PILLOLE CONTRACCETTIVE PRESCRITTE ALLE DODICENNI: PROFILI PENALI ( ) ∗ di Paolo Piras SOMMARIO: 1. Dall’horror maternitatis al donum libertatis. – 2. La contraccezione precoitale. Gli sbarramenti. – 3. Una possibile alternativa. – 4. La contraccezione postcoitale. – 5. Il rifiuto della prescrizione postcoitale. – 6. Il referto all’autorità giudiziaria. – 7. Conclusioni. 1. Dall’horror maternitatis al donum libertatis. Quando ero adolescente mai avrei pensato che un giorno mi sarei trovato a parlare di pillola prescritta alle dodicenni. Tantomeno a parlarne in pubblico. I tempi della mia adolescenza erano i tempi dell’horror maternitatis. Un horror socialmente diffuso, figlio di un terrorismo educativo, che spargeva disonore e inculcava vergogna per le gravidanze fuori dal matrimonio. Tanto più se si trattava di adolescenti. Il matrimonio riparatore sanava un po’ il disonore, ma lasciava intatta la vergogna. “Se succede a me, mi suicido”, ricordo con gelo questa frase che pronunciò un compagno nei corridoi di scuola, quando si seppe la notizia di una gravidanza adolescenziale. La gravidanza come un killer sociale. Dall’horror maternitatis si è passati col tempo al donum libertatis. Attualmente non è raro che la dodicenne si presenti insieme alla madre dal ginecologo perché le venga prescritto il contraccettivo. O che si presenti sola, con i genitori però favorevoli alla prescrizione. Dalla Barbie alla pillola. Rapporti sessuali, con o senza amore e sotto l’egida genitoriale, che chiede la collaborazione medica. Il donum libertatis per essere completo ha bisogno del praesidum medicamenti. Leggevo nell’ultimo numero di Psicologia Contemporanea che le parole sesso e porno sono fra le prime cinque parole più digitate dai minorenni nei motori di ricerca, con relativa incidenza sulle gravidanze in adolescenza. Il fenomeno non è oggetto di studio da parte di medici e giuristi, ma di altre scienze. Tuttavia medici e giuristi devono prendere atto che l’età d’inizio dei rapporti sessuali si è notevolmente abbassata. E che questo non può che avere riflessi sulla pratica clinica. E su quella giudiziaria, perché non si possono applicare le norme giuridiche lasciando in ombra la realtà nella quale si cala l’applicazione. Una norma Testo della relazione al convegno Contraccezione: sicurezza, nuove prospettive, aspetti medico legali, tenutosi a Sassari il 14 novembre 2014. ∗ Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | Telefono: 0289283000 | Fax: 0292879187 | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò 2010-­‐2015 Diritto Penale Contemporaneo giuridica applicata senza tenere conto dell’attualità storica è come una barca trascinata sulla sabbia, anziché liberata sull’acqua. Ecco perché, anche se a prima vista non parrebbe, fino ad ora abbiamo già parlato di diritto. Veniamo ora alla domanda cruciale: si può prescrivere la contraccezione alla dodicenne? Per ragioni di chiarezza espositiva è opportuno distinguere tra contraccezione prima del coito o precoitale o ordinaria e dopo il coito o postcoitale o di emergenza. Non senza però avere prima evidenziato un dato singolare: in materia di contraccezione si assiste ad un capovolgimento del normale rapporto medico-­‐‑paziente. Qui non è la paziente, ma il medico a dare il consenso alla somministrazione farmacologica, sia pre che post coito. Più che di paziente si dovrebbe parlare di richiedente. La minore non è malata. Tutt’altro: non si sta opponendo ad una malattia, ma alla riproduzione, il più fondamentale degli umani processi fisiologici. Ironicamente, si può usare la parola paziente non come sostantivo, ma come aggettivo, dal momento che la minore si trova a “pazientare” l’accoglimento della sua richiesta al medico. Attende paziente l’elargizione del praesidium medicamenti. 