli stati avevano diritto di adottare le misure necessarie 107 Articolo che fa riferimento al patrimonio storico, artistico e archeologico della nazione; nella numerazione precedente, del trattato di Amsterdam, era articolo 30. 42 in materia, tra le altre cose, di lotta contro il traffico di opere d’arte e di antichità. Si discuteva inoltre sull’inserimento di un articolo specifico sulla cultura, misura che sarebbe stata presa solo nel 1992 con il trattato di Maastricht, con il quale era stata introdotta una vera e propria “politica culturale europea”. L’aspetto della cultura “assurge ad interesse pubblico di rango primario”108, divenendo la cooperazione culturale fra gli stati membri un obiettivo ufficialmente riconosciuto dell’azione comunitaria. Il titolo XI109 all’art. 128110 sanciva gli obiettivi dell’azione comunitaria in materia di “cultura”: il compito dell’Unione doveva essere quello di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità culturali111, di incoraggiare la conoscenza e la diffusione delle culture e della storia dei popoli, di conservare il patrimonio europeo112 e infine di favorire la cooperazione tra gli stati, con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali113. Tutto ciò spinto dai “vantaggi che potevano derivare al processo di integrazione economica dal perseguimento di una forma di integrazione culturale”114. L’art. 128115 era l’unica base sicura su cui si fondavano le politiche culturali: esso indirizzava l’azione delle istituzioni dell’Unione verso il sostegno sia della cooperazione fra gli stati membri, che delle politiche nazionali in materia. Sulla base di tale articolo la Comunità aveva varato 108 Vedi A. FANTIN, La cultura e i beni culturali nell’ordinamento comunitario dopo la Costituzione Europea, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/3/fantin.htm» 109 Ora titolo XII del trattato di Amsterdam. 110 Ora art. 151 del trattato di Amsterdam. 111 Comma 1. 112 Comma 2. 113 Comma 3. 114 V. B. ACCETTURA, I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2003/2/accettura.htm» 115 Ora art. 151 del trattato di Amsterdam. 43 i primi programmi di sostegno economico al settore culturale. L’articolo prevedeva inoltre che le maggiori responsabilità e i maggiori compiti in materia restassero affidati ai singoli Stati. Il trattato di Amsterdam del 1997 poneva semplicemente una nuova formulazione dei trattati precedenti e confermava il principio di tutela dei patrimoni culturali nazionali. La Comunità ha anche il compito di elaborare programmi comunitari in materia di cultura. L’organo preposto a tal compito è la Direzione generale istruzione e cultura della Commissione Europea. Questi programmi si occupano in generale di formazione, gioventù, cultura, sport e incoraggiano la cooperazione europea e stimolano l’innovazione116. L’azione comunitaria era già iniziata negli anni Ottanta, con azioni finalizzate al sostegno del patrimonio e la formazione del personale nel settore della conservazione. Dalla fine del decennio si era preferito concentrare risorse e iniziative verso un unico tema per un anno, con criteri di selezione e bandi pubblicitari sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità. Ricordiamo i programmi elaborati da metà degli anni Novanta: Raffaello, per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio; Arianna, per il settore letterario; Caleidoscopio che coinvolgeva anche il settore delle arti applicate e del multimediale. Questi programmi hanno costituito la prima fase della realizzazione dell’azione comunitaria nel campo culturale, tramite il rafforzamento e l’estensione delle collaborazioni transnazionali, il miglioramento dell’accesso del pubblico alla cultura e la promozione di attività culturali europee. Facendo tesoro delle 116 Cfr. P. GROSSI, I programmi specifici nel settore del patrimonio culturale, in DE PAZ (a cura di), cit., 53, 54. 44 esperienze realizzate e con la crescente importanza del settore della cultura, la Comunità aveva approvato il primo Programma Quadro della durata di cinque anni, per il periodo 2000 – 2004, denominato Cultura 2000. La principale finalità della Comunità era l’azione organica e omogenea, attraverso un unico strumento di programmazione e finanziamento. Le attività erano realizzate con la collaborazione di più stati e perseguivano svariati obiettivi, tra cui migliorare l’accesso alla cultura, conservare e valorizzare il patrimonio, favorire la creazione di prodotti multimediali, promuovere il dialogo tra le culture e diffondere con le nuove tecnologie le manifestazioni culturali dal vivo. L’ultimo passo, in ordine di tempo, nella politica europea, è stata l’emanazione della Costituzione Europea, la quale, tuttavia, ha incontrato parecchie difficoltà in sede di ratifica. Essa non presenta delle sostanziali modifiche alle disposizioni che proponeva il trattato di Maastricht nel titolo dedicato alla cultura, resta ferma l’intenzione da parte della Comunità di non armonizzare il settore della cultura, ma operare solamente come sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli stati. Sono stati promossi nuovi strumenti di programmazione e finanziamento, tra cui il programma Cultura per il periodo 2007 – 2013, che è indirizzato alla promozione della circolazione transnazionale delle opere d’arte e dei prodotti culturali e artistici, a sostenere il dialogo interculturale attraverso organismi culturali attivi a livello europeo e il programma Media 2007, che vuole incentivare la digitalizzazione e rafforzare la competitività del settore audiovisivo 117. 117 Cfr. I. QUADRANTI, La politica culturale europea nel periodo di riflessione sul futuro dell’Unione, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/3/quadranti.htm» 45 1.2.3 Protezione in taluni Stati Europei e cenni su quella oltreoceano Poniamo ora l’attenzione sui paesi che compongono l’Unione Europea. In tutti gli Stati è riconoscibile una politica di protezione e valorizzazione dei beni culturali; vedremo, quindi, come si declina la nozione di patrimonio culturale. La politica che concerne beni culturali e cultura mostra effetti tangibili solo nel lungo periodo: i benefici, infatti, non sono immediatamente percepibili e non coincidono con i tempi ristretti del sistema politico. I costi, invece, sono facilmente valutabili e creano comunque disaccordo e conflitto nella comunità 118. L’analisi dei concetti di patrimonio toccherà i seguenti paesi: Spagna, Germania, Grecia, Gran Bretagna e Francia, con particolare attenzione per lo stato francese e quello britannico. In Francia e in Spagna, nei primi interventi legislativi, venivano fornite delle lunghe liste di oggetti ritenuti meritevoli di interesse, per passare poi, tra Ottocento e Novecento, all’utilizzo di termini più sobri e onnicomprensivi come “monumenti storici”, per la Francia, o “tesoro artistico nazionale”, per la Spagna. Nel corso del Novecento era entrata in gioco l’espressione “beni culturali”119, ma tale locuzione era stata completamente interiorizzata solo in Italia; Francia e Spagna, invece, preferivano fare riferimento al “patrimonio culturale”120. Il legislatore francese, utilizzando il termine patrimonio, voleva evocare l’idea del passaggio, della trasmissione, come se il patrimonio fosse una sorta di eredità che va preservata per poi essere consegnata integra ai posteri, i 118 In questo senso L. BOBBIO (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, 1992, 12. 119 120 Introdotta, come abbiamo visto, dalla Convenzione dell’Aja del 1954. Cfr. BOBBIO, cit., 15. 46 quali a loro volta avranno lo stesso compito. Anche in Spagna si riconosce l’idea dell’eredità; il valore tutelato è immateriale ed è strettamente connesso all’interesse sociale. Si stabilisce con legge un’ampia definizione di patrimonio culturale: “fanno parte del patrimonio storico spagnolo gli immobili e gli oggetti mobili di interesse artistico, storico, paleontologico, archeologico, etnografico, scientifico o tecnico”121. In Germania ciò che viene tutelato ha un’estensione più limitata ed è anche problematico fornirne una definizione univoca: si usa il termine “monumenti” che non ha però un significato giuridicamente determinato. È difficile riconoscere una corrispondenza coi beni culturali, anche perché la maggior parte delle leggi tutela i beni immobili. La peculiarità è che il territorio statale ha subito plurime frammentazioni e ciò non ha contribuito alla formazione di una sola espressione. Ogni Land definisce ciò che è per esse rilevante come patrimonio e procede a legiferare per quel settore122. In Grecia si riconosceva già nell’Ottocento l’importanza storico – culturale dei propri beni culturali, considerati ancora singolarmente come oggetti “di valore” come le opere d’arte o comunque i beni archeologici. Si cominciavano a proteggere questi beni antichi dalla sottrazione, poiché costituivano testimonianze del passato e della civiltà. La Costituzione greca parla di “ambiente culturale” e la giurisprudenza ha talmente esteso il concetto da influenzare e modificare la legislazione in vigore. Oltre a beni immobili e mobili, i beni tutelati sono sempre 121 V. ACCETTURA, cit. Cfr. G. COFRANCESCO, I beni culturali, profili di diritto comparato ed internazionale, Roma, 1999, 133. 122 47 più astratti, si avvicinano alla memoria storica e all’estetica 123. Nonostante l’ampia tutela riconosciuta ai beni, non esiste una vera e propria definizione. Un disegno di legge del 2001 proponeva una definizione che si avvicinava a quella data dalla Commissione Franceschini: “bene culturale come testimonianza dell’attività individuale e collettiva dell’uomo”124. Ma approfondiamo alcuni aspetti che riguardano la tutela del patrimonio in Gran Bretagna e in Francia. L’interesse per le antichità è nato, in Inghilterra, nel tardo Settecento, quando era diffusa la prassi dei Grand Tours125, alla scoperta delle antichità greche e romane, ma solo nella seconda metà dell’Ottocento veniva fondata la prima “Society for the protection of ancient buildings”, un soggetto privato con finalità di conservazione del patrimonio interno allo stato. Il Regno Unito presenta delle forti peculiarità rispetto agli altri Stati: non esistono nozioni di patrimonio o di bene culturale paragonabili a quelle già rinvenute, non si fissano categorie. Ne consegue che la materia possiede una tutela “elastica”, che si adatta alle situazioni e trae gran parte della sua forza dall’esperienza. L’unica definizione usata è “cultural heritage”, concetto onnicomprensivo a cui si fa riferimento per fondare tutte le misure di protezione. Si noti, però, che le forme di tutela più forti e incisive vanno verso i beni immobili e i siti archeologici; i beni mobili, invece, non sono sottoposti a una vera e propria protezione. 123 In questo senso MEZZETTI (a cura di), cit., 339 – 341. V. ACCETTURA, cit. 125 Cfr. par. 1.1. 124 48 Nel Regno Unito l’azione dei privati volontari è stata più tempestiva di quella dello Stato. Le motivazioni sono prevalentemente socio culturali: l’immobile circonda il cittadino e la sua distruzione incita un immediato intervento. In questo paese inoltre tutelare il patrimonio immobiliare è sempre andato di pari passo con la regolazione dello sviluppo urbanistico e architettonico e lo sfruttamento del territorio 126. Gli interventi cominciano all’inizio del Novecento per controllare lo sviluppo delle aree urbane, compiti affidati inizialmente a uno specifico Ministero, confluito poi nel Department of environment, (Dipartimento dell’Ambiente), che oggi è Department of the environment, transport and the regions127. Lo affianca, nel settore della cultura, il Department of national heritage, che oggi è divenuto Department of national heritage, media and sport128. Il suo segretariato di stato ha assunto talune delle funzioni prima appartenenti al segretariato di stato per l’ambiente, come la redazione e approvazione delle liste di edifici meritevoli di tutela 129. In Gran Bretagna ha un ruolo rilevante tutto l’apparato amministrativo locale. Troviamo in particolare i District Councils, responsabili per la conservazione e la tutela, i quali orientano l’urbanistica e forniscono consulenze130. Il governo locale e quello centrale sono messi in comunicazione attraverso delle commissioni, tra cui la Historic Buildings and monument commission for England che nasce dalla fusione di precedenti associazioni ed è 126 Cfr. BOBBIO, cit., 118. Con il relativo Secretary of State for the environment, transport and the regions. 128 Il quale è responsabile per le arti, i musei, le gallerie, le biblioteche, le esportazioni, la radiodiffusione, il cinema, lo sport e il turismo. 129 Di cui si parlerà nel prosieguo di questo paragrafo. 130 Si prendono cura, inoltre, delle Conservation areas, delle particolari zone con importanza storica, su cui un controllo locale ha sicuramente maggiore effettività. 127 49 più nota come English Heritage, la quale amministra i fondi messi a disposizione dal Ministero concedendo sovvenzioni e finanziamenti, detti grants, e sorveglia la politica di conservazione. Troviamo poi il National Heritage Memorial Fund che si occupa di prevenire la svendita del patrimonio artistico nazionale a dei privati che abbiano finalità speculative o ad acquirenti di altri paesi. Entrambi gli organismi sono stati creati negli anni Ottanta e sono detti quasi – autonomous non governmental organisation, o quangos, e si occupano anche dei compiti del governo alleggerendo così il carico di lavoro e fornendo consulenza. Le associazioni private sono numerose e svolgono compiti indispensabili, sia consultivi che progettuali, sia di pressione che di mobilitazione. Su scala nazionale, l’associazione in assoluto più importante è il National trust (for place of historical interest or naturali beauty), fondato nel 1895, la cui logica è parzialmente commerciale, ma non ha finalità di profitto e prospettive concorrenziali. Acquista a somme modeste degli edifici che necessitano di intervento di conservazione e restauro e lo fa con fondi propri o provenienti dallo stato. Se possibile, gli edifici vengono lasciati in uso e anche aperti al pubblico. A livello locale troviamo le Amenity societies, associazioni locali e di quartiere con funzioni simili a quelle degli enti nazionali e anch’esse si occupano di conservazione, e hanno funzioni consultive e promozionali. In Gran Bretagna è importante distinguere tra i compiti di tutela e di gestione. L’intervento pubblico è forte nella tutela, ma per quanto riguarda la gestione, la tendenza è quella di affidarla ai privati, ogni qualvolta sia possibile e per agevolarla si concedono grants. I progetti di finanziamento e conservazione 50 sono attivi in tutta la Gran Bretagna e i piani di svolgimento del progetto comprendono anche il numero e l’entità degli investimenti. È importante anche l’Heritage Lottery Fund, che attraverso il National Heritage Memorial Fund distribuisce i proventi della lotteria nazionale destinati al patrimonio culturale131. Queste associazioni sono estremamente attive in campo culturale e predispongono dettagliati piani d’azione132. Sono quindi tre i gruppi di soggetti che agiscono: apparati del governo centrale, istituzioni culturali della società civile e autorità locali, il sistema fornisce così una protezione articolata e diffusa, con attività policentrica. È necessario specificare l’oggetto della conservazione; per farlo è obbligatoria una primaria distinzione tra ancient monuments e historic buildings. I primi sono edifici risalenti a un tempo precedente al 1700, di cui non si può fare alcun uso; i secondi sono tutti gli altri edifici di interesse storico e artistico che si prestino a qualche tipo di uso. Ad una prima distinzione ne segue una seconda, poiché esistono due diversi modi di catalogazione: gli ancient monuments vengono schedati in un apposito registro e appartengono così agli scheduled monuments; gli historic buildings invece possono appartenere ai listed buildings, e per farlo devono rispondere a particolari criteri. 131 Possiamo riconoscere una pratica simile anche in Italia, dal 1996 una legge stabiliva che “una quota degli utili derivanti dalla nuova estrazione del gioco del lotto fosse destinata al Ministero per i beni culturali, per assicurare interventi di conservazione e recupero” degli stessi. 132 Un efficace quadro di queste attività è reperibile sui siti web: «http://www.englishheritage.org.uk» e «http://www.hlf.org.uk», sito dell’Heritage Lottery Fund. 51 I differenti modi di catalogazione non dipendono da una scelta legislativa, ma dalla stratificazione culturale. Sono importanti perché per eseguire qualsiasi modifica e intervento sui monuments è necessaria un’apposita autorizzazione133. È possibile fare alcune osservazioni di carattere comparatistico rispetto all’ordinamento italiano: in primo luogo vediamo che, mentre lo stato italiano tende all’accentramento e tutti gli interventi provengono dal Ministero, nel Regno Unito si privilegia l’azione locale. Tuttavia, negli ultimi anni, la necessità di un’azione più effettiva ha favorito in Italia, il decentramento e l’affidamento di compiti agli enti locali. Nel nostro paese inoltre l’intervento dei privati è prevalentemente a scopo di lucro 134 e la tutela si differenzia per i beni pubblici e per quelli privati; i beni privati di particolare importanza hanno bisogno della dichiarazione del vincolo, cioè di una notifica, per la tutela. In Gran Bretagna è irrilevante che i beni siano pubblici o privati, inoltre la disciplina per la tutela dei beni culturali fa parte della disciplina urbanistica, quindi nessun contrasto di competenze come accade in Italia. Incontriamo una similitudine tra Italia e Regno Unito per quanto riguarda gli edifici storici, essi devono avere eccezionale interesse. Passiamo a considerare qualche aspetto che riguarda la protezione del patrimonio in Francia. Abbiamo già visto cosa intendono i francesi per patrimonio culturale, l’idea di tramandare una ricchezza che deve essere quindi mantenuta integra e per questo tutelata. Una vera e propria politica di tutela è riconoscibile solo dopo la fine della Rivoluzione francese. Prima esisteva completa libertà nel 133 134 Cfr. BOBBIO, cit., 119 – 123; COFRANCESCO (a cura di), cit., 180 – 187. Come si vedrà poi nel par. 1.3.2. 52 disporre dei monumenti antichi, ma poco a poco si prende coscienza del carattere “nazionale” del patrimonio e del fatto che la sua difesa debba essere un compito dei poteri pubblici. A metà dell’Ottocento è stata compilata una prima lista di monumenti protetti da una commissione che si occupa anche di esaminare progetti di restauro e richieste di contributi135. La prima legge organica di salvaguardia risale alla fine del secolo, ma è solo con l’inizio del Novecento che troviamo l’emanazione della legge che ha costituito l’inizio della moderna politica di tutela e il testo fondamentale di riferimento. Siamo nel 1913: la legge136, successivamente integrata e modificata, dispone la protezione di “beni immobili e mobili che rivestono un pubblico interesse dal punto di vista storico e artistico, in particolare siti storici, artistici, pittoreschi e leggendari, le città e i quartieri antichi”137. Si riconoscono due diversi metodi di protezione: le classement o l’inscription sur l’inventaire supplémantaire. Il provvedimento del classement è più incisivo, il bene che vi è soggetto infatti non può essere, per ipotesi, distrutto o modificato senza previa autorizzazione. Anche un bene di recente esecuzione può essere incluso, riguarda sia beni mobili che immobili, sia pubblici che privati, ed è necessario che avvenga un riconoscimento formale. Il patrimonio è comunque generalmente riconosciuto come immobiliare e la protezione per i beni mobili risulta meno intensa. L’iscrizione, invece, è una misura più debole per quanto riguarda gli effetti. Il proprietario, infatti, è tenuto solo a informare il ministero dei lavori che intende effettuare e quest’ultimo è legittimato ad opporsi solo procedendo alla classificazione dell’immobile. 135 Cfr. BOBBIO, cit., 71, 72. Loi du 31 Décembre 1913 modifiée sur les monuments historiques. 137 Cfr. S. ITALIA, I beni culturali in Italia e in Europa, Udine, 1999, 392. 136 53 Sia in Francia che in Gran Bretagna si assoggettano a regime di tutela i beni che rientrano nelle definizioni fornite dalle disposizioni normative e tutto è preceduto da una decisione pubblica, sia per i beni pubblici che privati. In Italia, invece, il procedimento di riconoscimento del valore culturale è differente, a seconda che si tratti di un bene di proprietà pubblica o privata, anche se, in ogni caso, l’attività di protezione che ne consegue è la stessa138. Le competenze relative al patrimonio inizialmente erano distribuite a vari organi, solo nel 1959 le facoltà relative alle materie di interesse culturale vennero riunificate in un nuovo apparato specializzato, il Ministero degli affari culturali, che cambiò più volte denominazione fino ad approdare a quella attuale, Ministére de la culture et de la communication. Per quanto riguarda la ripartizione delle competenze, il sistema francese è caratterizzato da una forma di decentramento amministrativo. Ogni regione, infatti, ha una propria Direzione degli Affari Culturali che mette in pratica l’attività del Ministero, con i dovuti adattamenti ai contesti regionali 139. È quindi riconoscibile una struttura che predilige l’intervento specifico, per assicurare la tutela più efficace, similmente a quanto avviene in Gran Bretagna. Il Ministero si compone di molte direzioni e distaccamenti, che si occupano di settori specifici, come la Direzione del patrimonio e dei musei di Francia. In particolare il settore dei musei riveste grande importanza, la Reunion des Muséès nationaux svolge funzioni di carattere commerciale, raccoglie e distribuisce le entrate, organizza mostre, svolge il servizio di accoglienza. 138 139 Cfr. AMIRANTE, DE FALCO, cit., 200 e 205. Cfr. ACCETTURA, cit. 54 La società francese è molto sensibile alle tematiche culturali e alla valorizzazione del patrimonio, tanto da creare veri e propri enti pubblici 140. L’intervento dello Stato è molto forte, sia per quanto riguarda il controllo tecnico e scientifico sull’attività museale, sia perché lo stato destina alla cultura circa l’1% del suo bilancio. Le attività culturali, poi, risultano connesse ai servizi museali141. Nel 1946 è stata emanata la Costituzione, nella quale il diritto alla cultura risulta sancito e garantito, similmente a quanto avviene anche in Italia e si demanda allo Stato la predisposizione dei mezzi che consentano ai cittadini di godere del diritto sancito. Infine con l’ordinanza n. 178 del 20 gennaio 2004 è stato adottato il “Code du patrimoine”, il codice che regola e unisce in un compiuto sistema beni culturali, archivi, biblioteche, musei, beni archeologici e siti, spazi protetti; riprendendo le norme preesistenti. Possiamo rilevare alcuni elementi di comparazione: in Italia e Francia è sempre lo Stato, attraverso il Ministero, ad agire per la protezione e la gestione. In Gran Bretagna le competenze gestionali, come si è visto, sono affidate alle amministrazioni locali o agli enti autonomi. La Francia permette a qualsiasi ente pubblico di intervenire: il suo problema però è il coordinamento delle azioni tra i vari livelli di gestione. Nel trattare la protezione oltreoceano ci si riferirà sia agli Stati Uniti, sia all’Australia. Ciò servirà da introduzione per la parte finale della trattazione. 140 141 Come è successo per il museo del Louvre. Cfr. ACCETTURA, cit.; F. BENHAMOU, L’economia della cultura, Bologna, 2001, 135. 55 L’Australia da sempre è vista come una terra lontana e sconosciuta, che esercita un certo fascino nell’immaginario collettivo. Gli aspetti più rilevanti sono i contrasti tra città molto moderne e la natura indomita, tra valori dell’occidente e la spiritualità aborigena. Non è, quindi, un paese riconducibile ad una sola immagine stereotipata, che comunichi immediatamente il suo spirito. La convivenza di molte etnie diverse, con differenti origine, lingue e culture ha fatto sì che potessero convivere insieme sia le più antiche tradizioni culturali sia una mescolanza di culture portata dagli emigranti142. Le fonti del governo mettono a disposizione cospicue somme di denaro per finalità artistiche, culturali e di conservazione del patrimonio; si cerca anche di sostenere e sviluppare la vita culturale e incoraggiare la partecipazione, secondo una visione del patrimonio come “our legacy from the past, what we live with today, and what we pass on to future generations” 143. I Governi australiani ai vari livelli sono impegnati nella conservazione del patrimonio culturale della nazione e nel renderlo accessibile al pubblico 144. Il Dipartimento amministra le leggi del governo australiano che si occupano della conservazione del patrimonio australiano naturale, indigeno e storico. Ciò include la protezione nei seguenti ambiti: “World Heritage”, “National Heritage”, “Commonwealth Heritage”, “Indigenous Heritage”, “Movable Heritage” e “Shipwrecks”. 142 Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, About World Heritage, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au». 143 Idem. 144 Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Australian Heritage, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au/heritage/index.html». 56 Tra queste si segnalano le leggi sulla “Commonwealth Heritage”. L’Australia è una nazione complessa, composta da popolazioni indigene ed immigrate da quasi duecento paesi. Nonostante la mescolanza di tradizioni diverse, si individua un patrimonio comune che distingue tutta la popolazione e la qualifica come “australiana”. Il sistema australiano prevede un database145 che fornisce informazioni riguardo a particolari luoghi protetti. È stata inoltre implementata una fototeca digitale contenente fotografie di luoghi protetti146 e una lista di luoghi o gruppi di luoghi con valore eccezionalmente rilevante per la nazione147, sia naturali che indigeni, storici o derivati dall’unione di questi. I luoghi presenti sulla lista sono protetti con tutti i poteri di cui dispone il governo federale148. Il Commonwealth regola anche la “Movable Heritage”. Data la presenza di crescenti traffici commerciali, numerosi oggetti sono stati trafugati e continuano ad esserlo, perciò può agire per far tornare in patria gli oggetti esportati illegalmente. Altra peculiarità australiana è la presenza di migliaia di relitti storici, compresi nelle leggi di protezione, appunto, sugli “Shipwrecks”, oltre le spiagge della nazione, che vengono protetti come parte fondamentale del patrimonio 149. Ci sono inoltre programmi che stanziano fondi da assegnare a individui o gruppi per la protezione di luoghi e oggetti di rilevanza storica. 145 Australian Heritage Database. Australian Heritage Photo Library. 147 National Heritage List. 148 Cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Australian Heritage, cit. 149 Idem. 146 57 In Australia tutti i livelli di governo si prendono cura del patrimonio. Il sito da cui sono tratte queste informazioni è gestito dal Governo Australiano 150. Sul sito è presente anche una Australia Heritage Directory contenente una lista di agenzie che si occupano del patrimonio. È presente anche un database per rintracciare un particolare luogo e vedere se è considerato protetto o meno. Consulente principale del Governo Australiano è l’Australian Heritage Council, il quale valuta l’introduzione nelle varie liste esistenti di nuovi posti protetti o l’esclusione da essa, si occupa della protezione di essi sotto qualsiasi forma 151. Cerchiamo ora di capire la nascita e lo sviluppo della politica dei beni culturali negli Stato Uniti152. Innanzitutto è necessario chiarire che l’esperienza statunitense è nata essenzialmente come imitazione di altre esperienze, essenzialmente europee, per poi diversificarsi e assumere proprie peculiarità. Nell’esperienza statunitense esiste una pluralità di fonti normative, si devono infatti tenere presenti tre livelli: federale, statale e locale 153. Inoltre, a differenza della tradizione europea, i privati svolgono da sempre un ruolo estremamente rilevante nella gestione dei beni. Il modello è fortemente decentrato per rispondere a diverse esigenze. Per quanto riguarda la nozione di bene culturale, si desume che sia diffusa una coscienza di “valore culturale” in relazione ai beni immobili e 150 «http://www.environment.gov.au». COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, The Australian Heritage Council, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au». 152 Il testo sugli Stati Uniti fa riferimento a Mottola Molfino, cit., 240, ss. 153 Si ricorda che la Costituzione federale sta al vertice delle fonti. Subito sotto si trovano le leggi federali adottate in attuazione di essa e i trattati internazionali. A un livello inferiore ci sono le Costituzioni degli Stati e più sotto regolamenti e decreti adottati dalle amministrazioni locali. C’è però differenza di competenza legislativa per materia: infatti la competenza federale è eccezionale rispetto a quella statale. Ma anche nelle materie riservate al livello federale gli Stati possono legiferare, senza però contraddire la legge federale. 151 58 luoghi teatro di importanti avvenimenti per la nazione, come testimonianze del passato da lasciare alle future generazioni. Per quanto riguarda il primo livello, quello federale, la tradizione di conservazione e tutela del patrimonio era riconoscibile solo dalla metà del 1800. Erano protetti inizialmente i luoghi storici legati alla guerra. Con questo e altri atti successivi, come la destinazione ad uso pubblico di determinate aree, si andava sviluppando la politica di riconoscimento di valori naturali, storici e culturali associati al territorio, invece di uno sfruttamento a scopo di lucro. All’inizio del Novecento era intervenuto il Congresso con l’Antiquities Act che permetteva al presidente di dichiarare monumenti nazionali località o edifici. Tuttavia non si era conseguentemente registrato un aumento della tutela, cosa che invece si era realizzata solo nel 1916, con la creazione del National park service, uno strumento operativo del Ministero degli Interni, col compito di promozione e gestione di monumenti, parchi e riserve naturali. Tale ente era stato poi riorganizzato e gli era stata attribuita la facoltà di acquisire beni immobili tramite donazione, acquisto o altre modalità. Le sue mansioni si erano molto sviluppate, esso poteva svolgere ricerche sulle località archeologiche; raccogliere materiale come foto, disegni, mappe; stipulare contratti o accordi di cooperazione con Stati, Comuni e associazioni per la protezione adeguata dei luoghi, tramite fondi stanziati dal Congresso. Nel 1949 era stato creato un altro organo, il National trust for historic preservation, il quale si caratterizzava per una natura mista pubblico - privata ed aveva il compito di conservare luoghi, edifici, oggetti ad esso affidati, a beneficio 59 pubblico. Ciò tramite donazioni in denaro, titoli o altri beni da parte dei soci o successivamente dal Ministero. Qualche anno dopo National park service e National trust for historic preservation potevano collaborare. Negli anni Sessanta del Novecento lo spirito di conservazione storica era universalmente diffuso, il Congresso ne aveva preso atto e aveva anche compreso che a minacciarlo ormai erano la crescente urbanizzazione e la crescita del sistema dei trasporti. Si emanavano così leggi per il controllo di questi fenomeni. Il Ministero dei Trasporti da poco istituito doveva vigilare sulle opere e minimizzare i danni. Nel 1966, si emanava il National historic preservation act che poneva le basi in materia di conservazione valide ancora oggi. È importante ricordare che lo spirito di questo provvedimento incoraggiava iniziative individuali e collettive alla conservazione, con mezzi privati, e a favorire la convivenza tra il passato e il futuro per le nuove generazioni. Con esso si introducevano l’ Advisory council on historic preservation e la cosiddetta “Sezione 106”. Il primo è l’unico organismo federale competente solo per la conservazione storica, e il suo compito era di compattare tutte le richieste che giungevano dai vari livelli: federale, statale e locale. La “Sezione 106” serviva a conciliare esigenze di sviluppo e necessità di tutela dei beni, tramite una procedura di commutazione. Era divenuta importante anche l’inventariazione di tutti i beni di valore storico, per poi inserirli nel National register of historic places. 60 Negli anni successivi, tramite diversi provvedimenti, si allargava a molteplici soggetti la possibilità di partecipare ai processi decisionali del Governo: amministrazioni locali, privati proprietari, semplici cittadini sono solo alcuni tra essi. Per quanto riguarda il secondo livello, quello statale, è riconoscibile un effettivo intervento solo dalla metà del 1900. L’importante National historic preservation act, emanato a livello federale, aveva determinato un aumento delle attività di conservazione degli Stati, e l’assegnazione di contributi finanziari aveva incentivato la creazione di registri statali dei beni di interesse storico-artistico. Da allora tutti gli Stati avevano iniziato a dotarsi di legislazione sulla conservazione, legislazione che si presentava fortemente diversificata nei diversi territori. A livello statale era molto forte la partecipazione dei privati, riuniti in associazioni per la conservazione sia come singoli cittadini per provvedere ai restauri tramite donazioni. Si possono trovare delle similitudini tra gli Stati: si ricorda che tutti utilizzavano e utilizzano lo strumento dell’espropriazione per ottenere la proprietà di un territorio da proteggere e che tutti prevedevano vari tipi di esenzioni o incentivi fiscali ad esempio per donazioni di proprietà. I proprietari di località storiche, inoltre, godono di speciali trattamenti tributari. Gli Stati hanno anche un altro importante compito: la tutela dei beni sommersi, presenti in grande quantità nelle acque navigabili. L’azione di recupero dei privati però si era ben presto trasformata in saccheggio per prelevare gli oggetti di maggior valore. Il problema era la mancanza di obblighi specifici per gli 61 Stati, anche in collegamento con la legislazione più generale, e quindi il problema è a tutt’oggi aperto. Il terzo livello, quello delle amministrazioni locali, è intuitivamente ancora più frammentato. Sono autorizzate a operare sia su previsione federale che statale. Il potere espropriativo è limitato, per l’elevato costo, ma è invece utilizzabile quello di pianificazione del territorio , per la conservazione delle località storiche. A tale scopo si creano distretti storici che servono a controllare le modifiche agli edifici, ma non si verifica l’uso che viene fatto degli stessi. 1.3 Transizione da bene culturale a risorsa economica? Fino agli anni Settanta non molte persone possedevano gli strumenti informativi e formativi necessari per apprezzare i beni culturali; solo negli anni Ottanta, grazie all’interessamento delle imprese, dei politici e dei mezzi di comunicazione, il settore era divenuto degno di nota e meritevole di valorizzazione. La stessa locuzione “bene” evoca una dimensione che va oltre un mero criterio estetizzante, estende il campo d’intervento e introduce anche la dimensione economica154. Si era diffusa, così, velocemente la consapevolezza del valore economico dei beni e contemporaneamente è stata coniata un’espressione assai evocativa per descriverli, “giacimenti culturali”. Negli anni Novanta, l’attenzione è stata ancora più viva, e considerando gli insuccessi del passato, è stato perseguito l’obiettivo della valorizzazione. I beni sono stati al centro di varie 154 S. DAGNINO, Nascita ed evoluzione dell’Unione Europea, in DE PAZ (a cura di), cit., 19. 62 dispute fra i fautori di tutela e conservazione e i fautori di gestione e valorizzazione, più favorevoli ad uno sfruttamento più o meno razionale 155. Scrivono Domenico Amirante e Vincenzo De Falco in Tutela e valorizzazione dei beni culturali, aspetti sovranazionali e comparati 156: i beni culturali sono “vittime del loro successo”, colpevoli di attrarre il turismo di massa e di vivere un’epoca di “forti pressioni e grandi contraddizioni” in cui cresce la “consapevolezza della importanza della loro protezione” e altresì la “richiesta di consumo”. Negli ultimi decenni, specularmene al crescente riconoscimento del loro valore civile e sociale, per lo sviluppo culturale, si è andato affermando l’interesse per il loro valore economico. I beni vengono visti come strumenti “il cui godimento e la cui utilizzazione corrispondono ad una risorsa a cui attingere”157, per uno sviluppo economico della collettività nazionale, ma anche e soprattutto della collettività territoriale. C’è però chi esorta a percepire “una differenza fra economia e cultura” perché “il valore non si esaurisce nella sua quantificazione economica”, ciò non toglie che “il valore attribuito al bene culturale sia influenzato dalla società in cui si vive”158. È difficile non cedere alla tentazione di considerare i beni una risorsa a cui attingere nei momenti di necessità, dei “gioielli di famiglia”, come qualcuno li ha definiti159. 155 In questo senso C. BODO, C. SPADA (cura di), Rapporto sull’economia della cultura in Italia, 1990-2000, Bologna, 2004, 198. 156 V. AMIRANTE, DE FALCO, cit., XI. 157 V. G. PASTORI, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/3/pastori.htm» 158 V. MONTELLA, cit., 62, 63. 159 In questo senso SETTIS, cit., 7. 63 La normativa e la riflessione su questi temi cercano di stabilire un equilibrio tra sfruttamento e protezione. Il valore economico tende in ogni caso ad imporsi, vediamo, appunto, che anche a livello costituzionale, nel nuovo art. 117160, il concetto di “valorizzazione” evoca una dimensione in cui il bene è visto come risorsa e servizio per la società. Anche il documento di programmazione economico finanziaria per gli anni 2003 – 2006 ridefinisce il comparto dei beni e delle attività culturali, affermando che “in termini qualitativi dovrà passare da spesa tradizionalmente “corrente” a spesa prevalentemente “per investimento” in quanto di importanza strategica per lo sviluppo di rilevanti settori economico finanziari, dal turismo alla promozione nazionale e internazionale di gran parte delle attività produttive associate al marchio made in Italy” e continua promuovendo la “costruzione di efficaci strumenti per favorire l’acquisizione di risorse private, quali la partecipazione del Ministero dei Beni e delle attività Culturali a fondazioni e società nonché l’affidamento in concessione a privati della gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica dei beni culturali”161. 160 Dopo la già citata riforma cost. del 2001, l. cost. 3/2001. Documento di programmazione economico finanziaria per il 2003 – 2006, 5 luglio 2002, in CD rom allegato a TRENTINI, cit. 161 64 1.3.1 Un quadro della situazione attuale: tutela, valorizzazione, fruizione, gestione. Tutela, valorizzazione, gestione sono nozioni utilizzate nel d. lgs. 112/98162 per definire il regime giuridico delle diverse forme dell’intervento pubblico. In generale possiamo dire che la valorizzazione è fondamentale per migliorare la conoscenza e la conservazione ed incrementare, così, la fruizione collettiva, cioè un uso generale dei beni. Essa guarda al bene come risorsa e come servizio, comprende tutta una serie di attività, diverse tra loro e con l’ambizione di aumentare l’utilizzo dei beni culturali. Utilizzo può essere inteso come diffusione della conoscenza con attività didattiche e divulgative e tutela della loro integrità163. La tutela, invece, riguarda tutto ciò che è regolazione e amministrazione giuridica dei beni, sul loro uso e la loro circolazione, e intervento di protezione e difesa dei beni stessi, per prevenirne il deterioramento164. È laborioso scindere il concetto di tutela da quello di valorizzazione, anche perché quest’ultima è considerata una “forma dinamica di tutela” 165, ed è persino dannoso, come suggeriscono taluni autori166. Tale divisione è stata però messa in atto con la già più volte citata riforma costituzionale, ed è ripresa dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, di recente emanazione. La prima parte del codice si occupa, nelle disposizioni generali, artt. 3 – 8, di ripartire le attribuzioni fra Stato, Regioni ed Enti territoriali. Gli artt. 3 (tutela del patrimonio culturale) e 6 162 Che ricordiamo è stato abrogato dall’entrata in vigore del d. lgs 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. 163 In questo senso AMIRANTE, DE FALCO, cit., 221. 164 Cfr. PASTORI, cit. 165 V. AMIRANTE, DE FALCO, cit. 221. 166 Tra cui SETTIS, cit., 79 e 108; e Battaglie senza eroi, Milano, 2005, 17. 65 (valorizzazione del patrimonio culturale) 167 definiscono gli ambiti di queste funzioni, collegandosi sia alla riforma costituzionale del 2001 sia a quanto disposto dall’art. 148 lett. c) ed e) d. lgs 112/98 168. Le definizioni vanno anche oltre: la tutela è individuata come intervento di protezione e difesa e alla valorizzazione spetta una posizione di completamento. Per questo si riconosce che i due tipi di azione si integrano nelle funzioni e formano un compito unitario che ha come scopo finale la “messa in valore” dei beni169. Ma il codice è riuscito a creare questo sistema integrato di tutela e valorizzazione? La sua impostazione cerca di rendere manifesta la valenza duplice e collegata dei beni culturali, come valore e servizio, e altresì di costruire una sistema che integri tutela e valorizzazione. Tali funzioni vengono infatti concepite per convergere l’una nell’altra. La finalità sembra unitaria e sembra anche ben esplicita, purtroppo però le competenze di governo e amministrazione non sono distribuite secondo un sistema policentrico “a rete”, in cui istituzioni centrali, regionali e locali 167 “Articolo 3 (Tutela del patrimonio culturale): 1. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. 2. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale; Articolo 6 (Valorizzazione del patrimonio culturale): 1. La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. 2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale.” 168 “Articolo 148 (Definizioni): “1. Ai fini del presente decreto legislativo si intendono per : c) “tutela”, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione; e) “valorizzazione”, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementare la fruizione.” 169 Cfr. PASTORI, cit. 66 realizzano una proficua collaborazione. Il disegno ripercorre ancora l’assetto tradizionale, il “modello binario di spartizione delle competenze” 170. Uno dei pochi segni di apertura è la facoltà per il Ministero di attribuire l’esercizio di altre funzioni alle Regioni; in pratica una sorta di delega, conferita non con legge ma con atto amministrativo. L’articolo 111, contenuto nel titolo II (fruizione e valorizzazione) del capo II (principi della valorizzazione dei beni culturali), descrive in modo più specifico l’attività di valorizzazione, dà gli elementi generali di disciplina. L’articolo assomiglia molto alla definizione che veniva data dell’attività di gestione nel d. lgs 112/98. La differenza è che oggi gli interventi tendono alle finalità proprie della valorizzazione e non sono solo più funzionali alla tutela. Si è accennato alla fruizione: essa consiste nell’insieme delle attività che della tutela rappresentano lo sbocco necessario: si individua, si protegge e si conserva il bene culturale affinché possa essere offerto alla conoscenza ed al godimento collettivo. Così la fruizione funge da congiungimento della “frattura” tra tutela e valorizzazione. La gestione del bene non è un’autonoma funzione, è un insieme di attività strumentali di tutela e valorizzazione. Quindi il punto di sintesi tra tutela e valorizzazione, nella gestione del bene, è dato dalla nozione di servizio pubblico di fruizione del bene culturale171. La gestione non viene appunto menzionata come funzione a sé stante e non è considerata nemmeno dalla Costituzione. Si potrebbe perciò pensare che sia stata fusa all’interno del concetto di valorizzazione 172. Effettivamente la 170 Idem. In questo senso VOLPE, cit., 282. 172 Cfr. C.BARBATI, L’attività di valorizzazione «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/1/art.111.htm» 171 67 (art.111), reperibile all’URL: gestione non ha più una sua propria identità e deposita molti dei suoi contenuti nella valorizzazione e nella fruizione. Ciò è abbastanza evidente se si analizzano gli articoli che appartengono al capo II, in cui sono presenti molte attività prima appartenenti alla gestione, come i servizi aggiuntivi. Anche questo riporta la possibilità di riconoscere un ruolo ai privati in materia di valorizzazione, cosa già individuata in precedenza dall’articolo 6. I privati possono intervenire in maniera attiva, se la parte pubblica necessita di risorse esterne, umane, tecniche ed economiche. Ciò può essere visto come introduzione all’art. 115 la cui rubrica recita “forme di gestione” ed è inserito nel capo II che riguarda i principi della valorizzazione173. L’attività di gestione è un insieme di compiti in cui tutela e valorizzazione tendono a completarsi vicendevolmente ed entrambe ricevono supporto dalla gestione174. L’attività di gestione è propedeutica a tutela e valorizzazione, inoltre mira ad assicurare la fruizione dei beni culturali. È necessario predisporre un’organizzazione di risorse materiali e umane, essenziale alla tutela e alla valorizzazione175. L’espressione forme di gestione descrive tutto il complesso di provvedimenti, sia organizzativi, sia procedimentali, sia finanziari, attraverso i quali i diversi soggetti, pubblici e privati, organizzano o collaborano all’esercizio di attività riconducibili all’ambito della valorizzazione. Le disposizioni che riguardano la gestione hanno avuto una gestazione molto lunga e sono state ulteriormente corrette col d. lgs 24 marzo 2006, n. 156 recante “Disposizioni correttive ed integrative al d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in 173 Idem. In questo senso VOLPE, cit., 289. 