Gli aneurismi coronarici - Giornale Italiano di Cardiologia

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RASSEGNA
Gli aneurismi coronarici
Alessandra Russo1, Luca Favero2, Salvatore Saccà3, Salvatore Ivan Caico1, Carlo Cernetti2
1
U.O.C. Cardiologia, A.O. San Antonio Abate, Gallarate (VA)
U.O.C. Cardiologia, Ospedale San Giacomo, Castelfranco Veneto (TV)
3
U.O.C. Cardiologia, Ospedale Civile, Mirano (VE)
2
Coronary artery aneurysms are defined as coronary dilations as greater than 1.5 times the largest diameter of the adjacent coronary segment. They are a relatively rare finding on coronary angiography,
with prevalence ranging from 0.3% to 5% depending on case series. The identification of a coronary
artery aneurysm is often a dilemma for both the clinician and the interventionist in terms of diagnosis,
treatment and follow-up. This review summarizes the etiologic, pathogenetic, clinical and therapeutic
aspects of coronary artery aneurysms in the light of the latest research on this topic.
Key words. Coronary artery aneurysm; Diagnosis; Etiology; Treatment.
G Ital Cardiol 2015;16(7-8):409-417
INTRODUZIONE
Le dilatazioni coronariche aneurismatiche sono una condizione
anatomica rara, descritta da patologi e cardiologi da oltre duecento anni, che continua a rappresentare un dilemma gestionale nella pratica clinica. In questo articolo di revisione della letteratura, vengono esaminati gli aspetti eziopatogenetici, diagnostici, prognostici e terapeutici delle dilatazioni coronariche
aneurismatiche.
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
Il primo caso di dilatazione coronarica descritto come un aneurisma fu riportato da Morgagni nel 1761 in un paziente con
aortite sifilitica, mentre nel 1958 fu riportato il primo caso in vivo diagnosticato con la coronarografia1,2.
Si definisce aneurisma coronarico (AC) o ectasia coronarica
(EC), la dilatazione coronarica, focale o diffusa, superiore di 1.5
volte il diametro maggiore del segmento coronarico adiacente.
Quando il diametro dell’AC eccede di 4 volte il diametro coronarico di riferimento o ha un diametro >8 mm, si parla di AC
“gigante”3,4. Nella letteratura specialistica i termini AC ed EC
sono stati usati come sinonimi in maniera intercambiabile. Syed
e Lesch5 hanno tuttavia proposto una distinzione tra AC ed EC,
limitando il termine di aneurisma a dilatazioni coronariche che
coinvolgono meno del 50% della lunghezza del vaso (Figura
1A) e riservando il termine ectasia alle dilatazioni che eccedono il 50% della lunghezza del vaso (Figura 1B). Gli AC sono
stati classificati in vari modi sulla base della composizione della parete vasale, delle caratteristiche morfologiche e delle dimensioni. Si distinguono “veri” aneurismi dai “falsi” aneurismi
(pseudoaneurismi) in base alla presenza o meno di tutti e tre gli
© 2015 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 17.04.2015; accettato 03.06.2015.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Luca Favero U.O.C. di Cardiologia, Ospedale San Giacomo,
Via dei Carpani 16, 31033 Castelfranco Veneto (TV)
e-mail: [email protected]
Figura 1. A: aneurisma coronarico, dilatazione coronarica superiore di 1.5 volte il diametro maggiore del
segmento coronarico adiacente, che coinvolge meno
del 50% della lunghezza del vaso. B: ectasia coronarica, dilatazione coronarica superiore di 1.5 volte il diametro maggiore del segmento coronarico adiacente,
che coinvolge oltre il 50% della lunghezza del vaso.
strati della parete vasale: tonaca intima, media ed avventizia. Gli
aneurismi sono definiti veri se sono presenti i tre strati della parete; falsi o pseudoaneurismi se sono presenti meno di tre tonache di parete, con passaggio ad una o due tonache, evenienza che spesso è il risultato di traumi toracici o di interventistica coronarica percutanea.
In base alla morfologia gli AC possono essere classificati in
sacculari o fusiformi (Figura 2). Nelle forme sacculari, il diametro trasverso è maggiore del diametro longitudinale, nelle
forme fusiformi il diametro longitudinale è maggiore di quello trasverso. La dilatazione fusiforme rispetto alla forma sacculare tende ad essere bilaterale, ad associarsi ad aneurismi
dell’aorta addominale, del circolo cerebrale e vene varicose, e
meno frequentemente coesiste con lesioni ostruttive delle coG ITAL CARDIOL | VOL 16 | LUGLIO-AGOSTO 2015
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CHIAVE DI LETTURA
Ragionevoli certezze. Gli aneurismi coronarici
(AC), definiti come dilatazioni coronariche
superiori di 1.5 volte il diametro maggiore del
segmento coronarico adiacente, sono riscontrati
alla coronarografia dallo 0.3% al 5% dei casi. In
ordine decrescente di frequenza, sono interessate
la coronaria destra, l’arteria discendente anteriore,
l’arteria circonflessa e il tronco comune.