2. La contraccezione precoitale. Gli sbarramenti. Si può prescrivere la pillola contraccettiva alla dodicenne prima dei rapporti sessuali? Il limite dei tredici anni parrebbe invalicabile. Si argomenta dall’art. 609 quater c.p., che prevede la non punibilità del minorenne che ha compiuto atti sessuali con un tredicenne, se la loro differenza di età non è superiore a tre anni. Da questa norma risulterebbe che il tredicenne può disporre sessualmente del proprio corpo. Alla dodicenne non potrebbe quindi essere prescritta la contraccezione, non potendo lei disporre sessualmente del proprio corpo per il mancato raggiungimento dell’età minima. Ma è davvero così? Può davvero il tredicenne disporre sessualmente del proprio corpo? No, non può. Al massimo si potrebbe dire che ne può disporre solo se la differenza di età con il partner non è superiore a tre anni. Ma è evidente che se così fosse ci troveremmo di fronte a un paradosso: il tredicenne può disporre sessualmente del proprio corpo se gli atti sessuali sono compiuti, ad es., con un quindicenne, che non è punibile. Mentre non potrebbe disporre sessualmente del proprio corpo se gli atti sessuali sono compiuti, ad es., con un diciassettenne, che è punibile. Ne salterebbe fuori una capacità di disporre sessualmente del proprio corpo condizionata all’età del partner: una volta si è capaci e un’altra no. Con l’assurdo che tale capacità si avrebbe solo con i partner psichicamente meno maturi, perché inferiori di età. In realtà il tredicenne non può giuridicamente disporre sessualmente del proprio corpo. Infatti l’art. 609 quater c.p. ha solo la funzione di rendere non punibili gli atti sessuali per l’autore del reato che non supera di tre anni di età il tredicenne. Una non punibilità fondata quindi sull’immaturità dell’autore. Il fatto è soltanto penalmente tollerato. Rimane reato. Tant’è vero che risulta punibile chiunque concorre 2 nel reato (art. 110 c.p.), chiunque offre cioè un contributo al compimento degli atti sessuali. Ad es., è punibile il maggiorenne che pone a disposizione di un quindicenne e di un tredicenne il proprio appartamento, dove gli atti sessuali poi si compiono. Non solo: a seconda delle particolarità del caso, possono ipotizzarsi a carico del maggiorenne circostanze aggravanti, essendo minore l’autore del reato (artt. 111 e 112 c.p.). Se neppure il tredicenne può disporre sessualmente del proprio corpo, si affaccia per il ginecologo una prospettiva inquietante: non si può prescrivere la contraccezione neppure al tredicenne. E’ invero fuori discussione che con la prescrizione si sta offrendo un contributo al compimento degli atti sessuali del tredicenne. Si potrebbe dire che gli atti sessuali possono comunque avvenire, anche se non si prescrive il contraccettivo, che quindi non è decisivo il contributo dato con la prescrizione. Tuttavia la prescrizione quantomeno agevola il compimento degli atti sessuali, perché rafforza il proposito di compimento da parte del tredicenne. E basta anche solo l’agevolazione per concorrere nel reato. Sul piano freddamente giuridico e con un’immagine forte: la prescrizione del contraccettivo all’infraquattordicenne è come la pistola consegnata al killer o l’arnese da scasso consegnato al ladro. Da una piana applicazione del codice penale deriva quindi che la prescrizione della contraccezione all’infraquattordicenne configura il concorso nel reato di atti sessuali con minorenne. Solo se la minorenne ha già compiuto i quattordici anni non si profila un contributo punibile, salve le ipotesi in cui l’autore del reato sia persona legata al minore da certi vincoli. Al riguardo la Cassazione ha più volte posto in rilievo che in materia vale il principio dell’indisponibilità sessuale del proprio corpo da parte dell’infraquattordicenne. Un principio del resto indiscutibile, traibile agevolmente dall’art. 609 quater, co. 1, n. 1 c.p, che non punisce, salve alcune ipotesi, chi compie atti sessuali con chi ha compiuto quattordici anni. Stante ciò, codice penale alla mano, la prescrizione di contraccettivo, non solo alla dodicenne, ma anche alla tredicenne risulta penalmente illecita. 