175 Cfr. P. CARPENTIERI, Servizi: passa la pluralità dei modelli di gestione, in Guida al dir., fasc. spec. n. 4/2004, 122. 174 68 relazione ai beni culturali”. Ma sembra che il percorso relativo a quest’argomento non possa ancora considerarsi concluso 176. L’articolo 115, nella sua riformulazione, è la disposizione tramite la quale il legislatore statale disciplina il modo in cui gestire le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica. Vengono delineate due possibilità: gestione diretta o gestione indiretta, ciascuna delle quali possiede particolari caratteristiche. Nel secondo comma si descrive la gestione diretta: un intervento di un ente pubblico per gestire attività e/o servizi, realizzato basandosi su articolazioni interne fornite di autonomia e con idoneo personale. Con le modifiche del 2006 si rende possibile realizzare tale tipo di gestione in forma associata, mediante la creazione di un consorzio. Questo ente, pur essendo funzionale alle amministrazioni che lo costituiscono, deve avere autonoma personalità giuridica pubblica, un proprio statuto e propri organi. Il terzo comma introduce la gestione indiretta, la quale prevede la concessione a terzi delle attività di valorizzazione, tecnica che viene definita esternalizzazione o outsourcing, avvalersi cioè di risorse esterne, in modo particolare ricorrendo alle risorse finanziarie o alle esperienze e ai mezzi privati177. La scelta fra le due diverse tipologie dipende dal risultato di una valutazione comparativa per la sostenibilità economico – finanziaria e una valutazione di efficacia in base a obiettivi posti come base. La pratica dell’esternalizzazione nel settore della cultura risale nel tempo agli anni Novanta, periodo in cui si pongono le prime disposizioni sulle forme di gestione e si profila 176 177 Cfr. BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 197. Idem, 197. 69 in modo più incisivo il possibile intervento dei privati. Troviamo dapprima la cd. “Legge Ronchey” che si occupava dell’affidamento dei servizi di fruizione per il pubblico, denominati servizi aggiuntivi, ai privati; successivamente il d. lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, che istituisce il Ministero per i beni culturali, estende l’esternalizzazione al settore della cultura, all’articolo 10. Paradossalmente si preferisce affidare la gestione dei beni ai privati piuttosto che alle autonomie territoriali, introducendo la possibilità per il Ministero di stipulare accordi soggetti privati per la valorizzazione dei beni culturali178. Il percorso continua con la legge finanziaria per il 2002, l. 28 dicembre 2001, n. 448, che all’art. 33 ha cercato di rendere operante l’art. 10 già citato aprendo la possibilità di affidare a soggetti “diversi da quelli statali” la gestione di servizi finalizzati “al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico come definiti dall’art. 152 d. lgs. 112/98”, andando a stabilire un nuovo rapporto pubblico – privato nel settore dei beni culturali179. L’articolo ha suscitato numerose perplessità da parte degli studiosi e degli operatori, che constatavano una difficile realizzazione e ravvisavano profili di incostituzionalità. La complessità intorno al concetto di gestione non è invece presente in Francia. Sebbene siano assegnate specifiche competenze, ogni amministrazione può predisporre interventi sui beni, senza essere limitata dall’attribuzione di quella specifica competenza a un altro soggetto istituzionale. Sono inoltre istituiti appositi enti pubblici di cooperazione istituzionale, che coordinano gli interventi 178 Idem, 198. Cfr. M. CAMMELLI et alii, Beni culturali e imprese, una collaborazione “virtuosa” tra pubblico e privato, Roma, 2002, 19. 179 70 sui beni, a differenza dell’Italia dove ci si limita ad accordi tra le amministrazioni180. 1.3.2 Gli strumenti della valorizzazione Abbiamo visto che la gestione ha, per così dire, un carattere neutro, non è un’autonoma funzione ma un combinazione di attività e operazioni che integrano tutela, fruizione e valorizzazione del bene culturale. La stessa valorizzazione concepisce il bene come una risorsa e tramite la predisposizione di risorse sia umane che finanziarie, tenta di aumentare il suo valore economico e sociale. Una delle prime leggi che ha avuto come obiettivo la valorizzazione culturale ed economica è la già citata “Legge Ronchey” 181, L. 14 gennaio 1993, n. 4, recante “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali e disposizioni in materia di biblioteche statali e archivi di stato”. Questa disposizione normativa determina una svolta nel panorama culturale italiano di quel periodo introducendo importanti novità per i musei statali e i beni culturali. Lo Stato dà la possibilità, per la prima volta, di assicurare “l’apertura quotidiana, con orari prolungati” di musei e biblioteche e archivi di stato e di stipulare accordi con volontari ad integrazione del personale della pubblica amministrazione e di istituire servizi aggiuntivi offerti al pubblico a pagamento. I servizi aggiuntivi possono essere ricondotti a quattro ambiti principali: accesso al museo, con riferimento ai servizi informativi e di prenotazione della visita; 180 181 Cfr. AMIRANTE, DE FALCO, cit., 222 - 226. Proposta da Alberto Ronchey, all’epoca Ministro per i beni culturali. 71 divulgazione e didattica, relativamente ai servizi di organizzazione delle visite didattiche e di produzione e noleggio delle audioguide; comfort e relax, ovvero i servizi di guardaroba (comunemente offerti senza il pagamento di un corrispettivo da parte degli utenti) e di bar, caffetteria e ristorante; shopping, attraverso la vendita di libri o oggettistica (bookshop), evoluzione storica della tradizionale attività di vendita di souvenir (ricordi di viaggio) che fin dal Settecento ha accompagnato il fenomeno turistico182. Queste attività di supporto, che rappresentano tutte quelle attività commerciali collaterali ai normali servizi culturali di un museo, vengono concesse a soggetti privati o enti pubblici economici anche costituenti società o cooperative, mediante l’appalto e poi la gestione. Si può quindi parlare di esternalizzazione o outsourcing e dell’ingresso all’interno dei musei della logica imprenditoriale 183. Si noti che gli scopi più generali previsti sono individuabili nel rendere più completa e gradevole l’esperienza di visita del museo, predisporre uno strumento di comunicazione e promozione dell’immagine del museo e fornire redditi aggiuntivi al bilancio del museo stesso. Da tutto ciò può derivare miglioramento della qualità della visita per l’utente, che avrà a disposizione numerosi servizi a suo vantaggio che matureranno un giudizio positivo sulla visita complessiva 184. 182 Vedi R. GROSSI (a cura di), Politiche, strategie e strumenti per la cultura, secondo rapporto annuale federculture 2004, Torino, 2004, 174. 183 Cfr. G.MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali, l’ambiente normativo e culturale: opportunità e vincoli per il management delle istituzioni culturali, Milano, 2004, 35-38. 184 In questo senso L. CARLINI, Primo rapporto Nomisma sull’applicazione della legge Ronchey, anno 2000, reperibile all’URL: «http://www.musei-it.net/docs/nomisma/» 72 L’importanza era già stata avvertita in alcuni paesi europei come la Francia, dove, infatti, uno dei primi compiti dello Stato è garantire la fruizione del patrimonio culturale, e la Gran Bretagna. Nel 1995, con l’art. 47 quater del d.l. 23 febbraio, n. 41, si è esteso l’elenco dei servizi aggiuntivi e si è introdotta la possibilità di affidamento in gestione a fondazioni culturali e bancarie, società o consorzi, che potevano essere costituiti per tali finalità. Qualche anno dopo, si sono raggiunti ulteriori sviluppi attraverso il loro inserimento nell’art. 112 del d. lgs. 490/99 recante il “Testo unico per i beni culturali e ambientali”, con la denominazione “Servizi di assistenza culturale e di ospitalità”, che oggi, dopo l’emanazione del codice dei beni culturali e del paesaggio si trovano all’art. 117 e sono rubricati come “Servizi aggiuntivi”185. La legge ha incontrato delle difficoltà iniziali e il primo servizio aggiuntivo è stato attivato solo qualche anno dopo. Tuttavia, da allora, la loro crescita per numero, diffusione e qualità è stata piuttosto significativa, tanto da rendere ottimistiche le 185 Il cui testo ribadisce la tipologia dei servii aggiuntivi già previsti dall’art. 112. “Articolo 117 (Servizi aggiuntivi): 1. Negli istituti e nei luoghi della cultura indicati all’ Articolo 101 possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico. 2. Rientrano tra i servizi di cui al comma 1: a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; d) la gestione dei punti vendita e l’utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; g) l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali. 3. I servizi di cui al comma 1 possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria. 4. La gestione dei servizi medesimi è attuata nelle forme previste dall’Articolo 115. 5. I canoni di concessione dei servizi sono incassati e ripartiti ai sensi dell’Articolo 110.” 73 ricerche condotte sul loro funzionamento, a distanza di poco tempo dall’attivazione dei servizi186. In verità i risultati dell’applicazione della legge sono stati piuttosto eterogenei: le gare di concessione degli appalti hanno coinvolto strutture sia principali che minori, con scarso equilibrio e necessità di trovare nella prassi gli elementi necessari anche a causa della rapida evoluzione politica e legislativa. Si può comunque riconoscere che l’effetto positivo legato alla presenza dei servizi aggiuntivi si riflette a livello di sistema e migliora l’immagine del museo come istituzione culturale e la sua percezione come apprezzabile alternativa di utilizzo del tempo libero 187. Per quanto riguarda l’andamento dei servizi, si riscontra una sostanziale stabilità degli incassi complessivi e se da un lato ciò indica che gli utenti mostrano apprezzamento e seguitano a farne uso, dall’altra, in una prospettiva di redditività e sviluppo futuri potrebbe individuare come insostenibile la presenza dei privati. Sarà necessario riflettere sull’andamento degli ultimi anni e cercare di coniugare i diversi interessi in gioco, a vantaggio di utenti e operatori188. Negli stessi anni andavano sviluppandosi i fenomeni della sponsorizzazione. Questa pratica è oggi definita come una “forma di comunicazione pubblicitaria rivolta alla divulgazione del nome di un soggetto produttore di beni. Viene attuata attraverso appositi contratti con i quali una parte, lo sponsor, si obbliga solitamente al pagamento di somme di denaro, al fine di ottenere la divulgazione del proprio marchio in occasione delle attività svolte 186 In questo senso CARLINI, cit. In questo senso R. GROSSI (a cura di), cit., 177. 188 Idem, 184-185. 187 74 dallo sponsorizzato”189. I gestori inizialmente erano riconoscibili in mecenati che, col tempo, hanno iniziato a delineare un’ottica imprenditoriale in cui disporre i loro contributi in denaro o servizi, con la convinzione che fossero investimenti sull’immagine. Si era avvertita poi la necessità di trasformare in contratto la sponsorizzazione. Le prime forme avevano ancora un costo molto basso e c’era larga disponibilità ad accogliere le necessità esposte dal direttore del museo, naturalmente per finalità di fruizione e valorizzazione del bene. Oggi la situazione è più complessa e si lavora con più sponsor che intervengono con somme diverse per richieste specifiche190. Il codice tratta l’argomento all’articolo 120191, inquadrando la sponsorizzazione come una delle modalità con le quali può esplicarsi la partecipazione dei privati alle attività da valorizzazione e anche alla tutela. E si specifica inoltre che la finalità del contributo deve essere la progettazione o la realizzazione di una iniziativa di tutela o valorizzazione del bene in questione192. 189 V. voce “sponsorizzazione” in, Enciclopedia Universale, Le Garzantine, Milano, 2005, 1448. Cfr. P. BISCOTTINI, Note di museologia, Milano, 2004, 40 - 41. 191 “Articolo 120 (Sponsorizzazione di beni culturali): 1. E’ sponsorizzazione di beni culturali ogni forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti privati alla progettazione o all’attuazione di iniziative del Ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività dei soggetti medesimi. 2. La promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell’immagine, dell’attività o del prodotto all’iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione. 3. Con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo nonché le forme del controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si riferisce.” 192 In questo senso G. PIPERATA, Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/1/piperata.htm» 190 75 Il codice suggerisce ulteriori fattispecie di sostegno alle attività di valorizzazione dei beni culturali, ad esempio all’articolo 121 193, dove si prevedono protocolli di intesa tra il Ministero, le Regioni ed altri enti pubblici territoriali, ciascuno nel proprio ambito. Da una parte troviamo tali enti, dall’altra le fondazioni bancarie che sono istituzioni benemerite che svolgono compiti specifici nel settore della cultura. Il codice si è preoccupato di attivare un meccanismo che preveda il coinvolgimento diretto delle fondazioni con le istituzioni pubbliche. Nella prassi, le situazioni delineate spesso si intrecciano fra loro e non sono facilmente inquadrabili nell’una o nell’altra delle categorie indicate. Il significato più profondo delle innovazioni di cui si è parlato è quello di avere recepito a livello di norma il concetto di investimento culturale. Il codice dei beni culturali tuttavia non racchiude in sé la disciplina di tutti gli strumenti che è possibile utilizzare per la valorizzazione dei beni. Ci sono altri provvedimenti degni di nota, che riguardano in particolar modo il patrimonio immobiliare pubblico. Il termine valorizzazione, applicato ai beni pubblici, è normalmente utilizzato per indicare quelle diverse attività che intendono trasformarli in fonti di reddito, tramite strumenti che assicurino una gestione proficua, o l’alienazione. La gestione dei beni di proprietà pubblica è da sempre 193 “Articolo 121 (Accordi con le fondazioni bancarie): 1. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, ciascuno nel proprio ambito, possono stipulare, anche congiuntamente, protocolli di intesa con le fondazioni conferenti di cui alle disposizioni in materia di ristrutturazione e disciplina del gruppo creditizio, che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell’arte e delle attività e beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale e, in tale contesto, garantire l’equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione. La parte pubblica può concorrere, con proprie risorse finanziarie, per garantire il perseguimento degli obiettivi dei protocolli di intesa.” 76 uno dei settori più improduttivi e dispendiosi per l’amministrazione, che spesso non conosce la reale entità dei propri possedimenti. Fino agli anni Ottanta vigeva una politica di quasi totale inutilizzabilità economica, solo dopo si introdusse nelle politiche pubbliche la consapevolezza della necessità che un tale patrimonio dovesse essere valorizzato in termini economici. Verso la fine degli anni Novanta, poiché i conti pubblici versavano in condizioni disastrose, l’impulso verso la privatizzazione del patrimonio immobiliare si fece sempre più pressante, suggerita a più parti per risanare la finanza pubblica 194. Il legislatore si mette così all’opera per predisporre una normativa che permetta le dismissioni immobiliari, basata, ad esempio, sul principio di dismissione in blocco unico del patrimonio immobiliare mediante il conferimento ad una i più società veicolo appositamente costituite. La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria nata nell’esperienza dei paesi anglosassoni e arrivata nel nostro paese alla fine degli anni Novanta, applicata ai proventi delle dismissioni immobiliari, trasforma i beni in strumenti finanziari da collocare sul mercato 195. I passaggi più importanti dal punto di vista normativo sono stati due: la L. 23 novembre 2001, n. 410196 con la quale si autorizza il Ministero dell’Economia a costituire società allo scopo di realizzare operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici; e la L. 15 giugno 2002, n. 112197 con la quale si è prevista la possibilità di cedere il patrimonio dello Stato 194 Cfr. A. SERRA, Scip, Patrimonio Spa e Infrastrutture Spa: le società per la “valorizzazione” dei beni pubblici. L’impatto sul regime dei beni trasferiti, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/2/serra.htm» 195 Vedi SERRA, cit. 196 Che ha convertito il D.L. 25 settembre 2001, n. 351. 197 Che ha convertito il D.L. 15 aprile 2002, n. 63. 77 a due società per azioni create per l’occasione, “Patrimonio dello Stato Spa” e “Infrastrutture Spa”. Alla prima possono essere trasferiti tutti i beni immobili, il tutto può essere ulteriormente trasferito a “Infrastrutture Spa”, società creata per finanziare la realizzazione di opere pubbliche e aperta anche al capitale privato. Il patrimonio che viene conferito include tutto, dai parchi alle coste, dagli edifici storici ai musei. C’è però una particolarità, nel caso di beni culturali di “particolare valore storico e artistico”: il loro trasferimento dovrebbe avvenire d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali. Secondo le intenzioni del Governo, la creazione di queste società di capitale pubblico, ma di diritto privato, dovrebbe servire a valorizzare e gestire il patrimonio pubblico italiano, anche se non sono ben chiari i meccanismi che regolano le operazioni di vendita. Il nuovo codice, per tutelare i beni di particolar pregio, introduce un necessario passaggio attraverso la verifica dell’interesse culturale, a cui consegue un regime di alienabilità “controllata” o libera, a seconda dell’esito. L’introduzione di questa pratica ha infiammato l’opinione pubblica e suscitato le ire di molti studiosi198. Tornando indietro nel tempo, altre forme di valorizzazione dei beni del patrimonio risalgono al 1997, con la l. 8 ottobre, n. 352, che ha istituito la società Sibec per la promozione e il sostegno finanziario e organizzativo di progetti di intervento di restauro, di recupero e di valorizzazione dei beni culturali. Tale norma è stata poi sostituita nel 2003, dalla l. 16 ottobre, n. 291, con successive innovazioni, che ha previsto la costituzione della società Arcus Spa, per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo. Anch’essa, come la Sibec, 198 Tra cui SETTIS, più volte citato, che ha risposto al provvedimento con la pubblicazione del libro Italia Spa, l’assalto al patrimonio culturale, cit., che contiene forti invettive. 78 rappresenta uno strumento finanziario che si preoccupa di agevolare l’utilizzo e il reperimento di risorse economiche, sia pubbliche che private. Tali risorse vengono raccolte e investite per fini di restauro, recupero e, in genere, di promozione dei beni culturali, per questo può essere considerata strumento di valorizzazione 199. 1.4. Il museo: un cambio d’immagine Il museo è cambiato. Ed è tuttora in trasformazione. Lo sterile contenitore di oggetti visto da sempre come luogo polveroso e tutt’altro che invitante, frequentato solo dagli studiosi, non esiste più. Si rivela, invece, l’esistenza di una struttura viva e funzionale, in grado di organizzare in maniera unitaria azioni e servizi per la tutela, la fruizione e la valorizzazione dei beni in essa racchiusi. La trasformazione era iniziata dalla presa di coscienza, da parte della collettività, dell’importanza del concetto di bene culturale 200 e dal conseguente interesse verso il patrimonio, dal punto di vista sociale, politico ed economico. La maggiore conoscenza di questi temi aveva accresciuto la domanda culturale da parte del pubblico, rappresentato da strati di popolazione con esigenze e livelli culturali differenti, espressa nella richiesta di fruizione dei beni. Il museo si trova oggi ad essere una struttura polifunzionale: un luogo fisico, un servizio, un luogo d’incontro. Ha, inoltre, svariate funzioni: 199 In questo senso BARBATI, CAMMELLI, SCIULLO, cit., 224. Enucleato per la prima volta, come abbiamo visto, negli anni Sessanta, dalla Commissione Franceschini. 200 79 conservazione degli oggetti e della memoria, esposizione, promozione culturale e comunicazione, opportunità economica201. Il ricordo si intreccia con l’avvenire, la staticità incontra la dinamicità; nel contesto di questa macchina complessa. Tutte queste attività contribuiscono alla stessa finalità, cioè alla trasmissione alle generazioni che verranno del significato che il patrimonio porta con sé. Esso è anche il luogo delle mille definizioni, che cercano “un equilibrio, sempre provvisorio, ma possibile tra istanze che sembrano inconciliabili: conservazione e fruizione, sicurezza e accessibilità, decontestualizzazione e ricontestualizzazione, distanza e familiarità, interpretazione ed esperienza” 202. Vedremo più in dettaglio la nascita delle prime strutture, l’evoluzione del concetto di museo, la relativa legislazione e tutte le altre funzioni. 1.4.1 L’evoluzione del museo: da struttura contemplativa… Cominciamo dal nome. La parola museo ricorda le muse, che nella mitologia greca erano le nove figlie di Zeus, padre degli dei, e di Mnemosine, dea della memoria. Letteralmente le muse erano “coloro che meditano, che creano con la fantasia”; in senso più esteso fungevano da protettrici ed ispiratrici delle arti. Era dedicato a loro il famoso “Mouseion” ad Alessandria d’Egitto, il palazzo reale che accoglieva il più famoso circolo intellettuale dell’antichità 203. La struttura era sorta nel IV secolo a.C., al tempo di Tolomeo I Sotere, ed era 201 Cfr. L. CATALDO, M. PARAVENTI, Il museo oggi. Linee guida per una museologia contemporanea, Milano, 2007, 42. 202 V. M. V. MARINI CLARELLI, Che cos’è un museo, Roma, 2005, 7. 203 Idem, 9. 80 impiegata dagli scienziati e dai letterati per esercitare le loro discipline senza doversi preoccupare del sostentamento. Alessandria era, così, diventata la patria delle scienze pure e applicate e constava di biblioteca, osservatorio astronomico, giardino botanico e zoologico. Entrando nell’età romana, il circolo si era arricchito anche di studi geografici e filosofici; e le opere degli artisti erano ivi conservate. Anche se non è certo che fra le sue attività si trovasse l’esposizione di cimeli e opere d’arte per fini educativi e culturali, è da lì che deriverebbe la “sacralità del museo” e la sua funzione contemplativa 204. A Roma era diffusa la pratica di spoliazione delle città vinte. Si trasportavano in patria numerosi oggetti e opere d’arte che alimentavano il collezionismo privato, con successiva esposizione al pubblico. L’uso di raccogliere antichità si era mantenuto anche durante il Medioevo, anche se il loro impiego era prevalentemente strumentale, generalmente per il riutilizzo dei materiali; e sono le chiese e le cattedrali a svolgere la funzione di conservazione. L’uso moderno del termine museo era iniziato nel periodo del Rinascimento: si era elaborato un nuovo modello culturale, si studiava, si ricostruiva, si raccoglieva l’antico, le vestigia delle antichità romane erano diventate oggetto di culto. “Si colleziona da sempre per lo stesso motivo: prestigio, status symbol, studio. L’oggetto collezionato, inoltre, perdendo la propria collocazione originaria, acquisisce nuovi significati”205. Proprio questa pratica rappresentava il motore propulsivo e costitutivo del museo. Dal XV secolo rinasceva la volontà di tutta una serie di personalità come sovrani, studiosi, artisti 204 205 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 3-4. V. A. PIROZZI, Elementi di museotecnica, Napoli, 2002, 7. 81 di tutta Europa di collezionare tesori dell’arte contemporanea e antica 206. Le ricche famiglie aristocratiche erano entrate in competizione per aggiudicarsi i pezzi migliori, che erano conservate nelle gallerie dei palazzi e poi talvolta venivano anche esposti al pubblico. 1.4.2 (segue) …a struttura divulgativa. Dal XVII secolo, si era fatta strada l’idea della raccolta destina al pubblico, perché l’esperienza diretta poteva favorire la conoscenza e l’istruzione. In Inghilterra, ad Oxford, nel 1683, Elias Ashmole aveva fatto diventare pubblica la sua collezione e fatto nascere ufficialmente il museo. L’ingresso era possibile a tutti, non solo agli studenti, con pagamento di un biglietto d’ingresso. Gli oggetti potevano essere osservati e toccati: ecco lo scarto dalla struttura sacrale e silenziosa a cui i frequentatori erano avvezzi! In tutta Europa la divulgazione del sapere era considerata una responsabilità pubblica. Le collezioni diventavano strumento per l’identità collettiva e con l’influenza dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese nasceva l’idea di museo in senso moderno, un luogo pubblico in cui venivano conservate le memorie del passato207. Rispondeva a questa definizione il Louvre di Parigi, seguito dal British Museum, fondato nel 1759. Entrambi erano nati in conseguenza di trasformazioni della società e per soddisfare le nuove esigenze culturali. Francia e Inghilterra erano in competizione per soffiarsi i reperti archeologici e si proponevano come custodi di una cultura universale, salvando 206 207 Cfr. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 119 – 124. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 18. 82 ciò che per ignoranza il paese d’origine aveva trascurato. Le diverse visioni della funzione comunicativa erano peculiari. In maniera diversa da oggi, comunicare un’idea o un concetto, all’interno dei musei, era comunque importante. L’uso strumentale del museo aveva portato la Francia ad autocelebrarsi, a magnificarsi l’imperialismo, il potere e la superiorità. L’Inghilterra invece si preoccupava di fornire l’idea dello sviluppo progressivo dell’arte, gradino dopo gradino, per giungere all’esaltazione della classicità greca. Era importante mostrare la distanza rispetto alla perfezione. Il concetto però arrivava al visitatore senza mediazione, si dava per scontato che chi entrava nel museo sapesse già cosa cercare208. All’inizio del XX secolo non c’era più il frenetico accumulo di oggetti, le pratiche di spoliazione si erano arrestate, si era quindi realizzato l’approfondimento della ricerca scientifica 209. Negli Stati Uniti, le prime strutture museali erano nate come imitazione di quelle europee, con la differenza di non avere mai avuto finalità politiche, ma piuttosto didattiche. I musei più importanti erano nati a metà del 1800: il Museum of Modern Art, Moma, di New York, il Museum of Fine Arts a Boston, l’American Museum of Natural History. I fondatori e i gestori erano soggetti privati210. L’attività europea di recupero reperti si era rivelata utile anche per i musei statunitensi: questi avevano, infatti, così potuto acquistare numerosi pezzi che favorivano la rassomiglianza tra i musei europei e americani 211. Gli stessi privati, inoltre, avevano iniziato a viaggiare per l’Europa alla ricerca di opere d’arte. Si 208 In questo senso K. SCHUBERT, Il museo. Storia di un’idea. Dalla rivoluzione francese a oggi, Milano, 2004, 20–34. 209 Idem. 210 I maggiori musei erano infatti nati dall’idea dei soci di club privati. 211 Cfr. SCHUBERT, cit., 47-50. 83 può individuare anche una peculiarità: la creazione di luoghi che racchiudevano al loro interno tutta una serie di curiosità e stranezze212. Negli Stati Uniti l’imitazione era comunque sempre presente, sia per ammirazione della storia e della tradizione europea, sia per una sorta di senso di inferiorità. Ciò si constatava anche nell’allestimento delle cosiddette period rooms213: ricostruzioni di particolari ambienti, riprodotti nei minimi dettagli. Con l’infuriare della seconda Guerra Mondiale, i capolavori europei erano stati inviati ai musei americani, notevolmente più sicuri. Estremamente danneggiati dalla guerra, i musei europei non risultavano più inseriti, come quelli americani, in un “contesto produttivo che ne valorizzi le funzioni e ne definisca i compiti”214. Così, mentre negli Stati Uniti si era creato un “rapporto dinamico tra mercato dell’arte, industria culturale, università e musei, nell’Europa sempre più “vecchia” i musei tendono a diventare polverosi depositi di cose morte”215. Durante la ricostruzione, in Europa, i musei restano privi di finanziamenti e di personale e… “muoiono davvero”216. Negli anni Settanta il percorso di ricostruzione poteva considerarsi concluso. Entrava nella disponibilità della gente il tempo libero, e quindi la possibilità di dedicarsi al turismo. Il museo era tornato ad essere un luogo 212 Sono i “Dime museums” che presentavano varie e particolari attrazioni, come la donna barbuta, i gemelli siamesi, i night-blooming cactus, i cani sapienti. E se queste attrazioni sembrano un fenomeno mostruoso, si ricordi che, etimologicamente, la parola “mostruoso” proviene dal latino “monstrum”, cioè mirabile, da mostrare, un fenomeno contro natura, ma anche un prodigio! Tali luoghi si sono evoluti, in tempi recenti, nei parchi a tema, come Disneyland, che presentano “il surreale quotidiano, il sogno senza costrutto, il kitsch, la trasgressione”; V. A. MOTTOLA MOLFINO, Il libro dei musei, Torino, 1991, 172-186. 213 Presenti anche in Gran Bretagna. 214 V. L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal 500 ad oggi, Milano, 1989, 70. 215 Idem. 216 Idem, 71. 84 destinato all’apprendimento ma anche al divertimento; un luogo “orientato non soltanto alla ricerca e all’esposizione, ma molto più attento al pubblico all’interno, in una prospettiva di servizio”217. Il museo moderno deve accattivarsi schiere di pubblico identificando desideri e preferenze del pubblico. I cambiamenti economici e sociali 218 avevano influito sul suo aspetto: possibilità di efficace illuminazione, i servizi di assistenza al visitatore come presenza di supporti tangibili. La fotografia aveva permesso di riprodurre le opere in cataloghi e libri d’arte. Gli allestimenti nelle strutture erano stati semplificati per valorizzare gli oggetti. Venivano facilitati i percorsi visivi e studiate le condizioni di illuminazione 219. Si organizzavano sempre più spesso mostre temporanee, l’arte non era più solo per pochi, il museo non rappresentava più un luogo di meditazione esclusivo, ma assumeva una nuova funzione: si era desacralizzato ed era diventato spazio culturale con una propria utilità sociale 220. Il museo rappresenta, ora, un luogo d’incontro che fa parte della vita quotidiana, e queste funzioni continuano ad essere mantenute, anzi, vengono sempre più perfezionate e adattate alle esigenze degli utenti. Si effettuano ricerche e indagini per controllare la risposta dei visitatori ai servizi e alle mostre. Ci sono uffici addetti al marketing e alla comunicazione, come al Moma di New York o alla Tate Gallery di Londra221. 217 V. SCHUBERT, cit., 80. Cfr. SCHUBERT, cit., 93, 94. 219 In questo senso C. S. BERTUGLIA, F. BERTUGLIA, A. MAGNAGHI, Il museo tra reale e virtuale, Roma, 1999, 100-101. 220 In questo senso PIROZZI , cit., 12. 221 Cfr. SCHUBERT, 93 - 95. 218 85 In seguito si vedrà anche come le nuove tecnologie abbiano arricchito il panorama dei servizi offerti al visitatore, cercando di sviluppare al massimo le conoscenze e le percezioni. 1.4.3 Il museo contemporaneo: definizioni. Abbiamo visto come il museo, nato come luogo per l’ispirazione e la creatività, si sia a poco a poco trasformato nel luogo della memoria e della conoscenza. Questa memoria si tramanda attraverso le testimonianze del passato e la conoscenza si apprende per mezzo di quelle stesse testimonianze 222. Vedremo i molteplici modi di descrivere la struttura museale, di mezzi e servizi, organizzati per soddisfare le esigenze degli utenti, e tutto il complesso in cui si articola il cosiddetto sistema-museo. Sistema, perché è costituito da un insieme di attività che interagiscono tra loro e cercano di raggiungere gli obiettivi prefissati. È una realtà complessa che ha però una struttura abbastanza semplice perché si fonda sulla sua collezione, quindi il suo contenuto, sulla sua sede, sul pubblico e sulla sua gestione223. Innanzitutto, “non si può parlare di museo (…) se non si ammette che siamo noi – la società entro cui vive e opera (…) – gli artefici di ciò che esso è, di ciò che rappresenta, di ciò che conserva e di come lo racconta”224. Il museo degli inizi, infatti, aveva già cominciato a seguire il flusso dei cambiamenti sociali e delle diverse politiche adottate dagli Stati, ora autocelebrative, ora propagandistiche, 222 Cfr. F. SISINNI, Presentazione, in Il museo, 1992, 0,1-2. Temi trattati in questo e nei prossimi paragrafi. 224 V. P. C. MARANI, R. PAVONI, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Venezia, 2006, 23. 223 86 ora didattiche. E questo suo oscillare tra le diverse funzioni cambia la definizione che il museo dà di sé stesso nel tempo. Durante i primi cento anni di sviluppo della struttura non sono mai state analizzate le premesse o gli intenti. Ciò è avvenuto solo in anni recenti, con la nascita di discipline come la museologia225 si è proposta l’analisi del museo come soggetto storico226. Il museo è “specchio e metafora della società in cui è inserito”227 e lo stesso allestimento degli oggetti non rimanda una realtà o verità assoluta, ma è sempre mediata da ideologie, politiche, tradizioni o tensioni228. Si percepiscono, inoltre, maggiormente i cambiamenti nell’approccio, se si vanno ad osservare i diversi allestimenti visibili in un certo arco di tempo, all’interno della stessa struttura museale. Si trovano tantissimi modi per descrivere il museo: “un luogo di incontro umano, una memoria collettiva, un luogo di espressione collettiva nel quale si rispecchiano la storia civile e intellettuale di una comunità, la vitalità culturale di questa comunità, la sua capacità di legare il passato storico alla realtà del momento attuale”229 e lo si istituisce per il “desiderio di raccogliere e conservare, in luoghi idonei, quanto è ritenuto espressione significativa dell’arte, allo scopo di preservarlo all’ingiurie del tempo e degli uomini, di consentire alle 225 La museologia fa parte, assieme alla museografia e alla museotecnica, delle discipline che riguardano la vita e l’organizzazione del museo. La museologia è una scienza che studia i contenuti e la storia degli oggetti del museo e individua il modo in cui questo sapere dev’essere trasmesso all’esterno; la museografia progetta gli spazi espositivi con un legame logico e semantico tra architettura del museo e contenuto; e la museotecnica comprende le attività e le conoscenze che riguardano i problemi espositivi. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 70. 226 Cfr. SCHUBERT, cit., 33-34. 227 V. M. L. TOMEA GAVAZZOLI, Manuale di museologia, Milano, 2003, XIII. 228 In questo senso MARANI, PAVONI, cit., 23. 229 V. BINNI, PINNA, cit., 77. 87 varie generazioni di avere testimonianze dell’attività umana nello scorrere degli anni e di accrescere il benessere intellettuale”230. È una “raccolta di oggetti e (…) di informazioni” che sono “il risultato di una scelta” 231. Ma “non è un deposito o un semplice contenitore di cose, ma una struttura o un’istituzione che raccoglie una ben precisa selezione di testimonianze a cui sia attribuito valore di civiltà”; è anche “un servizio offerto, da enti pubblici o privati, alla comunità, la cui funzione sociale e culturale consiste nel garantire la conservazione dei beni e, nel contempo, il loro godimento”232. È “l’arca di Noè che protegge ciò che sta al suo interno dalle forze del mondo ostile circostante. È l’agente della società impegnato a contrastare la naturale tendenza al decadimento delle cose. È fonte di stabilità e dunque di rassicurazione” 233. In Italia il museo gode di una tradizione di eccellenza nella qualità e di un’estensione capillare su tutto il territorio. Si possiedono innumerevoli collezioni artistiche ed è inoltre molto diffuso il flusso di nuove acquisizioni. Queste derivano da scavi archeologici, donazioni o reperimenti fortuiti. Almeno dalla fine dell’Ottocento, fino alla Repubblica, la legislazione statale aveva fatto scomparire il termine “museo” per farlo regredire a “raccolta governativa”, a “collezione” aperta al pubblico, o “luogo” accessibile tramite pagamento di una tassa d’ingresso. A poco a poco tutti i musei, anche quelli degli enti locali, che inizialmente avevano mantenuto un’identità in qualche modo distinta, erano diventati solo “contenitori di cose”. A metà degli anni Sessanta si 230 V. V. MILONE, Il museo. Da entità statica a istituzione dinamica, Bari, 2004, 11. V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 17. 232 V. BOTTARI, PIZZICANELLA, cit., 101. 233 V. BALBONI BRIZZA, Il museo come forma complessa, in Nuova museologia, 2003, 3, 18, reperibile all’URL: «http://www.nuovamuseologia.org» 231 88 era aperto il dibattito: era inoltre stata emanata un’importante legge, che riconosceva formalmente i musei “non statali” 234 anche se le innovazioni erano poche e i risultati modesti e disattesi. Solo alla fine degli anni Ottanta il museo era riconosciuto come “entità”, e si erano fatte strada le istanze di autonomia. All’inizio degli anni Novanta la legge Ronchey aveva presentato tutto l’ambito del servizio pubblico e innovato la pratica della gestione; con i decreti Bassanini e le prime forme di decentramento il museo era finalmente riconosciuto come istituto, e si prevedevano le prime forme di autonomia 235. Dopo la lunga “dimenticanza” della legislazione, la prima fonte normativa statale che aveva dato una definizione al museo era stata il d. lgs. 490/99, il quale all’art. 99 co. 2 lett. a, lo descriveva come una “struttura comunque denominata organizzata per la conservazione, valorizzazione e fruizione di raccolte di beni culturali”. Era una definizione “povera”, che tralasciava organizzazione e gestione, il museo continuava ad essere una articolazione interna dell’ente a cui apparteneva. È poi intervenuto il d. lgs. 42/2004, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che individua all’art. 101, co. 2 lett. a, gli istituti e i luoghi della cultura, definendo il museo: “una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”. I comma 3 e 4 inoltre qualificano il museo come bene d’interesse pubblico, a prescindere dall’appartenenza pubblica o privata. La definizione proposta dal Codice è in linea 234 Li divideva in quattro categorie: multipli, complessi di musei con un’unica direzione; grandi, medi e minori, a seconda dell’importanza delle loro collezioni e impegnava gli enti proprietari a predisporre un regolamento di organizzazione e funzionamento che contemplasse persone, mezzi e sede. 235 Cfr. D. JALLA, Il regolamento del museo come strumento di gestione: dimensione giuridica e strategica., reperibile all’URL:«http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it /pdf/sani/musei%20e%20codice.pdf» 89 con quella fornita dall’ICOM, già nel 1986, ma rivisitata nel 2004, nell’art. 2 del suo statuto: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto”. È importante però notare, come sottolinea il prof. Jalla 236, che tra le funzioni del museo evidenziate dall’art. 2, co. 2, lett. a, del Codice, manca la ricerca; e tra le finalità non si trova il diletto, “condannando i curatori a mere funzioni burocratiche e di conservazione e i visitatori alla noia”237. Sono due assenze importanti, che hanno spinto l’ICOM Italia a richiedere l’integrazione della definizione. Anche negli Stati Uniti troviamo varie definizioni di museo. L’American Association of Museums nel suo “Code of Ethics for Museums” afferma che i musei americani sono tra loro molto diversi, ma hanno un comune denominatore: “making a unique contribution to the public by collecting, preservative, and interpreting the things of this world” 238. Questo codice, inoltre, riconosce la varietà di grandezza e di tipo e a livello federale, il Museum and Library Service Act definisce il museo come: “a public or private non profit agency or institution organized on a permanent basis for essentially educational or aesthetic purposes, 236 Idem. V. F. NICCOLUCCI, Biblioteche digitali e musei virtuali, in Digitalia, 2006, 2, 40, reperibile all’URL: :«http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf». 238 V. AAM, What is a museum?, reperibile all’URL: «http://www.aam-us.org». 237 90 which, utilizing a professional staff, owns or utilizes tangible objects, cares for them, and exhibits them to the public on a regulator basis”239. La definizione dell’ICOM, valida ovviamente anche per gli Stati Uniti, ci propone anche la cosiddetta missione del museo, insita nella sua stessa definizione: deve svolgere le funzioni istituzionali che gli sono proprie, che sono regolate dalla legislazione interna alla Stato, e che possono essere la conservazione, la tutela e la promozione dei beni. La consapevolezza che tutte le scelte si riflettono sulla collettività e le future generazioni, impone che la missione debba essere contenuta formalmente nell’atto costitutivo o nel regolamento del museo. Ciò è quanto ci dice il D.M. 10 maggio 2001 “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art. 50 co. 6, d. lgs. 112/98). In genere la missione segue le previsioni della Costituzione, quindi il museo deve tendere a: “conservare il patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale; promuovere la valorizzazione e la diffusione dei contenuti culturali del patrimonio storico”240. I musei statunitensi sentono l’idea di missione molto più di quelli italiani. Ogni istituzione ha la propria, ma quasi tutte condividono il principio dell’educazione, assieme a quello conservativo, che deve arrivare all’utente attraverso una piacevole esperienza. È significativa, a tale scopo, questa citazione: “We believe in the power of art to ignite the imagination, stimulate thought, and provide 239 Idem. V. F. CAPOROSSI GUARNA, F. DAINELLI, I. SANESI, L’economia del museo. Gestione, controllo, fiscalità., Milano, 2002, 19. 240 91 enjoyment”241. Ma definizione in assoluto più evocativa è il “museo come terra dei sogni”242. 1.4.4. Pubblico e comunicazione Il museo è un sistema di comunicazione: gli oggetti che esso espone243 comunicano un messaggio, sempre diverso, a seconda delle finalità che intende perseguire. L’atto del comunicare abbraccia tutti gli aspetti del suo funzionamento, e se il suo ruolo attuale è quello di essere un servizio pubblico, com’è negli intendimenti dell’ICOM, servizio che si riconosce essere necessario, altrettanto necessario è il ruolo comunicativo insito in esso. Quanti tipi di comunicazione esistono? Esistono diversi tipi di approcci, che non possono essere trattati in questa sede; ci si limita ad individuare essenzialmente due modi di trasmettere il messaggio: una comunicazione “interna” ed una “esterna”. La prima ha a che fare con l’allestimento e l’esposizione degli oggetti, quindi riguarda anche la funzione didattico - educativa. La seconda, invece, rimanda all’impatto del museo all’esterno: dall’architettura materiale a quella virtuale. Ad entrambe le modalità si applicano le nuove tecnologie, via privilegiata di comunicazione del museo contemporaneo244. C’è un elemento che è fondamentale, assieme agli oggetti245 per l’esistenza del museo, e che con essi si relaziona: il pubblico. Vale la pena soffermarsi su questo punto per chiarire che 241 V. C. ACIDINI LUCHINAT, Il museo d’arte americano. Dietro le quinte di un mito, Milano, 1999, 40; Cfr. TOMEA GAVAZZOLI, cit., 8, 9. 242 V. BALBONI BRIZZA, cit., 18. 243 O anche la mancanza di oggetti tangibili come per i musei virtuali, che vedremo in seguito. 244 Di cui si tratterà in seguito, dal par. 1.5. 245 Materiali o virtuali. 92 esso è cambiato rispetto al passato, e la sua evoluzione la si può distinguere in tre fasi: 1. è inizialmente rappresentato da un’èlite intellettuale: studiosi, artisti. I visitatori sono affini al personale scientifico, e in grado di decifrare i messaggi trasmessi attraverso le raccolte. Il grande pubblico, invece, vede il museo con un sentimento di soggezione e lo considera lontano dalla realtà; 2. diventa poi una massa da educare, sia nel comportamento, sia nelle modalità di apprendimento. Il visitatore deve solo imparare, non può valutare criticamente; 3. infine viene considerato fruitore, ma anche utente. Egli può richiedere ed esigere dei servizi dal museo, ma resta comunque un ricettore passivo di contenuti. Oggigiorno il pubblico è diventato interlocutore, può interagire col museo. È più vasto, caratterizzato da diversa preparazione culturale, e gli devono essere forniti gli strumenti utili per decifrare i vari messaggi che gli vengono proposti246. Ma passiamo alle modalità di comunicazione. La comunicazione “interna” si confronta continuamente con l’allestimento degli spazi, e diventa così visiva. Deve, inoltre, essere anche integrata da quella verbale, scritta od orale. La distribuzione degli oggetti secondo particolari tematiche, ciascuna delle quali ha il suo percorso espositivo, è compito della museologia; il modo con cui questo viene comunicato al visitatore appartiene alla 246 In questo senso MARINI CLARELLI, cit., 17. 