L’eziologia prevalente è aterosclerotica, seguita da
cause congenite e poi da malattie infiammatorie,
infettive e del tessuto connettivo. Negli anni
recenti è aumentata la frequenza di eziologia
secondaria ad interventistica coronarica.
L’elemento patogenetico comune sembra essere il
processo infiammatorio della tonaca media che ne
determina il progressivo assottigliamento, il quale
è alla base della dilatazione vasale. La
presentazione clinica è varia: da totale assenza di
sintomi, a tutti i tipi di sindrome coronarica acuta,
raramente a quadri di rottura con formazione di
fistole o emopericardio o a compressione di
strutture anatomiche adiacenti. Nei pazienti con
concomitante coronaropatia ostruttiva, la
presenza degli aneurismi non sembra conferire un
rischio aggiuntivo a quello legato alle stenosi
coronariche; nei pazienti con aneurismi isolati,
cioè senza coronaropatia ostruttiva associata, la
prognosi è invece peggiore rispetto alla
popolazione generale. L’angiografia coronarica e
l’ecografia intravascolare ad essa associata
rappresentano la principale tecnica per la diagnosi
e la caratterizzazione degli AC. Le metodiche non
invasive utili alla diagnosi sono invece
l’ecocardiografia, la tomografia assiale
computerizzata e la risonanza magnetica nucleare.
Il riscontro di un significativo rallentamento di
flusso e la descrizione di trombosi all’interno di
un AC anche in assenza di stenosi coronariche,
sono elementi che giustificano l’indicazione alla
terapia antitrombotica anche in prevenzione
primaria. Quando indicata la correzione radicale,
le possibilità interventistiche sono rappresentate
dall’impianto di stent ricoperti, dalla tecnica del
“doppio stent” non ricoperto e dall’embolizzazione
con spirali. Le soluzioni chirurghe consistono
invece nell’escissione e legatura dell’AC associata a
bypass del vaso affetto.
Aspetti controversi. Il follow-up degli AC è
materia piuttosto incerta. L’ecocardiografia
transtoracica e transesofagea può essere utilizzata
per il follow-up degli aneurismi situati nei
segmenti coronarici prossimali e nei bambini.
Negli altri casi, il follow-up è reso non poco
problematico dalla necessità di ripetute
angiografie o tomografie assiali computerizzate,
con tutte le implicazioni in termini di invasività
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ed esposizione a radiazioni ionizzanti che esse
comportano. Ad oggi persistono considerevoli
controversie circa il trattamento ottimale dei
pazienti con AC. La strategia terapeutica viene
individualizzata nel singolo paziente sulla base di:
gravità della presentazione clinica, dimensioni e
localizzazione dell’AC, presenza di coronaropatia
ostruttiva associata. Aspetti particolarmente
controversi sono: il tipo e la durata della terapia
antitrombotica ottimale – singola terapia
antiaggregante, duplice terapia antiaggregante o
combinazione di terapia antiaggregante e
anticoagulante – e l’indicazione alla correzione
radicale percutanea o chirurgica, soprattutto nei
pazienti asintomatici.
Prospettive. In futuro, l’identificazione di
marcatori di infiammazione specifici per AC
potrebbe contribuire alla stratificazione
prognostica e alla pianificazione del follow-up e
della terapia. L’affinamento delle metodiche di
risonanza magnetica nucleare cardiaca
rappresenterebbe un avanzamento in grado di
garantire un follow-up anche serrato, senza
esposizione a radiazioni ionizzanti o a procedure
invasive per il paziente.
ronarie. Gli aneurismi sacculari sono più frequentemente distali ad una stenosi prossimale e spesso sono multifocali, più
facilmente vanno incontro a trombosi (più comune) e a rottura (rara)5.
Un’ulteriore classificazione, proposta da Markis et al.6, distingue quattro tipi di AC sulla base della distribuzione topografica delle dilatazioni. L’ectasia diffusa in due o tre vasi è classificata come di tipo I, la forma diffusa in un vaso e localizzata
in un altro vaso di tipo II, la forma diffusa in un solo vaso come
di tipo III e la forma localizzata o segmentale di tipo IV (Figura
3). Il tipo II e IV sono i tipi più comuni di AC isolato.
Figura 2. A: aneurisma sacculare, diametro trasverso (T) maggiore
del diametro longitudinale (L). B: aneurisma fusiforme, diametro trasverso (T) minore del diametro longitudinale (L).
GLI ANEURISMI CORONARICI
latazione e l’aneurisma dell’aorta ascendente, la stenosi dell’arteria polmonare e il difetto del setto interventricolare11-14. In
un restante 10-20% dei casi, gli AC sono stati descritti in associazione a malattie del tessuto connettivo o a malattie infiammatorie (Tabella 1). Gli AC sono complicanza frequente
della malattia di Kawasaki nella fase acuta (circa 50% dei casi)
e a lungo termine (25% nei casi di malattia non trattati e 5%
nei casi trattati con immunoglobuline)15-19.