3. Una possibile alternativa. Però. Però. Il penalista può, anzi deve, mettersi nei panni del ginecologo. Deve svestire idealmente la toga e indossare il camice. Non può non farlo, se vuole rendersi conto a fondo della realtà nella quale si calano i suoi pareri. Ed allora: qual è questa realtà? La realtà è che il medico si trova nel suo studio una dodicenne, che è arrivata lì con una scelta presa: vuole avere rapporti sessuali e vuole prevenire una gravidanza. Magari è anche accompagnata dalla madre, che preme per la prescrizione del contraccettivo. Che fare? Rimandarle a casa? Questo non è possibile, perché si spalanca un baratro assistenziale. La minore si allontana dall’ala protettrice del medico. Vede il medico come una figura ostile e inizia il fai da te ginecologico. Il rischio è quello di gravidanze indesiderate, con la prospettiva di futura contraccezione di emergenza o d’interruzione volontaria di gravidanza. Ma c’è anche il rischio di contagio di gravi 3 malattie sessualmente trasmissibili, perché perdendo il contatto con il medico si perde anche ogni altra preziosa informazione sull’argomento. Ovviamente il medico può invitare alla riflessione, visto che ha davanti a sé poco più di una bambina, presa da così tanta fretta. Ma è evidente che il medico non può fare più di tanto in un colloquio, soprattutto in quei casi nei quali la minore presenta un vuoto educativo, in qualche modo autocolmato con internet. Non può convincere la minore in poche battute che il sesso non è la chiave per il passaggio all’età adulta. Lo dicevamo in apertura: i costumi sono cambiati. Ed è sorto un problema che prima non c’era, quello appunto della dodicenne che chiede il contraccettivo. Un problema molto diffuso. Un problema che ci chiede scusa se esiste, se è spinoso e se si è piazzato sul nostro tavolo. Sa che è incomodo. E tanto. Ma invoca una soluzione, almeno possibilista, qualcosa che vada al di là della negazione assoluta. Una soluzione ci può essere, ma è inutile continuare a frugare nel codice penale. Occorre mettere mano ad una legge speciale, cioè alla nota legge 194 del 1978, intitolata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'ʹinterruzione volontaria della gravidanza”. L’art. 2 di questa legge all’ultimo comma prevede che: “La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”. Questa norma può svolgere una funzione scriminante per il medico che prescriva la contraccezione alla minore, a prescindere dall’età della minore. E’ infatti una norma di carattere molto ampio. Non ha limitazioni spaziali, perché si riferisce a qualunque struttura sanitaria, anche privata. Non ha limitazioni riguardo alla qualifica del prescrivente, che può essere qualunque medico, non solo ginecologo, in frequente ipotesi il medico di medicina generale. Ma soprattutto l’art. 2 non distingue le minori per fasce di età. Individua le minori indirettamente per il raggiungimento della tappa biologica della maturità sessuale. La norma si colloca perfettamente nello spirito della legge nella quale è inserita, tesa a prevenire le gravidanze indesiderate. Invero l’art. 1 della legge prevede che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, che l'ʹinterruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite e che lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ʹambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-­‐‑sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'ʹaborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. Nella mens legis l’interruzione della gravidanza appare chiaramente come l’ultima spiaggia, l’ultimo lido sul quale approdare. Il medico può essere così ritenuto penalmente giustificato, in applicazione appunto dell’ art. 2 ult. co. della 194, che pone un diritto del medico a prescrivere e un diritto della paziente a vedersi prescrivere il contraccettivo. E questo proprio perché la norma prevede espressamente che la somministrazione del contraccettivo è consentita anche ai minori. Si tratta di una condotta medica che può essere ricondotta all’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.) e così penalmente