93 museografia247. Poiché le opere d’arte sono “segni”, proprio per questo sono naturalmente predisposte alla comunicazione. Bisogna “far parlare” le opere per “trasmettere cultura”248. Tali segni contribuisco a raccordare il gruppo sociale alla sua storia e per l’attività educativa dell’utente durante la sua visita è necessario: individuare il tipo di pubblico, individuare gli obiettivi che si vogliono raggiungere, e infine la metodologia per conseguirli. Solo così un’attività didattica potrà funzionare. Il pubblico che ci si può trovare davanti, quindi, è piuttosto eterogeneo. Da quando si è cominciato a prestare attenzione alla didattica all’interno del museo249, l’obiettivo sono diventate le giovani generazioni: bambini ed adolescenti. Entrano in gioco qui numerose teorie sull’apprendimento e studi pedagogici per supportare l’applicazione dell’apprendimento museale al mondo della scuola. Vengono proposti laboratori o seminari che sviluppino nel soggetto la creatività e gli permettano di creare associazioni tra ciò che vede e ciò che fa 250. Nel dibattito si citava spesso un proverbio cinese: “Se ascolto, dimentico. Se vedo, ricordo. Se faccio, capisco”. Come esempio, qui nel Trentino Alto Adige, e più precisamente a Trento, è possibile citare il Museo Tridentino di Scienze Naturali. È un validissimo esempio di didattica museale applicata, per i bambini. Vengono proposte numerosa attività: laboratori creativi per famiglie, visite 247 Cfr. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI cit., 33, 34. V. F. ANTINUCCI, Comunicare nel museo, Roma-Bari, 2004, X. 249 In Italia è successo circa venticinque anni fa, periodo in cui avevano luogo i primi convegni sul tema. 250 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 197, 198. 248 94 notturne, possibilità di interagire con gli oggetti251. Le attività possono anche essere previste solamente per gli adulti252. Il mondo anglosassone ha sempre rivolto ampia attenzione alla dimensione educativa. Il museo americano, per esempio, è esso stesso nato come strumento divulgativo, per elevare la cultura della cittadinanza. I direttori propongono molte attività per i bambini, assolutamente efficaci in quelle zone degradate che potrebbero “deviare” la cultura. Deve essere, inoltre, sempre più perfezionata la formazione degli operatori dell’educazione e della comunicazione. Per comunicare il proprio messaggio, il museo deve decidere di attivare delle mostre temporanee, per veicolarlo più agilmente. In questo caso, infatti, il linguaggio è “più immediato ed emozionale, basato sull’attualità della conoscenza e sull’evoluzione delle scoperte, concentrato sulla suggestione dell’approfondimento di un tema”253. Per quanto riguarda la comunicazione esterna, l’incidenza architettonica è fondamentale. Nel museo contemporaneo il progetto dell’edificio non è assolutamente indifferente alla natura degli oggetti esposti. Si può dire che: “la funzione cognitiva dell’architettura deve coniugarsi con la funzione di rappresentazione”254. Se il museo è situato in un’area facilmente accessibile della 251 Cito solo alcune delle iniziative: “Una giornata da primati. Alla conquista dell’altro sesso”. Tecniche di seduzione: le forme più strane e curiose di comunicazione amorosa fra gli animali; “Discovery room”, una stanza delle scoperte per vivere in maniera ludico – creativa il mondo degli scimpanzè. Oppure posso citare le iniziative in collaborazione con il Museo dell’aeronautica G. Caproni, sempre a Trento: “Pianeti giganti”, visita guidata al planetario starlab; “Indizi al volo…con merenda”, caccia al tesoro tra gli aerei. 252 Iniziativa attivata al Museo Tridentino di Scienze Naturali: “Aperitivo al museo”, sfizioso drink tra arte e scienza per un momento di intelligente relax a fine giornata. 253 V. SISINNI, cit., 2. 254 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI cit., 111. 95 città assurge a istituzione chiaramente didattica 255, e non è più solamente un contenitore. Oggi la struttura è più complessa e perfezionata. Negli Stati Uniti i musei sono stati trasferiti nelle aree centrali della città. Molti di loro hanno un’opulenta architettura che ricorda quella dei templi greci. La parte più importante resta comunque la predisposizione di un’accoglienza di tipo commerciale: librerie, auditorium, caffetterie e ristoranti. Qui sono indispensabili mentalità economica e strumenti di gestione, come per il marketing; Inoltre, la comunicazione esterna, mettendosi anche in rapporto con il territorio che ospita il museo, si lega intimamente altresì alla missione dell’istituzione museale che, abbiamo visto, deve diffondere la cultura nel territorio e preservarla. Nei musei italiani, solo dagli anni ’90, sono state avviate politiche di valorizzazione del patrimonio attraverso un rafforzamento delle politiche promozionali, un’offerta di migliori condizioni di fruibilità dei musei, la dotazione di “servizi aggiuntivi” per l’utenza per aumentare il grado di soddisfazione e diversificare le fonti di entrata. La svolta all’innovazione è stata data dal Trattato di Maastricht, che ha ripensato il rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione256. I museum stores, i negozi del museo, si articolano generalmente in bookshop o giftshop, cioè libreria o articoli da regalo. In gran parte si trova un unico grande negozio che li contiene entrambi. Ci sono altri tre formati: vendita tramite distributori automatici, per piccoli libri od oggetti, e-commerce (i 255 256 Idem, 112. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 264. 96 cataloghi del Moma), e vendita tramite negozi esterni, collegati comunque al museo257. In Italia troviamo musei statali, di proprietà dello Stato. Essi hanno contenuto per lo più artistico e archeologico e le collezioni sono un patrimonio direttamente alle dipendenze del Ministero. Qui i bookshop sono stati attivati con la legge Ronchey che prevedeva la gestione di competenza della direzione del museo o affidata in concessione a soggetti privati esterni. Poi i musei civici di proprietà delle municipalità, dove la gestione dei negozi è di pertinenza della direzione del museo, ma può essere esternalizzata e affidata a soggetti privati258. I bookshop comunque non costituiscono una fonte di entrata da consentire autonomia finanziaria al museo stesso, e non potranno mai esserlo 259. 1.4.4.1 Il marketing museale. Alla comunicazione “esterna” appartiene anche il marketing, definibile come “un processo non casuale finalizzato al raggiungimento della missione, che si pone al servizio del museo, e cerca di avvicinare l’offerta ai desideri di alcuni segmenti-obiettivo individuati”260. È necessario, quindi, stabilire le finalità che il museo si propone di raggiungere, per poi fissare i metodi per il loro raggiungimento. Il museo offre “prodotti culturali” che devono essere forniti a chi 257 Idem, 17, 18. Idem, 39, 40. 259 Idem, 47. 260 V. S. BAGDADLI, Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, 1997, 115. 258 97 li desidera e secondo determinate modalità. Il museo deve perciò comportarsi come un’azienda e conoscere le strategie di mercato261. Il museo contemporaneo è rivolto al maggior numero di persone possibile. Anche l’architettura, anch’essa, come visto, fattore di comunicazione, cerca di provvedere ad un allestimento che accolga efficacemente il pubblico. Quando un soggetto decide di visitare un museo, compie una esperienza lunga, che non può essere definita nella durata. Sceglie il museo, sceglie quando raggiungerlo e poi effettua la visita. È intorno a questo processo che ruota tutta una serie di servizi di supporto, dalla prenotazione on-line, per esempio, fino all’acquisto, al termine della visita, di souvenir262. Nei musei contemporanei troviamo librerie, negozi di articoli che riproducono ciò che il soggetto ha visto durante la visita, caffetteria, e nei casi di strutture più complesse anche auditorium, ristoranti e gallerie commerciali. Quindi, proprio per la presenza di queste strutture, è necessario che il museo disponga di una “mentalità economica” e che la metta in pratica con adeguati “strumenti di gestione”263. Negli Stati Uniti il settore dei negozi museali è una realtà complessa e articolata. Anzi si discute se l’eccessiva commercializzazione dei musei ne abbia compromesso il potenziale ruolo educativo, che è una delle caratteristiche principali della missione di quei musei. Bisogna anche rilevare, però, che prima di essere un’analisi per verificare i bisogni del pubblico e aumentarne la soddisfazione, il marketing è stato un utile strumento per migliorare la situazione 261 In questo senso PIROZZI, cit., 67, 68. In questo senso C. MAURI, A. CIRRINCIONE, Shopping nei musei. Emozioni e acquisti nei museum shop, Milano, 2006, 9. 263 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 113. 262 98 economico-finanziaria, in passato in forte dissesto. Biglietti d’ingresso, attività accessorie e mostre temporanee si erano rivelate molto redditizie 264; infatti la comunicazione ha anche la funzione di convincere il pubblico ad “assumere determinati comportamenti d’acquisto”265. In Italia queste attività non sono così sviluppate da poter consentire ai musei un’autonomia finanziaria. La prevalenza dei musei, poi, non è privata, e non potrebbe comunque raggiungere l’indipendenza. Le strategie di marketing dei musei americani si rivolgono anche ai potenziali sostenitori del museo. Infatti, gli stessi opuscoli di talune strutture illustrano la possibilità di diventare membri dell’associazione museale, secondo diverse formule ad ognuna della quali corrisponde un pacchetto diverso di agevolazioni. Oppure viene proposta la possibilità di diventare membri del Volunteer Activities Council e di scambiare il proprio tempo per attività di supporto all’istituzione museale. Infine, è possibile affittare taluni ambienti del museo per incontri d’affari o ricevimenti266. I musei americani, infatti, sono quasi tutti privati e appartengono al settore delle organizzazioni non-profit, che è definito il terzo settore dell’attività americana. Tali strutture hanno, quindi, bisogno di reinvestire i guadagni per lo sviluppo dell’istituzione stessa. Sono possedute da un board of trustees, cioè un gruppo di persone che contribuiscono personalmente alle finanze del museo e sollecitano finanziamenti altrui. Talune strutture sono talmente grandi da essere suddivise in dipartimenti, ciascuno dei quali è presieduto da uno dei trustees. Il collegamento tra il gruppo e il museo è 264 In questo senso BAGDADLI, cit., 116, 117. V. BAGDADLI, cit., 107. 266 Cfr. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 116. 265 99 dato dal direttore o dalla direttrice, che opera nella maggior parte dei casi con un rapporto fiduciario senza contratto267. In Italia non si vedono questi soggetti come un gruppo specifico verso cui indirizzare sforzi o progettazione delle offerte, dato che comunque il 90% dei finanziamenti proviene dallo Stato. La concentrazione è rivolta, invece, al pubblico che risulta essere disomogeneo e quindi dovranno essere fatti notevoli sforzi per servirlo al meglio 268. Prima di procedere alle attività vere e proprie di marketing è necessario effettuare un’analisi che riveli “i fattori critici di successo” e il “sistema di minacce - opportunità”269. Si deve prestare attenzione alle necessità dei vari gruppi di soggetti che hanno a che fare col museo, quindi la domanda; i soggetti contribuiscono a formare la domanda, e infine le “dinamiche competitive”270, con altri soggetti atti a soddisfare gli stessi bisogni. È necessario lavorare su questi fattori ed elaborare un piano che riesca a raggiungere gli obiettivi prefissati. 1.4.5 Gestione e standard dei musei. In Italia è lo Stato che gestisce le raccolte museali, gestione che risulta meno forte dove la proprietà del museo è di enti pubblici o territoriali. Il museo statale non ha una propria autonomia giuridica, né un suo bilancio, né un budget per le attività che vorrebbe svolgere. Le competenze di gestione spettano comunque al Ministero, articolato in dipartimenti e direzioni. Il funzionamento 267 In questo senso ACIDINI LUCHINAT, cit., 11-12. Cfr. BAGDADLI, cit., 113, 114. 269 V. CATALDO, PARAVENTI, cit., 280. 270 Idem. 268 100 delle strutture è, quindi, legato alle attività ed alle risorse finanziarie del Ministero. Siamo ancora lontani da una gestione dinamica e con carattere di managerialità. Per i musei degli enti locali, lo Stato tutela e controlla le raccolte, mentre la competenza legislativa appartiene alle regioni. Secondo l’art. 117 della Costituzione, infatti, lo Stato può emanare solo disposizioni legislative di principio, la cui attuazione è affidata alle regioni. Per quanto riguarda musei e beni culturali i principi a cui devono fare riferimento le normative regionali sono individuati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. I musei locali sono molto numerosi e con strutture, modalità di esposizione e gestione diversificate271. Grazie a una ridefinizione del rapporto tra Stato ed Enti locali, questi ultimi sono stati indotti ad una valorizzazione del patrimonio museale ed a cercare di avviare un modello di gestione integrata dei servizi 272. Per cercare di superare la gestione centralizzata si era attivata una procedura per trasferire la gestione di musei e beni statali agli enti locali. I risultati però non sono stati quelli sperati. I musei statali hanno esclusivamente forma gestionale diretta o “in economia” ed è anche maggioritaria nei musei degli enti locali. La gestione indiretta è giustificata solo se garantisce più efficacia e sostenibilità economicofinanziaria. Stato, Regioni ed enti pubblici possono però stipulare accordi di valorizzazione dei musei pubblici e anche privati273. 271 Cfr. MILONE, cit., 60-62. Idem. 273 Cfr. A. GARLANDINI, L’intervento delle Regioni a favore dei musei, uno scenario in profondo cambiamento, 2006, 2, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/2/garlandini.htm» 272 101 I criteri di gestione per i musei sono stati definiti dagli Standard Museali, pubblicati come “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppi dei musei” 274. Tale documento è frutto di un lungo processo e di un dibattito nazionale e internazionale che a portato anche a redigere “carte dei servizi”275. L’atto è una sintesi tra esigenze di conservazione, fruizione e promozione dell’istituto museale moderno e individua otto ambiti di riferimento, con relative linee guida per la definizione degli standard, ed è valido per tutti i musei italiani, indipendentemente dal loro regime di appartenenza. Gli ambiti riguardano: 1. Status giuridico: previsto anche dall’ICOM, serve per dotare i musei di statuti, regolamenti o altri documenti per riconoscere loro uno status. Essi devono indicare, tra le altre cose, le finalità, le funzioni e le attività. 2. Assetto finanziario: ovvero la messa a punto dei bilanci preventivo e consuntivo. 3. Strutture del museo: per raggiungere garanzie di qualità, tramite procedure e risorse specifiche. 4. Personale: deve essere qualificato e l’impiego dipende dalla dimensione del museo, dall’importanza delle collezioni, e dalle responsabilità della struttura. 5. Sicurezza del museo: riguarda la salvaguardia degli edifici, dei contenuti, degli occupanti, nonché il restauro dei primi. 274 D.M. 10 maggio 2001 (art. 150 co. 6, d.lgs. 121/98). Più diffuse in Gran Bretagna, sono tentativi di ridare efficacia alla Pubblica Amministrazione facendo partecipare gli utenti al controllo del servizio. 275 102 6. Gestione e cura delle collezioni: implica il rispetto di standard relativi allo status giuridico, alle finanze, al personale, alle strutture e alla sicurezza. Risulta fondamentale un documento con gli indirizzi relativi alla gestione e alla cura delle collezioni per raggiungere gli obiettivi di conservazione e fruizione. 7. Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi: missione, informazione, accesso e fruizione. 8. Rapporti con il territorio: centri di interpretazione del territorio stesso con l’attivazione di indagini di ricerca e di conservazione276. 276 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 75-82. 103 CAPITOLO SECONDO BENI CULTURALI, MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE “il virtuale non “sostituisce” il “reale”: moltiplica le occasioni di attualizzarlo” (P. LÉVY, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, 1999) 2.1 L’avvento delle nuove tecnologie Abbiamo visto nel paragrafo 1.4.4 come l’architettura contribuisca alla creazione di un “museo – ambiente funzionale alla comunicazione intesa come continuità fra contesti espositivi e spazi dedicati al pubblico”277. A coadiuvare quella che abbiamo definito “comunicazione esterna”, troviamo i cosiddetti “media digitali”: le nuove tecnologie. Solo un decennio fa espressioni come cyberspazio, realtà virtuale, new media, ci erano quasi sconosciute, mentre oggi fanno sempre più parte della nostra realtà quotidiana. Innovazione e tecnologia rappresenta un binomio su cui da tempo si punta: le nuove tecnologie, intese come un mezzo per raggiungere gli obiettivi e non come un fine a sé stante278, trasformano i sistemi tradizionali di tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali, poiché cambiano i modi di produrre e diffondere la cultura. Sono stati attribuiti alcuni caratteri essenziali al nostro presente, tra cui “società dell’informazione” ed “era digitale”: è questo il concetto chiave su cui è necessario fare una breve riflessione, poiché intorno ad esso ruota tutta 277 V. S. MONACI, Il futuro nel museo. Come i nuovi media cambiano l’esperienza del pubblico, Milano, 2005, 27. 278 In questo senso S. BODO (a cura di), Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee, Torino, 2000, 83. 104 l’innovazione di cui andiamo discutendo. Il termine “digitale” 279 caratterizza “un segnale, una misurazione o una rappresentazione di un fenomeno attraverso i numeri”280, grazie alla digitalizzazione delle informazioni e quindi al loro inserimento nella rete informatica, avviene l’incontro tra le tecnologie informatiche e le tecnologie della comunicazione. Tramite le reti di computer, i contenuti trasformati in bit possono viaggiare e trasferire dati molto velocemente, migliorando il grado di accessibilità dei contenuti, e in questo caso di quelli culturali. All’interno di questo processo si inseriscono efficacemente le tecnologie dell’informazione e della comunicazione281 che sfruttano la tecnologia digitale e consistono in sistemi multimediali interattivi, realtà virtuale, connessione telematica su larga scala attraverso la condivisione di un protocollo comune di comunicazione, come Internet 282. Queste tecnologie hanno avuto un impatto profondo con la società e, in questo caso, col settore dei beni culturali 283. 279 La cui derivazione è anglosassone, anche se l’etimologia è Latina: da “digitus” che significa “dito” e che quindi “serve per numerare”. 280 V. PASCUZZI, cit., 17. Più specificamente, il codice digitale che sta alla base del funzionamento dei computer e di altri dispositivi odierni è un codice di tipo binario che utilizza i due stati fondamentali in cui si può venire a trovare un dispositivo che funziona con la corrente elettrica: zero – uno. Qualsiasi informazione può essere ridotta a una sequenza di zero e uno. Il termine “binario” è l’inglese binary digit, da cui bit, la più piccola quantità di informazione scambiabile attraverso la rete informatica. 281 ICT, Information and Communication Technologies. 282 Tematiche di cui si tratterà più diffusamente in seguito. 283 P. LÉVY nel suo libro Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, cit., 26, è contrario all’uso del termine “impatto”. Egli sostiene che, in questo modo, la tecnologia sarebbe paragonabile a un proiettile e la società a un bersaglio. È quindi evocata una metafora errata. È invece corretto pensare che è ”impossibile separare l’essere umano dal suo ambiente materiale, dai segni e dalle immagini tramite cui conferire senso alla vita e al mondo”. Il mondo materiale e artificiale non può essere separato dalle idee con cui gli oggetti tecnici vengono realizzati, le tecnologie sono quindi il prodotto di una data società o cultura. 105 Tutti questi fenomeni comunque non sono da intendere come qualcosa che si è sviluppato ex novo, dal nulla, ma rappresentano il risultato di un processo che ci accompagnano da più di un trentennio 284. Le prime applicazioni delle nuove tecnologie riguardavano sistemi di conservazione e gestione degli archivi, con lo scopo di produrre maggiore efficienza e qualità dei servizi offerti. Si è cercato di sviluppare e migliorare le modalità di ricerca e recupero delle informazioni, con l’ausilio di complesse e sofisticate metodologie per indicizzare e strutturare i dati. Ulteriori applicazioni hanno poi portato alla costruzione di banche dati tematiche consultabili on line285. Tali strumenti hanno poi cominciato ad interessare le biblioteche ed infine i musei. Abbiamo visto, infatti, come sia oggi di vitale importanza catturare l’interesse dell’utente, proporgli un’accattivante presentazione dell’opera, e conquistarlo con un’esperienza che lo coinvolga, e desti il desiderio di ripeterla. Con l’introduzione dei nuovi modelli di fruizione delle opere e più in generale del patrimonio, questo è diventato possibile. Si ricordi che dalla nascita del collezionismo, gli oggetti sono stati presentati come finalizzati a se stessi, anzi trasportati dai luoghi di provenienza verso altri stati. Nell’epoca del digitale di può invertire la tendenza e creare “musei trasversali” in cui si possono raggiungere in modo virtuale fonti d’informazione sparse per tutto il pianeta, ma collegate in rete286. 284 In questo senso L. GRANATA, Dopo i beni culturali. Biblioteche e musei nell’era di Internet, Napoli, 2001, 19. 285 Cfr. A. MACCANICO, Tecnologie, beni culturali e memoria, in P. GALLUZZI, P. A. VALENTINO, I formati della memoria. Beni culturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio, Firenze, 1997, 4. 286 Idem, VII. 106 Secondo Antinucci si possono individuare tre caratteristiche fondamentali che differenziano le tecnologie applicate ai beni culturali287: 1. sono “a base visiva” quindi “mettono al centro della comunicazione e della elaborazione l’immagine anziché il testo”; 2. sono “interattive” cioè richiedono all’utente di “agire, scegliere e rispondere ad ogni passo della comunicazione facendola così strutturare a lui stesso in una illimitata varietà di percorsi”; 3. sono “connesse” in modo tale che un “numero illimitato di fonti di informazione di tutti i tipi sia accessibile in tempo reale e in forma interattiva”. Ciò è assai importante perché in questo settore gli oggetti con cui si ha a che fare sono principalmente di natura visiva. Inoltre, grazie all’interattività, si modifica il tradizionale tipo di comunicazione in quanto l’utente è chiamato ad interagire, quindi deve sviluppare un modo di apprendimento che si definisce “senso – motorio”288. 287 Cfr. F. ANTINUCCI, Beni artistici e nuove tecnologie, in GALLUZZI, VALENTINO, cit., 121-122. La mente umana, durante i processi di apprendimento ed elaborazione può procedere con due modi, molto differenti: Un primo modo detto “simbolico – ricostruttivo” e un secondo modo detto “senso – motorio”. Con il primo modo si legge un testo con un’informazione conoscitiva, lo si comprende, si elabora nella mente e si apprende quanto letto; è il comune “studio individuale”. Con il secondo modo, si osserva un oggetto, lo si percepisce con i propri sensi e si interviene sull’oggetto stesso con la propria azione motoria. Dopodichè si osservano le conseguenze della propria azione. Quest’ultimo è il modo più naturale per l’uomo, è quello messo in atto dai bambini nei primi anni di vita, è il comportamento di tutte quelle persone che preferiscono tentare di utilizzare un oggetto senza leggere le istruzioni! Dall’invenzione della stampa, le conoscenze sono state fatte passare in forma testuale, anche se le conseguenze non sono di poco conto, bisogna infatti fare i conti con difficoltà, lentezza e fatica dell’apprendimento simbolico – ricostruttivo! 288 107 2.2 Europa e digitalizzazione Le nuove tecnologie della comunicazione possono davvero offrire all’Europa l’opportunità di puntare sulla riscoperta e sulla valorizzazione del patrimonio culturale comune. Per mezzo di questi strumenti le inevitabili lacune di coesione e di identità tra gli Stati membri potrebbero essere colmate; e le possibili strategie di sviluppo sarebbero dotate di maggiore effettività. Ne sono convinti i rappresentanti di tali Stati, riuniti dalla Commissione europea, dal 2001, nel cosiddetto “Gruppo europeo dei rappresentanti nazionali per la digitalizzazione del patrimonio culturale” (NRG); e nominati da ciascuno stato dell’Unione. L’istituzione di tale organo rispondeva all’esigenza espressa da una raccomandazione contenuta nel piano d’azione eEurope che, a partire dall’anno 2000, mira a creare tra gli Stati membri meccanismi di coordinamento di programmi e progetti nazionali per facilitare la creazione di contenuti digitali a disposizione dei cittadini europei. È, infatti, diventata centrale, per le politiche europee, la fruizione del patrimonio culturale comune attraverso la sua digitalizzazione, e perciò è necessario “riunire le forze” per perseguire obiettivi comuni. Nel 2001, nella cittadina svedese di Lund, sono stati elaborati importanti principi su questo argomento, e un piano d’azione per attuarli: l’attività dell’NRG si basa proprio su di essi ed ha il compito di custodirne l’effettività. Si prevede come punto principale l’adozione di standard comuni e l’avanzamento verso una piattaforma europea, costituita per mezzo di una serie di linee guida e 108 raccomandazioni289. I primi progetti di applicazione delle tecnologie al settore dei beni culturali risalgono agli anni Ottanta, ma è solo con il riconoscimento formale della cultura come oggetto di azione dell’Unione, da parte del trattato di Maastricht290, che l’intervento della Comunità si è fatto più incisivo. Si prevede la disposizione di programmi quadro che si estendono per determinati periodi di tempo, nei quali rientrano numerosi diversi progetti291. Nell’ambito del quadro di riferimento europeo descritto si inserisce il progetto “Ministerial Network for Valorising Activities in digitisation” (MINERVA) 292 che ha il compito di coadiuvare l’attività dell’NRG. È un progetto nato nel 2002 e terminato nel 2006, finanziato dalla Commissione europea e dagli Stati membri con lo scopo di facilitare una comune visione europea nella definizione di azioni e programmi nel campo dell’accesso e fruizione in rete del patrimonio culturale. L’obiettivo è quello di delineare possibili soluzioni che consentano di raggiungere un equilibrio tra fruibilità del patrimonio culturale e scientifico e tutela dei diritti, in particolare dei diritti di proprietà intellettuale. Si riconosce, infatti, che l’individuazione dei diritti è fondamentale nel momento di erogazione e gestione dei servizi, da parte delle istituzioni. Queste stesse istituzioni, in particolare archivi, musei, biblioteche, necessitano inoltre di poter contare su un modello di licenza o contratto delineato e condiviso dai Ministeri 289 Cfr. MINERVA E UROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities in digitisation. Attività 2003-2004, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/minervabooklet2003-2004-i.pdf» 290 V. art. 151 (ex 128), par. 1.2.2. 291 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 49. 292 Nato all’interno del programma quadro eContent. 109 della Cultura europei che rispetti gli interessi delle parti in gioco e che salvaguardi il diritto all’informazione per tutti i cittadini europei293. MINERVA ha dato vita a una rete di Ministeri europei della cultura, coordinati dal Ministero italiano, con l’obiettivo di armonizzare le attività di digitalizzazione. I contatti con gli altri paesi, con organismi internazionali, con altri progetti con scopo simile hanno favorito la convergenza fra archivi, biblioteche, musei, siti archeologici, in una prospettiva di integrazione dei servizi294. Tali indicazioni favoriscono lo sviluppo di contenuti interoperabili e lo scopo di promuovere approcci che supportino la conservazione a lungo termine dei materiali digitali. Nel 2004 è stata realizzata un ampliamento del progetto MINERVA, attraverso “MINERVAplus”, per estendere i risultati ottenuti ai nuovi paesi entrati a far parte dell’Unione Europea. Le linee d’azione dei due progetti proseguono comunque in sintonia, i nuovi partner sono impegnati nelle stesse tematiche del precedente progetto, ma focalizzano l’attenzione su argomenti specifici295. MINERVAplus in particolare ha condotto uno studio sui sistemi di 293 Cfr. MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, Relazione informativa. Digital Rights Management, reperibile all’URL: «http://www.innovazione.gov.it/ita/intervento/normative/pubblicazioni/digital_rights/digital_rights _management_full.pdf» 294 Taluni dei prodotti concreti di MINERVA sono stati: “Handbook for quality in cultural website”, “Ten cultural websites’ quality principles”, “Linee guida tecniche per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali”. Per maggiori informazioni: «http://www.minervaeurope.org/events/parma/parmaconference.htm» «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria-i.htm» «http://www.minervaeurope.org/publications/technicalguidelines.htm»; v. anche par. 2.4.4.1. 295 Cfr. MINERVA E UROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities in digitisation. Attività 2003-2004, cit. 110 Digital Rights Management per definire i bisogni delle istituzioni culturali e testare le piattaforme tecnologiche296. Nel 2003, durante la presidenza italiana, l’NRG ha elaborato un nuovo documento strategico, la “Carta di Parma”. Essa rappresenta l’evoluzione dei “Principi di Lund” e serve a consolidare gli obiettivi raggiunti e ad individuare quelli da raggiungere. È importante sottolineare che, tra gli altri principi, la Carta propone di “trovare un giusto equilibrio tra il diritto di accesso al patrimonio culturale e scientifico e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale”; a tal proposito sostiene “tutte le azioni rivolte ad incrementare l’accessibilità e superare le barriere legislative e normative, incoraggia il dialogo tra esperti di diritti di proprietà intellettuale, imprese che applicano sistemi di Digital Rights Management e imprese produttrici di contenuti”297. Nel 2004 è stato avviato un altro progetto: “Multilingual Inventory of Cultural Heritage in Europe” (MICHAEL) all’interno del programma quadro Electronic trans-european networks (eTen). Esso si avvale del sostegno dell’NRG e del progetto MINERVA fra il Ministero italiano per i beni e le attività culturali, il francese Ministére de la culture et de la communication e il Museums libraries and archives council del Regno Unito. Fondandosi sui risultati raggiunti dal progetto MINERVA nel campo degli inventari di collezioni digitali e degli standard tecnici per i programmi di creazione di contenuti culturali digitali, MICHAEL ha l’obiettivo di creare un portale trans-europeo per l’accesso online 296 MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org». 297 V. MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, Relazione informativa. Digital Rights Management, cit. 111 multilingue ai contenuti culturali digitali di Francia, Italia e Regno Unito. In questo modo, attraverso l’adozione di standard condivisi, MICHAEL porterà all’allineamento e all’interoperabilità dei portali culturali nazionali, permettendo ai cittadini europei di “navigare e compiere ricerche nell’ambito delle collezioni culturali digitali dei paesi aderenti” 298. Nel 2005 si è esteso il progetto in “MICHAELplus”, attraverso il coinvolgimento di altri paesi europei proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali (MiBAC) 299. Il progetto quindi censisce e dà accesso alle collezioni digitali, intendendo per “collezione digitale” una “aggregazione di oggetti digitali. Il termine collezione indica che la risorsa digitale è descritta collettivamente; le sue parti possono comunque essere descritte e “navigate” indipendentemente”300. Nel 2005 è stato predisposto un nuovo Piano d’azione, il “Dynamic Action Plan”, che approfondisce e sostituisce i “Principi di Lund” e cerca di eliminare gli ostacoli individuati nel tempo, tracciando la rotta da seguire nei prossimi anni. L’obiettivo resta quello di assicurare ai cittadini europei un accesso facile e immediato al patrimonio culturale 301. I progetti, nel loro complesso cercano di individuare e rimuovere gli ostacoli al mantenimento delle risorse culturali digitali, assieme al bisogno di individuare soluzioni tecnologiche e modelli di sviluppo economico. Sempre 298 V. l’URL: «http://www.michael-culture.org» e v. R. CAFFO, Il Piano d’azione dinamico per il coordinamento europeo della digitalizzazione di contenuti culturali e scientifici, in Digitalia, 2006, 1, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20061_globale.pdf» . 299 L’estensione coinvolge Finlandia, Germania, Grecia, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Ungheria. 300 V. R. CAFFO, Progetto MICHAEL, reperibile all’URL: «http://www.michael-culture.org». 301 Cfr. R. CAFFO, Il Piano d’azione dinamico per il coordinamento europeo della digitalizzazione di contenuti culturali e scientifici, cit. 112 maggiori quantitativi di informazioni, infatti, sono “collezioni digitali primarie” (born digital) e la loro conservazione è necessaria, non solo per il settore culturale. Si prospetta, quindi, una collaborazione con progetti internazionali ed europei sul tema della conservazione a lungo termine 302. Inoltre, l’Italia si è proposta per guidare gli studi che riguardano la sostenibilità dei contenuti digitali, facendo tesoro delle esperienze maturale attraverso il progetto MINERVA, il quale si è occupato di copyright e diritto d’autore; e quello dell’abbattimento dei costi della digitalizzazione, cercando di creare una struttura europea per la digitalizzazione. 2.3 Pubblico e nuove tecnologie Nella nostra società la trasmissione di messaggi culturali passa necessariamente attraverso le nuove tecnologie. Nonostante la nostra età sia stata denominata “società dell’informazione”, esiste ancora, in realtà, un forte deficit di informazione e conoscenza: si registra un elevato divario tra il sapere detenuto dai soggetti. Tuttavia, la domanda culturale è in continuo aumento, intesa come rivolta al patrimonio fisico e ai fenomeni come mostre ed esposizioni temporanee. La richiesta di cultura domina le motivazioni principali di spostamento dei turisti, che sono sempre più “maturi, consapevoli ed esigenti” 303. Il visitatore, infatti, parte provvisto di una approfondita ricerca di informazioni che riguardano tutti gli 302 MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione, cit. 303 V. A. GRANELLI, F. TRACLÒ (a cura di), Innovazione e cultura. Come le tecnologie digitali potenzieranno la rendita del nostro patrimonio culturale, Milano, 2006, 2. 113 aspetti della sua visita e, per farlo, si avvale, prevalentemente, di strumenti informativi che trova in rete. Proviamo ad analizzare questo soggetto: il visitatore di un museo 304. Secondo un’efficace figura evocativa utilizzata da Bertuglia il museo rappresenterebbe un “giacimento di informazioni” e le nuove tecnologie sarebbero gli “strumenti per estrarre le informazioni dal museo” 305. Possiamo distinguere due tipi ideali di utenti: l’utente diretto; l’utente remoto. L’utente remoto è una nuova figura che scaturisce dall’impiego delle nuove tecnologie: la capillare diffusione di Internet 306 nella società e la digitalizzazione del patrimonio hanno permesso alle istituzioni culturali come i musei di condividere con il pubblico un flusso pressoché illimitato di informazioni e ha permesso agli individui di procedere a un “consumo a domicilio” 307 di cultura. Questo segna una svolta rispetto al passato: l’utente può scegliere il momento del consumo, la durata, l’oggetto, riducendo tempo e costi. Le conoscenze in cui si imbatterà potranno essere fine a se stesse o indurre il soggetto a una visita diretta nei luoghi di cui si sono individuate le informazioni. In questo caso l’utente si trasforma in utente diretto. È, quindi, possibile che un soggetto possa rappresentare, al tempo stesso, entrambe le tipologie, facendo precedere la visita 304 Che da ora chiameremo “utente”. V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 154. 306 Su cui si farà un breve approfondimento in seguito. 307 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 163. 305 114 da una ricerca; ma è anche possibile che l’utente remoto non diventi mai utente diretto. Tutto ciò permetterà di valorizzare non solo i grandi musei, ma anche e soprattutto quelli di piccole dimensioni che acquisteranno una “visibilità insperata”308. Per quanto riguarda l’utente diretto, egli si trova all’interno del museo ed è a stretto contatto con gli oggetti. Le nuove tecnologie gli permettono di esaminare i beni da un punto di vista diverso o in modo più approfondito. L’utente remoto, invece, può stabilire diversi tipi di contatto col museo e con gli oggetti: può stabilire una relazione precedente di preparazione a una visita; può stabilire una relazione che è fine a se stessa e che: non porterà a una visita futura, porterà a una visita futura; come abbiamo visto, ma può stabilire una relazione successiva alla visita per rielaborare ciò che ha visto309. Questo stesso utente può rappresentare una fatta di popolazione molto eterogenea. L’età è un elemento fortemente discriminante: è, infatti, facilmente intuibile come i giovani siano i più stimolati all’uso delle nuove tecnologie, in quanto portatori di una cultura più orientata all’utilizzo dell’informatica, grazie alla scuola e ai media di comunicazione, come la televisione. Gli anziani, invece, 308 309 Idem, 161. Idem, 149-151. 115 incontrano diverse barriere tra cui la complessità di utilizzo o la non comprensione delle informazioni310. I nostri comportamenti sono in linea con quelli degli Stati dell’Europa centrale, ma notevolmente diversi da quelli dell’Europa del nord e degli Stati Uniti, dove si riscontra una penetrazione decisamente maggiore dei computer, e dell’informatica in generale, nelle famiglie. Si può prevedere, però, che col tempo l’alfabetizzazione informatica crescerà e farà sempre più parte della vita quotidiana e che, quindi, tutti un giorno ne saranno coinvolti311. 2.4 Gli strumenti a servizio dell’utente In che cosa consistono le nuove tecnologie, applicate ai musei, o che ad essi si collegano? Stiamo parlando di: Collegamenti video Banche dati e archivi ondine Guide multimediali e interattive a) CD rom o DVD rom b) Chioschi multimediali e work stations c) Audio e videoguide Musei virtuali Tra queste si possono individuare le tecnologie per la fruizione in loco, come collegamenti video, chioschi o audio e videoguide e tecnologie per la fruizione “da remoto”, come CD rom e DVD rom, banche dati, musei virtuali. 310 311 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 13-21. Idem. 116 Collegamenti video, banche dati e musei virtuali saranno esposti ciascuno in un separato paragrafo; CD rom e DVD rom, chioschi e audio e videoguide invece sono partizioni del paragrafo intitolato Guide multimediali o interattive. Ritengo opportuno soffermarmi brevemente ad illustrare la tecnologia che supporta in gran parte questi strumenti: Internet. Internet è la più importante rivoluzione tecnologica della nostra società ed è il simbolo dell’era digitale. Essa può essere intesa come una rete di reti collegate fra loro che usano dei protocolli di comunicazione comuni312. Internet è nata da presupposti di tipo strategico – militare, negli anni Sessanta negli Stati Uniti. Già negli anni Settanta è divenuta un mezzo dagli usi più svariati, non militari. Il suo successo è stato decretato dalla crescita esponenziale dei computer connessi e dalla conseguente circolazione di innumerevoli informazioni. Per aiutare gli utenti a districarsi tra esse sono stati perfezionati dei cosiddetti “software di navigazione”; quello attualmente più diffuso è il World Wide Web, da cui si inizia la navigazione verso altri siti. Il protocollo di comunicazione del “www” è detto “http” HyperText Transfer Protocol313. 2.4.1 Collegamenti video Nei musei, in particolare all’interno di una mostra, i collegamenti video possono essere intesi come pannelli che rimandano immagini delle opere, immagini dell’autore o degli autori coinvolti nell’evento. Spesso sono coadiuvate 312 I protocolli di comunicazione sono un’insieme di regole per comporre dei messaggi e consentirne lo scambio tra due macchine. L’insieme dei protocolli di comunicazione di base, usati da Internet, è TCP/IP Transmission control protocol/Internet protocol. 313 Cfr. PASCUZZI, cit., 22,23; GRANATA, cit., 38, 39. 117 da musica ed effetti sonori, creati per l’occasione o raccolti tra gli esistenti, che creano una particolare e studiata atmosfera e favoriscono l’immersione dell’utente nell’ambiente. Come abbiamo visto, il museo contemporaneo può anche ospitare “strutture per l’intrattenimento” del pubblico, come un auditorium. Esso può essere impiegato anche per, ad esempio, mostrare il lavoro compiuto dai conservatori o mostrare il loro lavoro ancora in corso, a cui assiste il pubblico, che può porre delle domande. Possiamo inserire in questo ambito anche le videoconferenze, importanti per consolidare i rapporti tra le singole istituzioni museali e per l’interscambio professionale 314; così pure il servizio di fruizione di spettacoli on - line, per l’utente connesso ad Internet, siano essi mostre, documentari o informazioni culturali. I video sono già registrati e pubblicati in rete, la loro fruizione è possibile con due modalità: in tempo reale attraverso Internet oppure tramite previo download sul proprio computer315. 2.4.1 Banche dati e archivi online L’art. 2, n. 9, della legge 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti concessi al suo esercizio”, definisce le banche dati come “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo”. 314 In questo senso A. FAHY, Leggibilità e accesso: le tecnologie dell’informazione e della comunicazine al servizio del museo d’arte, in BODO, cit., 92 - 97. 315 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 110, 111. 118 Nel corso degli ultimi decenni e grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche e quindi del fenomeno della digitalizzazione, sono andate assumendo importanza sempre maggiore. I siti web dei musei riescono a predisporre banche dati e gli utenti registrati possono anche estrarre, previa accettazione di una licenza d’uso e con il pagamento di una determinata somma, delle immagini digitali che riproducono opere del museo 316. Si può trovare, così, un inventario visivo completo delle collezioni e l’insieme dei dati costituisce il patrimonio del museo. Si noti che la dottrina qualifica le mostre e le raccolte d’arte come “banche dati” e ciò si può applicare anche alle esposizioni virtuali o ai musei virtuali317. Inizialmente non è stato facile organizzare degli archivi, a causa delle difficoltà incontrate per la conversione dal cartaceo al digitale. Inoltre mancavano degli standard univoci da seguire. Ma con la progressiva diffusione di Internet e con tutte le potenzialità offerte dalle tecnologie telematiche il processo di conversione ha subito un’accelerazione. La definizione di un protocollo comune ha reso meno difficile il conseguimento di obiettivi come accessibilità e fruizione. In Italia non esiste una rete di risorse a livello nazionale, ma sono in atto esperienze e progetti collegati a particolari istituzioni318. 316 Cfr. S. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. Ind., 2002, 3, 302. 317 Cfr. S. STABILE, G. GUERZONI, I diritti dei musei. La valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, 243. 318 Cfr. MONACI, cit., 88-90. 119 2.4.2 Guide multimediali e interattive I musei producono tutta una serie di materiali audiovisivi, multimediali e interattivi che hanno il compito di coadiuvare l’attività e la missione del museo. Ho diviso questi strumenti in tre parti: a) CD rom e DVD rom b) Chioschi multimediali e work stations c) Audio e videoguide a) CD rom e DVD rom Facciamo un po’ di chiarezza: con il termine “multimedialità” si intende “la possibilità di produrre e di ricevere informazione e di comunicare attraverso testi scritti, voci, musica, immagini o grafica, utilizzando lo stesso supporto fisico o gli stessi canali di trasmissione” 319. Si possono, quindi, trovare media differenti: se almeno due di questi elementi sono presenti, allora il documento può essere definito “multimediale”. Tutti questi elementi sono in formato digitale e, nel caso di CD rom e DVD rom, fissati su un supporto ottico. I prodotti multimediali sono quasi sempre anche interattivi e ciò indica l’interazione di un soggetto con un oggetto, o meglio una macchina, e la macchina risponde in un determinato modo che innesca nel soggetto un nuovo comportamento. Il tutto andrà a creare una sorta di “circolarità comunicativa”320. 319 V. BERTUGLIA, BERTUGLIA, MAGNAGHI, cit., 156. V. CD rom allegato a P. A. BERTACCHINI, E. BILOTTA, P. PANTANO, Il museo nell’era digitale, Catanzaro, 1997. 320 120 CD rom e DVD rom rappresentano il punto di arrivo di ricerche abbastanza recenti. Questi supporti sono comparsi negli anni Ottanta, permettono di registrare dati eterogenei321 in forma digitale che una volta registrati non sono più modificabili322. Il DVD è una variante “ad alta densità” di caricamento dei dati, è cioè più capiente e può contenere tracce video e audio di qualità superiore. Esso permette anche all’utente di muoversi all’interno del disco tra titoli e capitoli323. Possiamo trovarci di fronte a visite virtuali, percorsi interattivi che offrono approfondimenti sulle opere di una collezione 324, giochi interattivi e servizi didattici, rivolti ad un pubblico di giovani o giovanissimi. L’ultimo impiego citato vuole avvicinare i ragazzi al mondo dell’arte e realizzare quello che oggi viene chiamato “edutainment”325, in altre parole “imparare divertendosi” e può essere anche applicato alle finalità del museo virtuale. Tali elementi sono un valido veicolo di trasmissione della conoscenza e di diffusione della cultura. La loro realizzazione deriva da un progetto che molto spesso è orientato alla promozione di una istituzione museale e perciò suscita, o dovrebbe suscitare, nell’utente la curiosità e la voglia di visitare la struttura. b) Chioschi multimediali e work stations Chioschi multimediali e work stations, appartenendo alla fruizione in loco, sono situati all’interno del museo. 