Un capitolo a parte è rappresentato dagli AC, sia “veri che
“falsi”, conseguenti ad angioplastica coronarica con pallone e
frequentemente ad impianto di stent medicati, aterectomia o
brachiterapia. Gli AC conseguenti all’impianto di stent medicati, sembrano più frequenti dopo impianto di stent di prima
generazione e appaiono il risultato di una reazione infiammatoria al farmaco antiproliferativo o al polimero20-23. La Tabella 1
elenca le principali eziologie degli AC.
Tabella 1. Eziologia degli aneurismi coronarici.
Figura 3. Classificazione di Markis.
EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza riportata in letteratura degli AC è compresa in un intervallo molto ampio, il che riflette la varietà dei criteri angiografici utilizzati per la definizione, le aree geografiche studiate
e le metodiche diagnostiche utilizzate. All’angiografia coronarica è riportata un’incidenza che varia dallo 0.3% al 5%4,7,8. Nel
registro CASS (Coronary Artery Surgery Study) gli AC sono stati documentati nel 4.9% delle angiografie3. In una coorte di
pazienti indiani con cardiopatia ischemica la frequenza riportata è stata superiore al 10%9. Le tre coronarie possono essere
tutte interessate dalla dilatazione ma nel 75% dei casi la malattia è monovasale. La coronaria destra è l’arteria più frequentemente coinvolta (40-61%), in particolare nei suoi tratti
prossimale e medio, seguita dall’interventricolare anteriore (1532%) e dall’arteria circonflessa (15-23%). Il tronco comune è
invece interessato dagli AC solo eccezionalmente. Gli AC sono
più comuni nel sesso maschile rispetto al sesso femminile (2.2
vs 1.5%) e sono osservati più frequentemente in associazione
a stenosi coronariche di natura aterosclerotica. Non sono state
descritte differenze sostanziali nell’incidenza dei fattori di rischio cardiovascolari tipici tra pazienti con AC e stenosi aterosclerotiche e quelli con sole stenosi aterosclerotiche10.
EZIOLOGIA
L’aterosclerosi è considerata il principale fattore eziologico degli AC, presente in più del 50-80% dei casi tra gli adulti. La seconda causa in ordine di frequenza sembra essere quella congenita, che rende conto di circa il 20-30% dei casi. Nelle forme
congenite gli AC sono spesso parte di un’alterazione vascolare
sistemica, associata a formazioni aneurismatiche in altre sedi
del sistema arterioso, che includono l’aorta addominale e le arterie periferiche. La forma congenita dell’ectasia è inoltre associata ad altre anomalie come la valvola aortica bicuspide, la di-
• Aterosclerotica
• Congenita
• Infiammatoria: malattia di Kawasaki, arterite di Takayasu, lupus,
artrite reumatoide, granulomatosi di Wegener, arterite a cellule
giganti, sindrome di Churg-Strauss, poliangite microscopica,
sindrome da anticorpi antifosfolipidi, sindrome di Behcet,
sarcoidosi, poliarterite nodosa, sindrome CREST, spondilite
anchilosante, sindrome di Reiter, artrite psoriasica, malattia
infiammatoria cronica intestinale
• Associata a malattie del tessuto connettivo: sindrome di Marfan,
Ehlers-Danlos, displasia fibromuscolare, malattia policistica del rene
• Infettiva: batterica, micobatterica, fungina, sifilide, malattia di
Lyme, emboli settici, aneurisma micotico, HIV
• Traumatica
• Iatrogena (conseguente ad interventistica coronarica)
PATOGENESI
L’elemento patogenetico caratteristico degli AC è la significativa perdita della componente muscolo-elastica della tonaca media della parete vasale, che risulta in aumentato stress di parete e conseguente dilatazione vasale. La caratterizzazione istologica della parete degli AC mostra spesso alterazioni proprie
dell’aterosclerosi come la ialinizzazione e la deposizione lipidica dell’intima, l’emorragia intramurale, la presenza di un cappuccio fibroso e la reazione infiammatoria, ma l’elemento peculiare degli AC è il significativo assottigliamento della parete
vasale in associazione ad una risposta infiammatoria superiore
a quella presente nel processo aterosclerotico. È stato dimostrato nei pazienti portatori di AC la presenza di indici infiammatori aumentati, una maggiore presenza di molecole di adesione e di migrazione dei globuli bianchi a livello della parete
vasale e una disregolazione del sistema delle metalloproteinasi, attivamente coinvolte nella proteolisi delle proteine della matrice extracellulare. Nelle forme di AC isolato, cioè non associato ad aterosclerosi coronarica, sembra giochi un ruolo importante una sovrastimolazione cronica dell’endotelio ad opera dell’ossido nitrico o di donatori di ossido nitrico, che condurrebbe nel tempo ad assottigliamento della tonaca media
della parete vasale. Una predisposizione genetica sarebbe suggerita dall’associazione degli AC con il genotipo DD dell’enzima di conversione dell’angiotensina, dalla maggiore frequenza
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della malattia nel sesso maschile e dall’associazione con condizioni ereditarie9,24.