giustificata. Questa causa di giustificazione può operare sia per il medico e sia, in ipotesi, per la madre che accompagna la minore per ottenere la prescrizione e che quindi offre un contributo al futuro compimento degli atti sessuali della figlia. Il materiale costitutivo dell’art. 2 è infatti di carattere oggettivo, attenendo alla natura e all’oggetto 4 dell’azione, cioè la prescrizione del contraccettivo. E per il carattere oggettivo la non punibilità si comunica a chiunque offre un contributo al compimento degli atti sessuali (artt. 70 e 119 c.p.). Rimane tuttavia il principio posto in generale dal codice penale sull’indisponibilità sessuale del proprio corpo da parte dell’infraquattordicenne. Esattamente opposto a quello della legge speciale, che consente la contraccezione ai minori senza distinguere fra fasce di età. I due principi incedono l’uno contro l’altro, verso uno scontro frontale. Sono due titani normativi che proprio non si sopportano a vicenda, non possono coesistere. Lo scontro non può finire in parità, uno dei titani deve uscirne irrimediabilmente sconfitto. La lotta deve per forza di cose avere luogo sul campo normativo. Quale dei due ne esce sconfitto? Sventola bandiera bianca il principio posto dal codice penale. Infatti l’art. 2 è contenuto in una legge speciale, alla quale la prevalenza è assicurata dallo stesso codice penale. L’art. 15 c.p. impone appunto l’applicazione della legge speciale derogatrice. Rappresenta l’arma vincente per l’art. 2. In questo modo la prescrizione di contraccettivo precoitale alla dodicenne risulta penalmente lecita. Questa può essere una soluzione del problema, se non si vuole andare incontro all’idea che quotidianamente in Italia ci sono medici che concorrono nel reato di atti sessuali con minorenne, sotto gli occhi di procure indifferenti. 4. La contraccezione post coitale. E veniamo alla seconda domanda: si può prescrivere la contraccezione di emergenza alla dodicenne? Parliamo quindi della pillola del giorno dopo, del Levonorgestrel (Norlevo). E anche della più recente pillola del fino al quinto giorno dopo, dell’Ulipristal acetato (EllaOne). Sia per l’Agenzia europea del farmaco che per la Commissione Europea, l’EllaOne si potrebbe dispensare senza prescrizione medica, come farmaco da banco. Ma la questione deve passare indenne la forca caudina degli Stati membri dell’Unione Europea, nei quali per la contraccezione di emergenza è richiesta la prescrizione. Fra quegli Stati vi è anche l’Italia. Secondo i foglietti illustrativi dei due farmaci, entrambe le molecole agiscono ostacolando l’ovulazione. C’è chi ritiene però che le molecole possano impedire anche il successivo impianto dell’ovulo fecondato nell’utero. Ed è stata impugnata innanzi al Tar del Lazio la determinazione con la quale è stato escluso nel foglietto illustrativo del Norlevo l’effetto antimpianto, che prima invece figurava. Il Tar ha negato la sospensiva, per la complessità della questione, non affrontabile in sede cautelare. E la decisione è stata confermata dal Consiglio di Stato. Occorrerà quindi attendere il giudizio di merito. In ogni caso, anche per la contraccezione postcoitale, l’art. 2 della 194, per la sua ampiezza precettiva, pare consentire la prescrizione. Non solo non pone limitazioni per 5 fasce di età, ma non pone limitazioni neppure con riferimento alla natura della contraccezione, se pre o postcoitale. Semplicemente consente in generale la contraccezione ai minori. Si potrebbe obiettare che, all’epoca in cui venne emanata la legge 194, la contraccezione di emergenza non esisteva e quindi il legislatore non poteva farne oggetto di disposizione normativa. Tuttavia, il fine che il legislatore si era proposto, come già visto, era quello di evitare il più possibile le gravidanze indesiderate. Fine che viene salvaguardato anche con la contraccezione di emergenza. Nella contraccezione postcoitale non c’è da fare i conti con il principio, posto dal codice penale, dell’indisponibilità sessuale del proprio corpo da