321 Come si è visto testi, immagini, suoni. Rom infatti significa read only memory. 323 Cfr. GRANATA, cit., 33-34. 324 Approfondimenti che spesso non sarebbero realizzabili all’interno di una esposizione. 325 È un neologismo nato dalla fusione dei termini inglesi education e entertainment e indica tutta quella serie di attività che servono per un apprendimento ludico e sono supportate dall’informatica e rivolte a un pubblico giovane. 322 121 Le due tipologie sono similari e consistono in postazioni computerizzate che utilizzano le nuove tecnologie per mostrare contenuti testuali e grafici, audio e video e danno informazioni relative ai materiali esposti. Possono anche fornire servizi informativi su come orientarsi all’interno della struttura museale e su come usare i media presenti al suo interno. Sono utili all’approfondimento delle tematiche trattate, per esempio, in una mostra temporanea: talune postazioni possono essere anche fornite di stampante per portare con sé le informazioni raccolte326. c) Audio e videoguide In generale, le audio guide permettono all’utente di una struttura museale, di una città d’arte o di un altro luogo significativo, di effettuare la visita utilizzando come supporto una guida audio che fornisce spiegazioni e informazioni su quanto si sta vedendo. Questo strumento è in forte evoluzione: esso si è, infatti, aggiunto all’ascolto di voci e suoni anche la visione di immagini, filmati e collegamenti in rete. La tipologia più utilizzata permette un ascolto e una visione individuale da parte dell’utente ed è programmabile secondo le sue richieste, in un’ottica di “personalizzazione del servizio che offre al visitatore libertà rispetto alla fruizione della visita”327. 326 327 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 170; CATALDO, PARAVENTI, cit., 240-241. V. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 164. 122 Cito due esempi particolari di applicazione di questo strumento, uno previsto per la fruizione in loco, all’interno del museo, l’altro per la fruizione all’aperto, per un’area cittadina o più estesa. Il primo esempio concerne una video-guida su palmare implementata all’interno del Museo Didattico della Seta, con sede a Como 328. Tale innovativa guida è denominata i-muse, interactive museum, e costituisce il progetto imprenditoriale di Davide Orlando, Guido Panini, Luca Fadigati e Paolo Sinigaglia. Nel mese di agosto 2007 si sono conclusi i test di usabilità dello strumento, prove a cui ho partecipato personalmente e con entusiasmo. La piacevole voce di una guida virtuale, Chiara, presenta all’utente il museo in cui è entrato, la sua storia, e lo indirizza verso la possibilità di personalizzare il palmare modificandone talune impostazioni. È possibile cambiare lingua d’ascolto, volume dell’audio, impostazione del touch screen per persone che utilizzano l mano sinistra. Inoltre è previsto un servizio “preferiti”, grazie al quale il visitatore, durante la visita, può apporre un “segnalibro” ad un particolare argomento che lo ha colpito, il segnalibro salva immagini e informazioni in una speciale pagina, che potrà essere in qualsiasi momento consultata, e che conterrà il contenuto che l’utente ha più apprezzato329. La struttura museale330 è mappata da una serie di segnalatori, contrassegnati da un numero progressivo, il palmare è in grado di captare il segnale collocato in un particolare punto di attrazione, accanto al numero, collocato su di un pannello, in prossimità di determinati oggetti. 328 «http://www.museosetacomo.com» Nelle intenzioni dei progettatori c’è anche la possibilità, se l’utente ne manifesta il desiderio, di inviargli via e-mail le informazioni e le immagini, salvate durante la visita, in modo da poter conservare i contenuti ritenuti più significativi. 330 Durante i test le sale coinvolte erano solo tre, sulle nove presenti. 329 123 Ricevuto il segnale, viene inviato il corrispondente programma audio e video che avrà come punto di partenza l’oggetto accanto al quale è stato posto il segnale. Seguendo i punti di attrazione in ordine numerico, la descrizione avrà anch’essa un ordine cronologico. Le informazioni sono estremamente interessanti e riescono ad essere accattivanti, fornendo anche immagini, filmati e musiche d’epoca331; la comprensione risulta, così, più intuitiva e semplice. Alla fine della visita è proposta la compilazione di un questionario per cogliere pregi e criticità del servizio e renderlo ancora più funzionale 332. Altro esempio è una guida multimediale, prevista come sistema di promozione territoriale per il Trentino Alto Adige333. Tale progetto coinvolge il centro di ricerca “Fondazione Bruno Kessler” 334- IRST Centro per la ricerca scientifica e tecnologica, è finanziato dalla provincia di Trento e si inserisce nell’ambito dello studio “PEACH” Personal Experience with Active Cultural Heritage. Tale studio è stato condotto nel quinquennio 2001 – 2005 e ha prodotto un prototipo concepito per la visita al Castello del Buonconsiglio, in particolare per la visione degli affreschi, del XV secolo, di Torre Aquila che presentano il famoso “ciclo dei mesi”. La ricerca, però, ora si è ampliata, il progetto attualmente in atto studia una guida capace di fornire informazioni su tutto il territorio, non solo nei musei, che hanno comunque bisogno di essere messi in 331 Si parla, infatti, della coltivazione del baco da seta e della successiva produzione e stampatura del filato. 332 Per maggiori informazioni è possibile visitare il blog di uno dei progettatori, Davide Orlando, «http://blog.albegor.com» 333 Un esempio estero di guida outdoor lo si ritrova in Grecia, tramite “archeoguide” fornite ai visitatori di siti archeologici, con informazioni e ricostruzioni in 3D. 334 Conosciuta come ITC Istituto Trentino di Cultura, fino al 1° marzo 2007. 124 contatto con esso, per una fruizione più completa. Vi sono coinvolte istituzioni, associazioni, enti di promozione e musei. Inoltre le APT 335 sono chiamate a fornire informazioni, percorsi culturali e aggiornamenti degli stessi, garantendo qualità dei contenuti e promuovendo la guida tra i cittadini e i turisti. Dovrebbe essere un’unica piattaforma a servizio del turista, noleggiabile, e con informazioni su cinema, teatro, eventi, sport. La tecnologia utilizzata dal palmare è quella GPRS/GPS con dispositivo di rilevamento satellitare e di auricolare. È anche in previsione la possibilità di fornire i servizi attraverso cellulare, il turista potrebbe, infatti, scaricarvi un menu di informazioni. 2.4.4 Musei virtuali Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha portato anche all’affermazione di tutti quei fenomeni riconducibili sotto l’espressione generale di “museo virtuale”. Ciò è stato possibile per due ragioni: l’introduzione di una tecnologia capace di elaborare immagini statiche e in movimento; lo sviluppo di capacità e velocità delle reti di interconnessione tra computer, l’avvento di Internet e il suo forte impatto sociale. La tecnologia ha, quindi, cominciato a supportare altre modalità 336. Come già si è ricordato, il modo più diffuso di apprendimento è quello “simbolico – ricostruttivo”337. Ad un certo punto, però, la tecnologia è stata 335 336 Aziende Provinciali per il Turismo. Cfr. F. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, in Sist. Int., 1998, 2, 282. 125 capace di supportare l’altra modalità di apprendimento, quella “senso – motoria”, con la conseguente possibilità di interagire con gli oggetti percepiti coi sensi. Quindi tecnologia delle immagini e interazioni con esse 338. Tale tecnologia, avendo a che fare con oggetti visivi, si coniuga perfettamente ai musei, i quali, perlopiù, hanno a che fare con opere d’arte figurativa. Anzi questo settore beneficia più di altri di questa novità, poiché la modalità di apprendimento “simbolico – ricostruttiva” non è altrettanto intuitiva339. Sotto il concetto di museo virtuale possiamo individuare diverse elaborazioni. Innanzitutto parliamo di informazioni presenti in rete e più precisamente su Internet: il museo smette di essere istituzione statica e ha, invece, la possibilità di veicolare un’immagine di sé più nuova e dinamica. Si può operare una distinzione tra: musei che hanno un referente reale e decidono di “sdoppiarsi” creando una loro versione virtuale; musei che non esistono nella realtà, ma solo sul web; ricostruzioni virtuali di monumenti andati perduti o non visitabili. Per quanto riguarda il primo punto, si è scritto340 che “il museo nell’era telematica non può essere il clone digitale del museo così come esso esiste attualmente. Sarebbe una visione limitata e di scarsa fruibilità, si intende invece uno strumento capace di togliere l’oggetto museale dall’isolamento e dalla 337 V. par. 1.5.1. Cfr. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, cit., 283. 339 Idem, 284. 340 V. A. CONCINA, Le tecnologie per la cultura o una nuova cultura delle tecnologie?, in Econ. Cult., 1996, 1, 63. 338 126 situazione di alienazione e di sradicamento nella quale si trova all’interno, per restituirgli i parametri e i riferimenti necessari per leggerlo e quindi apprezzarlo nelle sue caratteristiche, ponendo il museo in una funzione centrale nella produzione e nella diffusione della cultura”341. Considerando, invece, l’ultimo punto, ci sono opere che non sopportano la presenza di molti visitatori, per questioni fisico – ambientali. La riproduzione mediante le nuove tecnologie può risolvere il problema. Si deve comunque fare in modo di restituire all’utente le stesse condizioni, percettive e visive, che assumerebbe nella visita reale; infatti, e questo vale anche per CD rom e DVD rom, senza alcun “valore aggiunto”, dopo l’impatto della novità, “resteranno solo frustrazione e noia”342. Le tecnologie disponibili per creare musei e collezioni virtuali sono, infatti, sostanzialmente tecnologie di visualizzazione, impiegate per offrire rappresentazioni visive globali, di particolari e dettagli o ricostruzioni dell’aspetto passato di oggetti343; colmando, così, le lacune dovute all’inaccessibilità o alla lontananza o alla distruzione totale o parziale degli stessi344. 341 Si noti che sebbene un artefatto digitale sia solo un sostituto parziale di un’opera d’arte originale, è utile ricordare che il valore assegnato ad un’opera d’arte deriva in gran parte da concezioni sociali che riguardano il valore speciale, l’autorità e la presenza della copia originale come opposta agli artefatti. Gli artefatti digitali, però, abbracciano e ingrandiscono simili valori espressivi, estetici e storici che tradizionalmente definiscono l’interesse del pubblico nella conservazione culturale delle opere tangibili. E un interesse simile esiste anche per le opere che sono “born digital” e non esiste un corrispondente reale, lo vedremo dopo al par. 3.5, in questo senso G. PESSACH, Museums, Digitization and Copyright Law – Taking Stock and Looking Ahead, 2007, reperibile all’URL: «http://wwwssrn.com/abstract=961328». 342 V. ANTINUCCI, Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, cit., 288, 289. 343 Siano essi pezzi di una collezione, monumenti o siti storici-archeologici. 344 Si parla, in questi casi, di “augmented reality”, in cui vengono mescolati elementi visivi reali e altri digitali virtuali, per “aumentare”, appunto, la comunicazione del patrimonio culturale; cfr. F. NICCOLUCCI, cit., 41, 42. 127 Legati al museo troviamo poi numerosi altri servizi, come la prenotazione e l’acquisto di biglietti, spesso gestita da concessionari che adottano criteri di efficacia ed efficienza. I servizi tecnologici utilizzati sono di vario tipo e variano a seconda delle infrastrutture tecnologiche possedute del gestore345. C’è poi la possibilità, per gli utenti, diretti e remoti, di condividere informazioni attraverso l’uso di forum e mailing list, dando origine a gruppi di discussione 346. Le distinzioni prima considerate si possono articolare in: pagine elettroniche che contengono informazioni essenziali sul museo; guide digitali con riproduzioni del museo reale sul web, con immagini di collezioni e mostre temporanee; cataloghi elettronici con descrizioni delle collezioni possedute e con banche dati di ricerca, ipertesti sviluppati347 con rimandi, magari, a opere esterne alla collezione; visite virtuali; giochi interattivi; rimandi sui restauri in corso348. 345 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 155. Posso affermare in prima persona l’utilità di questi strumenti: tramite l’iscrizione alla mailing list del sito «http://www.musei-it.net», che si occupa di musei e nuove tecnologie, sono venuta a conoscenza della possibilità di poter effettuare un test di usabilità della videoguida su palmare al Museo Didattico della Seta di Como, di cui ho parlato precedentemente nel par. 2.4.2 sub c). 347 Ogni pagina del Web è, infatti, strutturata in modo ipertestuale: si trova un sistema di organizzazione delle informazioni che permette un collegamento ad altri documenti consimili, tramite parole – chiave che vengono registrate da un sistema informatico chiamato “motore di ricerca” e che contiene le informazioni relative. Il percorso di consultazione può essere semplice e lineare e più complesso, cioè fatto secondo associazioni di idee. Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 242. 346 128 In tutti i casi è comunque necessario predisporre una replica digitale di oggetti reali, l’esempio più semplice può essere un’opera d’arte figurativa, da utilizzare nella presentazione del museo. La semplicità, tuttavia, è solo apparente: ci sono delle “sfide tecnologiche” da vincere. Innanzitutto si deve focalizzare l’attenzione sulla qualità delle immagini; realizzare di immagini di alta qualità corrisponde alla realizzazione di archivi di grosse dimensioni che rallentano le prestazioni informatiche e fa cadere l’interesse del visitatore349. È quindi di vitale importanza la ricerca del miglior trade-off tra qualità e prestazioni. Altro importante aspetto riguarda la proprietà intellettuale delle opere che vengono rappresentate, soprattutto su Internet, dove tutti possono facilmente accedere alle immagini ed impiegarle anche in usi non consentiti350. Proviamo ora a dare una definizione di “museo virtuale”: è “un ambiente informatico caratterizzato da una struttura ipertestuale e ipermediale ed un sistema di interfacce e di metafore che si avvalgono di una rappresentazione grafica più o meno intuitiva e che consentono la navigazione all’interno di tale ambiente, ovvero la possibilità da parte del visitatore di compiere delle azioni e quindi di interagire col contesto potendolo anche modificare”351. Un museo può considerarsi virtuale se è “interattivo, polisemico, multidisciplinare e capace di attivare i diversi sensi del visitatore virtuale 352; se permette l’accesso a dati invisibili e la contestualizzazione delle informazioni, 348 Cfr. GRANELLI, TRACLÒ, cit., 101. Cfr. F. NICCOLUCCI, cit., 42. 350 Di questo argomento si tratterà in seguito, in modo più approfondito. 351 V. M. FORTE, M. FRANZONI, Il museo virtuale: comunicazione e metafore, in Sist. Int., 1998, 2, 208. 352 Diventando, quindi, multisensoriale. 349 129 l’interscambio con altri ambienti reali e virtuali e la leggibilità delle opere e degli episodi dinamici che contiene. Inoltre deve essere multitemporale, capace di far evolvere le informazioni nel tempo 353, di renderle indipendenti dal territorio e di connetterle infine per rendere il museo uno spazio conoscitivo che si incrementa di significati e conduce, attraverso l’uso di metafore semplici, verso informazioni più complesse”354. La realtà virtuale può rafforzare le potenzialità comunicative del museo e insegnare un atteggiamento creativo. Permette di imparare in modo più semplice di come sarebbe possibile nella realtà fisica. Tutto ciò può essere di grande aiuto all’istituzione culturale, per il raggiungimento della sua missione. Per realizzare questi obiettivi è necessario prestare molta attenzione alle modalità della comunicazione: si deve narrare una storia in formato digitale che prenda spunto dalla materialità e abbandoni lo stile un po’ pedante che ha in passato caratterizzato l’informazione museale 355. Fino a una decina di anni fa la presenza di un museo on - line non era di grande rilievo: i materiali forniti erano pochi e l’interazione con l’utente scarsa. Era poco più che una vetrina elettronica delle tradizionali informazioni contenute in opuscoli e depliant. Secondo alcuni studi, specialmente nel nostro paese, il museo virtuale tende ancora ad essere una mera riproduzione di quello reale, di cui si ripropone la struttura tridimensionale. È questa la maggiore criticità di questo strumento, di cui, forse, devono ancora essere comprese e applicate appieno le potenzialità, nonostante gli studi approfonditi. 353 Che si traduce in dinamicità. V. FORTE, FRANZONI, cit., 208. 355 In questo senso NICCOLUCCI, cit., 47. 354 130 2.4.4.1 Standard per il Web Nell’ambito del progetto europeo MINERVA è stato messo a punto un documento di indirizzo dal titolo “Musei & Web”, per orientare sia la progettazione dell’architettura del sito, sia la realizzazione pratica; sfruttando modelli messi a disposizione online e personalizzabili. Un museo on - line, quindi, dovrebbe essere composto dalle seguenti aree: informazioni su accesso, collocazione, orari e servizi del museo, con eventualmente servizi di prenotazione o acquisto dei biglietti; informazioni storiografiche, istituzionali, logistiche e spaziali sul museo, con mappe e foto; informazioni e descrizioni delle collezioni permanenti, con cataloghi e inventari. Possono essere presenti descrizioni per ciascuna opera, sia catalografiche che di commento e illustrazione; informazioni sulle mostre non permanenti, con note relative allo scopo e al fondamento teorico della mostra, che tendenzialmente si rifanno al contenuto del cataloghi stampati; strumenti didattici per fini educativi e divulgativi che aiutano la comprensione delle opere; sezioni per il merchandising, con possibilità di e-commerce; sezioni per studiosi con link a risorse più approfondite o a biblioteche e archivi museali e servizi specifici di riproduzione fotografica delle opere; 131 sezioni per il rapporto con il pubblico, con indirizzi e-mail per raggiungere gli “addetti ai lavori”, questionari di raccolta di reclami o proposte356. 2.5 Vantaggi e svantaggi delle nuove tecnologie Alla fine della trattazione, possiamo enucleare una serie di vantaggi e di svantaggi legati all’introduzione delle nuove tecnologie negli ambienti museali e non solo. Cominciamo con i vantaggi: le tecnologie permettono di “parlare linguaggi differenti dal tradizionale” e di realizzare nuovi servizi e prodotti357; creano collegamenti spazio temporali che si adattano di più a un modello di apprendimento di un pubblico giovane, e sono capaci di destare l’attenzione358; possono offrire infiniti livelli di apprendimento, per incontrare le diverse esigenze di pubblico che può essere più qualificato, o con generico interesse all’apprendimento, o più anziano359; possono essere studiate soluzioni personalizzate per un determinato settore di riferimento, con desideri ed esigenze chiari e definiti; è possibile accrescere la professionalità del personale occupato e offrire nuove possibilità di occupazione; possono coadiuvare il museo nel compimento della sua missione. 356 Cfr. CATALDO, PARAVENTI, cit., 254 - 255. In questo senso GRANELLI, TRACLÒ, cit., 27. 358 Idem. 359 Idem. 357 132 Passiamo ora agli svantaggi: il contatto indiretto con un museo può raggiungere un grado tale di soddisfazione da scoraggiare quello diretto; i costi di produzione e di aggiornamento dal punto di vista tecnologico360 e contenutistico361 possono diventare molto alti; un eccesso di informazioni può portare alla neutralizzazione e alla saturazione, negative per la comprensione dell’opera; l’uso di tecnologie troppo avanzate e “invadenti” può allontanare gli utenti meno esperti; può diventare alto il costo per l’aggiornamento del personale; infine la criticità più forte di tutte le altre, insita nello stesso sviluppo della digitalizzazione, la circolazione dell’informazione nel momento in cui le tecnologie diventano obsolete, da questo dipende la sopravvivenza di tutti i documenti. È necessario pensare a dei supporti che possano leggere anche le informazioni prodotte molto tempo prima e che, con la velocità di trasformazione delle tecnologie, possono considerarsi espresse con tecnologia già “vecchia”. 360 361 Nel web, infatti, le tecnologie evolvono rapidamente. Se le sale cambiano la disposizione bisogna modificare la ricostruzione. 133 CAPITOLO TERZO IL DIRITTO D’AUTORE E LA SFIDA DEL DIGITALE “Il diritto d’autore è sempre stato in guerra con le tecnologie” (P. Cerina, Protezione tecnologica delle opere e sistemi di gestione dei diritti d’autore nell’era digitale: domande e risposte, in Dir. Ind., 2001, 1) 3.1 L’origine e lo sviluppo dei diritti sulle opere dell’ingegno Gli antichi non conoscevano forme di tutela della proprietà intellettuale; le opere venivano, infatti, spesso trasformate e manipolate. Ciò che davvero contava era il ricordo dell’opera e del messaggio che essa voleva veicolare362. Anche nell’età romana non erano riconosciuti diritti all’autore sull’opera da lui prodotta. Tale comportamento era dovuto in gran parte alle difficoltà nella duplicazione dell’opera stessa, pratica che più di ogni altra farà discutere, nel tempo, gli studiosi. L’unica via praticabile era, invero, la copiatura a mano del testo, fatta dagli schiavi. Essendo molto laboriosa tendeva a raggiungere un costo identico a quello dello scritto in sé, quindi era davvero poco conveniente 363. Il diritto d’autore è un concetto che si sviluppa in epoca più tarda, precisamente nell’età moderna. Con l’avvento della stampa a caratteri mobili, la riproduzione e la distribuzione delle opere letterarie diventa più facile, molto remunerativa e custodita da nuove figure che andavano assumendo grande importanza nella società: stampatori ed editori. Essi avevano ottenuto dai sovrani 362 In questo senso L. CHIMIENTI, La nuova proprietà intellettuale nella società dell’informazione. La disciplina europea e italiana, Milano, 2005, 29. 363 Cfr. U. IZZO, Alle radici della diversità tra Copyright e diritto d’autore, in G. PASCUZZI, R. CASO (a cura di), I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritti d’autore italiano, Padova, 2002, 44. 134 taluni “privilegi di stampa”364 per trarre profitto dall’attività di creazione e controllare la circolazione delle idee365. Il sistema dei privilegi durò fino al XVIII secolo, periodo in cui si emanavano le prima leggi nazionali. Il complesso di concessioni e licenze in capo agli editori costituiva il primo nucleo concettuale su cui poi si sarebbe sviluppata la tutela delle opere dell’ingegno 366. La legge più antica sul tema è lo Statute of Anne, emanato in Inghilterra nel 1710; seguito dal Federal Copyright Act, negli Stati Uniti nel 1790 e dalle leggi francesi rivoluzionarie del 1791 e del 1793. Questi atti legislativi iniziavano a delineare i due differenti modelli giuridici di common law e civil law. Mentre le prime due leggi privilegiavano una visione patrimonialistica della tutela, attraverso il “diritto alla copia”, il copy - right appunto; le altre due erano rivolte maggiormente alla considerazione della personalità dell’autore, creando un diritto “morale” distinto da quello patrimoniale, poiché “chi crea ha diritto – per il sol fatto di aver creato – di vedersi riconosciuta una serie di tutele”367. In seguito il modello di civil law sarà ripreso dagli altri paesi continentali, inclusa l’Italia368. Negli Stati Uniti, invece, si rielaborava il modello di common law. Nati come colonie britanniche, essi avevano conservato per molto tempo una sorta di “dipendenza culturale” dalla madrepatria, della quale cercarono di 364 Che comprendevano concessioni e licenze per la stampatura, la distribuzione e i successivi investimenti. 365 In questo senso A. SIROTTI GAUDENZI, Il nuovo diritto d’autore. La tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione, Rimini, 2005, 30, 31. 366 In questo senso IZZO, cit., 49. 367 V. SIROTTI GAUDENZI, cit., 31. 368 Si rimarca che copyright inglese e diritto d’autore francese costituiranno gli archetipi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cfr. IZZO, cit., 50. 135 disfarsi. Dopo la Guerra d’Indipendenza i fermenti autonomistici si erano fatti più incisivi e pressoché tutti gli Stati avevano provveduto all’emanazione di proprie leggi, senza ancora, però, elaborare una concezione univoca di copyright369. Con l’emanazione del Copyright Act del 1790 si optò per la separazione tra i termini “proprietor” e “author”, per sottolineare la differenza fra i due soggetti370. Dunque, mentre la tradizione “europea” riconosceva un diritto innato all’autore dell’opera e lo teneva distinto da un successivo diritto patrimoniale; nei paesi anglosassoni il riconoscimento dei diritti si caratterizzava per connotati prevalentemente utilitaristici: i diritti sono attribuiti perché il soggetto promuova l’economia e la cultura nella società, la quale, per il proprio progresso preferisce chiudersi alle influenze straniere371. Nella penisola italiana un primo decreto in materia di diritto d’autore veniva emanato dal Governo rivoluzionario piemontese nel 1799, seguito da una legge più completa, promulgata nel 1801 dalla Repubblica Cisalpina. In seguito tutti gli Stati pre-unitari si dotarono di proprie leggi; tuttavia questa pratica aveva impedito di realizzare una visione d’insieme della materia, che continuava a rimanere frammentaria372. La prima legge italiana risale al 1865 e disciplina in modo organico la tutela della proprietà intellettuale. È stata poi tradotta nel Testo Unico 19 settembre 1881, n. 1012, rimasto in vigore fino al 1925 373. 369 In questo senso R. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, in PASCUZZI, CASO (a cura di), cit., 133 – 144. 370 Idem, 152. 371 Idem. 372 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE SUI CONTENUTI DIGITALI NELL’ERA DI INTERNET, I contenuti digitali nell’era di Internet, 2005, 30, reperibile all’URL: «http://www.innovazione.gov.it» 373 Idem. 136 3.2 I livelli di protezione Come per i paragrafi 1.2.1 e 1.2.2 andiamo brevemente ad analizzare la dimensione normativa sopranazionale, in questo caso del diritto d’autore. Attualmente il quadro normativo del diritto d’autore risulta essere abbastanza complesso. Quello che verrà descritto è il riflesso del frenetico progresso tecnologico che ha fornito nuovi stimoli e nuove opportunità ai creatori e ai fruitori delle opere dell’ingegno, la cui diffusione molto spesso supera i confini nazionali374. Questa nuova “Società dell’informazione” va ad intrecciare scenari internazionali, comunitari e nazionali differenti, ma che si compenetrano e si influenzano a vicenda. L’analisi si snoderà, appunto, attraverso la prospettiva internazionale, comunitaria e nazionale, includendo in quest’ultima anche il livello di protezione fornito negli Stati Uniti e in Australia. È importante rimarcare che non può trattarsi di divisioni nette, poiché talune normative dipendono o derivano da altre, e solo per chiarezza verranno trattate separatamente. a) internazionale Apriamo il quadro normativo con la prospettiva internazionale. I provvedimenti più risalenti nel tempo risalgono alla fine dell’Ottocento: la “Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale” del 1883 e la “Convenzione di Berna per la creazione di una unione internazionale per le 374 Idem. 137 opere letterarie e artistiche” del 1886, che rappresenta la più antica fonte di diritto internazionale in tema di diritto d’autore. Si ricorda poi la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” dell’ONU, nel 1948; la quale riconosceva, all’art. 27, il valore della proprietà intellettuale e dal cui spirito nascerà, poi, nel 1952, la “Convenzione universale del diritto d’autore” di Ginevra 375. Nel 1967 veniva firmata a Stoccolma la Convenzione istitutiva dell’”organizzazione mondiale della proprietà intellettuale” (OMPI), più conosciuta come “World Intellectual Property Organization” (WIPO), che si proponeva di tutelare la proprietà intellettuale nel mondo. Successivamente, nel 1996, a Ginevra, venivano adottati due trattati WIPO che rivestono un ruolo centrale nel panorama internazionale. Si tratta del “WIPO Copyright Treaty” 376e del “WIPO Performances and Phonograms Treaty”377. Si ricorda che l’aumentato rilievo economico della protezione dei diritti d’autore, dovuto in gran parte alla crescita degli scambi commerciali, ha favorito l’adozione di due accordi: l’”Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights”, il cosiddetto TRIPs Agreement, e l’”Agreement on Trade and Triffs” (GATT). Questi accordi erano allegati all’accordo istitutivo della “World 375 Revisionata, poi, nel 1971 e ratificata dall’Italia nel 1977, in vigore dal 1980. Si rammenta che tutte la Convenzioni citate sono state poi oggetto di revisione negli anni successivi; cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 40 – 47. 376 Trattato WIPO – OMPI sul diritto d’autore. 377 Trattato WIPO – OMPI sulle interpretazioni, le esecuzioni e i fonogrammi. 138 Trade Organization”378e il tentativo era quello di armonizzare le normative nazionali in tema di proprietà intellettuale 379. La WIPO portava avanti un piano di lavoro, la cosiddetta “WIPO Digital Agenda”, per studiare le questioni che sorgevano dall’utilizzo della rete Internet nella commercializzazione e fruizione delle opere protette dal diritto d’autore380. b) comunitario Un altro apporto scientifico sull’argomento era stato dato anche dall’Unione Europea per mezzo dei suoi “Libri Verdi in materia di diritti d’autore e società dell’informazione”. È importante ricordare il “Libro Verde sul diritto d’autore e le sfide della tecnologia – problemi di diritto d’autore che richiedono un’azione immediata”, del 1988. Da qui parte tutta la riflessione europea, la quale tendeva all’armonizzazione della normativa tra gli Stati membri, poiché la disomogeneità e l’incertezza dissuadevano dall’utilizzazione economica dei diritti. Questo lavoro ha creato un contesto favorevole per l’innovazione e la creatività garantendo un buon livello di protezione. Negli anni la riflessione ha prodotto alcuni aggiornamenti dell’iniziale Libro Verde, che andavano ad occuparsi anche dei diritti connessi. Gli sforzi si sono, inoltre, concentrati sulla tutela delle banche dati e sulla durata della protezione del diritto d’autore381. 378 Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Cfr. P. MARZANO, Diritto d’autore e Digital Technologies. Il Digital Copyright nei trattati OMPI, nel DMCA e nella normativa comunitaria, Milano, 2005, 7. 380 Idem, 21. 381 In questo senso COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 31, 32. 379 139 Nel frattempo erano stati recepiti a livello comunitario i trattati internazionali WIPO. Si sentiva la necessità di “delineare con chiarezza un diritto esclusivo che consentisse di governare con efficacia la comunicazione al pubblico delle opere dell’ingegno tramite Internet e di stabilirne, in maniera armonica con quanto previsto per il diritto di riproduzione, le eccezioni ed i limiti”382. Il prodotto di questa riflessione è la direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001 sull’”Armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”. Essa regola gli aspetti economici legati al diritto d’autore, cioè diritti esclusivi di sfruttamento economico delle opere protette, eccezioni al diritto d’autore nel contesto delle utilizzazioni libere, misure tecnologiche di protezione. Tale direttiva si basa su principi e regole già considerati in precedenza dall’Unione Europea, attraverso altre importanti direttive383; e l’ultimo aggiornamento è stato fatto con la direttiva 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Si prenderà, in seguito, in esame la direttiva 2001/29/CE perché affronta temi che possono rivelarsi molto importanti per istituzioni culturali come i musei. Essa è stata recepita in Italia tramite il d. lgs. 9 aprile 2003, n. 68, “Attuazione della direttiva 2001/29/CE del Parlamento 382 europeo e del Consiglio V. MARZANO, cit., 23. Direttiva 91/250/CEE sulla tutela giuridica dei programmi per elaboratore; direttiva 92/100/CEE relativa al diritto di noleggio, prestito e diritti connessi al diritto d’autore in materia di proprietà intellettuale e di alcuni diritti connessi; direttiva 98/83/CEE sul diritto d’autore nell’ambito della radiodiffusione via satellite e nelle trasmissioni via cavo; direttiva 93/98/CEE riguardante l’armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi; direttiva 96/9/CE sulla tutela delle banche dati. 383 140 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”. c) nazionale In Italia il corpus legislativo di riferimento è costituito dalla l. 22 aprile 1941, n. 633 “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio” e successive modifiche e integrazioni384. Essa tutela le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Inoltre, sono protetti i programmi per elaboratore in virtù della Convenzione di Berna, nonché le banche dati che, per la scelta o la disposizione del materiale, costituiscono una creazione intellettuale dell’autore385. La normativa italiana in tema di diritto d’autore riconosce all’autore i diritti patrimoniali e i diritti morali sull’opera realizzata. Disposizioni sul diritto d’autore si trovano anche nel nostro Codice Civile del 1942 agli artt. 2575 – 2583. La prospettiva nazionale coinvolge anche la comparazione con i modelli nordamericani ed australiani, espressioni differenti del modello giuridico di common law, nei quali si realizzano diversi adattamenti del copyright. 384 Specialmente ad opera delle direttive dell’Unione Europea, che sono integrate nella legislazione statale anche grazie all’opera del “Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore”, ai sensi degli artt. 190 e 193 della l. 633/41, costituito presso il Ministero dei beni e delle attività culturali, al cui interno è presente una Commissione speciale che elabora le proposte ai fini della revisione; cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 31. 385 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 30. 141 Si effettuerà, quindi, una breve introduzione alla protezione attuale del copyright in questi paesi. L’analisi delle origini si era arrestata al Copyright Act statunitense del 1790. Le modifiche del secolo successivo ancora non avevano incluso il diritto morale e non avevano aderito alla Convenzione di Berna 386, rafforzando la volontà di isolazionismo 387. Nel 1909 era intervenuta una modifica del Copyright Act, che ancora omette i diritti morali e anche connessi. Nello stesso periodo, in Australia, veniva emanato un Copyright Act, più volte revisionato, che riconosceva il copyright sulle opere pubblicate e non pubblicate. Successivamente, nel 1968, si promulgava il Copyright Act che è ritenuto la legge più importante, sul diritto d’autore, grazie anche all’azione di talune Commissioni di indagine in grado di elaborare proposte da riferire al governo, sulle più importanti questioni che richiedevano immediata attenzione 388. Si segnala in particolare l’introduzione, negli anni successivi, di eccezioni al copyright per quanto concerne la riproduzione, che riguardano le biblioteche (“libraries”) e successivamente anche gli archivi (“archives”). Si nota che il termine “archives means four listed archives and public museums and galleries more generally” 389. 386 Contrariamente allo stato australiano In questo senso CASO, cit., 167. 388 Come “Spicer Committee” o “Franki Committee”, cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, 2006, 10, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=881699». 389 Secondo il Copyright Act 1968; inoltre il termine publico intende indicare istituzioni senza scopo di lucro; cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Without walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, 2007, 205, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=1007391». 387 142 La costituzione degli Stati Uniti sancisce che il primo scopo della legge sul copyright è “to promote the progress of Science and the Useful Arts”390, La versione australiana “lacks the poetry of the foregoing”391 e stabilisce solamente che il Commonwealth ha il potere di legiferare per governare in modo efficace la nazione, includendo la possibilità della normazione relativa a brevetti, copyright e simili392. Negli Stati Uniti, nel 1976, era intervenuta una vasta novellazione del Copyright Act “domestico”, che introduce la dottrina del “fair use”393, ma non dava ancora spazio ai diritti morali. Veniva, inoltre, inserita la protezione del copyright anche nello “United States Code”, title 17. Si assicurava protezione agli autori di “original works of authorship, including literary, dramatic, musical, artistic and certain other intellectual works”394. Dagli anni Ottanta le due tradizioni giuridiche realizzavano un parziale riavvicinamento. Iniziavano ad entrare in gioco le tecnologie digitali per elaborare, riprodurre e diffondere le opere dell’ingegno. Gli Stati Uniti possedevano già una crescente potenza nel settore dell’informatica e davano il via ad una intensa legislazione e la Comunità Europea preparava la sua attività di armonizzazione che teneva conto delle innovazioni tecnologiche e della introduzione di Internet 395. Da ultimo, nel 1990, gli Stati Uniti introducevano il 390 M. M. LEAN, Copyright and the World Wide Web, 1995, reperibile all’URL: «http://ausweb.scu.edu.au/aw95/future/lean/». 391 Idem. 392 Idem. 393 Vedi par. 3.6 a). 394 V. COPYRIGHT OFFICE, Copyright Office basics, reperibile all’URL: «http://www.copyright.gov/help/faq». 395 In questo senso CASO, cit., 168. 143 “Visual Artist Right Act” che conteneva un nucleo di diritti morali per l’autore di opere d’arte figurativa396 e, nel 1998, il “Digital Millennium Copyright Act” (DMCA), normativa molto complessa su cui ancor oggi si dibatte, che riguarda i sistemi tecnologici di protezione397. All’inizio del Duemila, in Australia veniva implementato un altro emendamento che “confirmed that digitisation introduced a technology – neutral “right of communication” (which includes publishing material on the Internet); introduced an enforcement regime in relation to anti – circumvention devices and electronic rights management information; and extended the libraries and archives provisions to the digital environment”398. 3.3 Copyright e diritto d’autore: concetti fondamentali La proprietà intellettuale esiste per incentivare lo sviluppo della cultura e stimolare la “creatività della società”, nel rispetto della “libertà di ogni forma espressiva, anche artistica, dell’intelletto umano” 399. Con l’avvento della società dell’informazione e delle nuove tecnologie, il tipo di beni considerato diviene ancora più effimero, o forse dotato di una “nuova materialità”, perché affidato a un supporto digitale. Si tenterà di delineare il sistema giuridico della proprietà intellettuale, che costituisce la base e la fonte di tutti i diritti dei musei, che sono oggetto dell’indagine. 396 Erano, comunque, diritti rinunciabili. Vedi par. 3.6 b). 398 V. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit., 10. 399 V. GUERZONI, STABILE, cit., 89. 397 144 La legge italiana sul diritto d’autore400 prevede in capo all’autore dell’opera un fascio di diritti: 1. di natura morale o personale; 2. di natura economica o patrimoniale 1. I diritti morali attengono al riconoscimento della paternità all’autore dell’opera, sono inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, irrinunciabili, di durata illimitata e si trasferiscono agli eredi. Tendono inoltre al mantenimento dell’integrità dell’opera, infatti, qualora i diritti patrimoniali fossero stati ceduti, l’autore potrà in qualunque momento rivendicare la paternità dell’opera, negare modificazioni, mutilazioni o deformazioni di essa che pregiudichino il suo onore o la sua reputazione. 2. I diritti patrimoniali attribuiscono all’autore dei diritti “esclusivi” di utilizzazione e sfruttamento dell’opera. Sono limitati nel tempo, trasmissibili, cedibili, rinunciabili e soggetti a decadenza. Hanno una specifica durata che corrisponde alla vita dell’autore più i settant’anni successivi alla sua morte. Alcuni esempi di tali diritti sono: il diritto di riproduzione, di comunicazione, di distribuzione, di traduzione, di noleggio, di prestito. Esistono anche delle eccezioni al diritto d’autore, previste dalla legge, le cosiddette “utilizzazioni libere”401 in cui si fanno rientrare gli usi liberamente esercitabili dai terzi, poiché non creano concorrenza economica delle opere 402. Nel sistema della proprietà intellettuale si inserisce anche la proprietà industriale, la 400 L. 633/41. O fair use o fair dealing, di cui si parlerà in seguito. 402 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 79. 401 145 quale comprende invenzioni e modelli industriali, nuove varietà vegetali, topografie di prodotti a semiconduttori, marchi, denominazioni d’origine geografica, protetti dal complesso di norme che è il diritto brevettale. Mentre il diritto d’autore nasce contemporaneamente alla nascita dell’opera, il diritto brevettale prevede invece che sia lo Stato, e seguito della richiesta del soggetto, a concedere la protezione403. Da ultimo si analizzano i “diritti connessi”, i quali pur avendo ciascuno una diversa natura giuridica e un diverso contenuto, presentano una connessione diretta o indiretta con l’esercizio o l’oggetto del diritto d’autore. Essi sono legati ad attività funzionali e connesse alla creazione, alla riproduzione e alla divulgazione dell’opera dell’ingegno. Sorgono da un’attività che contiene un grado di espressione creativa e di interpretazione personale che legittima la nascita di un diritto di esclusiva sui frutti di questa attività 404. Possono sorgere, ad esempio, in capo a chi presta il proprio contributo, che può essere anche finanziario e non creativo, nell’ambito di opere tutelate dal diritto d’autore 405. In Australia la proprietà intellettuale è il nome che si dà a tutta una serie di leggi che riguardano “patents, trademarks, designs, circuit layouts, plant breeder and copyright”406. Il copyright, quindi, è un’area dell’intellectual property, che 403 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 8, 9. Ai nostri fini, tale tipo di protezione entra in gioco, per quanto riguarda i musei, ad esempio nella gestione dei marchi per la vendita del merchandising o per l’assegnazione di un nome di dominio, che si rifanno a questo sistema di norme. 404 Cfr. COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit., 9. 405 Come per i costitutari di banche dati, anche se la questione è ancora controversa; o interpreti e d esecutori. 406 V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Copyright law in Australia. A short guide, 2005, reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au/copyright/shortguide». 146 attribuisce un fascio di “exclusive economic rights”407 per esercitare determinate attività come “the right to copy, publish, comunicate (eg broadcast, make available online) and publicly perform the copyright material” 408. I diritti assicurati non sono dissimili da quelli italiani. Si prevedono anche dei diritti morali, introdotti nella legislazione solo dall’anno 2000. Ne sono previsti di tre tipi: il diritto di paternità, il diritto contro la falsa attribuzione di paternità, il diritto di integrità. Non solo l’“author” li possiede, ma anche “makers of a film”, è quindi possibile che vi siano più proprietari dei diritti morali. Sono considerati diritti aggiuntivi a quelli previsti dal Copyright Act: la persona che li possiede, infatti, può, in certe circostanze, rinunciarvi409. Anche negli Stati Uniti è possibile rinunciare ai diritti morali, i quali sono presenti in maniera molto sfumata, non esistendo un sistema generale di diritti morali. Inoltre non sono contenuti nella legge fondamentale sul copyright, ma in un atto separato da essa, il “Visual Artist Right Act”, come abbiamo visto; e i diritti ivi menzionati riguardano solo paternità e integrità e possono legittimare gli usi commerciali delle opere protette, come la riproduzione in libri e riviste 410. Si nota che la normativa statunitense richiede inoltre che l’opera venga fissata “in any tangibile medium of expression (sec. 102 (a))”411, mentre in Italia l’atto stesso della creazione fa sorgere i diritti. La protezione del copyright è data dal title 17 dello United States Code agli autori di “original works of authorship”, 407 Idem. Idem. 409 Cfr. E. HUDSON, A. T. KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit., 106, 107. 410 Cfr. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cit., 190. 411 Idem, 173. 408 147 including literary, dramatic, musical, artistic, and certain other intellectual works”412, La protezione vale sia per le opera pubblicate che non pubblicate. C’è inoltre la sezione 106 del Copyright Act che si occupa di fornire dei diritti al proprietario del copyright, che a sua volta può autorizzare terzi a compiere le medesime attività. Si tratta di: “to reproduce the work in copies or phonorecords; to prepare derivative works based upon the work; to distributed copies or phonorecords of the work to the public by sale or other transfer of ownership, or by rental, lease or lending; to perform the work publicly, in the case of literary, musical, dramatic, and choreographic works, pantomimes, and motion pictures and other audiovisual works; to display the work publicly in the case of literary, musical, dramatic, and choreographic works, pantomimes and pictorial, graphic, or sculptural works, including the individual images of a motion picture or other audiovisual work; and in the case of sound recordings, to perform the work publicly by means of a digital audio transmission”413. Inoltre “certain authors of work of visual art have the right of attribution and integrity as described in section 106A of the 1976 Copyright Act”414. 