PRESENTAZIONE CLINICA
Non sono descritti sintomi tipici associati alla presenza di AC e
lo spettro di presentazione clinica è molto ampio e variabile. I
pazienti possono essere del tutto asintomatici, o lamentare solamente i sintomi extracardiaci della concomitante vasculite o
malattia del tessuto connettivo. La manifestazione clinica più
frequente è comunque la cardiopatia ischemica sia perché nella maggior parte dei casi gli AC si associano a stenosi aterosclerotiche coronariche sia perché, anche in assenza di concomitanti stenosi coronariche, gli AC possono determinare in vari modi ischemia. La presentazione comprende l’angina da sforzo stabile, le sindromi coronariche acute (SCA) e la morte improvvisa. In una serie di pazienti sono stati dimostrati, pur in
assenza di malattia coronarica stenosante, la presenza di angina da sforzo, test provocativi di ischemia positivi e ridotta riserva coronarica. L’ischemia miocardica indotta dallo sforzo in
questi pazienti potrebbe essere causata sia dal rallentamento
del flusso dovuto agli AC sia ad una disfunzione del microcircolo (Krueger).
La SCA è la presentazione iniziale nel 30-50% dei casi e
può essere il risultato dell’instabilizzazione di lesioni aterosclerotiche all’interno dei segmenti ectasici delle arterie coronarie,
lesioni che nei pazienti con AC sembrano essere altamente infiammate e formate da placche ad alto rischio di ulcerazione.
Diversi casi clinici hanno tuttavia dimostrato la possibilità della
sola trombosi come causa di SCA in assenza di una lesione
ostruttiva coronarica. La SCA in questi casi sarebbe dovuta alle ripetute disseminazioni di microemboli a partenza dall’AC
nei segmenti vascolari distali alla dilatazione, oppure all’occlusione trombotica acuta a livello dell’AC. Le arterie coronarie ectasiche tendono inoltre a sviluppare vasospasmo che può contribuire alla patogenesi della SCA2,9,10.
Gli AC possono rompersi, anche se questa presentazione
clinica è più rara. La rottura può avvenire verso una cavità a
bassa pressione, come atrio o ventricolo destro o seno coronarico, dando luogo alla formazione di uno shunt sin-destro acquisito10. È stata anche descritta la rottura di AC in pericardio,
con tamponamento cardiaco immediato, in caso di aneurismi
micotici.
Gli AC giganti possono in casi eccezionali determinare sintomi da compressione delle strutture cardiache o extracardiache
contigue2,9,10,25,26.
PROGNOSI
Da un punto di vista prognostico, bisogna distinguere tra AC
isolati ed AC associati a coronaropatia ostruttiva. Nel pazienti
con concomitante patologia stenosante coronarica, che sono la
maggior parte dei pazienti, la presenza degli AC non sembra
conferire un rischio aggiuntivo a quello rappresentato dalle stenosi coronariche, e la presentazione clinica e le complicanze
cardiache a lungo termine sono quelle tipiche della malattia
aterosclerotica coronarica4.
In un’ampia serie derivata dallo studio CASS, la presenza di
AC non ha mostrato effetti significativi sulla sopravvivenza a 5
anni dei pazienti con malattia delle arterie coronarie rispetto ai
pazienti con malattia delle arterie coronarie in assenza di aneu-
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rismi (75 vs 81%). Dalla letteratura appare invece che i pazienti con AC isolati, cioè senza significative stenosi coronariche
epicardiche associate, abbiano una prognosi peggiore rispetto
alla popolazione generale, a conferma che gli AC isolati non
possano essere considerati un reperto di per sé benigno. Nei
pazienti con la forma isolata di AC è stata infatti chiaramente
documentata la presenza di angina, di test provocativi positivi
per ischemia miocardica e di SCA nonostante l’assenza di stenosi. I dati attualmente disponibili riportano per queste forme
di AC isolati un tasso di mortalità di circa 2% all’anno9,10. Al di
fuori di queste considerazioni generali, gli elementi che determinano la prognosi nel singolo paziente sono: la localizzazione
dell’AC (prognosi peggiore se localizzazione prossimale), le dimensioni dell’AC (prognosi peggiore quanto maggiore è il diametro), la progressiva espansione nel tempo dell’AC, la presenza di trombosi murale all’interno dell’AC, la presentazione
clinica con SCA27.