parte dell’infraquattordicenne. Questo principio non gioca qui alcun ruolo. Qui l’atto sessuale è già stato compiuto. Ormai del proprio corpo se ne è sessualmente già disposto. Se la contraccezione postcoitale viene prescritta, non si pone quindi in radice una questione di concorso nel reato di atti sessuali con minorenne, che importa appunto un contributo ad atti sessuali futuri e non passati. Viene invece in considerazione la disponibilità o meno di un processo fisiologico che potrebbe essere stato avviato nel proprio corpo mediante i compiuti atti sessuali. Può la dodicenne disporre dell’ipotizzato processo fisiologico? La risposta può essere positiva, servendosi ancora dell’art. 2 della 194, che sappiamo consentire la contraccezione ai minori in generale. Ma anche nel caso della contraccezione postcoitale, l’art. 2 viene a contatto con un ruvido tessuto normativo. Questa volta non il codice penale, ma una norma incriminatrice contenuta nella stessa legge 194. Precisamente l’art. 19, che punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque interrompe la gravidanza al di fuori delle ipotesi previste dalla stessa legge. Con un aumento di pena fino alla metà se la donna è minorenne. L’art. 19 entra in scena perché il farmaco può impedire non solo l’ovulazione, ma anche l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero, almeno secondo certa letteratura. La questione sta quindi nello stabilire se, con il farmaco postcoitale si sta prevenendo o interrompendo una gravidanza, quando l’effetto è appunto quello d’impedire l’impianto. Si tratta cioè di stabilire se in questo caso l’effetto del farmaco è contraccettivo o abortivo. Se l’effetto è contraccettivo, si applica l’art. 2, il cui ambito applicativo è esclusivamente contraccettivo. Se invece l’effetto è abortivo, si applica l’art. 19, il cui ambito applicativo è esclusivamente abortivo. Sono due norme che non si scontrano, ma sono molto gelose del proprio spazio applicativo. Occorre quindi tracciare bene i confini dei rispettivi spazi. Non ci sono spazi intermedi da occupare. Sono spazi confinanti. Aumentando la nozione di contraccezione diminuisce quella di gravidanza e viceversa. Finché c’è contraccezione non c’è gravidanza e quando c’è gravidanza non ci può più essere contraccezione. Ed allora: quando inizia la gravidanza? Due sono le teorie: quella della fecondazione e quella dell’impianto. Per la prima la gravidanza ha inizio con la fusione dello spermatozoo con l’ovulo. Per la seconda la gravidanza ha invece inizio in un momento successivo, con l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero, cioè con l’annidamento dell’embrione nella mucosa endometriale. Dato che la fusione avviene nella tuba, di solito nell’ampolla, la questione si pone per 6 la navigazione di ritorno nella tuba verso l’utero, navigazione che questa volta lo spermatozoo non compie più da solo, ma in tutt’uno con l’ovulo. Arrivato come gamete, riparte zigote e naviga a ritroso verso il porto di destinazione, che ha intravisto all’andata prima di attraversare lo stretto tubarico. Sappiamo che la teoria dell’impianto è fortemente osteggiata, perché con la fecondazione è stato dato avvio ad un processo che ormai può progredire autonomamente. Secondo una pregnante immagine l’embrione è progettista, direttore e costruttore di sé stesso, la madre solo gli fornisce il materiale necessario per la costruzione e il cantiere di lavoro. Sotto il profilo giuridico non sembrano militare ragioni decisive a favore dell’una o dell’altra teoria. La Costituzione non contiene indicazioni né in un senso, né in un altro. Da un lato la legge 194, emanata peraltro quando non esisteva la pillola del giorno dopo, ha riguardo all’interruzione della gravidanza che avviene dopo l’impianto. Dall’altro la legge 40 del 2004, sulla procreazione medicalmente assistita, tutela anche l’embrione. Che fare? Quale opinione prediligere? Giuridicamente s’intende, perché se si fa appello alle proprie opinioni di altra natura, il discorso