412 V. COPYRIGHT OFFICE, cit. Idem. 414 Idem. 413 148 3.4 Musei e digitalizzazione dei contenuti Nell’era digitale, la tutela della proprietà intellettuale è condizionata in ugual misura dal diritto e dalla tecnologia. Se, come abbiamo visto, il museo moderno ha cambiato la sua funzione e le sue attività, rispetto al passato415; oggi, grazie alla comparsa di Internet, viene spinto in una sorta di “postmodernità” in cui è coinvolto in attività che risultano sì facilitare ancor più la sua missione, accelerando e ampliando la diffusione delle opere, ma che, dall’altro canto, presentano notevoli problemi da un punto di vista giuridico. E questo proprio perché hanno a che fare con l’immaterialità e col carattere pubblico dei beni416. Il copyright agisce direttamente e indirettamente nel formare il contenuto delle collezioni digitali e delle attività delle istituzioni culturali, le quali sono state definite “Without Walls” 417. Un museo potrebbe decidere di digitalizzare le sue raccolte più rinomate per aumentare il numero di visitatori, oppure per ridurre il numero di quelli che richiedono la visione diretta dei pezzi più fragili o deteriorabili, o ancora per fare da supporto alla ricerca e all’educazione, che permetterebbe loro di conseguire la propria missione 418. Quando si parla di diritti di proprietà intellettuale, all’interno dei musei, si fa generalmente riferimento: 415 V. paragrafi 1.4.1, 1.4.2, 1.4.3. In questo senso CONCINA, cit., 63. 417 V. HUDSON, KENYON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit.. 418 In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, Manuale di buone pratiche per la digitalizzazione del patrimonio culturale, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/goodpract/document/buonepratiche1_3. pdf »; A. T. KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, 2004, reperibile all’URL: «http: //ssrn.com/abstract=603861». 416 149 1. ai diritti di noleggio, prestito e uso e di autorizzazione degli stessi419; 2. ai diritti di pubblicazione, anche in raccolta420 e di autorizzazione degli stessi; 3. ai diritti di riproduzione, diffusione e distribuzione su supporti off - line421 e on - line422; 4. i diritti di uso commerciale di marchi, loghi e riproduzioni 423; 5. i diritti di traduzione424; 6. i diritti di elaborazione425; 7. i diritti sugli allestimenti museali; 8. i diritti d’autore su progetti ed eventi espositivi auto e coprodotti426. In questa sede mi occuperò prevalentemente dei diritti descritti al punto 3, su supporti online. Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha trasformato il quadro della tutela del diritto d’autore, a causa: della quantità dei diritti coinvolti; della varietà di essi; del numero dei titolari di essi; del modo in cui le collezioni sono acquisite, preservate e interpretate; 419 Ad esempio per loghi e marchi istituzionali, riproduzioni di ogni tipo, pezzi originali dati in prestito per mostre temporanee. 420 Su libri, cataloghi, materiale didattico, audiovisivi. 421 Come per stampe fotografiche, diapositive, nastri, calchi, rilievi. 422 Come per cataloghi online o raccolte di immagini. 423 Come per la produzione di oggettistica e merchandising. 424 Sui testi, su progetti e d eventi espositivi, su software proprietari. 425 Su testi, riproduzioni, progetti. 426 Cfr. GUERZONI, cit., 34 - 35. 150 delle nuove modalità di distribuzione e fruizione dei contenuti; delle difficoltà della conservazione a lungo termine delle risorse digitali427. Elaborare progetti di digitalizzazione può rendere questo scenario piuttosto complesso: si intrecciano interessi privati e istituzionali che sollevano numerosi problemi sia per i percorsi normativi da seguire, sia per l’assicurazione del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e del diritto di accesso all’informazione e alla conoscenza428. Si rivela di vitale importanza l’individuazione di punti di equilibrio tra le diverse esigenze dei portatori di interessi sui contenuti culturali digitali. Per quanto riguarda il panorama italiano, il problema più grave è rappresentato dall’”assenza di una basilare conoscenza dei diritti” 429 e “lo sviluppo delle competenze sui principi fondamentali della proprietà intellettuale è essenziale se i musei vogliono rispettare e mantenere i legami legali che definiscono e governano la pluralità dei differenti ruoli che vanno ed andranno ad assumere”430. Le “nostre” istituzioni culturali sono state, in qualche modo, “prese alla sprovvista” dalla rapidità con cui le tecnologie hanno reso allettanti le loro collezioni e i relativi diritti e sono state forzate a riflettere sulle possibilità che si aprivano loro e sui rischi che comporta il processo della digitalizzazione 431. 427 In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, Tutela dei dati e dei diritti di proprietà intellettuale in relazione all’accesso in rete del patrimonio culturale. Prime considerazioni, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/servprov/ipr/documents/wp4ipr040615.p df ». 428 Idem. 429 V. G. GUERZONI, Diritti di proprietà reale e intellettuale dei musei, in Econ. Cult., 2003, 1, 34. 430 Idem, 34. 431 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 57. 151 Rischi di cui è ben conscia, invece, la nazione australiana, il cui governo propone una politica di persuasione verso le istituzioni culturali affinché “diventino digitali”432. Un emendamento al copyright del 2000, il Digital Agenda Act, aveva lo scopo di assicurare che le istituzioni culturali potessero promuovere l’accesso al materiale nell’ambiente digitale “on reasonable terms”433, tenendo conto dei benefici che ciò poteva portare all’accesso pubblico e promettendo un’adeguata remunerazione per i creatori e gli investitori. L’Australia ha anche condotto uno studio sulla digitalizzazione nei musei434, attraverso l’intervista a numerosi operatori del settore culturale. L’eterogeneità delle istituzioni coinvolte ha rivelato che non tutte svolgono quotidianamente pratiche di digitalizzazione o sviluppano progetti a lungo termine, ma il settore è, comunque, fortemente permeato e sensibile a queste pratiche435. Cerchiamo ora di concretizzare qualche spunto tra quelli offerti finora. Innanzitutto, rileviamo che l’innovazione apportata da Internet e dalle nuove tecnologie ha messo i musei di fronte alla possibilità di: digitalizzare le loro collezioni; renderle disponibili sul web, potenzialmente per gli utenti di tutto il mondo. Tali nuove opportunità sollevano, tuttavia, degli interrogativi; ci si chiede se è più consono alla struttura del museo commercializzare le immagini o implementare 432 “become digital”, v. E. HUDSON, A. T. KENYON, The impact of copyright on Digitisation Practices in Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, 2007, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=1065622 ». 433 Idem. 434 E nelle altre istituzioni culturali. 435 In questo senso HUDSON, KENYON, The impact of copyright on Digitisation Practices in Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, cit. 152 un regime di accesso libero per gli utenti o quale collocazione dare ai nuovi tipi di intermediari, nel campo del patrimonio culturale; che Pessach436 definisce “neo – commercialized intermediaries, profit – motivated” nel campo della “knowledge retrieval”, come Google e i progetti che ha avviato437, o “civic – engaged and common – based activities” come The Internet Archive e Wikipedia. Ciò che più interessa il museo è, però, la determinazione dei diritti di proprietà sugli oggetti e sui contenuti. Solo così sarà in grado di impostare e realizzare i progetti di digitalizzazione. Sebbene i musei si siano sempre confrontati con il copyright in contesti come cataloghi stampati, pubblicità o merchandising; quando si passa alla sfera digitale, le attività si complicano, tecnicamente e giuridicamente e li costringe a confrontarsi con la copyright law ad ogni passo e per ogni azione che compiono438. Un bene culturale, dotato di materialità, può diventare oggetto di una riproduzione, e se questa riproduzione è digitale, essa “è soggetta a una distinta disciplina e tutela rispetto al bene culturale riprodotto e in sé considerato”439. È di fondamentale importanza chiarire che le istituzioni molto spesso posseggono fisicamente i materiali protetti da copyright, ma assai raramente sono proprietari dei diritti immateriali di un’opera440. E questo è pacifico, sia nei paesi appartenenti all’Unione Europea, che in Australia o nel Nordamerica. I musei possono essere considerati come: 436 Cit. Google Library Project, Google News Archive Search, Google Scholar sono solo alcuni di essi. 438 Cfr. PESSACH, cit. 439 V. GUERZONI, STABILE, cit., 184. 440 In questo senso A. PINNA, Problemi relativi alla riproduzione on line di opere museali protette dal diritto d’autore, in Nuova Museologia, 1999, 1, 11; A. T. KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.; GUERZONI, STABILE, cit., 184. 437 153 1. utenti di materiale protetto da copyright; 2. proprietari di materiale protetto da copyright. La più comune utilizzazione di materiale protetto da copyright è la riproduzione di un’opera per la costruzione di una collezione di immagini digitali sul sito web del museo. Tale riproduzione, però, è permessa solo al proprietario dei relativi diritti d’autore sull’opera originale441. Ad avallare questo presupposto troviamo, ad esempio, negli Stati Uniti, il “public display right”442, il diritto di esporre al pubblico un’opera443, da cui si evince che anche l’esibizione degli artefatti digitali nel website del museo può essere considerato un atto che richiede l’autorizzazione dai relativi copyright owners. È possibile anche estendere l’obbligo a tutte le nazioni che aderiscono al WIPO Copyright Treaty , poiché, all’art. 8, esso cita questo diritto: “making a work available to the public”, sul quale può essere condotto lo stesso ragionamento444. In Italia si può accostare a questi diritti quello previsto dall’art. 16 co. 1 della legge sul diritto d’autore445, il quale prevede “il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico”. Sebbene “la diffusione a distanza non comprenda espressamente la trasmissione online dell’opera dell’ingegno” 446, un tale principio può essere suggerito dal prosieguo dell’articolo: “la messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”. In Australia, tra i diritti 441 Cfr. PINNA, cit., 11; KENYON, E. HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.; PESSACH., cit.; cfr. Sec. 17 United States Code. 442 Sec. 17 U.S.C. 443 Sec. 101 U.S.C. “to “display” a work means to show a copy of it (...)”, cfr. CASO, Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, cit., 175. 444 In questo senso PESSACH, cit. 445 L. 633/41. 446 V. E. GUERINONI, G. MORETTINI, La nuova legge sul diritto d’autore nell’era multimediale, in G. CASSANO (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002, 971. 154 esclusivi assicurati al proprietario c’è quello di comunicazione al pubblico: “making digitised content available online, for instance on publicly – accessibile websites, will costitute “communication to the public”447 and, possibly, publication of the work” 448. Il Digital Agenda Act, a cui si è fatto riferimento all’inizio del paragrafo, ha ampliato i diritti dei titolari di copyright in vari modi. Innanzitutto l’atto, specificando che “converting a work into, or from, a digital form reproduces the work”449, ha assicurato che per digitalizzare qualsiasi tipo di materiale è necessario chiederne il consenso al legittimo proprietario, similmente a quanto accade in Italia o negli Stati Uniti. Inoltre, “enforcement measures” 450 sono state imposte per proteggere la loro posizione di forza, le quali comprendono le misure tecnologiche di protezione che, per prevenire o inibire l’infrazione del copyright, usano meccanismi di controllo dell’accesso e della copia451. Quindi l’estremo potere e la libertà di decisione nelle mani dei proprietari, i quali, fondamentalmente, possono dettare le circostanze nelle quali la digitalizzazione e la comunicazione hanno luogo452, sono motivo di preoccupazione in dottrina, dove i “copyright pessimists” parlano di “digital lockup”453, il “digitale chiuso a chiave”! Se ottenere la disponibilità del materiale diventa, per i musei, alquanto macchinoso, non resta loro altro da fare che: 447 V. Copyright Act ss 31(1). V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit. 449 V. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 450 Idem. 451 V. par. 3.6 b). 452 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 453 In questo senso KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 448 155 affidarsi alla negoziazione di un “accordo” con i proprietari, tale tipo di accordo è una licenza; scegliere di digitalizzare materiale che è già nel “pubblico dominio”, poiché si sono estinti i diritti d’autore su di esso. Si rimarca che, comunque, la negoziazione delle licenze rappresenta una pratica onerosa per il museo, a causa della difficoltà ad identificare, localizzare e contattare i proprietari. Può, inoltre, sorgere il problema delle “opere orfane” delle quali non si conosce l’autore, o il cui autore è impossibile da individuare e contattare; e in mancanza di una autorizzazione devono essere messe da parte454, e ciò può avere conseguenze ancora più spiacevoli: “la mancata concessione di autorizzazioni per la digitalizzazione e la pubblicazione sul web, può provocare il fallimento del progetto stesso”455. Resta da analizzare la posizione del museo come proprietario di materiale protetto da copyright. In questo caso, la discussione si sposta sul prodotto della digitalizzazione, e ci si chiede se sia dotato di sufficiente originalità, requisito presente in tutte le legislazioni456. La questione è ancora aperta e dibattuta, per quanto riguarda l’Unione Europea, dal momento che si riconosce un indipendente “diritto sui generis” sulla banca dati457, e volendo intendere il museo come un database di immagini digitali, ci si chiede se esista un unico diritto, che sarà detenuto dal museo che l’ha creata, o se ne esista uno per ogni immagine che la 454 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 456 Sec. 17 U.S.C., sec. 32 Copyright Act, art. 1 L. 633/41 a cui si fa riferimento alla “creatività”. 457 V. par. 3.5.1 sub e). 455 156 compone458. Negli Stati Uniti grazie alla giurisprudenza, è stato introdotto il requisito della creatività per la protezione del copyright; e i databases sono stati introdotti tra le opere “non –creative”, ma il problema è tuttora in discussione 459 . Inoltre spesso la mera riproduzione di fotografie e immagini non incontra il requisito dell’originalità. Pur tenendo conto degli sforzi e dell’abilità per produrle, nel caso delle fotografie, esse mancano di creatività. Rimane complicato descrivere la posizione dei musei come proprietari, soprattutto perché questa condizione si scontra con la loro ragione di esistere più profonda: “most museums are public charitable organizations with the pur pose of furthering cultural, educational and scientific values”460. Un ultimo punto da trattare riguarda l’accennata difficoltà della conservazione a lungo termine delle risorse digitali461. La tecnologia cambia rapidamente, e il supporto digitale diventa fragile. In Italia manca, ad oggi, una specifica politica finalizzata ad assicurare la conservazione delle risorse digitali, la quale favorirebbe la sicurezza dei contenuti, a vantaggio di proprietari ed utenti462. Tuttavia, si possono individuare alcune linee guida, individuate dalla “Carta di Firenze”, per l’Unione Europea, dalla biblioteca nazionale australiana di Canberra e dall’UNESCO, le quali suggeriscono: 1. una copia periodica dei dati, per trasferire le informazioni da un supporto che rischia l’obsolescenza, ciò vale soprattutto per CD e DVD; 458 In questo senso PESSACH, cit. Idem. 460 V. PESSACH, cit. 461 A cui si era già accennato nel par. 2.5. 462 In questo senso MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, cit. 459 157 2. migrazione e conversione dei dati alla modificazione delle tecnologie software; 3. conservare almeno un esemplare dell’ambiente software originale con cui si sono prodotti i dati463. 3.5 Proprietà intellettuale nel museo: la costruzione del sito web Le istituzioni culturali, e in particolare i musei, che gestiscono le risorse digitali hanno a che fare con: risorse digitali di riproduzione dei beni culturali; risorse “born digital”, cioè che nascono su un supporto digitale. Ai nostri fini, tra le risorse “born digital” si possono riconoscere siti web, banche dati, come quelle di immagini, opere multimediali464. Per realizzare, sviluppare e rendere operante un sito web, un museo può utilizzare proprie risorse interne, o affidarsi a società specializzate nella sua creazione465: per tutti gli aspetti che risultano coinvolti; attraverso una collaborazione con la società stessa466. 463 Cfr. GRUPPO DI LAVORO SULLA DIGITALIZZAZIONE DEL MATERIALE CARTOGRAFICO, Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale cartografico, 2004, 15, reperibile all’URL: «http://193.206.221.20/PDF/Linee_guida_cartografia.pdf». “Conservare il file master e i metadati (che rappresentano l’informazione che descrive un insieme di dati, normalmente al fine di raggiungere gli obiettivi di ricerca dell’esistenza di un documento, localizzazione dello stesso e selezione) corrispondenti significa evitare di dover digitalizzare nuovamente ciascun esemplare, proteggendo, così, gli originali in condizioni delicate ed evitando di dover ripetere il pesante lavoro di informatizzazione”, V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 464 Idem. 465 I soggetti coinvolti sono, in realtà, di varia natura giuridica: soggetti istituzionali, società, editori, consulenti. 158 Una tale opera è molto complessa, data la mole dei diritti coinvolti. I soggetti che si apprestano a progettare un sito web culturale, siano essi i musei stessi o altri, devono individuare i diritti collegati alle risorse create ed assicurarsi di non incorrere nell’infrazione del diritto d’autore. Nell’Unione Europea, i gruppi di lavoro del progetto MINERVA hanno elaborato un “Manuale di buone pratiche per la digitalizzazione del patrimonio culturale”467, che si rivolge ai gruppi di lavoro costituiti all’interno delle varie istituzioni culturali, o che operano attraverso di esse, che hanno in previsione o in corso di realizzazione progetti di digitalizzazione di documenti e di materiale iconografico. Oltre a questo, anche un manuale sui principi da seguire per coloro che si trovano a dover realizzare siti web culturali468; tali regole sono state create in vista di un’applicazione a tutte le istituzioni culturali, compresi, quindi, i musei, e sono volutamente generali, in modo che possano essere utilizzate per qualsiasi tipo di sito web: “the present document (…) is designed for all cultural institutions which are building or maintaining a Website which presents their assets and/or initiatives on the Internet” 469. Inoltre, sono stati concepiti per realizzare degli standard comuni nella pratica di digitalizzazione, negli Stati dell’Unione Europea: “The availability of high-quality Websites encourages 466 Idem, cfr. GUERZONI , STABILE, cit., 233. V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 468 A cui è stato fatto cenno in precedenza, nel par. 2.4.4.1, MINERVA WORKING GROUP 5, Quality principles for cultural websites: a Handbook, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycommentary/qualitycommentary050314final. pdf ». 469 V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 467 159 European citizens to discover, to explore and to benefit from online material representing the inique diversità of European culture”470. Le linee guida, le indicazioni, gli standard applicabili all’Italia e a cui il nostro paese fa riferimento, sono previste per l’utilizzo da parte di tutti gli Stati dell’Unione. Lo scopo è, come è stato segnalato, la creazione di pratiche comuni in tutti i paesi, i quali però sono provvisti di organi, tradizioni e patrimoni differenti. Le pratiche nordamericane e australiane, invece, sembrano avere più familiarità col nuovo contesto digitale 471. In Italia non si ha ancora una visione complessiva del problema e non si sono ancora individuate chiaramente le figure professionali deputate alla gestione pratica della situazione 472. Secondo il “Manuale di buone pratiche” di MINERVA, nel pianificare un progetto di digitalizzazione, in questo caso un sito web, è di fondamentale importanza che l’istituzione coinvolta si ponga alcune domande, prima di iniziare il lavoro: “Cosa (va fatto)? Chi (dovrebbe farlo)? Dove (lo si dovrebbe fare)? Quando (dovrebbe aver luogo)? Come (sarà fatto)?”473 470 V. MINERVA WORKING GROUP 5, cit. Come è emerso dall’emendamento del 2000 al Copyright Act, a cui si è fatto riferimento al par. 3.4. 472 In questo senso GUERZONI, cit., 34; GUERZONI, STABILE, cit., 19. 473 V. MINERVA GRUPPO DI LAVORO 6, cit. 471 160 Mete o obiettivi dovrebbero essere assolutamente chiari, poiché avranno un impatto diretto sulla selezione del materiale, sul diritto di riproduzione e sulla pubblicazione. È inoltre importante esaminare progetti analoghi precedenti, per evitare di commettere gli stessi errori e sollecitare la nascita di nuove idee. Riguardo la distribuzione del contenuto su Internet, l’istituzione deve chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze sullo stesso progetto, per un uso scorretto del materiale, senza, cioè, l’autorizzazione dei proprietari e se sono stati fatti tentativi per individuare i detentori dei diritti474. L’altro lavoro di MINERVA, “Quality priciples for cultural websites: a Handbook”, propone dieci qualità importanti che un sito culturale dovrebbe avere, per essere di buona qualità: 1. “transparent; 2. effective; 3. maintained; 4. accessible; 5. user – centred; 6. responsive; 7. multi – lingual; 8. interoperable; 9. managed; 10. preserved”475. 474 475 Idem. V. MINERVA WORKING GROUP 5, cit. 161 Deve identificare l’identità, lo scopo del sito e l’organizzazione preposta alla sua gestione; deve rendere il contenuto valido per gli utenti e rispondere ai loro bisogni, in modo che possano facilmente trovare le informazioni, deve essere costantemente aggiornato; deve tener conto delle eventuali disabilità degli utenti; deve fornire un accesso in più lingue differenti; deve fornire informazioni nella rete delle istituzioni culturali; deve essere gestito nel rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; deve essere prevista la conservazione a lungo termine del contenuto476. Rispetto a quest’ultimo punto, si è resa importante l’estensione del “deposito legale” per tale tipo di risorse culturali in rete. La Comunità Europea ha finanziato vari progetti per inquadrare la questione e proporre soluzioni tecniche e giuridiche. Alcuni fattori sono generalmente di ostacolo a una soluzione soddisfacente per le istituzioni culturali e per gli editori e/o i produttori: complessità tecnica e onerosità economica della “cattura”477 dei siti web. Il più recente esempio di cooperazione transnazionale per coordinare la “cattura” del web è dato dal Consorzio Internatinal Internet Preservation Consortium (IIPC)478, che vede la partecipazione e il contributo economico di istituti e biblioteche nazionali come Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Library of Congress, Library and Archives Canada, National Library of Australia, Internet Archive; 476 Idem. Detta “harvesting”. 478 V. «http://www.netpreserve.org». 477 162 ingenti interessi economici della parte privata in gioco, a fronte di un budget sempre più contenuto delle istituzioni culturali; mancanza di un quadro giuridico a favore delle istituzioni culturali per la raccolta delle risorse elettroniche, la catalogazione, la fruizione e la conservazione nel lungo periodo. Quando la creazione del sito web è affidata a soggetti esterni, per stabilire gli impegni e le competenze, il museo si affida a specifici contratti con la società che dovrà eseguire il lavoro. Le parti contraenti possono anche affidarsi a modelli internazionali di contratto che vengono definiti “Museum Web Site Development Agreements”479. Essi fissano e disciplinano i seguenti principali aspetti: “l’aspetto tecnico concernente la grafica e il design del sito, nonché la loro trasformazione in forma codificata (software); la consegna e accettazione, da parte del museo, del sito web; i servizi accessori relativi alla manutenzione e all’hosting del sito web presso la società o il provider con il quale la società ha stipulato appositi contratti; la regolamentazione dei diritti di proprietà intellettuale con riguardo alla creazione e allo sviluppo del sito web (sia con riferimento alla grafica, al design e sia in riferimento allo sviluppo di software), la registrazione, in nome e per conto del museo, del nome di dominio relativo, sotto il top level domain “.org” o il nuovo top level domain “.museum”, quest’ultimo dedicato alle organizzazioni che svolgono, in modo prevalente, l’attività di conservazione, 479 V. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 301; GUERZONI, STABILE, cit., 233. 163 valorizzazione e fruizione pubblica di raccolte di beni culturali” 480. Si prevedono, poi, tutta una serie di procedure di consegna e accettazione del sito, fasi di test e installazione finale e messa a disposizione del pubblico. I “Museum Web Site Development Agreements” fanno parte di uno studio promosso dalla WIPO e iniziato dal Dr. Michael S. Shapiro, segretario dell’Intellectual Property Institute481. Più specificamente, tale accordo contiene queste parti: 1. introduction, dove si individuano i soggetti, il museo committente e la società che deve sviluppare il sito; 2. definitions, in cui si analizzano varie espressioni come web site o web page, per allontanare qualsiasi fraintendimento nello svolgimento del lavoro; 3. design and development, in cui si specifica il lavoro che la società è tenuta a fare e si stabilisce quale materiale il museo è tenuto a fornirle; 4. delivery and acceptance, in cui la società si impegna a consegnare il prodotto in tutti i suoi elementi costitutivi e a consegnare altresì un modello dimostrativo del sito proposto. Se il museo ravvisa delle imprecisioni, deve comunicarle per iscritto alla società in modo che essa possa apportare le adeguate correzioni. Una volta che il museo ha dato la sua approvazione finale, la società realizzerà concretamente il sito, in conformità a quanto stabilito. Dopo la consegna, il museo ha a disposizioni ulteriori dieci giorni per ispezionarne il funzionamento ed 480 Idem 302; idem, 233, 234. V. M. S. SHAPIRO, «http://www.wipo.org». 481 Museums and 164 the Digital Future, reperibile all’URL: ordinare eventuali altre correzioni. È la società stessa ad essere incaricata dell’installazione del sito sul server del museo. 5. hosting and maintenance [optional], in cui è affidato alla società il compito della conservazione e del mantenimento del sito, che deve essere disponibile per gli utenti 24 ore su 24 e deve essere aggiornato con nuovo materiale entro 3 giorni lavorativi, a partire dal suo ottenimento. 6. intellectual property rights, in cui il museo stabilisce che la società è autorizzata ad utilizzare le immagini e la documentazione solo per le attività connesse allo sviluppo del sito. Tutti gli altri usi non specificati sono da considerarsi non consentiti e riservati al museo. Proprio il museo è il solo ed esclusivo proprietario del sito, inclusi i diritti di copyright, marchi, brevetti o ogni altro diritto di proprietà intellettuale. La società è tenuta a trasferire il “source code” del sito al museo, il quale potrà anche creare altro materiale derivato, realizzare adattamenti, modifiche e aggiornamenti; 7. domain name registration, in cui la società è tenuta ad eseguire tutte le azioni necessarie per la registrazione del nome di dominio; 8. compensation and payment, in cui si specifica l’ammontare del prezzo della realizzazione e le modalità di pagamento; 9. term and termination, in cui si specifica che tale accordo è rinnovabile, anche se per un massimo di cinque volte. Si specificano anche i casi di rottura anticipata e gli effetti; 165 10. representation and warranties, in cui si specifica che la società sarà la sola ad occuparsi della realizzazione del sito e che non verranno infranti diritti di proprietà intellettuale, marchi, diritti di privacy, diritti morali. Il museo deve garantire che non infrangerà il copyright e si specifica che non è responsabile per i compiti che è la società a dover eseguire; 11. indemnification, in cui si specifica che la società si deve preoccupare dei rimedi risarcitori per il museo e il suo staff da eventuali responsabilità, danni, costi e spese; 12. insurance, in cui si specifica che viene attivata una polizza assicurativa per la durata dell’accordo che copra dei particolari rischi; 13. general provisions, in cui si vieta alla società di subappaltare il lavoro senza il preventivo consenso del museo, e si danno altre informazioni generali482. 3.5.1 I contenuti Nel tracciare il sito web come “contenitore”, mi occuperò di diversi aspetti. La riproduzione delle immagini è, senza dubbio, il tema centrale intorno a cui ruota tutta l’attività del museo digitale. Nella costruzione del sito entrano in gioco anche riproduzioni di testi e suoni, che, assieme alle immagini, aiutano il museo a diffondere ancor più il suo messaggio. Tutti questi elementi possono, inoltre, essere contenuti all’interno di banche dati e opere multimediali, forme espressive in cui si può declinare la forma del museo stesso. Infine, si considerano 482 Idem. 166 elementi che attengono alla attivazione e gestione del sito, come nomi di dominio, linking e framing. a) testi, immagini e suoni Pressoché tutte le attività digitali che hanno a che fare con i beni culturali sottintendono un’attività di riproduzione. L’immagine del bene culturale su supporto materiale che viene riprodotta attraverso la tecnica digitale è soggetta ad una disciplina e tutela diversa rispetto al bene culturale che è stato riprodotto 483. Il mercato delle immagini, è “business to business”, poiché non si rivolge al consumatore finale, bensì ad altri soggetti, siano essi istituzioni pubbliche, organizzazioni non profit, aziende, grafici, web designer, produttori e licenziatari di merchandising, e così via484. Fino a poco tempo fa, la maggior parte delle riproduzioni derivava da agenzie fotografiche locali, che operavano sul mercato da molto tempo, tanto da creare una situazione di monopolio. Le attività erano comunque legate alla dimensione fisica del supporto e al sistema territoriale di tutela del diritto d’autore. Ora la maggior parte delle immagini utilizzate deriva da formati digitali ed è offerta da specifici fornitori, la cui attività non è più legata a specifici contesti territoriali485. Il prezzo delle immagini dipende dal loro utilizzo, dalla risoluzione, dalla quantità dei diritti negoziati, 483 In questo senso STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 303. 484 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 37. 485 Idem, 38. 167 dalla possibilità di utilizzi suppletivi486. Gli operatori riconoscibili, nell’ambito museale possono essere divisi in tre categorie487: 1. Soggetti profit, sia pubblici che privati: il museo deve fronteggiare la nascita di “commercial digital images agencies” come Corbis o Getty Images, agenzie specializzate nella gestione dei diritti di riproduzione e uso delle immagini, che raccolgono, digitalizzano e poi danno in licenza, sia per usi commerciali che privati, opere d’arte, fotografie, immagini. Nonostante la digitalizzazione sia un sistema tecnicamente complesso e costoso, specialmente per le istituzioni con risorse limitate come i musei, tali agenzie sono pronte ad investire grosse somme di denaro per produrre e gestire banche dati di immagini digitali dei musei. Spesso, inoltre, le agenzie chiedono e ottengono di essere le sole proprietarie dei diritti intellettuali sulle immagini digitalizzate, e di gestire, quindi, l’intero patrimonio iconografico del museo. E finiscono, così, per diventare la risorsa maggiore dalla quale i musei possono trarre materiale culturale per le loro attività e le stesse agenzie scelgono spesso musei e altre istituzioni culturali come mercato di riferimento488. Troviamo anche collecting societies di proprietà pubblica, come la SIAE. 486 Ad esempio il merchandizing su diverse linee di prodotti. In questo senso GUERZONI, cit., 43, 44. 488 Cfr. PESSACH, cit. 487 168 2. Soggetti non profit: sono consorzi o federazioni di istituzioni museali o culturali come AMICO 489, NINCH490, o CANCOPY491 che “sono state costituite al fine di scorporare le attività di tutela e gestione dei diritti per delegarle ad organismi più rappresentativi, dotati di competenze specifiche, capaci di codificare standard contrattuali e negoziali, in grado di far valere il proprio maggior peso contrattuale in sede negoziale e redistributiva”492. Secondo alcun ricerche, queste agenzie agiscono come “raccoglitori” di materiale iconografico e documentale per poi destinarlo ad usi educativi, didattici e scientifici. 3. Soggetti misti: rappresentano “soggetti giuridici e capitali pubblici e privati in forme societarie o consortili”493; alcuni esempi possono essere le agenzie pubbliche come Réunion des Musèes Nationaux, che raccolgono risorse e finanziano progetti. Sono organismi di grandi dimensioni che sono sostenute dagli enti pubblici che li hanno formati e che possono contare su una certa indipendenza: situazione difficilmente realizzabile in Italia, senza un adeguato impegno statale 494. 489 Art Museum Image Consortium, è un’organizzazione non profit nata nel 1997 che raggruppa le istituzioni culturali del Nordamerica e d’Europa, proprietarie di collezioni d’arte che collaborano per promuovere usi didattici, educativi e scientifici dei loro materiali; cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 63. 490 National Iniziative for a Networked Cultural Heritage, è un consorzio nato negli Stati Uniti nel 1993 che raggruppa archivi, biblioteche, musei, fondazioni private e agenzie governative. Ne fa parte anche l’AMICO e AAM (American Association of Museums). Promuove l’accesso a fonti comuni, attraverso le nuove tecnologie. 491 Canadian Copyright Licensing Agency, agenzia non profit fondata nel 1988 da scrittori ed editori canadesi per la concessione di licenze di pubblico accesso ad opere coperte da copyright; idem. 492 V. GUERZONI, cit., 43. 493 Idem, 44. 494 Idem. 169 Nel caso della pubblicazione dei testi, è necessario acquisire preventivamente i diritti di utilizzazione economica dai legittimi titolari. Per l’introduzione nel sito web bisogna negoziare anche alcuni diritti più specifici: il consenso alla trasformazione in linguaggio binario; il consenso a diffondere l’opera al pubblico attraverso la rete telematica; il consenso a possibili modificazioni e/o adattamenti all’opera. Lo stesso procedimento va ripetuto per l’acquisizione dei suoni495. Per gestire gli eventuali suoni da inserire nel sito web, è consigliabile affidarsi ad un intermediario specializzato, come la SIAE, in Italia, per la corretta individuazione di autori e/o interpreti dei brani e per la cessione dei diritti di utilizzazione economica496. Nel predisporre i contenuti del sito, quindi, si deve tenere presente che tagliare, incollare, rielaborare, tradurre o adattare un lavoro soggetto a diritti d’autore, richiede un preventivo permesso. Si possono, invece, pubblicare liberamente: testi ufficiali di atti dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, sia italiane che straniere 497; opere poste dall’autore nel pubblico dominio, attraverso una dichiarazione esplicita dell’autore stesso; opere su cui sono decorsi i termini per la protezione legale dei diritti patrimoniali. Bisogna però prestare attenzione ai 495 Cfr., S. CERUTTI, Aspetti legali dell’opera multimediale, 2002, in CASSANO, (a cura di) cit., 1014. 496 Cfr., L. TURINI, L’opera telematica, 2002, in CASSANO (a cura di), cit., 989. 497 Si noti, però, che in Australia è necessario chiedere il permesso al Governo per la pubblicazione, anche su Internet, della legislazione, cfr. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Copyright law in Australia. A short guide, cit. 170 diritti morali, non soggetti a prescrizione. E’ necessario indicare la paternità dell’opera, non intervenire con modifiche non autorizzate, non pubblicare opere inedite che l’autore, finché era ancora in vita, ha voluto restassero inedite. Si noti che in Australia il copyright prevede delle eccezioni all’infrazione del diritto morale. “The purpose for which the work is used” 498 può dare la possibilità di infrangere il copyright. È necessario, tuttavia, un consenso scritto. Ciò vale anche per coloro che hanno creato un’opera “in the course of employement”499. Sempre per quanto riguarda il diritto morale, si noti che sia in Australia che in Italia è importante soffermarsi sul diritto all’integrità, quando si tratta del processo di digitalizzazione. Un autore, infatti, potrebbe non apprezzare il fatto che di una sua opera vengano, all’interno della pagina web, modificati i colori, proprio a causa della digitalizzazione e della riduzione in bit; o l’opera venga troncata, per un più agile inserimento su Internet500. Ci sono poi opere il cui utilizzo è compreso sotto le cosiddette utilizzazioni libere501 come: riproduzione di articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso a meno che la loro utilizzazione non sia 498 Cfr., HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions Guidelines for digitisation, cit. Idem, 113. 500 In questo senso LEAN, cit. 501 V. anche par. 3.6 a). 499 171 stata espressamente riservata. Bisogna, in ogni caso, indicare fonte, data e nome dell’autore; discorsi di interesse politico o amministrativo tenuti in pubblico ed estratti di conferenze aperte al pubblico; riassunti o citazioni di brani di opere a scopo di informazione o critica, sempre che tale comportamento non costituisca concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera. È necessario, altresì, indicare autore, titolo ed editore. Il museo molto spesso affida l’attività di sviluppo delle immagini digitali ad una società specializzata. Tra i due soggetti interviene, quindi, un accordo, detto Digital Images Devolopment Agreement, il quale tratta alcuni aspetti principali: 1. “diritti di proprietà intellettuale sulle immagini che riproducono i beni culturali oggetto del patrimonio artistico e culturale del museo; 2. le specifiche tecniche relative allo sviluppo delle immagini (risoluzione delle immagini; adattamenti e modificazione consentite, quali la correzione dei colori, le sfumature e le ombreggiature; uso di sistemi di watermarking502 ed altri mezzi utili alla protezione dei diritti generati dal bene culturale); 3. gli standard di qualità delle immagini in formato digitale (conformità al prototipo approvato dal museo); 502 V. par. 3.6 sub b). 172 4. i corrispettivi dovuti a fronte dell’attività prestata dalla società fornitrice dei servizi e gli ulteriori corrispettivi per la cessione a titolo definitivo dei diritti d’autore sulle immagini così sviluppate ovvero per le relative licenze d’uso, qualora le parti non si siano accordate a favore di un trasferimento a titolo definitivo dei diritti di proprietà intellettuale a favore del museo; 5. le garanzie e le responsabilità concernenti la corretta esecuzione del contratto”503. Nel caso inverso, può anche essere il museo a mettere a disposizione le immagini in formato digitale. I destinatari possono essere gli utenti o le stesse agenzie. In questi casi viene implementata una licenza d’uso, la quale specifica: il numero delle immagini coinvolte, gli scopi dell’utilizzazione, il periodo di tempo in cui è possibile lo sfruttamento, il territorio (che può comprendere internet) e il pagamento504. Un’ultima considerazione riguardo la formazione e la fruizione del prodotto digitale. Nel processo di digitalizzazione è importante considerare la qualità dell’immagine, la cosiddetta risoluzione. Ci sono numerosi fattori che entrano in gioco; e il livello della qualità che si può ottenere dipende da tutto il processo tecnico di acquisizione in digitale che è molto complesso. Normalmente le 503 504 V. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 304. Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 240 173 richieste inoltrate a coloro che digitalizzano le immagini si fermano a pixel e profondità del colore505. Tenere conto, invece, di tutti gli aspetti tecnici garantirebbe un certo livello di qualità delle immagini, che, tuttavia, deve essere scelto ponderando le disponibilità tecnologiche ed economiche e gli obiettivi del progetto. Negli ultimi anni sono state sviluppate tecnologie che rendono la fruizione delle immagini più veloce, poiché nuove soluzioni di memorizzazione e di software riescono ad elaborare le richieste in modo più efficiente e per un’utenza differenziata506. Assai innovativa è, inoltre, la possibilità di decomprimere il file in molti modi507, che dipendono dal tipo di utente che ne fa richiesta508. Generato il file compresso, si può “progettare a piacere la sequenza di decompressione secondo un preciso ordine di risoluzione, qualità, scala cromatica, etc., così da poter stabilire diversi livelli di fruizione”509. Ad esempio, si potrà vedere un’icona prima in gradazioni di grigio, poi aggiungervi il colore, poi zoomare. E tutto ciò solo seguendo le istruzioni per passare all’azione successiva, senza comprimere di nuovo l’immagine. Ciò permetterebbe, quindi, di fornire un’immagine che si avvicini il più possibile a quella originale, per rendere la maggior quantità di informazioni possibile, come se si avesse di fronte il bene autentico. Questo settore di sviluppo delle immagini e concessione delle stesse tramite licenza è un settore che si sta espandendo velocemente e le istituzioni italiane 505 Cfr. F. LOTTI, La qualità delle immagini dei progetti di digitalizzazione 2006, 2, 22, 23, in DigItalia, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf». 506 Idem, 29. 507 Progetto JPEG2000. 508 Utente generico, abilitato, pagante, e così via. 509 V. LOTTI, cit., 34. 174 dovrebbero approfittarne, data la mole di patrimonio che potrebbe essere digitalizzato e reso fruibile in maniera innovativa, per il pubblico. b) linking e framing Si passa ora a trattare un’altra tipologia di infrazione al diritto d’autore510, che attiene specificamente alla gestione del sito web. Con l’avvento di internet e dell’era digitale, sono aumentare a dismisura le informazioni che possono essere reperite sul web. Mentre “naviga”, l’utente prende visione di contenuti che non sono posti in un’unica lineare sequenza, come potrebbe accadere per un testo cartaceo, ma possono essere scelti autonomamente, essendo interconnessi gli uni agli altri. Tramite una connessione attraverso un link, il soggetto crea un proprio percorso di lettura. Questo è l’elemento che caratterizza un ipertesto, come suggerisce la parola stessa, qualcosa che va al di là del semplice testo: un insieme di informazioni interconnesse 511. Lo stesso creatore di un sito web sa che il suo prodotto non sarà completamente nuovo, ma si baserà, in parte, sull’assemblaggio di parti già esistenti. Se questo soggetto si limita a copiare, egli è perseguibile ai sensi di legge; se però effettua solo dei rimandi, può non incorrere nell’infrazione; ma dipende dal tipo e dalle modalità con cui ciò viene effettuato512. 510 Rispetto a quelle viste nel par. 3.4 e 3.5. In questo senso A MUSSO, Ipertesti e thesauri nella disciplina del diritto d’autore, in AIDA, VII, 1998, 211. 512 In questo senso TURINI, cit., 994. 511 175 È bene ricordare che in passato si riteneva che anche il semplice caricamento di una pagina web nella memoria RAM513, data la riproduzione temporanea dell’opera, poteva costituire violazione del copyright. Successivamente, però, riconosciuto il valore fondamentale del link per operare su Internet, si è stabilito che un utente, per il fatto stesso di essere sul web, realizza una “licenza implicita” per tale pratica514. Il rimando è effettuato tramite il link, un “collegamento ipertestuale ad uno spazio internet, strumento fondamentale e indispensabile per la comunicazione in rete”515, che permette di “navigare” tra le pagine del World Wide Web. Esistono diversi tipi di collegamenti e di classificazione dei link. Innanzitutto si suole distinguere tra: link interni, che sono collegamenti tra le pagine di uno stesso sito e link esterni, che spostano l’utente nelle pagine di un sito diverso da quello iniziale. Per quanto riguarda i link interni, tutto ciò che viene richiamato rientra nell’ambito della titolarità del gestore di quello spazio web. Non c’è bisogno di una licenza, implicita o esplicita, poiché si tratta del modo normale di costruire un sito ipertestuale516. Riguardo i link esterni, l’utente è rinviato presso contenuti che 513 Random Access Memory, la memoria “volatile” del computer in cui vengono memorizzati i dati, ad esempio, sul documento su cui si lavora in quel momento. 514 In questo senso T URINI, cit., 996; PESSACH, cit.; T. J. WALTON, Copyright, reperibile all’URL: «http://netatty.com/copyright.html». 515 V. TURINI, cit., 994. 516 Cfr. TURINI, cit., 995; G. DE FRANCESCO, Siti web e diritti di proprietà intellettuale, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria_i/indice0512/defrancescositiwebipr.ht ml». 