TECNICHE DIAGNOSTICHE E FOLLOW-UP
L’angiografia coronarica e le metodiche invasive ad essa associate rappresentano la principale tecnica per la diagnosi e la caratterizzazione degli AC. L’angiografia permette di porre la diagnosi
di AC, di valutarne dimensioni, morfologia, localizzazione, distribuzione e fornisce informazioni circa la presenza di stenosi o
altre anomalie coronariche associate. Essa consente inoltre di apprezzare le anomalie reologiche comuni in presenza di AC. Segni
angiografici di flusso turbolento e stagnante includono una ritardata progressione anterograda del contrasto, il fenomeno del
reflusso all’interno del segmento e la deposizione di contrasto
nel segmento coronarico dilatato9. Analisi angiografiche quantitative, come il “TIMI frame count”, un indice di velocità del flusso coronarico lungo l’intera arteria epicardica, rivelano tipicamente un flusso rallentato in presenza di AC ed EC28,29. L’ecografia intracoronarica (IVUS) è uno strumento molto utile per valutare le dimensioni del lume, caratterizzare i cambiamenti della
parete arteriosa e dimostrare la presenza di carico ateromatoso
negli AC. Una specifica abilità dell’IVUS è quella di consentire la
differenziazione tra i veri e i falsi AC, questi ultimi causati da rottura ed erosione di placca (possibile causa di SCA), procedure di
interventistica coronarica o traumi toracici30,31.
Tra le metodiche non invasive utili alla diagnosi di AC ed
EC ricordiamo l’ecocardiografia, la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN)32-34.
L’ecocardiografia transtoracica o transesofagea consente di individuare AC situati nei segmenti prossimali delle coronarie. La
TAC coronarica è uno strumento molto utile per la valutazione
diagnostica iniziale degli AC. Essa fornisce informazioni precise
su morfologia, caratteristiche di parete, rapporti anatomici; è
utile in funzione diagnostica differenziale; inoltre la misura dell’attenuazione di contrasto con la TAC correla bene con le alterazioni del flusso valutate con la classica coronarografia. Al di
fuori della caratterizzazione diagnostica iniziale, la TAC è un’utile metodica per seguire nel follow-up la progressione dell’AC,
anche se è gravata dal limite dell’alta dose di radiazioni ionizzanti. Di recente, la RMN è stata utilizzata con successo per valutare l’anatomia coronarica in pazienti con AC e nella sindrome di Kawasaki. La RMN permette la visualizzazione nella maggior parte dei casi, dei segmenti prossimale e medio del tronco
comune, della discendente anteriore e della coronaria destra. Il
maggiore vantaggio della RMN rispetto alla TAC è quello di non
GLI ANEURISMI CORONARICI
esporre il paziente a somministrazione di mezzo di contrasto nefrotossico e radiazioni ionizzanti, caratteristiche particolarmente accattivanti soprattutto per il follow-up a lungo termine dei
pazienti affetti da AC. Inoltre in futuro, quando completata con
i dati sul flusso coronarico, potrebbe fornire informazioni circa
la possibilità di occlusione trombotica del vaso aneurismatico.
In sintesi, attualmente la coronarografia rimane la metodica principale per la diagnosi di AC, in particolare se associata ad
IVUS per una precisa definizione delle dimensioni e caratterizzazione delle componenti di parete degli AC. In fase diagnostica iniziale può giocare un ruolo anche la TAC coronarica, in
particolare per la sua abilità nel definire i rapporti anatomici e
nell’escludere altri tipi di patologie. La diagnosi differenziale si
pone con: cisti pericardiche, dilatazioni del seno coronarico, dilatazioni di fistole coronariche congenite, tumori cardiaci. Da
un punto di vista diagnostico eziologico, in caso di giovani adulti che si presentino con AC, bisognerà valutare la presenza di
una malattia di Kawasaki misconosciuta. Le più importanti caratteristiche cliniche che suggeriscono AC dovuti alla malattia
di Kawasaki sono una storia di malattia compatibile nell’infanzia, la razza asiatica, la posizione prossimale degli aneurismi, la
presenza di aneurismi >8 mm, la giovane età (<30 anni) e l’assenza di significative stenosi coronariche. L’osservazione di AC
isolati, senza aterosclerosi, tra i pazienti di età <50 anni deve
suggerire la presenza di disturbi del tessuto connettivo e di vasculiti, e pertanto in tali circostanze sono raccomandabili ulteriori indagini diagnostiche sia a fini di conferma eziologica sia
per la valutazione della presenza di aneurismi in altri distretti
vascolari quali quello intracranico, addominale e renale.
Il corretto follow-up degli AC è materia piuttosto incerta.
L’ecocardiografia transtoracica o transesofagea può essere utilizzata per il follow-up degli AC situati nei segmenti coronarici
prossimali e nei bambini. Negli altri casi, il follow-up è reso non
poco problematico dalla necessità di ripetute angiografie e/o
TAC coronariche, con tutte le implicazioni in termini di invasività ed esposizione a radiazioni ionizzanti che esse comportano. In prospettiva futura, per ovviare a queste limitazioni, sarebbe auspicabile l’utilizzo più esteso della RMN cardiaca.
TERAPIA
Ad oggi persistono considerevoli controversie circa il trattamento ottimale dei pazienti con AC. Tale incertezza è conseguenza del fatto che le evidenze disponibili sono poche e deri-
vano da casistiche limitate a singoli centri e non da ampi studi
controllati dedicati, i quali appaiono peraltro di difficile realizzazione. In linea generale, la strategia terapeutica viene solitamente individualizzata nel singolo paziente sulla base di: presentazione clinica, dimensioni e localizzazione dell’AC e presenza di coronaropatia ostruttiva associata. Nei pazienti con AC
e coronaropatia ostruttiva associata, le strategie terapeutiche
sono per lo più trainate dalla presenza della coronaropatia
ostruttiva per quanto riguarda la prevenzione primaria/secondaria, il trattamento in fase acuta e le indicazioni alla rivascolarizzazione35. La gestione terapeutica dei pazienti con AC isolati, senza coronaropatia ostruttiva associata, risulta invece meno codificata (Tabella 2).
Terapia interventistica
Il trattamento interventistico degli AC mostra alcune peculiarità. Nel caso l’obiettivo interventistico sia trattare mediante stent
una stenosi coronarica adiacente a segmenti aneurismatici, di
fondamentale importanza è il corretto dimensionamento dello
stent, sia in termini di lunghezza che di diametro, e la sua ottimale apposizione ed espansione. Questo obiettivo può essere
ottenuto in maniera ottimale mediante l’utilizzo dell’IVUS. In generale, laddove si utilizzino stent “balloon expandable”, la strategia che permette di minimizzare il rischio di perdita dello stent
in coronaria e/o malapposizione è quella di impiantare stent di
lunghezza strettamente limitata al tratto stenotico, evitando di
atterrare con lo stent nell’AC adiacente. Un’alternativa di recente introduzione è l’utilizzo di stent coronarici medicati autoespandibili in nitinolo (STENTYS SA, Parigi, Francia), in grado
di adattarsi ai differenti calibri vasali dei pazienti con AC di tipo
aterosclerotico, i quali presentano tipicamente aneurismi adiacenti a stenosi coronariche serrate36 (Figura 4). Questo tipo di
stent riesce ad esercitare la sua funzione di impalcatura in un
intervallo di diametri vasali, ovvero è in grado di adattarsi a differenti diametri garantendo un’ottimale apposizione di parete.
Nel caso l’obiettivo interventistico sia la chiusura dell’AC, le
opzioni percorribili sono essenzialmente tre: l’impianto di stent
ricoperti, la tecnica del “doppio stent” e l’embolizzazione con
spirali. L’approccio più semplice è rappresentato dall’impianto di
un singolo stent ricoperto da tratto sano a tratto sano, per
escludere l’AC. Questa strategia non è tuttavia sempre percorribile per le limitazioni nelle misure degli stent ricoperti e in presenza di significativi rami collaterali che nascono dalla zona dell’AC. Se un singolo stent ricoperto è troppo corto, può essere
Tabella 2. Opzioni terapeutiche nei pazienti con aneurisma coronarico isolato (senza coronaropatia ostruttiva associata).
Scenario clinico-anatomico
Terapia
AC isolato asintomatico
Antiaggregante
Statina
Antiaggregante e anticoagulante
Correzione radicale percutanea o chirurgica (?)
Antiaggregante (e/o anticoagulante?)
Statina
Calcioantagonista, betabloccante (evitare nitrati)
Rivascolarizzazione come da linea guida
Duplice terapia antiaggregante come da linea guida
In caso di recidiva, considerare aggiunta dell’anticoagulante
Statina
AC isolato “gigante” asintomatico
AC isolato sintomatico per angina da sforzo
AC isolato sintomatico per SCA
AC, aneurisma coronarico; SCA, sindrome coronarica acuta.
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A RUSSO ET AL
Figura 4. Paziente con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST. Coronaria destra (vaso colpevole) con aneurismi alternati a stenosi significative (a,b). Impianto di stent autoespandibili multipli (STENTYS SA, Parigi, Francia) (c,d), postdilatati
con pallone non compliante di diametro 6 mm (e). Risultato finale
con buona espansione ed apposizione degli stent (f), i quali si adattano perfettamente ai differenti diametri del vaso (g).
impiantato uno stent non ricoperto sufficientemente lungo da
tratto sano a tratto sano, in grado di fornire un’impalcatura per
il successivo impianto al suo interno di due o più stent ricoperti che portano all’obliterazione dell’aneurisma37,38. Una tecnica
alternativa, detta del ”doppio stent” consiste nell’impianto di
due (o più) stent non ricoperti, uno all’interno dell’altro, allo
scopo di ridurre la permeabilità di sangue dal lume vasale alla
sacca aneurismatica, così da promuovere la stasi ematica fino alla completa trombosi dell’aneurisma39 (Figura 5). In caso l’AC sia
contiguo ad un ramo secondario di grosse dimensioni, che verrebbe occluso con uno stent ricoperto con conseguente infarto miocardico periprocedurale, è possibile utilizzare una tecnica di embolizzazione “stent-assistita” derivata da tecniche di
neuroradiologia interventistica, la quale consente di minimizzare il rischio di embolizzazione accidentale non voluta di spirali
nel vaso coronarico a valle dell’AC40. La tecnica consiste nell’impiantare uno stent non ricoperto sull’AC; posizionare un microcatetere all’interno dell’AC, attraverso le maglie dello stent;
rilasciare spirali nella sacca aneurismatica attraverso il microcatetere fino ad ottenimento della chiusura dell’AC (Figura 6).
Terapia chirurgica
La correzione chirurgica degli AC consiste solitamente in interventi di escissione e legatura dell’AC associati a bypass della
coronaria affetta. Nel caso invece la manifestazione degli AC sia
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Figura 5. Malattia critica calcifica della coronaria destra prossimale
e media (a). Aterectomia rotazionale con Burr da 1.5 mm (b), complicato da formazione di ampio pseudoaneurisma; paziente asintomatico, non versamento pericardico all’ecocardiogramma (c). Persistenza dello pseudoaneurisma dopo impianto di stent non ricoperto e prolungate dilatazioni con pallone previa neutralizzazione dell’eparina con protamina (d). Al controllo a 24h, persistenza dello
pseudoaneurisma; tentativi di avanzamento di stent ricoperto inefficaci; con tecnica del “doppio stent” posizionamento di due stent
non ricoperti, non medicati, a livello del colletto dello pseudoaneurisma (e). Controllo angiografico a 48h, che mostra completa obliterazione dello pseudoaneurisma (f); sono evidenti senza mezzo di
contrasto i tre strati di stent sovrapposti a livello del colletto dell’aneurisma (freccia) (g). Buon risultato angiografico al controllo coronarografico a 8 mesi (h).
la cardiopatia ischemica, il riscorso alla cardiochirurgia è per lo
più dettato da ragioni anatomiche che rendano non percorribile
un intervento percutaneo (Figura 7). Il ricorso alla chirurgia è
probabilmente la migliore strategia anche in caso di AC che determinino compressione di camere cardiache o di AC fistolizzati
che realizzino shunt severi acuti. Infine, in presenza di AC giganti, molti esperti ritengono che la sola terapia medica non
sia sufficiente, stante il rischio elevato di complicanze tromboemboliche e di rottura, e invocano il ricorso alla correzione radicale chirurgica9-11.
Terapia medica
Il riscontro di un significativo rallentamento di flusso e la descrizione di trombosi all’interno di AC anche in assenza di stenosi coronariche, sono elementi che giustificano secondo la
maggior parte degli esperti un’indicazione alla terapia antitrombotica con antiaggregante e/o anticoagulante anche in
prevenzione primaria. La migliore combinazione di terapia antitrombotica – singola terapia antiaggregante, duplice terapia
GLI ANEURISMI CORONARICI
Figura 6. Aneurisma sacciforme all’origine della discendente anteriore (a,b). Dopo posizionamento di microcatetere dentro la sacca
aneurismatica (frecce chiuse), impianto di stent medicato (freccia
aperta) su tronco comune-discendente anteriore (c). Il microcatetere rimane intrappolato sotto le maglie dello stent (d). Attraverso il
microcatetere, vengono rilasciate spirali dentro la sacca aneurismatica fino alla sua completa obliterazione (e). Il microcatetere viene rimosso, la procedura viene conclusa con un “kissing balloon”, con
un buon risultato angiografico finale (f).
antiaggregante o combinazione di terapia antiaggregante e anticoagulante – e la sua durata non è ancora stata stabilita e va
definita nel singolo paziente sulla base delle manifestazioni cliniche, del quadro anatomico e del rischio emorragico.
Nei pazienti che si presentano con SCA, si raccomanda una
duplice terapia aggregante con aspirina e un inibitore P2Y12,
indipendentemente dalla strategia conservativa o invasiva perseguita; il prolungamento della duplice terapia antiaggregante
oltre i 12 mesi in questi pazienti è oggetto di dibattito, ed è ragionevole prenderlo in considerazione nel singolo paziente. La
durata della doppia terapia antiaggregante dopo impianto di
stent ricoperto è anch’essa argomento controverso, ma è prudente considerare una duplice terapia antiaggregante prolungata stante la dimostrata ritardata endotelizzazione di questo
tipo di stent, a cui si associa un aumentato rischio di trombosi
subacuta e tardiva. Nei pazienti che presentano una recidiva di
SCA in corso di duplice terapia antiaggregante, qualora la lesione colpevole sia l’AC con ragionevole certezza, va considerata l’associazione di terapia antiaggregante e terapia anticoagulante con warfarin (INR tra 2.0 e 2.5) se la strategia perseguita è di tipo conservativo. Un altro scenario nel quale trova
ampio consenso la somministrazione in associazione di terapia
antiaggregante e anticoagulante è in presenza di AC giganti,
sulla base delle evidenze raccolte nella gestione a lungo termine dei pazienti con sequele della malattia di Kawasaky19.
L’elevata associazione tra AC ed aterosclerosi giustifica inol-
Figura 7. Paziente con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST. Stenosi subocclusiva della coronaria destra
nell’ambito di voluminoso aneurisma coronarico (a-c). Occlusione
prossimale della discendente anteriore (d), con circolo collaterale
eterocoronarico dal ramo del cono della polmonare (e). Il paziente
è stato sottoposto a trattamento cardiochirurgico mediante duplice
bypass aortocoronarico (in mammaria interna su discendente anteriore e in vena safena su coronaria destra) e aneurismectomia dell’aneurisma della coronaria destra.
tre un’aggressiva modificazione dei fattori di rischio. In particolare, trova ampia indicazione l’utilizzo delle statine, le quali
potrebbero oltre che agire sul profilo lipidico anche giocare un
ruolo inibendo le metalloproteinasi della matrice, che sono implicate nella patogenesi degli AC. I nitrati sembrano esacerbare l’ischemia miocardica mediante un meccanismo di furto e
dovrebbero essere evitati nei pazienti con la forma isolata di
AC o EC, mentre ampio utilizzo trovano i calcioantagonisti e i
betabloccanti. L’utilizzo di inibitori dell’enzima di conversione
dell’angiotensina ha un razionale per il loro effetto terapeutico
sulla disfunzione endoteliale e alla luce dell’associazione tra polimorfismo del gene ACE e AC, ma i dati disponibili non sono
ancora tali da permettere una raccomandazione forte a riguardo. Il riscontro di AC nell’ambito di malattie infiammatorie o
infettive, infine, rende necessario, oltre alle misure terapeutiche suddette, anche la somministrazione di terapia specifica
antinfiammatoria e antimicrobica9-11.
Terapia in caso di infarto miocardico
con sopraslivellamento del tratto ST
La terapia interventistica in caso di infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) dovuto a trombosi di AC
non è codificata e rappresenta spesso una sfida per il cardiologo interventista. Il grande diametro vasale e la presenza di maG ITAL CARDIOL | VOL 16 | LUGLIO-AGOSTO 2015
415
A RUSSO ET AL
teriale trombotico estremamente abbondante in questi scenari rende spesso necessario il ricorso a tecniche di trombectomia
reolitica per poter ottenere un’adeguata ricanalizzazione del
vaso colpevole. L’impianto dello stent, qualora necessario per
presenza di stenosi associata, può rappresentare in sfida tecni-
camente difficile per la contiguità di stenosi e dilatazione aneurismatica ed associarsi a un aumentato rischio di malapposizione; promettenti in questo scenario anatomico sembrano i risultati preliminari ottenuti con l’utilizzo di stent autoespandibili in grado di adattarsi a differenti diametri vasali36,41. Nei casi di
STEMI da trombosi di AC isolato, senza stenosi associata, spesso è possibile ottenere una ricanalizzazione efficace senza impianto di stent mediante utilizzo di trombectomia e l’infusione
di inibitori IIb/IIIa o fibrinolitici42 (Figura 8).
CONCLUSIONI
Gli AC sono un condizione anatomica rara, che riconosce come eziologia principale l’aterosclerosi. Pur non essendo chiarito ancora l’esatto processo patogenetico, l’insieme di dati attualmente disponibili indica nell’assottigliamento della tonaca
media conseguente ad un processo infiammatorio il meccanismo più probabile. Lo spettro di presentazione clinica va dall’assenza di sintomi, alle SCA, fino alla morte improvvisa. Per
un’esatta definizione diagnostica, la coronarografia rimane ancora l’esame di riferimento. La gestione terapeutica non è codificata e va personalizzata in ogni singolo caso. La terapia medica si fonda su un’aggressiva modifica dei fattori di rischio cardiovascolare e su una terapia antitrombotica, antiaggregante
e/o anticoagulante, calibrata sul profilo di rischio clinico e anatomico del paziente. In caso sia indicata la correzione radicale,
oltre alla tradizionale cardiochirurgia sono disponibili efficaci
tecniche interventistiche percutanee in grado di determinare
l’obliterazione aneurisma.
RIASSUNTO
Figura 8. Paziente con infarto miocardico inferiore con sopraslivellamento del tratto ST. Occlusione acuta della coronaria destra prossimale, da trombosi su aneurisma (a). Ripristino di flusso TIMI 1 dopo passaggio di guida idrofilica, con evidenziazione di trombosi massiva (b). Trombectomia manuale (c) con passaggi multipli, alternata
a dilatazioni con pallone (d), associati a somministrazione di inibitori IIb/IIIa. Risultato finale dell’angioplastica primaria, con paziente
asintomatico ed ECG normalizzato. Controllo angiografico dopo
12h di infusione endovenosa di inibitore IIb/IIIa.
Gli aneurismi coronarici sono definiti come dilatazioni coronariche
superiori di 1.5 volte il diametro maggiore del segmento coronarico adiacente. Essi rappresentano un reperto relativamente raro alla coronarografia, con una prevalenza che varia dallo 0.3% al 5%
a seconda delle casistiche. Il loro riscontro rappresenta spesso un dilemma gestionale per il clinico e l’interventista dal punto di vista
diagnostico, terapeutico e di follow-up. La presente rassegna analizza gli aspetti eziologici, patogenetici, clinici e terapeutici degli
aneurismi coronarici alla luce delle più recenti ricerche sull’argomento.
Parole chiave. Aneurisma coronarico; Diagnosi; Eziologia; Terapia.
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