si chiude subito. Qui ci vuole senso pratico. Occorre scendere nel concreto. In astratto è chiaro che con la teoria dell’impianto non risulta configurabile il reato d’interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, perché la gravidanza non può dirsi iniziata finché l’impianto non è avvenuto, quindi l’effetto antiannidatorio del farmaco è un effetto contraccettivo e lo spazio è quello dell’art. 2. Viceversa, sempre in astratto, con la teoria della fecondazione, la gravidanza è già iniziata con la fusione di spermatozoo e ovulo, quindi l’effetto antiannidatorio è abortivo e lo spazio è quello dell’art. 19. Ebbene, ipotizziamo pure di aderire alla restrittiva teoria della fecondazione: il reato, configurabile in astratto, non lo è in concreto. Perché non in concreto? Perché il pubblico ministero non può provare che uno spermatozoo ha già realizzato la sua speranza d’incontro quando è avvenuta la somministrazione del farmaco. Non può provare se fra i circa 200 milioni di spermatozoi naufraganti in vagina ci sia stato un possente nuotatore che abbia già raggiunto l’ovulo. Non può provare che la corrente contraria del farmaco si sia manifestata nel viaggio di ritorno anziché in quello di andata. Di più: non potrà neppure provare che un ovulo vi fosse nella tuba. Questa termina con le fimbrie, una sorta di anemone che ondeggia sull’ovaio, cattura l’ovulo e lo libera nella tuba. Cattura che potrebbe ancora non esserci stata. Il pubblico ministero potrà al massimo provare un rapporto sessuale a rischio di gravidanza, per le modalità del rapporto in periodo ovulatorio. Dato che l’avvenuta fecondazione non si può provare, pur aderendo alla restrittiva teoria della fecondazione, non si vede davvero come un eventuale processo penale potrebbe concludersi con la condanna in assenza della necessaria prova. Riassumendo: se si aderisce alla teoria dell’impianto, è inconfigurabile il reato d’interruzione della gravidanza fuori dalle ipotesi previste dalla legge 194. E’ invece configurabile se si aderisce alla teoria della fecondazione, ma non risulta possibile provare l’avvenuta fecondazione al momento della somministrazione della pillola e quindi l’iniziata gravidanza, presupposto per la perfezione del reato. 7 5. Il rifiuto della prescrizione postcoitale. Si può rifiutare la prescrizione postcoitale? La domanda si pone perché, trattandosi di emergenza, può non conoscersi il medico al quale ci si rivolge. Basti pensare a tutte le strutture di primo intervento medico. E il medico può avere tutte le sue buone ragioni che si oppongono alla prescrizione. La domanda si pone in termini generali, a prescindere dall’età della richiedente, perché il rifiuto è di regola dettato da ragioni di coscienza che prescindono dall’età. Ma nel caso della richiedente giovanissima si affaccia anche il timore di un eventuale processo penale se si prescrive. Timore “non tecnico”, perché vissuto genericamente senza riferimento ad una specifica fattispecie di reato. Col rifiuto di prescrizione postcoitale entra in campo l’art. 328 c.p. La norma, per la parte che qui interessa, punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che rifiuta un atto che deve essere compiuto senza ritardo per ragioni di sanità. La prescrizione postcoitale è un atto che certamente va compiuto senza ritardo. Non fosse altro perché più si aspetta e più decresce l’efficacia del farmaco. E la prescrizione è un atto che deve essere compiuto per ragioni di sanità. E’ vero che un malato non c’è, ma è anche vero che una malattia può essere ipotizzata. Se non una malattia organica, una funzionale, ad es., depressione per gravidanza indesiderata. In caso di rifiuto il rischio di procedimento penale e di condanna appare quindi considerevole. Non potrebbe essere invocata l’obiezione di coscienza, prevista dall’art. 9 della 194, che esonera l’obiettore “…dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Infatti l’art. 9 può operare se si sono assolti certi previ adempimenti, comunicazione un mese prima ecc. E’ poi inserito in un contesto normativo, che prevede una particolare procedura per l’interruzione della gravidanza, pausa di riflessione ecc. E parla di assistenza antecedente e conseguente all’intervento, ponendo così in chiaro rilievo che il suo spazio applicativo è quello dell’aborto chirurgico o farmacologico, ma mediante mifepristone (RU 486). E presupponendo così una gravidanza inoltrata. Mentre nella contraccezione postcoitale, non si sa neppure se sia avvenuta fecondazione. Anche se la coscienza è coscienza: basta il dubbio per il non possum. La Cassazione dà comunque dell’art. 9 un’interpretazione molto restrittiva, negando spazi di applicabilità al di fuori delle ipotesi che la norma espressamente contempla. Precludendo quindi l’applicazione analogica a casi espressamente non contemplati. Ma la coscienza è più forte di qualsiasi cosa, Cassazione inclusa. Non sopporta alcuna replica. Si può venire incontro all’obiettore? Tutto quello che si può fare è appellarsi alla c.d. clausola di coscienza, prevista dal codice di deontologia medica, anche nell’ultima versione del 2014 (art. 22), che consente al medico di rifiutare la 8 propria opera professionale quando gli vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza, ma fornendo comunque ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione della prestazione. E’ quindi necessario che il medico che si avvale della clausola di coscienza fornisca alla richiedente la possibilità di ottenere in tempi rapidi la prescrizione, facendosi sostituire da un collega o inviando la richiedente in altra vicina struttura, dove sa che la prescrizione viene ottenuta. Se la prescrizione viene comunque ottenuta senza ritardo da parte di altro medico, il reato di rifiuto di atti d’ufficio potrebbe essere escluso, facendo perno su quella giurisprudenza della Cassazione che esclude appunto il reato, se l’atto rifiutato è stato comunque compiuto da altri. Ma non è una giurisprudenza costante. 6. Il referto all’autorità giudiziaria. Quando il medico prescrive la pillola postcoitale alla dodicenne, sa che qualcuno ha commesso su di lei il reato di atti sessuali con minorenne. Si pone quindi la domanda se il medico sia obbligato a presentare il referto all’autorità giudiziaria. Questo obbligo si ha quando il sanitario ha prestato la propria opera o assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio (art. 365 c.p.). L’inadempimento dell’obbligo è penalmente sanzionato. Gli atti sessuali con minorenne sono un delitto procedibile d’ufficio e basta la sola possibilità che il delitto sia stato commesso perché l’obbligo ci sia. Nel caso della dodicenne il medico ha addirittura la certezza della commissione del delitto. Se si tratta di tredicenne, l’autore potrebbe essere non punibile per ragioni di età, ma comunque l’obbligo del referto rimane. La valutazione della non punibilità non spetta infatti al medico, ma all’autorità giudiziaria. Potrebbero esserci inoltre concorrenti nel reato, punibili. Potrebbe però succedere che la minore, dodicenne o tredicenne, si presenti per la prescrizione accompagnata dall’autore del fatto. In questo caso, ampliando al massimo la nozione di persona assistita, si potrebbe ritenere che non solo la minore, ma anche l’autore sia persona assistita, perché comunque anch’egli si presenta per una valutazione medica del caso. Se così è, l’obbligo del referto viene meno, perché l’art. 365 c.p. al secondo comma esclude l’obbligo quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Se però l’autore non si presenta? Che fare? Presentare il referto? Pensiamo un attimo alla minore. E’ venuta dal medico per una questione molto delicata, nutrendo fiducia per la valutazione del rischio gravidanza e in ipotesi è anche legata da una relazione affettiva con l’autore. Il referto tradirebbe in qualche modo quel rapporto di fiducia, anche se l’incontro con il medico è stato solo occasionale. Questo è però ininfluente per l’esclusione dell’obbligo del referto. Ma è bene pensarlo come prima cosa: la persona assistita deve essere sempre il primo pensiero. Bisogna certamente poi pensare anche al medico. Ebbene, se presenta il referto espone sé stesso a procedimento penale. Non si può certo escludere che un procedimento penale venga iniziato contro di lui. Infatti, se si ritiene che la pillola postcoitale non abbia un effetto contraccettivo, ma abortivo, si può ipotizzare il reato 9 d’interruzione di gravidanza di minorenne fuori dei casi previsti dalla legge. Anche se poi non si vede come il pubblico ministero potrebbe provare quantomeno l’avvenuta fecondazione. Ma lo spettro del procedimento penale è quanto basta per l’applicabilità dell’art. 384 c.p., che prevede la non punibilità di chi omette il referto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, quale può essere appunto un procedimento penale a carico. L’omesso referto può così essere giustificato. Nella prescrizione precoitale la questione si può porre per il rinnovo della stessa. Tuttavia l’omesso referto può essere nello stesso modo giustificato. Al momento del rinnovo prescrittivo, il reato di atti sessuali con minorenne già è stato commesso. E il medico ovviamente sa di averlo agevolato con la prescrizione precedente. Se presenta il referto si autodenuncia, a prescindere dal fatto che poi nell’ipotizzabile procedimento penale si possa eventualmente ritenere applicabile l’art. 2 della 194, con la conseguente efficacia scriminante. 7. Conclusioni. Ampio spazio applicativo dunque per l’art. 2 della legge 194. Beninteso, ed è chiarissimo, ma a scanso di ogni equivoco: questa opinione, per quanto giuridicamente argomentata, non deve essere acquisita come un salvacondotto per prescrizioni frettolose. Occorrerà quindi non solo svolgere le normali valutazioni di carattere clinico, ad es., rischio trombotico. Ma occorrerà valutare a fondo il grado di maturità della minore. O capacità di discernimento o competenza decisionale che dir si voglia, senza che in sostanza la valutazione muti. La valutazione del grado di maturità del minore in materia sanitaria è imposta dall’art. 6, co. 3, della Convenzione di Oviedo. Ma è del resto ovvio che tale valutazione vada effettuata, anche se l’art. 2 l. 194/78 espressamente non la richiede. Va da sé che non si potrà certo prescrivere il contraccettivo a chi si presenta alla visita con la Barbie sottobraccio. Certo, la valutazione psicologica, o psicopatologica, può non essere semplice e richiedere anche competenze specialistiche. In tal caso è evidente che una consulenza deve essere chiesta. Svolta affermativamente questa valutazione, l’informazione circa gli effetti del farmaco dovrà essere completa e in linea con quanto previsto dall’art. 33, co. 4, del codice di deontologia medica, che impone al medico di garantire al minore elementi d’informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute. Tutta l’attività svolta deve essere, e anche questo è ovvio ma non scontato, annotata nella cartella della struttura. Va ricordato al riguardo che l’art. 26 del codice di deontologia medica richiede nella compilazione della cartella completezza, chiarezza e diligenza, con particolare riferimento, per quello che qui interessa, ai modi e ai tempi dell’informazione (ult. co.). Se si lavora in struttura priva di cartella clinica, sarà a dir poco opportuna apposita documentazione, dalla quale risulti l’intero percorso che ha portato alla prescrizione e quindi le relative approfondite valutazioni. 10 Queste modalità devono andare a braccetto con la prescrizione. L’art. 2 della 194, interpretato ampiamente, potrebbe essere efficace come scudo contro una responsabilità professionale. Potrebbe: come si suol dire il condizionale è d’obbligo, perché la giurisprudenza ha in comune con la medicina, purtroppo, l’impossibilità di fornire certezze. Ma il giurista deve pur dare un aiuto, se può. Abbiamo trattato di un grosso problema che il medico si trova a dovere affrontare. E il medico che vuole dare il meglio di sé non va mai lasciato solo/sola. 11