176 non sono propri del titolare del sito che ha apposto il link. E in questi casi possono configurarsi alcuni illeciti517. Si distingue ulteriormente tra surface link, deep link e framing. Il surface link consente all’utente di entrare in un sito diverso, comprendendo il passaggio dalla home page del sito “chiamato”. Questo causa generalmente pochi problemi, perché tale sito potrebbe essere interessato dall’acquisita visibilità. La forma di collegamento del deep link è insidiosa: ci si collega alla pagina di un altro sito , ma senza transitare dalla home page 518. La giurisprudenza italiana ha dimostrato un atteggiamento non uniforme riguardo a queste situazioni, configurandole o come illecita forma di concorrenza o come assoluta liceità519. Con il framing, la pagina richiamata attraverso il link viene inserita all’interno della struttura della pagina web attraverso la quale si è effettuato il link, e diventa parte integrante della stessa. Negli Stati Uniti il deep link, se non viene espressamente autorizzato dal titolare del sito a cui si rimanda, è considerato illecito 520. In Italia esiste la pratica dell’accordo fra i proprietari dei siti, sul modo di apporre i link, citare e riprodurre i documenti, all’interno delle proprie pagine521. Il framing, negli Stati Uniti come in Italia, è anch’esso considerato illecito, senza espressa autorizzazione. “In entrambi i casi sussiste una situazione di forte incertezza nel visitatore che non ha agilmente modo di comprendere quale sia la 517 Cfr. M. S. SPOLIDORO, Il sito WEB, in AIDA, 1998, VII, 188, 189. Cfr. TURINI, cit., 995; SIROTTI GAUDENZI, cit., 259, 260, MUSSO, cit., 248, 249. 519 Cfr. TURINI, cit., 995 520 Anche se, secondo alcune opinioni, il deep link è l’unico modo per citare la fonte. 521 Cfr SIROTTI GAUDENZI, cit., 260. 518 177 vera fonte del materiale visualizzato”522. Si ritiene, comunque, che il framing violi il diritto d’autore se non viene resa esplicita la fonte dell’informazione che si visualizza. Inoltre, diventa concorrenza sleale quando serve a sfruttare la notorietà di un altro sito o dei servizi da questo offerti, senza autorizzazione o senza versare un corrispettivo523. Date le questioni giuridiche sorte, gli operatori hanno elaborato un tipo di accordo, detto “Web linking agreement”, che stabilisce le condizioni per effettuare link senza rischi di infrazione524. Questo tipo di accordo si rivela necessario per tutti coloro che devono creare un sito web e cercano di fornire all’utente il maggior numero di informazioni possibili; come nel caso del sito istituzionale di un museo, che può avvalersi anche di risorse esterne, che non gli appartengono direttamente, per diffondere il suo messaggio e portare a compimento la sua missione. Esso potrebbe, infatti, inviare l’utente a contenuti su cui non possiede il copyright, ed in questo modo: non controllare la possibilità di scaricare informazioni che, forse, il proprietario non voleva distribuire o facilitarlo nell’usare materiale per scopi diversi da quelli coperti da utilizzazioni libere, fair use o fair dealing525. 522 V. TURINI, cit., 996 Cfr. DE FRANCESCO, cit. 524 Idem. 525 V. par. 3.6 a). 523 178 c) nome di dominio Ogni computer connesso alla rete è fornito di un indirizzo IP526, cioè una sequenza di numeri che lo identificano. Dal momento che si rivela difficoltoso ricordare una serie di numeri, mentre è più semplice memorizzare una parola, sono state associate a quei numeri sigle o parole 527. Partendo da questo esempio, «http://www.ambientediritto.it», i nomi di dominio sono così strutturati: la parte a destra del punto, “.it”, è detta Top Level Domain, che indica l’area geografica, come in questo caso528, o l’area tematica di appartenenza529; la parte a sinistra del punto , “ambientediritto”, è detta Second Level Domain, espressione alfabetica scelta autonomamente dall’utente, che identifica delle particolari pagine. Ogni parte dell’IP numerico è unica, quindi ogni computer della rete è identificato da un unico e particolare nome di dominio 530. Secondo la giurisprudenza, il nome di dominio ha anche una funzione di segno distintivo, rispetto alla possibilità di attrarre l’interesse degli utenti della rete. Pertanto, in questo campo occorre rispettare le normative a tutela della proprietà intellettuale, ma anche del nome, dei segni distintivi e dei marchi 531. 526 Internet Protocol, protocollo di comunicazione che serve a spostare pacchetti di dati da una macchina all’altra, cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 235. 527 Idem. 528 “.it” per l’Italia, “.fr” per la Francia, e così via. 529 Come “.com” per indicare le attività commerciali. 530 cfr. SIROTTI GAUDENZI, cit., 236. 531 In questo senso, DE FRANCESCO, cit. 179 È necessario specificare che, nell’andare alla caccia di un nome per il sito, non è possibile utilizzare il titolo stesso di un’opera dell’ingegno, senza il permesso dell’autore; ciò vale anche per denominazioni di organizzazioni o prodotti identificabili come marchi o insegne, e pertanto tutelati ai sensi della normativa sulla proprietà industriale 532. L’uso di un marchio altrui come nome di dominio è, generalmente illecito: gli utenti, infatti, visiterebbero il sito credendo che sia di proprietà del titolare del marchio e ciò potrebbe creare confusione relativamente all’associazione erronea tra diversi segni distintivi e circa la provenienza dei prodotti, dei servizi, per non parlare del danno alla reputazione. Secondo l’esperienza statunitense, in generale i nomi di dominio registrati che contengono un marchio di fabbrica, rappresentano una violazione. Le corti americane, tuttavia, non detengono una visione univoca del problema e non hanno avuto molto successo nel forzare i proprietari del nome di dominio, che rappresenta una presunta violazione, ad abbandonare l’uso del nome registrato. L’ICANN533, autorità che si occupa, negli Stati Uniti, dell’assegnazione dei nomi di dominio, ha istituito una procedura di arbitraggio per determinare se il proprietario di un marchio abbia la facoltà di eliminare un nome di dominio. Se, poi, le corti americane sollevano obiezioni sulla decisione raggiunta, il sito resta tale534. 532 Idem. International Corporation of Assignad Names and Numbers, responsabile dell’assegnazione dei nomi di dominio negli USA. IANA (Internet assigned Numbers Authority), è l’autorità che sta al vertice nell’assegnazione dei nomi di dominio; essa ha delegato le sue funzioni a distinte autorità continentali, europea e sud-asiatica, da cui dipende, ad esempio il GARR in Italia. 534 In questo senso T. J. WALTON, Trademark, 2000, reperibile all’URL: «http://www.netatty.com/trademark.html». 533 180 La WIPO ha acutamente chiamato il nome di dominio “the human form of Internet address. Like commercial entities in cyberspace, domain names serve not only as the street and houses on the Internet but also as the signposts for electronic business”535. Nel cyberspazio è di fondamentale importanza, per I musei, avere un’identità certa, sicura e appropriata, che permetta agli utilizzatori di confidare sulle risorse dell’istituzione. L’ICANN ha approvato la costituzione di un Top Level Domain “.museum”, che favorirebbe l’istituzione culturale nel registrare i propri nomi di dominio, il riconoscimento di un’identità sicura e l’assicurazione di autenticità dei contenuti536. L’organizzazione preposta a rendere operativa tale iniziativa è MuseDoma537, la quale aspira a stabilire “a cultural sector on the Internet”538. Essa deve anche vigilare su eventuali comportamenti illeciti: “there are persons all toot eager to appropriate the name, the goodwill, and intellectual assets of museums for their own purposes” 539; tali pratiche possono, infatti, danneggiare la reputazione del museo, per questo devono investire tempo e risorse per difendere i loro nomi di dominio. d) opera multimediale Il museo dell’era digitale, sia che crei un suo “alter ego” su Internet o che proponga nuove e diverse attività sul suo sito web o nei suoi locali, è ripetutamente coinvolto nell’utilizzo e nella costruzione di opere multimediali. 535 Cfr. SHAPIRO, cit. Idem. 537 Museum Domain Management Association. 538 V. C. KARP, Launching the Top - Level Domain . museum, 2001, reperibile all’URL: «http:// icom.museum/». Il top level domain dell’ICOM ne rappresenta un esempio. 539 V. SHAPIRO, cit. 536 181 Pensiamo, ad esempio, alla visita virtuale di una galleria d’arte, nella quale possiamo: vedere le riproduzioni digitali delle opere ivi custodite, ascoltare una voce narrante e/o leggere una didascalia che ci spieghi la storia dell’opera, dell’autore o del luogo in cui è presente, essere accompagnati da un sottofondo musicale. Si prenda altrimenti come esempio la video guida multimediale realizzata al Museo della Seta di Como, che ho illustrato al par. 2.4.3 sub c). In quell’esempio l’utente è coinvolto in una visita reale al museo, ma attraverso una videoguida su palmare, che permette di selezionare autonomamente gli argomenti, è in grado di ascoltare le spiegazioni sugli oggetti custoditi ed ottenere anche informazioni aggiuntive. Tutto ciò accompagnati anche da filmati dell’epoca, riprodotti su palmare, e dalla possibilità di interagire con lo strumento scegliendo lingua, percorsi, argomenti. L’opera multimediale è fonte di molteplici informazioni, di cui il museo si avvale per la sua straordinaria capacità di restituire immediatezza nella ricezione delle informazioni e di rendere l’utente attivo attraverso la scelta del proprio autonomo percorso, fino a diventare lui stesso “creatore” dell’itinerario conoscitivo. In questo modo il museo è anche facilitato nel compito di raggiungere la sua missione e diffondere il suo messaggio, sia ad utenti che lo visitano realmente, sia a coloro che non avrebbero voluto visitarlo ma attraverso 182 Internet ne stanno considerando l’eventualità, sia a coloro che non ne hanno la possibilità540. La scoperta dell’opera multimediale, tuttavia, non è recentissima. Già da più di dieci anni si produce materiale multimediale come i CD rom, che poi si è perfezionato fino ad approdare alla rete Internet541. Sempre in quel periodo, i creatori di opere multimediali riportavano una percentuale molto alta di rifiuti nell’accordare loro, da parte degli autori dei contenuti che avrebbero dovuto essere utilizzati, i permessi per lo sfruttamento. Molto probabilmente la causa si riconnette alla mancata comprensione dei reali diritti coinvolti, data la novità dell’utilizzo di quel tipo di tecnologia, perciò il rifiuto sembrava la strada più sicura da percorrere. Si segnala che ciò accadeva anche nella costituzione di banche dati e website542. Facciamo una piccola premessa. È necessario specificare di quale tipo di opera stiamo parlando. La riflessione dottrinale sulla della tecnologia digitale ha dato origine ad una nuova categoria di “beni immateriali” la cui caratteristica è la “dematerializzazione” del tradizionale supporto materiale in cui sono immessi, dato il processo di “digitalizzazione” delle informazioni a cui sono sottoposti, che prevede la riduzione in bit. Come efficacemente descritto da Nivarra, “impiego della tecnica digitale che annulla la specificità di ogni singolo linguaggio sia esso musicale, testuale, visivo, nelle sue ininterrotte catene di 0 e 1” 543. Queste nuove forme di elaborazione e trasformazione dell’opera hanno portato alla nascita dei 540 V. par. 2.3. V. par. 2.4.3. sub a), cfr. R. E. PANTALONY, Wipo Guide on Managing Intellectual Property for Museums, 2007, reperibile all’URL: «http: //www.wipo.int/copyright/museums_ip/guide.html» 542 In questo senso LEAN, cit. 543 V. L. NIVARRA, Le opere multimediali su Internet, in AIDA, 1996, V, 136. 541 183 cosiddetti “beni informatici”, strutturabili attraverso un computer, entro cui si possono comprendere opere multimediali, banche dati, software544. Solo le prime due tipologie saranno oggetto di specifica analisi, in questo e nel prossimo paragrafo. È necessario trovare una collocazione giuridica per i beni informatici, i quali vengono,così, trasformati in beni giuridici informatici. Tale nozione, nel mondo anglosassone è resa con “legal hybrid”545. Nel cercare di definire tale tipo di opera, partiamo dall’attributo “multimediale”. Il relativo termine “multimedia” deriva dal mondo anglosassone, ma ancor prima da quello latino: “media”, il plurale di “medium”, significa mezzo; ed indica, insieme al termine “multi”, più mezzi di comunicazione che veicolano il proprio messaggio e vengono incorporati, poi, in un unico supporto che fonde insieme i vari messaggi, creandone uno nuovo generale. I messaggi, però, grazie alle scelte che l’utente pone in essere, possono diventare molteplici546. Nonostante tale prodotto non rappresenti più una novità547 l’inquadramento sistematico 548 di tale opera è problematico ora come lo era dieci anni fa549. 544 In questo senso M. BARCAROLI, Problemi di Diritto Comparato di autore nell’opera multimediale, in Riv. Dir. Aut, 1999, 2, 181; C. DI COCCO, Multimedialità e diritti d’autore, in Dir. Int., 2007, 3, 298; B. CUNEGATTI, G. SCORZA, Multimedialità e diritto d’autore. Multimedia, banche di dati, software e mp3 alla luce della direttiva 2001/29/CE, Napoli, 2001, 5; M. D’ANNIBALE, La classificazione delle opere multimediali nella legge sul diritto d’autore, in Dir. Aut., 2007, 3, 369. 545 Cfr. BARCAROLI, cit, 189. 546 Idem, 186; DI COCCO, cit., 298. Intesi come testi, immagini, suoni, sono, secondo Nivarra “la traduzione visiva di quelli intreccio di relazioni e di assonanze di cui si alimenta la conoscenza” cit, 138. 547 Cfr. NIVARRA, cit., 139. 184 E oltre ad indagare il suo possibile inquadramento, c’è chi si chiede anche se la figura dell’informatico sia assimilabile a quella dell’autore550. Ma analizziamone le caratteristiche. Essa è caratterizzata da: digitalità, che riguarda la sua necessaria forma di espressione in linguaggio binario, il quale permette al computer di raccogliere ed elaborare le informazioni; multimedialità, che fa riferimento alla sua composizione in immagini, testi, suoni, connessi tra loro e che rappresentano opere protette dal diritto d’autore551; interattività, che sta ad indicare che l’opera funziona attraverso un cd. “software gestionale”, che permette all’utente, grazie anche all’ipertestualità, di creare percorsi di consultazione sempre personalizzati, diventando egli stesso, come abbiamo visto all’inizio, creatore. Si riconosce una “creatività multiforme” perché l’utente può compiere tutte le scelte consentite dal software gestionale552. Si specifica, inoltre, che l’opera multimediale può essere realizzata offline, intendendo con questo l’utilizzo di CD rom o DVD; oppure on - line quindi su Internet, strumento che la rende ivi realizzabile 553. 548 Sia per qualificazione giuridica che disciplina normativa. Cfr. DI COCCO, cit., 297; BARCAROLI, cit., 183; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 5. 550 In questo senso, M. D’ANNIBALE, cit., 370. 551 I dati, una volta digitalizzati: “divengono dati svincolati dalla realtà materiale, indipendenti dal supporto sul quale sono inizialmente registrati ed estremamente permeabili a qualunque tipo di operazione” , v. DI COCCO, cit., 299. 552 V. D’ANNIBALE cit., 381; cfr. BARCAROLI, cit., 155-188; SIROTTI GAUDENZI, cit., 215. 553 Cfr. D’ANNIBALE, cit., 373; BARCAROLI, cit., 384. 549 185 Queste due tipologie configurano, rispettivamente, la multimedialità statica554 e dinamica555. Le caratteristiche dell’opera fuse insieme costituiscono il prodotto multimediale, che si distingue per due elementi: 1. il “contenuto informativo”, che rappresenta la totalità dei dati digitalizzati provenienti da opere o porzioni di esse che sono fruibili dall’utente attraverso una “navigazione reticolare”556; 2. il “programma di gestione”, cioè la componente software, un sistema informatico che coordina le parti e i contenuti in modo che possano essere utilizzati dall’utente. Tali due componenti sono “interdipendenti, in quanto l’una è del tutto inutile senza l’altra, e fra loro deve sussistere una forte integrazione perché il multimedia possa essere utilizzato efficacemente dall’utente finale”557. “Although multimedia products are of such great economic importance, there is no direct legislation to protect them”558. Ciò non significa però che non ci sia un qualche tipo di protezione a questi prodotti. Ma la protezione trovata, in Italia come negli altri paesi e nei trattati internazionali, è essenzialmente un miscuglio degli esistenti regimi di protezione per altre simili opere dell’ingegno559. 554 Che fa riferimento al medium che la incorpora. Che fa riferimento allo spazio extra geografico a cui è possibile accedere attraverso Internet; cfr. CERUTTI, cit., 1012. 556 V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 6. 557 V. DI COCCO, cit., 299 558 V. I. A. STAMATOUDI, Copyright and Multimedia Products A Comparative Analysis, Cambridge, 2002, 5 559 In questo senso STAMATOUDI, cit., 5; NIVARRA, cit., 136; DI COCCO, cit., 304; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 10. 555 186 Innanzitutto l’opera multimediale può essere considerata opera dell’ingegno poiché è dotata di creatività 560: infatti, come dice Nivarra, dà vita ad “una creazione originale frutto di progetto culturale anche di livello elevato (…). E questo valore aggiunto creativo, a sua volta, non deriva da un lavoro di mero coordinamento”561 anzi molto spesso il livello di creatività sul prodotto finito può essere anche superiore a quello che potrebbe potenzialmente derivare dalla somma delle sue componenti562. Il progetto creativo è generalmente imputabile al cosiddetto “regista multimediale” che sviluppa l’idea principale 563 e genera l’idea che sarà poi realizzata con l’aiuto di grafici, esperti software ed esperti di contenuti. Raramente è realizzata da un solo soggetto, a cui spetterebbero, pacificamente, alla fine, tutti i diritti sull’opera. Quindi alla realizzazione dell’opera partecipa un gruppo di soggetti, ciascuno dei quali fornisce il proprio contributo intellettivo originale per la realizzazione. C’è infine poi, il finanziatore, o produttore multimediale che mette a disposizione i mezzi finanziari e successivamente ne cura l’edizione 564. Diversi esperti per diversi tipi di contenuti; proviamo ora a cercare una definizione: l’opera multimediale è “la combinazione e la gestione simultanea, ad 560 Altresì se dotata di creatività di modesta entità, come richiesto nei paesi di common law, dove si prevede solo che l’opera non sia copiata. 561 V. NIVARRA, cit., 137 562 In questo senso DI COCCO, cit., 304. 563 V. idem, BARCAROLI, cit., 210. 564 Cfr. DI COCCO, cit., 305. 187 opera di un programma, di porzioni di opere appartenenti a diverse tipologie, tradizionalmente veicolate da media differenti,resi in formato digitale”565. Ancora, è “un’opera realizzata dall’ingegno di un uomo che può essere consultata in modi diversi (audio, video, lettura, narrazione, animazione, storia, arte, dizionario) e non in un modo unico come un film, un libro, la radio, o la televisione, a seconda degli interessi di chi la fruisce” 566. Ancora, è un’opera che “combine on a single medium more than one different kind of expressions in an integrated digital format, and which allow their users, with the aid of a software tool, to manipulate the contents of the work with a substantial degree of interactivity”567. La definizione normativa dell’opera multimediale è, tuttavia, una questione aperta; non esistono fonti specifiche o norme che le attribuiscono uno specifico regime giuridico. In Italia, in realtà, il termine “multimediale” è apparso per la prima volta nel 2000, in un testo legislativo 568 trasposto poi nell’art. 17 ter l. 633/41. Era il primo riconoscimento formale da parte del legislatore, il quale, tuttavia, non ha introdotto una definizione o ne ha specificato una disciplina giuridica. L’unico modo per trovare una disciplina, dunque, è fare una comparazione con i modelli esistenti. Innanzitutto, la Convenzione di Berna prevede la protezione per materiale originale che sia “literary and artistic works, meaning every production 565 V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 6 V. V. SPATARO, Opera Multimediale, //www.civile.it/ilaw/diziovisual.asp?num=764» 567 Definizione di I. A. STAMATOUDI, in DI COCCO, cit., 301. 568 D. lgs 248/2000. 566 188 reperibile all’URL: «http: in the literary, scientific and artistic domain, whatever its form or mode of expression”569. Qualsiasi opera che possegga tali caratteristiche viene protetta, senza che venga fatta una preventiva classificazione dell’opera. In Europa la visione è simile alla Convenzione, per cui una preventiva classificazione non è richiesta. Così accade anche negli Stati Uniti, i quali però prevedono dei requisiti forse ancora più restrittivi: la section 102 del Copyright Act assegna tre caratteristiche alle opere per poter essere protette: “it has to be a work it has to be original it has to be fixed in a tangible medium of expression”570. Tenendo conto, però del concetto molto largo di originalità, la restrittività viene allentata. L’individuazione del regime giuridico si rivela fondamentale sia per una corretta protezione, sia per una sviluppo più generale del mercato poiché gli imprenditori non resterebbero bloccati dalla mancanza di chiarezza legislativa. Nel scegliere il regime più adatto, la maggiore difficoltà è data dal rapporto che si realizza tra le sue più componenti. È importante ricordare che l’opera multimediale è composta, nella maggior parte dei casi, da altre opere che, a loro volta, sono protette dal diritto d’autore. E ciò accade a prescindere dalla protezione che verrà accordata all’opera, nel suo complesso. Inoltre, non si possono trascurare i diritti che appartengono ai singoli autori dei contenuti 569 570 V. STAMATOUDI, cit., 187. Idem, 88. 189 utilizzati. Sembra ad oggi, che nessuna categoria italiana di opera dell’ingegno possa ritenersi adatta. Questa può rivelarsi un’operazione ardua, poiché: è necessario ottenere almeno il consenso per la riproduzione e alla elaborazione delle opere; si ravvisa frammentarietà e pluralità di diritti, sia d’autore che connessi, in capo a molteplici soggetti, da qui la difficoltà di ottenere tutti i consensi; la necessità dell’acquisizione dei diritti per ogni territorio nel quale l’opera sarà usata, complica lo sfruttamento della stessa sul web, poiché si rende indispensabile raccogliere i diritti praticamente per tutti i paesi del mondo, con le connaturate differenze degli stessi; poiché la realizzazione dell’opera impone una modificazione dei materiali originali, coloro che hanno acquistato dei diritti di sfruttamento sugli stessi e a cui andrebbero indirizzate le richieste potrebbero non disporre anche del diritto di modifica571. Innanzitutto, è possibile far rientrare l’opera multimediale all’interno delle opere derivate, figura prevista dal diritto d’autore, al di là delle previsioni per ogni singola tipologia. Essa infatti, utilizzando contenuti preesistenti e rielaborandoli creativamente presenta le sue caratteristiche tipiche 572. 571 572 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 119, 120; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 14, 15. Idem 119; idem 19, 20. 190 Ma poiché l’opera multimediale è dotata delle caratteristiche di digitalità e interattività, diventa difficile inquadrarla in una delle figure tradizionali: Opera comune o opera in collaborazione o opera in comunione. È un’opera creata attraverso il contributo “indistinguibile e inscindibile di più persone”573. Però il ruolo che copre il soggetto che cura l’ideazione e la realizzazione dell’opera multimediale risulta incompatibile con quest’opera, dove tutti i soggetti danno lo stesso tipo di contributo. Inoltre nell’opera multimediale non c’è una “fusione irreversibile delle singole porzioni” 574 Opera collettiva È costituita da una riunione di opere o di parti di esse, che rimangono individuabili e riconoscibili. Se sulla carta sembrerebbe adattarsi alle opere multimediali, sorgono delle perplessità nel caso in cui le attività di coordinamento e organizzazione dell’opera siano svolte da un programma per elaboratore individuato appositamente, eventualità non prevista dal legislatore. Nonostante ciò, la figura che ne coordina la realizzazione trova, invece, riconoscimento575. Opera composta e in particolare opera cinematografica E’ costituita da una pluralità di contributi distinti tra loro ma connessi strettamente per una unica e precisa finalità espressiva 576. Si riscontra una fusione di elementi letterali, figurativi e musicali; ma mentre nell’opera cinematografica le immagini 573 V. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 21. V. DI COCCO, cit., 305 575 Cfr. DI COCCO, cit., 305; CUNEGATTI, SCORZA, cit., 23. 576 Cfr. E. FALABELLA, N. PEDDE, Il giurista Multimediale, Roma, 2001, 42. 574 191 sono montate per seguire una sequenza, l’opera multimediale trae la sua peculiarità dall’interattività e, quindi, dalla non linearità577. Opera audiovisiva E’ un’opera che può essere fruita con diversi mezzi come la televisione o un apparato informatico, ma non ha la caratteristica dell’interattività e non c’è la componente del software578. Opera letteraria In questo caso l’opera multimediale potrebbe essere considerata un insieme di dati omogenei, espressi in forma digitale. In tal maniera viene considerato letterario anche il software. Ma c’è da notare che la semplice digitalizzazione non può modificare la natura giuridica dell’opera e quindi una tale riqualificazione potrebbe essere fatta solo in base ad una espressa disposizione normativa 579 Programma per elaboratore In questo modo viene enfatizzato il ruolo svolto dal software che consente la consultazione dell’opera multimediale, e ricondotto l’intero prodotto a questa disciplina, a prescindere dal contenuto. Non bisogna però dimenticare che il programma rappresenta solo una parte dell’insieme580. 577 In questo senso CUNEGATTI, SCORZA, cit., 30, 31; DI COCCO, cit., 308. Cfr. DI COCCO, cit., 308. 579 Idem, 307; cfr. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 33. 580 Cfr. CUNEGATTI, SCORZA, cit., 28, 29. 578 192 Resta un’ultima ipotesi per cercare di trovare una tutela per le opere multimediali: comprenderle all’interno della protezione offerta alla banche dati. Dal punto di vista della struttura e del contenuto le due tipologie di opere presentano notevoli affinità. Si ravvisano queste caratteristiche: opera composita, contenuto informativo digitalizzato, software preposto alla fruizione, lavoro di équipe, con ruoli diversi per ciascun soggetto. Si è ritenuto che questa fosse l’unica assimilazione possibile, ma anche qui, in realtà, ci sono diversi problemi. Innanzitutto le informazioni, i dati o le opere che romano l’opera multimediale “non sono necessariamente indipendenti e/o individualmente accessibili”581. In più la definizione di banca dati comprende anche la forma non informatizzata, ciò è rilevante se si pensa che uno degli elementi portanti dell’opera multimediale è il software gestionale, il quale, tra l’altro, per espressa previsione della normativa, non riceve diretta protezione. Non resta altro da fare che condurre l’indagine con riferimento ai singoli casi di opere multimediali, perché di volta in volta potranno occorrere le condizioni che configurano un’opera o un’altra. “Ciò che caratterizza l’opera multimediale in quanto “prodotto” non è la sua struttura, bensì il modo di utilizzazione”582. 581 582 V. DI COCCO, cit., 309. V. M FABIANI, Banche dati e multimedialità, in Riv, Dir. Aut., 1999, 1, 11. 193 Quindi si procederà per affinità, oppure, come suggerisce Stamatoudi, “a new classification must be introduced for the group of new technological productions”583. e) banca dati Abbiamo visto nel capitolo 2 come le banche dati possano rappresentare una forma di impiego delle nuove tecnologie, che permette al museo di coadiuvare l’utente nella ricerca di determinati tipi di materiale e di trasmettere il proprio messaggio. Si parla delle banche dati on - line, dalle quali gli utenti, preventivamente registrati sul sito web, possono ottenere, a determinate condizioni, previste in una licenza584, immagini di riproduzione dei beni culturali o altro materiale 585. Questa è la forma “tradizionale” delle banche dati, tuttavia, grazie ad una esposizione virtuale o all’eventualità che il museo stesso “si trasferisca” su Internet, può essere realizzata un’altra tipologia di banche dati. Tali modalità sono strettamente connesse alla possibilità, offerta dalla legislazione, di tutelare non solo le banche dati incorporate in un supporto materiale, ma anche in “qualsiasi altra forma”586. Ma vediamo qual è la protezione giuridica prevista per questo strumento. 583 V. STAMATOUDI, cit., 194. Ad esempio, il pagamento di una certa somma. 585 Cfr. STABILE, Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, cit., 302. 586 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 243. Per una trattazione più ampia v. par. 3.5.2. 584 194 Il primo riconoscimento normativo per le banche dati è stato fornito a livello internazionale dagli accordi GATT/TRIPs del 1994 587. Essi affidano588 loro protezione come “creazioni internazionali in quanto la selezione o l’organizzazione del loro contenuto rappresentino un’opera dell’ingegno”589; subito dopo sono intervenuti i trattati WIPO590: il Copyright Treaty, infatti, all’art. 5 dispone che “le compilazioni di dati o altro materiale, in qualsiasi forma, che a causa delle selezione o della disposizione del loro contenuto costituiscono creazioni intellettuali sono protette in quanto tali. La protezione non copre i dati o il materiale stesso e non pregiudica i diritti d’autore eventualmente esistenti sui dati o sul materiale contenuti della compilazione”591. Si è, poi, fatto avanti il legislatore comunitario, che fornisce protezione legale alle banche dati con la direttiva 1996/9/CE, recepita in Italia con il d. lgs 6 maggio 1999, n. 169592. Il decreto ha modificato taluni articoli della l. 633/41; la quale ora dispone che sono protette dal diritto d’autore anche “le banche dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore”. La definizione completa di banca dati è, invece, sancita nell’art. 2 n. 9 della stessa legge, il quale precisa che sono protette “le banche dati di cui al secondo comma dell’articolo 1 intese come raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente 587 General Agreement on Tariffes and Trade (GATT); Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS); v. par. 3.2 sub a). 588 All’art. 10 paragrafo 2. 589 V. B. CUNEGATTI, Le Banche di dati, in CASSANO (a cura di), cit., 1023. 590 World Intellectual Property Organization, v. par 3.2 sub a). 591 V. CUNEGATTI, cit., 1023. 592 “attuazione della direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati” 195 accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo” si precisa, inoltre che “la protezione non si estende al contenuto della banca dati e lascia impregiudicati i diritti esistenti sullo stesso”593. È la prima definizione completa che si trova in una normativa. Negli Stati Uniti, la Circolare 65 594 del Copyright Office dà una definizione di “automated databases”: “un corpo, costituito da uno o più files, di fatti, dati o altre informazioni assemblati in una forma organizzata che ne consente l’utilizzo in un computer”595. In Australia i databases sono protetti come “compilations, often of vast amounts of information, stored in electronic format”596. Nonostante il Copyright Office avesse prodotto una definizione di automated database; a livello federale le banche dati non sono soggette a protezione. Il database è proteggibile solo quando assume i caratteri di una “compilation”, che è definita, invece, come “costituita dalla raccolta e dall’assemblaggio di materiali preesistenti o di dati selezionati, coordinati o arrangiati in maniera tale che l’opera risultante costituisca l’espressione di una creazione originale”597. È proprio su quest’ultimo concetto che occorre soffermarsi. Una banca dati è protetta se è frutto di una creazione intellettuale dell’autore598. Sebbene la direttiva 96/9/CE non utilizzi espressamente il termine originale, si considera che essa si riferisca al requisito dell’originalità, che è il 593 Idem. Copyright Registration for Automated Databases. 595 V. L. MANSANI, La protezione dei database in Internet, in AIDA, 1996,V, 149. 596 V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit. 597 V. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153. 598 Cfr. art. 3 par. 2 della direttiva. 594 196 presupposto alla sussistenza del quale si procede alla tutela secondo il diritto d’autore599. Infatti, per scegliere o disporre il materiale, occorre che l’autore utilizzi un certo grado di originalità 600. Anche la tradizione statunitense segue questa impostazione, sebbene il concetto di originalità abbia seguito una particolare evoluzione. Da circa metà del 1980, la giurisprudenza statunitense sosteneva la “sweat of the brow doctrine”601, un orientamento secondo il quale “il presupposto della creatività sussisterebbe per il solo fatto che la raccolta di dati sia frutto di “industriosità”, “fatica”, “lavoro e spese” da parte del compilatore”602. Questa dottrina assicurava una protezione tanto ampia da abbassare significativamente il livello i creatività richiesto per la protezione del copyright, ed era stata invocata in uno storico caso americano del 1991 603 in cui la Corte Suprema ha affermato che una compilazione di dati che consiste in una guida telefonica non merita la tutela del copyright, poiché mancava l’elemento della creatività, benché modesto, “che è preteso dal criterio dell’originalità dell’opera e che si ricava dalla clausola della Costituzione che tollera i diritti di privativa (copyright e brevetto) se funzionali al “progresso della scienza e delle 599 In questo senso F. RONCONI, Trapianto e rielaborazione del modello normativo statunitense: il diritto d’autore di fronte alla sfida digitale, in PASCUZZI, CASO (a cura di), cit., 272. 600 Si noti che è sufficiente che l’originalità riguardi o la scelta delle materie o la disposizione delle stesse. 601 La “dottrina del sudore della fronte”. 602 Cfr. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153. 603 Feist v. Rural Telephone Co. 111 S. Ct. 1282 (1991), nel quale la società Feist era accusata di aver copiato senza la necessaria autorizzazione grosse porzioni di un elenco telefonico utilizzato in precedenza dalla società concorrente Rural. Rural aveva invocato la “sweat of the brow doctrine”, assumendo di aver sostenuto notevoli sforzi anche economici per la raccolta delle informazioni e chiedeva che il concorrente non potesse avvantaggiarsi dei risultati tramite la riproduzione. L’argomento è stato rigettato dalla Corte Suprema. 197 arti””604. Dopo questo episodio le corti americane, per un certo periodo, non hanno mantenuto un orientamento unitario; ma nonostante l’abbassamento della soglia della creatività richiesta per la protezione, il copyright continuava ad essere assicurato a banche dati, raccolte, repertori, cataloghi, e così via, sia in forma analogica che digitale, che potevano essere avvicinate alla definizione di compilation605. In Australia si è verificato il caso esattamente contrario. La Corte Federale606 ha stabilito che un elenco telefonico è sufficientemente originale per ottenere la protezione del copyright. Ciò se è stato compiuto un sufficiente sforzo intellettuale nella selezione e nell’organizzazione dei fatti, o se l’autore ha realizzato un lavoro sufficientemente dispendioso in termini di sforzi e spese607. Inoltre, la banche dati sono protette come originali opere letterarie. Si noti che sia in Italia che in Australia, se la banca dati contiene opere che sono protette dal diritto d’autore, la protezione continua a sussistere su ogni singolo elemento608. Negli Stati Uniti sono esclusi dalla protezione i dati normalmente fattuali609. 604 V. J. H. REICHMAN, La guerra delle banche dati. Riflessioni sulla situazione americana, in AIDA, 1997, V, 226. 605 I cui caratteri sono: selezione delle informazioni contenute; coordinamento di tali informazioni; loro arrangiamento e adattamento per consentirne il reperimento con un sistema di ricerca; originalità creativa del contenuto. Cfr. REICHMAN, cit., 227; MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 153. 606 Nel caso Desktop Marketing Systems v. Telstra Corporation [2002] FCAFC 112. 607 Cfr. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, cit. 608 La direttiva all’art. 3 par. 2 dice che la tutela “non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”. 609 Cfr. MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 156 198 Ma la vera differenza realizzata dalla direttiva 96/9/CE riguarda il riconoscimento di un diritto speciale, il cosiddetto diritto “sui generis”, in capo all’autore della banca dati610. In base ad esso l’autore ha il diritto esclusivo “eseguire o autorizzare: la riproduzione permanente o temporanea, totale o parziale, della banca di dati con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma; la sua traduzione, il suo adattamento, una sua diversa disposizione e ogni altra modifica, oltre a qualsiasi riproduzione, distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico dei risultati di queste operazioni; la distribuzione al pubblico dell’originale o di copie della banca di dati; la presentazione, la dimostrazione o la comunicazione in pubblico della banca di dati, ivi compresa la sua trasmissione effettuata con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma”611. La finalità di un tale riconoscimento è di tutelare l’investimento compiuto dall’autore612, il quale può estrinsecarsi attraverso l’impiego di mezzi finanziari, tempo, lavoro ed energie 613. Tale diritto è indipendente dal fatto che il contenuto sia, autonomamente, coperto dal diritto d’autore. Si noti che questa esclusiva dell’autore ha una durata di quindici anni, ma può durare potenzialmente all’infinito, infatti qualora lo stesso autore apporti al contenuto un’integrazione o un aggiornamento sostanziale, il termine può decorrere nuovamente. 610 Artt. 7 e ss. della direttiva. V. CUNEGATTI, cit., 1025, 1026. 612 Denominato costitutore. 613 In questo senso MANSANI, La protezione dei database in Internet, cit., 157; CUNEGATTI, cit., 1027. 611 199 Il diritto del costitutore della banca dati si avvicina alla dottrina, precedentemente esposta, “sweat of the brow”, che aggiunto alla lunga durata, realizza una tutela molto protezionistica. La strada seguita dagli Stati Uniti, così come dall’Australia, è più liberale e permette una più facile circolazione delle informazioni614. Se la tutela assicurata negli Stati Uniti riguarda solo la struttura e l’organizzazione della banca dati, altre possibili forme di tutela sono ravvisabili nella misappropriation, nell’unfair competition e nelle tutele contrattuali615. Dal momento che la nostra attenzione è rivolta alle banche dati su Internet, si nota che il “principio dell’esaurimento comunitario” 616 che riguarda la distribuzione al pubblico, deve sottostare ad alcuni limiti: il diritto di controllare il noleggio non si esaurisce; l’esaurimento non opera nel caso in cui la banca dati è distribuita on - line617. Questa ipotesi, infatti, configura una presentazione di servizi e non una consegna di beni618. Per quanto riguarda, invece, il diritto di comunicazione, dimostrazione e presentazione in pubblico, il d. lgs 169/99 all’art. 4619 di recepimento della direttiva ha specificato che si tratta di “trasmissione effettuata con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma”. Si ritiene inoltre che non possa verificarsi l’esaurimento in ambito telematico nemmeno in quest’ipotesi620. 614 Idem. Cfr. RONCONI, cit., 295, nota 414. 616 Secondo cui “la prima vendita di una copia di una banca dati nella comunità da parte del titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di controllare all’interno della comunità la rivendita della copia”, art. 5 lett. c) della direttiva. 617 Contrariamente a quanto accade a quelle fissate su supporto materiale. 618 Cfr. RONCONI, cit., 279; CUNEGATTI, cit., 1026. 619 Che corrisponde all’art. 64 quinquies l. 633/41. 620 Cfr. RONCONI, cit., 279; CUNEGATTI, cit., 1026. 615 200 Rispetto al diritto dell’autore di vietare le attività di estrazione della totalità o di una parte sostanziale del contenuto su un altro supporto; esso è particolarmente significativo se applicato alle banche dati on line, poiché spesso l’utente privato può “assumere la veste di “produttore secondario” e quindi di potenziale concorrente del costitutore della banca dati”621, grazie alla facilità con cui le informazioni possano essere copiate e assemblate. Si ricorda, inoltre, che esistono delle eccezioni ai diritti esaminati, in capo all’utente legittimo, che può agire senza la previa autorizzazione dell’autore. Tali eccezioni fanno parte delle libere utilizzazioni622. 3.5.2 La tutela giuridica: che tipo di qualificazione per il museo? La creazione di un sito web, come può essere quello del museo, è assimilabile ad una qualsiasi altra attività creativa di opere protette dal diritto d’autore. Esso è composto, come abbiamo visto, da diversi elementi, a partire dai più semplici, quali immagini, testi, suoni, sino ad arrivare ai più complessi, quali banche dati e opere multimediali, che realizzano l’unione di più elementi. C’è anche da considerare il software, che può essere utilizzato per le trasmissioni via Internet o sviluppato appositamente per la pubblicazione del sito web. Ci sono diverse attività che coinvolgono il sito: Web content, la messa a disposizione dei contenuti; Web publishing, pubblicazione on line di informazioni e dati; 621 622 V. RONCONI, cit., 291, nota 399. Che verranno trattate più diffusamente nel par. 3. 6 a). 201 Web design, elaborazione grafica dei contenuti. Possono essere, quindi, riuniti in una stessa pagina, diversi diritti di sfruttamento economico delle opere ivi contenute623. È ovvio che, nella fase della progettazione è necessario verificare la provenienza dei materiali che si intendono utilizzare, individuarne i titolari dei diritti e ottenere le indispensabili liberatorie624. Si è visto che per la realizzazione di opere multimediali e di banche dati entrano in gioco un gran numero di diritti e altrettanti titolari e rintracciarli può diventare complicato. Una volta realizzato il sito nel rispetto dei diritti detenuti sui contenuti incorporati, si potrà provvedere ad assicurare il rispetto dei diritti sull’opera creata e sui materiali pubblicati. Per identificare quale sia la tutela che la legge può offrire al sito web, è necessario analizzare le caratteristiche dell’opera che il sito del suo insieme la rappresenta, tenendo conto anche del requisito dell’originalità. Ci sono degli orientamenti che accostano il sito web alla banca dati625. Prima di circostanziare l’affermazione, specifichiamo che nel nostro ordinamento “musei, esposizioni, collezioni private ed altre raccolte di opere d’arte aventi il carattere di creazioni intellettuali per la scelta o la disposizione dei materiali che li compongono sono tutelati (…) come opere dell’ingegno in base agli articoli 1 e 3 della l. 633/41”626. Ciò viene interpretato in modo da fornire la protezione concessa dall’art. 2 par. 5 della Convenzione di Berna, 623 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 142, 143 Cfr. DE FRANCESCO, cit. 625 Cfr. P. GALLI, Musei e banche dati, in AIDA, 2004, XIII; C.E. MAYR, Banche dati e musei, in AIDA, 1997, VI. 626 V. L. MANSANI, Musei, esposizioni e banche dati, in AIDA, 1999, VIII, 191. 624 202 secondo la quale “le raccolte di opere letterarie o artistiche (…) che, per la scelta o la disposizione della materia, abbiano carattere di creazioni intellettuali, sono protette come tali”627. Il museo, come in precedenza628, è un’istituzione culturale che colleziona le opere, le conserva, le esibisce al pubblico, raccoglie documentazione e rende, in questo modo, beneficio alla collettività, senza contare la diffusione del suo messaggio 629. Tutto il complesso di azioni che l’istituzione pone in essere, ad esempio per realizzare le esposizioni, comprende sforzo creativo dei curatori, scelta del tema, individuazione del percorso critico, selezione e acquisizione delle opere e costituisce una elaborazione di dati630. E in questo senso possono essere considerate banche dati. Inoltre, musei, collezioni ed esposizioni sono tutti definibili “raccolte”, quindi come “insiemi unitari di opere, l’utilità ed il valore dei quali, proprio in virtù della loro unitarietà, è superiore a quello della somma delle opere che li compongono”631. La definizione della direttiva 96/9/CE menziona espressamente il termine “raccolta” e lo accosta alla assistenza di altri tre fattori: Raccolta di opere o di altri elementi indipendenti Il museo la più antica espressione della conservazione degli oggetti, esso raccoglie opere fornite di dati e indicazioni per comprenderne il significato e per offrire al visitatore la possibilità di fruirle in modo indipendente l’una dall’altra; 627 Idem. V. paragrafi 1.4 ss. 629 In questo senso MAYR, cit., 112. 630 Idem. 631 V. MANSANI, cit., 184. 628 203 Sistematicità o metodicità della disposizione Specialmente per quanto riguarda le esposizioni dedicate ad un tema specifico, vengano riunite opere piuttosto omogenee tra loro, in cui la sistematicità può risultare più facile; ma anche opere ed elementi più vari che seguono un filo logico ricostruito ad hoc. In generale comunque, nessun museo tende ad esporre gli oggetti in modo disordinato. Accessibilità individuale delle opere Ogni pezzo infatti ha una sua autonomia e può essere apprezzato singolarmente632. C’è chi sostiene che l’accessibilità individuale delle opere diventi, per quanto riguarda il museo, piuttosto macchinosa, perché non si ritiene che il sistema di reperimento dei dati sia sufficientemente valido 633. Generalmente, però, le raccolte del museo sono ordinate secondo criteri sistematici e facilitano l’utenza nella ricerca 634. In generale, quindi, l’organizzazione di una raccolta di opere o di un evento espositivo riflette un impegno culturale creativo, mediante la raccolta di opere ed elementi in maniera sistematica e metodica che sono accessibili individualmente. Grazie ad Internet le opere, prima esclusivamente esposte al pubblico locali del museo, sono ora oggetto di diffusione on - line. La disciplina delle banche dati è, perciò, applicabile non solo ad esposizione di opere fisicamente tangibili, ma anche ad esposizioni virtuali o ai musei virtuali. 