Nuova luce sul glaucoma

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nn Medicina Testato su tre pazienti il fattore di crescita Ngf per il trattamento delle forme più gravi
Nuova luce sul glaucoma
Sottoforma di collirio ha migliorato la vista, il contrasto e il campo visivo
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n miglioramento del campo visivo, del contrasto e della vista
in senso ampio. Il fattore di crescita nervoso scoperto negli
anni 50 da Rita Levi Montalcini (Ngf-nerve growth factor)
può rappresentare una nuova via di cura in campo oculare.
Uno studio pubblicato su Pnas, rivista dell’Accademia Americana
delle Scienze svolto da un’équipe di oculisti dell’Università Campus
Biomedico di Roma in collaborazione con il Cnr e altri centri di ricerca,
ha infatti mostrato gli effetti di questa
molecola sottoforma di collirio per
il trattamento del glaucoma Già in
passato sono stati dimostrati i benefici
di questo fattore neuroprotettore in
alcune patologie dell’occhio, ora si
sta testando l’efficacia su una delle
malattie neurodegenerative più gravi,
per la quale non ci sono attualmente
grado di recuperare il danno
cure in gra
garantire un miglioramento
e quindi ga
paziente che ne è colpito. Il glaual pazient
che ha un’incidenza del 2-3% della popolazione, è una delle
coma, ch
cause più diffuse di cecità ed è causata dalla morte delle cellule che
conducono dalla retina al nervo ottico. Il danneggiamento del nervo
conducon
avviene a causa dell’ipertensione oculare e se questo processo non
fermato tende a degenerare. «Dapprima sono stati effettuati studi
viene ferma
su modelli animali di glaucoma per verificare la sopravvivenza delle
cellule, poi lo stesso approccio è stato applicato su tre pazienti in stato
di malattia che, seppur trattati con la terapia standard per
avanzato d
l’abbassamento della pressione oculare, continuavano a peggiorare»,
l’abbassam
commentato Alessandro Lambiase, ricercatore della clinica oculiha commen
dell’Università Campus Biomedico, «in tutti e tre i pazienti sono
stica dell’U
riscontrati miglioramento del campo visivo, del contrasto e degli
stati riscon
esami elettrofunzionali sulla vista». Il collirio è stato somministrato
per circa tre mesi e poi è stato eseguito un follow up a tre mesi e, su
due dei tre pazienti, un altro a 18 mesi. I pazienti hanno mantenuto il
miglioramento, anche se lievemente inferiore rispetto al termine della
terapia. «L’Ngf si ottiene dalle ghiandole animali, quindi per un utilizzo
in ambito clinico è necessario che venga sviluppato un ricombinante
umano, ossia un farmaco sintetico. Per questo è necessario attendere
alcuni anni, ma la ricerca può continuare per uso compassionevole,
ossia sui pazienti che stanno diventando ciechi», ha aggiunto Lambiase. Il fattore di crescita inibisce l’apoptosi delle cellule ganghionali
retiniche, ossia quelle che muoiono
nel glaucoma. Nell’animale si è visto
che per fare ciò l’Ngf aumenta marker
specifici e ne inibisce altri. Dal punto
di vista della funzionalità nel 70-75%
dei casi con una terapia attuata in
fase precoce è possibile ottenere una
stabilizzazione, ma ci sono casi in cui
la patologia tende a peggiorare anche
con un trattamento volto ad abbassare
la pressione dell’occhio. «Nel 20%
dei casi il danno progredisce, anche
perché esistono glaucomi a pressione normale, che quindi non sono
causati da ipertensione e sui quali i farmaci in uso hanno scarsi effetti»,
ha concluso il ricercatore. Tra le linee di ricerca più promettenti c’è
inoltre quella sull’uso di staminali per la ripopolazione delle cellule
ganghionali. Finora sono stati effettuati test sui modelli animali in cui
sono state isolate e impiantate le cellule che si sono trasformate ma
non si sono ancora collegate con i fasci nervosi. Un altro approccio,
destinato anch’esso ai pazienti più gravi, è quello dell’impianto di retina
artificiale, ossia una sorta di chip con telecamera che viene interfacciato a livello centrale e registra cambiamenti di luce e movimenti e
li trasmette poi alle zone corticali. I risultati finora ottenuti da équipe
statunitensi e britanniche, però, sono di modesta entità a causa della
bassa risoluzione delle immagini. (riproduzione riservata)
n n Salute Impiantato a Milano il primo dispositivo biodegradabile per riaprire un’arteria occlusa
Lo stent in polimero? Si riassorbe in 12 mesi
di Giulia Silvestri
U
no stent di nuova generazione per il trattamento
dell’occlusione arteriosa
in grado di riassorbirsi in un
anno. È stato appena impiantato
a Milano, presso l’Istituto Clinico
Sant’Ambrogio, un dispositivo a
elica in polimero plastico biodegradabile in grado di rimanere
in sede solo il tempo necessario
alla guarigione del paziente. Le
patologie vascolari periferiche
colpiscono in Italia circa 150
mila persone ogni anno e sono
causate in larga parte dalla formazione di placche ateroscle-
rotiche sulle pareti delle arterie
che portano poi all’ostruzione
del vaso. «Attraverso l’angioplastica percutanea, ossia il posizionamento di stent metallici,
è possibile mantenere dilatato
il tratto occluso», ha spiegato
Francesco Bedogni, direttore
dell’Unità operativa di cardiologia interventistica e radiologia cardiovascolare dell’Istituto
Clinico Sant’Ambrogio, primo
centro in Italia a effettuare un
trattamento clinico (test sperimentali di sicurezza sono in
corso in altri centri), «è però alta
l’incidenza di effetti secondari
derivati dalla permanenza in
loco degli stent. Si riscontrano
infatti rigidità articolare e ristenosi, frattura del dispositivo
e rischi di trombosi». Queste
spirali di fattura giapponese,
denominate Igaki-Tamai stent,
si riassorbono completamente in
9-12 mesi. «Gli studi iniziali sui
modelli animali hanno mostrato
anche con questi dispositivi casi
di ristenosi, ma questo dipende
esclusivamente da un’eventuale
progressione della malattia e la
percentuale è risultata molto
inferiore rispetto agli stent tradizionali», ha aggiunto Bedogni.
«Tutta la ricerca sta volgendo
verso questo tipo di soluzioni, e
presto saranno disponibili anche
stent riassorbibili per le arterie
coronariche, più piccole di quelle
periferiche». Attualmente inoltre
questi dispositivi possono essere
utilizzati in casi in cui le occlusioni non superino i 4 cm, lunghezza
massima degli stent finora disponibile. (riproduzione riservata)
Lampi
nel buio
Dio ha voluto
che lo sguardo dell’uomo
fosse la sola cosa
che non può nascondere
Dumas padre
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