632 Cfr. MAYR, cit., 117; GALLI, cit., 519 – 521. In questo senso MANSANI, cit., 187. 634 In questo senso GALLI, cit., 525. 633 204 La protezione della direttiva, infatti, è accordata a prescindere dalla “materialità” della stessa banca dati che è considerata di per sé635. Il museo come banca dati può essere anche inteso come la traduzione in formato elettronico del catalogo dell’istituzione, sia esso testuale e/o figurativo, che permetta agli utenti di interagire per ottenere le informazioni desiderate636. La definizione di raccolte, data in precedenza, richiama l’attenzione anche su un altro fattore: il valore aggiunto che acquistano le opere nel contesto di un’esibizione ciò ricorda la descrizione delle opere multimediali, secondo la quale la riunione delle componenti realizzerebbe un livello di creatività superiore alle singole parti, nonché di qualità diversa. Taluni altri orientamenti, infatti, quando il museo acquista il valore aggiunto dell’interattività, accostano il sito all’opera multimediale637. Le mostre virtuali possono essere realizzate come opere multimediali, le quali riceveranno una protezione ricavata dal modello di opera dell’ingegno a cui più si avvicina. La presenza dell’opera multimediale può: inglobare l’intero sito web occuparne solo una parte essere contenuta in una banca dati. Nel primo caso riceverà la protezione appena vista, ma se il sito del museo, che può rappresentare lo stesso museo in forma virtuale ingloba un’esposizione, che nella realtà fisica riceve la protezione come banca dati, la 635 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 243. Cfr. L. SOLIMA, E. SANSONE, I musei ed Internet: un’indagine sperimentale, in Econ. Cult., 2000, 1, 84. 637 Cfr. DE FRANCESCO, cit. 636 205 trasposizione su Internet rende la protezione un po’ incerta. L’opera, in questo caso l’opera multimediale, per i caratteri di affinità con la tutela delle banche dati, potrebbe essere avvicinata a questo tipo di protezione, inglobando la banca dati. Nel caso l’opera multimediale occupasse solo una pare del sito, è necessario tentare di qualificare l’opera per affidarle una protezione adatta, mentre il resto delle pagine sarà tutelato in base all’opera di elaborazione e creazione della struttura del sito, in cui le opere sono contenute. Se invece l’opera si trova a far parte di una banca dati, come abbiamo visto il contenuto della banca dati rimane impregiudicato, quindi l’opera sarà tutelata di per se, senza dipendere dalla tutela fornita alla banca dati. Si noti, tuttavia, che un sito non esiste se non in un ambiente digitale e richiede un software per essere fruito ed è in genere caratterizzato dall’interattività, tutte caratteristiche che lo avvicinano all’opera multimediale 638. Si riconosce anche il diritto “sui generis” del costruttore, il quale abbia posto in atto un investimento rilevante sotto il profilo quantitativo e qualitativo639, il quale risulta, nella più parte dei casi, piuttosto rilevante. 3.6 Criticità: riproduzione e fruizione Si è visto che i diritti di proprietà intellettuale permettono agli autori di opere dell’ingegno di proteggere le loro creazioni. Tali diritti indicano cosa è lecito fare con tali opere. Con l’avvento di Internet, e la conseguente possibilità di accedere ad un ampio numero di informazioni è diventato molto più difficile 638 639 Cfr. DE FRANCESCO, cit. Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 244. 206 raggiungere un equilibrio tra protezione e fruizione. Le tecnologie digitali, grazie alla separazione dell’opera dal suo supporto materiale, permettono di copiare in modo perfetto, economico e illimitato i contenuti e di disseminarne facilmente le copie. Senza adeguata protezione, gli autori potrebbero decidere di non rendere più disponibile il loro contenuto on - line, in forma digitale: infatti, “the web can be converted into an inexpensive and widespread distribution medium”640. La rivoluzione tecnologica ha profondamente modificato le modalità di protezione del diritto d’autore: con l’eliminazione del supporto materiale, ciò che ora si tende a commercializzare è il diritto d’accesso all’opera, il diritto di riproduzione e di diffusione, i quali diventano tutti concetti chiave. In questo contesto sono anche stati sviluppati dei sistemi di protezione tecnologica dei contenuti, in risposta alla diffusione illegale del materiale attraverso le reti641. Sono già state descritte le difficoltà, incontrate dai musei, in riferimento alla riproduzione delle opere, in un’ottica di digitalizzazione crescente all’interno delle istituzioni culturali. Per il museo come utilizzatore di contenuti protetti da copyright è difficile riconoscere i diritti e richiederne i relativi permessi senza impiegare considerevoli sforzi, anche economici. Si riconoscono, tuttavia, delle situazioni in cui viene a cadere il diritto esclusivo di utilizzazione economica dell’opera, poiché il comportamento posto in essere dal soggetto che ha a che fare con un determinato contenuto rientra tra la 640 V. N. LUCCHI, Intellectual property rights in digital media: a comparative analysis of legal protection, technological measures and new business models under E.U. and U.S. law, 7, reperibile all’URL: «http: //papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=704101». 641 In questo senso COMMISSIONE INTERMINISTERIALE…, cit.. 207 cosiddette “utilizzazioni libere”, o per meglio dire nelle “eccezioni e limitazioni del diritto d’autore”. Questo principio si ritrova anche nell’ordinamento statunitense, e va sotto il nome di “fair use”, e in quello australiano, declinato nel “fair dealing”. Verranno analizzate queste tipologie di tutela nei diversi ordinamenti, prendendo in considerazione anche le previsioni in tema di protezione dei contenuti, sia attraverso l’adozione di misure tecnologiche, sia attraverso la conclusione di licenze che permettono un legittimo sfruttamento del materiale. a) Utilizzazioni libere, fair use e fair dealing Il diritto d’autore nella società dell’informazione ha dato origine ad un acceso dibattito per quanto riguarda le eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Si sosteneva, infatti, che queste avrebbero dovuto essere limitate, poiché i nuovi media mettono a disposizione le opere dell’ingegno a condizioni più vantaggiose per gli utenti642. Esse dovrebbero rappresentare un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela del creatore dell’opera, che vanta un interesse esclusivo allo sfruttamento, e del pubblico interesse, che “in astratto imporrebbe la libera fruibilità dell’opera medesima” 643. Ma il mezzo tecnologico permette che il documento digitale elimini tutti i vincoli impliciti che stanno a fondamento della disciplina in materia di eccezioni, come: la creazione di entità necessariamente materiali e permanenti dell’opera; 642 In questo senso MARZANO, cit., 251. V. L. NIVARRA, V. RICCIUTO, Internet e il diritto dei privati. Persona e proprietà intellettuale nelle reti telematiche, Torino, 2002, 171. 643 208 la presenza di costi creazione; la possibilità di creare una ridotta quantità di opere; la qualità più bassa della riproduzione rispetto all’originale; il costo di trasmissione e distribuzione dell’opera copiata644. Attraverso gli strumenti informatici l’utente può facilmente rielaborare e trasmettere i contenuti, diventando, in qualche modo, creatore degli stessi. È difficile, così, nell’ambiente digitale, distinguere tra uso privato e uso commerciale, concetto fondamentale per la disciplina delle eccezioni 645. Per andare alle radici di questa tematica, bisogna considerare ciò che è stato previsto dai trattati internazionali. Dal momento che il materiale digitale, che è protetto da copyright, può essere facilmente spedito da un capo all’altro del globo, esso diventa parte importante del commercio internazionale. Si è cercato, perciò, di creare un sistema sopranazionale di protezione, all’interno del quale il materiale protetto in uno Stato ricevesse effettiva protezione anche da parte degli ordinamenti degli altri. Ci sono numerose convenzioni, di cui Italia, Australia e Stati Uniti risultano sottoscrittori, che contengono standard comuni per stabilire eccezioni e limitazioni al copyright. Ci riferiamo alla Convenzione di Berna, del TRIPs Agreement, del WIPO Copyright Treaty e al WIPO Performances and Phonograms Treaty646 e infine all’Australia – U.S. Free Trade Agreement647. Tutte queste convenzioni illustrano il cosiddetto “three – step test”, un insieme di indicazioni disegnate 644 Idem, 173. Idem. 646 Convenzioni di cui si è parlato al par. 3.2 sub a). 647 Di cui, però, l’Italia non fa parte. 645 209 come aiuto per l’applicazione di eccezioni e limitazioni. Secondo il test ci si deve limitare: 1. “to certain special cases, 2. which do not conflict with a normal explotation of the work, and 3. do not unreasonably prejudice the legitimate interests of the right holder”648. Le proposte per nuove eccezioni o per la modificazione di quelle esistenti deve essere conforme a questo tipo di test. In Italia, il tema delle eccezioni e limitazioni ha subito una sostanziale modifica attraverso il decreto di recepimento della “direttiva 29/2001/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”. Il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68649 ha modificato la L. 633/41. La direttiva regola gli aspetti economici del diritto d’autore, quindi i diritti esclusivi di sfruttamento economico delle opere; disciplina le eccezioni al diritto d’autore650; inserisce novità in materia di misure tecnologiche651 e di informazione sui diritti. Il modello degli Stati Uniti, per quanto riguarda il tema delle utilizzazioni libere, si discosta profondamente da quello italiano. Nel title 17 dell’U.S.C. alla section 107 si trova la difesa generale della “fair use doctrine” che non è accostata ad usi 648 V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exeptions. An examination of fair use, fair dealing and other exeptions in the Digital Age, 2005, reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au». 649 “Attuazione della direttiva 29/2001/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”650 Che non possono essere applicate se arrecano nocumento agli interessi legittimi dei titolari dei diritti o contrastano col normale sfruttamento economico di opere e materiali protetti. 651 Che saranno trattate nel prossimo sub paragrafo. 210 specifici, ma resta una clausola generale. Il modello open – ended statunitense è influenzato in parte dalla protezione più ampia che gli Stati Uniti danno al “free speech”, la libertà di parola, e in parte dall’azione, nel corso del tempo, di gruppi di pressione, specifici ed organizzati652. L’Australia prevede le “statutory exeptions”, in particolare le previsioni del “fair dealing”. Una “statutory exeption” permette ad un soggetto di porre in essere taluni atti esclusivi riservati al possessore del copyright. Queste eccezioni non sono contenute in un’unica sezione del Copyright Act, ma sono ivi disperse; inoltre il “fair dealing” è racchiuso al loro interno. Molto importanti per le istituzioni culturali sono le “libraries and archives provisions”, contenute sempre all’interno del Copyright Act, in tre distinte parti. La normativa australiana ha recentemente subito una modifica proprio sul tema delle eccezioni al copyright: nel 2006 il Copyright Act è stato emendato attraverso l’introduzione di “exceptions for cultural and educational institutions”653. Secondo la section 107 dell’U.S.C., il fair use costituisce una combinazione di questioni legali e fattuali: “(…) the fair use of a copyrighted work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by other means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or research, is not an infringement of copyright. In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include: 652 Cfr. CASO, cit., 185; KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit.. Cfr. HUDSON, KENYON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit. 653 211 1. The purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for non – profit educational purposes; 2. The nature of the copyrighted work; 3. The amount and substantially of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and 4. The effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work. The fact that a work is unpublished shall not itself bar a finding of fair use if such finding is made upon consideration of all the above factors.”654 Quando la corte sarà chiamata a pronunciarsi sul fair use dovrà tener conto di ciascun fattore rilevante rispetto a ciascuna delle indicazioni fornite dal testo della legge, e si ritiene inoltre che questi criteri di valutazione siano i più importanti, ma non gli esclusivi, per stabilire se c’è stata o meno violazione del copyright. L’analisi tiene anche in considerazione il criterio del pubblico interesse, che sta alla base della tutela fornita al creatore e del principio della libertà di parola, su cui si basa il fair use. Con l’emersione delle possibilità offerte dai nuovi mezzi tecnologici, il concetto del fair use si è fatto ancora più ampio e non ha fatto altro che aumentare anche le riflessioni su cosa, di volta in volta, possa essere ricompreso sotto questa eccezione655. Nell’ordinamento australiano comportamento “fair” dipenderà da vari fattori, incluso il carattere del comportamento, i suoi effetti sul mercato per l’opera, e la possibilità di ottenere l’opera in un tempo ragionevole ad un prezzo commerciale 654 V. COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exemptions. An examination of fair use, fair dealing and other exemptions in the Digital Age. 655 In questo senso NIVARRA, RICCIUTO, cit., 179, 180. 212 ordinario656. I caratteri si avvicinano a quelli proposti dagli Stati Uniti, ma si ravvisa un ridimensionamento con riguardo ai comportamenti concreti; le eccezioni di fair dealing “apply to dealings undertaken for the purposes of: research or study; criticism or review; reporting the news or the giving of professional advice by a lawyer, patent attorney or trade mark attorney. They do not apply to dealings performed for other purposes, regardless of how fair these dealings might be”657. Già questa precisazione si trova in contrasto con la clausola generale di fair use degli Stati Uniti. Sebbene siano limitate a quattro scopi, le eccezioni di fair dealing sono viste come una promozione della creazione di nuove opere basate su opere esistenti superando le difficoltà nella negoziazione delle licenze per ogni uso del materiale protetto da copyright. Tali eccezioni, tuttavia, sono viste anche come elemento centrale nella definizione dei diritti dei proprietari di copyright658. Il fair dealing non costituisce l’eccezione più importante per le istituzioni culturali, per due principali ragioni: innanzitutto, sorge solo per accordi all’interno di uno dei quattro scopi previsti, che non coprono molte delle attività delle istituzioni; 656 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for digitisation, cit. 658 Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 657 213 inoltre lo scopo rilevante riguarda il momento in cui le istituzioni culturali hanno a che fare con opere protette da copyright per conto di terze parti659. In questo caso, infatti, le istituzioni culturali devono contare su altre condizioni statutarie per evitare la responsabilità. Le eccezioni più rilevanti, come abbiamo già accennato, sono le “libraries and archives provisions”, presenti nel Copyright Act sin dalla sua realizzazione. Esse puntano a promuovere gli interessi pubblici nell’essere capaci di accedere al materiale protetto da copyright, e permettono alle istituzioni culturali di fare un qualche uso del materiale senza pagare i proprietari. Per esempio, certe riproduzioni potrebbero essere fatte per fornire agli utenti della biblioteca di condurre ricerca o studio 660, o per fornire ad altre biblioteche di aumentare le loro collezioni661. Le istituzioni potrebbero inoltre fare conservazione o sostituzione delle copie di materiale nelle loro collezioni662. Tali condizioni sono molto dettagliate, e permettono alle istituzioni attività come: “responding to user requests for copies of published works and articles; participation in the interlibrary loan scheme; preservation of manuscripts, original artistic works, sound recordings held in the form of a “first record” and films held as a “first film”; replacement of published items that are not commercially available; and reproduction of literary, dramatic, musical and artistic works for administrative 659 Come, ad esempio, la copia di articoli per fornirli agli utenti che ne fanno richiesta. Copyright Act ss 49, 50. 661 Copyright Act ss 50. 662 Copyright Act ss 51A, 110B. 660 214 purposes”663, tutte previsioni contenute all’interno del Copyright Act. Non si applicano, però, a biblioteche ed archivi che sono for profit. Per quanto le richieste degli utenti, la riforma del 2006 ha allargato le eccezioni esistenti, prevedendo una sorta di nuovo diritto di comunicazione al pubblico. Le provision sono state estese alla riproduzione digitale del materiale, e non meramente analogica, ed esteso la possibilità di “comunicarlo digitalmente”664. Se un utente richiede una copia di un determinato materiale è possibile fornirgliela in formato digitale, ma una volta che il materiale viene fornito, la copia digitale deve essere distrutta. Questo perché è proibita la creazione di collezioni digitali. Inoltre, un’opera può essere resa disponibile mediante l’utilizzo di terminali situati all’interno dell’istituzione (in queste macchine è impossibile fare copia del materiale visionato); oppure la copia dell’opera può essere fatta per scopi di conservazione, ma solo se l’originale è andato perduto o è talmente deteriorato da non poter essere esposto665. In Italia si rinviene una visione simile a quella considerata. Bisogna innanzitutto specificare che la direttiva 29/2001/CE666 impone agli Stati membri di disporre una propria disciplina per tre diritti esclusivi: diritto di riproduzione 667, diritto di comunicazione668 e diritto di distribuzione669; e prevede, all’articolo 5, eccezioni e limitazioni in relazione a questi tre diritti. L’articolo 5, par. 3, lett. n, 663 V. HUDSON, KENYON, Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for digitisation, cit Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 665 Anche queste previsioni sono contenute nel Copyright Act; Cfr. KENYON, HUDSON, Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, cit. 666 Attuata in Italia mediante il d. lgs. 68/2003. 667 Art. 13 della l. 633/41, conforme all’art. 2 direttiva 29/2001/CE. 668 Art. 16 della l. 633/41, conforme all’art. 3 direttiva 29/2001/CE. 669 Art. 17 della l. 633/41, conforme all’art. 4 direttiva 29/2001/CE. 664 215 attua un’armonizzazione del diritto d’autore che può essere applicato alla comunicazione delle opere al pubblico, il quale è rilevante tanto quanto il diritto di riproduzione, nel contesto digitale. Tale diritto di comunicazione comprende “tutte le comunicazioni al pubblico non presente nel luogo in cui esse hanno origine, comprendendo qualsiasi trasmissione” 670; ciò significa che risulta compresa altresì la trasmissione “on – demand”, cioè su richiesta dell’utente, anche on - line ed interattiva. Queste trasmissioni, infatti, presuppongono che l’utente possa accedervi nel luogo e nel momento scelti individualmente. La comunicazione o messa a disposizione di materiali, prevista però per singoli individui, è possibile all’interno delle istituzioni culturali come biblioteche, istituti di istruzione, musei e archivi; ma su terminali dedicati solo a scopi di ricerca o attività privata di studio. Inoltre i materiali devono essere appartenenti alle loro collezioni e non sottoposti ad accesso consentito sulla base di accordi contrattuali di licenza o cessione671. Passando al diritto di riproduzione, ora si prevede che la fotocopia di opere esistenti all’interno degli enti non profit, quali ad esempio biblioteche aperte al pubblico, musei o archivi pubblici è libera672. La peculiarità di tale disposizione consiste nella sua limitazione a casi specifici presi in considerazione dal diritto di riproduzione e “non comprende l’utilizzo eseguito nell’ambito della fornitura o messa a disposizione on line di opere o altri materiali protetti, ricompresi nel diritto di comunicazione al pubblico”673. Le eccezioni previste per le istituzioni 670 V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 91. Art. 71 ter della l. 633/41. 672 Art. 68 co. 2 l. 633/41, conforme all’art. 5 par. 2 lett. c) della direttiva 29/2001/CE. 673 V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 96. 671 216 culturali non comprende l’utilizzo posto in essere nell’ambito della fornitura o messa a disposizione on-line, la tutela fornita dal diritto di comunicazione, quindi, è esclusa da quello di riproduzione. In dottrina ciò è giustificato sostenendo che il diritto di riproduzione da solo non riuscirebbe a “compenetrare i diversi aspetti necessari alla protezione dell’utilizzazione a distanza on demand”674. Si ritiene inoltre che sarebbe stato più proficuo generare un nuovo “diritto di trasmissione telematica”675 che prendesse in considerazione tutti gli aspetti innovativi apportati dal mezzo tecnologico. L’unica eccezione prevista al diritto di riproduzione che riguarda la fornitura di servizi on - line riguarda la liceità di “atti di riproduzione transitori ed accessori che non hanno un proprio valore economico e non creano dunque concorrenza all’opera originaria protetta” 676, con ciò comprendendo non solo la memorizzazione transitoria nella memoria del computer 677 ma anche tutti i meri atti che facilitano la navigazione in rete e il funzionamento dei sistemi di trasmissione. Si può, tuttavia, concludere che non è stato introdotto un modello simile a quello statunitense di open – ended fair use, le condizioni applicate, infatti, sono piuttosto restrittive. In Australia, grazie alla riforma del 2006, è stata introdotta una sorta di “flexible dealing”678 per le istituzioni culturali, il quale permette l’utilizzazione di 674 V. CHIMIENTI, cit., 31. Idem. 676 V. STABILE, Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. Ind., 2004, 1, 92. 677 Alla stessa conclusione era già arrivata, peraltro, la dottrina, v. par. 3.5.1 b). 678 Espressione non esplicitamente contenuta nel testo della legge; cfr. Cfr. KENYON, HUDSON, Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, cit. 675 217 materiale protetto “for certain socially useful purposes” 679. Le eccezioni devono sottostare a due limiti, ossia l’uso deve essere: “made “by or on behalf of the body administering a library or archives”; made “for the purpose of maintaining or operating the library or archives (including operating the library or archives to provide services of a kind usually provided by a library or archives)”; and not made “partly for the purpose of the body obtaining a commercial advantage or profit”680. Il punto che riguarda la fornitura di servizi solitamente offerti dall’istituzione comprende non solo gli usi amministrativi interni ma anche la somministrazione di servizi agli utenti. Quanto detto potrebbe quindi comprendere la realizzazione di riproduzioni pubblicamente accessibili, aprendo la discussione sul fatto che la riproduzione compiuta dalle istituzioni culturali ricada sotto una eccezione. Inoltre, la gestione delle risorse degli istituti culturali risulterebbe più facile, poiché la digitalizzazione diventerebbe la strada praticabile nel caso la tradizionale forma di licenza non fosse disponibile. b) I sistemi di DRM L’espressione Digital Rights Management può avere vari significati e varie funzioni. Una definizione condivisa può essere quella di “sistemi tecnologici in 679 680 Idem. Idem. 218 grado di definire, gestire, tutelare e accompagnare le regole (in gergo: diritti) di accesso e di utilizzo su contenuti digitali (e. g., testi, suoni, immagini e video)”681. Gestire i diritti significa distribuire contenuti digitali per la fruizione tramite protezioni tecnologiche e mediante la stipulazione di contratti che, nel campo digitale, normalmente avviene in maniera automatica682. Le misure tecnologiche di protezione sono create per prevenire l’accesso all’opera protetta o al dispositivo in cui viene incorporata; oppure riguardano i meccanismi di controllo dell’uso che ne viene fatto683. Esse vengono generalmente ricompresse nella più generale definizione di Digital Rights Management Systems e sono usate in combinazione con altri sistemi tecnologici che servono a gestire informazioni per individuare l’opera, i diritti esistenti, i soggetti a cui appartengono, e così via 684. La differenza tra misure tecnologiche di protezione e sistemi di DRM si trova nel fatto che tali sistemi non solo proteggono il contenuto digitale ma costituiscono anche l’infrastruttura tecnologica del mercato di questi contenuti685. Si opera una distinzione tra misure tecnologiche di protezione e informazioni elettroniche sul regime dei diritti. Nelle prime rientrano tutte le misure deputate a prevenire o limitare l’accesso alle opere o al materiale protetto o ad impedire procedimenti diretti di riproduzione delle opere e dei 681 V. R. CASO, Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, Padova, 2004, 5. 682 Idem. 683 Cfr. F. BRAVO, DRM, contrattazione telematica e contrattazione mediante agenti software nella distribuzione B2C, in S. BISI, C. DI COCCO (a cura di), La gestione e la negoziazione automatica dei diritti sulle opere dell’ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici, Bologna, 2006, 79. 684 Idem. 685 Cfr. R. CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, in Foro it., 2004, II, 611. 219 materiali686; le altre invece prevedono delle informazioni sul copyright inserite nelle opere e nei materiali, in formato elettronico687. La distinzione, perciò, è effettuata sulla base dei compiti che svolgono e delle finalità a cui tendono, anche se, spesso, tali attività sono svolte dallo stesso strumento688. L’architettura informatica del DRM non ha una precisa regolamentazione,; le misure tecnologiche, invece, sono contemplate dalla normativa degli Stati; e ciò è il riflesso della pressioni esercitata dalla digitalizzazione 689. La conformità alla legge di tali previsioni deriva dall’articolo 11 del WIPO Copyright Treaty690, il quale statuisce che “contracting parties shall provide adequate legal protection ed effective legal remedies against the circumvention of effective technological measures that are used by authors in connection with the exercise of their rights under this Treaty or the Berne Convention and that restrict acts, in respect of their works, which are not authorized by the authors concerned or permitted by law”. La norma prende in considerazione la condotta dell’aggiramento delle misure anti – elusione, quindi la condotta finale dell’utente, che può essere destinata ad impedire il compimento di quegli atti che non siano stati autorizzati espressamente del detentore dei diritti sull’opera o che non sia consentita dalla legge691. Secondo l’opinione maggioritaria, in questo articolo la protezione delle misure tecnologiche deve essere garantita solo col 686 Come l’encryption technology, la criptazione del contenuto che necessita di una chiave per la decriptazione. 687 Come watermarking, (l’apposizione di una filigrana digitale permanente nei dati digitali). 688 Cfr. BRAVO, CIT., 80. 689 Cfr. CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, cit., 612. 690 Contiene previsioni simili anche l’art. 18 del WIPO Performances and Phonograms Treaty. 691 Cfr. MARZANO, cit., 201, 202. 220 rispetto delle tecnologie usate dai proprietari del copyright in relazione all’esercizio di un diritto protetto dalla copyright law692. La protezione sembra, perciò, coincidere con lo scopo del copyright, e l’elusione di una misura tecnologica per far uso di un’opera, mentre ci si sta già avvantaggiando di un’eccezione al copyright, teoricamente non è proibito dall’art. 11693. Il trattato WIPO, tuttavia, lascia aperta la questione che riguarda il tipo di atti che viene proibito, se si tratta degli atti di elusione in sé o la messa a disposizione di strumenti atti alla circonvenzione delle misure tecnologiche. I vari Stati hanno implementato il principio in maniere differenti. La direttiva 29/2001/CE introduce nuove norme riguardo alle misure tecnologiche, introdotte nella legge 633/41 attraverso il d. lgs. 68/2003. Negli Stati Uniti è stato emanato, nel 1998, il Digital Millennium Copyright Act (DMCA), che ha aggiunto la section 1201 al Copyright Act, e, come la direttiva europea, è basato sull’articolo 11 del WIPO Copyright Treaty. In Australia le norme che riguardano le misure tecnologiche sono previste all’interno del Copyright Act, e hanno anche subito delle recenti modifiche nel 2006. Tutte queste normative cercano di assicurare un ambiente digitale sicuro per la trasmissione delle informazioni. 692 E non ci saranno rimedi legali quando l’elusione consenta un atto che è permesso sulla base delle limitazione alla legge sul copyright. 693 Cfr. K. J. KOELMAN, A hard nut to crack: the protection of technological measures, reperibile all’URL: «http://www.ivir.nl/publications/koelman/hardnut.html»; L. GUIBAULT, The nature and scope of limitations and exceptions to copyright and neighbouring rights with regard to general interest missions for the transmission of knowledge: prospects for their adaptation to the digital environment, 2003, 32, reperibile all’URL: «http://portal.unesco.org/culture/en/files/17316/ 108747977511_guibault_en.pdf/l_guibault_en.pdf». 221 È importante specificare che nel DMCA si sancisce il divieto all’elusione delle misure tecnologiche che controllino l’accesso ad un’opera protetta694 e il divieto alla fabbricazione, importazione o distribuzione di un “congegno” che permetta di eludere la misura tecnologica 695. Si segnala che in certi casi come la salvaguardia di alcuni interessi propri delle istituzioni educative696 è possibile procedere alla circonvenzione delle misure tecnologiche per l’applicazione del fair use697. Anche l’Australia prevede delle circostanze nelle quali un congegno per l’elusione delle misure tecnologiche può essere legalmente prodotto e distribuito, sebbene siano stati ridotti i casi in cui è possibile. Questa nazione prevedeva sanzioni solamente contro il traffico di congegni per l’elusione; ora, invece, si sanziona anche tutto ciò che riguarda l’elusione all’accesso 698. In Italia le previsioni sulle misure tecnologiche sono state implementate nella legge 633/41 nello stesso modo dell’art. 6 della direttiva. Per misure tecnologiche si intendono gli atti che impediscono o limitano i comportamenti non autorizzati dal titolare del diritto d’autore, dei diritti connessi o del diritto sui generis, senza comunque inibire il normale funzionamento dei mezzi tecnologici. L’art. 102 quinquies permette ai titolari del copyright di inserire informazioni elettroniche per la 694 Access – control measures e Anti – circumvention provisions. Sono misure che non proibiscono o impediscono all’utente l’utilizzazione, ma identificano le copie non autorizzate dei materiale protetti. 695 Questo congegno, inoltre, deve avere limitati utilizzi commerciali oltre a quello di eludere le misure di protezione e commercializzato da qualcuno che sia al corrente dell’utilizzo che ne viene fatto. Sono le rights – control measures e anti – device provisions. 696 In cui, probabilmente, possono essere inseriti anche i musei. 697 Eludere, quindi, le access – control measures; Cfr. G. SPEDICATO, Le misure tecnologiche di protezione del diritto d’autore, in BISI, DI COCCO (a cura di), cit., 187. 698 Cfr. AUSTRALIAN COPYRIGHT COUNCIL, Information Sheet. Copyright Amendment Act 2006, 2007, reperibile all’URL: «http://www.copyright.org.au». 222 protezione delle opere e sanziona le misure di elusione all’accesso e la messa a disposizione di congegni per l’elusione 699. L’operato dei musei nell’ambiente digitale risulta piuttosto compromesso dall’apposizione di misure tecnologiche sui contenuti, poiché esse creano difficoltà nella gestione dei contenuti, e di conseguenza nella diffusione del loro messaggio culturale700. Si è visto che i musei possono essere sia utilizzatori di materiale protetto che produttori di esso. In ognuno di questi casi701 essi hanno a che fare con licenze che permettono lo sfruttamento del materiale; proprio perché il contenuto di cui dispongono ha un alto valore educativo, devono impiegare molta attenzione nella negoziazione, pena la perdita della reputazione. Il problema molto spesso riguarda le gestione delle tecnologie di protezione che non tiene conto delle eccezioni di cui dispongono le istituzioni culturali ed impediscono al pubblico dei musei di usufruirne appieno. Può inoltre capitare che le eccezioni di cui si parla non siano nemmeno prese in considerazione dal contratto con cui si stabilisce che uso può esser fatto del materiale. Il potere contrattuale sta in mano a chi detiene i contenuti, che fornisce la chiave di accesso ad essi e, se le condizioni non sono rispettate, può anche negare completamente l’accesso. Sempre più spesso la tecnologia “don’t discriminate between good users and bad. So if we built constraints into our computer systems that prevent infringement, we’re also 699 Cfr. SPEDICATO, cit., 202. In questo senso R. E. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4, 13, 14. 701 Sebbene i musei siano, generalmente, più degli utilizzatori che dei produttori. 700 223 making it possible for users to engage in all sorts of lawful copying”702 , allo stesso modo non risulta semplice distinguere tra “tecnologia “buona” e tecnologia “cattiva””703 quando le informazioni sono controllate in modo assoluto, senza tenere conto degli interessi delle parti. I progetti elaborati da una istituzione culturale possono avvalersi dell’utilizzo di sistemi di DRM per gestire la loro proprietà intellettuale, cercando di comprendere anche il raggiungimento del loro scopo. Proprio per questo e per la doppia situazione di utilizzatori e possessori, l’approccio di un museo è più complicato di quello di una impresa, la quale non è incaricata di una missione. I musei risultano, così, “not the driving force in the development of commercially oriented digital rights management technologies”704, ma possono essere, comunque, d’aiuto nello sviluppo di tecnologie flessibili che permettano lo sfruttamento del contenuto per l’educazione, tenendo conto degli interessi delle parti in gioco705. 702 V. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4, 14. 703 Idem; CASO, Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, cit., 612. 704 V. PANTALONY, Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4, 18. 705 Idem. 224 CAPITOLO QUARTO “BEST PRACTICES” PER I MUSEI “Unpalatable as some may find the thought, money does matter in museums” (S. WEIL, Making museums matter, Washington D.C., 2002) 4.1 Gestione dell’intellectual property L’analisi fin qui condotta ha accertato che il museo è innanzitutto attività; esso realizza tutta una serie di atti legati gli uni agli altri e finalizzati al raggiungimento di un determinato scopo culturale. Tali attività sono, comunque, complesse, dal momento che dietro a funzioni principali, come possono essere la conservazione e la promozione dei beni che custodiscono, stanno numerosi doveri di rispetto dei diritti di utilizzazione, per mantenere intatta la loro reputazione 706. Sebbene ogni museo custodisca oggetti differenti e proponga servizi ed attività diverse, sulla base di proprie richieste interne di politica culturale, ci sono dei compiti che dovrebbero tendere all’applicazione uniforme in tutti gli istituti culturali, perché necessari alla sua sopravvivenza e al suo stesso sviluppo. Ciò che si intende suggerire è una gestione solida e sicura dell’intellecual property (IP); una serie di processi che aiutano ad identificare, organizzare ed arricchire la comprensione del patrimonio di un museo. Nel passato i musei identificavano maggiormente la loro proprietà e le loro collezioni come attività tangibili e materiali: proprietà immobiliari, locazioni, prestiti. Con l’avvento delle nuove tecnologie e la crescente consapevolezza dei problemi complessi di IP, si 706 In questo senso G. OLIVIERI, M. STELLA RICHTER, I marchi dei musei, in AIDA, VIII, 1999, 224. 225 riconoscono come necessari nuovi processi di gestione dei beni e delle responsabilità connesse707. Il museo incontra, quindi, come abbiamo visto, il diritto d’autore sempre più spesso: produzioni multimediali, pubblicazioni, gestione dei siti web. Queste attività, insieme alle altre, più tradizionali, hanno bisogno di essere progettate e gestite efficientemente, perciò il museo deve sviluppare delle “best practices” per non sprecare tempo, denaro ed energie, ma puntare dritto ai suoi obiettivi. La gestione dell’IP si inserisce nel cosiddetto “rights management”708, che si snoda attraverso diverse fasi: a) pratiche di inventario della proprietà intellettuale; b) politiche di gestione; c) gestione e negoziazione dei diritti. In questo contesto si suole parlare di “slicing” dei diritti, una “quotazione/suddivisione” che “identifica un processo plurifase che modernizza e sostanzia i termini degli accordi tra istituzioni titolari dei diritti (right holders) e loro controparti (right buyers)”709. a) Pratiche di inventario della proprietà intellettuale; “The IP audit serves many functions. It tells you exactly what IP you have and where it came from. It also triggers actions that make a museum more accountable for its assets and helps facilitate creative projects using 707 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.. In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 247. 709 Idem. 708 226 “rediscovered” assets. In addition, it helps an institution monitor compliance with IP laws and avoid infringements”710. In queste poche righe sta racchiuso tutto il significato del monitoraggio, dell’individuazione e della classificazione dei beni e dei servizi posseduti o posti in essere dall’istituzione. Se un museo non è consapevole delle attività di IP che gestisce, o dei termini e delle condizioni di esse, esso si trova in una posizione di svantaggio, poiché non può sfruttare appieno le opportunità del mercato711. Si procede quindi ad un inventario dei beni materiali712 e immateriali713, dei servizi e delle attività714. Condurre questo tipo di ricerca è molto complesso, ma nonostante ciò, il museo deve essere censito il più frequentemente possibile, senza aspettare che richieste esterne lo impongano, “the short message is “don’t wait for a triggering event”715. Di seguito, un esempio di revisione riportato da Guerzoni e Stabile indica quali categorie sono prese in considerazione. I generi di beni e servizi analizzati riguardano: gli equipaggiamenti strutturali: impianti di riscaldamento e climatizzazione; impianti idrici, elettrici e di illuminazione; sistemi di sicurezza e di vigilanza; 710 V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit Idem. 712 “beni mobili e immobili, opere, documenti,vfondi archivistici, spazi, riproduzioni di ogni tipo, eventi espositivi, allestimenti, ecc”, in GUERZONI, STABILE, cit., 248. 713 “basi di dati, archivi digitali, siti web, marchi, loghi, brevetti, know how, ecc”, idem. 714 “scientifiche, editoriali, didattiche, educative, divulgative, conservative, ecc”, idem. 715 V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.. 711 227 gli immobili posseduti: spazi destinati alle attività dell’istituzione oppure ad attività per il pubblico; parchi e terreni; le mostre e collezioni che sono state prodotte, avendo cura di distinguere se il supporto è materiale o immateriale, gli autori, le date di realizzazione e acquisizione: ad esempio libri, riproduzioni, cataloghi, brochure, locandine, riprese cinematografiche; tutte le attività amministrative svolte dal museo: pulizia e vigilanza, conservazione e restauro, catalogazione e archiviazione, attività di divulgazione; tutte la attività per il pubblico: gestione delle prenotazioni e vendita dei biglietti, attività di trasporto e parcheggio, attività di accoglienza e informazione, servizi di guida e assistenza didattica, programmi di formazione; le attività di comunicazione e promozione: il sito web, materiali messi a disposizione, sia cartacei che digitali; le attività di ricerca, promozione e consulenza; i loghi, i marchi, i nomi di dominio, i software proprietari, il know how, i brevetti, le prestazioni professionali, le licenze, il merchandising; 228 le riproduzioni, i testi, il materiale video sia on - line che off - line716. Eseguita questa operazione, è indispensabile procedere alla creazione di un secondo inventario, che consideri i diritti che il museo possiede, e quelli a cui si può dare origine, in relazione ai beni e ai servizi considerati. Si suole prendere in considerazione: il diritto di riproduzione; il diritto di noleggio e prestito; i diritti di locazione; i diritti di prima pubblicazione e di pubblicazione in raccolta; i diritti di riproduzione su supporti off- line e on - line; i diritti di comunicazione al pubblico e di diffusione; ogni altro diritto di sfruttamento commerciale 717; i diritti di traduzione; i diritti di elaborazione; i diritti d’autore sugli allestimenti museali718; i diritti d’autore su progetti ed eventi espositivi719. Con il termine diritti si intendono tutte le opportunità di sfruttamento dei beni e dei servizi, sebbene non siano ancora stati attuati. C’è anche, quindi, una forte 716 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 248, 249. Come la produzione su licenza di oggettistica. 718 Che, si ricorda, sono protetti come banche dati. 719 In questo senso GUERZONI, STABILE, cit., 250. 717 229 componente progettuale, in questa operazione. Oltre all’individuazione dei diritti è necessario verificarne la disponibilità, la negoziabilità, il valore 720. La guida WIPO per la gestione della proprietà intellettuale721 propone una regola da seguire, che, alla stregua del metodo giornalistico, suggerisce di porre queste domande: “Why, Who, When, Where, What” 722: Perché si dovrebbe condurre una revisione dell’IP? Per sapere cosa si possiede e da dove viene; per facilitare i processi creativi utilizzando il materiale esistente; per controllare il corretto uso dell’IP ed evitare infrazioni; per creare una accurata politica di gestione. Chi dovrebbe condurla? Qualcuno che abbia a che fare con queste attività o ne tragga beneficio nel corso della loro realizzazione. Quando deve essere fatta? Prima di iniziare un determinato affare, per difendersi da un’accusa di infrazione del copyright, ma più in generale occorrerebbe eseguirla in maniera regolare. Dove di trova l’IP di un museo? Per scoprirlo bisogna conoscere esattamente tutte la componenti del museo stesso. 720 Idem. Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit. 722 Idem. 721 230 Cosa si cerca in particolare? Marchi, nomi di dominio, copyright, websites, database, conferenze, e così via723. Vengono, poi, proposti due modelli di inventario, che devono portare ad una valutazione successiva e ad una strategia di gestione: “sample inventory sheet 1 Artist name; Type of work; Copyright owner and contact info; Copyright expiration; Public domain? License and duration of term; Restrictions on use; Electronic rights?” “sample inventory sheet 2 Episode; Segment name; Contract type; Music title (publisher and composer) Public rights; Society/collective License and licensor Distribution 723 Idem. 231 Restriction on use Electronic rights? End of term/renewals Critical clause Any works in public domain? Notes”724 L’Italia, nella costante ricerca di adeguamento alle pratiche seguite in ambito internazionale, rispetto ai ritardi accumulati negli anni, sviluppa un’ispezione che è molto approfondita. Si stimano beni, servizi, attività e solo in un secondo momento i diritti collegati alle categorie esaminate. Il mondo statunitense, più avvezzo a tematiche di questa tipologia, dà per scontata un’analisi di beni e servizi, focalizzando l’attenzione direttamente sulla proprietà intellettuale, per una valutazione complessiva più immediata. Trovandosi spesso al centro di contese a accuse per infrazione del copyright, gli Stati Uniti decidono di studiare a fondo le tematiche che in assoluto risultano più controverse. La chiave per condurre una revisione adeguata si trova anche nella ricerca e nell’utilizzo del materiale adatto. Per trovarlo si deve fare affidamento su gli archivi di proprietà del museo, accordi di autorizzazione passati e presenti, informazioni e dati dei titolari dei diritti, accordi di esposizione, ricevute di pagamento di tasse di ogni tipo, relazioni di conferenze, lettere o email per dar prova dell’intenzione delle parti725. Il problema maggiore è stato lo sviluppo dell’esperienza nel trattare la proprietà intellettuale. È di estrema importanza 724 725 Idem. Idem. 232 segnalare che la gestione dell’IP che ogni museo conduce influenzerà tutta la sua amministrazione futura, perciò si rivela necessario prestare estrema attenzione e valutare correttamente le questioni che, di volta in volta, si presentano. Si rivela necessario, perciò, che ogni istituzioni sviluppi questo genere di pratica, al fine di evitare di nuocere ad un’altra istituzione o di subire detrimento dall’inefficienza di una istituzione con cui si relaziona. b) Politiche di gestione A questo punto è necessario predisporre una strategia di gestione. Non ci sono fasi fisse da seguire, una politica può essere creata ad hoc per una situazione particolare o risultare da studi approfonditi. Si possono, però, individuare degli elementi guida: Una volta realizzata, una strategia ha bisogno di essere frequentemente aggiornata, per farla stare al passo con le modifiche della legislazione e delle pratiche di mercato; È necessario anche individuare personale specifico e specializzato che si occupi di sostenerla e svilupparla; che sia al corrente delle tecniche già utilizzate e sia informato delle eventuali problematiche sorte. Questo staff può avere le competenze più diverse: responsabili della gestione dei diritti di riproduzione, responsabili delle attività didattiche, responsabili di marketing e comunicazione, registrars e curatori delle collezioni; 233 È necessario che la strategia derivi dall’inventario condotto, per essere certi che le determinate questioni siano state accuratamente esaminate; È necessario che la strategia rispecchi la missione del museo, tenendo in considerazione le politiche amministrative e economiche esistenti726. È necessario considerare la gestione delle richieste di fair use per scopi didattici, scientifici, filantropici, e definirli in modo chiaro, per evitare future infrazioni727. Dalla realizzazione di una strategia, si deve passare alla definizione delle politiche tariffarie e alla distribuzione dei compiti. Per farlo, devono essere stabilite e definite nei minimi dettagli le seguenti questioni: gli utilizzi728, gli acquirenti729, gli utenti finali730, le forme di distribuzione 731, le dimensioni dei mercati individuati732, la durata delle concessioni, la tipologia di rapporto con gli acquirenti733. È una fase delicata, poiché bisogna bilanciare diversi interessi: aderire pienamente alle strategie studiate e predisposte, ma anche realizzare dei formulari standard di contratto, per agevolare la negoziazione, aumentare il potere di contrattazione dell’istituzione e facilitare ipotetiche future controversie. Si può anche cercare di realizzare un insieme di pacchetti di offerta, per adeguarsi ancor 726 Idem. Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 254. 728 Scientifici, educativi, commerciali. 729 Profit, non profit, misti (v. par. 3.5.1 a)), aziende, privati. 730 Per esempio ubblico di massa o di nicchia. 731 Off line o on line. 732 Nazionali, internazionali o locali. 733 Soggetti con cui si è già collaborato o partner occasionali. 727 234 meglio alle necessità e alle richieste dell’istituzione, degli acquirenti, dei proprietari dei diritti. L’alto livello di accuratezza di ogni pacchetto, tuttavia, richiede moltissimo lavoro consultivo 734. c) Gestione e negoziazione dei diritti La gestione effettiva delle politiche interne è affidata o a professionalità nell’istituzione, oppure a soggetti esterni, con i quali vengono stipulati vari tipi di accordi e contratti. Solamente le istituzioni di piccole dimensioni riescono a porre in essere una gestione interna, proprio perché la loro limitata grandezza fa si che non vi siano grosse trattative da coordinare. Le istituzioni di grandi dimensioni potrebbero provvedervi autonomamente, poiché riescono a reggere i necessari investimenti per dar vita e mantenere l’organizzazione. Nonostante questo, preferiscono affidarsi ad una gestione esterna, ritenuta più efficiente. È il caso dei musei americani, dove la figura dell’agente735 è molto sviluppata e si sta sempre più specializzando per questo settore. Il mandato d’agenzia permette di seguire precise questioni di politica amministrativa e dedicare maggiore attenzione alle pratiche contrattualistiche. Egli, inoltre, “delimita i contorni del mercato, ne fissa gli standard e ne accredita gli attori, ponendo le basi non solo per un’efficace opera di tutela, ma contribuendo allo sviluppo di sistemi di licenza capaci di tenere il passo, più spesso la corsa, dei progressi tecnologici” 736. Nel nostro paese è ancora poco diffusa, ciò è dovuto in gran parte alla mancata definizione 734 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 254 – 257. I soggetti agenti sono stati trattati nel par. 3.5.1 a). 736 Cfr. GUERZONI, STABILE, cit., 262. 735 235 precisa dei diritti e dei problemi in gioco. I paesi anglosassoni hanno a che fare con queste figure da più tempo, grazie ad una gestione più accurata dei diritti. I soggetti che procedono alla gestione, siano essi interni od esterni, pongono in essere tutta una serie di compiti: realizzazione una stima dei piani d’azione e, se necessario, migliorarli. Ciò si concretizza nell’analisi delle strategie passate, nella valutazione di differenti possibilità e differenti concorrenti sul mercato; predisposizione una consulenza permanente sui principi di libera utilizzazione, nel contesto delle nuove tecnologie e di Internet, sulle possibilità di riproduzione digitale dei materiali protetti e sull’allestimento di nuove proposte; preparazione e fornitura di diversi pacchetti di diritti e contratti, comprensivi di accordi di trasferimento o licenza d’uso; controllo dei pagamenti e delle attività di clienti e licenziatari; consulenza legale sui temi più problematici, in base ad una comparazione con la prospettiva internazionale del diritto d’autore, consulenza fiscale e processuale 737. Quando ogni aspetto è stato valutato, predisposto e negoziato, si procederà a distribuire i contratti, inventariarli, verificarne le scadenze, tutelare le attività e 737 Idem, 264, 265. 236 segnalarne infrazioni, attuare rinegoziazioni nel caso di scadenze, incassare i pagamenti, mantenere i contatti con i clienti e organizzare incontri periodici738. Al termine dell’analisi, possiamo concludere che se saranno applicate coerentemente tutte le fasi descritte, il museo riuscirà senza dubbio a mitigare i rischi di infrazione in cui può incorrere e a mantenere alta la sua reputazione attraverso un’efficace trasmissione del suo messaggio. I diritti e le obbligazioni dell’istituzione verranno chiarificati e non ci sarà spazio per fraintendimenti o inefficienza. 4.2 Business opportunities Lo sviluppo delle nuove tecnologie e di Internet, la facilità nello scambio delle informazioni, dei beni e dei servizi, hanno permesso ai musei, negli ultimi dieci anni, di confrontarsi con un nuovo potenziale mercato. I musei oggi sono obbligati ad “explore their ability to engage in commercial opportunities” 739, purché le loro missioni non ne risultino compromesse. In questo contesto, come può l’istituzione assicurarsi di continuare a rispettare gli stessi standard di qualità e integrità? Il professor Stephen Weil dello Smithsonian Institute ha sviluppato una formula per capire se un museo continua a seguire standard di qualità. Esso deve essere: 1. “Purposeful 2. Capable 3. Effective 738 739 Idem, 268. V. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.. 237 4. Efficient”740. Lo scopo rende il museo responsabile e lo obbliga a rispettare in ogni momento la sua programmazione. La capacità si sostanzia nel know-how intellettuale e nelle risorse umane e finanziarie che gli permettono di realizzare esibizioni, di cooperare con i suoi partner, ma soprattutto nel raggiungimento della sua missione. L’efficacia è il criterio più difficile da misurare, poiché i musei generalmente sono istituzioni non profit, ma soprattutto non c’è un consenso generalizzato sul metodo da utilizzare per effettuare questa verifica. L’ultimo requisito è l’efficienza: essendo il museo non profit, non è una caratteristica assolutamente prioritaria. Non si tratta di avere un approccio “business like”, ma di fornire agli utenti un’alta qualità nell’esperienza vissuta all’interno dell’istituzione, sia essa fisica o virtuale 741. Nel mondo for profit, per determinare se un’opportunità d’affari potrà essere un successo, è indispensabile eseguire tutta una serie di prove ed analisi per determinare il suo potenziale. Le opportunità rilevate sono spesso derivate dai piani gestionali dell’impresa, e la verifica della potenzialità serve a capire se la base su cui si sta per costruire è solida e razionale. Nel caso dei musei quest’operazione è ancora più intricata, poiché, come abbiamo visto, ci sono tutta una serie di requisiti da rispettare, per scongiurare una perdita di reputazione. Si rivela arduo mettere insieme in modo armonioso sostenibilità finanziaria e scopo culturale. 740 741 Idem. Idem. 238 Prima di analizzare le opportunità che un museo può incontrare, è necessario specificare alcuni concetti. Innanzitutto, l’istituzione, una volta che si impegna in una attività, deve assicurarsi di realizzare un “return on investment”; deve cioè fornire un servizio che si riveli prezioso e apporti un valore aggiunto alle attività del museo. È, poi, necessario allocare una determinata quantità di fondi per coprire i costi di lancio del servizio, siano essi privati o pubblici. Si noti che un partner privato potrebbe anche decidere di non impegnarsi nella sovvenzione, se il museo non ha compiutamente svolto la sua attività di revisione e predisposto una chiara politica d’azione. Si deve, perciò, tener conto delle aspettative che il mercato può creare, nei confronti dell’istituzione. Ci sono dei mercati potenziali in cui il museo si potrebbe impegnare: produzione e distribuzione di prodotti tangibili associati al museo o alla sua collezione, “image licensing” e “museum’s co- branding commercial partnership”742. La prima possibilità è da tempo considerata dai musei italiani: a partire dalla legge Ronchey743 si è dato il via al fenomeno dei cosiddetti servizi aggiuntivi, come bookshop e commercializzazione dell’oggettistica legata al museo. Le risorse coinvolte sono, in larga parte, di natura pubblica, essendo ancora marginale il raccoglimento di fondi da altre fonti. Inizialmente la legge prevedeva la sola realizzazione di librerie, ma tramite modifiche successive, il novero dei prodotti contemplati si è fatto più ampio. Generalmente i musei hanno affidato la gestione di queste attività a terzi, a causa della mancanza di 742 743 Idem. V. par. 1.3.2. 239 competenze specifiche nella conduzione di un punto vendita e della carenza di capitali da investire. Con il nuovo codice dei Beni Culturali e del Paesaggio 744, in vigore dal 2004, il negozio all’interno del museo comprende la vendita di tutta una serie di oggetti in linea con la collezione dell’istituzione, avvicinandosi, così, lentamente, all’esperienza americana. È stata inoltre costituita una società di diritto privato, la Arcus Spa 745 che ha tra i propri scopi quello di valorizzare commercialmente il patrimonio culturale, cominciando dallo sfruttamento sotto forma di merchandising. Ora si prevede come prassi normale l’affidamento a terzi della gestione dei negozi, ma si apre anche la possibilità a società miste di gestione. Saranno, di fatto, società costituite fra i musei e i soggetti privati, con lo scopo della gestione di tutte la attività connesse con il museo746. Negli Stati Uniti i museum stores sono assolutamente differenti da quelli italiani: la maggiore superficie a disposizione per i negozi e il maggior fatturato segnano già un distacco che sarà difficile colmare. La realtà americana è più complessa e articolata e beneficia da molto più tempo dell’intervento dei privati nel settore, che realizza l’autonomia finanziaria delle istituzioni, traguardo a cui i nostri musei non potranno mai arrivare747. Le compagnie americane hanno inoltre sfruttato il settore con la produzione di beni di marca con prezzi medi, abbordabili per il pubblico di massa, spingendosi fino alla realizzazione di interior designs. Il settore museale americano, inoltre, si trova anni luce avanti all’Italia per quanto riguarda l’e – commerce, la vendita on - line dei prodotti. Anche attraverso questa 744 V. par. 1.1.3. V. par. 1.3.2. 746 Cf. MAURI, CIRRINCIONE, cit., 42 – 47. 747 Idem, 50. 745 240 modalità i musei realizzano grosse entrate, che permettono di mantenere l’autonomia finanziaria748. Un’altra attività che impegna il museo è l’”image licensing”. Con lo sviluppo di Internet, i mercati anglosassoni hanno, per primi, intuito il potenziale sfruttamento dell’immagine nella rete. Si sono profilate interessanti opportunità di reddito nel realizzare un sistema di autorizzazione e licenza d’uso delle immagini, nei vari mercati commerciali e dell’istruzione. Abbiamo già analizzato la difficoltà dei musei di gestire i diritti di proprietà intellettuale riguardo questi temi, soprattutto per la presenza di numerosi diritti in capo a proprietari differenti che necessitano di autorizzazione. Un’immagine elettronica, per esempio, presenta diritti a livelli multipli per esempio sull’opera d’arte stessa o su una fotografia dell’opera, tenendo sempre presente la differente protezione dei diritti di proprietà intellettuale nei diversi paesi. Per questi motivi è necessario creare una efficiente strategia di gestione, per evitare che le entrate realizzate dal museo vengano rapidamente erose dalla negoziazione di questi diritti multipli 749. Per coadiuvare queste attività la WIPO ha predisposto dei modelli di licenza, che tengano in considerazione tutti gli aspetti rilevanti. Ne abbiamo considerati degli esempi ai paragrafi 3.5 e 3.5.1 sub a), i quali concernono le immagini e lo sviluppo di un sito web. Altri formulari sono predisposti per banche dati, dove spesso sono contenute le immagini o per opere audiovisive 750. L’ultima frazione di mercato che si analizza riguarda “museum’s cobranding commercial partnership”. Internet, come mezzo di accesso, ha fornito ai 748 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit. Idem. 750 Cfr. SHAPIRO, cit. 749 241 proprietari di contenuto di sviluppare opportunità legate alla pubblicità e alla promozione, fondamentali per chiunque voglia operare efficientemente on - line. Se i contenuti sono interessanti , ben posizionati e resi disponibili attraverso i motori di ricerca, il pubblico potrà facilmente fruirne e ripeterà l’esperienza. Il sito del museo, quindi, assurgerebbe ad opera di riferimento, attirando inserzionisti e promotori che uniranno il loro nome a quello dell’istituzione, realizzando un vantaggio per entrambi nell’aumento della popolarità e dell’affidamento del pubblico. Queste relazioni vantaggiose possono, poi, permettere al museo di mettere a disposizione gratuitamente immagini e contenuti per gli utenti non profit, ponendo in essere una attività che aiuta l’istituzione a diffondere il suo messaggio; e continuare a dare in licenza i contenuti per gli utenti for profit751. Nell’entrare in affari con un partner commerciale, il museo deve tener presente: che la relazione può apportare notevoli benefici, non solo economici, ma anche di know how, oltre alla diffusione della missione tra il pubblico; che è necessario mantenere intatta l’integrità del marchio del museo, impegnandosi in attività che non comportino detrimento; 751 Cfr. PANTALONY, WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, cit.. 242 che è necessario sviluppare un’abile strategia per non lasciarsi condizionare dalle logiche di mercato a scapito della cultura; che è di vitale importanza elaborare una efficace strategia promozionale per far progredire l’unione realizzata752. 752 Idem. 243 CONCLUSIONI L’Italia possiede una quota rilevante del patrimonio culturale di tutto il mondo. Nella nostra storia, la protezione dei beni culturali è passata attraverso tempi di abbandono ed altri di fervido attivismo. Al giorno d’oggi, la consapevolezza di “maneggiare” una risorsa inestimabile risulta piuttosto diffusa: si comincia a capire che le istituzioni culturali svolgono un ruolo insostituibile nella società dell’informazione, anche partecipando alle dinamiche del mercato, ma senza abdicare agli importanti compiti educativi e di promozione e diffusione della conoscenza. Tuttavia, a dispetto di questa consapevolezza non è stata finora implementata nessuna seria politica di tutela e valorizzazione dei diritti connessi alle opere, nonostante le richieste insistenti del mercato e del potere crescente della tecnologia. Il quadro che abbiamo ricostruito, infatti, delinea, soprattutto per il nostro paese, più dubbi che certezze. Come abbiamo visto, l’innovazione apportata da Internet e dalle nuove tecnologie consente ai musei di digitalizzare le loro collezioni e renderle disponibili sul web e dunque (potenzialmente) agli utenti di tutto il mondo. Ciò che si rivela fondamentale, nell’era digitale, è la gestione dei diritti di intellectual property, i quali, se non sono amministrati correttamente, non permettono un preciso sfruttamento delle opportunità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Una corretta gestione potrebbe consentire di rinforzare e consolidare l’abilità dell’istituzione di comunicare con il 244 suo pubblico, aspetto centrale al fine di cercare di raggiungere il suo scopo, assicurando l’efficacia e l’efficienza del museo. Se queste priorità verranno rispettate, si raggiungeranno successo e qualità, sfruttando le opportunità offerte dal mercato, ma bilanciandole con la responsabilità di promozione del patrimonio culturale, uno dei primi scopi dell’esistenza stessa dei musei. È necessario, quindi sviluppare solide pratiche per favorire la digitalizzazione. Come si è visto, in Australia, dottrina e legislatore sono intervenuti per assicurare la volontà di progredire nel processo di digitalizzazione, assicurando per tutti accesso e fruizione. Grazie alla riforma recentemente avvenuta, lo Stato australiano può anche permettere la reale fruizione dei contenuti ai suoi utenti, per mezzo di un ampliamento del concetto di libera utilizzazione, che si avvicina a quello statunitense. Anche nel nostro sistema giuridico sarebbe d’aiuto una politica più aperta alla libera fruizione, poiché le istituzioni culturali risultano non troppo favorite dalle recenti modificazioni normative introdotte con il d. lgs. 68/2003 di recepimento della direttiva 29/2001/CE. Dovremmo imparare dalle esperienze straniere, ma il continuo rafforzamento delle normative europee ed interne relative alla proprietà intellettuale, rende non facile un cambio di rotta. Per quanto riguarda la riproduzione, le istituzioni italiane presentano una debolezza nella contrattazione che dipende, per la maggior parte, dal cattivo stato in cui versano gli archivi iconografici. Gli originali spesso non sono registrati, inventariati, catalogati, o addirittura mancano, poiché detenuti da fotografi o agenzie; numerose riproduzioni versano in cattive condizioni e non vengono 245 correttamente conservate. In questa situazione risulta difficile difendere i propri diritti. Si rivela, perciò necessario un intervento strutturale per incentivare i processi di recupero e sistemazione degli archivi, e che si impegni in campagne di ripresa tali da fornire originali nuovi, di buona qualità, disponibili in più formati, specialmente on line e che si continuino gli interventi di restauro e di pulizia. Per questo motivo, approfittando della situazione di incertezza, molte produzioni risultano da acquisizioni abusive del materiale e molti archivi stranieri conservano materiale proveniente dal nostro paese, ma acquistato da intermediari di dubbia reputazione753. Se, dopo un’accurata politica di recupero e “rigenerazione dei diritti”754, i potenziali acquirenti fossero informati dell’esistenza di una nuova offerta di materiale, potrebbe crearsi un giro d’affari di riproduzioni nuove, di ottima qualità, disponibili in diversi formati e imporre la propria presenza sul mercato. Si può registrare comunque la volontà di cambiare la situazione esistente; ad esempio il progetto europeo DADDI, Digital Archivi Trough Direct Digital Imaging, che è nato nel 2000 con lo scopo di realizzazione di un archivio digitale delle immagini di tutte le opere della Galleria degli Uffizi, da pubblicare, successivamente, nel nuovo sito Internet del museo che avrebbe dovuto presentare importanti cambiamenti rispetto agli argomenti e alla loro presentazione, alle modalità di navigazione, alle tecnologie usate. Il progetto è frutto di una collaborazione tra la Soprintendenza di Firenze e partner stranieri. L’idea era quella di realizzare all’interno del sito del museo un vero e proprio motore di ricerca di immagini interattive ad altissima risoluzione acquisite nel corso del 753 Cfr. GUERZONI, Diritti di proprietà reale ed intellettuale dei musei, cit., 39; GUERZONI, STABILE, cit., 269, 270. 754 V. GUERZONI, STABILE, cit.., 269. 246 progetto DADDI. Il sito del museo in realtà non è ancora stato rimodernato tuttavia è stato creato un archivio digitale delle opere acquisite nel progetto DADDI. Tutti gli aspetti relativi alla gestione dell’archivio sono stati poi progettati da una società specializzata. Questo progetto ha dimensioni importanti, che la nostra esperienza non è in grado di sostenere da sola, ma esistono anche delle modalità di realizzazione meno imponenti ma ugualmente efficaci. Ci si può anche affidare a piccoli progetti, studiati nei minimi dettagli, integrati con fondi europei all’uopo predisposti, o con congiunzioni con sponsor dedicati. “La miglior difesa è l’attacco, la produzione di contenuti di qualità, attenti alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma protetti da contratti e schemi negoziali capaci di garantirne l’integrità e salvaguardarne nel tempo il valore economico”755. Qui tocchiamo un’altra nota dolente. Gli schemi negoziali attualmente presenti nella nostra esperienza non sono uniformi e standardizzati. La relativa inesperienza del nostro paese si può intuire anche dai numerosi progetti avviati a livello europeo, come MINERVA, che cercano di traghettare il nostro paese verso il futuro della trasmissione della cultura e della gestione della proprietà intellettuale. Questo progetto ha svolto e sta svolgendo un notevole lavoro di cooperazione tra Stati e istituzioni per indirizzare verso pratiche comuni e minimizzare i rischi e le criticità. La digitalizzazione dei materiali comporta un’analisi dei diritti a livelli multipli, necessari per cercare di evitare un’infrazione del copyright. Anche la WIPO ha studiato il problema, e ha proposto degli schemi di contrattazione, 755 V. GUERZONI, STABILE, cit., 270. 247 alcuni dei quali sono stati analizzati. Essi rappresentano linee generali che si auspica vengano implementate in modo generale e perfezionate, se necessario. Il mercato delle informazioni, infatti, è in continua espansione, e l’offerta di assistenza nel porre in essere queste nuove attività è basilare per la buona riuscita dei progetti. Per gestire correttamente i diritti delle risorse culturali, i progetti devono innanzitutto identificare e registrare i diritti esistenti sui materiali. Se necessario, i progetti devono negoziare l’utilizzo con i detentori dei diritti per ottenere il permesso all’utilizzazione, il permesso deve essere registrato in una licenza che specifichi la natura e lo scopo, il modo in cui può essere usato, l’estensione geografica dei diritti, la durata della licenza e la tassa da pagare. Bisogna tenere sempre presente ciò che si è negoziato e come, per potervi porre rimedio e rinegoziare, se necessario, oppure per far fronte a citazioni in giudizio. I diritti negoziati devono essere protetti. Nel networked environment, ogni contratto che coinvolge la proprietà intellettuale per sua natura è un contratto sulla trasmissione di diritti di esclusiva. L’esperienza statunitense ha maturato una certa abilità su questi temi, che sono all’ordine del giorno da molto tempo. È necessario tenere in considerazione che è stata introdotta la formula dell’agenzia e dell’agente, che si è rivelata vincente. L’agente può svelarsi fondamentale per una gestione collettiva dei diritti, per una più incisiva opera di tutela, per una pratica di standardizzazione contrattuale e un’equa raccolta e redistribuzione ai titolari delle tasse di utilizzazione. Oltreoceano si punta all’alta specializzazione di determinati 248 soggetti, i quali, a loro volta, sono deputati alla creazione di modelli contrattuali altamente specializzati. Se non è possibile trapiantare interamente questa pratica, è consigliabile almeno osservarne il lavoro e tenerne conto per impostare le proprie politiche di gestione. Il web e le nuove tecnologie in generale mostrano un’altra serie di problematiche. Talune hanno a che fare con la conservazione nel tempo dei contenuti. Il problema risiede nella veloce obsolescenza delle tecnologie, tanto da mettere a rischio la salvaguardia dei contenuti e delle produzioni dei nuovi prodotti multimediali. Si è parlato dell’ingente spesa che comporta la conservazione e della difficoltà di raggiungere una soluzione comune. La problematica, quindi, dovrà essere risolta; ma in un futuro prossimo, poiché la produzione di materiale aumenta di giorno in giorno e la improvvisa scomparsa dello stesso potrebbe non essere così inverosimile. Tal’altre riguardano la qualificazione giuridica da applicare ai nuovi prodotti multimediali e allo stesso sito web. È necessario adeguare le norme esistenti al mondo tecnologico, che presenta aspetti intricati e stratificazione dei diritti. È difficile tutelare gli autori e le creazioni in questione. La legge non stabilisce nulla per quanto riguarda le pagine web756, né tantomeno per le opere multimediali. Inoltre, le mostre e le esposizioni sul web rientrano nella tutela delle banche dati, quindi si realizza una sovrapposizione di diritti e di differenti tipi di tutela che devono essere chiarificati. L’avvento di Internet ha creato preoccupazioni per quanto riguarda la reale applicabilità delle norme: la 756 Che tendono, comunque, ad essere paragonate a delle opere multimediali. 249 deterritorializzazione causata dall’esistenza di questo mezzo di comunicazione che rappresenta un non–luogo, minaccia l’effettività delle norme; inoltre la mancanza di un qualche tipo di sovranità sfida l’applicabilità del diritto statale, a maggior ragione perché i beni e le attività in questione sono entità sprovviste di un qualche tipo di supporto, dematerializzate appunto757. Ci si chiede se sia necessario adattare le leggi esistenti o sia invece più propizio elaborare una nuova concezione che comprenda queste nuove produzioni e le protegga in maniera efficace. Come si può agevolmente inferire dal tono di queste brevi conclusioni, c’è molto lavoro da fare. L’attività delle istituzioni culturali presenta numerosi aspetti controversi, che è necessario ridefinire puntualmente. Ci si può però auspicare che la consapevolezza acquisita negli ultimi anni e la considerazione delle esperienze maturate all’estero, sia a livello legislativo che operativo, possano assistere l’impegnativo ma fondamentale cammino che le istituzioni devono percorrere per diventare competitive e raggiungere in modo davvero efficace la loro missione. 757 In questo senso PASCUZZI, cit., 182 – 187. 250 BIBLIOGRAFIA AAM, AMERICAN ASSOCIATION OF MUSEUMS, What is a museum?, reperibile all’URL: «http://www.aam-us.org» A.A.V.V., Enciclopedia Universale, Le Garzantine, Milano, 2005 ACCETTURA B., I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamento nazionali, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2003/2/accettura.htm» ACIDINI LUCHINAT C., Il museo d’arte americano. Dietro le quinte di un mito, Milano, 1999 ALIBRANDI T., FERRI P., I beni culturali e ambientali, Milano, 2001 AMIRANTE D., DE FALCO V., (a cura di), Tutela e valorizzazione dei beni culturali, aspetti sovranazionali e comparati, Torino, 2005 ANTINUCCI F., Comunicare nel museo, Roma-Bari, 2004 251 ANTINUCCI F., Musei e nuove tecnologie: dov’è il problema?, in Sist. Int., 1998, 2 AUSTRALIAN COPYRIGHT COUNCIL, Information Sheet. Copyright Amendment Act 2006, 2007, reperibile all’URL: «http://www.copyright.org.au » BAGDADLI S., Il museo come azienda. Management e organizzazione al servizio della cultura, Milano, 1997 BALBONI BRIZZA M. T., Il museo come forma complessa, in Nuova museologia, 2003, 3, reperibile all’URL: «http://www.nuovamuseologia.org» BARBATI C., L’attività di valorizzazione (art. 111), reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/1/art.111.htm» BARBATI C., CAMMELLINI M., SCIULLO G. (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2006 BARCAROLI M., Problemi di Diritto Comparato di autore nell’opera multimediale, in Dir. autore, 1999, 179 BENHAMOUF F., L’economia della cultura, Bologna, 2001. 252 BERTACCHINI P. A., BILOTTA E., PANTANO P., Il museo nell’era digitale, Catanzaro, 1997 BERTUGLIA C. S., BERTUGLIA F., MAGNAGHI A., Il museo tra reale e virtuale, Roma, 1999 BINNI L., PINNA G., Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal ‘500 ad oggi, Milano, 1989 BISCOTTINI P., Note di museologia, Milano, 2004 BISI S., DI COCCO C. (a cura di), La gestione e la negoziazione automatica dei diritti sulle opere dell’ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici, Bologna, 2006 BOBBIO L. (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, 1992 BODO C., SPADA C. (a cura di), Rapporto sull’economia della cultura in Italia, 1990 – 2000, Bologna, 2004 253 BODO S. (a cura di), Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee, Torino, 2000 BOTTARI F., PIZZICANELLA F., L’Italia dei tesori, Legislazione dei beni culturali, museologia, catalogazione e tutela del patrimonio artistico, Bologna, 2002 BRAVO F., DRM, contrattazione telematica e contrattazione mediante agenti software nella distribuzione B2C, in BISI S., DI COCCO C. (a cura di), La gestione e la negoziazione automatica dei diritti sulle opere dell’ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici, Bologna, 2006 CAFFO R., Il Piano d’azione dinamico per il coordinamento europeo della digitalizzazione di contenuti culturali e scientifici, in Digitalia, 2006, 1, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20061_globale.pdf» CAFFO R., Progetto MICHAEL, reperibile all’URL: «http://www.michael-culture.org». CAMMELLI M., CAPPELLI R., CAUSI M., CENTRONI C., FORLENZA S., FRIGGERI R., GROSSI R., GUZZO P. G., LEON P., PETRAROIA P., ROMANELLI G., SANSONI N., SCAVINO S., SEGRA G., TRINCIA G., TUMINO F., Beni 254 culturali e imprese, una collaborazione “virtuosa” tra pubblico e privato, Roma, 2002 CAPOROSSI GUARNA F., DAINELLI F., SANESI I., L’economia del museo. Gestione, controllo, fiscalità, Milano, 2002 CAPUTI JAMBRENGHI V. (a cura di), La cultura e i suoi beni giuridici, Atti del Convegno di Studi indetto dalla scuola di specializzazione in Diritto ed Economia delle Comunità Europee, Bari, Castello normanno – svevo, 29 – 30 maggio 1997, Milano, 1999 CARLINI L., Primo rapporto Nomisma sull’applicazione della legge Ronchey, centro affari e convegni, Arezzo 12 – 15 maggio 2000, reperibile all’URL: «http://www.musei-it.net/docs/nomisma/default.htm» CASO R., Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, Padova, 2004 CASO R., Il (declino del) diritto d’autore nell’era digitale: dalle misure tecnologiche di protezione al “Digital Rights Management”, in Foro it., 2004, II, 610 255 CASO R., Lineamenti normativi del copyright statunitense e del diritto d’autore italiano, in PASCUZZI, CASO, (a cura di), I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritti d’autore italiano, Padova, 2002, 165 CATALDO L., PARAVENTI M., Il museo oggi. Linee guida per una museologia contemporanea, Milano, 2007 CERINA P., Protezione tecnologica delle opere e sistemi di gestione dei diritti d’autore nell’era digitale: domande e risposte, in Dir. ind., 2002, 85 CERUTTI S., Aspetti legali dell’opera multimediale, in CASSANO G. (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002 CHIMIENTI L., La nuova proprietà intellettuale nella società dell’informazione. La disciplina europea e italiana, Milano, 2005 COFRANCESCO G. (a cura di), I beni culturali, profili di diritto comparato ed internazionale, Roma, 1999 256 COMMISSIONE INTERMINISTERIALE SUI CONTENUTI DIGITALI NELL’ERA DI INTERNET, I contenuti digitali nell’era di Internet, 2005, reperibile all’URL: «http://www.innovazione.gov.it» COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, About World Heritage, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au» COMMONWEALTH AUSTRALIA, Australian Heritage, reperibile all’URL: OF «http://www.environment.gov.au/heritage/index.html» COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Copyright law in Australia. A short guide, 2005, reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au/copyright/shortguide» COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, Fair use and other exceptions. An examination of fair use, fair dealing and other exceptions in the Digital Age, 2005, reperibile all’URL: «http://www.ag.gov.au». COMMONWEALTH OF AUSTRALIA, The Australian Heritag Councile, reperibile all’URL: «http://www.environment.gov.au». 257 CONCINA A., Le tecnologie per la cultura o una nuova cultura delle tecnologie?, in Econ. Cult., 1996, 1 COPYRIGHT OFFICE, Copyright Office basics, reperibile all’URL: «http://www.copyright.gov/help/faq» CUNEGATTI B., Le banche di dati, in CASSANO (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002 CUNEGATTI B., SCORZA G., Multimedialità e diritto d’autore. Multimedia, banche di dati, sofware e mp3 alla luce della direttiva 2001/29/CE, Napoli, 2001 D’ANNIBALE M., La classificazione delle opere multimediali nella legge sul diritto d’autore, in Dir. autore, 2007, 3 DE FRANCESCO G., Siti web e diritti di proprietà intellettuale, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycriteria_i/indice0512/ defrancescositiwebipr.html». DELL’ORSO S., Altro che musei, la questione dei beni culturali in Italia, Roma – Bari, 2002 258 DE PAZ I. (a cura di), Il diritto dei beni culturali nell’Unione Europea, Genova, 2004 DI COCCO C., Multimedialità e diritti d’autore, in Dir. Internet, 2007, 297 FABIANI M., Banche Dati e Multimedialità, in Dir. autore, 1999, 1 FALABELLA E., PEDDE N., Il giurista Multimediale, Roma, 2001 FANTIN A., La cultura e i beni culturali nell’ordinamento comunitario dopo la Costituzione Europea, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/3/fantin.htm» FERRETTI A., Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2005 FORTE M., FRANZONI M., Il museo virtuale: comunicazione e metafore, in Sistemi intelligenti, 1998, 2 FRIGO M., La circolazione internazionale dei beni culturali, diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2001 FRIGO M., La protezione internazionale dei beni culturali, Milano, 1988 259 GALLI P., Musei e banche dati, in Annali it. dir. autore, 2004, 517 GALLUZZI P., VALENTINO P. A., I formati della memoria. Beni culturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio, Firenze, 1997 GARLANDINI A., L’intervento delle regioni a favore dei musei, uno scenario in profondo cambiamento, reperibile all’URL: «http:// aedon.mulino.it/archivio/2006/2/garlandini.htm» GRANATA L., Dopo i beni culturali. Biblioteche e musei nell’era di Internet, Napoli, 2001 GRANELLI A., TRACLÒ F. (a cura di), Innovazione e cultura. Come le tecnologie digitali potenzieranno la rendita del nostro patrimonio culturale, Milano, 2006 GROSSI R. (a cura di), Politiche, strategie e strumenti per la cultura, secondo rapporto annuale federculture 2004, Torino, 2004 GRUPPO DI LAVORO SULLA DIGITALIZZAZIONE DEL MATERIALE CARTOGRAFICO, Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale 260 cartografico, 2004, reperibile all’URL: «http:// 193.206.221.20/PDF/ Linee_guida_cartografia.pdf» GUERINONI E., MORETTINI G., La nuova legge sul diritto d’autore nell’era multimediale, in G. CASSANO (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002 GUERZONI G., Diritti di proprietà reale e intellettuale dei musei, in Econ. Cult., 2004, 1 GUIBAULT L., The nature and scope of limitations and exceptions to copyright and neighbouring rights with regard to general interest missions for the transmission of knowledge: prospects for their adaptation to the digital environment, 2003, reperibile all’URL: «http://portal.unesco.org/culture/en/files/17316/108747977511_guibau lt_en.pdf/l_guibault_en.pdf» HUDSON E., KENYON A. T., Copyright and Cultural Institutions: Guidelines for Digitisation, 2006, reperibile all’URL: «http: //ssrn.com/abstract=881699» 261 HUDSON E., KENYON A. T., Without Walls: Copyright Law and Digital Collections in Australian Cultural Institutions, 2007, reperibile all’URL: «http: //ssrn.com/abstract=1007391» HUDSON E., KENYON A. T., The impact of copyright on Digitisation Practices in Australian Museums, Galleries, Libraries and Archives, 2007, reperibile all’URL: «http://ssrn.com/abstract=1065622 ». ITALIA S., I beni culturali in Italia e in Europa, Udine, 1999. IZZO U., Alle radici della diversità tra Copyright e diritto d’autore, in PASCUZZI G., CASO R. (a cura di), I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritti d’autore italiano, Padova, 2002, 43 JALLA D., Il regolamento del museo come strumento di gestione: dimensione giuridica e strategica, reperibile all’URL: «http://www.ibc.regione.emiliaromagna.it/pdf/sani/musei%20e%codice.pdf» KARP C., Launching the Top - Level Domain . museum, 2001, reperibile all’URL: «http://icom.museum/» 262 KENYON A. T., HUDSON E., Copyright, Digitisation and Cultural Institutions, 2004, reperibile all’URL: «http: //ssrn.com/abstract=603861» KOELMAN K. J., A hard nut to crack: the protection of technological measures, reperibile all’URL: «http://www.ivir.nl/publications/koelman/hardnut.html» LEAN M. M., Copyright and the World Wide Web, 1995, reperibile all’URL: «http: //ausweb.scu.edu.au/aw95/future/lean/» LEVY P., Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, 1999 LOTTI F. La qualità delle immagini dei progetti di digitalizzazione 2006, 2, in DigItalia, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf» LUCCHI N., Intellectual property rights in digital media: a comparative analysis of legal protection, technological measures and new business models under E.U. and U.S. law, reperibile all’URL: «http: //papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=704101» 263 MAGNANI G., Introduzione alla gestione dei beni culturali, l’ambiente normativo e culturale: opportunità e vincoli per il management delle istituzioni culturali, Milano, 2004 MANSANI L., La protezione dei database in Internet, in Annali it. dir. autore, 1996, V MANSANI L., Musei, esposizioni e banche dati, in Annali it. dir. autore, 1999, VIII MARANDOLA M., Il nuovo Codice dei Beni Culturali: i musei, in Dir. e Cult., rivista bimestrale di diritto per biblioteche, centri documentazione, musei, archivi e altri operatori dell’informazione e della cultura, 2004, 2 MARANI P. C., PAVONI R., Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al contemporaneo, Venezia, 2006 MARINI CLARELLI M. V., Che cos’è un museo, Roma, 2005 MARZANO P., Diritto d’autore e Digital Technologies. Il Digital Copyright nei trattati OMPI, nel DMCA e nella normativa comunitaria, Milano, 2005 264 MAURI C., CIRRINCIONE A., Shopping nei musei. Emozioni e acquisti nei museum shop, Milano, 2006 MAZZOLENI M., La tutela dei beni culturali nel diritto internazionale e comparato, Venezia, 2005 - 2002. MAYR C. E., Banche dati e musei, in Annali it. dir. autore, 1997, 110 MERUSI F., Il riordino del ministero nel sistema dei beni culturali (giornata di studio, 25 novembre 2004, Roma, Musei capitolini), reperibile sul all’URL: «http: //www.aedon.mulino.it/archivio/2005/1/merusi.htm» MEZZETTI L. (a cura di), I beni culturali, esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti, Padova, 2005 MILONE V., Il museo. Da entità statica a istituzione dinamica, Bari, 2004 MINERVA, I risultati di MINERVA e il nuovo piano d’azione europeo per la digitalizzazione, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org». MINERVA EUROPE, Digitising content together, Ministerial network for valorising activities in digitisation. Attività 2003-2004, reperibile 265 all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/minervabooklet20032004-i.pdf» MINERVA GRUPPO DI digitalizzazione LAVORO 6, , Manuale di buone pratiche per la del patrimonio cultural, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/publications/qualitycommentary/quali tycommentary050314final.pdf» MINERVA WORKING GROUP 5, Quality Principles for Cultural Websites: a Handbook, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/goodpract/do cument/buonepratiche1_3.pdf» MINERVA GRUPPO DI LAVORO ITALIANO, Tutela dei dati e dei diritti di proprietà intellettuale in relazione all’accesso in rete del patrimonio culturale. Prime considerazioni, reperibile all’URL: «http://www.minervaeurope.org/structure/workinggroups/servprov/doc uments/wp4ipr040615.pdf» 266 MINISTRO PER L’INNOVAZIONE E LE L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE, DIPARTIMENTO PER TECNOLOGIE, Relazione Informativa, Digital Rights Management, reperibile all’URL: «http://www.innovazione.gov.it/ita/intervento/normative/pubblicazioni /digital_rights/digital_rights_management_full.pdf» MONACI S., Il futuro del museo. Come i nuovi media cambiano l’esperienza del pubblico, Milano, 2005 MONTELLA M., Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003 MOTTOLA MOLFINO A., Il libro dei musei, Torino, 1991 MUSMECI S., Il concetto di bene culturale, Acireale, 1995 NICCOLUCCI F., Biblioteche digitali e musei virtuali, in Digitalia, Rivista del digitale nei beni culturali, 2006, 2, reperibile all’URL: «http://digitalia.sbn.it/upload/documenti/digitalia20062_globale.pdf» NIVARRA L., RICCIUTO V., Internet e il diritto dei privati. Persona e proprietà intellettuale nelle reti telematiche, Torino, 2002 267 OLIVIERI G., STELLA RICHTER M., I marchi dei musei, in Annali it. dir. autore, VIII, 1999 PANTALONY R. E., Museums and Digital Rights Management Technologies, in Mus. Int., 2002, 4 PANTALONY R. E., WIPO Guide on Managing Intellectual Property for Museums, 2007, reperibile all’URL: «http://www.wipo.int.int/copyright/museums_ip/guide.html» PAONE P. (a cura di), La protezione internazionale e la circolazione comunitaria dei beni culturali mobili, Napoli, 1998 PASCUZZI G., Il diritto nell’era digitale. Tecnologie informatiche e regole privatistiche, Bologna, 2002 PASCUZZI G., CASO R., I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritto d’autore italiano, Padova, 2002 PASTORI G., Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2004/3/pastori.htm» 268 PEDDE N., Il Giurista Multimediale, Roma, 2001. PESSACH G., Museums, Digitization and Copyright Law – Taking Stock and Looking Ahead, 2007, reperibile all’URL: «http://wwwssrn.com/abstract=961328» PINNA A., Problemi relative alla riproduzione on line di opera museali protette dal diritto d’autore, in Nuova Museologia, 1999, 1 PIPERATA G., Sponsorizzazione e interventi di restauro sui beni culturali, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/1/piperata.htm» PIROZZI A., Elementi di museotecnica, Napoli, 2002 QUADRANTI I., La politica culturale europea nel periodo di riflessione sul futuro dell’Unione, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2006/3/quadranti.htm» REICHMAN J. H., La guerra delle banche dati. Riflessioni sulla situazione americana, in Annali it. dir. autore, 1997, 226 269 RENNA M., I beni museali (privati ed ecclesiastici) nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/1/renna.htm» RONCONI F., Trapianto e rielaborazione del modello normativo statunitense: il diritto d’autore di fronte alla sfida digitale, in PASCUZZI G., CASO R. (a cura di), I diritti sulle opere digitali. Copyright statunitense e diritto d’autore italiano, Padova, 2002, 195 SCHUBERT K., Il museo. Storia di un’idea. Dalla rivoluzione francese a oggi, Milano, 2004 SERRA A., Scip, Patrimonio Spa e Infrastrutture Spa: le società per la “valorizzazione” dei beni pubblici. L’impatto sul regime dei beni trasferiti, reperibile all’URL: «http://www.aedon.mulino.it/archivio/2005/2/serra.htm» SETTIS S., Battaglie senza eroi, i beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005 SETTIS S., Italia S.p.a., l’assalto al patrimonio culturale, Torino, 2002 270 M. S. SHAPIRO, Museums and the Digital Future, reperibile all’URL: «http://www.wipo.org» SIROTTI GAUDENZI A., Il nuovo diritto d’autore. La tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione, Rimini, 2005 SISINNI F., Presentazione, in Il museo, Rivista del sistema museale italiano, 1992, 0 SOLIMA L., SANSONE E., I musei ed Internet: un’indagine sperimentale, in Econ. Cult., 2000 SPATARO V., Opera Multimediale, reperibile all’URL: «http: //www.civile.it/ilaw/diziovisual.asp?num=764» SPEDICATO G., Le misure tecnologiche di protezione del diritto d’autore, in BISI S., DI COCCO C. (a cura di), La gestione e la negoziazione automatica dei diritti sulle opere dell’ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici, Bologna, 2006 SPOLIDORO M. S., Il sito WEB, in Annali it. dir. autore, 1998, 178 271 STABILE S., Beni culturali e proprietà intellettuale dei musei: nuovi scenari, in Dir. ind., 2002, 299 STABILE S., Il diritto d’autore nella società dell’informazione, in Dir. ind., 2004, 88 STABILE S., GUERZONI G., I diritti dei musei. La valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003 STAMATOUDI I. A., Copyright and Multimedia Products A Comparative Analysis, Cambridge, 2002 TAMIOZZO R., La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Milano, 2004 TOMEA GAVAZZOLI M. L., Manuale di museologia, Milano, 2003 TRENTINI A., Codice dei beni culturali e del paesaggio, Commentario ragionato del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, Rimini, 2005 TURINI L., L’opera telematica in CASSANO G. (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, Milano, 2002 272 VIVOLI G., Prime riflessioni sulla tutela del paesaggio alla luce del nuovo Codice dei beni culturali e sul paesaggio (d. lgs. 42/2004), reperibile all’URL: «http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/Codice_beni_cul turali.htm» VOLPE G., Manuale di legislazione dei beni culturali, storia e attualità, Padova, 2002 WALTON T. J., Trademark, 2000, «http://www.netatty.com/trademark.html». 273 reperibile all’URL: