L IN E G U D A S B T ,L R P -IS E U A M T C D R V IO L E :A U S N T C IV O Task Force sul Diabete e la Malattia Cardiovascolare della Società Europea di Cardiologia (ESC) e dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) Autori / Task Force Members: Lars Ryde´n, Co-Chairperson (Sweden)*, Eberhard Standl, Co-Chairperson (Germany)*, Małgorzata Bartnik (Poland), Greet Van den Berghe (Belgium), John Betteridge (UK), Menko-Jan de Boer (The Netherlands), Francesco Cosentino (Italy), Bengt Jo¨nsson (Sweden), Markku Laakso (Finland), Klas Malmberg (Sweden), Silvia Priori (Italy), Jan O¨stergren (Sweden), Jaakko Tuomilehto (Finland), Inga Thrainsdottir (Iceland). Partecipanti: Ilse Vanhorebeek (Belgium), Marco Stramba-Badiale (Italy), Peter Lindgren (Sweden) Qing Qiao (Finland). Comitato ESC per le linee guida (CPG): Silvia G. Priori, Chairperson (Italy), Jean-Jacques Blanc (France), Andrzej Budaj (Poland), John Camm (UK), Veronica Dean (France), Jaap Deckers (The Netherlands), Kenneth Dickstein (Norway), John Lekakis (Greece), Keith McGregor (France), Marco Metra (Italy), Joa˜o Morais (Portugal), Ady Osterspey (Germany), Juan Tamargo (Spain), Jose´ Luis Zamorano (Spain). Recensione: Jaap W. Deckers, CPG Review Coordinator (The Netherlands), Michel Bertrand (France), Bernard Charbonnel (France), Erland Erdmann (Germany), Ele Ferrannini (Italy), Allan Flyvbjerg (Denmark), Helmut Gohlke (Germany), Jose Ramon Gonzalez Juanatey (Spain), Ian Graham (Ireland), Pedro Filipe Monteiro(Portugal), Klaus Parhofer (Germany), Kalevi Pyo¨ra¨la¨ (Finland), Itamar Raz (Israel), Guntram Schernthaner (Austria), Massimo Volpe (Italy), David Wood (UK). INDICE DOCUMENTO 1 Preambolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Definizione, classificazione e screening per diabete, pre-diabete, alterazioni della glicemia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 Epidemiologia del diabete, IGH e rischio cardiovascolare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12 Identificazione dei soggetti ad alto rischio per diabete e malattie cardio vascolari. . . . . . . . . . . . . . . . 17 Terapia per la riduzione del rischio cardiovascolare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22 Gestione delle CVD. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 Scompenso cardiaco e diabete. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Aritmie: fibrillazione atriale e morte cardiaca improvvisa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Vascolopatia periferica e cerebrovascolare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Terapia intensiva. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 Aspetti economici e diabete. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 2 Preambolo Le linee guida e i documenti prodotti dalla Commissione di Esperti hanno lo scopo di fornire un mezzo per la gestione clinica e delle raccomandazioni che si basino su tutte le evidenze cliniche riguardanti un gruppo particolare di soggetti nel tentativo di aiutare il medico a scegliere la migliore strategia terapeutica per il singolo paziente affetto da una specifica malattia, prendendo in considerazione non solo l’effetto ottenuto bensì anche il rapporto tra rischio e beneficio di una particolare procedura diagnostica e terapeutica. Le linee guida con le rispettive raccomandazioni dell’ESC possono essere trovate sul sito web dell’ESC. In breve, l'ESC ha incaricato degli esperti in materia, di effettuare una valutazione completa e critica dell'uso delle procedure diagnostiche e terapeutiche e di valutare il rapporto rischio-beneficio delle terapie suggerite per il trattamento e/o la prevenzione di una data condizione. La forza dell’evidenza a favore o contro una particolare procedura diagnostica o di trattamento è costruita secondo scale predefinite per la classificazione delle raccomandazioni e tramite livelli di prova, come descritto sotto. Una volta che il documento è stato finito ed è stato approvato da tutti gli esperti coinvolti nella Task Force è stato presentato agli esperti esterni per la revisione. Ove necessario, il documento è stato modificato una o più volte per essere infine approvato dal comitato per le linee guida e dai membri selezionati dal direttivo dell'ESC. Il comitato dell’ESC per le linee guida (CPG) sorveglia e coordina la preparazione di nuove linee guida e dei Documenti di Consenso degli esperti redatti dalle Task Force, da gruppi di esperti, o dai comitati di consenso. Gli esperti scelti dai comitati sono chiamati a dichiarare tutti i rapporti che possono avere, che potrebbero essere percepiti come reale o potenziale conflitto d’interesse. Queste dichiarazioni sono conservate nello schedario della European Heart House, sede dell'ESC. La commissione è inoltre responsabile dell'approvazione di queste linee guida e dei documenti di consenso degli esperti Classi di raccomandazioni Classe I Evidenze e/o consenso generale per una procedura diagnostica/trattamento sia di beneficio, utile ed efficace Classe II Evidenze conflittuali e/o divergenze di opinioni circa l’utilità e l’efficacia del trattamento o della procedura Classe IIa Il peso delle evidenze/opinioni è a favore dell’utilità/efficacia Classe IIb L’utilità/efficacia è poco ben stabilita dalle evidenze/opinioni Classe III Evidenze e/o consenso generale che una procedura diagnostica/trattamento non sia utile ed efficace e che in alcuni casi potrebbe essere dannoso Tabella 1: classi di raccomandazione Livelli di Evidenza A Dati derivati da multipli trials clinici randomizzati o da meta-analisi B Dati derivati da un singolo trial clinico randomizzati da ampi studi non- randomizzati C Consenso di opinioni di esperti e/o studi piccoli, studi retrospettivi, registri Tabella 2: livelli di evidenza 3 Introduzione Il diabete e le malattie cardiovascolari (CVD) appaiono spesso come due facce della medesima moneta: il diabete mellito (DM) è stato considerato come un equivalente della malattia coronarica e per contro molti pazienti con malattia coronarica risultavano affetti da diabete o da prediabete. Pertanto, è ora che i diabetologi ed i cardiologi uniscano le loro forze per migliorare la qualità nella diagnosi e la cura per milioni di pazienti che presentano sia malattie cardiovascolari sia alterazioni metaboliche. L’approccio cardio-diabetologico non solo è di massima importanza per il bene di quei pazienti, ma è anche uno strumento per un’ulteriore progresso nei campi della cardiologia e della diabetologia e della prevenzione. L'ESC e l’EASD hanno accettato questa sfida ed hanno sviluppato insieme le linee guida per il diabete e la CVD. Agli esperti di entrambe le società è stato chiesto di formare un Task Force. La strategia principale del gruppo è descritta nella Figura1. È stato sviluppato un algoritmo per contribuire ad identificare la malattie cardiovascolare in pazienti con il diabete e viceversa, le alterazioni metaboliche in pazienti con malattia coronarica, stabilendo la base per una adeguata terapia congiunta. Questo riassunto, una versione ridotta del documento completo, è inteso per la pratica clinica del medico. Pone l’attenzione su precedenti lavori e sui riferimenti più rilevanti all’interno delle raccomandazioni date. Informazioni più dettagliate devono essere ricercate nel documento integrale. La numerazione delle note bibliografiche è la stessa sia nel testo integrale sia in questo documento. Le figure e le tabelle, tuttavia, sono numerate nell'ordine progressivo nel sommario esecutivo e quindi non necessariamente hanno gli stessi numeri nel documento integrale. Il testo completo inoltre contiene un capitolo dettagliato sui collegamenti patofisiologici fra le alterazioni del metabolismo dei carboidrati e le CVD e molte più informazioni sugli aspetti economici della gestione del diabete e delle CVD. Il testo integrale delle linee guida sarà disponibile sul Web nelle pagine di ESC/EASD (www.escardio.org e www easd.org). È un privilegio per i presidenti, che hanno potuto lavorare con gli esperti in materia reputati migliori al mondo, ora fornire queste linee guida alla Comunità dei cardiologi e dei diabetologi. Desideriamo ringraziare tutti i membri del gruppo di esperti, che hanno offerto generosamente la loro conoscenza, così come ai referenti per il loro input straordinario. I ringraziamenti speciali vanno al Professor Carl Erik Mogensen per i suo consigli sulle sezioni riguardanti la nefropatia diabetica e la microalbuminuria. Inoltre vorremmo ringraziare l'ESC ed il EASD per aver reso possibile queste linee guida. Per concludere, desideriamo esprimere il nostro apprezzamento per il gruppo che si occupa delle linee guida alla Heart House, in particolare a Veronica Dean, per il suo supporto estremamente utile. Stoccolma e Monaco, Settembre 2006 Professor Lars Ryden, Past-President ESC Professor Eberhard Stando, Vice-Presidente EASD 4 MALATTIA CARDIOVASCOLARE E DIABETE DIAGNOSI PRINCIPALE DM±CAD CAD non nota Ecg, Ecocardiografia, test da sforzo negativi Nella norma Follow-up DIAGNOSI PRINCIPALE CAD±DM CAD non nota Ecg, Ecocardiografia, test da sforzo positivi Consulenza cardiologica Anomalo Consulenza cardiologica Trattamento ischemia: non-invasivo o invasivo DM non noto OGTT, glicemia a digiuno, profilo lipidico, HbA1c. Se IMA o ACS scopo normoglicemia Nella norma Follow-up DM noto Screening per la nefropatia. Se scarso controllo (HbA1c >7%) Consulenza diabetologica Nuova diagnosi DM o IGT± sindrome metabolica: Consulenza diabetologica Figura 1: Algoritmo diagnostico per il paziente affetto da coronaropatie e/o diabete mellito Definizione, Classificazione e Screening del Diabete e delle Anomalie del Metabolismo Glucidico Pre-Diabete. Il diabete mellito è un disordine metabolico ad eziologia multifattoriale caratterizzato dalla presenza di iperglicemia cronica associata ad alterazioni del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine derivanti da una alterazione della secrezione dell’insulina, della sua azione o dalla combinazione di entrambe. 1 Il diabete di tipo 1 è dovuto alla mancanza virtualmente completa di produzione pancreatica endogena di insulina, mentre nel diabete di tipo 2, l’aumento della glicemia deriva dalla combinazione di un complesso di processi fisiopatologici derivanti dalla combinazione di predisposizione genetica, dieta scorretta, inattività fisica ed aumento di peso con un’aumentata obesità viscerale. Il DM è associato allo sviluppo a lungo termine di danno d’organo specifici dovuti all’insorgenza di complicanze microvascolari. I pazienti con il diabete sono inoltre ad un elevato rischio per lo sviluppo di malattia cardiovascolare, malattia cerebrovascolare e vasculopatia periferica. 5 Raccomandazioni La definizione ed i criteri diagnostici di diabete e di pre-diabete dovrebbero basarsi sul livello del conseguente rischio di complicanze cardiovascolari. Il metodo migliore per riconoscere stadi precoci di iperglicemia e diabete mellito di tipo 2 asintomatico è il carico orale di glucosio (OGTT) che fornisce sia la glicemia a digiuno che il valore di glicemia a 2 ore dal carico. Uno screening nel sospetto di diabete mellito di tipo 2 potrebbe essere fatto efficientemente tramite una valutazione del rischio non invasivo associato a un OGTT diagnostico in persone che presentano un rischio elevato. Classe Livello I B I B I A Tabella 3:raccomandazioni Definizione e Classificazione Del Diabete I criteri diagnostici per la valutazione delle alterazioni del metabolismo glucidico stabiliti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) 4,5 e dall'Associazione Americana del Diabete (ADA) 6,7 vengono riportati in Tabella 1. La classificazione del diabete (Tabella 2) include i tipi eziologici e i diverse stadi clinici dell’iperglicemia8. Sono state identificate quattro principali categorie eziologiche che possiamo distinguere: diabete di tipo 1, diabete di tipo 2, altri tipi specifici e il diabete gestazionale, come descritto nel documento del WHO4. Il diabete di tipo 1 è caratterizzato dalla mancanza di insulina dovuto a lesioni distruttive delle β-cellule pancreatiche, tipicamente si presenta in soggetti giovani, ma può presentarsi in qualsiasi età. 9 Le persone che presentano anticorpi anti β-cellule pancreatiche come gli anticorpi anti decarbossilasi dell'acido glutammico, è possibile che sviluppino sia il tipico esordio acuto o un diabete insulino dipendente a lenta progressione10,11. Il diabete di tipo 2 è determinato dalla combinazione di una diminuzione della secrezione insulinica e della diminuita sensibilità all'insulina. Le fasi iniziali del diabete di tipo 2 sono caratterizzate da una resistenza all’azione dell’insulina che causa iperglicemia eccessiva nel post-prandiale. Ciò è seguito da un peggioramento della prima fase di secrezione insulinica in risposta all’aumento della concentrazione di glucosio. 12 Il diabete di tipo 2 interessa più del 90% degli adulti affetti da diabete, tipicamente si sviluppa dopo l'età media. I pazienti sono spesso obesi e sedentari. Il diabete gestazionale costituisce un’alterazione del metabolismo del glucosio che si sviluppa durante la gravidanza e sparisce con il parto. Circa il 70% delle donne con diabete gestazionale svilupperà il diabete successivamente. 13 I criteri clinici di classificazione attualmente validi, pubblicati da WHO4 e dall’ADA7, sono attualmente in fase di revisione da parte del WHO. I criteri aggiornati verranno presto introdotti. 6 Le raccomandazioni WHO per la classificazione delle alterazioni del metabolismo glucidico sono basate sulla valutazione delle glicemia a digiuno e dopo 2 ore dal pasto e viene raccomandato che il carico orale con 75 g di glucosio venga eseguito in assenza di franca iperglicemia4. I valori soglia della glicemia a digiuno e dopo due ore dal pasto per la diagnosi di diabete sono stati determinati in base ai valori per i quali la prevalenza di retinopatia diabetica, una complicanza specifica dell’iperglicemia, tendeva ad aumentare. Sebbene le complicanze macrovascolari siano la principale causa di decesso nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 o da IGT, nella classificazione non è stata considerata la malattia macrovascolare. Il National Diabetes Data Group2 ed il WHO3 hanno coniato il termine IGT, una categoria intermedia fra normotolleranza del glucosio e diabete. L’ADA6 ed il WHO4 hanno proposto alcuni cambiamenti ai criteri diagnostici per il diabete ed hanno introdotto una nuova categoria denominata IFG (alterata glicemia a digiuno). L’ADA, recentemente, ha diminuito il valore soglia per IFG da 6.1 a 5.6 mmol/L7, ma questo è stato criticato ed ancora non è stato adottato dal gruppo di esperti del WHO, che suggeriscono di mantenere il valore soglia precedentemente indicato nel rapporto di consultazione del WHO del 1999. Questi criteri sono stati rivisti da un nuovo gruppo di esperti del WHO nel 2005. Per standardizzare le determinazioni del glucosio, è stato suggerito di utilizzare il plasma come campione principale. Molti centri utilizzano sia sangue intero o venoso o sangue capillare. I fattori di conversione per queste procedure sono stati riportati nella Tabella 3. La categorizzazione delle alterazioni metaboliche glucidiche basata su FPG può differire da quello basato su una glicemia a 2 h post-carico. Avere una FPG normale richiede la capacità di produrre una sufficiente secrezione basale di insulina e un’adeguata insulino-sensibilità epatica in grado di regolare il rilascio di glucosio da parte del fegato. Durante l’OGTT, la risposta normale data dall'assorbimento del carico di glucosio, riguarda sia la soppressione del rilascio di glucosio da parte del fegato sia l’aumento dell'assorbimento del glucosio da parte dei tessuti periferici, i.e. muscolo scheletrico. Mantenere la glicemia post-carico entro un range di normalità richiede una adeguata dinamica della risposta secretoria da parte delle β-cellule, sia in termini quantitativi che temporale, in associazione ad una adeguata sensibilità insulinica epatica e muscolare 1,16,17. Categoria glucometabolica ] Akosah KO, et al. (2003) Normotolleranza (NGR) ALTERATA GLICEMIA A DIGIUNO Fonte WHO Criteri di classificazione [mmol/L (mg/dL)] FPG ≤6.1 (110) +2h PG ≤7.8 (140) ADA (1997) FPG ≤ 6.1 (110) ADA (2003) FPG ≥ 5.6 (100) WHO FPG ≥ 6.1 (110) ≤ 7.0 (126) +2-h PG ≤ 7.8 (140) ADA (1997) FPG ≥ 6.1 (110) ≤ 7.0 (126) 7 ADA (2003) FPG ≥ 5.6 (100) ≤ 7.0 (126) Intolleranza ai carboidrati (IGT) WHO FPG ≤7.0 (126) + 2h PG ≥ 7.8 (140) ≤ 11.1 (200) WHO IFG o IGT Alterata omeostasi glicemica (IGH) Diabete mellito (DM) WHO FPG ≥ 7.0 (126) o 2h PG ≥ 11.1 (200) ADA (1997) FPG ≥ 7.0 (126) ADA (2003) FPG ≥ 7.0 (126) Tabella 4: Criteri utilizzati per la classificazione delle alterazioni glicometaboliche in accordo con WHO(1999) e ADA (1997 e 2003). I valori sono espressi come glicemia su plasma venoso. FPG (glicemia a digiuno); 2-h PG glicemia a 2 ore dal carico orale di glucosio (1 mmol / L= 18 mg / dl). La diagnosi di IGT è posta solo tramite OGTT. OGTT è effettato al mattino, dopo 8-14 ore di digiuno, raccogliendo un campione di sangue prima e dopo 2 ore dalla somministrazione di 75 g di glucosio sciolto in 250-300ml di acqua e assunto in 5 min (tempo stimato dall’inizio dell’assunzione). DM tipo 1 (distruzione della β-cellula, determina un deficit assoluto di insulina) Autoimmune Idiopatico DM tipo2 (determinato da un’importante insulino resistenza con relativo deficit di insulina oppure da un deficit secretivo importante con o senza insulino resistenza) Altri tipi specifici di DM ∗ Difetti genetici della funzione β-cellula ∗ Difetti genetici dell’azione insulinica ∗ Patologie del pancreas esocrino ∗ Endocrinopatie ∗ Farmaci o chemioterapici (es. corticosteroidi, farmaci anti depressivi, β-bloccanti, tiazidici ecc.) ∗ Infezioni ∗ Rare forme di diabete immuno-mediate ∗ Sindromi genetiche associate al diabete (es. sindrome di Down, atassia di Friedreich, sindrome di Klinefelter, sindrome di Wolfram. Diabete gestazionale b Tabella 5: classificazione eziologica dei disordini glicemici a a Sono stati scoperti sottotipi supplementari, si anticipa che loro saranno riclassificati all'interno della loro propria specifica categoria. b Include le forme di IGT e diabete durante la gravidanza. 8 ∗ Glicemia plasmatica (mmol/L) = 0.558 x 1.119 _ glicemia sangue intero (mmol/L) ∗ Glicemia plasmatica (mmol/L) = 0.102 x 1.066 _ glicemia capillare (mmol/L) ∗ Glicemia plasmatica (mmol/L) = 20.137 x 1.047 _ glicemia sierica (mmol/L) Tabella 6: fattori di conversione tra i valori di glicemia plasmatica rispettoa quella da sangue intero, capillare o siero L'emoglobina glicata L'emoglobina glicata (HbA1c), un’utile misura dell'efficacia del trattamento antidiabetico, è una media dei valori glicemici durante le 6-8 settimane precedenti, equivalente alla vita media degli eritrociti18. L’HbA1c non è mai stata suggerita come test diagnostico per il diabete. L’HbA1c è poco sensibile per i valori bassi. Un normale valore di emoglobina glicata non può escludere la presenza di diabete o di IGT. Markers di disordini glicometabolici Una difficoltà nella diagnosi del diabete è la mancanza di un indicatore biologico identificato e unico in grado di distinguere i soggetti con IFG, IGT o diabete dalle persone con il metabolismo glucidico normale. E’ stato discusso come marker l'uso dell’insorgenza di retinopatia diabetica. Il limite è che questa condizione diventa solitamente evidente solo dopo alcuni anni di esposizione all’iperglicemia.1,510 Finora, la mortalità totale e la malattia cardiovascolare non sono stati considerati per la definizione di le alterazioni glucidiche che determinano un rischio significativo. Nondimeno, la grande maggioranza delle persone con il diabete muore per CVD (malattia cardiovascolare) e le alterazioni asintomatiche del metabolismo glucidico raddoppiano la mortalità e il rischio di infarto del miocardio (IMA) e di ictus. La maggior parte delle persone affette da diabete di tipo 2 sviluppa CVD che è la complicanza più severa e costosa della retinopatia diabetica, la presenza di CVD dovrebbe essere considerata quando vengono definiti i “cutpoints” per la glicemia. Confronto tra FPG e glicemia 2 h post-carico Lo studio DECODE ha mostrato che il rischio di mortalità nella persone con elevato FPG è collegato a un concomitante aumento della glicemia a 2 h post-carico15,19,20. Pertanto, il valore soglia attuale per il diabete, basato sulla glicemia a 2h dal carico, di ≥11.1mmol/L potrebbe essere troppo alto. È stato notato che, sebbene un livello di FPG ≥7.0 mmol/L e un livello del glucosio post-carico a 2 h ≥11.1 mmol/L a volte si riscontrano negli stessi individui, altre volte possono non coincidere. Nello studio DECODE21 il reclutamento dei pazienti con diabete attraverso lo screening mediante FPG da solo o in associazione alla glicemia post-carico, ha evidenziato che solo il 28% dei pazienti presentavano entrambi i parametri alterati, il 40% ha presentato solo alterata glicemia a digiuno e il 31% solo il 9 criterio della glicemia a 2h dal carico. Fra coloro che presentavano il criterio della glicemia a 2h postcarico, il 52% non presentava il criterio della glicemia a digiuno e il 59% di coloro che presentava il criterio della FPG non presentava il criterio della glicemia a 2h dal carico. Screening per la Diagnosi di Diabete Stime recenti suggeriscono che 195 milioni di persone nel mondo intero sono affette da diabete. Questo numero nel 2030 aumenterà a 330, forse anche a 500 milioni23,24. Oltre il 50% di tutti i pazienti con diabete non viene diagnosticato21,22,34 rimanendo questi asintomatici per molti anni. Individuare questi pazienti è importante per la salute pubblica e per la pratica clinica quotidiana. Lo screening di massa per il diabete subclinico non è stata suggerito non essendo evidente il dato che la prognosi di tali pazienti migliorerebbe tramite una individuazione e un trattamento tempestivo25,26. Prove indirette suggeriscono che lo screening potrebbe presentare dei benefici, migliorando la possibilità di prevenire le complicanze cardiovascolari. In più, le persone con IGT potrebbero trarre beneficio dal cambiamento dello stile di vita e dall’intervento farmacologico atto a ridurre o far ritardare la progressione a diabete27. Figura 1: glicemia a digiuno e glicemia a 2h post-carico identificano differenti individui con diabete asintomatico. FPG, glicemia, su campione di plasma, a digiuno; 2hPG, glicemia, su campione di plasma, a 2h post-carico (adattato dallo studio DECODE21). Individuazione di persone ad alto rischio di diabete Generalmente le persone ad alto rischio di sviluppare diabete mellito e quelle con diabete asintomatico sono ignare della loro condizione di alto rischio. Sebbene sia stata rivolta molta attenzione alla rivelazione del diabete mellito di tipo 2 non diagnosticato, solo recentemente si è posto l’attenzione su coloro che mostrano lievi anomalie del metabolismo glucidico, che tendono a presentare gli stessi fattori di rischio tipici del diabete di tipo 2. Esistono tre metodi generali per l’individuazione precoce: (i)- misurazione della glicemia per valutare la prevalenza di alterata omeostasi glicemica (IGH); una 10 strategia che rileverà i casi di diabete misconosciuti; (ii)- utilizzo di dati demografici, clinici e di precedenti esami di laboratorio per determinare la probabilità di incidenza di diabete, una strategia che trascura lo stato attuale del metabolismo glucidico; (iii)- raccolta di informazioni attraverso questionari riguardo la presenza ed entità di alcuni fattori di rischio per il diabete di tipo 2, anche questa strategia trascura lo stato attuale del metabolismo glucidico. Gli ultimi due metodi possono servire come strumenti di screening iniziale e a basso costo, identificando un sottogruppo nella popolazione sul quale effettuare una valutazione attenta dello stato della glicemia. La seconda opzione, in particolare, è adatta per alcuni gruppi ad alto rischio inclusi i soggetti con preesistente CVD e donne che hanno avuto un diabete gestazionale, mentre la terza opzione è più adatta per la valutazione della popolazione generale (Figura 3). La valutazione della glicemia è necessaria in un secondo momento per tutti e tre gli approcci per determinare in modo preciso l’omeostasi glicemica, dal momento che il primo passo di screening non è diagnostico. È’ necessario un bilanciamento fra sensibilità e specificità per le diverse strategie. False diagnosi potrebbero essere un problema solo nel primo approccio, infatti nelle altre due metodiche in cui sono considerati i diversi fattori di rischio si hanno meno probabilità di incappare in errate classificazioni e di per se stesse dovrebbero già portare a modifiche dello stile di vita25. Includere più valutazioni della glicemia contribuirebbe a ottenere maggiori informazioni sullo stato glicemico, al contrario poche valutazioni risultano inconcludenti. Se una strategia non comprende l’esecuzione di un carico orale di glucosio (OGTT) in nessuno stadio non potrà essere determina la tolleranza ai carboidrati. La glicemia a digiuno e l’emoglobina glicata non forniscono informazioni utili riguardo l’escursione dei livelli glicemici nel post-prandiale o dopo carico di glucosio. È dunque necessario separare tre differenti quadri clinici: 1-la popolazione generale, 2-i soggetti con alterazioni metaboliche note includendo tra queste chi è obeso, iperteso o ha familiarità per il diabete mellito, 3- pazienti con CVD. Quando pazienti affetti da CVD presentano alterazioni metaboliche, nella maggioranza dei casi, la glicemia a 2 ore dal pasto risulta elevata mentre spesso la glicemia a digiuno risulta normale30. Quindi la sola valutazione della glicemia a digiuno dovrebbe essere evitata in questi pazienti. Poiché pazienti con CVD per definizione dovrebbero essere considerati ad alto rischio, non è necessario creare una stima del rischio di diabete separata, ma questi soggetti dovrebbero essere sottoposti ad un carico orale di glucosio. Nella popolazione generale, la strategia appropriata è iniziare dalla valutazione dei fattori di rischio come screening primario e associare la valutazione dei livelli glicemici per individuare i soggetti ad alto rischio31. Questa strategia predice il rischio di sviluppare diabete nei prossimo 10 anni con una accuratezza del 85% ed, inoltre, rivela i soggetti affetti da diabete asintomatico o con anomalie della tolleranza glucidica. 32,33 11 Figura 2:FINnish Diabetes Risk SCore (FINDRISC) per la stima del rischio di diabete tipo 2 nellarco di 10 anni in una persona adulta. (modificato da Lindstrom e Tuomilehto31) scaricabile dal sito www.diabetes.fi/english 12 Epidemiologia del diabete, alterata omeostasi glucidica (IGH) e rischio cardiovascolare Raccomandazioni La relazione tra iperglicemia e CVD dovrebbe essere considerata come un continuum. Per ogni punto percentuale (1%) di HbA1c esiste un definito incremento del rischio cardiovascolare. Il rischio cardiovascolare per i soggetti affetti da diabete conclamato è aumentato di 2-3 volte per gli uomini e di 3-5 volte per le donne rispetto ai soggetti senza diabete. I dati a riguardo la glicemia post prandiale (o post-carico) correlano meglio con il rischio CVD rispetto alla sola glicemia a digiuno, elevati valori glicemici post-prandiali (o post-carico) predicono inoltre incremento del rischio CVD nei soggetti con normale glicemia a digiuno. In particolare le alterazioni glicometaboliche determinano un aumentato rischio di morbidità e mortalità cardiovascolare nelle donne per cui necessitano di una maggiore attenzione. Classe Livello I A I A I A IIa B Tabella 7: Raccomandazioni Prevalenza delle malattie ed età Glicemia, età e sesso Nella popolazione europea la concentrazione media di glucosio post-prandiale nel sangue aumenta con l’età in particolare dopo i 50 anni. Le donne raggiungono concentrazioni più elevate rispetto agli uomini soprattutto dopo i 70 anni e probabilmente ciò è dovuto alla differenza di sopravvivenza degli uomini rispetto alle donne. La concentrazione media di glicemia a digiuno aumenta di poco con l’età. Nel periodo di età compreso tra i 30 e 69 anni è maggiore nei maschi rispetto alle donne e dopo i 70 anni è più alta nelle donne. Prevalenza di diabete ed IGH La prevalenza età specifica del diabete aumenta con l’età fino alla settima ottava decade parimenti in entrambi i sessi. (Figura 4). 14 La prevalenza è inferiore al 10% nei soggetti di età inferiore ai 60 anni, del 10-20% tra i 60-69 anni; il 15-20% del gruppo d’età più avanzata risultato precedentemente affetto da diabete ed una pari percentuale viene rilevato come diabete asintomatico. Questo suggerisce che il rischio di sviluppare diabete nella popolazione Europea è pari a 30-40%. La prevalenza di IGT aumenta linearmente con l’età, al contrario la prevalenza di alterata glicemia a digiuno non aumenta. Nelle persone di età media la prevalenza di IGH è circa 15% mentre negli anziani è pari 35-40%. La prevalenza di diabete ed IGT definita da iperglicemia postprandiale è 13 aumentata nelle donne rispetto agli uomini mentre la prevalenza di diabete e IFG diagnosticata mediante il valore di glicemia a digiuno è più alta negli uomini che nelle donne. 14 Diabete e malattia coronarica Nella popolazione europea adulta affetta da diabete la causa principale di morte è la coronaropatia (CAD). Alcuni studi hanno dimostrato che il rischio dei soggetti diabetici è aumentato di due-tre volte rispetto alla persone non affette da diabete39. Ci sono notevoli differenze nella prevalenza della CAD nei pazienti affetti da diabete di tipo 140 e tipo 2 ed anche nelle diverse popolazioni. Nello studio EURODIAB IDDM Complication Study, sono stati arruolati 3250 soggetti affetti da diabete di tipo 1 in 16 paesi europei, la prevalenza di CVD era del 9% nei maschi e del 10% nelle femmine, 43 aumentando con l’età, dal 6% nel gruppo di età tra 15-29 anni al 25% nel gruppo tra 45-59 anni, e con la durata di malattia. Nel diabete di tipo 1 il rischio di CAD aumenta drammaticamente con la comparsa della nefropatia diabetica. Più del 29% dei pazienti con diabete di tipo 1 insorto nell’infanzia e nefropatia, con una durata di malattia oltre 20 anni, presenteranno CAD in confronto a solo il 2-3% nei soggetti senza nefropatia44. Alcuni studi confrontano il grado di rischio per CAD associato a storia di diabete di tipo 2 o alla presenza di pregressa CAD. In 51735 uomini e donne Finlandesi di età compresa tra 25-74 anni, seguiti per 17 anni, si sono verificati 9201 decessi. Il rischio combinato per mortalità coronarica, aggiustato per altri fattori di rischio49, tra uomini con solo diabete, solo IMA o con entrambe le condizioni erano rispettivamente 2.1, 4.0 e 6.4 in confronto a soggetti sani. Il corrispettivo rischio per le donne era 4.9, 2.5, 9.4 mentre il rischio per la mortalità totale era 1.8, 2.3, 3.7 negli uomini e 3.2, 1.7 e 4.4 nelle donne. Uomini e donne affetti da diabete hanno avuto medesimi tassi di mortalità totale, mentre la mortalità coronarica tra gli uomini era marcatamente più elevata. Dunque una storia di diabete e di IMA aumenta significativamente la mortalità per CAD e per tutte le cause. L’effetto relativo del diabete era maggiore nelle donne mentre l’effetto relativo di storia di IMA era più evidente fra gli uomini. L’aumento del rischio per CAD nei soggetti affetti da diabete mellito è stato spiegato solo parzialmente dalla concomitanza di altri fattori di rischio fra cui l’ipertensione arteriosa, l’obesità, la dislipidemia e il fumo. Dunque, lo stato di diabete o l’iperglicemia in se e le relative complicanze sono molto importanti nell’aumentare il rischio di CAD e la mortalità correlata. Un ulteriore supporto all’importante correlazione tra diabete e IMA è stato ottenuto dall’Interheart Study160. Il diabete aumenta il rischio di due o tre volte sia negli uomini che nelle donne indipendentemente dall’origine etnica. 14 Figura 2 IGH e CAD Rischio cardiovascolare e iperglicemia post-prandiale. La maggior discrepanza nella classificazione dell’omeostasi glicemica tra i criteri formulati da WHO e ADA si pone sulla modalità di diagnosi del diabete che dovrebbe essere posta in base alla media delle glicemia a digiuno o a 2 h post-carico. Pertanto è clinicamente rilevante conoscere come queste due entità siano collegate alla mortalità e al rischio per CVD. Nel Japanese Funagata Diabetes Study, l’analisi di sopravvivenza conclude che i soggetti con IGT, ma non i soggetti IFG presentino un aumentato rischio per CVD63. In un recente studio finlandese, la condizione di IGT all’inizio risultava essere un fattore di rischio indipendente predittivo di evento CVD, di morte precoce CVD e per tutte le cause; dato non confuso dallo sviluppo di diabete clinico29 durante il follow-up. Il Chicago Heart Study che coinvolgeva circa 12000 soggetti senza storia di diabete mostrava che i soggetti di razza bianca con iperglicemia asintomatica (a 1h dal carico ≥ 11.1 mmol/l o ≥ 200mg/dl) presentavano un aumentato rischio di morte per CVD rispetto ai soggetti con glicemia post-prandiale bassa (<8.9mmol/l o 160 mg/dl). 58 Diversi studi hanno valutato l’associazione tra CVD e la glicemia a 2 ore dal carico. Sulla base di studi longitudinali effettuati nelle Mauritius, Shaw e colleghi 62 riportarono che le persone con isolati picchi iperglicemici post-prandiali presentavano una mortalità per CVD raddoppiata rispetto ai soggetti non diabetici, mentre non c’era un significativo incremento del rischio per la sola iperglicemia a digiuno (FPG ≥ 7.0mmol/l o 126mg/dl) e per glicemie a 2 ore dal carico <11.1mmol/l o 200mg/dl. 15 L’evidenza più convincente della relazione tra l’incremento del rischio per CVD ed alterata tolleranza ai carboidrati è stata documentata dallo studio DECODE, analizzando l’unione dei dati provenienti da 10 coorti europee includendo 22.000 soggetti68,69. Il tasso di morte per tutte le cause, per CVD e per CAD era maggiore nei soggetti affetti da diabete diagnosticato mediante la valutazione della glicemia a 2 ore dal pasto, rispetto a quelli che non raggiungevano tale criterio diagnostico. Un aumento significativo di mortalità era stato osservato anche per i soggetti IGT mentre non si è evidenziata differenza tra i soggetti con alterata o normale glicemia a digiuno. Un’analisi multivariata mostra che un elevata glicemia a 2h dal carico predice il rischio di mortalità per tutte le cause, CVD e CAD, dopo aggiustamento per gli altri fattori di rischio cardiovascolari, mentre ciò non avviene per la sola elevata glicemia a digiuno. Elevati livelli di glicemia a 2h dal carico sono predittivi di mortalità in modo indipendente dai livelli di FPG, mentre l’aumento di mortalità nei soggetti con elevata FPG correla fortemente con l’elevata glicemia a 2h dal carico. La maggior parte dei decessi per CVD è stata osservata soprattutto nei soggetti con IGT sebbene avessero una normale glicemia a digiuno. La relazione tra la glicemia a 2h dal carico e la mortalità per CVD era lineare, tale relazione non si è però verificata per la glicemia a digiuno. Controllo glicemico e rischio cardiovascolare Sebbene diversi studi prospettici hanno mostrato inequivocabilmente che la glicemia post-carico aumenta il rischio di morbilità e mortalità per CVD, rimane ancora da dimostrare come l’abbassamento dei livelli glicemici a 2h dal carico possa ridurre tale rischio. Gli studi a riguardo sono in corso ma i dati raccolti fino a qui sono scarsi. Un’analisi degli end-point secondari dello studio STOP-NIDDM (Study to Prevent Non-Insulin-Dependent Diabetes Mellitus) rivela una riduzione statisticamente significativa del rischio cardiovascolare nei soggetti IGT che assumevano acarbosio rispetto a coloro che assumevano placebo. Poiché l’acarbosio riduce specificatamente l’escursione glicemica questa è la prima dimostrazione che l’abbassamento dei livelli glicemici post-prandiali potrebbe comportare la riduzione di eventi CVD. Bisogna comunque considerare che, visto l’esiguo numero di eventi, la potenza di questa analisi è bassa. Il più ampio studio eseguito finora in soggetti affetti da diabete di tipo 2, lo United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS), 71 non aveva la potenza per dimostrare l’ipotesi che un trattamento intensivo per ridurre la glicemia, potesse ridurre il rischio di IMA, sebbene c’era una riduzione del 16% (al limite della significatività) nel gruppo posto in trattamento intensivo rispetto al gruppo posto in trattamento convenzionale. In questo studio l’escursione glicemica post-carico non era stata valutata e dopo 10 anni di follow-up la differenza nei livelli di HbA1c tra i due gruppi era solo lo 0.9% (7.0% vs 7.9%). E ancora, i farmaci utilizzati nel trattamento intensivo, sulfaniluree, insulina ad lunga durata d’azione e metformina, influivano principalmente sulla glicemia a digiuno mentre non sortivano effetti sull’escursione glicemica post-prandiale. Lo studio German Diabetes Intervention Study, reclutando soggetti con diabete di tipo 2 di recente diagnosi, è stato l’unico studio d’intervento che ha dimostrato come controllando l’iperglicemia postprandiale (valutata 1h dopo colazione) si otteneva un grosso impatto sulla mortalità per tutte le cause e per CVD rispetto al solo controllo della glicemia a digiuno72. Durante 11 anni di follow-up lo scarso controllo della glicemia a digiuno non ha comportato un incremento significativo della mortalità per IMA mentre il cattivo controllo delle glicemia post-prandiali è stato associato fortemente ad un’alta mortalità. Informazioni ulteriori sono state ottenute dalla meta-analisi di sette studi a lungo termine che 16 utilizzavano acarbosio nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Il rischio per IMA era significativamente più basso nei soggetti in trattamento con acarbosio rispetto a coloro che assumevano placebo.73 Differenze tra i due sessi nella CAD associata a diabete. Nella popolazione di età media gli uomini hanno un rischio di sviluppare CAD da due a cinque volte più alto rispetto alle donne74,75. Il Framingham Study è stato il primo studio a sottolineare che le donne con diabete sembrano perdere la protezione relativa per CAD rispetto agli uomini76. La ragione dell’aumentato rischio per CAD nelle donne con diabete rispetto agli uomini non è del tutto chiara. Una metanalisi di 37 studi di coorte prospettici, includendo 447.064 soggetti affetti da diabete ha stimato il rischio per CAD fatale correlato al sesso associato a diabete81. La mortalità per CAD era maggiore nei soggetti affetti da diabete rispetto a quelli senza (5.4% vs 1.6%). Il rischio relativo globale tra le persone con o senza diabete era significativamente maggiore tra le donne con diabete 3.50 (95% CI 2.70-4.53) che tra gli uomini con diabete 2.06 (1.81-2.34). Omeostasi glucidica e malattie cerebrovascolari Diabete ed ictus La malattia cerebrovascolare è la causa predominante a lungo termine di morbilità e mortalità sia in pazienti con diabete di tipo 1 che con diabete di tipo 2. Già dalle prime osservazioni, presentate dal Framingham Investigators, diversi ampi studi di popolazione avevano verificato un’aumentata frequenza di ictus nella popolazione diabetica. In uno studio prospettico finlandese con follow-up a 15 anni, il diabete era il più forte fattore di rischio singolo per ictus (rischio relativo per uomini 3.4 e 4.9 per le donne)82. Il diabete mellito potrebbe essere causa di microateromi a carico dei piccoli vasi causando infarto lacunare, uno dei più comuni sottotipi di infarto ischemico. L’ictus, nei soggetti con diabete o iperglicemia in fase acuta dell’evento, ha un alto rischio di mortalità, di complicanze neurologiche e più severa disabilità rispetto a soggetti non diabetici82,90-101. Ci sono poche informazioni riguardanti il rischio di ictus nel diabete di tipo 1 e nel diabete di tipo 2. Il World Health Organization Multinational Study of Vascular Disease in Diabetes mostrava un aumentata mortalità cerebro-vascolare nei pazienti con diabete di tipo 1, anche se con notevole variabilità tra i paesi103. I dati dalla coorte di più di 5000 bambini finlandesi affetti da diabete di tipo 1 mostrano che prima dei 50 anni, il rischio di un evento acuto cerebrale è pari al rischio per evento coronarico senza differenze correlate al sesso44. La presenza della nefropatia diabetica era il più forte fattore predittivo per ictus, determinando un aumento del rischio di almeno 10 volte. IGT e ictus Per ciò che concerne la frequenza di diabete asintomatico e/o IGT nei soggetti con ictus sappiamo molto meno. In un recente studio austriaco104 che ha arruolato 238 soggetti, 20% avevano un diabete noto, 16% erano nuovi casi di diabete, 23% risultava IGT, ma solo 0.8% risultava IFG. Solo il 20% aveva una normale omeostasi glicemica. Un altro 20% dei soggetti presentava valori iperglicemici che non sono stati classificati per la mancanza di dati relativi all’OGTT. In un studio italiano in cui sono stati reclutati soggetti con evento acuto di ictus, senza una storia di diabete, 81 pazienti (84%) 17 presentavano alterazioni del metabolismo glucidico alla dimissione (39% IGT e 27% diabete di nuova diagnosi) e altri 62 soggetti (66%) dopo 3 mesi105. Prevenzione della CVD nei soggetti con IGT Sebbene il tasso di mortalità per CVD ha mostrato un significativo decremento nei paesi sviluppati negli ultimi decenni, si è inoltre evidenziato che tale andamento era minore o non si è verificato del tutto nella popolazione affetta da diabete106. Uno studio più recente riporta una riduzione del 50% del tasso di incidenza degli eventi CVD tra soggetti adulti con diabete mellito. Il rischio assoluto di CVD era comunque due volte più grande rispetto alle persone senza diabete. 161 Sono necessari più dati per un giudizio riguardo la popolazione Europea. Un problema imminente è dimostrare che la prevenzione ed il controllo dell’iperglicemia postprandiale potrebbe determinare una riduzione nella mortalità, di CVD e ritardare l’insorgenza di complicanze del diabete di tipo 2. Inoltre, occorre riconsiderare la metodica utilizzata per la diagnosi di iperglicemia20. La maggior parte delle morti premature correlate a IGH si verificano nelle persone con IGT, 15,19 evitando la necessità di aumentare l’attenzione verso le persone con iperglicemia a due ore post-carico. Una prima tappa potrebbe essere sottoporre a screening sistematico tutti i soggetti ad alto rischio (vedi capitolo successivo). La miglior modalità di prevenire le conseguenze negative dell’iperglicemia sulla salute potrebbe essere prevenire lo sviluppo del diabete di tipo 2. Sono in corso studi clinici controllati che valutano soggetti asintomatici con iperglicemia, ma i risultati saranno disponibili solo tra qualche anno. Nel frattempo il solo modo per intraprendere decisioni d’intervento clinico in questi soggetti è valutare la relazione tra i dati epidemiologici osservazionali e gli studi patofisiologici. Identificazione dei soggetti ad alto rischio per CVD e diabete Raccomandazioni La sindrome metabolica identifica soggetti ad elevato rischio di CVD rispetto alla popolazione generale, anche se non può fornire una previsione migliore o ugualmente valida del rischio cardiovascolare posto sulla base dei fattori di rischio cardiovascolari principali (pressione sanguigna, fumo e colesterolo nel siero). Classe Livello II B I A Una valutazione sul rischio di sviluppare diabete tipo2 dovrebbe essere eseguito di routine mediante le metodiche di calcolo dei rischi a disposizione. II A I pazienti senza un diabete noto ma con stabile malattia cardiovascolare dovrebbe essere sottoposto ad OGTT. I B Esistono molteplici mezzi di valutazione di rischio che possono essere applicati sia agli oggetti non-diabetici che diabetici. 18 I soggetti ad alto rischio per diabete tipo 2 dovrebbero ricevere appropriate consigli sulle modifiche dello stile di vita e se necessario iniziare trattamento in grado di allontanare o rallentare la comparsa del diabete. Questo potrebbe diminuire anche il rischio di sviluppare CVD. I pazienti diabetici dovrebbe essere invitati a effettuare attività fisica al fine di ridurre il rischio cardiovascolare. I A I A Tabella 8: Raccomandazioni Sindrome Metabolica Nel 1998 Reaven118 descrisse una sindrome sulla base del riscontro concomitante delle seguenti anomalie: insulino resistenza, iperinsulinemia, iperglicemia, aumentate LDL-C, aumentati trigliceridi, riduzione delle HDL-C ed ipertensione arteriosa. In seguito tale sindrome prese il nome di “sindrome metabolica” 120. Più recentemente, alcune nuove componenti, sono stati proposte come appartenenti alla sindrome, includendo i markers infiammatori, la microalbuminuria, l’iperuricemia, anomalie della coagulazione e della fibrinolisi. 121 Definizione Attualmente sono presenti non meno di cinque definizioni per la sindrome metabolica formulate da WHO nel 1998122 (revisionata nel 19994); dall’EGIR (European Group for Study of Insulin Resistance) nel 1999124,125, dal NCEP (National Cholesterol Education Programme), dall’ATPIII (Adult Treatment Export Pannel III) nel 2001126,127, dal AACE ( American Association of Clinical Endocrinology) nel 2003128,129 e dal IDF (International Diabetes Federation) Consensus Panel nel 2005130. Le definizioni di WHO e EGIR sono primariamente proposte per la ricerca, mentre le definizioni di NCEP e AACE per l’utilizzo clinico. La definizione dell’IDF del 2005 ha come scopo la pratica clinica mondiale. Le tabelle riportano le varie definizioni che sono presentate nel capitolo della patogenesi nella versione integrale delle linee guida (www.escardio.org). Gli studi sulla relazione tra la presenza della sindrome metabolica ed il rischio di mortalità e morbosità sono ancora scarsi, in particolar modo la comparazione del rischio per le differenti definizioni della sindrome. Diversi studi in Europa hanno riportato che la presenza della sindrome metabolica aumentava il rischio di mortalità per CVD e per tutte le cause131-134, ma un paio di lavori dagli USA hanno mostrato evidenze inconsistenti. Sulla base dei dati di 2431 adulti americani di età compresa fra 30-75 anni coinvolti nel secondo National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES II) si evidenziava che la sindrome metabolica era associata con un moderato aumento del rischio di mortalità per CVD ma non era significativamente associata con le altre cause, malattia coronarica o ictus136. Nello studio San Antonio Heart Study, dopo aver escluso i soggetti affetti da diabete, il rischio relativo per tutte le cause di morte era essenzialmente diminuito dal 1.45 (1.07-1.97) al 1.06 (0.71-1.58) con la definizione NCEP e da 1.23 (0.90-1.66) a 0.81 (0.53-1.24) con la definizione WHO modificata137. Un recente studio ha rivelato che la sindrome metabolica secondo i criteri NCEP ha un ridotto potere predittivo per diabete di tipo 2 e CVD138. Lawlor e colleghi139 hanno mostrato di recente che le valutazioni sull’effetto di ogni definizione della sindrome sono similari o più deboli rispetto al peso dei singoli fattori suggerendo che c’è un minimo fattore prognostico aggiuntivo considerando i singoli fattori o 19 uniti come sindrome per predire la mortalità CVD. Sebbene ogni definizione di sindrome metabolica includa diversi fattori di rischio, questi sono stati definiti dicotomici. Poiché una formula prognostica non è in grado di predire la malattia cardiovascolare così accuratamente come un modello di rischio che abbia come base delle variabili continue. Tabelle di Rischio. La prima tabella di rischio, Framingham Risk Score, è stata introdotta dal 1967, comprendendo la maggior parte dei fattori conosciuti a quei tempi: sesso, età, pressione sistolica, colesterolo totale, fumo di sigaretta, presenza di diabete. La versione più recente ha introdotto nel calcolo le HDL-C e ha tolto la presenza d’ipertrofia ventricolare sinistra140. Le valutazioni del rischio Framinghan ed altre formule sono state testate su differenti popolazioni141-149 e la conclusione degli studi di comparazione delle differenti metodiche è che, mentre il rischio assoluto potrebbe differire da popolazione a popolazione, il rischio relativo calcolato con lo stesso punteggio risulta costante fra le popolazioni. La definizione di sindrome metabolica proposta dal NCEP ed il calcolo del rischio cardiovascolare col metodo Framingham sono confrontabili per il rischio predittivo di sviluppare eventi cardiovascolari. I dati provenienti dalla popolazione San Antonio Study138, mostravano che il calcolo del rischio mediante Framinghan prediceva l’evento cardiovascolare in modo migliore rispetto alla sindrome metabolica. Questo non ci sorprende considerando il fatto che il calcolo Framingham, diversamente dalla sindrome metabolica, era stato preposto proprio al calcolo del rischio predittivo per lo sviluppo di eventi cardiovascolari e che è differente dal momento che prende in considerazione come fattori di rischio anche l’abitudine al fumo. Più recentemente l’European Heart Score, basato sugli eventi fatali, è stato generato prendendo in considerazione i dati derivanti da più di 200.000 uomini e donne150, inserendo nella formula la totalità dei fattori di rischio per CVD. Il diabete, non veniva ancora considerato in questa coorte di soggetti; a causa di ciò non è stato inserto nella formula di calcolo del rischio. È comunque risaputo che la presenza di diabete comporta per la persona un aumento del livello di rischio. I risultati ottenuti da studi di coorte in particolare l’ampio studio Europeo DECODE rivelano che entrambe la glicemia a digiuno sia la glicemia a due ore dal pasto sono un fattore di rischio indipendente sia per tutte le cause sia per la mortalità e morbosità cardiovascolare anche nelle persone senza diagnosi di diabete15,19,20,69. Il gruppo DECODE ha sviluppato un calcolo del rischio cardiovascolare che è attualmente il solo di questi che include l’IGT o IFG nella determinazione del rischio. 157 Sin dal 1982 nella relazione del WHO Expert Committee on Prevention of Coronary Heart Disease era stata considerato di utilizzare strategie di popolazione per cambiare lo stile di vita ed eliminare i fattori di rischio ambientali, cause fondamentali della massiccia incidenza di eventi cardiovascolari. Questa idea è in linea col fatto che anche piccole riduzione a livello di popolazione nei pattern dei fattori di rischio, poiché coinvolgono un ampio numero di persone, contribuiscono a migliorare la salute di molti. 158 Un approccio simile è stato testato in Finlandia con successo158. Avendo come finalità la salute pubblica, c’è la necessità di sviluppare un sistema di valutazione del rischio cardiovascolare basato sulle informazioni facilmente a disposizione, similare a quello sviluppato per predire lo sviluppo del diabete di tipo 2 in Finlandia32. Il Finnish Diabetes Risk Score (FINDRISC) predice lo sviluppo del diabete di tipo 2 nei 10 anni successivi con una accuratezza dell’85%. Inoltre è in grado di individuare la presenza di diabete asintomatico e di alterata tolleranza glucidica con un alta affidabilità anche in altre popolazioni32,111. In aggiunta il FINDRISC predice l’incidenza di infarto miocardio e di ictus163. I 20 soggetti ad alto rischio individuati mediante un semplice sistema di calcolo possono essere sottoposti a trattamento specifico, non solo per la prevenzione del diabete, ma anche per la prevenzione CVD. Prevenire l’evoluzione a diabete Lo sviluppo di diabete di tipo 2 è spesso preceduto da una varietà di alterazioni dello stato metabolico, incluso l’intolleranza ai carboidrati, la dislipidemia e l’insulino resistenza170. Sebbene non tutti i soggetti con tali alterazioni progrediscono verso un diabete, il loro rischio di sviluppare la malattia è significativamente elevato. Studi clinici condotti in modo attento174-178 hanno dimostrato come le strategie d’intervento che intervengano efficacemente sullo stile di vita e i trattamenti farmacologici possano prevenire o ritardare l’insorgenza della progressione del diabete in soggetti ad alto rischio. Nello studio Svedese Malmı, l’incremento dell’attività fisica e la perdita di peso sono in grado di prevenire o ritardare l’esordio del diabete in soggetti con IGT riducendo il rischio a meno della metà nel gruppo di controllo, durante i 5 anni di follow-up174. In uno studio cinese pubblicato da Da Qing, 577 soggetti con IGT sono stati randomizzati in uno dei seguenti quattro gruppi: solo esercizio fisico, solo dieta, dieta ed esercizio fisico e gruppo di controllo175. L’incidenza cumulativa di diabete di tipo 2 nei sei anni era significativamente inferiore nei tre gruppi di intervento rispetto al gruppo di controllo (41% nel gruppo esercizio, 44% nel gruppo dieta, 46% nel gruppo dieta ed attività fisica e 68% nel gruppo di controllo). Nello studio Finnish Diabetes Prevention Study una riduzione del peso corporeo ≥ 5%, ottenuto tramite un programma intensivo di dieta ed esercizio fisico, determinava una riduzione del 58% del rischio di sviluppare diabete di tipo 2 (p<0.001) in uomini e donne di mezza età sovrappeso con IGT176. La riduzione del rischio di progredire a diabete era direttamente proporzionale al grado di cambiamento dello stile di vita, nessuno dei pazienti che ha raggiunto almeno quattro degli obbiettivi preposti in un anno ha sviluppato diabete di tipo 2 durante il follow-up108,179. Lo studio americano Diabetes Prevention Programme, metteva in confronto variazioni attive dello stile di vita, metformina o uno stile di vita standard associato a placebo, evidenziando che le variazioni dello stile di vita erano in grado di ridurre l’incidenza di diabete di tipo 2 di circa il 58% in adulti americani in soprappeso ed IGT109. L’obbiettivo del programma era di ottenere una riduzione > 7% del peso corporeo ed attività fisica di intensità moderata per almeno 150 minuti/settimana. L’incidenza cumulativa di diabete trovata era rispettivamente pari a 4.8, 7.8, 11.0 casi per 100 soggetti/anno nel gruppo dello stile di vita, nel gruppo in metformina e nel gruppo di controllo. Dopo tre anni di followup dei soggetti con IGT nel gruppo stile di vita si assisteva all’esordio di 1 caso di diabete su 7 soggetti paragonato ad 1 caso su 14 nel gruppo in trattamento con metformina. Alla luce di questi risultati, l’ADA e il National Institutes of Diabetes, Digestive and Kidney Diseases (NIDDK) hanno raccomandato che le persone sopra i 45 anni con BMI >25 kg/m2 venissero valutate per evidenziare una possibile iperglicemia. A coloro che presentano uno stato di pre-diabete dovrebbero essere fornito un giusto counseling riguardo l’importanza di perdere peso mediante un programma di variazione del regime dietetico e dell’attività fisica180. Inoltre, poiché i pazienti con sindrome metabolica hanno un aumentato rischio cardiovascolare e di mortalità131,132,136, interventi sullo stile di vita in pazienti obesi e in coloro che presentano obesità o iperglicemia sono candidati a dare dei benefici in termine di miglioramento dello stato di salute e di aspettativa di vita. Il numero di soggetti con IGT da trattare per prevenire un caso di diabete di tipo 2 mediante un intervento sullo stile di vita è estremamente basso (Tabella 9). 21 Studio Malmo174 DPS108 DPP109 DaQing175 Coorte 217 523 2161a 500 Media BMI (kg/m2) 26.6 31.0 34.0 25.8 Durata (anni) 5 3 3 6 RRR (%) 63 58 58 46 ARR (%) NNT 18 12 15 27 28 22 21 25 Tabella 9: Sommario delle scoperte di quattro studi di intervento di stile di vita che hanno puntato sulla prevenzione del diabete tipo 2 in soggetti con IGT. RRR =riduzione del rischio relativo; ARR = riduzione del rischio assuluto/1000 soggetti-anno; NNT= numeri necessitarono di trattamento per prevenire un caso di diabete a più di 12 mesi. a unione dei gruppi di soggetti in placebo, dieta e attività fisica. In un recente lavoro Indian Diabetes Prevention Programme (IDPP), sia la modifica dello stile di vita sia l’utilizzo di metformina mostravano la stessa capacità nel ridurre l’incidenza di diabete, ma l’associazione di questi due possibili trattamenti non comportava un ulteriore vantaggio. Lo studio Diabetes Reduction Assesment con ramipril e rosiglitazone Medication (DREAM)268,318, uno studio prospettico, si proponeva di testare se questi due farmaci fossero in grado di ridurre la comparsa di diabete in soggetti con intolleranza ai carboidrati, alterata glicemia a digiuno o entrambe le condizioni. L’end-point primario era la comparsa di diabete o la mortalità per tutte le cause. Dopo un periodo medio di follow-up di tre anni, l’incidenza di questi end-point non differiva in modo significativo tra ramipril e placebo (18.1% vs 19.5% HR 0.91, 95% IC 0.81-1.03). Il Rosiglitazone al contrario determinava una riduzione significativa (11.6%) rispetto al placebo (n=688; 26%; HR 0.40; 0.35-0.46; p<0.0001). Benché era prevedibile l’efficacia del rosiglitazone sulla possibilità di sviluppare diabete nelle persone con alterata omeostasi glicemica, considerando la sua nota capacità ipoglicemizzante, la totalità degli eventi cardiovascolari non differiva significativamente tra rosiglitazone e placebo. Nel gruppo in trattamento con rosiglitazone però si è verificato un aumento significativo del peso corporeo (p<0.0001) ed un aumento dei casi di insufficienza cardiaca (0.5vs 0.1%; p<00.1). Lo studio DREAM non era stato pensato e non aveva la potenza adeguata per valutare la comparsa di eventi cardiovascolari che avrebbero richiesto un periodo maggiore di studio. Un lungo follow-up è stato necessario per valutare se gli effetti glicometabolici del rosiglitazone sulla glicemia si mantenevano solo finché il trattamento continuava o se si mantenevano più a lungo. Perciò il rosiglitazone non può, finché non ci saranno ulteriori evidenze, essere utilizzato come farmaco appropriato per ridurre il rischio CVD in soggetti con alterata omeostasi glicemica. L’Indian Diabetes Prevention Programme dimostrava che le modifiche sullo stile di vita e la metformina prevengono il diabete di tipo 2 nei soggetti asiatici con IGT (IDPP-1). 37 Recenti dati dello studio STOP-NIDDM hanno suggerito per la prima volta che eventi cardiovascolari acuti nelle persone con IGT potrebbero essere prevenuti mediante un trattamento atto a ridurre la glicemia post-prandiale70. In più i dati basati su NHANES III avevano mostrato in persone con sindrome metabolica (in assenza di diabete o CAD) che il controllo delle LDL-C, del HDL-C e della pressione arteriosa a livelli normali può prevenire il 51% degli eventi coronarici negli uomini e il 43% nelle donne; il controllo di tali fattori di rischio a valori ottimali potrebbero portare alla prevenzione dell’81 e 82% degli eventi, rispettivamente183. 22 Prevenzione CVD tramite l’attività fisica Gli studi che valutano l’associazione tra attività fisica ed il rischio di mortalità cardiovascolare nei soggetti affetti da diabete indicano che la regolare attività fisica è associata ad una riduzione della mortalità totale e CVD186-191. Nello studio Aerobic Center Longitudinal, il gruppo con scarsa attività fisica ha avuto un elevato rischio di mortalità rispetto al gruppo che praticava attività fisica186. Altre tipologie di attività fisica, quali le attività quotidiane casalinghe o lavorative, le passeggiate a piedi o in bicicletta, sono state anch’esse associate alla riduzione della mortalità cardiovascolare tra i pazienti diabetici191. Le persone in movimento sul lavoro hanno ottenuto una riduzione del 40% della mortalità cardiovascolare rispetto ai soggetti con attività lavorative sedentarie. Rispetto al gruppo di soggetti sedentari i soggetti che eseguono livelli elevati di attività fisica nel tempo libero presentano una diminuzione del 33% della mortalità cardiovascolare, e quelli con un attività moderata del 17%. Praticando uno, due o tre tipi di attività fisica, lavoro moderato/intenso, pendolari, e durante il tempo libero si riduce significativamente la mortalità totale e cardiovascolare190. Perciò la riduzione del rischio cardiovascolare ottenuto con l’attività fisica potrebbe essere confrontata con quella ottenuta mediante trattamento farmacologico prescritto al paziente con diabete di tipo 2. L’ADA, NCEPP, IDF hanno raccomandato l’attività fisica come prevenzione primaria e secondaria delle complicanze cardiovascolari tra i soggetti con diabete127,193,194. Il livello di attività fisica può essere assegnato mediante questionari o contapassi. La cosa di maggior importanza è che venga praticata e che gli operatori sanitari motivino i pazienti con diabete a praticare attività fisica. Trattamento per ridurre il rischio cardiovascolare Stile di vita ed gestione Raccomandazioni L’educazione sistematica dei pazienti migliora il controllo metabolico e i valori pressori. Classe I Livello A Il trattamento non farmacologico dello stile di vita migliora il controllo metabolico. I A Controllo vicino a valori di normoglicemi (HbA1c <6.5%) riduce le complicanze microvascolari, riduce le complicanze macrovascolari. I A Il trattamento insulinico intensivo nel diabete tipo 1 riduce la morbidità e mortalità. I A Precoce aumento di terapia verso gli obbiettivi predifiniti migliora morbidità e mortalità. IIa B Precoce inizio del trattamento insulinico dovrebbe essere preso in considerazione nel paziente con diabete tipo 2 con fallimento terapeutico. IIb C 23 La metformina è raccomandata come primo trattamento nel soggetto con diabete tipo2 in sovrappeso. IIa B Tabella 10: Raccomandazioni L’iperglicemia cronica come si verifica sia nel diabete di tipo 1 che nel tipo 2 è fortemente associata con specifiche complicanze microvascolari a carico della retina e dei reni e con malattie macrovascolari del cuore, encefalo e arti inferiori e neuropatia del sistema nervoso autonomico e periferico286-294. Gli eventi macrovascolari sono circa 10 volte più comuni che le complicanze microvascolari e possono verificarsi con alta frequenza nei pazienti con alterazioni glicometaboliche già prima dell’esordio del diabete di tipo 2295-297. L’iperglicemia è solo uno di un insieme dei fattori di rischio vascolari che spesso si associano alla sindrome metabolica.118,131,135,300 Perciò le modalità di trattamento basate sulla terapia non farmacologica devono essere abbastanza complesse e efficaci includendo le modifiche dello stile di vita, l’auto-controllo ed una educazione del paziente strutturata301-305. Questa deve includere una forte motivazione a cessare il fumo. Precedentemente alla randomizzazione, i pazienti arruolati nello studio UKPDS sono stati seguiti per tre mesi senza alcun trattamento farmacologico. Al termine hanno riportato un calo ponderale di circa 5 kg, una diminuzione nell’HbA1c del 2% ed un valore assoluto pari al 7%303. Perciò, un trattamento non farmacologico sembra essere almeno parimenti efficace alla terapia con ipoglicemizzanti, con la quale il valore medio del decremento dell’HbA1c è compreso tra 1-1.5% in studi placebo-controllo randomizzati (Tabella 5). Farmaco Inibiori Alpha-glucosidase Media dei valori di iniziale diminuizione di HbA1c (%) 0.5–1.0 Biguanini 1.0–1.5 Glinidi 0.5–1.5 Glitazonici 1.0–1.5 Insulina 1.0–2.0 Sulfanilurea 1.0–1.5 Tabella 11: media efficacia delle opzioni di trattamento farmacologico nei pazienti affetti da diabete 253,54,331 Le specifiche raccomandazioni includono almeno 30 minuti di attività fisica al giorno per cinque giorni alla settimana, dieta ipocalorica a 1500 Kcal/die, riduzione del consumo di grassi al 30-35 % del totale delle calorie giornaliere (10% per gli acidi grassi insaturi, es. olio d’oliva), eliminazione degli acidi grassi trans, aumento del consumo di fibre a più di 30g/die ed eliminazione dei mono- e disaccaridi108,109,301,303,307,308. La stratificazione del rischio per le patologie associate quali ipertensione, dislipidemia, microalbuminuria è mandataria per la valutazione nel suo insieme del paziente diabetico131,135,275,298-300. Il riconoscimento di una sottostante insulino resistenza con aumento del deposito di grasso viscerale è la chiave di volta per un appropriato trattamento non solo per l’iperglicemia ma anche per l’ipertensione e la dislipidemia269-300. 24 Usando questo approccio nei pazienti ad elevato rischio con diabete di tipo 2 e applicando l’intervento su multipli fattori di rischio, come nello studio Steno 2, si è ottenuto un estremo miglioramento generale309. Il trattamento ottimale di iperglicemia, ipertensione e dislipidemia insieme all’utilizzo di acido acetilsalicilico nei pazienti ad alto rischio con microalbuminuria, comporta l’abbassamento di oltre il 50% degli eventi macrovascolari per un tempo di benessere (NNT) minimo di 5 anni fino ad un massimo di 8 anni (p=0.008). Questo intervento su molteplici fattori di rischio si mostra altamente efficace in termini di diminuzione della comparsa di eventi microvascolari in meno di quattro anni, confermando di conseguenza i dati dello studio UKPDS. Finora la capacità di raggiungere gli obbiettivi proposti dallo Steno2 era lontana da essere completa e sorprendentemente variabile. Di gran lunga il target più difficile da raggiungere è stato l’HbA1c. (Figura 4). Figura 3: percentuale di pazienti che hanno raggiunto l'obbiettivo predefinito del trattamento intensivo nello studio STENO 2 ( modificato da Gaede et al. 309). Questa concetto era già noto nell’UKPDS71,291, promuovendo il concetto della necessità di un trattamento polifarmacologico per il controllo glicemico, come per il trattamento antipertensivo. Raggiungere i target è l’obbiettivo cruciale di una gestione globale. In questo contesto ogni paziente diabetico con evidenza di una danno vascolare, sia essa macrovascolare o microvascolare, dovrebbe essere posto in trattamento antiaggregante in particolare con acido acetilsalicilico309,310. Ulteriori dettagli sui livelli di target si trovano nella Tabella 13. Dovrebbe essere risaputo che si deve evitare il fallimento nel raggiungimento dei livelli ottimali di HbA1c e che è essenziale il rapido potenziamento del trattamento antidiabetico. Per limitare il divario tra i bisogni complessi di una gestione globale in soggetti diabetici di tipo 2 ad alto rischio e pluricomplicati e le prove della vita quotidiana, è necessario un counseling intensivo dei pazienti. 304,305 A questi pazienti molto spesso sono prescritti più di dieci farmaci di diverse classi oltre al cambiamento dello stile di vita. Terapie strutturate, che includano classi educazionali e programmi di training per acquisire la capacità di avere uno stile di vita sano e di effettuare l’automonitoraggio glicemico e della pressione.304,305,310-312 Una revisione reciproca dell’automonitoraggio ad ogni visita del paziente permette sia ai medici che ai pazienti di cooperare nel trattamento. Il personale paramedico, come educatori certificati nel campo diabetologico e infermieri, dovrebbero aver un ruolo in questo processo di qualità. Una gestione integrata dei pazienti diabetici richiede una struttura di valutazione della qualità con processi di revisione di valutazione degli 25 obiettivi. Una gestione certificata di qualità dovrebbe essere ribadita tramite appropriati incentivi sia per il paziente che per il medico. Controllo Glicemico Relazione tra microangiopatia e neuropatia. Studi controllati e randomizzati hanno fornito prove che la microangiopatia diabetica e la neuropatia possono essere ridotte tramite uno stretto controllo glicemico71,286,287,291,309,314. Questo stretto controllo potrà influenzare in modo benefico la comparsa di CVD 288-291,295. La nefropatia accelera la malattia cardiovascolare e la neuropatia diabetica può mascherare la sintomatologia. E’ obbligatorio effettuare lo screening annuale della microalbuminuria e della retinopatia. Quando il trattamento intensivo viene confrontato con il trattamento convenzionale, con lo scopo di abbassare l’emoglobina glicata vicino al limite di normalità, il trattamento intensivo viene costantemente associato ad una diminuzione marcata della frequenza e della comparsa delle complicanze microvascolari e neuropatiche nelle persone affette sia da diabete di tipo 1 che di tipo 2. Questo dato si verifica non solo per interventi di prevenzione primaria ma anche di prevenzione secondaria71,286,287,314. Le analisi ottenute dagli studi Diabetes Control and Complication Trial (DCCT) e dall’UKPDS hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto continuo tra i valori di l'HbA1c e le complicanze microangiopatiche senza alcun apparente soglia di beneficio287,295. Nello studio DCCT, una riduzione di HbA1c del 10% è stato associata ad un 40-50% di riduzione del rischio di retinopatia o della sua progressione, anche se la riduzione del rischio assoluto era sostanzialmente inferiore per valore più bassi di HbA1c, es. < 7.5%. L'UKPDS ha mostrato una relazione lineare per ogni 1.0% di riduzione del livello di HbA1c associato ad un riduzione del 25% del rischio di complicanze microvascolari, definendo nuovamente un basso rischio assoluto per livelli di HbA1c <7.5%. Le complicanze microvascolari, sia esse a livello renale sia esse a livello della retina necessitano di misure terapeutiche meticolose e mirate, comprendenti un controllo adeguato della pressione del sangue mediante l'uso di ACE inibitori e/o bloccanti il recettore 2 dell’angiotensina e la cessazione del fumo. Relazione con la macroangiopatia Sebbene piuttosto suggestiva, la relazione tra la malattia macrovascolare e l’iperglicemia è meno chiara rispetto alla microangiopatia71,286,288,295,309,310,314. Il recente follow-up del DCCT di oltre 11 anni (EDIC Study) ha dimostrato che l’assegnazione in modo randomizzato, di uno stretto controllo glicemico (media HbA1c vicina al 7% nel corso dei primi 7-10 anni) ha efficacemente ridotto gli eventi cardiovascolari da 98 eventi in 52 pazienti a 46 eventi in 31 pazienti, corrispondente ad una diminuzione del 42%316. Il rischio di infarto miocardico ed ictus, come pure il rischio di mortalità da CVD, è stata ridotto del 57%. Questo importante riscontro è stato basato sul follow-up del 93% di una originale coorte di 1441 pazienti con diabete di tipo 1. L'unico fattore di confondimento significativo è stato un più elevato tasso di microalbuminuria e macroproteinuria nel gruppo di controllo (complicanza che dipende dal proprio controllo glicemico). Dal punto di vista statistico, la riduzione di HbA1c è stata di gran lunga il fattore più importante per la riduzione della CVD con un 21% di riduzione per ogni diminuzione di punto percentuale dell’HbA1c. Nel diabete di tipo 2, come dimostra l'UKPDS, ogni 26 punto percentuale di declino dell’HbA1c ha causato una riduzione pari al 14% del tasso d’incidenza d’infarto del miocardio e un minor numero di decessi per diabete o per qualsiasi causa71,295 Nello studio di Kumamoto, un livello più basso di HbA1c (7.0 vs 9.0%) ha comportato una riduzione del tasso d’incidenza cardiovascolare per oltre 10 anni a meno della metà rispetto al gruppo di controllo. Questa differenza non ha, tuttavia, raggiunto la significatività statistica a causa delle piccole dimensioni del campione315. Quasi tutti gli studi osservazionali prospettici per valutare il rischio della malattia macrovascolare nel diabete hanno dimostrato che tale rischio è aumentato già a livelli di glicemia leggermente al di sopra del range di normalità o anche per valori ai limiti superiori292,295-297. In particolare, i livelli plasmatici di glucosio 2 ore dopo il carico di glucosio sembrano essere altamente predittivi per eventi cardiovascolari, maggiormente rispetto ai valori di glicemia a digiuno15,62,63,178. La riduzione della glicemia post-prandiale per mezzo di un inibitore dell’alfa-glucosidasi – ha ridotto in modo evidente l'insorgenza del diabete di tipo 2 nei soggetti con IGT, durante il periodo di studio, vi è stata inoltre una riduzione degli eventi cardiovascolari. Il numero di eventi è stata, tuttavia, di dimensioni relativamente piccole, e anche se significativi, questi risultati devono essere interpretati con grande cautela 70,178 L’analisi Post Hoc di studi clinici randomizzati in pazienti con diabete di tipo 2, utilizzando lo stesso inibitore dell’alfa-glucosidasi, e con periodi di follow-up di almeno 1 anno ha confermato queste considerazioni nella condizione di portare a target i valori di iperglicemia postprandiale73. L’insulina resistenza è un altro forte fattore predittivo di CVD131,135,300. Inoltre, elementi della sindrome metabolica come la pressione alta o anomalie lipidiche sono state attenuate anche dall’intervento scelto in questi studi319. Su questa falsariga, riducendo sia la resistenza insulinica che l’HbA1c, come nello studio PROACTIVE, si è ottenuta una riduzione del 16% (in valori assoluti differenza 2,1%; NNT= 49) degli eventi cardiovascolari come morte, infarto miocardico, e stroke 320. Relazione con sindromi coronariche acute Molteplici studi indicano che un prelievo casuale di glicemia nel paziente ricoverato per una sindrome coronarica acuta (ACS) è fortemente correlato con l’outcome a breve e/o a lungo termine di questi pazienti393,321-324. Elevate concentrazioni di glucosio nelle persone affette da diabete, incluse coloro senza diagnosi precedente, sono altamente predittive per un peggiore esito sia ospedaliero che in seguito 319-324. L’importante studio, Diabetes Glucose And Myocardial Infarction (DIGAMI), condotto nei pazienti con una ACS che presentavo iperglicemia all’ingresso posti in modo randomizzato in infusione con glucosata ed insulina. Entro 24 ore, la glicemia veniva significativamente diminuita nel gruppo di intervento, con l’obiettivo di mantenerla significativamente più bassa durante l’anno successivo. Questa differenza ha portato ad ottenere una riduzione del 11% della mortalità in valore assoluto, mostrando un NNT di nove pazienti per una vita salvata. L’effetto benefico era ancora evidente dopo 3.4 anni, con un relativa riduzione della mortalità del 30%323,325. Lo studio DIGAMI 2 ha confermato che il controllo glicemico è altamente predittivo per il tasso di mortalità nei due anni successivi, ma non ha mostrato alcuna differenza clinicamente rilevante tra i diversi regimi per la riduzione della glicemia326. Un recente studio pubblicato, tuttavia, con un follow-up di soli 3 mesi ha confermato che la media di glicemia raggiunta è rilevante per la mortalità nei pazienti diabetici post infartuati, mentre la terapia insulinica di per sé non determina una riduzione della mortalità66. Il trattamento dell’iperglicemia acuta nei pazienti diabetici con ACS è stato introdotto anche nel registro Schwabing Myocardial Infarction. A condizione che tutti gli altri potenziali interventi sono 27 stati ugualmente applicati ai pazienti non diabetici e diabetici, la mortalità nelle 24 ore tra i pazienti diabetici è stata normalizzata per il totale dei decessi in ospedale, lo stesso è stato fatto per i pazienti con e senza diabete327. Approccio terapeutico attuale al controllo glicemico Nel diabete di tipo 1, il gold standard terapeutico è il trattamento insulinico intensivo, basato su di un corretto regime dietetico e sull’automonitoraggio glicemico con l’obbiettivo di portare l’HbA1c a valori <7%. Gli episodi ipoglicemici necessitano di essere presi se si considera questo obiettivo, e gli episodi ipoglicemici gravi dovrebbero essere limitati al di sotto di 15/100 paziente anno310.328. Nel diabete di tipo 2, un approccio terapeutico comune è meno generalmente accettato. Varie associazioni diabetologiche hanno posto come obiettivo valori di HbA1c < 7,0 o 6.5%310,328,329 (Tabella 12). Organizzazione HbA1c ADA IDF-Europa AACE <7 <6.5 <6.5 FPG Post-prandial PG [mmol/L(mg/dl)] [mmol/L(mg/dl)] 6.7 (120) <6.0 (108) <6.0 (108) <7.5 (135) <7.8 (140) Tabella 12: Obbittivi glicemici per la cura dei pazienti con diabete come raccomandati dalle varie organizzazioni 107,110,420. FPG= glicemia a digiuno; Post-prandial PG= glicemia a 2h dal pasto. Purtroppo, solo una minoranza dei pazienti ha raggiunto gli obiettivi preposti durante il follow-up a lungo termine in studi come l’UKPDS o Steno 271,309. Il più grande progresso nel trattamento del diabete di tipo 2 ottenuto negli ultimi anni è l’avvento della terapia combinata, originariamente proposta dallo studio UKPDS330. Il concetto di terapia combinata è stato proposto con l’intento di aumentare l’efficacia e diminuire gli eventi avversi. Questa idea si basa sul fatto che un dosaggio medio produce l’80% dell'effetto di riduzione della glicemia, riducendo al minimo il potenziale degli effetti collaterali come l'aumento di peso, disturbo gastrointestinale, ed il rischio di ipoglicemia331. Ciò include l’introduzione precoce del trattamento insulinico, se il farmaco ipoglicemizzante orale alla dose ottimale od in combinazione, associato ad un adeguato stile di vita, non permette di raggiungere l’obbiettivo. I principali determinanti per la scelta del trattamento sono il BMI e il rischio di ipoglicemia, insufficienza renale, insufficienza cardiaca 331 (Tabella 13). Problema Aumento di peso Sospensione o rivalutazione Sulfanilurea, glinidi, glitazonici, insulina. Sintomi gastroenterici Biguanidi, inibitori alfa-glucosidase Ipoglicemia Sulfanilurea, glinidi, insulina. 28 Altaerazione funzione ranale Biguanidi, sulfaniluree Alterazione funzione epatica Glinidi, glitazonici, biguanidi, inibitori alfaglucosidase. Alterazione funzione cardio-polmonare Biguanidi, glitazonici Tabella 13: potenziali effetti indesiderati del trattamento farmacologico nei pazienti con diabete tipo2. Edema e le alterazioni del profilo lipidico necessitano di altre considerazioni. Inoltre, lo stadio della malattia e il relativo fenotipo metabolico331-334 principale dovrebbero essere considerati quando si vuole personalizzare la terapia per il singolo paziente. Una strategia per selezionare tra le varie possibilità terapeutiche atte a ridurre la glicemia sulla base di un presupposto o, se disponibile, sulla conoscenza dettagliata della situazione metabolica è delineata nella Tabella 14. Iperglicemia post-prandiale Inibitori alfa-glucosidase, sulfaniluree ad azione rapida, glinidi, insulina rapda o analoghi d’insulina. Iperglicemia a digiuno Biguanidi, sulfaniluree ad azione prolungata, glitazonici, insulina long acting. Insulino resistenza Biguanidi, glitazonici, inibitori alfa-glucosidase. Deficit insulinico Sulfaniluree, glinidi, insulina Tabella 14: strategie di trattamento per la riduzione della glicemia in considerazione della situazione glicometabolica. L'uso della metformina sta emergendo come una importante opzione sia in monoterapia che combinata anche con l'insulina, purché non ci siamo controindicazioni al suo utilizzo291. Il successo della terapia ipoglicemizzante combinata richiede attento automonitoraggio della glicemia per garantire che gli obiettivi metabolici vengano raggiunti. D’altra parte anche in questo caso, il regime di automonitoraggio dipende dalla scelta della terapia utilizzata ed dal fenotipo metabolico. Ovviamente, quando l’obiettivo è la normoglicemia, occorre tener conto oltre che della glicemia a digiuno anche dei valori di glicemia post-prandiale. Monnier e collaboratori313 hanno dimostrato che per conseguire un buon controllo della glicemia, HbA1c <8%, è necessaria per ridurre l’escursioni glicemiche postprandiali, vale a dire che non sarà sufficiente trattare unicamente le glicemie a digiuno. Il monitoraggio della glicemia è vantaggioso anche nei pazienti con diabete di tipo 2 senza trattamento insulinico, come evidenziato dalla recenti metanalisi311,312. Ci sono sempre maggiori evidenze che dimostrano che avere un obiettivo vicino ai livelli normali di glicemia è utile per ridurre l’insorgenza di CVD nei soggetti con diabete. La valutazione sull’efficacia per la prevenzione primaria attende ancora conferma. I valori glicemici raccomandati per la maggior parte delle persone con diabete di tipo 1 e tipo 2 sono elencati nella Tabella 12. I trattamenti 29 dovrebbero, tuttavia, essere adeguati alle esigenze individuali, in particolare va tenuto conto del rischio di ipoglicemia e di altri effetti collaterali della terapia. Dislipidemia Raccomandazioni Elevate LDL-C e basse HDL-C sono inportanti fattori di rschio nei soggetti affetti da diabete mellito. Classe I Livello A Le statine sono farmaci di prima scelta per la riduzione di LDL-C nei pazienti con diabete. I A Nel paziente con diabete associato a CVD, la terapia statinica dovrebbe essere iniziata al momento con un target terapeutico di <1.8-2.0mmol/L (<70-77 mg/dl). I B La terapia statinica dovrebbe essere considerata nel soggetto adulto con diabete tipo2 senza CVD quando il colesterolo totale è>3.5mmol/L (>135mg/dl) con un target terapeutico di riduzione delle LDL-C del 30-40%. IIb B IIb C IIb B Considerato l’elevato rischio CVD è opportuno considerare trattamento statinico nel soggetto con diabete tipo 1 con età > 40 anni. Nel paziente di età compresa 18-39 anni ( diabete tipo1 e tipo2), il trattamento statinico dovrebbe essere preso in considerazione quando oltre ai fattori di rischio sono presenti: nefropatia, scarso controllo glicemico, retinopatia, ipertensione, ipercolesterolemia, caratteri della sindrome metabolica, familiarità per malattie vascolari giovanili. Nel paziente diabetico con ipertrigliceridemia >2mmol/L (>177mg/dl), anche dopo raggiungimento del target per LDL-C mediante statine, la terapia con statina dovrebbe essere aumentata al fine di raggiungere il secondo target di riduzione del non-HDL-C. In alcuni casi la terapia combinata con l’aggiunta di ezetimibe, acido nicotinico, o fibrati dovrebbe essere considerata. Tabella 15: Raccomandazioni Background ed epidemiologia Come parte della sindrome metabolica e della condizione di pre-diabete, la dislipidemia è spesso presente al momento della diagnosi di diabete di tipo 2. La dislipidemia persiste nonostante l'uso della terapia ipoglicemizzante e richiede una terapia specifica con dieta, stile di vita, e farmaci ipolipemizzanti. Tipicamente, vi è moderata ipertrigliceridemia, basso colesterolo HDL, e anormale assetto lipidico post-prandiale. I livelli di colesterolo totale e di LDL-colesterolo sono simili a quelli 30 rilevati nei soggetti senza diabete; tuttavia, le particelle di LDL colesterolo sono piccole e dense, condizione associato ad un aumentato dell’aterogeneità, vi è accumulo di particelle remnant ricche in colesterolo, che sono anch’esse aterogeniche. La dislipidemia è un’alterazione comune nel diabete di tipo 2. Nello studio Botnia (4483 uomini e donne di età compresa tra 35-70 anni; 1697 soggetti con Diabete e 798 soggetti con IFG), la prevalenza di bassi livelli di colesterolo HDL [<0,9mmol/L (35mg/dl) negli uomini e <1.0mmol/L (39 mg/dl) in donne] e/o di elevati trigliceridi plasmatici [>1.7 mmol/L (151 mg/dl)] era fino a tre volte più elevata nei soggetti con diabete e di due volte superiori nei soggetti con IFG rispetto a coloro con normale tolleranza ai carboidrati. 131 In questo e in altri studi, la prevalenza di dislipidemia era più evidente nelle donne rispetto agli uomini. Dislipidemia e rischio vascolare Sebbene le concentrazioni del colesterolo totale e di colesterolo LDL nei pazienti con diabete di tipo 2 sono analoghe a quelle di soggetti senza diabete, essi sono importanti fattori di rischio vascolari335-337. I dati osservazionali dello studio UKPDS hanno dimostrato che un aumento di 1 mmol/L (38,7 mg/dl) di colesterolo LDL è stato associato con un aumento del 57% di eventi CVD. Basse concentrazione di HDL-c erano anche un importante fattore predittivo di alterazioni vascolari nello studio UKPDS, un aumento di 0.1 mmol/L (4 mg/dl) del colesterolo HDL, si associava ad un calo del 15% degli eventi CVD336. La correlazione indipendente di elevati trigliceridi plasmatici ed il rischio CVD rimane controversa. Tuttavia, date le complesse interazioni tra i trigliceridi e le altre lipoproteine e le inerenti variazioni di concentrazioni dei trigliceridi, è chiaro che l'indipendenza della determinazione del rapporto trigliceridi/malattia vascolare mediante modello matematico, quale l’analisi di regressione multivariata, è suscettibile di essere densa di problemi. In una meta-analisi di popolazione basata su studi di coorte, la media per eccesso del rischio associato ad un aumento dei trigliceridi di 1 mmol/L (89 mg/dl) era del 32% negli uomini e del 76% nelle donne338. Quando questo dato veniva aggiustato per la concentrazione di HDL-C, l'eccesso di rischio veniva dimezzato al 37% nelle donne e al 14% negli uomini, ma rimane statisticamente significativo. Elevate concentrazioni di trigliceridi e bassi livelli di colesterolo HDL sono stati correlati significativamente a tutte gli eventi coronarici ed alla mortalità cardiovascolare in una vasta coorte di pazienti con diabete di tipo 2 seguita per 7 anni339. Benefici del trattamento con statine Prevenzione Secondaria Sebbene non siano stati effettuati grandi studi per la prevenzione secondaria in una specifica popolazione diabetica, vi è sufficiente evidenza da analisi Post hoc, in un sottogruppo di oltre 5000 pazienti con diabete, reclutati nei principali studi clinici, per concludere che essi mostrano simili benefici nella riduzione degli eventi (entrambi gli eventi coronarici e ictus), come i pazienti non affetti da diabete. Dallo Scandinavian Simvastatina Survival Study (4S) sono stati riportati due analisi Post hoc, coinvolgenti pazienti affetti da diabete. In questo studio, la simvastatina veniva confrontata al placebo, in pazienti (n =4444), con nota CAD e livelli di colesterolo totale tra 5.5 e 8 mmol/L (193 e 309 mg/dl) 341 . Al basale, erano noti per diabete 202 pazienti (età media 60 anni, 78% maschi), un piccolo numero ed una popolazione diabetica atipica dal momento che erano ipercolesterolemici e che livelli di trigliceridi basali erano relativamente bassi <2.5 mmol/L (220 mg/dl). I cambiamenti del profilo 31 lipidico in questo sottogruppo di diabetici sono stati similari a quelli osservati nella popolazione generale. La terapia con simvastatina è stata associata ad una riduzione del 55% degli eventi coronarici maggiori (P=0.002). Il numero di pazienti diabetici era insufficiente per esaminare l'impatto della simvastatina sull’obiettivo primario della mortalità generale, anche se c'è stato una riduzione del 43% non significativa342. Una ulteriore analisi dello studio 4S ha identificato 483 pazienti diabetici mediante la glicemia a digiuno. In questa coorte, c’era un riduzione significativa del 42% degli eventi coronarici e una riduzione delle rivascolarizzazione del 48%343. Questi primi risultati sono stati confermati da successivi studi clinici di prevenzione secondaria, in particolare Heart Protection Study (HPS; Tabella 9). È chiaro che i pazienti con diabete mostrano una riduzione del rischio relativo simile ai soggetti non diabetici. Dato il più elevato rischio assoluto in questi pazienti, l’NNT per prevenire un evento CVD è più basso. Comunque il rischio residuo nei pazienti diabetici rimane elevato nonostante la terapia con statine, sottolineando la necessità di un approccio combinato che, come indicato altrove in questi linee guida, va al di là della riduzione del colesterolo. Quando i risultati degli studi clinici con statina sono legati al grado di riduzione delle LDL-C, i risultati mostrano una forte relazione lineare. Più recentemente, è stato testato il vantaggio potenziale di raggiungere concentrazioni di colesterolo LDL inferiori al livello precedentemente raggiunto. Nello studio Pravastatin or Atorvastatina Evaluation and Infection Therapy (PROVE-IT), la terapia standard con statine (pravastatina 40 mg/die) è stato confrontato con una terapia intensiva (atorvastatina 80 mg/die) in 4162 pazienti entro 10 giorni da un ACS, per un follow-up medio di 24 mesi345. La terapia intensiva [raggiungeva valori medi di LDL di 1.6 mmol/L (62 mg/dl)], veniva associata ad una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari, confrontata alla terapia standard [LDL 2,5 mmol/L (97 mg/dl)]. Lo studio PROVA-IT ha incluso 734 pazienti diabetici (18%) e in questo sottogruppo non è stato riscontrato alcun effetto di eterogeneità. Il Treat to New Targets Trial (TNT), ha riportato gli effetti della terapia intensiva con statina (atorvastatina 80 mg/die) confrontato con la terapia standard (atorvastatina 10mg/die) in 10.001 pazienti con CAD nota346. Il trattamento intensivo [valori medi di colesterolo LDL 2.0 mmol/L (77 mg/ dl)] era associato ad una riduzione del rischio del 22%, rispetto alla terapia standard [valori medi di colesterolo LDL 2.6 mmol / L (101 mg/dl)], con una mediana di follow-up di 4.9 anni. In una recente analisi di un sottogruppo del TNT, i risultati del trattamento intensivo rispetto allo standard, venivano riportati su 1.501 pazienti affetti da diabete in terapia con atorvastatina, di cui 735 hanno ricevuto atorvastatina 10 mg/die e 748 atorvastatina 80 mg/die. Alla fine del trattamento i livelli medi di colesterolo LDL sono stati 2.6 mmol/L (99 mg/dl), con atorvastatina 10 mg e 2.0 mmol/L (77 mg/dl), con atorvastatina 80 mg die. Un evento primario avveniva in 135 pazienti (17.9%) che ricevevano atorvastatina 10 mg rispetto ai 103 pazienti (13.8%) che ricevevano atorvastatina 80 mg di (rapporto di rischio 0.75; P = 0.026). Differenze significative tra i gruppi a favore di atorvastatina 80 mg sono state osservate anche per gli eventi cerebrovascolari [0.69 (0.48-0.98), P = 0.037], e per ogni evento cardiovascolare [0.85 (0.73-1.00), P = 0.044] 181. Obiettivi della terapia per la prevenzione secondaria. Sulla base delle evidenze emerse dagli studi randomizzati controllati, the Third Joint European Societies Task Force On Cardiovascular Disease Prevention In Clinical Practice347 raccomanda per i 32 pazienti con CVD il trattamento al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti di colesterolo totale <4,5 mmol / L (174 mg/dl) e il colesterolo LDL < 2.5 mmol /L (97 mg/dl). Questo obiettivo per le LDL è simile a quello proposto dall’Adult Treatment Panel III (ATP III), del Cholesterol Education Programme negli USA. Più recentemente, le linee guida sono state rivisitate dal National Cholesterol Education Programme, alla luce dei recenti RCTs348. Perciò, per i pazienti ad alto rischio, compresi quelli con diabete e CVD, viene suggerita come opzione terapeutica l’obiettivo delle LDL inferiori a 1.8 mmol / L (70 mg/dl). Prevenzione Primaria Dato l'elevato rischio di CVD per i pazienti diabetici, insieme ad una maggiore mortalità associata al primo evento, nei pazienti con diabete di tipo 2 la prevenzione primaria associata alla riduzione dei lipidi è una componente importante delle strategie di prevenzione. Evidenze dagli studi clinici randomizzati e controllati sono disponibili da parte di grandi coorti di pazienti diabetici inclusi negli studi HPS344 e nell’Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial Lipid Lowering Arm (ASCOT - LLA) 349 . Nel ASCOT-LLA, 10 mg di atorvastatina sono stati confrontati con il placebo, in 10.305 pazienti ipertesi con colesterolo totale non a digiuno pari a 6.5 mmol/L (251 mg/dl) o meno, di questi soggetti 2532 presentavano diabete di tipo 2. Il trattamento con atorvastatina è stato associato ad una riduzione dell’endpoint primario di infarto miocardico non letale e di CAD fatale del 36% dopo un follow-up mediano di 3.3 anni. I test per l’eterogeneità hanno dimostrato che i soggetti con diabete (n. = 2532) hanno risposto in modo analogo, anche se si sono verificati troppo pochi eventi (n. = 84) per valutare l'effetto reale nel solo sottogruppo. Nello studio HPS, sono stati reclutati 2912 pazienti diabetici non sintomatici per malattie cardiovascolari344. In questa coorte, con simvastatina 40 mg/die si otteneva una riduzione del rischio del 33% (P = 0,0003). Lo studio Collaborative Atorvastatin Diabetes (CARDS), ha posto a confronto atorvastatina 10 mg rispetto a placebo, in una popolazione di pazienti con diabete di tipo 2 (di età compresa tra 40-75 anni), senza elevati valori di colesterolo [basale LDL 3.0 mmol/L (116 mg/dl)], ma con altri fattori di rischio per CVD: ipertensione, retinopatia, proteinuria o fumo di sigaretta. Dopo una follow-up con una mediana di 3.9 anni, la diminuzione del rischio per il primo evento cardiovascolare maggiore è stata del 37% (P = 0.001). In tutti e tre gli studi clinici, non si è evidenziata una diversità di effetto sui valori di colesterolo LDL o degli altri lipidi350. Obiettivi della terapia per la prevenzione primaria Nelle linee guida del Joint European Guidelines, gli obiettivi della terapia per i pazienti con diabete in prevenzione primaria, sono simili a quelli per i pazienti con malattia CVD sintomatica: colesterolo totale < 4.5 mmol/L (<174 mg/ dl) e LDL < 2.5 mmol / L (<97 mg/dl). I pazienti con diabete di tipo 1 e proteinuria sono inclusi in queste linee guida347. Nel ATP III, la maggior parte dei pazienti con diabete senza malattia sintomatica sono considerati ad alto rischio e per loro viene suggerito l’obiettivo delle LDL<2.6 mmol/L (<100mg/dl). Dato che i pazienti diabetici nello studio HPS e nel CARDS con bassi valori di LDL hanno mostrato simile beneficio relativo in trattamento con statine rispetto a quelli con più elevati livelli di LDL, un importante quesito clinico è se iniziare la terapia con statine nei pazienti in cui già il colesterolo LDL è <2.6mmol/L (<100mg/dl). Attualmente, questa decisione è lasciata al giudizio clinico346. 33 Nei pazienti diabetici considerati a basso rischio, la terapia farmacologica potrebbe non essere intrapresa se il colesterolo LDL è <3.4 mmol/L (<131 mg/dl). Le più recenti linee guida dell’ADA suggeriscono che, nei pazienti con diabete con un colesterolo totale >3.5 mmol/L (>135 mg/dl), è raccomandato il trattamento con statine con l’obiettivo di ridurre le LDL del 30-40% indipendentemente dai livelli di LDL basali351. Nei pazienti con diabete di tipo 1, che hanno anche un elevato rischio CVD, sono ancora carenti evidenze per quanto riguarda il ruolo della terapia con statine sulla prevenzione primaria. Studi clinici con fibrati Ad oggi sono poche le informazioni disponibili provenienti da studi randomizzati e controllati, per la pratica clinica, riguardanti il trattamento con fibrati rispetto alla terapia con statine. Nel trial Veterans Administration HDL (VAHIT), il gemfibrozil è stato confrontato con placebo in 2531 uomini con CAD stabile e bassi livelli di colesterolo HDL [basale HDL 0.8 mmol/L (31 mg/dl)] ed un livello relativamente normale di LDL [basale LDL 2.8 mmol/L (108 mg/dl)]. Dopo un follow-up medio di 5.1 anni, il trattamento con gemfibrozil è stato associato ad una riduzione del rischio del 22% di in endpoint primario di infarto miocardico non letale o morte coronarica (P = 0.006). In un sottogruppo di 309 pazienti diabetici, l’endpoint complessivo di morte coronarica, ictus, e di infarto miocardico è stato ridotto del 32% (morte coronarica del 41% e di ictus del 40%). Questo studio suggerisce un beneficio al di là della riduzione delle LDL, in quanto la terapia con gemfibrozil non varia il colesterolo LDL, ma aumento il colesterolo HDL del 6% ed i trigliceridi del 31%353,354 . Nello studio Field (Fenofibrate Intervention and Event Lowering in diabetes) è stato valutato l'effetto del fenofibrato (200 mg/die) rispetto al placebo in soggetti affetti da diabete di tipo 2, con (n. = 2131), e senza (N. = 7664) pregresso CVD. 355 Dopo una durata media di 5 anni, il trattamento con fenofibrato è stato associato ad una riduzione del rischio relativo del 11% (HR 0,89, 95% CI 0,75-1,05) per l’endpoint primario di morte per malattia coronarica e per infarto miocardico non fatale, non raggiungendo la significatività statistica (P = 0.16). L’incidenza di infarto miocardico non fatale si riduceva in modo significativo (HR 0,76, 95% CI 0.62-0.94; R = 0.01), ma la mortalità per malattia coronarica mostrava un aumento non significativo (HR 1,19, 95% CI 0.90-1.57; R = 0.22). Il totale degli eventi cardiovascolari (morte cardiaca, infarto miocardico, ictus, rivascolarizzazione coronarica e carotidea) veniva significativamente ridotto dalla terapia con fenofibrato (P = 0,035). La mortalità totale era 6.6% nel gruppo in placebo e 7.3% nel gruppo con fenofibrato (P = 0.18). In una analisi post hoc, il trattamento con fenofibrato era associato ad una riduzione degli eventi coronarici in pazienti senza CVD, ma non in quelli con pregressa CVD (P=0.03). Si sono fatte molte congetture nel tentativo di spiegare i risultati conflittuali dello studio. Probabilmente il grado di dislipidemia basale [Colesterolo totale 5.0 mmol/L (195 mg/dl), il totale dei trigliceridi 2.0 mmol/L (173 mg/dl), il colesterolo LDL 3.1 mmol/L (119 mg/dl), e del colesterolo HDL 1,1 mmol/L (43 mg/ dl)] è stato insufficiente a dimostrare l'effetto ottimale del farmaco. Nel Veterans Administration HDL Trial, uno studio sulla prevenzione secondaria si evidenziava un risultato positivo con gemfibrozil, il colesterolo HDL era 0.8 mmol/L. Altri possibili fattori confondenti sono il fatto di aver incluso una più alta percentuale di soggetti in trattamento con statine nel gruppo placebo, il potenziale effetto negativo del fenofibrato sui livelli di omocisteina (un aumento di 3.7 µmol/L) e la capacità relativamente modesta di ridurre il colesterolo LDL e di aumentare le HDL (solo il 2% alla fine dello studio). 34 Tuttavia, le principali conclusioni a seguito dei risultati dello studio FIELD sono che le indicazioni sulle strategie di trattamento rimangono invariate e le statine rimangono la principale scelta nel trattamento nella maggioranza dei pazienti diabetici. Linee guida per il colesterolo HDL e per i trigliceridi Data la scarsità di informazioni disponibili provenienti da studi clinici controllati, le linee guida sono meno specifiche in materia di obiettivi per il colesterolo HDL e per i trigliceridi. Tuttavia, le Joint European Guidelines definiscono che bassi livelli di colesterolo HDL (<1 mmol/L (39 mg/dl) negli uomini e <1.2 mmol/L (46 mg/dl) nelle donne] e i trigliceridi a digiuno >1.7 mmol/L (151 mg/dl), rappresentano dei markers di aumentato rischio vascolare. Nei recenti aggiornamenti dell’ATP III per pazienti considerati a rischio severo, come i pazienti diabetici con malattia vascolare conclamata, elevati livelli di trigliceridi, e bassi livelli di HDL colesterolo, devono essere presi in considerazione il trattamento combinato di fibrati o acido nicotinico con un farmaco per la riduzione del colesterolo LDL348. Quando i trigliceridi sono >2.3 mmol/L (> 189 mg/dl), ma i livelli di colesterolo LDL sono nei limiti a seguito di un trattamento con statine, viene suggerito come obiettivo secondario il colesterolo non-HDL (colesterolo totale meno colesterolo HDL), 0.8 mmol/L (31 mg/dl) superiore agli obiettivi identificati per il colesterolo LDL. Pressione Arteriosa Raccomandazioni Nei pazienti con diabete ed ipertensione gli obiettivi raccomandati sono valori pressori <130/80 mmHg. Classe I Livello B Il rischio cardiovascolare nei pazienti con diabete ed ipertensione è sostanzialmente potenziato. Il rischio può essere efficacemente ridotto mediante trattamento antipertensivo. I A Il paziente diabetico solitamente richiede un combinazione di differenti farmaci antipertensivi per un controllo pressorio soddisfacente. I A Al paziente diabetico dovrebbe essere prescritto un inibitore sistema renina-angiotensina come componente del trattamento antipertensivo. I A I A Screening per la microalbuminuriae un adeguato trattamento antipertensivo incudendo un ACE inibitore o sartanico migliora le complicanze del diabete micro e macrovascolari Tabella 16:Raccomandazioni 35 Background L’ipertensione è fino a tre volte più comune nei pazienti con diabete di tipo 2 rispetto ai soggetti non diabetici 356,357 ed è condizione frequente anche nei paziente con diabete di tipo 1. In quest’ultima condizione solitamente la nefropatia precede l’ipertensione che in seguito accelera la progressione delle complicanze micro e macrovascolari. L’obesità, l’avanzare dell’età, l’insorgenza di una patologia renale aumentano ulteriormente la prevalenza dell’ipertensione nei pazienti diabetici358. Il diabete e l’ipertensione sono fattori di rischio addizionali per l’aterosclerosi e la CVD, e l’ipertensione aumenta il rischio per tali malattie, maggiormente nei soggetti con diabete rispetto ai soggetti ipertesi normoglicemici, come dimostrato, per esempio, dallo studio Multiple Risk Factor Intervention359,360 e dallo studio PROspective CArdiovascular Munster (PROCAM) 361. Esistono diverse possibili spiegazioni all’aumento del rischio, una può essere una maggior sensibilità allo stress di parete indotto dalla pressione. Il miocardio nel diabetico potrebbe inoltre essere più sensibile ad altri fattori di rischio per CVD, il che aumenta il rischio di ipertrofia miocardica, ischemia e scompenso cardiaco362. E ancora la nefropatia diabetica è notevolmente accelerata dall’aumento pressorio, una volta che l’ipertensione e la nefropatia sono presenti si crea un circolo vizioso363. Va notato che nel paziente diabetico, la stenosi dell’arteria renale potrebbe essere responsabile di entrambe le condizioni di insufficienza renale ed ipertensione. Lo screening per tale condizione è obbligatorio nei soggetti con ipertensione refrattaria e/o insufficienza renale. Obiettivi di trattamento L'UKPDS e l’Hypertension Optimal Treatment (HOT) hanno rivelato che nei pazienti con diabete, una strategia di trattamento intensivo per la riduzione della pressione arteriosa è associata ad una minore incidenza di complicanze cardiovascolari364,365. Varie manifestazioni cardiovascolari, come l’ictus cerebri e la malattia renale, sono state notevolmente ridotte nei soggetti diabetici con un rigoroso controllo della pressione sanguigna rispetto a coloro che presentavano un minor controllo. Vi è un accordo generale che ha raccomandato valori pressori più bassi nei pazienti con diabete (< 130/80 mmHg) rispetto ai soggetti senza diabete (< 140/90 mmHg). Se tollerati, i pazienti diabetici con nefropatia dovrebbero essere trattati al fine di ottenere livelli più bassi della pressione. Una vigorosa riduzione della pressione arteriosa potrebbe inizialmente elevare la creatinina sierica, ma a lungo termine determinerà un beneficio sulla funzione renale. Come dovrebbe essere ridotta la pressione sanguigna? Gli interventi sullo stile di vita dovrebbero costituire la base del trattamento di tutti i pazienti con ipertensione. Sebbene importanti, i cambiamenti dello stile di vita sono generalmente insufficienti per un adeguato controllo della pressione arteriosa. La maggior parte dei pazienti necessita di un trattamento farmacologico, e spesso di una combinazione di più farmaci antipertensivi. I registri e gli studi clinici dimostrano che molti pazienti con diabete ancora non hanno raggiunto l'obiettivo raccomandato di valori pressori <130 mmHg sistolica e <80 mmHg diastolica366,367. Pertanto, vi è un notevole potenziale per un miglioramento della gestione del paziente. Solo pochi grandi studi clinici randomizzati prospettici, con agenti antipertensivi sono stati specificatamente condotti in pazienti con 36 diabete. Tuttavia, alcuni dei più grandi studi clinici controllati verso placebo, con sottogruppi di ampie dimensioni di pazienti diabetici, hanno dato informazioni specifiche sui risultati in questo sottogruppo. (Tabella 10). Una importante constatazione è la marcata riduzione del rischio per successivi eventi cardiovascolari tra i pazienti trattati con un principio attivo rispetto a quelli in placebo. Questa constatazione è valida per tutti i tipi di farmaci antiipertensivi che sono stati studiati. E’ stata ben documentata la scelta come primo farmaco dei diuretici, dei β-bloccanti, dei calcio antagonisti e degli ACE inibitori368-373. Più di recente, diversi principi attivi anti-ipertensivi sono stati confrontati l’un l’altro (Tabella 11). Il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone sembra essere di particolare utilità, soprattutto quando questo trattamento viene utilizzato nei pazienti con diabete ad elevato rischio cardiovascolare374-376. Recenti evidenze nei pazienti ipertesi con diabete, supportano l'efficacia dell’utilizzo degli ACE– inibitori come terapia iniziale rispetto ai calcio antagonisti, quando l’obiettivo è impedire o ritardare l'insorgenza di microalbuminuria377. Nello studio Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension (LIFE), nel quale venivano reclutati pazienti ad alto rischio per la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, l’utilizzo come trattamento anti ipertensivo di un bloccante del recettore dell’angiotensina, losartan, era più efficace nella riduzione degli endpoint primari cardiovascolari rispetto all’uso dei beta bloccanti selettivi, come l’atenololo. In questo studio, il beneficio del losartan è stato ancora più evidente nella sottopopolazione di diabetici, con una differenza statisticamente significativa anche in tutte le cause di morte378. Va notato che la stragrande maggioranza dei pazienti in entrambi i gruppi avevano ricevuto idroclorotiazide in aggiunta al sartanico o al β-bloccante. Come illustrato nella Tabella 10, la riduzione del rischio assoluto nei pazienti con diabete dovuta al trattamento dell’ipertensione è superiore rispetto a quelli dei non diabetici. L'obiettivo principale del trattamento dell’ipertensione nei pazienti diabetici è, pertanto, ridurre la pressione arteriosa indipendentemente da quale farmaco o combinazione di farmaci venga utilizzata per tale scopo. Comunque un inibitore del sistema renina-angiotensina-aldosterone dovrebbe far parte della combinazione farmacologica. È importante monitorare la funzione renale quando viene introdotto in terapia un ACE-inibitore o un sartanico, specialmente considerando il rischio di peggioramento della funzione renale in presenza di una stenosi dell’arteria renale. 182 Una questione che è stata ampiamente dibattuta nel corso degli ultimi decenni è se le azioni metaboliche dei vari farmaci anti-ipertensivi sono importanti per gli eventi cardiovascolari a lungo termine. E' ben noto che l'uso di tiazidici e di β-bloccanti è associato ad un aumentato rischio di sviluppare diabete di tipo 2 rispetto al trattamento con calcio antagonisti e inibitori del sistema reninaangiotensina-aldosterone379,380. Non è noto tuttavia se il trattamento con tiazidici e/o β-bloccanti nei pazienti con diabete di tipo 2 conclamato ha qualche azione metabolica avversa di importanza clinica, incluso un aumentato rischio di eventi cardiovascolari. Nello studio Antihypertensive and LipidLowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT), il risultato è stato simile nei gruppi trattati con diuretici, ACE-inibitori, e calcio antagonisti381. Comunque, in questo studio, il sottogruppo di pazienti con IFG era molto più piccolo in confronto al sottogruppo di diabetici e di normoglicemici. Così, sebbene i farmaci con effetti metabolici negativi, soprattutto la combinazione di un tiazidico e di un β-bloccante, probabilmente dovrebbero essere evitati come trattamento di prima scelta nella gestione di pazienti ipertesi con la sindrome metabolica, l’obiettivo di ridurre la pressione arteriosa nei pazienti con diabete franco sembra più importante delle lievi alterazioni metaboliche382. Nel sottostudio ASCOT è stata recentemente proposta una analisi, di potenziale interesse, per spiegare le differenze nel ridurre la pressione arteriosa, tra il trattamento con atenololo/tiazidici in confronto ad 37 amlodipina/perindopril155. Il trattamento con β-blocccanti/tiazidici non riduceva la pressione centrale nella stessa misura dell’altra combinazione farmacologica. È stato proposto che questo potrebbe essere legato ad una diminuita protezione cardiovascolare della prima combinazione. Gestione della CVD Malattia coronarica Raccomandazioni La stratificazione precoce del rischio dovrebbe essere parte della valutazione del paziente diabetico dopo ACS. Classe IIa Livello C Gli obiettivi terapeutici dovrebbero essere valutati e applicati su ogni paziente diabetico a seguito di ASC IIa C Paziente con IMA e diabete dovrebbe essere valutato per la terapia trombo embolica al pari di un soggetto di pari grado non diabetico. IIa A Quando possibile il paziente con diabete e ACS dovrebbe essere sottoposto a studio angiografico e rivascolarizzazione meccanica. IIa B Il beta bloccante riduce la morbidità e mortalità nei pazienti con diabete e ACS. IIa B Aspirina dovrebbe essere data con le medesime indicazioni e lo stesso dosaggio ai pazienti con e senza diabete IIa B Clopidrogel dovrebbe essere considerato in aggiunta all’aspirina, nel paziente diabetico con ACS. IIa C L’aggiunta di un ACE inibitore al resto della terapia riduce il rischio di eventi cardiovascolari nei soggetti con diabete e stabile CVD. I A IIa B I pazienti diabetici con IMA beneficiano di uno stretto controllo glicometabolico. Questo potrebbe essere raggiunto mediante differenti strategie terapeutiche. Tabella 17: Raccomandazioni Epidemiologia Diabete e malattia coronarica Il diabete è molto comune tra i pazienti con malattia coronarica. Negli ultimi registri multinazionali le percentuali variano dal 19 al 23%.389-391 Quando i pazienti con infarto miocardico acuto, ma senza diabete noto, sono stati sottoposti ad un carico orale di glucosio, il 65% ha mostrato alterazioni della regolazione della glicemia (diabete misconosciuto 25% e IGT 40%), una percentuale molto più elevata rispetto ai controlli sani di pari età e sesso, tra i quali il 65% aveva una normale regolazione del 38 glucosio (NGR) 392,393. L'Euro Heart Survey on Diabetes and Heart, ha sottoposto a carico orale di glucosio pazienti provenienti da 25 paesi, ricoverati d’urgenza per CAD, diagnosticando il diabete nel 22% dei pazienti, precedentemente non noti per tale patologia395. Pertanto, la percentuale complessiva di DM tra i pazienti con malattia coronarica sembra essere circa il 45%396. Implicazioni prognostiche La mortalità durante il ricovero e a lungo termine dopo infarto miocardico è diminuita nel corso degli anni, ma i pazienti con diabete non hanno beneficiato di questa riduzione nella stessa misura rispetto a quelli senza questa malattia. I pazienti inclusi nel registro Grace, con diabete noto ricoverati per sindrome coronarica acuta hanno più elevata mortalità intra-ospedaliera (11,7, 6,3 e 3,9% nel MI con e senza elevazione del tratto ST e angina pectoris instabile) rispetto ai soggetti senza diabete (6,4, 5,1, e 2.9%)389. Il diabete è associato ad un elevato tasso di mortalità a lungo termine, che corrisponde al 15-34% dopo 1 anno e fino al 43% dopo 5 anni. Il rischio relativo per la mortalità globale attribuibile al diabete, dopo adeguamento per le differenze nelle caratteristiche basali, per le malattie concomitanti, e per il trattamento di base, varia da 1.3 a 5.4 ed è un po' più elevato tra le donne rispetto agli uomini. I pazienti con recente diagnosi di diabete di tipo 2 presentano simili probabilità di re-infarto, ictus, e di mortalità a 1 anno dopo un infarto miocardico acuto come i pazienti con diabete già noto406. Le principali complicanze nei pazienti con sindrome coronarica acuta includono ricorrenti episodi d’ischemia miocardica, disfunzione ventricolare sinistra, grave insufficienza cardiaca, facilità ad aritmie, reinfarto, ictus o morte. La maggior parte di queste complicanze sono significativamente più comuni nei pazienti con diabete (per una panoramica più completa, si veda la Tabella 22 e il testo completo del documento di questi linee guida, www.escardio.org) 388,391,397-406. Il marcato aumento del rischio di morte associato a diabete al di là della fase acuta degli eventi coronarici indica il profondo ruolo delle alterazioni del matabolismo glucidico. Un’alterata glicemia a qualsiasi livello determina alterazioni del metabolismo energetico, tra cui l’insulino resistenza, l'aumentata concentrazioni di acidi grassi non esterificati e l’eccessivo stress ossidativo201,408. Quando dolore al torace, mancanza di respiro, e ansia causano un incremento di stress-indotto dall’aumento del tono adrenergico, questi fattori metabolici favoriscono ulteriormente l'insorgenza d’infarto miocardico acuto. I pazienti diabetici hanno spesso CAD estesa e diffusa, ridotta riserva vasodilatatoria, diminuita attività fibrinolitica, elevata aggregazione piastrinica, disfunzioni del sistema nervoso autonomo, e probabilmente, cardiomiopatia diabetica (per ulteriori dettagli, vedere il capitolo sulla fisiopatologia nella versione full-text), tutti fattori che devono essere presi in considerazione al momento della scelta della terapia. Un alterato controllo della glicemia può agire anche nel tempo. Il controllo metabolico nel diabete di tipo 2, valutato come glicemia a digiuno o emoglobina glicata (HbA1c) rappresenta un importante fattore di rischio per la malattia coronarica. Inoltre, livelli elevati di glicemia al momento del ricovero sono un potente fattore predittivo per la mortalità durante il ricovero e a lungo termine, sia in pazienti con e senza DM327,409,411. Principi di trattamento Diversi studi dimostrano che i pazienti diabetici non sono trattati come per i pazienti non diabetici con attenzione tramite terapie basate sull’evidenza e sugli interventi coronarici.324,404 In particolare, sembra che le eparine, agenti trombolitici, utili nell’evento coronarico non siano frequentemente somministrate. Una spiegazione potrebbe essere, come conseguenza della neuropatia 39 autonomica, la mancanza di sintomi tipici nei pazienti diabetici con ischemia coronarica. La prevalenza d’ischemia silente nel soggetto diabetico è circa 10-20%, rispetto al 1-4% nella popolazione non diabetica264. Di conseguenza, gli infarti silenti o infarti con sintomi atipici sono più comuni nei diabetici, prolungando il tempo per il ricovero ospedaliero, così come per la diagnosi, riducendo in tal modo l'opportunità di somministrare il trattamento adeguato. Un'altra possibile ragione è che il paziente diabetico è considerato più vulnerabile e che questa malattia è stata vissuta come una controindicazione relativa ad alcune modalità di trattamento. Tuttavia, il trattamento dell’evento coronarico basato sull’evidenze, inclusa l’angiografia coronarica precoce e se possibile la rivascolarizzazione, è almeno altrettanto efficace nel paziente diabetico come nei pazienti non diabetici e non vi sono informazioni per una maggiore propensione a sviluppare eventi avversi. Stratificazione del rischio I pazienti con sindrome coronarica acuta e concomitante DM, già noto o di recente diagnosi, sono ad alto rischio di successive complicanze. Per la gestione a lungo termine è importante un estesa valutazione del rischio per identificare specifici rischi e delineare obiettivi terapeutici415,416. Questo include (i) una valutazione approfondita dell’anamnesi e dei segni di malattia periferica, renale e cerebrovascolari, (ii) una attenta valutazione dei fattori di rischio, come il profilo lipidico, la pressione arteriosa, l’abitudine al fumo e lo stile di vita; (iii) la valutazione dei fattori predittivi di rischio clinico comprendendo l'insufficienza cardiaca, l’ipotensione, e il rischio di aritmia, con particolare attenzione alle disfunzioni del sistema nervoso autonomo; (iv) indagini sulla presenza di ischemia inducibile mediante monitoraggio del tratto ST, test da sforzo, eco-stress o scintigrafia miocardica (qualunque sia il metodo più appropriato per il singolo paziente e a giudizio clinico), (v) la valutazione della vitalità del miocardio e dalla funzione ventricolare sinistra mediante eco-Doppler e/o la risonanza magnetica. L'affidabilità (sensibilità/specificità) del test da sforzo, dell’eco-stress o della scintigrafia miocardica è un elemento importante per rilevare l’ischemia in pazienti diabetici. Sono fattori confondenti la soglia potenzialmente alta di dolore a causa di disfunzioni del sistema nervoso autonomo, la natura multivasale della malattia coronarica, anomalie elettrocardiografiche di base, una scarsa performance nell’esercizio comune nei pazienti diabetici, la coesistenza di malattia delle arterie periferiche, e l’uso di molteplici terapie. In questo contesto, sono di particolare importanza una attenta valutazione clinica ed una mirata valutazione dei risultati di laboratorio. Obiettivi terapeutici Nella Tabella 18 sono riassunte le opzioni terapeutiche disponibili, atte a preservare e a ottimizzare la funzione miocardica, ad ottenere la stabilizzazione delle placche fragili, a prevenire eventi ricorrenti mediante il controllo dell’attività protombotica e a contrastare la progressione delle lesioni aterosclerotiche417,418. Le raccomandazioni per la prevenzione secondaria sono, in termini generali, valide per i pazienti con e senza diabete. La strategia di trattamento dovrebbe, se non altro, essere ancora più ambiziosa nella prima categoria di pazienti. Per una pari riduzione del rischio, il numero di pazienti necessari da trattare per salvare una vita o evitare uno definito endpoint è più bassa tra i pazienti diabetici, a causa del più elevato rischio assoluto. Principali obiettivi del trattamento sono illustrati nella Tabella 19, che riassume le raccomandazioni per la prevenzione secondaria sulla base delle prove accumulate, compresi i dati di recenti linee guida e documenti di consenso130,419-421. 40 Rivascolarizzazione Terapie anti-ischemia Agenti antiaggreganti Agenti antitrombotici Prevenzione secondaria mediante Stile di vita incluso alimentazione e attività fisica Smettere di fumare Inibizione del sistema renina-angiotensina Controllo pressorio Trattamento per la riduzione del colesterolo Controllo glicemico Tabella 18: opzioni terapeutiche in base all'evidenze riscontrate. <130/80 Pressione arteriosa (sistolica/diastolica)mmHg In caso di di insufficienza renale con con proteinuria>1g/24h <125/75 Controllo glicemico HbA1c (%) <6.5 Glicemia a digiuno mmol/l(mg/dl) <6.0(108) Glicemia post-prandiale <7.5 (135) tipo2 <7.5-9.0(135-160) tipo1 Profilo lipidico in mmol/L (mg/dl) Colesterolo totale <4.5(175) LDL-C <1.8(70) HDL-C >1.0(40) uomini e >1.2(46) donne Trigliceridi <1.7 (150) TC/HDL <3 Obbligatorio Smettere di fumare Attività fisica regolare (min/giorno) >30-45 Controllo del peso BMI <25 In caso di sovrappeso calo ponderale (%) 10 Circonferenza vita (cm) <94 negli uomini <80 nelle donne Abitudini alimetari Sale (g/die) <6 Acidi grassi saturi(%) <10 Acidi grassi Trans <2 Polinsaturi 6 4-8 Polinsaturi 3 2g/die ac. Linoleico e 200mg/die acidi grassi a catena molto lunga. Tabella 19:obiettivi terapeutici raccomandati per i pazienti con diabete e CAD (modificato da European guidelines per Cardiovascular Disease Prevention419) 41 Trattamento specifico Trombolisi Una meta-analisi di 43.343 pazienti con infarto miocardico, dei quali il 10% aveva una storia di diabete, ha rivelato che il numero di vite salvate grazie alla terapia trombolitica è stato il 37‰ dei pazienti trattati nella coorte dei diabetici, rispetto al 15‰ tra quelli senza DM.422 Così, a causa del loro elevato rischio, è necessario trattare un minor numero di soggetti per salvare una vita nella coorte di diabetici, corrispondente ad una maggiore beneficio assoluto per il trattamento trombolitico nei diabetici rispetto ai pazienti non diabetici. Si tratta di una leggenda che la trombolisi è controindicata nei pazienti diabetici a causa di un aumentato rischio di emorragia cerebrale o oculare. Rivascolarizzazione precoce La rivascolarizzazione entro 14 giorni dall’evento di infarto miocardico acuto con un elevazione del tratto ST sia nell’infarto senza elevazione del tratto ST, ha determinato una riduzione del 53% della mortalità a un anno nei pazienti senza diabete e il 64% tra quelli con diabete (15 vs 5%; RR 0.36; 95% CI 0.22-0.61). 424,425 La strategia di riperfusione precoce tra i pazienti diabetici con angina instabile o con infarto senza elevazione del tratto ST nello studio FRISC-II ha portato ad una significativa riduzione degli endpoint di morte o di re-infarto del miocardio da 29.9 a 20.6% (OR 0.61; 95% IC: 0.36-0.54)405. L'impatto della strategia invasiva precoce è stato dello stesso ordine di grandezza in entrambi i pazienti diabetici e non diabetici. Ciò significa che, a causa del significativo più alto rischio assoluto, il vantaggio relativo è stato notevolmente superiore nei pazienti diabetici rispetto a pazienti non diabetici. L'NNT per diminuire un evento morte o infarto miocardico è stato di 11 per i soggetti diabetici e 32 per i non diabetici. La scelta tra intervento coronarico percutaneo (PCI) e bypass coronarico (CABG) viene discusso più avanti in questo capitolo. Farmaci anti-ischemici β-bloccanti L’utilizzo di β -bloccanti nei pazienti diabetici con infarto miocardico è consigliato, in quanto gli effetti benefici hanno un solido supporto in fisiopatologia, anche se, in larga misura, si basa su analisi di sottogruppi. Il trattamento con beta-bloccanti nel post infarto ha comportato una generale riduzione della mortalità, come risulta da una meta-analisi sistematica di Freemantle e collaboratori su lavori scientifici pubblicati tra il 1966-97. 426 In questa meta-analisi, la riduzione della mortalità globale era del 23% (CI: 15-31%), che può essere tradotto come necessità di trattare 42 pazienti per 2 anni per salvare una vita. I β -bloccanti sono particolarmente efficaci nel diminuire la mortalità post-infarto e nel diminuire l’insorgenza di nuovi infarti in pazienti con una storia di DM. 427-432 Pertanto, i β -bloccanti per via orale sono raccomandati, in assenza di controindicazioni, per tutti i pazienti diabetici con malattia coronarica. 427,428,433 Inoltre, questi pazienti sono molto più inclini a sviluppare insufficienza cardiaca e studi recenti hanno documentato che i β-bloccanti presentano effetti benefici nei pazienti con insufficienza cardiaca.541,543,544 Sembra ragionevole rendere individualizzata la scelta tra i diversi β-bloccanti a seconda delle condizioni concomitanti e del tipo di trattamento per il diabete. I bloccanti β-1 selettivi possono essere preferito in caso di trattamento con insulina, e gli antagonisti sia α-1-β come il carvedilolo possono offrire ulteriori vantaggi per i pazienti con malattia delle arterie periferiche o con sostanziale insulino- 42 resistenza. 434 Ancora, dati attuali riportano che i pazienti diabetici con CAD sono privi di questo trattamento salvavita. 394,397,404 Altri farmaci Nitrati e calcio antagonisti appartengono ai farmaci anti-ischemici. Una recente meta-analisi non rivela i benefici sulla sopravvivenza per nessuno di questi, sebbene nei pazienti con infarto senza elevazione del tratto ST siano stati segnalati effetti favorevoli per il diltiazem 418,435. I calcio antagonisti a lunga durata ed i nitrati non sono dunque raccomandati ma possono essere utili per il controllo della sintomatologia nei pazienti già in trattamento con β-bloccanti o in caso che questi siano controindicati. Farmaci anti-aggreganti ed anti-trombotici È stato ipotizzato ma mai verificato che i pazienti affetti da diabete necessitino di dosi particolarmente elevate di aspirina perché ci sia una inibizione efficace della produzione di trombossanoA2. Un’analisi sistematica di 195 studi clinici che includeva più di 135.000 pazienti (delle quali 4.961 con diabete) ad alto rischio per arteriosclerosi ha rivelato che il rischio di ictus, infarto miocardico, o morte vascolare è stato ridotto di circa il 25% mediante la terapia anti-aggregante data in forma di aspirina, clopidogrel, dipiridamolo, e antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa (separatamente o in associazione).436 I benefici ottenuti tra i pazienti diabetici sono stati un po' più modesti. Lo studio Antithrombotic Trialists ha concluso che la dose efficace di aspirina è di 75-150 mg al giorno, e quando necessario, una dose di carico di 150-300 mg per ottenere un effetto immediato. Quando aggiunto all’aspirina, l'effetto delle tienopiridine (Ticlopidina, Clopidogrel), che bloccano l’attivazione piastrinica tramite il recettore ADP-dipendente, è favorevole nei pazienti con angina instabile e infarto senza elevazione del tratto ST, riducendo l'incidenza di morte cardiovascolare, infarto miocardico, o ictus dal 11.4% al 9.3%; (RR 0.80; IC: 0.72-0.90). 437 Lo studio CURE raccomanda a seguito di un evento coronarico acuto, l’utilizzo di clopidogrel (75 mg al giorno) in combinazione con l'aspirina (75-100 mg al giorno) per 9-12 mesi. 418,438 Tra i pazienti con diabete e malattie vascolari, il clopidogrel fornisce una migliore protezione da eventi gravi (morte vascolare, re-infarto, ictus, o ricorrenti ricoveri per ischemia) rispetto all'aspirina (RR 0.87; IC: 0.77 - 0.88; CAPRIE). 439,440 ACE-inibitori Gli inibitori del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitori) non hanno mostrato particolare vantaggio nei pazienti diabetici rispetto ai pazienti non diabetici con infarto miocardico, tranne che nel resoconto dello studio GISSI-3. Nell’analisi di un sottogruppo di questo studio, il precoce trattamento con lisinopril riduceva la mortalità nei pazienti diabetici ma non nel gruppo di controllo non diabetico. 411 Nello studio Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) è stato testata la possibilità che l'ACEinibitore ramipril possa prevenire eventi cardiovascolari nelle persone con diabete. Sono stati reclutati in un sottogruppo 3.654 pazienti con diabete associato a pregresso CVD o con uno o più fattori di rischio per tale malattia, in cui il diabete era una domanda specifica dello studio. 372 C'è stata una riduzione del 25% nell’endpoint di infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare ed una chiara riduzione di tutti gli eventi. Più di recente, lo studio EUROPA con perindopril in soggetti con coronaropatia stabile ha esteso questi risultati a una popolazione che, in termini assoluti, ha avuto un 43 più basso rischio cardiovascolare rispetto a quello dello studio HOPE. La riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare con perindopril, è stata osservata indipendentemente da una elevato uso di altre terapie per la prevenzione secondaria. Il beneficio ottenuto per i pazienti con diabete è stato simile a quello della popolazione generale. Il beneficio assoluto è stato, tuttavia, maggiore a causa della maggiore incidenza di tali eventi tra soggetti diabetici. 442,443 Dettagli sul controllo della pressione arteriosa e l'utilizzo di vari farmaci, compresi gli ACE-inibitori, soli o in combinazione sono indicati altrove nel capitolo sul trattamento per la riduzione del rischio cardiovascolare. Ipolipidemizzanti L'uso di farmaci ipolipidemizzanti è discusso altrove in queste linee guida. Controllo Metabolico Ci sono diversi motivi per cui il controllo metabolico intensivo durante un infarto miocardico acuto determina beneficio. Questo effetto avviene direttamente per il metabolismo del miocardio attraverso la beta-ossidazione degli FFA si ha una riduzione del consumo di glucosio. Un modo per ottenere questo effetto è quello di infondere insulina e di glucosio. Uno stretto controllo delle glicemia attraverso l’infusione d’insulina ha anche la potenzialità di migliorare la funzione piastrinica, correggere il profilo lipidico e diminuire l’attività dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno-1 (PAI-1), migliorando così la capacità di fibrinolisi spontanea. Il concetto del controllo acuto e/o cronico del metabolismo è stato testato nei due studi DIGAMI. Nel primo studio DIGAMI sono stati reclutati 620 pazienti con diabete e infarto miocardico acuto e sono stati randomizzati a un gruppo di controllo o ad un trattamento insulinico intensivo, mediante infusione di glucosio-insulina durante le prime 24 ore dopo l’infarto miocardico.323 In un follow-up a lungo termine per più di 3.4 anni, vi è stato una riduzione assoluta di mortalità del 11% nel gruppo sottoposto a trattamento intensivo con insulina, il che implica una vita salvata ogni nove pazienti trattati. 409 Di particolare interesse era che i pazienti senza precedente trattamento con insulina e ad un rischio relativamente basso ne beneficiavano di più. L’HbA1c, usata come la misura di un miglioramento del controllo metabolico, in questo gruppo di pazienti è diminuita in media del 1.4%. La ben nota relazione epidemiologica tra il livello di glicemia all’ingresso e la mortalità è stata osservata solo tra i pazienti di controllo, indicando che il trattamento per il corretto metabolismo nel periodo peri-infartuale ha attenuato l'effetto nocivo di elevati valori glicemici al momento del ricovero. 323 Nel secondo studio DIGAMI sono stati valutati 1.253 pazienti con Diabete di tipo 2 e sospetto di infarto miocardico acuto che sono stasi suddivisi tramite tre bracci di gestione: (1) infusione glucosioinsulina in acuto, seguita dal trattamento insulinico per il controllo glicemico a lungo termine, (2) l'infusione di glucosio-insulina, seguita da un controllo glicemico standard, (3) gestione del controllo 326 glicemico di routine in conformità con la pratica clinica locale. Questo studio non ha verificato se un tempestivo trattamento insulinico intensivo a lungo termine migliora la sopravvivenza nei pazienti diabetici di tipo 2 con infarto miocardico e non ha dimostrato se iniziando la terapia con infusione di glucosio-insulina, la sopravvivenza è superiore rispetto alla gestione convenzionale. Tuttavia, il controllo glicemico era migliore rispetto al DIGAMI 1, già al 44 momento del ricovero ospedaliero, e le tre strategie di controllo della glicemia non hanno determinato un controllo glicemico differente a lungo termine. Infatti, non sono stati raggiunti livelli glicemici ottimali nel gruppo in trattamento insulinico intensivo e sono stati raggiunti valori migliori del previsto con le altre due strategie di trattamento. Dato un simile grado di controllo glicemico, sembrava che l'insulina di per sé, non migliorasse la prognosi più di qualsiasi altra combinazione atta a far diminuire la glicemia. Lo studio DIGAMI 2 ha confermato che il livello di glicemia è un forte, fattore predittivo indipendente di mortalità a lungo termine in seguito ad infarto miocardico in pazienti con diabete di tipo 2, con un incremento del tasso di mortalità del 20% nel lungo termine per un aumento di glicemia di 3 mmol / L. Nello studio Estudios Cardiologicos Latinoamerica (ECLA), che coinvolgeva 400 pazienti, nei pazienti in terapia con infusione di glucosio-insulina-potassio non vi era una tendenza significativa di riduzione degli eventi maggiori e minori intra-ospedalieri 411 Il recente studio CREATE-ECLA ha randomizzato più di 20.000 pazienti con infarto acuto ed elevazione del tratto ST, dei quali il 18% era affetto da diabete di tipo 2, questi sono stati posti in terapia con alte dosi di glucosio-insulina-potassio o in trattamento standard. Il risultato globale è stato che il trattamento con glucosio-insulina-potassio non ha influenzato la mortalità. 444 Si deve sottolineare che nessuno di questi studi è stato mirato ad arruolare soggetti con diabete franco o aveva lo scopo di normalizzazione i livelli glicemici di per sé. In realtà, vi è stato un aumento significativo dei livelli di glicemia nello studio CREATE-ECLA che può aver contribuito ad ottenere questo risultato neutro. Il vero risultato importante di questo trial è che suggerisce fortemente che l’intervento tempestivo di correzione del metabolismo attraverso l’infusione di glucosio-insulina-potassio non ha collocazione attualmente nel trattamento di pazienti con MI acuto, se non utilizzato per normalizzare il livello di glicemia. Al contrario, e come discusso in dettaglio altrove in queste linee guida, lo studio Belgian surgical intensive care unit (ICU), che ha ottenuto la normalizzazione dei valori glicemici (4.5-6.1 mmol/L; 80-110 mg/dl) nel gruppo posto in trattamento intensivo, mostra una diminuzione significativa della mortalità. 445 Sulla base delle conoscenze attuali, ci sono ragionevoli evidenze di iniziare il controllo glicemico mediante infusione di insulina nei diabetici, che sono ricoverati per infarto miocardico acuto e che presentano livelli di glicemia significativamente elevati, al fine di raggiungere la normoglicemia nel più breve tempo possibile. Pazienti ricoverati con livelli di glucosio relativamente normali possono essere trattati con antidiabetici orali. Nel follow-up, sia dati epidemiologici che recenti studi mostrano che il controllo stretto delle glicemie è utile. Il regime terapeutico per realizzare questo obiettivo dovrebbe comprendere la dieta, il cambiamento dello stile di vita, antidiabetici orali ed insulina. Poiché non esiste una risposta definitiva per la scelta del trattamento farmacologico migliore, la decisione finale può essere basata su decisione da parte del medico curante, in collaborazione con il paziente. Più importante, deve essere perseguito l'effetto del controllo glicemico a lungo termine, e i livelli glicemici dovrebbero essere il più possibile normali. 45 Diabete e rivascolarizzazione coronarica Raccomandazioni Le decisioni di trattamento per la rivascolarizzazione miocardica nel paziente con diabete dovrebbero favorire il bypasscoronarico rispetto all’angioplastica. Classe IIa Livello A Gli inibitori gli proteine IIb/IIIa sono indicati in elettive caso di PCI elettiva nel paziente diabetico. I B Quando si esegue una PCI con impianto di stent nel paziente diabetico, dovrebbero essere utilizzati gli stent medicati. IIa B La riperfusione meccanica attraverso PCI è la modalità di rivascolarizzazione di prima scelta per il paziente diabetico con IMA. I A Tabella 20: raccomandazioni Le procedure di rivascolarizzazione coronarica potrebbero essere indicate nei pazienti diabetici con sindrome coronarica stabile o instabile, coinvolgendo l'intero spettro di cardiopatia ischemica da pazienti asintomatici ai pazienti con infarto miocardico con elevazione del tratto ST, con malattia coronarica e come prevenzione della morte cardiaca improvvisa. I pazienti con diabete hanno una maggiore mortalità e morbilità dopo CABG rispetto ai non-diabetici, e questo viene visto anche in pazienti sottoposti a PCIs 488-490. L'influenza del controllo glicometabolico sul risultato dopo rivascolarizzazione (insulina vs terapia orale) è ancora poco chiaro. Intervento chirurgico vs percutanea L'efficacia del PCI e bypass chirurgico, come modalità di rivascolarizzazione è stata confrontata in diversi studi clinici controllati e randomizzati. Dopo che lo stent è divenuto disponibile, sono stati condotti studi per il confronto di questa nuova tecnologia con il CABG in pazienti con patologia coronarica multi distrettuale. 474-477 Maggiori interessi sono stati sollevati dopo che un analisi post hoc di un sottogruppo dello studio BARI in pazienti con diabete e malattia coronarica multi distrettuale ha dimostrato una prognosi meno favorevole tra quelli trattati con PCI rispetto a quelli sottoposti a CABG (Tabella 21). 458,496 Nello studio BARI, la sopravvivenza a 7 anni per la popolazione totale era 84.4% per i pazienti trattati chirurgicamente e 80.9% per il PCI (P = 0,043). Le percentuali corrispondenti per i pazienti con diabete sono state 76.4% vs 55.7% (P = 0,001). Ciò suggerisce che la differenza non significativa tra le due strategie di intervento era limitata alla PCI nei pazienti con diabete. Inoltre, nello studio BARI, la differenza di sopravvivenza era limitata ai pazienti diabetici che hanno ricevuto almeno un graft con una arteria mammaria interna. 459 Lo studio BARI non è stato concepito per la valutazione nei pazienti diabetici. Il sospetto sollevato dallo studio BARI che la prognosi a lungo termine dopo PCI potrebbe essere peggiore nei pazienti con diabete con malattia coronarica multi distrettuale è stato, tuttavia, confermato da un altra grande 46 valutazione delle procedure di rivascolarizzazione. 479 Pazienti non randomizzati, eleggibili per lo studio BARI, sono stati inseriti in un registro. La tecnica di rivascolarizzazione è stata lasciata alla discrezione dei pazienti e dei medici. Nel registro BARI, non sono state osservate simili differenze nella mortalità (Tabella 21). 456,460 Inoltre, altri tre studi, condotti quando l’angioplastica era già disponibile, non potevano confermare la conclusione dello studio BARI per quanto riguarda i pazienti diabetici sottoposti a PCI: RITA-1, CABRI, e EAST (Tabella 21). 471-473 Lo studio AWESOME (Angina with Estreme Serious Operative Mortality Evaluation) ha randomizzato solo pazienti con angina instabile e ad alto rischio chirurgico. Nel gruppo PCI, il 54% dei pazienti ha ricevuto stent e 11% ha ricevuto antagonisti della glicoproteina IIb / IIIa. 477 L'impressione avuta da questi studi è che la sopravvivenza non differisce, ma che i pazienti diabetici hanno una più alta incidenza di ripetere la rivascolarizzazione e che la restenosi è ancora un grave problema soprattutto in questa categoria di pazienti (Tabelle 21 e 22). PAZIENTI (n) 353 124 59 STUDIO BARI 458 CABRI471 EAST472 REGISTRO BARI 460 330 FOLLOW UP Mortalità (%) (anni) CABG PCI 7 23,26 44,3 4 12,5 22,6 8 24,5 39,9 14,9 14,4 5 P value <0,001 NS NS NS Tabella 21:studi per la valutazione del diabete e la rivascolarizzazione per malattia mutivasale STUDIO Pazienti (n) ARTS 474 SoS476 AWESOME477 208 150 144 FOLLOW UP (anni) 3 1 5 Mortalità (%) CABG PCI 4,2 0,8 34 7,1 2,5 26 Rivascolarizzazione (%) CABG PCI 8,4 41,1 P value 0,39 NS 0,27 Tabella 22:rivascolarizzazione nel paziente diabetico con malattia multivasale nell'epoca di PCI Terapia aggiuntiva Tutti gli studi citati sinora sollevano la questione se la rivascolarizzazione mediante PCI o CABG è da preferire nei pazienti con diabete e malattia coronarica multivasale. Gli stent, e in seguito gli stent medicati (DES), sono nati per migliorare l'esito del PCI nel paziente diabetico. Anche se i risultati sono promettenti, soltanto un piccolo studio si è effettivamente dedicato alla trombosi subacuta dello stent, alla restenosi, e al risultato a lungo termine in questa categoria di pazienti e altri dati disponibili si riferiscono a sottoinsiemi di pazienti inclusi negli studi su stent e DES457,462,480-482. Una recente meta-analisi ha confrontato gli stent medicati con gli stent di metallo nella sottopopolazioni di diabetici in diversi studi clinici e ha rivelato che gli stent medicati sono stati associati ad un 80% di riduzione del rischio relativo per restenosi durante il primo anno di follow-up 483 . Saranno certamente necessari futuri studi clinici che confronteranno i DES con il bypass per determinare la strategia migliore di rivascolarizzazione nei pazienti diabetici con malattia multivasale. Nei pazienti diabetici gli inibitori piastrinici della glicoproteina piastrinica IIb/IIIa migliorano il 47 risultato dopo PCI quando somministrati durante la procedura. In tre studi randomizzati con abciximab, c'è stata una riduzione del 44% della mortalità dopo 1 anno, suggerendo che questi agenti sono indicati in tutti i pazienti diabetici sottoposti a PCI. 482 Antagonisti del recettore adenosina-difosfato (ADP) (tienopiridine), come il clopidogrel, possono impedire le complicanze tardive di trombosi dello stent dopo impianto, in particolare nei pazienti con diabete. 438 Nei pazienti con diabete, la natura progressiva della malattia aterosclerotica, la marcata disfunzione endoteliale e le anomalie della coagulazione e delle piastrine sono responsabili di un esito meno favorevole dopo rivascolarizzazione. Trattamenti ulteriori dovranno essere incentrati su queste specifiche entità di malattia, ponendo particolare attenzione alla malattia concomitante e ai fattori di rischio. Tuttavia, non sono stati eseguiti studi randomizzati per verificare se queste misure influenzino il risultato delle procedure di rivascolarizzazione. Inoltre, non sono disponibili dati per quanto riguarda se il miglioramento del controllo glicemico possa ridurre l'incidenza di restenosi dopo PCI o migliorare la pervietà del bypass dopo CABG. Nel Euro Heart Survey sulla rivascolarizzazione coronarica, è stata posta l’attenzione se, in generale, il diabete sia associato ad un aumento della preferenza del medico per un trattamento medico o per la rivascolarizzazione. In una vasta gamma di protocolli di trattamento europei, il diabete non è stato considerato tra i fattori che determinano la decisione sul trattamento della coronaropatia stabile. 490 Tuttavia, dovrebbe essere sempre presa in considerazione l’alta incidenza di una seconda rivascolarizzazione nei pazienti trattati con PCI. Sebbene i pazienti che presentano la malattia coronarica acuta hanno diverse caratteristiche cliniche da quelli che si presentano con sindromi coronariche stabili, l’opinione generale è che l'approccio, per quanto riguarda le modalità di rivascolarizzazione, debba essere identico. 491 Rivascolarizzazione e riperfusione nell’infarto miocardico I pazienti con diabete o iperglicemia possono avere differenti risposte alle diverse strategie di trattamento utilizzato nell’infarto miocardico. 400,492-494 Nei pazienti con infarto miocardico ed elevazione del tratto ST, la trombolisi sembra essere meno efficace nei pazienti affetti da diabete. 495 In generale crescenti evidenze suggeriscono che l’angioplastica primaria sia preferibile alla trombolisi come terapia riperfusiva nell’infarto miocardico con elevazione del tratto ST. 496-498 E’ meno chiaro se questo vantaggio sia presente anche nei pazienti diabetici. Ancora, la PCI primaria è stata suggerita come il trattamento di scelta nei pazienti ad alto rischio, tra i quali sono considerati i pazienti diabetici. 496,497 Sebbene la trombolisi sia meno utile nei pazienti diabetici, anche la rivascolarizzazione e la riperfusione mediante PCI primaria potrebbe essere meno efficace a causa di una CAD più diffusa, dei diametri dei vasi più piccoli e per una tendenza più elevata a formare restenosi. 499,500 I pazienti con DM hanno una prognosi sfavorevole dopo infarto miocardico con elevazione del tratto ST e dopo riperfusione miocardica, come dimostrato da una incompleta risoluzione del tratto ST dopo angioplastica primaria e da un ridotto grado di rossore miocardico, rispetto ai pazienti non diabetici. 400 Identificare il metodo di riperfusione miocardica ottimale nei pazienti diabetici è di grande importanza clinica, dato il numero elevato di infarto miocardico con elevazione del tratto ST in questi pazienti e la prognosi peggiore. 309,501 Una recente analisi su pazienti diabetici, che prendeva in considerazione 11 studi randomizzati, ha dimostrato un beneficio di sopravvivenza per i pazienti trattati con PCIs rispetto 48 a quelli posti in trattamento con farmaci trombolitici. 497,498 Questi risultati sono stati confermati da altri due studi. 502,503 L’intervento cardiochirurgico nel trattamento dell’infarto miocardico con elevazione del tratto ST è indicato solo quando l'anatomia coronarica non è passibile di un intervento percutaneo, o dopo che tale intervento non sia riuscito e la zona di miocardio a rischio è grande, o quando si sono verificate complicanze meccaniche. Questioni irrisolte Nei pazienti con diabete e CAD, sia la PCIs che il CABG sono le opzioni di trattamento, anche se resta da stabilire quale sia preferibile. La stragrande maggioranza degli studi comprende solo sottogruppi di pazienti con diabete, ma non è stata dedicata a pazienti con diabete in particolare. Inoltre, solo studi randomizzati che includano pazienti diabetici da sottoporre a rivascolarizzazione tramite moderne tecnologie, come gli stent medicati, potranno dare la risposta se il CABG, procedure ibride di rivascolarizzazione o l’angioplastica siano la modalità di trattamento da preferire. A seconda del coinvolgimento diffuso del processo aterosclerotico, del tipo di diabete, dell’idoneità all’intervento percutaneo, della presentazione clinica, della presenza di occlusione totale cronica, della morfologia della lesione e del coinvolgimento prossimale della coronaria anteriore sinistra discendente, della comorbidità e di altri fattori si potranno definire sottogruppi che possano beneficiare da una o l’altra opzione di rivascolarizzazione. Tali studi sono in corso, ma fino a quando questi non saranno completati, una classificazione rimane altamente speculativa. Insufficienza cardiaca e diabete Raccomandazioni ACE inibitori sono raccomandati come terapia di prima scelta nel paziente diabetico con ridotta funzione di pompa con o senza sintomi. Classe I Livello C I sartanici hanno effetti similari agli ACE inibitori quando impigati nello scompenso cardiacoe possono essere utilizzati in alternativa o in associazione agli ACE inibitori. I C Beta bloccanti (metoprololo, bisoprololo e carvedilolo) sono raccomandati come terapia di prima scelta nel paziente diabetico con scompenso cardiaco. I C IIa C IIb C I diuretici, in partisolare i diuretici dell’ansa, sono importanti per il trattamento della sintomatologia dell’edema da scompenso cardiaco nel paziente diabetico. Antagonisti aldosteronici possono essere impiegati in associazione agli ACE inibitori, beta bloccanti e diuretici nel paziente diabetico con grave scompenso cardiaco. Tabella 23: raccomandazioni 49 Aspetti Epidemiologici : Prevalenza di insufficienza cardiaca e alterazione della tolleranza ai carboidrati La prevalenza di insufficienza cardiaca varia nei diversi studi; è stata stimata pari a 0.6-6.2% negli uomini svedesi e aumenta con l'età. Questo dato è simile alla prevalenza generale di insufficienza cardiaca in entrambi i sessi riscontrata nella popolazione dello studio Rotterdam e dello studio Reykjavık. 514-516 Si conosce meno quale è la prevalenza dell’associazione tra diabete e insufficienza cardiaca. I più recenti e ampi dati sulla prevalenza di insufficienza cardiaca e diabete provengono dallo studio Reykjavı'k che dimostra che la prevalenza della associazione tra insufficienza cardiaca e diabete è dello 0,5% negli uomini e 0,4% nelle donne, aumentando all'aumentare dell'età. L’insufficienza cardiaca è stata riscontrata nel 12% dei soggetti con diabete rispetto al solo 3% negli individui senza diabete. Pertanto, veniva riscontrata una forte associazione tra diabete ed insufficienza cardiaca. 516 Incidenza di insufficienza cardiaca e anomalie del glucosio Tra i pazienti britannici l'incidenza di insufficienza cardiaca è stata registrata pari a circa 4/1000 persone-anno, in aumento con l'età. Dati similari sono stati registrati in Finlandia. 517,518 Meno informazioni sono disponibili sull’incidenza dell’associazione tra diabete e insufficienza cardiaca. Nello studio Framingham, l'incidenza di insufficienza cardiaca è stata doppia nei maschi e cinque volte superiore nelle donne con diabete nel corso dei 18 anni di follow-up, rispetto ai pazienti non diabetici, 519 e nella popolazione generale di anziani italiani, l'incidenza di diabete era 9.6% per ogni anno in pazienti con insufficienza cardiaca. 520 Implicazioni prognostiche In presenza di diabete e scompenso cardiaco, la prognosi diviene severa. 521 Il diabete è anche un grave fattore prognostico per mortalità cardiovascolare nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra a causa della cardiopatia ischemica. 522 Nella popolazione generale dello studio Reykjavık, la sopravvivenza è diminuita in maniera significativa, con la concomitante presenza di entrambi le condizioni, insufficienza cardiaca e anomalie del metabolismo del glucosio, anche dopo aggiustamenti per i fattori di rischio cardiovascolari e per la cardiopatia ischemica. 523 Questo può essere visto come un indicatore della gravi implicazioni dell’associazione tra diabete e insufficienza cardiaca. Trattamento Ci sono pochissimi studi clinici sul trattamento dell’insufficienza cardiaca specificatamente mirati per i pazienti diabetici. Le informazioni sull’efficacia del trattamento con vari farmaci sono quindi basate sui sottogruppi di pazienti diabetici inclusi in studi clinici sull’insufficienza cardiaca. Lo svantaggio di questo dato è che i sottogruppi non sono sempre ben definiti per quanto riguarda lo stato e il trattamento del diabete. Molti dati mostrano un’efficacia simile nei pazienti diabetici e nei soggetti non diabetici. Il trattamento tradizionale dello scompenso cardiaco nei pazienti diabetici è attualmente basato sui diuretici, gli ACE-inibitori, i β-bloccanti, come sottolineato in altre linee guida. 420,506 Inoltre, si presume che un meticoloso controllo metabolico dovrebbe essere di beneficio nello scompenso cardiaco in pazienti con diabete. 524 50 ACE-inibitori L'impiego degli ACE-inibitori è indicato sia nella disfunzione cardiaca asintomatica sia nell’insufficienza cardiaca sintomatica dal momento che migliora i sintomi e riduce la mortalità. Gli ACE-inibitori sono utili nell’insufficienza cardiaca moderata-severa con e senza diabete. Lo studio Studies of Left Ventricular Dysfunction (SOLVD) ha mostrato una efficacia similare del trattamento con enalapril in pazienti con compromissione della funzione ventricolare sinistra con e senza diabete, 530 e nello studio Assessment of Treatment with Lisinopril and Survival (ATLAS), quando si sono confrontate alte e basse dosi di lisinopril, la riduzione della mortalità è stata subottimale sia nel paziente diabetico come nel soggetto non diabetico. 531 In pazienti diabetici in trattamento con ipoglicemizzanti in seguito alla istituzione di ACE-inibitori sono stata riportata ipoglicemie534,535. Si raccomanda pertanto di controllare in questi pazienti attentamente la glicemia nella prima fase dell'istituzione di un ACE-inibitore. Inibitori del recettore dell’Angiotensina II I sartanici possono essere utilizzati in alternativa agli ACE-inibitori per migliorare la morbilità e la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca o possono essere utilizzati anche in combinazione con ACE-inibitore in pazienti con insufficienza cardiaca sintomatica. 506 L'uso dei sartanici non è stato verificato principalmente in pazienti con insufficienza cardiaca e diabete, ma in analisi di sottogruppi di grandi studi clinici, gli effetti benefici sono stati equivalenti a quelli degli ACE-inibitori. 536-538 β-bloccanti Il β-blocco diminuisce l’esposizione del miocardio agli acidi grassi liberi, pertanto varia questa via metabolica nei pazienti con diabete539-540. Non ci sono studi che affrontano specificamente l'uso di βblocco nei pazienti con insufficienza cardiaca e diabete. Le analisi dei sottogruppi di pazienti diabetici nei grandi studi sull’insufficienza cardiaca hanno comunque dimostrato che i β-bloccanti riducono la mortalità e migliorano i sintomi nella insufficienza cardiaca moderata-grave in misura simile nei pazienti con e senza diabete. Poiché la mortalità è notevolmente più elevata tra i pazienti con insufficienza cardiaca diabetici rispetto ai non diabetici, l'NNT per salvare una sola vita è sostanzialmente minore nella coorte dei diabetici. I seguenti β-bloccanti possono, sulla base dei risultati di studi clinici che includono sottogruppi di pazienti con diabete, sono raccomandati come trattamento di prima scelta nei pazienti con insufficienza cardiaca e diabete: Metoprololo (MERIT-HF), Bisoprololo (CIBIS II), e Carvedilolo (COPERNICUS e COMET). 432,541-545 Diuretici I diuretici sono obbligatori per la risoluzione dei sintomi, che sono causati da un sovraccarico di liquidi. Questi farmaci non dovrebbero, tuttavia, essere usati in eccesso poiché essi inducono l'attivazione neuro-ormonale.547 Anche se non ci sono studi specifici che considerano il risultato dell'utilizzo dei diuretici nell’insufficienza cardiaca in una popolazione di pazienti diabetici, vengono raccomandati i diuretici dell’ansa, piuttosto che i diuretici tiazidici, in quanto questi possono compromettere lo stato glicometabolico. 546 51 Antagonisti dell’Aldosterone L'aggiunta di antagonisti dell’aldosterone è indicata, nelle forme gravi di insufficienza cardiaca e può migliorare la sopravvivenza. 547 Sulla somministrazione di antagonisti dell’aldosterone in pazienti con insufficienza cardiaca e diabete non è disponibile nessuna informazione specifica proveniente da studi clinici. L'uso di inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone deve essere fatto con cautela e sorvegliando la funzione renale e i livelli di potassio, in quanto non è infrequente la presenza di nefropatia tra i pazienti con insufficienza cardiaca e diabete. Ipoglicemizzanti e Modulatori del Metabolismo Insulina L'effetto principale dell’insulina è di ridurre la glicemia, ma può anche aumentare il flusso di sangue del miocardio, diminuire la frequenza cardiaca, e provocare un modesto aumento della gittata cardiaca 548,549 Il trattamento con insulina nei pazienti con insufficienza cardiaca e diabete è in fase di discussione. È stato dimostrato che l’insulina possiede effetti benefici sulla funzione miocardica, ma anche che può essere associata ad un aumento della mortalità. 540,550 Sono necessari ulteriori studi per stabilire il ruolo specifico del trattamento con insulina al di là del ruolo ipoglicemizzante nei pazienti con diabete ed insufficienza cardiaca. In generale, si assume che un controllo metabolico meticoloso sia utile nei pazienti con insufficienza cardiaca e diabete524, ma questa ipotesi non è ancora stata testata in studi clinici prospettici. Tiazolidinedioni I tiazolidinedioni sono insulino sensibilizzanti, vengono utilizzati come farmaci per ridurre la glicemia nel trattamento del diabete. A causa di un rischio di ritenzione di liquidi, e, di conseguenza, un peggioramento dei sintomi di insufficienza cardiaca, l'uso di questi farmaci è controindicato nei pazienti con insufficienza cardiaca di classe NYHA III-IV. 552 Essi possono, tuttavia, se necessario, essere utilizzati in pazienti con lieve grado di insufficienza cardiaca, di classe NYHA I-II. Farmaci modulatori metabolici Farmaci quali la trimetazidina, l’etomoxir e il dicloroacetato che mirano a trasformare il metabolismo del miocardio dalla β ossidazione degli FFA verso la glicolisi, sono stati testati in pazienti con disfunzione miocardica e diabete, ma la loro utilità non è stata dimostrata. 553-556 52 Aritmie: fibrillazione atriale e morte cardiaca improvvisa Raccomandazioni Uso di aspirina e antiaggreganti è raccomandato per i pazienti con fibrillazione atriale dovrebbe essere rigorosamente applicato anche per i pazineti diabetici con fibrillazione atriale per la prevenzione dello stroke. La terapia cronica anticoaugulante orale nella dose ottimizzata al fine di raggiungere gli obiettivi internazionali di INR 2-3 dovrebbe essere considerata in tutti i pazienti con fibrillazione atriale e diabete se non presentano controindicazioni. Il controllo glicemico anche allo stato di pre-diabete è importante per prevenire lo sviluppo di alterazioni che predispongono a morte cardiaca improvvisa. Le complicanze micro vascolari e la nefropatia sono indicatori di aumentato rschio di morte cardiaca improvvisa nei pazienti diabetici. Classe I Livello C IIa C I C IIa B Tabella 24: Raccomandazioni. Diabete, fibrillazione atriale, e rischio di ictus Diabete e fibrillazione atriale Il diabete non è infrequente nei pazienti con fibrillazione atriale. Nello studio Etude en Activité Liberale sur le Fibrillation Auriculaire (ALFA) la percentuale di diabete nei pazienti con fibrillazione atriale cronica è stata del 13.1%, rendendo il diabete una condizione comunemente associata, superata solo dall’insufficienza cardiaca e dall’ipertensione561 Si è dimostrato che diversi fattori cardiaci e non cardiaci possono avere un effetto sull’incidenza di fibrillazione atriale. Lo studio Manitoba Followup562 ha stimato l’incidenza età specifica della fibrillazione atriale in 3.983 maschi. Il diabete era significativamente associato alla fibrillazione atriale, con un rischio relativo di 1.82 nella analisi univariata. Tuttavia, nel modello multivariato, l'associazione con il diabete non ha raggiunto la significatività, suggerendo che l'aumento del rischio di fibrillazione atriale negli uomini diabetici può dipendere dalla presenza di cardiopatia ischemica, ipertensione ed insufficienza cardiaca. Nello Framingham Heart Study, 563 il diabete era significativamente associato alla fibrillazione atriale in entrambi i sessi, anche dopo aggiustamento per età e altri fattori di rischio (OR 1.4 per gli uomini e 1.6 per le donne). Sebbene i meccanismi alla base di questa associazione restano da chiarire, il diabete sembra favorire l'insorgenza di fibrillazione atriale. Diabete e rischio di ictus nella fibrillazione atriale Il gruppo di studio sulla fibrillazione atriale ha analizzato i dati provenienti dal gruppo di controllo dei 53 cinque studi di prevenzione primaria di pazienti con fibrillazione atriale posti in trattamento con aspirina o warfarin. Lo scopo delle analisi è stato quello di individuare le caratteristiche cliniche indicative di un alto vs basso rischio di ictus. Al momento della randomizzazione, il 14% dei pazienti presentava diabete. Nei pazienti del gruppo di controllo i fattori di rischio che predicono l’ictus nell’analisi multivariata sono l’aumento dell'età, la storia di ipertensione, un precedente attacco ischemico transitorio (TIA) o ictus, il diabete. In particolare, la diagnosi di DM, era un fattore di rischio indipendente per l'ictus, con un rischio relativo di 1.7. Il tasso di eventi embolici originati dall'atrio nei pazienti con fibrillazione atriale aumenta con la riduzione della velocità di flusso dell’appendice atriale sinistra e la presenza di eco contrasto nell’ecocardio doppler transesofageo. 575 E’ stato dimostrato un rapporto tra il numero di ulteriori fattori di rischio nei pazienti con fibrillazione atriale, compresi diabete, e la presenza di eco contrasto o ridotta velocità del flusso dell’appendice atriale sinistra 576, suggerendo che fattori come l'ipertensione e il diabete possano influenzare il complesso dei meccanismi tromboembolici. La terapia antitrombotica e la fibrillazione atriale Una meta-analisi di 16 studi clinici randomizzati su 9.874 pazienti è stata eseguita per caratterizzare l'efficacia degli anticoagulanti e dei farmaci antiaggreganti piastrinici per la prevenzione dell’ictus in presenza di fibrillazione atriale. 577 Gli anticoagulanti orali si sono dimostrati efficaci per la prevenzione primaria e secondaria dell’ictus in studi comprendenti 2.900 pazienti, con riduzione del rischio relativo del 62% (95% CI 48-72). La riduzione del rischio assoluto era del 2.7% per anno per la prevenzione primaria e 8.4% per la prevenzione secondaria. Con la terapia anticoagulante i sanguinamenti extracranici maggiori sono aumentati dello 0.3% per anno. L’aspirina riduce l’ictus del 22% (95% CI 2-38), con una riduzione del rischio assoluto di 1.5% per anno per la prevenzione primaria e di 2.5% per anno per la prevenzione secondaria. Nei cinque studi, confrontando la terapia anticoagulante e gli agenti antiaggreganti in 2837 pazienti, il warfarin è risultato più efficace dell’aspirina, con una riduzione del rischio relativo del 36% (95% CI 14-52). Questi effetti sono stati osservati in entrambi le forme di fibrillazione atriale, cronica e parossistica. Gli anticoagulanti orali sono più efficaci per i pazienti a rischio elevato di ictus, mentre i rischi superano i benefici nei pazienti a basso rischio. Così, quantificare il rischio di ictus è di fondamentale importanza per determinare quali pazienti con fibrillazione atriale trarrebbero maggior vantaggio dalla terapia anticoagulante. Diabete e stratificazione del rischio per ictus Sono stati proposti diversi schemi di stratificazione del rischio per ictus per i pazienti con fibrillazione atriale, e nella maggior parte di questi, il diabete viene preso in considerazione come un importante fattore di rischio. I pazienti sono considerati a basso, moderato, e ad alto rischio di ictus in relazione all’età, a pregresso ictus o TIA e alla presenza di altri fattori di rischio, quali ipertensione, il diabete, CAD, e di insufficienza cardiaca. Tuttavia, l'importanza del diabete come fattore di rischio per ictus differisce tra gli schemi di stratificazione. Nello schema proposto da studiosi della fibrillazione atriale565 i pazienti diabetici sono considerati ad alto rischio, in maniera indipendente dall’età. Nello schema prodotto dall’American College of Chest Physicians (ACCP), sono classificati a rischio moderato e ad alto rischio solo se è presente un altro fattore di rischio578, mentre nello schema fornito dallo Stroke Prevention in Atrial fibrillation III Study (SPATRIAL) il diabete non è considerato un 54 fattore di rischio579. Due schemi sviluppati recentemente si sono basati sull’assegnazione di un punteggio: questi sono il CHADS2 (acronimo derivato dai singoli fattori di rischio per ictus: insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione, età> 75 anni, il diabete, pregresso ictus o TIA) e il Framingham scheme580,581. Nel CHADS2, vengono assegnati due punti per pregresso ictus o TIA (quindi, 2), e un punto per ciascuno degli altri fattori. Nel Framingham Score è stato sviluppato un sistema di assegnazione del punteggio in base all’età (0-10 punti), al sesso (6 punti per le femmine; 0 per i maschi), alla pressione arteriosa (0-4 punti), al diabete mellito (4 punti), e al pregresso ictus o TIA (6 punti). Uno studio prospettico di coorte ha testato l’accuratezza del valore predittivo di questi cinque schemi di valutazione della stratificazione del rischio di ictus inserendo nei singoli i dati provenienti da 2.580 partecipanti con fibrillazione atriale di origine non-valvolare ai quali è stata prescritta aspirina come trattamento anti-trombotico. 582 Tutti gli schemi erano predittivi per ictus, ma il numero di pazienti classificati come a basso e ad alto rischio variava notevolmente. I pazienti con fibrillazione atriale e pregressa ischemia cerebrale sono stati classificati ad alto rischio da tutti e cinque i schemi, ed anche i pazienti a basso rischio sono stati identificati da tutti i schemi. Tuttavia, solo CHADS2 ha individuato correttamente i pazienti ad alto rischio di ictus da porre in prevenzione primaria. Una considerazione è che per questo sistema la presenza di diabete è un importante contributo nella stratificazione del rischio. Nelle linee guida in materia di fibrillazione atriale stilate nel 2006 dall’American College of Cardiology/American Heart Association/European Society of Cardiology (ACC / AHA / ESC) 583, il diabete viene classificato come un fattore di rischio moderato insieme all’età >75 anni, all’ipertensione, allo scompenso cardiaco e alla frazione di eiezione ventricolare sinistra < 35%. La terapia antitrombotica nei pazienti diabetici Entrambe le linee guida del 2006 per la fibrillazione atriale di AHA/ACC/ESC583 e dell'American College of Chest Physicians584 consigliavano la terapia antitrombotica per tutti i pazienti con fibrillazione atriale ad eccetto di coloro che presentano controindicazioni. La scelta del farmaco antitrombotico dovrebbe essere basata sulla valutazione dei rischi e dei benefici per il singolo paziente, considerando il rischio assoluto di ictus e di sanguinamento, con le varie modalità di trattamento. Nei pazienti con fibrillazione atriale cronica o parossistica che hanno già avuto un ictus o un TIA è indicata la terapia anticoagulante con un INR compreso tra 2.0 e 3.0, indipendentemente dall’età o dalla presenza di altri fattori di rischio. Inoltre, nei pazienti con più di un fattore di rischio per la tromboembolia, dei quali uno è il diabete, dovrebbero ricevere un trattamento anticoagulante. Nei pazienti considerati ad elevato rischio di sanguinamento (ad esempio età >75 anni), ma senza una chiara controindicazione al trattamento anticoagulante orale, potrebbe essere preso in considerazione un intervallo di riferimento per INR inferiore a 2.0 (1.6-2.5). Le raccomandazioni per la terapia antitrombotica nella fibrillazione atriale in presenza di un solo fattore di rischio sono secondo le linee guida 2006 di AHA / ACC / ESC, l’utilizzo di aspirina 81-325 mg al giorno o la terapia anticoagulante. L’aspirina è indicata alla dose di 325 mg al giorno come alternativa per i pazienti con controindicazioni per il trattamento anticoagulante orale. In tutti i pazienti con fibrillazione atriale, in cui è indicata la terapia anticoagulante, INR deve essere determinato almeno settimanalmente all'inizio della terapia e mensilemente quando il paziente è stabile. Nel complesso e sebbene non siano disponibili dati di studi multicentrici e randomizzati volti a valutare il ruolo del trattamento con anticoagulanti o aspirina per la prevenzione di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale e diabete; sembra opportuno concludere che 55 il diabete è un fattore di rischio per ictus e che questo dovrebbe essere preso in considerazione nella decisione della terapia appropriata. Morte Cardiaca Improvvisa Epidemiologia della morte cardiaca improvvisa nei pazienti diabetici Sebbene non vi siano dubbi sull’eccesso di mortalità totale nei pazienti con diabete, dopo infarto miocardico, più dibattuta è la questione se il diabete aumenta la morte cardiaca improvvisa; su questo argomento in letteratura sono presenti risultati conflittuali. La morte improvvisa è un endpoint difficile da valutare negli studi clinici a causa di vari motivi metodologici. Prima di tutto, la definizione di morte cardiaca improvvisa potrebbe variare notevolmente da uno studio all'altro; inoltre, la modalità di morte (improvvisa o non improvvisa), potrebbe essere 'arbitraria' soprattutto quando la morte è senza testimone; infine la metodologia utilizzata per definire la causa di morte (autopsia vs. certificato di morte vs. qualunque informazione disponibile) può anche determinare importanti differenze nella percentuale di morti etichettate come morti cardiache improvvise585. Quando si indaga il legame tra il diabete e la morte cardiaca improvvisa, la difficoltà metodologiche si raddoppiano, anche per quanto riguarda la definizione di intolleranza ai carboidrati/diabete che può variare tra i diversi studi, variando così la percentuale di pazienti 'diabetici' presenti nei vari studi. Fatte queste considerazioni, la presenza di discrepanze tra i risultati dei diversi studi che hanno esaminato il ruolo del diabete come fattore di rischio per la morte cardiaca improvvisa apparirà meno sorprendente. Suscita interesse che gli studi con grandi numeri di pazienti e con follow-up molto lungo (>20 anni) sostengano l'esistenza di una associazione positiva tra il diabete e morte cardiaca improvvisa. Nello studio Framingham, il diabete era associato ad un aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa per tutte le età (quasi quattro volte), e il rischio di morte improvvisa associato a diabete era costantemente maggiori nelle donne rispetto agli uomini. 586 L'importanza del diabete come una fattore di rischio per la morte cardiaca improvvisa nelle donne è stato recentemente studiato utilizzando i dati dello studio Nurses' Health587, che comprendeva 121.701 donne di età compresa tra 30-55 anni seguite per 22 anni. E 'stato riportato che la morte cardiaca improvvisa si presenta come primo segno di malattia cardiaca nel 69% dei casi, anche se quasi tutte le donne che sono morte improvvisamente avevano almeno un fattore di rischio cardiaco. Il diabete era un fattore di rischio molto forte, in quanto è stato associato a quasi un aumento triplo del rischio di morte improvvisa rispetto all’ipertensione, che è stata associata ad un rischio maggiore di 2.5 volte, e l'obesità, ad un rischio maggiore di 1.6 volte. Interessante notare che i dati dimostrano, inoltre, che il diabete aumenta il rischio relativo di morte cardiaca improvvisa nei diversi gruppi etnici. The Honolulu Heart Programme588 ha esaminato il ruolo del diabete come fattore predisponente in uomini di mezza età, giapponesi-americani seguiti per 23 anni. Questo studio ha mostrato un aumento del rischio relativo di morte cardiaca improvvisa nei soggetti con intolleranza al glucosio e diabete rispetto ai non diabetici. Più recentemente, gli autori dello studio Paris Prospective589 hanno dimostrato che il rischio di morte cardiaca improvvisa, ma non quello di infarto miocardico fatale, è stato aumentato nei pazienti con diabete rispetto a quelli senza. Allo stesso modo,the Group Health Cooperative590 ha presentato un ampio studio di 5.840 persone rafforzando l'opinione che il diabete è un forte fattore di rischio per morte cardiaca improvvisa nella popolazione francese. Sembra logico concludere che la maggior parte 56 degli elementi di prova consente di sostenere il concetto che il diabete è un fattore di rischio di morte cardiaca improvvisa. Fisiopatologia della morte cardiaca improvvisa e diabete I pazienti diabetici hanno una maggiore incidenza di aritmie cardiache, compresa la fibrillazione ventricolare e la morte improvvisa. Le cause alla base della maggiore vulnerabilità del tessuto di conduzione in questi pazienti non sono chiare, ed è probabile che sia la conseguenza di una sinergia di diversi fattori concomitanti: (i) aterosclerosi (ii) la malattia microvascolare è aumentata nei pazienti con diabete e concorre allo sviluppo d’ischemia predisponendo ad aritmie cardiache; (iii) la neuropatia autonomica diabetica592,593, porta ad anomali riflessi e anomala innervazione del cuore diabetico che determina instabilità elettrica, (iv) l'elettrocardiogramma di pazienti diabetici presenta anomalie di ripolarizzazione che si manifestano come prolungato l'intervallo QT alterato ed inversione dell’onda T593 che possono riflettere un’anomala conduzione del potassio595. Sembra quindi probabile che fattori quali CAD, alterazioni metaboliche, anomalie dei canali ionici, e disfunzioni del sistema nervoso autonomo possono contribuire a creare il substrato per la morte cardiaca improvvisa nei diabetici. In uno studio di Jouven e collaboratori590 gli autori spostano la loro attenzione dalla valutazione del rischio di morte cardiaca improvvisa nei diabetici rispetto ai pazienti non diabetici, al rischio relativo di morte cardiaca improvvisa, in gruppi di pazienti con diversi valori di glicemia. Lo studio ha mostrato che più elevati sono i valori di glicemia maggiore è il rischio di SCD. Dopo correzione per età, abitudine al fumo, pressione arteriosa sistolica, malattie cardiache e trattamento ipoglicemizzante, anche i pazienti con diabete borderline definito come alterata tolleranza ai carboidrati con glicemia dopo il carico orale di glucosio compresa tra 7.7 e 11.1mmol / L (140 e 200 mg/dl) hanno avuto un aumento del rischio di morte cardiaca improvvisa [odds ratio (OR) 1.24, rispetto ai pazienti con normoglicemia]. La presenza di malattia microvascolare, definita come retinopatia o proteinuria, e il sesso femminile aumenta il rischio di morte cardiaca improvvisa in tutti i gruppi. Questo studio mette in risalto soprattutto che l'intolleranza ai carboidrati sembra essere una variabile continua direttamente correlata al rischio di morte cardiaca improvvisa, piuttosto che sostenere la precedente visione del rischio legato ad una determinata soglia di tolleranza ai carboidrati, come suggerito dall’approccio 'dicotomico' di confronto tra i diabetici vs i pazienti non diabetici. Ciò coincide con l'attuale concetto di rischio cardiovascolare, che aumenta ben di sotto alle soglie per la presenza di diabete e ai livelli glicemici che sono considerati di solito nei limiti di norma64. Gli autori dello studio Framingham600 hanno valutato l'influenza dei livelli glicemici sulla variabilità della frequenza cardiaca in una grande popolazione. Essi hanno dimostrato che, dopo l'adeguamento per le covariate, gli indici di ridotta variabilità della frequenza cardiaca sono stati influenzati dai valori di glicemia. Alti livelli glicemici sono stati associati ad una minore variabilità della frequenza cardiaca. Risultati similari sono stati segnalati dallo studio Atherosclerotic Risk in Commnity (ARIC) 601, che ha dimostrato che anche i pazienti con pre-diabete hanno già anomalie della funzione autonomica cardiaca e alterata variabilità della frequenza cardiaca. Questi due studi hanno confermato che il livello di glicemia deve essere considerato come una variabile continua in grado di influenzare il controllo autonomo del cuore. Purtroppo, questi studi non sono stati progettati per rispondere alla domanda se la ridotta variabilità della frequenza cardiaca nei pazienti diabetici è un fattore predittivo indipendente di morte cardiaca improvvisa. Al momento attuale, questa pressante domanda rimane senza risposta. Lo studio Rochester Diabetic Neuropathy602 è stato progettato per definire i fattori di rischio per morte cardiaca improvvisa e il ruolo della neuropatia autonomica diabetica in una popolazione di 462 pazienti diabetici seguiti per 15 anni. In un’analisi univariata, molte covariate erano statisticamente associate a 57 morte cardiaca improvvisa compresa l’età avanzata, il colesterolo HDL, il grado di nefropatia, la creatinina, la microalbuminuria, la proteinuria, un pregresso infarto del miocardio, l’allungamento del tratto QT (QTc), il blocco di branca, neuropatia autonomica severa la ed altre ancora. Curiosamente, risultati autoptici hanno dimostrato che tutti i decessi per morte cardiaca improvvisa avevano segni di coronaropatia o miocardiopatia, ed un’analisi bivariata ha mostrato che la disfunzione autonomica QTc e la riduzione delle HDL perdevano la loro associazione significativa con la morte cardiaca improvvisa, dopo la correzione per la nefropatia. Nel complesso, i dati di questo studio suggeriscono che la nefropatia e la coronaropatia sono le più importanti determinanti del rischio di morte cardiaca improvvisa, mentre nessun altro parametro quale la neuropatia autonomica né un alterato QTc sono fattori predittivi indipendenti di rischio per morte cardiaca improvvisa. Purtroppo, questo studio non ha incluso la variabilità della frequenza cardiaca fra i parametri introdotti nell’analisi multivariata. Pertanto, non sono disponibili dati forti sulla stima della variabilità della frequenza cardiaca come un fattore predittivo indipendente di morte cardiaca improvvisa nei pazienti diabetici. Sulla base dei dati disponibili, sembra che l'intolleranza ai carboidrati, anche in una fase di pre-diabete, sia associata allo sviluppo progressivo di una serie d’anomalie che alterano la sopravvivenza e predispongono alla morte cardiaca improvvisa. L'identificazione di fattori predittivi indipendenti di morte cardiaca improvvisa nei pazienti diabetici non è ancora giunto ad una fase in cui è possibile mettere a punto un sistema di stratificazione del rischio per la prevenzione di tali decessi nei pazienti diabetici. In un unico studio, la malattia microvascolare e la nefropatia sono state identificate come indicatori di aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa nei diabetici. Vasculopatia periferica e cerebrovascolare Raccomandazioni Tutti i pazienti con diabete e CVD dovrebbero essere trattati con basse dosi di ASA. Nei pazienti diabetici con vasculopatia periferica si dovrebbe considerare il trattamento in alcuni casi con clopidrogel o eparina a basso peso molecolare Classe IIa Livello B IIb B I pazienti con ischemia critica dell’arto inferiore dovrebbero, se possibile, essere sottoposti a procedura di rivascolarizzazione. I A L’infusione di prostaciclina rappresenta un trattamento alternativo nel paziente con ischemia critica dell’arto inferiore, non passibile di rivascolarizzazione I A Tabella 25: raccomandazioni 58 Vasculopatia Periferica I soggetti con diabete hanno una incidenza di vasculopatia periferica aumentata da due a quattro volte e un anormale indice di pressione caviglia-brachiale presente in circa il 15%603-605. Le manifestazioni cliniche della vasculopatia periferica sono: claudicatio intermittens e ischemia critica degli arti. La più comune e non traumatica causa di amputazione degli arti è la riduzione della circolazione del piede a causa della macro- e microangiopatia diabetica. La prevalenza della vascolopatia periferica aumenta con l'avanzare età, la durata del diabete e la neuropatia periferica. Quest'ultima condizione potrebbe mascherare i sintomi di ischemia degli arti e quindi la progressione della malattia potrebbe avvenire senza che pazienti e i medici se ne rendano conto. La diagnosi precoce della vascolopatia periferica nei pazienti diabetici è importante per la prevenzione della progressione di essa, nonché per la previsione del rischio cardiovascolare globale. L'ostruzione vascolare nei soggetti con diabete è spesso situata più distalmente rispetto ai soggetti non diabetici. Così, la tipica vasculopatia periferica diabetica è situata a carico dell’arteria poplitea o dei vasi della porzione inferiore della gamba606,607. La calcificazione della tonaca media dei vasi è anche un segno tipico della vascolopatia diabetica607,608. Diagnosi I sintomi di ischemia della gamba nei pazienti diabetici con neuropatia periferica sono spesso atipici e subdoli. Piuttosto che l'esperienza di dolore alle gambe, il paziente può accusare affaticamento alle gambe o solo incapacità di camminare a un ritmo normale. L’esame obiettivo è di fondamentale importanza per la diagnosi. La palpazione dei polsi agli arti inferiori e l’osservazione dei piedi sono essenziali. La presenza di rubor, di pallore quando si solleva l’arto, l’assenza di peli e la distrofia ungueale sono segni di ischemia periferica. Una misura oggettiva della vasculopatia periferica è l’indice di pressione arteriosa caviglia-brachiale, definito come il rapporto tra la pressione arteriosa a livello della caviglia e a livello dell’arteria brachiale considerando la pressione più alta. L’indice di pressione arteriosa caviglia-brachiale dovrebbe essere normalmente >0.9. Questa misura è utile per la diagnosi precoce di vascolopatia periferica ed anche per una migliore stratificazione del rischio cardiovascolare globale. Un indice di pressione arteriosa caviglia-brachiale <0.5 o una pressione alla caviglia <50 mm Hg è indicativo di grave compromissione della circolazione a livello dei piedi. Un indice di pressione arteriosa caviglia-brachiale >1.3 indica una scarsa elasticità dei vasi a causa di un aumento della rigidità della parete arteriosa, che di solito nei pazienti diabetici è dovuta all’arteriosclerosi a carico dello strato medio della parete arteriosa. Un paziente con ischemia critica degli arti è caratterizzato da dolore ischemico cronico, ulcere e cancrena attribuibili al una oggettiva vasculopatia. 609 È importante considerare che nonostante una conservata circolazione, le ulcere nel piede diabetico potrebbero spesso essere presenti. Queste ulcere sono determinate da alterazioni della microcircolazione e più spesso dalla neuropatia. Tuttavia, tali ulcere deve essere trattate con attenzione in quanto anche da queste condizioni possono derivare cancrena e amputazione610 . Una indagine approfondita, che mira a una descrizione dettagliata dell’anatomia delle ostruzioni vascolari dovrebbe essere effettuata solo nei pazienti in cui è indicata una procedura invasiva per ripristinare il flusso di sangue. Il metodo di scelta è il duplex ultrasuoni. Una angiografia arteriosa dovrebbe essere eseguita solo quando è probabile che sia necessario un intervento invasivo per 59 ripristinare la circolazione arteriosa. La Tabella 16 descrive i vari metodi per la valutazione della circolazione periferica. Alla visita medica in ogni paziente Rubor Pallore sollevando l’arto Assenza di peli Distrofie alle unghie dei piedi Ulcere o gangrene Ispezione Palpazione Polsi Cute secca e fredda Sensibilità Misurazione delle PA Caviglia e braccio Misurazione pressione distale e/o segmentale. Valutazione vascolare (quando necessari) Oscillografia. Test di Treadmill (con o senza pressione distale dopo esercizio). Ecocolordoppler. Per la valutazione del Ossimetria transcutanea microcircolo: Capilloroscopia Valutazione radiologica Risonanza Magnetica Nucleare Angiografia Tabella 26: Valutazione della circolazione periferica nei pazienti diabetici Trattamento Misure di carattere generale e inibizione piastrinica Per i pazienti diabetici con vascolopatia periferica, le misure generali per la riduzione del rischio cardiovascolare globale dovrebbe essere intensive, come è stato descritto in dettaglio in un'altra sezione di questa sintesi. Il trattamento di ipertensione dovrebbe essere vigoroso, anche se nei pazienti con ischemia critica degli arti e perfusione distale molto bassa, potrebbe essere pericoloso per il piede 60 abbassare troppo la pressione arteriosa. La sopravvivenza dei tessuti nelle estremità distali deve essere la priorità fino a quando la situazione critica sia risolta. In tali casi, la pressione del sangue deve essere mantenuta ad un livello che consenta un adeguato afflusso di sangue alle estremità distali. L’inibizione dell’aggregazione piastrinica con aspirina a basso dosaggio, alla dose di 75-250 mg al giorno, è indicata in tutti i pazienti con diabete di tipo 2 e CVD che non hanno una controindicazione e per i pazienti con grave vasculopatia periferica; inoltre l’inibizione dell'aggregazione piastrinica con clopidogrel o dipiridamolo può essere indicato, in alcuni casi, insieme al trattamento con eparina a basso peso molecolare, come anticoagulante di prima scelta611-614. Nei pazienti con ulcere neuropatiche non-ischemiche è di massima importanza rimuovere eventuali pressioni esterne dall’area dell’ulcera, talvolta anche tramite l’immobilizzazione del paziente su una sedia a rotelle. Queste ulcere quindi più spesso guariscono senza alcun intervento diretto a migliorare la macrocircolazione. Una attenta copertura della ferita e l’utilizzo di scarpe ortopediche o un opportuno bendaggio dovrebbe essere gestiti da una clinico specializzato610. Purtroppo, molte amputazioni sono state effettuate in casi in cui un attento trattamento conservativo avrebbe salvato le estremità. Rivascolarizzazione Se anatomicamente possibile, la procedura di rivascolarizzazione dovrebbe essere provata in tutti i pazienti con ischemia critica degli arti609. Ciò può essere effettuato per mezzo di una angioplastica percutanea transluminale o con una procedura chirurgica, preferibilmente un bypass con la vena safena. L’angioplastica percutanea transluminale è il metodo di scelta se la stenosi avviene in breve segmento in un tratto prossimale al di sopra del ginocchio. L’angioplastica percutanea transluminale prossimale può essere associata ad un bypass distale. I pazienti con claudicatio intermittens dovrebbero essere rivascolarizzati se hanno sintomi invalidanti e vascolopatia prossimale609 Per i pazienti con claudicatio, che necessitano di un bypass nella porzione distale dell’arto, è indicato un approccio di tipo conservativo. Il trattamento medico nell’ischemia critica degli arti L'unico agente farmacologico che ha finora dimostrato in modo convincente di avere un effetto positivo sulla prognosi dei pazienti con ischemia critica degli arti è la prostaciclina sintetica (Ilomedin, iloprost), che viene somministrata per via endovenosa una volta al giorno per un periodo di 2-4 settimane. In una meta-analisi, si otteneva sollievo dal dolore e guarigione dell’ulcera in confronto con il placebo. Ancora più importante, nei pazienti con iloprost la probabilità di sopravvivenza con entrambe le gambe intatte dopo sei mesi era del 65% rispetto al 45% nei pazienti trattati con placebo. 615 61 Stroke Raccomandazioni Per la prevenzione dell’ictus, la riduzione della pressione arteriosa è più importante della scelta del farmaco. L’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone può avere dei benefici oltre alla riduzione della pressione di per sé I pazienti con ictus e diabete dovrebbero essere trattati secondo gli stessi principi dei pazienti con ictus senza diabete Classe IIa IIa Livello B C Tabella 27: raccomandazioni Background Il rischio relativo di ictus è aumentato nei soggetti con diabete di un fattore di 2.5-4.1 per gli uomini e 3.6-5.8 per le donne. Dopo correzione per altri fattori di rischio per ictus, il rischio è ancora maggiore di due volte e ciò indica che il diabete mellito è un forte fattore di rischio indipendente per ictus83,618. Il rapporto tra iperglicemia di per sé e ictus è molto meno chiaro del rapporto tra iperglicemia ed infarto miocardico. Le complicazioni diabetiche come la proteinuria, la retinopatia e la neuropatia autonomica aumentano il rischio di ictus. Di solito l’ictus è di tipo ischemico. Il TIA è noto per predire l'insorgenza di un ictus entro 90 giorni, questo sottolinea la gravità del TIA specialmente nel paziente diabetico623. Prevenzione dell’Ictus Misure volte a prevenire l’ictus dovrebbe essere basate su una strategia multifattoriale volta al trattamento di ipertensione, iperlipidemia, microalbuminuria, iperglicemia e sull’utilizzo di farmaci antiaggreganti piastrinici, come descritto altrove in questa sintesi. Lo studio Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) e lo studio Perindopril Protection Against Recurrent Stroke (PROGRESS) suggeriscono che la riduzione di incidenza di ictus nei soggetti diabetici durante il trattamento con ACE-inibitori è stata maggiore rispetto a quella che sarebbe avvenuta con la sola riduzione pressoria risultando evidente anche nei soggetti normotesi373,624. Nello studio LIFE una tendenza simile è stata trovata con l’utilizzo di un inibitore del recettore dell’angiotensina378. Tuttavia, in numerosi altri studi, tra cui ALLHAT, non vi erano apparenti benefici con una classe di farmaci antipertensivi rispetto ad un altra. 380,384 Nello studio HPS, un ragguardevole sottogruppo di 5.963 pazienti diabetici veniva randomizzato a placebo o a 40 mg di simvastatina al giorno. La simvastatina riduceva l'incidenza di ictus del 24%344 . La terapia antiaggregante riduce l'incidenza di ictus nei pazienti diabetici ed è indicato sia per la prevenzione primaria sia secondaria625. L’aspirina a basse dosi (75-250 mg al giorno) dovrebbe essere la prima scelta, ma in caso di intolleranza, dovrebbe essere somministrato Clopidogrel 75 mg una volta al giorno468,613. Nei pazienti con ictus ricorrente, dovrebbe essere considerata l’associazione di aspirina e dipiridamolo626,627. Lo studio MATCH eseguito in 7599 pazienti di cui il 68% era affetto da diabete ha riportato che la combinazione di aspirina e clopidogrel è associata ad un aumentato rischio di sanguinamento senza alcun beneficio in termini cardiovascolari628. Inoltre, nello studio CHARISMA 62 non si è evidenziato alcun vantaggio con un doppio trattamento cronico antiaggregante, con aspirina e clopidogrel629. L'elevata frequenza di ictus precoce dopo un TIA motiva la valutazione entro 7 giorni dell’evento per ridurre il rischio di un successivo, e potenzialmente più grave, evento neurologico. È indicato la valutazione con ecocardiogramma e di un doppler carotideo. Un aumento di microemboli cerebrali è rilevabile tramite il doppler trans-craniale, e un alto numero di microemboli possono essere considerati dei marcatori per futuri eventi neurologici631. Dopo un TIA o ictus causati dovuto ad aterosclerosi carotidea le cure mediche possono essere ottimizzate per evitare la necessità di intervento chirurgico carotideo in emergenza e permettere al paziente di sottoporsi ad un intervento elettivo sicuro632. L’endoarteroidectomia elettiva per la prevenzione di ictus nei pazienti con stenosi di alto grado della carotide è efficace, ma non è stato specificamente studiata nei pazienti diabetici. Poiché le complicanze durante e dopo la procedura sono più frequenti nei soggetti diabetici rispetto ai soggetti non diabetici, dovrebbe essere posta particolare attenzione al rischio globale di morbilità e mortalità peri-e postoperatoria al momento di decidere l’intervento chirurgico in un paziente diabetico633. Un'alternativa all’endoarteroidectomia è l’angioplastica e stent della carotide, che sembrerebbe non essere inferiore all’endoarteroidectomia e potrebbe rivelarsi un metodo preferibile per i pazienti ad alto rischio634. Trattamento dell’ictus in acuto Il trattamento nella fase acuta dell’ictus nei pazienti diabetici dovrebbe seguire gli stessi principi che regolano il trattamento di ictus nella popolazione generale. La trombolisi è un trattamento efficace per ictus ischemico se istituito entro 3-4 h. 635 Riduce la mortalità e la disabilità da ictus ma è associato a un rischio di emorragia e il suo uso e gli effetti nel soggetto con diabete richiedono un'ulteriore valutazione tramite la registrazione ad un registro di qualità (SITS-MOST, www.acutestroke.org). Il trattamento conservativo dell’ictus in una stroke unit comprende una stretta sorveglianza delle funzioni vitali e l’ottimizzazione delle condizioni di circolo e del metabolismo, tra cui il controllo glicemico636. I pazienti dovrebbero ricevere una riabilitazione neurologica precoce e correzione delle anomalie, come descritto nella sezione 'prevenzione dell’ictus in questo capitolo. Studi recenti suggeriscono che l'intervento precoce contro l'ipertensione durante la fase acuta di ictus potrebbe essere benefico ma attualmente si raccomanda di ridurre con grande cautela solo valori pressori molto elevati sopra 220 mmHg per la pressione sistolica e/o sopra i 120 mmHg per la pressione diastolica, per non abbassare la pressione a livelli che possano peggiorare l’ischemia e comunque non oltre il 25% durante il primo giorno di trattamento637. Terapia intensiva Raccomandazioni Uno stretto controllo glicemico tramite un trattamento insulinico intensivo migliora la mortalità e la morbilità nei pazienti sottoposti ad intervento cardiaco Uno stretto controllo glicemico tramite un trattamento insulinico intensivo migliora la mortalità e la morbilità nei pazienti in condizioni critiche Classe I I Livello B A Tabella 28: raccomandazioni 63 Iperglicemia come risultato dell’evento critico Lo stress determinato dall’evento critico porta allo sviluppo di anomalie metaboliche ed endocrine. I pazienti vanno incontro ad iperglicemia a causa di una maggiore insulino resistenza ed un’aumentata produzione di glucosio noto come “diabete da stress” o “diabete da danno” 638,639. Nella fase acuta dell’evento critico la produzione epatica di glucosio è aumentata per aumento sia della gluconeogenesi sia della glicogenolisi sebbene i livelli sierici di insulina, la quale normalmente sopprime questi processi, siano elevati. Gioca anche un ruolo l’aumento dei livelli di glucagone, cortisolo, ormone della crescita, catecolamine e di tutte le citochine. 640-645 Oltre a stimolare la produzione di glucosio, riducendo la captazione periferica di glucosio insulino-mediata, contribuiscono allo stato iperglicemizzante. Diversi studi recenti identificano chiaramente l’iperglicemia come un importante fattore di rischio in termini di mortalità e morbilità di questi pazienti. Una meta-analisi su pazienti con infarto miocardico ha rivelato una forte e coerente associazione tra lo sviluppo di iperglicemia da stress e l’aumento del rischio di mortalità in ospedale per insufficienza cardiaca congestizia o shock cardiogeno646. Anche un lieve aumento della glicemia a digiuno nei pazienti con CAD sottoposti a PCI è stato associato ad un notevole rischio di mortalità647. Inoltre, il livelli di glicemia nei pazienti sottoposti a CABG sembrano essere un importante fattore predittivo di ritardo per l’estubazione 648. Una analisi retrospettiva di una popolazione eterogenea di pazienti critici ha anche rivelato che un modesto grado di iperglicemia è stata associato ad un aumento sostanziale della mortalità ospedaliera649. Circa il 30% di questi pazienti sono stati ricoverati in unità di terapia intensiva (ICU) per motivi cardiologici. Allo stesso modo l’iperglicemia prediceva l’aumento della morbilità e della mortalità dopo ictus651, la severità della lesione cerebrale652,653, di un trauma654,655 e la severità di un ustione656. Controllo della glicemia tramite trattamento insulinico intensivo nel paziente critico. Uno studio di riferimento prospettico, randomizzato e controllato su un grande gruppo di pazienti ammessi in una ICU prevalentemente dopo chirurgia estesa o per lo sviluppo di complicanze dopo un intervento chirurgico esteso ha rivelato importanti benefici clinici dati dall’uso durante la fase critica della terapia insulinica in modo intensivo. 445 Nel gruppo in trattamento insulinico convenzionale solo valori di iperglicemia eccessivi >11.9 mmol / L (215 mg/dl) venivano trattati con insulina con l’obiettivo di mantenere le glicemie tra 10.0 e 11.1mmol / L (180-200 mg/dl). Questo protocollo ha portato in media livelli di glicemia intorno a 8-9 mmol / L (150-160 mg / dl), vale a dire iperglicemia. Nel gruppo di terapia intensiva l’insulina veniva somministrata allo scopo di mantenere i livelli di glicemia tra 4.4 e 6.1 mmol / l (80-110 mg/dl) con livelli medi di glicemia <5-6 mmol / L (90-100 mg/ dl), vale a dire normoglicemia, senza rilevare eventi avversi dovuti a ipoglicemia. Lo stretto controllo della glicemia ottenuto con insulina ha sorprendentemente abbassato il tasso di mortalità durante il periodo in ICU da 8.0 al 4.6% (43% di riduzione). Questo beneficio è stato più accentuato tra i pazienti che hanno ricevuto il trattamento intensivo per più di 5 giorni, con una riduzione di mortalità in ICU dal 20.2 al 10.6% e un tasso di mortalità in ospedale ridotta dal 26.3 al 16.8%. Oltre il 60% del totale della popolazione di pazienti è stato incluso dopo chirurgia cardiaca. In questo sottogruppo, la terapia insulinica intensiva ha ridotto la mortalità nel periodo in ICU dal 5.1 al 2.1%. Oltre a salvare vite umane, la terapia insulinica intensiva ha in gran parte impedito l’insorgenza di complicanze associate, quali le polineuropatie, infezioni sistemiche, anemia e insufficienza renale acuta445. I pazienti sono stati anche meno dipendenti dalla ventilazione meccanica prolungata e da 64 trattamenti intensivi. I benefici clinici di questa terapia sono stati ugualmente presente nella maggior parte dei sottogruppi valutati, compresi i pazienti cardiaci. Per quest'ultimo sottogruppo, uno studio di follow-up ha dimostrato che la terapia intensiva con insulina ha determinato a lungo termine una miglior risultato, quando somministrato per almeno un terzo dei giorni in ICU, mantenendo il beneficio sulla sopravvivenza fino a 4 anni dopo la randomizzazione657. In particolare, nei pazienti con lesione cerebrale isolata la terapia intensiva con insulina ha protetto il sistema nervoso centrale e periferico da insulti secondari e migliorato la riabilitazione a lungo termine657 Fondamentalmente, il protocollo di Leuven sul controllo della glicemia in una popolazione di soggetti sottoposti ad intervento chirurgico è stato recentemente testato in un grande studio randomizzato e controllato, ed è stato altrettanto efficace per la popolazione di pazienti dell’ICU. 659 Nel gruppo in intention-to-treat di 1200 pazienti, la morbilità era significativamente ridotta, con minore insorgenza di nuove lesioni renali prima dello svezzamento dalla ventilazione meccanica e prima della dimissione dalla terapia intensiva e dall’ospedale. Nel gruppo in intention-to-treat la terapia con insulina non ha alterato significativamente la mortalità (tasso di mortalità in ospedale dal 40.0 al 37.3%, P = 0.3). Questo non è stato sorprendente in quanto lo studio non è stato progettato per questo endpoint di mortalità. Per quanto riguarda il gruppo di pazienti con ricovero di lunga durata (almeno tre giorni in ICU), per il quale è stato realizzato lo studio, la terapia insulinica intensiva ha ridotto la mortalità in ospedale da 52.5% con il trattamento convenzionale al 43.0% nel gruppo di terapia insulinica intensiva (P = 0,009) e la riduzione della morbilità è stata ancora più sorprendente. Una sintesi dei diversi studi sulla terapia insulinica intensiva negli eventi critici è indicata nella Tabella 17. Meccanismi che portano ad un miglioramento dei risultati con trattamento insulinico intensivo Un’analisi di regressione multivariata ha riportato che l’iperglicemia associata ad alte dosi di insulina è associata ad un alto rischio di morte665. Da qui, sembra che sia il controllo della glicemia e/o gli altri effetti metabolici dell’insulina che determinano uno stretto controllo dei valori glicemici, ma non la dose di insulina somministrata di per se con una terapia insulinica intensiva che ha contribuito al miglioramento della sopravvivenza. L'associazione tra l'alta dose di insulina e la mortalità è probabilmente spiegata dalla più grave resistenza all'insulina nei pazienti più gravi, che hanno un alto rischio di morte. Il rischio di morte, infatti, sembrava correlato linearmente con il grado di iperglicemia, senza alcun chiaro cut-off al di sotto di cui non vi era alcun ulteriore beneficio665. I pazienti che hanno ricevuto una terapia insulinica convenzionale e che hanno sviluppato solo una moderata iperglicemia (6.1-8.3 mmol/L o 110-150 mg/dl) avevano un più basso rischio di morte di quelli con grave iperglicemia (8.3-11.1 mmol/L o 150-200 mg/dl), mentre erano a più alto rischio di morte rispetto ai pazienti i cui livelli di glicemia erano controllati <6.1 mmol/L (110 mg/dl) tramite una terapia insulinica intensiva. Altri dati indicano anche che i benefici sulla mortalità possono essere attribuiti al controllo glicemico/metabolico, piuttosto che alla dose assoluta di insulina somministrata649,666. Per la prevenzione della polineuropatia da malattia critica, della batteriemia, dell’anemia, e dell’insufficienza renale acuta, è apparso altrettanto di cruciale importanza lo stretto controllo glicemico <6,1 mmol/L (110 mg/dl). 665 Se infatti evitare l’iperglicemia è di fondamentale importanza, sembra sorprendente che fare ciò solo per un periodo relativamente breve, durante il quale il paziente necessita di trattamento intensivo, possa impedire le più temute complicanze della malattia critica. Le cellule normali per proteggersi dall’iperglicemia moderata riducono l’espressione dei trasportatori del glucosio667 D'altro canto, l’iperglicemia cronica causa complicanze nei pazienti diabetici in un lasso di 65 tempo che è di diversi ordini di grandezza più lungo rispetto al tempo impiegato per evitare il pericolo di complicanze durante la terapia intensiva. Così, l’iperglicemia appare tossica più acutamente nei malati critici rispetto agli individui sani o ai pazienti diabetici. L’aumento della captazione di glucosio insulino dipendente mediato dai trasportatori GLUT-1, GLUT-2, o GLUT-3 e il conseguente sovraccarico cellulare di glucosio, potrebbe svolgere un ruolo668 Una parte del miglioramento ottenuto con la terapia insulinica intensiva è quindi attribuibile alla prevenzione della glucotossicità658,668-671 Tuttavia, anche gli altri effetti di insulina potrebbero contribuire a migliorare il risultato668,669,671-673. Van den Berghe Van den Berghe Krinsley660 Grey e e e col659 Perdriset661 Chirurgica Medica Chir./Med Chirurgica Riferimento Popolazione Numero 1548 1200/767 1600 Si Si No <6.1 <6.1 <7.8 ↓ ↓ Randomizzati Target glicemia Mortalità ↓ Polineuropatia ↓ Batteriemia/Inf. ↓ I. Renale Acuta ↓ ↓ ↓ Trasfusioni ↓ Durata ventil. Mecc. Periodo di degenza Furnary e col. 662 CCH in 61 4864 Si No <6.7 <8.3 - ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ Infezioni sternali Tabella 29:Studi pubblicati sull’utilizzo di trattamento insulinico intensivo nel paziente critico Aspetti Economici e Diabete Raccomandazioni L’utilizzo di farmaci per ridurre i lipidi ha un costo-efficacia necessario per prevenire le complicanze Uno stretto controllo della pressione ha un costo-efficacia necessario Classe I I Livello A A Tabella 30: raccomandazioni 66 Studi Costo-Malattia Il metodo più usato per valutare la spesa per la malattia diabetica è attraverso studi di costo-malattia, che si sforzano di valutare il costo totale causato da una malattia o da una condizione679-680. Lo studio CODE 26706 è stato progettato per misurare il totale delle spese sanitarie per i pazienti con Diabete di tipo 2 in otto paesi europei, utilizzando lo stesso approccio metodologico. Sono stati inclusi pazienti provenienti da Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, e il Regno Unito. Lo studio ha utilizzato un disegno basato sulla prevalenza il che significa che sono state raccolte tutte le spese sanitarie sostenute per i pazienti con diabete. A causa del forte impatto di co-morbidità nei pazienti con diabete di tipo 2, non è possibile separare quali risorse siano state impiegate per il diabete e quali per altre malattie. Questo può essere fatto solo con metodi epidemiologici, confrontando i pazienti con e senza diabete. Sono stati compiuti sforzi per assicurare la coerenza in termini di raccolta dati, analisi ed esposizione dei risultati, il che significa che questo studio fornisce l'opportunità per confronti internazionali. La Tabella 18 mostra il costo totale per ogni paese, il costo per paziente, e la quota delle spese sanitarie per paziente con diabete. Il costo totale di assistenza sanitaria per i pazienti con diabete negli otto paesi ammonta a €29 miliardi di euro. Costo pro capite varia da €1.305 per paziente in Spagna a € 3.576 in Germania. Inoltre, la quota stimata del costo sanitario totale varia notevolmente tra i vari paesi, ciò indica che, nonostante il tentativo di utilizzare lo stesso metodo di raccolta dati, vi possono essere state differenze tra il modo di condurre lo studio nei diversi paesi. La cifra molto bassa per i Paesi Bassi potrebbe derivare da una riduzione dei costi, ma più probabilmente da un bias di selezione nei pazienti studiati e/o da una troppo bassa stima della prevalenza di diabete di tipo 2. Differenze nella definizione della spesa sanitaria fra i paesi possono anche essere un fattore da considerare quando si analizza le differenze tra i vari paesi. Il costo delle complicanze I risultati dello studio CODE2 mostrano che la principale spesa nel diabete non è la malattia in quanto tale o il trattamento del diabete, ma le complicanze causate dal diabete. Nello studio, i pazienti sono stati suddivisi in un gruppo senza complicanze, con solo complicanze microvascolari, o solo con complicanze macrovascolari, o aventi entrambi le complicanze macro e microvascolari. In questi tre gruppi, il costo relativo è stato 1.7, 2.0, e 3.5 volte superiore a quello del costo per i pazienti senza complicanze707 La spesa principale di questo aumento dei costi è stato un maggior costo per il ricovero dei pazienti con complicanze. Questo è naturale, dato che spesso i pazienti non sono ricoverati in ospedale per il diabete, mentre le complicanze macrovascolari, come infarto miocardico, portano al ricovero immediato. Le ospedalizzazioni sono la più grande componente di costo del campione nel suo complesso e, ancora una volta, indicano l'importanza delle complicanze. È interessante notare che i farmaci cardiovascolari sono la più importante categoria di farmaci, la loro spesa ammonta a circa un terzo del costo complessivo della spesa farmaceutica. Questo costo è maggiore del costo dell’insulina e dei farmaci antidiabetici orali insieme. È importante comprendere che lo studio CODE-2 fa riferimento solo ad una parte dei costi per il diabete, in quanto sono inclusi solo i costi sanitari diretti. La perdita di produzione a causa dall’assenza dei soggetti malati, il prepensionamento e la mortalità precoce comporterebbero costi ulteriormente elevati. Negli studi che hanno incluso questo componente si raggiungeva più del 50% del totale dei costi696,697. 67 Paese Belgio Francia Germania Italia Olanda Spagna Svezia UK Tutti i paesi Costo totale (milioni euro) 1094 3983 12438 5783 444 1958 736 2608 29000 Costo per paziente Costo percentuale (euro) della spesa sanitaria (%) 3295 6.7 3.2 3064 3576 6.3 7.4 3346 1889 1.6 1305 4.4 2630 4.5 3.4 2214 2895 5.0 Tabella 31:Costi per paziente diabetico in otto paesi europei Costo-efficacia dell’intervento La riduzione dei lipidi utilizzando le statine nei pazienti con diabete è stata studiata in diversi studi. In un sottogruppo dello studio 4S, il rapporto costo-efficacia del trattamento dei pazienti diabetici con 2040 mg di simvastatina è stato ben al di sotto dei livelli che sono generalmente considerati utili708. I pazienti diabetici sono stati arruolati anche nello studio HPS, che indicava accettabile il rapporto costoefficacia per i pazienti con questo livello di rischio709. Una cosa importante da considerare di questi studi è che essi hanno utilizzato il costo della simvastatina prima della data di scadenza del brevetto. Successivamente, il prezzo è sceso notevolmente, il che significherebbe che la statina usata nei diabetici è probabilmente a basso costo anche nella prevenzione secondaria e associata ad un rapporto costo-efficacia molto basso in prevenzione primaria. Un altro approccio per la prevenzione delle complicazioni macrovascolari è attraverso il controllo della pressione arteriosa. Questo è stato valutato come parte dello studio UKPDS, dove è stato studiato lo stretto controllo della pressione sanguigna-utilizzando β-bloccanti e ACE-inibitori. Una recente analisi costo-efficacia di questo intervento ha indicato che questa strategia di trattamento è stata associata ad un alto rapporto costo-efficacia711. Si può concludere che i costi associati al diabete costituiscono una considerevole quota di spesa delle risorse per l'assistenza sanitaria in tutta Europa. Come spesa più importante ci sono le complicanze causate dalla malattia, e dunque è essenziale una corretta gestione per la prevenzione delle complicanze stesse. 68 BIBLIOGRAFIA 1. DeFronzo RA. (2004) International Textbook of Diabetes Mellitus 3rd ed. (John Wiley, Chichester, West Sussex; Hoboken, NJ). 2. Classification:diagnosis of diabetes mellitus: other categories of glucose intolerance. National Diabetes Data Group. Diabetes (1979) 28:1039–1057.[ISI][Medline] 3. WHO Expert Committee on Diabetes Mellitus, World Health Organization. (1980) WHO Expert Committee on Diabetes Mellitus Second Report. (World Health Organization, Geneva). 4. WHO Consultation. (1999) Definition, diagnosis and classification of diabetes mellitus and its complications. Part 1: diagnosis and classification of diabetes mellitus. (World Health Organisation, Geneva) Report no. 99.2. 5. WHO Study Group on Diabetes Mellitus, World Health Organization. (1985) Diabetes mellitus report of a WHO Study Group. (World Health Organization, Geneva). 6. Report of the Expert Committee on the Diagnosis: Classification of Diabetes Mellitus. (1997) Diabetes Care 20:1183–1197.[ISI][Medline] 7. Genuth S, Alberti KG, Bennett P, Buse J, Defronzo R, Kahn R, et al. (2003) Follow-up report on the diagnosis of diabetes mellitus. Diabetes Care 26:3160–3167.[Free Full Text] 8. Kuzuya T and Matsuda A. (1997) Classification of diabetes on the basis of etiologies versus degree of insulin deficiency. Diabetes Care 20:219–220.[Medline] 9. Laakso M and Pyorala K. (1985) Age of onset and type of diabetes. Diabetes Care 8:114– 117.[Abstract] 10. Gottsater A, Landin-Olsson M, Fernlund P, Lernmark A, Sundkvist G. (1993) Beta-cell function in relation to islet cell antibodies during the first 3 yr after clinical diagnosis of diabetes in type II diabetic patients. Diabetes Care 16:902–910.[Abstract] 11. Tuomilehto J, Zimmet P, Mackay IR, Koskela P, Vidgren G, Toivanen L, et al. (1994) Antibodies to glutamic acid decarboxylase as predictors of insulin-dependent diabetes mellitus before clinical onset of disease. Lancet 343:1383–1385.[CrossRef][ISI][Medline] 12. Bruce DG, Chisholm DJ, Storlien LH, Kraegen EW. (1988) Physiological importance of deficiency in early prandial insulin secretion in non-insulin-dependent diabetes. Diabetes 37:736–744.[Abstract] 13. Kim C, Newton KM, Knopp RH. (2002) Gestational diabetes and the incidence of type 2 diabetes. Diabetes Care 25:1862–1868.[Abstract/Free Full Text] 14. The DECODE Study Group. (2003) Age- and sex-specific prevalences of diabetes and impaired glucose regulation in 13 European cohorts. Diabetes Care 26:61–69.[Abstract/Free Full Text] 69 15. The DECODE Study Group. (2001) Glucose tolerance and cardiovascular mortality: comparison of fasting and two-hour diagnostic criteria. Arch Intern Med 161:397– 405.[Abstract/Free Full Text] 16. Ceriello A, Hanefeld M, Leiter L, Monnier L, Moses A, Owens D, et al. (2004) Postprandial glucose regulation and diabetic complications. Arch Intern Med 164:2090– 2095.[Abstract/Free Full Text] 17. Ward WK, Beard JC, Halter JB, Pfeifer MA, Porte D Jr. (1984) Pathophysiology of insulin secretion in non-insulin-dependent diabetes mellitus. Diabetes Care 7:491–502.[Abstract] 18. Pecoraro RE, Chen MS, Porte D Jr. (1982) Glycosylated hemoglobin and fasting plasma glucose in the assessment of outpatient glycaemic control in NIDDM. Diabetes Care 5:592– 599.[Abstract] 19. The DECODE Study Group. (1999) Glucose tolerance and mortality: comparison of WHO and American Diabetes Association diagnostic criteria. Lancet 354:617– 621.[CrossRef][ISI][Medline] 20. The DECODE Study Group. (2003) Is the current definition for diabetes relevant to mortality risk from all causes and cardiovascular and noncardiovascular diseases? Diabetes Care 26:688– 696.[Abstract/Free Full Text] 21. The DECODE Study Group. (1998) Will new diagnostic criteria for diabetes mellitus change phenotype of patients with diabetes? Reanalysis of European epidemiological data. BMJ 317:371–375.[Abstract/Free Full Text] 22. Harris MI, Flegal KM, Cowie CC, Eberhardt MS, Goldstein DE, Little RR, et al. (1998) Prevalence of diabetes, impaired fasting glucose, and impaired glucose tolerance in U.S. adults. The Third National Health and Nutrition Examination Survey, 1988–1994. Diabetes Care 21:518–524.[Abstract] 23. King H, Aubert RE, Herman WH. (1998) Global burden of diabetes, 1995–2025: prevalence, numerical estimates, and projections. Diabetes Care 21:1414–1431.[Abstract] 24. Wild S, Roglic G, Green A, Sicree R, King H. (2004) Global prevalence of diabetes: estimates for the year 2000 and projections for 2030. Diabetes Care 27:1047– 1053.[Abstract/Free Full Text] 25. Engelgau MM, Colagiuri S, Ramachandran A, Borch-Johnsen K, Narayan KM. (2004) Prevention of type 2 diabetes: issues and strategies for identifying persons for interventions. Diabetes Technol Ther 6:874–882.[CrossRef][Medline] 26. Engelgau MM, Narayan KM, Herman WH. (2000) Screening for type 2 diabetes. Diabetes Care 23:1563–1580.[Abstract] 27. Tuomilehto J and Lindstrom J. (2003) The major diabetes prevention trials. Curr Diab Rep 3:115–122.[Medline] 70 28. Qiao Q, Jousilahti P, Eriksson J, Tuomilehto J. (2003) Predictive properties of impaired glucose tolerance for cardiovascular risk are not explained by the development of overt diabetes during follow-up. Diabetes Care 26:2910–2914.[Abstract/Free Full Text] 29. Qiao Q, Hu G, Tuomilehto J, Nakagami T, Balkau B, Borch-Johnsen K, et al. (2003) Age- and sex-specific prevalence of diabetes and impaired glucose regulation in 11 Asian cohorts. Diabetes Care 26:1770–1780.[Abstract/Free Full Text] 30. Bartnik M, Rydén L, Malmberg K, Öhrvik J, Pyörälä K, Standl E, Ferrari R, Simoons M, SolerSoler J. on behalf of the Euro Heart Survey Investigators. (2006) Oral glucose tolerance test is needed for appropriate classification of glucose regulation in patients with coronary artery disease. Heart 93:72–77. 31. Lindstrom J and Tuomilehto J. (2003) The diabetes risk score: a practical tool to predict type 2 diabetes risk. Diabetes Care 26:725–731.[Abstract/Free Full Text] 32. Saaristo T, Peltonen M, Lindstrom J, Saarikoski L, Sundvall J, Eriksson JG, et al. (2005) Crosssectional evaluation of the Finnish Diabetes Risk Score: a tool to identify undetected type 2 diabetes, abnormal glucose tolerance and metabolic syndrome. Diab Vasc Dis Res 2:67– 72.[Medline] 33. De Berardis G, Pellegrini F, Franciosi M, Belfiglio M, Di Nardo B, Greenfield S, et al. (2005) Longitudinal assessment of quality of life in patients with type 2 diabetes and self-reported erectile dysfunction. Diabetes Care 28:2637–2643.[Abstract/Free Full Text] 34. Rathmann W, Haastert B, Icks A, Lowel H, Meisinger C, Holle R, Giani G. (2003) High prevelance of undiagnosed diabetes mellitus in Southern Germany: target populations for efficient screening—The Kora survey 2000. Diabetolgia 46:182–189.[ISI][Medline] 35. Orchard TJ. (1996) The impact of gender: general risk factors on the occurrence of atherosclerotic vascular disease in non-insulin-dependent diabetes mellitus. Ann Med 28:323– 333.[ISI][Medline] 36. King H and Rewers M. WHO Ad Hoc Diabetes Reporting Group. (1993) Global Estimates for Prevalence of Diabetes Mellitus and Impaired Glucose Tolerance in Adults. Diabetes Care 16:157–177.[Abstract] 37. Ramanchandran A, Snehalatha C, Mary S, Mukesh B, Bhaskar AD, Vijay V. (2006) Indian Diabetes Prevention Programme (IDPP). Diabetologia 49:289–297.[CrossRef][ISI][Medline] 38. Qiao Q, et al. (2004) Epidemiology and Geography of Type 2 Diabetes Mellitus. In DeFronzo QA (Ed.), et al. International Textbook of Diabetes Mellitus(John Wiley & Sons, Milan) pp. 33–56. 39. Laakso M. (1999) Hyperglycaemia:cardiovascular disease in type 2 diabetes. Diabetes 48:937– 942.[Abstract] 71 40. Karvonen M, Viik-Kajander M, Moltchanova E, Libman I, LaPorte R, Tuomilehto J. (2000) Incidence of childhood type 1 diabetes worldwide. Diabetes Mondiale (DiaMond) Project Group. Diabetes Care 23:1516–1526.[Abstract] 41. Lee ET, Keen H, Bennett PH, Fuller JH, Lu M. (2001) Follow-up of the WHO Multinational Study of Vascular Disease in Diabetes: general description and morbidity. Diabetologia 44:Suppl. 2, S3–S13. 42. Morrish NJ, Wang SL, Stevens LK, Fuller JH, Keen H. (2001) Mortality and causes of death in the WHO Multinational Study of Vascular Disease in Diabetes. Diabetologia 44:Suppl. 2, S14– S21. 43. Koivisto VA, Stevens LK, Mattock M, Ebeling P, Muggeo M, Stephenson J, Idzior-Walus B. (1996) Cardiovascular disease and its risk factors in IDDM in Europe. EURODIAB IDDM Complications Study Group. Diabetes Care 19:689–697.[Abstract] 44. Tuomilehto J, Borch-Johnsen K, Molarius A, Forsen T, Rastenyte D, Sarti C, Reunanen A. (1998) Incidence of cardiovascular disease in Type 1 (insulin-dependent) diabetic subjects with and without diabetic nephropathy in Finland. Diabetologia 41:784– 790.[CrossRef][ISI][Medline] 45. Nathan DM, Cleary PA, Backlund JY, Genuth SM, Lachin JM, Orchard TJ, Raskin P, Zinman B, et al. (2005) Intensive diabetes treatment and cardiovascular disease in patients with type 1 diabetes. N Engl J Med 353:2643–2653.[Abstract/Free Full Text] 46. Orchard TJ, Olson JC, Erbey JR, Williams K, Forrest KY, Smithline Kinder L, Ellis D, Becker DJ. (2003) Insulin resistance-related factors, but not glycaemia, predict coronary artery disease in type 1 diabetes: 10-year follow-up data from the Pittsburgh Epidemiology of Diabetes Complications Study. Diabetes Care 26:1374–1379.[Abstract/Free Full Text] 47. Juutilainen A, et al. (2005) Type 2 diabetes as a ‘coronary heart disease equivalent’: an 18-year prospective population-based study in Finnish subjects. Diabetes Care 28:2901– 2907.[Abstract/Free Full Text] 48. Hu FB, et al. (2001) The impact of diabetes mellitus on mortality from all causes and coronary heart disease in women: 20 years of follow-up. Arch Intern Med 161:1717– 1723.[Abstract/Free Full Text] 49. Hu G, et al. (2005) Sex differences in cardiovascular and total mortality among diabetic and non-diabetic individuals with or without history of myocardial infarction. Diabetologia 48:856– 861.[CrossRef][ISI][Medline] 50. International Collaborative Group. (1979) Asymptomatic hyperglycaemia and coronary heart disease: a series of papers by the International Collaborative Group based on studies in fifteen populations. J Chron Dis 32:683–837.[CrossRef][ISI][Medline] 72 51. Barrett-Connor E and Ferrara A. (1998) Isolated postchallenge hyperglycaemia and the risk of fatal cardiovascular disease in older women and men. The Rancho Bernardo Study. Diabetes Care 21:1236–1239.[Abstract] 52. Barzilay JI, et al. (1999) Cardiovascular disease in older adults with glucose disorders: comparison of American Diabetes Association criteria for diabetes mellitus with WHO criteria. Lancet 354:622–625.[CrossRef][ISI][Medline] 53. Schernthaner G, Matthews DR, Charbonnel B, Hanefeld M, Brunetti P. Quartet [corrected] Study Group. (2004) Efficacy and safety of pioglitazone versus metformin in patients with type 2 diabetes mellitus: a double-blind, randomized trial. J Clin Endocrin Metab 89:6068– 6076.[Abstract/Free Full Text] 54. Charbonnel BH, Matthews DR, Schernthaner G, Hanefeld M, Brunetti P. QUARTET Study Group. (2005) A long-term comparison of pioglitazone and gliclazide in patients with Type 2 diabetes mellitus: a randomized, double-blind, parallel-group comparison trial. Diabet Med 22:399–405.[CrossRef][ISI][Medline] 55. Borch-Johnsen K. (2001) The new classification of diabetes mellitus and IGT: a critical approach. Exp Clin Endocrinol Diabetes 109:Suppl. 2, S86–S93. 56. Fontbonne A, et al. (1989) Hypertriglyceridaemia as a risk factor of coronary heart disease mortality in subjects with impaired glucose tolerance or diabetes. Results from the 11-year follow-up of the Paris Prospective Study. Diabetologia 32:300–304.[CrossRef][ISI][Medline] 57. Fuller JH, et al. (1980) Coronary-heart-disease risk and impaired glucose tolerance. The Whitehall study. Lancet 1:1373–1376.[ISI][Medline] 58. Lowe LP, et al. (1997) Diabetes, asymptomatic hyperglycaemia, and 22-year mortality in black and white men. The Chicago Heart Association Detection Project in Industry Study. Diabetes Care 20:163–169.[Medline] 59. Rodriguez BL, et al. (1999) Glucose intolerance and 23-year risk of coronary heart disease and total mortality: The Honolulu Heart Programme. Diabetes Care 22:1262–1265.[Abstract] 60. Saydah SH, et al. (2001) Postchallenge hyperglycaemia and mortality in a national sample of U.S. adults. Diabetes Care 24:1397–1402.[Abstract/Free Full Text] 61. Scheidt-Nave C, et al. (1991) Sex differences in fasting glycaemia as a risk factor for ischemic heart disease death. Am J Epidemiol 133:565–576.[Abstract/Free Full Text] 62. Shaw JE, et al. (1999) Isolated post-challenge hyperglycaemia confirmed as a risk factor for mortality. Diabetologia 42:1050–1054.[CrossRef][ISI][Medline] 63. Tominaga M, et al. (1999) Impaired glucose tolerance is a risk factor for cardiovascular disease, but not impaired fasting glucose. The Funagata Diabetes Study. Diabetes Care 22:920– 924.[Abstract] 73 64. Coutinho M, et al. (1999) The relationship between glucose and incident cardiovascular events. A metaregression analysis of published data from 20 studies of 95,783 individuals followed for 12.4 years. Diabetes Care 22:233–240.[Abstract/Free Full Text] 65. Pyorala K, et al. (1979) Glucose tolerance and coronary heart disease: Helsinki Policemen Study. J Chronic Dis 32:729–745.[CrossRef][ISI][Medline] 66. Cheung NW, Wong VW, McLean M. The Hyperglycaemia: Intensive Insulin Infusion in Infarction (HI-5) Study. (2006) A randomized controlled trial of insulin infusion therapy for myocardial infarction. Diabetes Care 29:765–770.[Abstract/Free Full Text] 67. Saydah SH, et al. (2001) Subclinical states of glucose intolerance and risk of death in the U.S. Diabetes Care 24:447–453.[Abstract/Free Full Text] 68. The DECODE Study Group. (2003) Gender difference in all-cause and cardiovascular mortality related to hyperglaemia and newly-diagnosed diabetes. Diabetologia 46:608– 617.[ISI][Medline] 69. The DECODE Study Group Consequences of the new diagnostic criteria for diabetes in older men and women. (1999) DECODE Study (Diabetes Epidemiology: Collaborative Analysis of Diagnostic Criteria in Europe). Diabetes Care 22:1667–1671.[Abstract/Free Full Text] 70. Chiasson JL, et al. (2003) Acarbose treatment and the risk of cardiovascular disease and hypertension in patients with impaired glucose tolerance: the STOP-NIDDM trial. JAMA 290:486–494.[Abstract/Free Full Text] 71. UKPDS. (1998) Intensive blood-glucose control with sulphonylureas or insulin compared with conventional treatment and risk of complications in patients with type 2 diabetes (UKPDS 33). UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group. Lancet 352:837– 853.[CrossRef][ISI][Medline] 72. Hanefeld M, et al. (1996) Risk factors for myocardial infarction and death in newly detected NIDDM: the Diabetes Intervention Study, 11-year follow-up. Diabetologia 39:1577– 1583.[CrossRef][ISI][Medline] 73. Hanefeld M, et al. (2004) Acarbose reduces the risk for myocardial infarction in type 2 diabetic patients: meta-analysis of seven long-term studies. Eur Heart J 25:10– 16.[Abstract/Free Full Text] 74. Tunstall-Pedoe H, et al. (1994) Myocardial infarction and coronary deaths in the World Health Organization MONICA Project. Registration procedures, event rates, and case-fatality rates in 38 populations from 21 countries in four continents. Circulation 90:583–612. 75. Tuomilehto J and Kuulasmaa K. (1989) WHO MONICA Project: assessing CHD mortality and morbidity. Int J Epidemiol 18:Suppl. 1, S38–S45.[Abstract] 76. Kannel WB and McGee DL. (1979) Diabetes and cardiovascular disease. The Framingham study. JAMA 241:2035–2038.[Abstract] 74 77. Barrett-Connor EL, et al. (1991) Why is diabetes mellitus a stronger risk factor for fatal ischemic heart disease in women than in men? The Rancho Bernardo Study. JAMA 265:627– 631.[Abstract] 78. Juutilainen A, et al. (2004) Gender difference in the impact of Type 2 diabetes on coronary heart disease risk. Diabetes Care 27:2898–2904.[Abstract/Free Full Text] 79. Janghorbani M, et al. (1994) A prospective population based study of gender differential in mortality from cardiovascular disease and ‘all causes’ in asymptomatic hyperglycaemics. J Clin Epidemiol 47:397–405.[CrossRef][ISI][Medline] 80. Kanaya AM, et al. (2003) Glycaemic effects of postmenopausal hormone therapy: the Heart and Estrogen/progestin Replacement Study. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Ann Intern Med 138:1–9.[Abstract/Free Full Text] 81. Huxley R, Barzi F, Woodward M. (2006) Excess risk of fatal coronary heart disease associated with diabetes in men and women: meta-analysis of 37 prospective cohort studies. BMJ 332:73– 78.[Abstract/Free Full Text] 82. Adams HP Jr, et al. (1984) Prevalence of diabetes mellitus among patients with subarachnoid hemorrhage. Arch Neurol 41:1033–1035.[Abstract] 83. Barrett-Connor E and Khaw KT. (1988) Diabetes mellitus: an independent risk factor for stroke? Am J Epidemiol 128:116–123.[Abstract/Free Full Text] 84. Kittner SJ, et al. (1990) Black-white differences in stroke incidence in a national sample. The contribution of hypertension and diabetes mellitus. JAMA 264:1267–1270.[Abstract] 85. Lehto S, et al. (1996) Predictors of stroke in middle-aged patients with non-insulin-dependent diabetes. Stroke 27:63–68.[Abstract/Free Full Text] 86. Rodriguez BL, et al. (2002) Risk of hospitalized stroke in men enrolled in the Honolulu Heart Programme and the Framingham Study: A comparison of incidence and risk factor effects. Stroke 33:230–236.[Abstract/Free Full Text] 87. Tuomilehto J, et al. (1996) Diabetes mellitus as a risk factor for death from stroke. Prospective study of the middle-aged Finnish population. Stroke 27:210–215.[Abstract/Free Full Text] 88. Wolf PA, et al. (1991) Probability of stroke: a risk profile from the Framingham Study. Stroke 22:312–318.[Abstract] 89. Yusuf HR, et al. (1998) Impact of multiple risk factor profiles on determining cardiovascular disease risk. Prev Med 27:1–9.[CrossRef][ISI][Medline] 90. Ayala C, et al. (2002) Sex differences in US mortality rates for stroke and stroke subtypes by race/ethnicity and age, 1995–1998. Stroke 33:1197–1201.[Abstract/Free Full Text] 91. Mohr JP, et al. (1978) The Harvard Cooperative Stroke Registry: a prospective registry. Neurology 28:754–762.[Abstract/Free Full Text] 75 92. Qureshi AI, et al. (1998) Risk factors for multiple intracranial aneurysms. Neurosurgery 43:22– 26 discussion 26–27.[CrossRef][ISI][Medline] 93. Thorvaldsen P, et al. (1995) Stroke incidence, case fatality, and mortality in the WHO MONICA project. World Health Organization Monitoring Trends and Determinants in Cardiovascular Disease. Stroke 26:361–367.[Abstract/Free Full Text] 94. Longstreth WT Jr, et al. (2002) Incidence, manifestations, and predictors of brain infarcts defined by serial cranial magnetic resonance imaging in the elderly: the Cardiovascular Health Study. Stroke 33:2376–2382.[Abstract/Free Full Text] 95. Vermeer SE, et al. (2002) Prevalence and risk factors of silent brain infarcts in the populationbased Rotterdam Scan Study. Stroke 33:21–25.[Abstract/Free Full Text] 96. Simpson RK Jr, et al. (1991) The influence of diabetes mellitus on outcome from subarachnoid hemorrhage. Diabetes Res 16:165–169.[ISI][Medline] 97. Hu HH, et al. (1989) Prevalence of stroke in Taiwan. Stroke 20:858–863.[Abstract] 98. Oppenheimer SM, et al. (1985) Diabetes mellitus and early mortality from stroke. BMJ (Clin Res Ed) 291:1014–1015.[ISI][Medline] 99. Kiers L, et al. (1992) Stroke topography and outcome in relation to hyperglycaemia and diabetes. J Neurol Neurosurg Psychiatry 55:263–270.[Abstract] 100. Kushner M, et al. (1990) Relation of hyperglycaemia early in ischemic brain infarction to cerebral anatomy, metabolism, and clinical outcome. Ann Neurol 28:129– 135.[CrossRef][ISI][Medline] 101. Toni D, et al. (1992) Does hyperglycaemia play a role on the outcome of acute ischaemic stroke patients? J Neurol 239:382–386.[ISI][Medline] 102. Deckert T, Poulsen JE, Larsen M. (1978) Prognosis of diabetics with diabetes onset before the age of thirty-one. I. Survival, causes of death, and complications. Diabetologia 14:363–370.[CrossRef][ISI][Medline] 103. Fuller JH, Stevens LK, Wang SL. (1996) International variations in cardiovascular mortality associated with diabetes mellitus: the WHO Multinational Study of Vascular Disease in Diabetes. Ann Med 28:319–322.[ISI][Medline] 104. Matz K, et al. (2006) Disorders of glucose metabolism in acute stroke patients: an underrecognized problem. Diabetes Care 29:792–797.[Abstract/Free Full Text] 105. Vancheri F, et al. (2005) Impaired glucose metabolism in patients with acute stroke and no previous diagnosis of diabetes mellitus. QJM 98:871–878.[Abstract/Free Full Text] 106. Gu K, Cowie CC, Harris MI. (1999) Diabetes and decline in heart disease mortality in US adults. JAMA 281:1291–1297.[Abstract/Free Full Text] 76 107. American Diabetes Association. (1999) Clinical practice recommendations 1999. Diabetes Care 22:Suppl. 1, S1–S114. 108. Tuomilehto J, Lindstrom J, Eriksson JG, et al. (2001) Prevention of type 2 diabetes mellitus by changes in life style among subjects with impaired glucose tolerance. N Engl J Med 344:1343–1350.[Abstract/Free Full Text] 109. Knowler WC, Barrett-Connor E, Fowler SE, et al. (2002) Reduction in the incidence of type 2 diabetes with life style intervention or metformin. N Engl J Med 346:393– 403.[Abstract/Free Full Text] 110. American College of Endocrinology. (2002) American College of Endocrinology Consensus Statement on Guidelines for Glycemic Control. Endocr Pract 8:Suppl. 1, 1–82. 111. Franciosi M, De Berardis G, Rossi MC, et al. (2005) Use of the diabetes risk score for opportunistic screening of undiagnosed diabetes and impaired glucose tolerance: the IGLOO (Impaired Glucose Tolerance and Long-Term Outcomes Observational) study. Diabetes Care 28:1187–1194.[Abstract/Free Full Text] 112. Sacks FM, Pfeffer MA, Moye LA, Rouleau JL, Rutherford JD, Cole TG, et al. (1996) The effect of pravastatin on coronary events after myocardial infarction in patients with average cholesterol levels. N Engl J Med 335:1001–1009.[Abstract/Free Full Text] 113. Kylin E. (1923) Studies of the hypertension-hyperglycaemia hyperuricemia syndrome. (Studien ueber das hypertonie-hypergly-kämie-hyperurikämiesyndrom.). Zentral-blatt fuer Innere Medizin 44:105–127. 114. Vague J. (1947) La differenciation sexuelle. Facteur determinant des formes de l'obesite. Press Med 30:339–340. 115. Hanefeld M and Leonhardt W. (1981) Das metabolische syndrom. Dtsch Ges Wesen 36:545–551. 116. Kissebah AH, Vydelingum N, Murray R, et al. (1982) Relation of body fat distribution to metabolic complications of obesity. J Clin Endocrinol Metab 54:254–260.[Abstract] 117. Krotkiewski M, et al. (1983) Impact of obesity on metabolism in men and women. Importance of regional adipose tissue distribution. J Clin Invest 72:1150–1162.[ISI][Medline] 118. Reaven GM. (1988) Banting lecture 1988. Role of insulin resistance in human disease. Diabetes 37:1595–1607.[Abstract] 119. Haffner SM, Valdez RA, Hazuda HP, et al. (1992) Prospective analysis of the insulinresistance syndrome (syndrome X). Diabetes 41:715–722.[Abstract] 120. Grundy SM. (1999) Hypertriglyceridemia, insulin resistance, and the metabolic syndrome. Am J Cardiol 83:25F–29F.[ISI][Medline] 77 121. Meigs JB. (2000) Invited commentary: insulin resistance syndrome? Syndrome X? Multiple metabolic syndrome? A syndrome at all? Factor analysis reveals patterns in the fabric of correlated metabolic risk factors. Am J Epidemiol 152:908–911 discussion 912.[Abstract/Free Full Text] 122. Alberti KG and Zimmet PZ. (1998) Definition, diagnosis and classification of diabetes mellitus and its complications. Part 1: diagnosis and classification of diabetes mellitus provisional report of a WHO consultation. Diabet Med 15:539–553.[CrossRef][ISI][Medline] 123. Prevention of cardiovascular events and death with pravastatin in patients with coronary heart disease and a broad range of initial cholesterol levels. N Engl J Med (1998) 339:1349– 1357.[Abstract/Free Full Text] 124. Balkau B, Charles MA, Drivsholm T, Borch-Johnsen K, et al. (2002) Frequency of the WHO metabolic syndrome in European cohorts, and an alternative definition of an insulin resistance syndrome. Diabetes Metab 28:364–376.[ISI][Medline] 125. Balkau B and Charles MA. (1999) Comment on the provisional report from the WHO consultation. European Group for the Study of Insulin Resistance (EGIR). Diabet Med 16:442– 443.[CrossRef][ISI][Medline] 126. Adult Treatment Panel III. (2002) Third Report of the National Cholesterol Education Programme (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III) final report. Circulation 106:3143–3421. 127. Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults. Executive summary of the third report of the National Cholesterol Education Programme (NCEP) Expert Panel on detection, evaluation, and treatment of high blood cholesterol in adults (Adult Treatment Panel III). JAMA (2001) 285:2486–2497.[Free Full Text] 128. Bloomgarden ZT. (2003) American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) Consensus Conference on the Insulin Resistance Syndrome, 25–26 August 2002, Washington, DC. Diabetes Care 26:933–939.[Free Full Text] 129. American College of Endocrinology Task Force on the Insulin Resistance Syndrome, American College of Endocrinology Position Statement on the Insulin Resistance Syndrome. Endocr Pract (2003) 9:237–252.[Medline] 130. Alberti KG, Zimmet P, Shaw J. (2005) The metabolic syndrome—a new worldwide definition. Lancet 366:1059–1062.[CrossRef][ISI][Medline] 131. Isomaa B, et al. (2001) Cardiovascular morbidity and mortality associated with the metabolic syndrome. Diabetes Care 24:683–689.[Abstract/Free Full Text] 132. Lakka HM, et al. (2002) The metabolic syndrome and total and cardiovascular disease mortality in middle-aged men. JAMA 288:2709–2716.[Abstract/Free Full Text] 78 133. The DECODE Study Group. (2004) Prevalence of the metabolic syndrome and its relation to all-cause and cardiovascular mortality in nondiabetic European men and women. Arch Intern Med 164:1066–1076.[Abstract/Free Full Text] 134. Juutilainen A, et al. (2006) Proteinuria and metabolic syndrome as predictors of cardiovascular death in non-diabetic and type 2 diabetic men and women. Diabetologia 49:56– 65.[CrossRef][ISI][Medline] 135. Resnick HE, et al. (2003) Insulin resistance, the metabolic syndrome, and risk of incident cardiovascular disease in nondiabetic American Indians: The Strong Heart Study. Diabetes Care 26:861–867.[Abstract/Free Full Text] 136. Ford ES. (2004) The metabolic syndrome and mortality from cardiovascular disease and all-causes: findings from the National Health and Nutrition Examination Survey II Mortality Study. Atherosclerosis 173:309–314.[CrossRef][ISI][Medline] 137. Hunt KJ, et al. (2004) National Cholesterol Education Programme versus World Health Organization metabolic syndrome in relation to all-cause and cardiovascular mortality in the San Antonio Heart Study. Circulation 110:1251–1257. 138. Stern MP, et al. (2004) Does the metabolic syndrome improve identification of individuals at risk of type 2 diabetes and/or cardiovascular disease? Diabetes Care 27:2676– 2681.[Abstract/Free Full Text] 139. Lawlor DA, Smith GD, Ebrahim S. (2006) Does the new International Diabetes Federation definition of the metabolic syndrome predict CHD any more strongly than older definitions? Findings from the British Women's Heart and Health Study. Diabetologia 49:41– 48.[CrossRef][ISI][Medline] 140. Wilson PW, et al. (1998) Prediction of coronary heart disease using risk factor categories. Circulation 97:1837–1847.[Medline] 141. Knuiman MW and Vu HT. (1997) Prediction of coronary heart disease mortality in Busselton, Western Australia: an evaluation of the Framingham, national health epidemiologic follow up study, and WHO ERICA risk scores. J Epidemiol Community Health 51:515– 519.[Abstract] 142. Thomsen TF, et al. (2002) A cross-validation of risk-scores for coronary heart disease mortality based on data from the Glostrup Population Studies and Framingham Heart Study. Int J Epidemiol 31:817–822.[Abstract/Free Full Text] 143. Haq IU, et al. (1999) Is the Framingham risk function valid for northern European populations? A comparison of methods for estimating absolute coronary risk in high risk men. Heart 81:40–46.[Abstract/Free Full Text] 144. D'Agostino RB Sr, et al. (2001) Validation of the Framingham coronary heart disease prediction scores: results of a multiple ethnic groups investigation. JAMA 286:180– 187.[Abstract/Free Full Text] 79 145. Game FL and Jones AF. (2001) Coronary heart disease risk assessment in diabetes mellitus—a comparison of PROCAM and Framingham risk assessment functions. Diabet Med 18:355–359.[CrossRef][ISI][Medline] 146. Bastuji-Garin S, et al. (2002) The Framingham prediction rule is not valid in a European population of treated hypertensive patients. J Hypertens 20:1973– 1980.[CrossRef][ISI][Medline] 147. Cappuccio FP, et al. (2002) Application of Framingham risk estimates to ethnic minorities in United Kingdom and implications for primary prevention of heart disease in general practice: cross sectional population based study. BMJ 325:1271.[Abstract/Free Full Text] 148. Hense HW, et al. (2003) Framingham risk function overestimates risk of coronary heart disease in men and women from Germany—results from the MONICA Augsburg and the PROCAM cohorts. Eur Heart J 24:937–945.[Abstract/Free Full Text] 149. Empana JP, et al. (2003) Are the Framingham and PROCAM coronary heart disease risk functions applicable to different European populations? The PRIME Study. Eur Heart J 24:1903–1911.[Abstract/Free Full Text] 150. Conroy RM, et al. (2003) Estimation of ten-year risk of fatal cardiovascular disease in Europe: the SCORE project. Eur Heart J 24:987–1003.[Abstract/Free Full Text] 151. EUROASPIRE II Euro Heart Survey Programmee. (2001) Life style and risk factor management and use of drug therapies in coronary patients from 15 countries: principal results from EUROASPIRE II Euro Heart Survey Programme. Eur Heart J 22:554– 572.[Abstract/Free Full Text] 152. De Bacquer D, et al. (2003) Predictive value of classical risk factors and their control in coronary patients: a follow-up of the EUROASPIRE I cohort. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 10:289–295.[CrossRef][ISI][Medline] 153. Athyros VG, Papageorgiou AA, Symeonidis AN, Didangelos TP, Pehlivanidis AN, Bouloukos VI, Mikhailidis DP. GREACE Study Collaborative Group. (2003) Early benefit from structured care with atorvastatin in patients with coronary heart disease and diabetes mellitus. Angiology 54:679–690.[ISI][Medline] 154. Arampatzis CA, Goedhart D, Serruys P, Saia F, Lemos P, de Feyter P. (2005) Fluvastatin reduces the impact of diabetes on long-term outcome after coronary intervention— A Lescol Intervention Prevention Study (LIPS) substudy. Am Heart J 149:329– 335.[CrossRef][ISI][Medline] 155. Williams B, Lacy PS, Thom SM, Cruickshank K, Stanton A, Collier D, Hughes AD, Thurston H, O'Rourke M. CAFE Investigators, Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial Investigators, CAFE Steering Committee: Writing Committee. (2006) Differential impact of blood pressure-lowering drugs on central aortic pressure and clinical outcomes: principal results of the Conduit Artery Function Evaluation (CAFE) study. Circulation 7:1213–1225. 80 156. Jeppsson JO, Jerntorp P, Almer LO, Persson R, Ekberg G, Sundkvist G. (1996) Capillary blood on filter paper for determination of HbA1c by ion exchange chromatography. Diabetes Care 19:142–145.[Abstract] 157. The DECODE Study Group. (2004) Prediction of the risk of cardiovascular mortality using a score that includes glucose as a risk factor. The DECODE Study. Diabetologia 47:2118–2128.[CrossRef][ISI][Medline] 158. Rose G. (1981) Strategy of prevention: lessons from cardiovascular disease. BMJ (Clin Res Ed) 282:1847–1851.[ISI][Medline] 159. Puska P, Tuomilehto J, Nissinen A, Vartiainen E. (1995) The North Karelia Project: 20 year results and experiences. (National Public Health Institute, Helsinki). 160. Yusuf S, Hawken S, Ôunpuu S, Dans T, Avezum A, Lanas F, McQueen M, Budaj A, Pais P, Varigos J, Lisheng L. (2004) Effect of potentially modifiable risk factors associated with myocardial infarction in 52 countries (the INTERHEART study): case–control study. Lancet 364:937–952.[CrossRef][ISI][Medline] 161. Fox CS, Coady S, Sorlie PD, Levy D, Meigs JB, D'Agostino RB Sr, Wilson PW, Savage PJ. (2004) Trends in cardiovascular complications of diabetes. JAMA 292:2495– 2499.[Abstract/Free Full Text] 162. Iozzo P, Chareonthaitawee P, Rimoldi O, Betteridge DJ, Camici PG, Ferranini E. (2002) Mismatch between insulin-mediated glucose uptake and blood flow in the heart of patients with type II diabetes. Diabetologia 45:1404–1409.[CrossRef][ISI][Medline] 163. Silventoinen K, et al. (2005) The validity of the Finnish Diabetes Risk Score for the prediction of the incidence of coronary heart disease and stroke, and total mortality. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 12:451–458.[CrossRef][Medline] 164. McNeill AM, et al. (2005) The metabolic syndrome and 11-year risk of incident cardiovascular disease in the atherosclerosis risk in communities study. Diabetes Care 28:385– 390.[Abstract/Free Full Text] 165. Greenland P, et al. (2004) Coronary artery calcium score combined with Framingham score for risk prediction in asymptomatic individuals. JAMA 291:210– 215.[Abstract/Free Full Text] 166. Braunwald E. (1997) Shattuck lecture—cardiovascular medicine at the turn of the millennium: triumphs, concerns, and opportunities. N Engl J Med 337:1360– 1369.[Free Full Text] 167. Akosah KO, et al. (2003) Preventing myocardial infarction in the young adult in the first place: how do the National Cholesterol Education Panel III guidelines perform? J Am Coll Cardiol 41:1475–1479.[Abstract/Free Full Text] 168. Brindle P, et al. (2003) Predictive accuracy of the Framingham coronary risk score in British men: prospective cohort study. BMJ 327:1267.[Abstract/Free Full Text] 81 169. Orford JL, et al. (2002) A comparison of the Framingham and European Society of Cardiology coronary heart disease risk prediction models in the normative aging study. Am Heart J 144:95–100.[CrossRef][ISI][Medline] 170. Knowler WC, et al. (1995) Preventing non-insulin-dependent diabetes. Diabetes 44:483–488.[Abstract] 171. Costacou T and Mayer-Davis EJ. (2003) Nutrition and prevention of type 2 diabetes. Annu Rev Nutr 23:147–170.[CrossRef][ISI][Medline] 172. Hu G, et al. (2003) Occupational, commuting, and leisure-time physical activity in relation to risk for type 2 diabetes in middle-aged Finnish men and women. Diabetologia 46:322–329.[ISI][Medline] 173. Hu G, et al. (2004) Physical activity, body mass index, and risk of type 2 diabetes in patients with normal or impaired glucose regulation. Arch Intern Med 164:892– 896.[Abstract/Free Full Text] 174. Eriksson KF and Lindgarde F. (1991) Prevention of type 2 (non-insulin-dependent) diabetes mellitus by diet and physical exercise. The 6-year Malmo feasibility study. Diabetologia 34:891–898.[CrossRef][ISI][Medline] 175. Pan X, et al. (1997) Effects of diet and exercise in preventing NIDDM in people with impaired glucose tolerance. The Da Qing IGT and Diabetes Study. Diabetes Care 20:537– 544.[Abstract] 176. Iozzo P, Chareonthaitawee P, Dutka D, Betteridge DJ, Ferranini E, Camici PG. (2002) Independent association of type 2 diabetes and coronary artery disease with myocardial insulin resistance. Diabetes 51:3020–3024.[Abstract/Free Full Text] 177. Stettler C, Allemann S, Jüni P, Cull CA, Holman RR, Egger M, Krähenbühl S, Diem P. (2006) Glycemic control and macrovascular disease in types 1 and 2 diabetes mellitus: metaanalysis of randomized trials. Am Heart J 152:27–38.[CrossRef][ISI][Medline] 178. Chiasson JL, et al. (2002) Acarbose for prevention of type 2 diabetes mellitus: the STOP-NIDDM randomized trial. Lancet 359:2072–2077.[CrossRef][ISI][Medline] 179. Lindstrom J, et al. (2003) The Finnish Diabetes Prevention Study (DPS): life style intervention and 3-year results on diet and physical activity. Diabetes Care 26:3230– 3236.[Abstract/Free Full Text] 180. American Diabetes Association. (2002) The prevention or delay of type 2 diabetes. Diabetes Care 25:742–749.[Free Full Text] 181. Shepherd J, Barter P, Carmena R, Deedwania P, Fruchart JC, Haffner S, Hsia J, Breazna A, LaRosa J, Grundy S, Waters D. (2006) Effect of lowering LDL cholesterol substantially below currently recommended levels in patients with coronary heart disease and diabetes: the Treating to New Targets (TNT) Study. Diabetes Care 29:1220–1226.[Abstract/Free Full Text] 82 182. Sawicki PT, Kaiser S, Heinemann L, Frenzel H, Berger M. (1991) Prevalence of renal artery stenosis in diabetes mellitus—an autopsy study. J Intern Med 229:489– 492.[ISI][Medline] 183. Wong ND, et al. (2003) Preventing coronary events by optimal control of blood pressure and lipids in patients with the metabolic syndrome. Am J Cardiol 91:1421– 1426.[CrossRef][ISI][Medline] 184. Glumer C, et al. (2004) A Danish diabetes risk score for targeted screening: the Inter99 study. Diabetes Care 27:727–733.[Abstract/Free Full Text] 185. Spijkerman AM, et al. (2004) The performance of a risk score as a screening test for undiagnosed hyperglycaemia in ethnic minority groups: data from the 1999 health survey for England. Diabetes Care 27:116–122.[Abstract/Free Full Text] 186. Wei M, et al. (2000) Low cardiorespiratory fitness and physical inactivity as predictors of mortality in men with type 2 diabetes. Ann Intern Med 132:605– 611.[Abstract/Free Full Text] 187. Hu FB, et al. (2001) Physical activity and risk for cardiovascular events in diabetic women. Ann Intern Med 134:96–105.[Abstract/Free Full Text] 188. Batty GD, et al. (2002) Physical activity and cause-specific mortality in men with Type 2 diabetes/impaired glucose tolerance: evidence from the Whitehall study. Diabet Med 19:580– 588.[CrossRef][ISI][Medline] 189. Gregg EW, et al. (2003) Relationship of walking to mortality among US adults with diabetes. Arch Intern Med 163:1440–1447.[Abstract/Free Full Text] 190. Tanasescu M, et al. (2003) Physical activity in relation to cardiovascular disease and total mortality among men with type 2 diabetes. Circulation 107:2435–2439. 191. Hu G, et al. (2004) Occupational, commuting, and leisure-time physical activity in relation to total and cardiovascular mortality among Finnish subjects with type 2 diabetes. Circulation 110:666–673. 192. Ong AT, Serruys PW, Mohr FW, et al. (2006) The SYNergy between percutaneous coronary intervention with TAXus and cardiac surgery (SYNTAX) study: design, rationale, and run-in phase. Am Heart J 151:1194–1204.[CrossRef][ISI][Medline] 193. American Diabetes Association. (2003) Physical activity/exercise and diabetes mellitus. Diabetes Care 26:Suppl. 1, S73–S77. 194. Working Party of the international Diabetes Federation (European Region). (2003) Hypertension in people with Type 2 diabetes: knowledge-based diabetes-specific guidelines. Diabet Med 20:972–987.[CrossRef][ISI][Medline] 195. Luscher TF and Vanhoutte PM. (1991) The Endothelium: Modulator of Cardiovascular Function(CRC press, Boca Raton, FL). 83 196. Luscher TF and Noll G. (1995) The endothelium in coronary vascular control. Heart Dis 3:1–10.[Medline] 197. Wever RMF, Luscher TF, Cosentino F, Rabelink TJ. (1998) Athelosclerosis and the two faces of endothelial nitric oxide synthase. Circulation 97:108–112. 198. Tesfmamariam B, Brown ML, Cohen RA. (1991) Elevated glucose impairs endothelium-dependent relaxation by activating protein kinase C. J Clin Invest 87:1643– 1648.[ISI][Medline] 199. Williams SB, Goldfine AB, Timimi FK, et al. (1998) Acute hyperglycaemia attenuates endothelium-dependent vasodilation in humans in vivo. Circulation 97:1695–1701. 200. Nishikawa T, Edelstein D, Du XL, et al. (2000) Normalizing mitochondrial superoxide production blocks three pathways of hyperglycaemic damage. Nature 404:787– 790.[CrossRef][Medline] 201. Creager MA, Luscher TF, Cosentino F, Beckman JA. (2003) Diabetes and vascular disease: pathophysiology, cinical consequences, and medical therapy: Part I. Circulation 108:1527–1532. 202. Hink U, Li H, Mollnau H, et al. (2001) Mechanisms underlying endothelial dysfunction in diabetes mellitus. Circ Res 88:E14–E22. 203. Guzik TJ, Mussa S, Gastaldi D, et al. (2002) Mechanisms of increased vascular superoxide production in human diabetes mellitus: role of NAD(P)H oxidase and endothelial nitric oxide synthase. Circulation 105:1656–1662. 204. Cosentino F, Eto M, De Paolis P, et al. (2003) High glucose causes upregulation of cyclooxygenase-2 and alters prostanoid profile in human endothelial cells. Circulation 107:1017. 205. Beckman JS and Koppenol WH. (1996) Nitric oxide, superoxide and peroxynitrite: the good, the bad and the ugly. Am J Physiol 271:C1424–C1437. 206. Van der Loo B, Labugger R, Skepper JN, et al. (2000) Enhanced peroxynitrite formation is associated with vascular aging. J Exp Med 192:1731–1744.[Abstract/Free Full Text] 207. Turko IT and Murad F. (2002) Protein nitration in cardiovascular diseases. Pharmacol Rev 54:619–634.[Abstract/Free Full Text] 208. Milstien S and Katusic Z. (1999) Oxidation of tetrahydrobiopterin by peroxynitrite: implications for vascular endothelial function. Biochem Biophys Res Commun 263:681– 684.[CrossRef][ISI][Medline] 209. Vlassara H, Fuh H, Donnelly T, et al. (1995) Advanced glycation endproducts promote adhesion molecule (VCAM-1, ICAM-1) expression and atheroma formation in normal rabbits. Mol Med 1:447–456.[ISI][Medline] 84 210. Tan KC, Chow WS, Ai VH, et al. (2002) Advanced glycation end products and endothelial dysfunction in type 2 diabetes. Diabetes Care 25:1055– 1059.[Abstract/Free Full Text] 211. Park L, Raman KG, Lee KJ, et al. (1998) Suppression of accelerated diabetic atherosclerosis by the soluble receptor for advanced glycation end products. Nat Med 4:1025– 1031.[CrossRef][ISI][Medline] 212. Du XL, Edelstein D, Dimmeler S, et al. (2001) Hyperglycaemia inhibits endothelial nitric oxide synthase activity by posttranslational modification at the Akt site. J Clin Invest 108:1341–1348.[Abstract/Free Full Text] 213. Lin KY, Ito A, Asagami T, et al. (2002) Impaired nitric oxide synthase pathway in diabetes mellitus: role of asymmetric dimethylarginine and dimethylarginine dimethylaminohydrolase. Circulation 106:987–992. 214. Williams SB, Cusco JA, Roddy MA, et al. (1996) Impaired nitric oxide-mediated vasodilation in patients with non-insulin-dependent diabetes mellitus. J Am Coll Cardiol 27:567–574.[Abstract] 215. Uzuki LA, Poot M, Gerrity RG, et al. (2001) Diabetes accelerates smooth muscle accumulation in lesions of atherosclerosis: lack of direct growth-promoting effects of high glucose levels. Diabetes 50:851–860.[Abstract/Free Full Text] 216. Fukumoto H, Naito Z, Asano G, et al. (1998) Immunohistochemical and morphometric evaluations of coronary atherosclerotic plaques associated with myocardial infarction and diabetes mellitus. J Atheroscler Thromb 5:29–35.[Medline] 217. Bavenholm P, Proudler A, Tornvall P, et al. (1995) Insulin, intact and split proinsulin, and coronary artery disease in young men. Circulation 92:1422–1429. 218. Adachi H, Hirai Y, Tsuruta M, et al. (2001) Is insulin resistance or diabetes mellitus associated with stroke? Diabetes Res Clin Pract 51:215–223.[CrossRef][ISI][Medline] 219. Pimenta W, Korytkowski M, Mitrakou A, Jenssen T, Yki-Jarvinen H, Evron W, Dailey G, Gerich J. (1995) Pancreatic beta-cell dysfunction as the primary genetic lesion in NIDDM. JAMA 273:1855–1861.[Abstract] 220. Polonsky KS, Sturis J, Bell GI. (1996) Seminars in medicine of the Beth Israel hospital, Boston. Non-insulin-dependent diabetes mellitus—a genetically programmed failure of the beta cell to compensate for insulin resistance. N Engl J Med 21:777–783. 221. Weyer C, Bogardus C, Mott DM, Pratley RE. (1999) The natural history of insulin secretory dysfunction and insulin resistance in the pathogenesis of type 2 diabetes mellitus. J Clin Invest 104:787–794.[Abstract/Free Full Text] 222. Weyer C, Tataranni PA, Bogardus C, Pratley RE. (2001) Insulin resistance and insulin secretory dysfunction are independent predictors of worsening of glucose tolerance during each stage of type 2 diabetes development. Diabetes Care 24:89–94.[Abstract/Free Full Text] 85 223. Haffner SM, Miettinen H, Stern MP. (1997) Are risk factors for conversion to NIDDM similar in high and low risk populations? Diabetologia 40:62–66.[CrossRef][ISI][Medline] 224. Godsland IF, Jeffs JA, Johnston DG. (2004) Loss of beta-cell function as fasting glucose increases in the non-diabetic range. Diabetologia 47:1157–1166.[ISI][Medline] 225. Pratley RE and Weyer C. (2001) The role of impaired early insulin secretion in the pathogenesis of type II diabetes mellitus. Diabetologia 44:929–945.[CrossRef][ISI][Medline] 226. Ferrannini E, Gastaldelli A, Miyazaki Y, Matsuda M, Mari A, Defronzo RA. (2005) Beta-cell function in subjects spanning the range from normal glucose tolerance to overt diabetes: a new analysis. J Clin Endocrinol Metab 90:493–500.[Abstract/Free Full Text] 227. Yeckel CW, Taksali SE, Dziura J, Weiss R, Burgert TS, Sherwin RS, Tamborlane WV, Caprio S. (2005) The normal glucose tolerance continuum in obese youth: evidence for impairment in beta-cell function independent of insulin resistance. J Clin Endocrinol Metab 90:747–754 Epub November 2, 2004.[Abstract/Free Full Text] 228. Fukushima M, Suzuki H, Seino Y. (2004) Insulin secretion capacity in the development from normal glucose tolerance to type 2 diabetes. Diabetes Res Clin Pract 66:Suppl, S37–S43. 229. Yki-Jarvinen H. (1992) Glucose toxicity. Endocr Rev 13:415– 431.[CrossRef][ISI][Medline] 230. Boden G and Shulman GI. (2002) Free fatty acids in obesity and type 2 diabetes: defining their role in the development of insulin resistance and ß-cell dysfunction. Eur J Clin Invest 32:14–23. 231. Paolisso G, Tagliamonte MR, Rizzo MR, Gualdiero P, Saccomanno F, Gambardella A, Giugliano D, D'Onofrio F, Howard BV. (1998) Lowering fatty acids potentiates acute insulin response in first degree relatives of people with type II diabetes. Diabetologia 41:1127– 1132.[CrossRef][ISI][Medline] 232. Wallander M, Bartnik M, Efendic S, Hamsten A, Malmberg K, Öhrvik J, Rydén L, Silveira A, Norhammar A. (2005) Beta cell dysfunction in patients with acute myocardial infarction but without previously known type 2 diabetes: a report from the GAMI study. Diabetologia 48:2229–2235.[CrossRef][ISI][Medline] 233. Ting HH, Timimi FK, Boles KS, et al. (1996) Vitamin C improves endotheliumdependent vasodilation in patients with non-insulin-dependent diabetes mellitus. J Clin Invest 97:22–28.[Abstract/Free Full Text] 234. Lonn E, Yusuf S, Hoogwerf B, et al. (2002) Effects of vitamin E on cardiovascular and microvascular outcomes in high-risk patients with diabetes: results of the HOPE study and MICRO-HOPE substudy. Diabetes Care 25:1919–1927.[Abstract/Free Full Text] 235. MRC/BHF Heart Protection Study of cholesterol lowering with simvastatin in 20.536 high-risk individuals: a randomized placebo-controlled trial. Lancet (2002) 360:7– 22.[CrossRef][ISI][Medline] 86 236. Kelley DE and Simoneau JA. (1994) Impaired free fatty acid utilization by skeletal muscle in non-insulin-dependent diabetes mellitus. J Clin Invest 94:253–259. 237. Sniderman AD, Scantlebury T, Cianflone K. (2001) Hypertriglyceridemic hyperapob: the unappreciated atherogenic dyslipoproteinemia in type 2 diabetes mellitus. Ann Intern Med 135:447–459.[Abstract/Free Full Text] 238. Gowri MS, Van der Westhuyzen DR, Bridges SR, et al. (1999) Decreased protection by HDL from poorly controlled type 2 diabetic subjects against LDL oxidation may be due to abnormal composition of HDL. Arterioscler Thromb Vasc Biol 19:2226– 2233.[Abstract/Free Full Text] 239. Sniderman A, Thomas D, Marpole D, et al. (1978) Low density lipoprotein: a metabolic pathway for return of cholesterol to the splanchnic bed. J Clin Invest 61:867– 873.[ISI][Medline] 240. Tsai EC, Hirsch IB, Brunzell JD, et al. (1994) Reduced plasma peroxyl radical trapping capacity and increased susceptibility of LDL to oxidation in poorly controlled IDDM. Diabetes 43:1010–1014.[Abstract] 241. Vinik AI, Erbas T, Park TS, et al. (2001) Platelet dysfunction in type 2 diabetes. Diabetes Care 24:1476–1485.[Abstract/Free Full Text] 242. Assert R, Scherk G, Bumbure A, et al. (2001) Regulation of protein kinase C by short term hyperglycaemia in human platelets in vivo and in vitro. Diabetologia 44:188– 195.[CrossRef][ISI][Medline] 243. Li Y, Woo V, Bose R. (2001) Platelet hyperactivity and abnormal Ca(2+) homeostasis in diabetes mellitus. Am J Physiol Heart Circ Physiol 280:H1480– H1489.[Abstract/Free Full Text] 244. Hafer-Macko CE, Ivey FM, Gyure KA, et al. (2002) Thrombomodulin deficiency in human diabetic nerve microvasculature. Diabetes 51:1957–1963.[Abstract/Free Full Text] 245. Ceriello A, Giacomello R, Stel G, et al. (1995) Hyperglycaemia-induced thrombin formation in diabetes: the possible role of oxidative stress. Diabetes 44:924–928.[Abstract] 246. Ceriello A, Giugliano D, Quatraro A, et al. (1990) Evidence for a hyperglycaemiadependent decrease of antithrombin III–thrombin complex formation in humans. Diabetologia 33:163–167.[CrossRef][ISI][Medline] 247. Kario K, Matsuo T, Kobayashi H, et al. (1995) Activation of tissue factor-induced coagulation and endothelial cell dysfunction in non-insulin-dependent diabetic patients with microalbuminuria. Arterioscler Thromb Vasc Biol 15:1114–1120.[Abstract/Free Full Text] 248. Pandolfi A, Cetrullo D, Polishuck R, et al. (2001) Plasilent myocardial ischeamiasilent myocardial ischeamianogen activator inhibitor type 1 is increased in the arterial wall of type II diabetic subjects. Arterioscler Thromb Vasc Biol 21:1378–1382.[Abstract/Free Full Text] 87 249. Taegtmeyer H. (2004) Cardiac metabolism as a target for the treatment of heart failure. Circulation 110:894–896. 250. Rodrigues B, Camm MC, Mcneill GH. (1998) Metabolic disturbances in diabetic cardiomyopathy. Mol Cell Biochem 180:53–57.[CrossRef][ISI][Medline] 251. Murray AG, Anderson RE, Watson GC, Radda GK, Clarke K. (2004) Uncoupling proteins in human heart. Lancet 364:1786–1788.[CrossRef][ISI][Medline] 252. Swan GW, Anker SD, Walton C, Godslend EF, Clark AL, Leyva F, et al. (1997) Insulin resistance in chronic failure: relation to severity and etiology of heart failure. J Am Coll Cardiol 30:527–532.[Abstract] 253. Pogatsa G. (2001) Metabolic energy metabolism in diabetes: therapeutic implications. Coron Artery Dis 12:Suppl. 1, S29–S33. 254. Yokoyama I, Monomura S, Ohtake T, Yonekura K, Nishikawa J, Sasaki Y, et al. (1997) Reduced myocardial flow reserve in non-insulin-dependent diabetes mellitus. J Am Coll Cardiol 30:1472–1477.[Abstract] 255. Woodfield SL, Lundergan CF, Reiner JS, Greenhouse JS, Thompson MA, Rohrbeck SC, et al. (1996) Angiographic findings and outcome in diabetic patients treated with thrombolytic therapy for acute myocardial infarction: the GUSTO-I experience. J Am Coll Cardiol 28:1661–1669.[Abstract] 256. Ziegler D, Gries FA, Spuler M, et al. (1992) Diabetic cardiovascular autonomic neuropathy multicenter study group: the epidemiology of diabetic neuropathy. J Diabetes Complications 6:49–57.[Medline] 257. O'Brien IA, O'Hara JP, Lewin IG, et al. (1986) The prevalence of autonomic neuropathy in insulin-dependent diabetes: a controlled study based on heart rate variability. Q J Med 61:957–967.[ISI][Medline] 258. A desktop to type 2 diabetes mellitus. (1999) European Diabetes Policy Group 1999. Diabetic Med 1999 16:716–730.[CrossRef][ISI][Medline] 259. Vinik AI and Erbas T.Neuropathy. In. (2002) In Ruderman N, Devlin JT, Schneider SH, Kriska A (Eds.). Handbook of Exercise in Diabetes(American Diabetes Association, Alexandria, VA) pp. p463–496. 260. Hilsted J, Parving HH, Christensen NJ, et al. (1981) Hemodynamics in diabetic orthostatic hypotension. J Clin Invest 68:1427–1434.[ISI][Medline] 261. Burgos LG, Ebert TJ, Asiddao C, et al. (1989) Increased intraoperative cardiovascular morbidity in diabetics with autonomic neuropathy. Anesthesiology 70:591– 597.[CrossRef][ISI][Medline] 262. Gerritsen J, Dekker JM, TenVoorde BJ, et al. (2001) Impaired autonomic function is associated with increased mortality, especially in subjects with diabetes, hypertension, or a 88 history of cardiovascular disease. The Hoorn Study. Diabetes Care 24:1793– 1798.[Abstract/Free Full Text] 263. Wackers FJT, Joung LH, Inzucchi SE, et al. (2004) Detection of silent myocardial ischaemia in asymptomatic diabetic subjects. The DIAD study. Diabetes Care 27:1954– 1961.[Abstract/Free Full Text] 264. Janand-Delenne B, Savin B, Habib G, et al. (1999) Silent myocardial ischaemia in patients with diabetes. Who to screen. Diabetes Care 22:1396–1400.[Abstract/Free Full Text] 265. Vinik AL and Erbas T. (2001) Recognizing and treating diabetic autonomic neuropathy. Cleve Clin J Med 68:928–944.[ISI][Medline] 266. Kahn R, Buse J, Ferrannini E, Stern M. (2005) The metabolic syndrome: time for a critical appraisal. Joint statement from the American Diabetes Association and the European Association for the Study of Diabetes. Diabetes Care 28:2289–2304.[Abstract/Free Full Text] 267. Gale EAM. (2005) Editorial: the myth of the metabolic syndrome. Diabetologia 10:1873–1875. 268. The DREAM Trial Investigators. (2005) Effect of ramipril on the incidence of diabetes. N Engl J Med 355:1551–1562. 269. Grundy SM, Brewer HB Jr, Cleeman JI, et al. (2004) Definition of metabolic syndrome report of the National Heart, Lung, and Blood Institute/American Heart Association Conference on scientific issues related to definition. Circulation 109:433–438. 270. Park YW, Zhu S, Palaniappan L, Heshka S, Carnethon MR, Heymsfield SB. (2003) The metabolic syndrome: prevalence and associated risk factor findings in the US population from the Third National Health and Nutrition Examination Survey, 1988–1994. Arch Intern Med 163:427–436.[Abstract/Free Full Text] 271. Kereiakes DJ and Willerson JT. (2003) Metabolic syndrome epidemic. Circulation 108:1552. 272. Ferrannini E, Haffner SM, Mitchell BD, et al. (1991) Hyperinsulinaemia: the key feature of a cardiovascular and metabolic syndrome. Diabetologia 34:416– 422.[CrossRef][ISI][Medline] 273. Hanley AJ, Williams K, Stern MP, et al. (2002) Homeostasis model assessment of insulin resistance in relation to the incidence of cardiovascular disease: the San Antonio Heart Study. Diabetes Care 25:1177–1184.[Abstract/Free Full Text] 274. Bogardus C, Lillioja S, Mott DM, et al. (1985) Relationship between degree of obesity and in vivo insulin action in man. Am J Physiol 248:e286–e291. 275. Ginsberg HN and Huang LS. (2000) The insulin resistance syndrome: impact on lipoprotein metabolism and atherothrombosis. J Cardiovasc Risk 7:325–331.[ISI][Medline] 89 276. Brunzell JD and Hokanson JE. (1999) Dyslipidemia of central obesity and insulin resistance. Diabetes Care 22:Suppl. 3, C10–C13. 277. Khovidhunkit W, Memon RA, Feingold KR, et al. (2000) Infection and inflammationinduced proatherogenic changes of lipoproteins. J Infect Dis 181:Suppl. 3, S462–S472. 278. Jin W, Marchadier D, Rader DJ. (2002) Lipases and HDL metabolism. Trends Endocrinol Metab 13:174–178.[CrossRef][ISI][Medline] 279. Rocchini AP, Key J, Bondie D, et al. (1989) The effect of weight loss on the sensitivity of blood pressure to sodium in obese adolescents. N Engl J Med 321:580–585.[Abstract] 280. Landsberg L. (2001) Insulin-mediated sympathetic stimulation: role in the pathogenesis of obesity-related hypertension (or, how insulin affects blood pressure, and why). J Hypertens 19:523–528.[CrossRef][ISI][Medline] 281. Festa A, D'Agostino R Jr, Howard G, et al. (2000) Chronic subclinical inflammation as part of the insulin resistance syndrome: the Insulin Resistance Atherosclerosis Study (IRAS). Circulation 102:42–47. 282. Schmidt MI, Duncan BB, Sharrett AR, et al. (1999) Markers of inflammation and prediction of diabetes mellitus in adults (Atherosclerosis Risk in Communities Study): a cohort study. Lancet 353:1649–1652.[CrossRef][ISI][Medline] 283. Pradhan AD, Manson JE, Rifai N, et al. (2001) C-reactive protein, interleukin 6, and risk of developing type 2 diabetes mellitus. JAMA 286:327–334.[Abstract/Free Full Text] 284. Ridker PM, Buring JE, Cook NR, et al. (2003) C-reactive protein, the metabolic syndrome, and risk of incident cardiovascular events: an 8-year follow-up of 14 719 initially healthy American women. Circulation 107:391–397. 285. Festa A, D'Agostino R Jr, Tracy RP, et al. (2002) Elevated levels of acute-phase proteins and plasilent myocardial ischeamiasilent myocardial ischeamianogen activator inhibitor-1 predict the development of type 2 diabetes: the Insulin Resistance Atherosclerosis Study. Diabetes 51:1131–1137.[Abstract/Free Full Text] 286. The Diabetes Control and Complications Trial Research Group. (1993) The effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med 329:977–986.[Abstract/Free Full Text] 287. The Diabetes Control and Complications Trial Research Group. (1996) The absence of a glycaemic threshold for the development of long-term complications: the perspective of the Diabetes Control and Complication Trial. Diabetes 45:1289–1298.[Abstract] 288. Laakso M and Kuusisto J. (1996) Epidemiological evidence for the association of hyperglycaemia and atherosclerotic vascular disease in non-insulin-dependent diabetes mellitus. Ann Med 28:415–418.[ISI][Medline] 90 289. Standl E, Balletshofer B, Dahl B, et al. (1996) Predictors of 10 year macrovascular and overall mortality in patients with NIDDM: the Munich General Practitioner Project. Diabetologia 39:1540–1545.[CrossRef][ISI][Medline] 290. Selvin E, Marinopoulos S, Berkenblit G, et al. (2004) Meta-analysis: glycosylated hemoglobin and cardiovascular disease in diabetes mellitus. Ann Intern Med 141:421– 431.[Abstract/Free Full Text] 291. UK Prospective Diabetes Study Group (UKPDS). (1998) Effect of intensive bloodglucose control with metformin on complications in overweight patients with type 2 diabetes (UKPDS 34). Lancet 352:854–865.[CrossRef][ISI][Medline] 292. Nathan DM, Meigs J, Singer DE. (1997) The epidemiology of cardiovascular disease in type 2 diabetes mellitus: how sweet it is or is it? Lancet 350:Suppl. 1, SI 4–9. 293. Standl E and Schnell O. (2000) A new look at the heart in diabetes mellitus: from ailing to failing. Diabetologia 43:1455–1469.[CrossRef][ISI][Medline] 294. Haffner SM, Lehto S, Ronnemaa T, et al. (1998) Mortality from coronary heart disease in subjects with type 2 diabetes and in non-diabetic subjects with and without prior myocardial infarction. N Engl J Med 339:229–234.[Abstract/Free Full Text] 295. Stratton I, Adler Al, Neil HA, et al. (2000) Association of glycaemia with macrovascular and microvascular complications of type 2 diabetes (UKPDS 35): prospective observational study. BMJ 321:405–412.[Abstract/Free Full Text] 296. Hu FB, Stampfer MJ, Haffner SM, et al. (2002) Elevated risk of cardiovascular disease prior to clinical diagnoses of type 2 diabetes. Diabetes Care 25:1129– 1134.[Abstract/Free Full Text] 297. Khaw KT, Wareham N, Bingham S, et al. (2004) Association of hemoglobin A 1c with cardiovascular disease and mortality in adults: the European prospective investigation into Cancer in Norfolk. Ann Intern Med 141:413–420.[Abstract/Free Full Text] 298. Alberti KGMM, Balkau B, Standl E, et al. (2005) Type 2 diabetes and the metabolic syndrome in Europe. Eur Heart J 7:Suppl. D, D1–D26. 299. Alberti KGMM. (2005) IDF Consensus on the Metabolic Syndrome: Definition and Treatment. http://www.idf.org/webcast. 300. Bonora E, Targher G, Formentini F, et al. (2002) The metabolic syndrome is an independent predictor of cardiovascular disease in Type 2 diabetic subjects. Prospective data from the Verona diabetes complications study. Diabetic Med 21:52–58. 301. Pastors JG, Warshaw H, Daly H, et al. (2002) The evidence for the effectiveness of medical nutrition therapy in diabetes management. Diabetes Care 25:608–613.[Free Full Text] 302. Sigal RJ, Kenny GP, Wasserman DH, et al. (2004) Physical activity/exercise and type 2 diabetes. Diabetes Care 27:2518–39.[Free Full Text] 91 303. UK Prospective Diabetes Study Group: Response of fasting plasma glucose to diet therapy in newly presenting type II diabetic patients (UKPDS 7) Metabolism. 39:905–912. 304. NICE. (2003) Technology Appraisal 60. Guidance on the use of patient-education models for diabetes. (National Institute for Clinical Excellence, London) www.nice.org.uk. 305. Gary TL, Genkinger JM, Gualler E, et al. (2003) Meta–analysis of randomized educational and behavorial interventions in type 2 diabetes. The Diabetes Educator 29:488– 501.[Abstract/Free Full Text] 306. Laaksonen DE, Lindstrom J, Lakka TA, et al. (2005) Physical activity in the prevention of type 2 diabetes: the Finnish diabetes prevention study. Diabetes 54:158– 165.[Abstract/Free Full Text] 307. Diabetes Prevention Research Group. (2005) Impact of intensive life style and metformin therapy on cardiovascular disease risk factors in the Diabetes Prevention Programme. Diabetes Care 28:888–894.[Abstract/Free Full Text] 308. Franz MJ, Bantle JP, Beebe CA, et al. (2002) Evidence based nutrition principles and recommendations for the treatment and prevention of diabetes and related complications. Diabetes Care 25:148–298.[Free Full Text] 309. Gaede P, Vedel P, Larsen N, et al. (2003) Multifactorial intervention and cardiovascular disease in patients with type 2 diabetes. N Engl J Med 348:383–393.[Abstract/Free Full Text] 310. Canadian Diabetes Association Clinical Practice Guidelines Expert Committee. (2003) Canadian Diabetes Association 2003 Clinical Practice Guidelines for the Prevention and Management of Diabetes in Canada. Can J Diabet 27:Suppl. 2, 1–140 http://www.diabetes.ca. 311. Sarol JN, Nicodemus NA, Tan KM, et al. (2005) Self-monitoring of blood glucose as part of a multi-component therapy among non-insulin requiring type 2 diabetes patients: a metaanalyses (1966–2004). Curr Med Res Opin 21:173–183.[CrossRef][ISI][Medline] 312. Welschen LMC, Bloemendal E, Nijpels G, et al. (2005) Self-monitoring of blood glucose in patients with type 2 diabetes who are not using insulin: a systematic review. Diabetes Care 28:1510–1517.[Free Full Text] 313. Monnier L and Lapinski H. (2003) Colette C Contributions of fasting:postprandial plasma glucose increments to the overall diurnal hyperglycemia of type 2 diabetic patients: variations with increasing levels of HbA(1c). Diabetes Care 26:881– 885.[Abstract/Free Full Text] 314. Rihl J, Biermann E, Standl E. (2002) Insulinresistenz and Typ 2-Diabetes: Die IRISStudie. Diabetes Stoffwechsel 11:150–158. 315. Okkubo Y, Kishikawa H, Araki E, et al. (1995) Intensive insulin therapy prevents the progression of diabetic microvascular complications in Japanese patients with non-insulindependent diabetes mellitus: a randomized prospective 6-year study. Diabet Res Clin Pract 28:103–117.[CrossRef][ISI][Medline] 92 316. The Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (DCCT/EDIC) Study Research Group. (2005) Intensive diabetes treatment and cardiovascular disease in patients with type 1 diabetes. N Engl J Med 353:2643– 2653.[Abstract/Free Full Text] 317. Temelkova-Kurktschiev TS, Koehler C, Henkel E, et al. (2000) Post-challenge plasma glucose and glycaemic spikes are more strongly associated with atherosclerosis than fasting glucose or HbA1c level. Diabetes Care 23:1830–1834.[Abstract/Free Full Text] 318. The DREAM Trial Investigators. (2006) Effect of rosiglitazone on the frequency of diabetes in patients with impaired glucose tolerance or impaired fasting glucose: a randomised controlled trial. Lancet 68:1096–1105. 319. Reference taken out at proof stage. 320. Dormandy JA, Charbonnel B, Eckland DJ, et al. (2005) Secondary prevention of macrovascular events in patients with type 2 diabetes in the PROactive Study (PROspective pioglitAzone Clinical Trial In macroVascular Events): a randomised controlled trial. Lancet 366:1279–1289.[CrossRef][ISI][Medline] 321. Fava S, Aquilina O, Azzopardi J, et al. (1996) The prognostic value of blood glucose in diabetic patients with acute myocardial infarction. Diabet Med 13:80– 83.[CrossRef][ISI][Medline] 322. Norhammar AM, Rydén L, Malmberg K. (1999) Admission plasma glucose, independent risk factor for long-term prognosis after myocardial infarction even in nondiabetic patients. Diabetes Care 22:1827–1831.[Abstract/Free Full Text] 323. Malmberg K, Norhammar A, Wedel H, et al. (1999) Glycometabolic state at admission: important risk marker of mortality in conventionally treated patients with diabetes mellitus and acute myocardial infarction: long-term results from the Diabetes and Insulin-Glucose Infusion in Acute Myocardial Infarction (DIGAMI) Study. Circulation 25:2626–2632. 324. Otter W, Kleybrink S, Doering W, et al. (2004) Hospital outcome of acute myocardial infarction in patients with and without diabetes mellitus. Diabet Med 21:183– 187.[CrossRef][ISI][Medline] 325. Malmberg K, Rydén L, Efendic S, et al. (1995) Randomized trial of insulin-glucose infusion followed by subcutaneous insulin treatment in diabetic patients with acute myocardial infarction (DIGAMI) study: effects on mortality at 1 year. Am Coll Cardiol 26:57–65.[Abstract] 326. Malmberg S, Rydèn L, Wedel H, et al. (2005) Intense metabolic control by means of insulin in patients with diabetes mellitus and acute myocardial infarction (DIGAMI 2): effects on mortality and morbidity. Eur Heart J 26:650–661.[Abstract/Free Full Text] 327. Schnell O, Doering W, Schäfer O, et al. (2004) Intensification of therapeutic approaches reduces mortality in diabetic patients with acute myocardial infarction. The Munich Registry. Diabetes Care 27:455–460.[Abstract/Free Full Text] 93 328. American Diabetes Association. (2005) Standards of medical care in diabetes. Diabetes Care 28:Suppl. 1, S4–S36.[Free Full Text] 329. Häring HU, Joost HG, Laube H, et al. (2003) Antihyperglykämische Therapie des Diabetes mellitus Typ 2. In Scherbaum WA and Landgraf R (Eds.). Diabetes und StoffwechselEvidenzbasierte Diabetes-Leitlinie DDG 12:Suppl. 2, http://www.deutschediabetes-gesellschaft.de (updated 2004). 330. Turner RC, Cull CA, Frighi V, et al. (1999) UKPDS 49. Glycaemic control with diet, sulphonylurea, metformin and insulin therapy in patients with type 2 diabetes: progressive requirement for multiple therapies. JAMA 281:2005–2012.[Abstract/Free Full Text] 331. Standl E and Füchtenbusch M. (2003) The role of oral antidiabetic agents: why and when to use an early-phase insulin secretion agent in Type 2 diabetes mellitus. Diabetologia 46:Suppl. 1, M30–M36. 332. Van de Laar FA, Lucassen PL, Akkermans RP, et al. (2005) Alpha-glucosidase inhibitors for patients with type 2 diabetes: results from a Cochrane systematic review and meta-analysis. Diabetes Care 28:154–163.[Abstract/Free Full Text] 333. Füchtenbusch M, Standl E, Schatz H. (2000) Clinical efficacy of new thiazolidindiones and glinides in the treatment of type 2 diabetes mellitus. Exp Clin Endocr Diab 108:151–163. 334. Yki-Järvinen H. (2000) Comparison of insulin regimes for patients with type 2 diabetes. Curr Opin Endoc Diabet 7:175–183. 335. Stamler J, Vaccaro O, Neaton JD, Wentworth D. for the Multiple Risk Factor Intervention Trial Research Group. (1993) Diabetes, other risk factors and 12 year cardiovascular mortality for men screened in the multiple risk factor intervention trial. Diabetes Care 16:434–444.[Abstract] 336. Turner RC, Millns H, Neil HAW, et al. for the United Kingdom Prospective Diabetes Study Group. (1998) Risk factors for coronary artery disease in non-insulin-dependent diabetes mellitus: United Kingdom prospective diabetes study (UKPDS:23). BMJ 316:823– 828.[Abstract/Free Full Text] 337. Howard BV, Robbins DC, Sievers ML, et al. (2000) LDL cholesterol as a strong risk predictor of coronary heart disease in diabetic individuals with insulin resistance and low LDL. The Strong Heart Study. Arterioscler Thromb Vasc Biol 20:830–835.[Abstract/Free Full Text] 338. Austin MA, Hokanson JE, Edwards KL. (1996) Plasma triglyceride is a risk factor for cardiovascular disease independent of high-density lipoprotein cholesterol level: a metaanalysis of population-based prospective studies. J Cardiovasc Risk 3:213–219.[Medline] 339. Lehto S, Ronnemaa T, Haffner SM, et al. (1997) Dyslipidaemia and hypertriglyceridaemia predict coronary heart disease events in middle-aged patients with NIDDM Diabetolo. Diabetes 46:1354–1359.[Abstract] 94 340. Lehto S, Ronnemaa T, Pyorala K, et al. (2000) Cardiovascular risk factors clustering with endogenous hyperinsulinaemia predict death from coronary heart disease in patients with type 2 diabetes. Diabetologia 43:148–155.[CrossRef][ISI][Medline] 341. Scandinavian Simvastatin Survival Study Group (4S). (1994) Randomized trial of cholesterol-lowering in 4444 patients with coronary heart disease: the Scandinavian Simvastatin Survival Study. Lancet 344:1383–1389.[CrossRef][ISI][Medline] 342. Pyorala K, Pedersen TR, Kjekshus J, et al. (1997) Cholesterol lowering with simvastatin improves prognosis of diabetic patients with coronary heart disease. A subgroup analysis of the Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S). Diabetes Care 20:614–620.[Abstract] 343. Haffner SM, Alexander CM, Cook TJ, et al. (1999) Reduced coronary events in simvastatin-treated patients with coronary heart disease and diabetes or impaired fasting glucose levels. Subgroup analysis in the Scandinavian Simvastatin Survival Study. Arch Int Med 159:2661–2667.[Abstract/Free Full Text] 344. Heart Protection Study Collaboration Group. (2003) MRC/BHF Heart Protection Study of cholesterol-lowering in 5963 people with diabetes: a randomized placebo-controlled trial. Lancet 361:2005–2016.[CrossRef][ISI][Medline] 345. Cannon CP, Braunwald E, McCabe CH, et al. for the Pravastatin or Atorvastatin Evaluation and Infection Therapy-Thrombolysis in Myocardial Infarction 22 Investigators. (2004) Intensive versus moderate lipid-lowering with statins after acute coronary syndromes. N Engl J Med 350:1495–1504.[Abstract/Free Full Text] 346. LaRosa JC, Grundy SM, Waters DD, et al. for the Treating to New Targets (TNT) Investigators. (2005) Intensive lipid lowering with atorvastatin in patients with stable coronary disease. N Engl J Med 352:1424–1435.[CrossRef] 347. De Backer G, Ambrosioni E, Borch-Johnsen K, et al. (2003) European guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice. Third Joint Task Force of European and other societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical practice. Executive Summary. Eur Heart J 24:1601–1610.[Free Full Text] 348. Grundy SM, Cleeman JI, Merz CNB, et al. for the Coordinating Committee of the National Cholesterol Education Programme. (2004) Implications of recent clinical trials for the National Cholesterol Education Programme Adult Treatment Panel III Guidelines. Circulation 110:227–239. 349. Sever PS, Dahlof B, Poulter NR, et al. for the ASCOT Investigators. (2003) Prevention of coronary and stroke events with atorvastatin in hypertensive patients who have average or lower-than-average cholesterol concentrations, in the Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid Lowering Arm (ASCOT-LLA): a multicentre randomized controlled trial. Lancet 361:1149–1158.[CrossRef][ISI][Medline] 350. Colhoun HM, Betteridge DJ, Durrington PN, et al. (2004) Primary prevention of cardiovascular disease with atorvastatin in type 2 diabetes in the Collaborative Atorvastatin 95 Diabetes Study (CARDS): multicentre randomized placebo-controlled trial. Lancet 364:685– 696.[CrossRef][ISI][Medline] 351. Kharlip J, Naglieri R, Mitchell BD, Ryan KA, Donner TW. (2006) Screening for silent coronary heart disease in type 2 diabetes: clinical application of American Diabetes Association guidelines. Diabetes Care 29:692–694.[Free Full Text] 352. Koskinen P, Mantarri M, Manninen V, et al. (1992) Coronary heart disease incidence in NIDDM patients in the Helsinki Heart Study. Diabetes Care 15:820–825.[Abstract] 353. Rubins HB, Robins SJ, Collins D, et al. (1999) Gemfibrozil for the secondary prevention of coronary heart disease in men with low levels of high density lipoprotein cholesterol. N Engl J Med 241:410–418. 354. Rubins HB, Robins SJ, Collins D, et al. (2002) Diabetes, plasma insulin and cardiovascular disease. Subgroup analysis from the Department of Veterans Affairs High Density Lipoprotein Intervention Trial (VA-HIT). Arch Intern Med 162:2597– 2604.[Abstract/Free Full Text] 355. FIELD Study Investigators. (2005) Effects of long-term fenofibrate therapy on cardiovascular events in 9795 people with type 2 diabetes mellitus (the FIELD study): randomized controlled trial. Lancet 366:1849–1861.[CrossRef][ISI][Medline] 356. Salomaa VV, Strandberg TE, Vanhanen H, Naukkarinen V, Sarna S, Miettinen TA. (1991) Glucose tolerance and blood pressure: long term follow up in middle aged men. BMJ 302:493–496.[ISI][Medline] 357. Teuscher A, Egger M, Herman JB. (1989) Diabetes and hypertension. Blood pressure in clinical diabetic patients and a control population. Arch Intern Med 149:1942–1945.[Abstract] 358. Baba T, Neugebauer S, Watanabe T. (1997) Diabetic nephropathy. Its relationship to hypertension and means of pharmacological intervention. Drugs 54:197–234.[ISI][Medline] 359. Stamler J, Vaccaro O, Neaton JD, Wentworth D. (1993) Diabetes, other risk factors, and 12-yr cardiovascular mortality for men screened in the Multiple Risk Factor Intervention Trial. Diabetes Care 16:434–444.[Abstract] 360. Brancati FL, Whelton PK, Randall BL, Neaton JD, Stamler J, Klag MJ. (1997) Risk of end-stage renal disease in diabetes mellitus: a prospective cohort study of men screened for MRFIT: Multiple Risk Factor Intervention Trial. JAMA 278:2069–2074.[Abstract] 361. Assman G, Cullen P, Schulte H. (2002) Simple scoring scheme for calculating the risk of acute coronary events based on the 10-year follow-up of the prospective cardiovascular Munster (PROCAM) study. Circulation 105:310–315. 362. Shehadeh A and Regan TJ. (1995) Cardiac consequences of diabetes mellitus. Clin Cardiol 18:301–305.[ISI][Medline] 96 363. Leese GP and Vora JP. (1996) The management of hypertension in diabetes: with special reference to diabetic kidney disease. Diabet Med 13:401–410.[CrossRef][ISI][Medline] 364. UK Prospective Diabetes Study Group. (1998) Tight blood pressure control and risk of macrovascular and microvascular complications in type 2 diabetes: UKPDS 38. BMJ 317:703– 713.[Abstract/Free Full Text] 365. Hansson L, Zanchetti A, Carruthers SG, et al. (1998) Effects of intensive blood pressure lowering and low-dose aspirin in patients with hypertension: principal results of the Hypertension Optimal Treatment (HOT) trial. Lancet 351:1755–1762.[CrossRef][ISI][Medline] 366. Nilsson PM, Gudbjörnsdottir S, Eliasson B, et al. for the Steering Committee of the National Diabetes Register in Sweden. (2003) Hypertension in diabetes: trends in clinical control in repeated national surveys from Sweden 1996–99. J Hum Hypertens 17:37– 44.[CrossRef][ISI][Medline] 367. Anselmino M, Bartnik M, Malmberg K, et al. on behalf of the Euro Heart Survey Investigators. (2007) Management of coronary artery disease in patients with and without diabetes mellitus. Acute management reasonable but secondary prevention unacceptably poor: a report from the Euro Heart Survey on diabetes and the heart. Eur J Cardiovasc Prev Rehab February in press. doi 10.1097/01.hjr.0000199496.23838.83. 368. Curb D, Pressel SL, Cutler JA, et al. (1996) Effect of diuretic-based antihypertensive treatment on cardiovascular disease risk in older diabetic patients with isolated systolic hypertension. JAMA 276:1886–1892.[Abstract] 369. Lievre M, Gueyffier F, Ekbom T, et al. INDANA Steering Committee. (2000) Efficacy of diuretics and -blockers in diabetic hypertensive patients: results from a meta-analysis. Diabetes Care 23:Suppl. 2, B65–B71. 370. Tuomilehto J, Rastenyte D, Birkenhager WH, et al. Systolic Hypertension in Europe Trial Investigators. (1999) Effects of calcium-channel blockade in older patients with diabetes and systolic hypertension. N Engl J Med 340:677–684.[Abstract/Free Full Text] 371. Wang JG, Staessen JA, Gong L, et al. Systolic Hypertension in China (Syst-China) Collaborative Group. (2000) Chinese trial on isolated systolic hypertension in the elderly. Arch Intern Med 160:211–220.[Abstract/Free Full Text] 372. Yusuf S, Sleight P, Pogue J, et al. Heart Outcomes Prevention Evaluation Study Investigators. (2000) Effects of an angiotensin-converting-enzyme inhibitor, ramipril, on cardiovascular events in high-risk patients. N Engl J Med 342:145– 153.[Abstract/Free Full Text] 373. Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) Study Investigators. (2000) Effects of ramipril on cardiovascular and microvascular outcomes in people with diabetes mellitus: results of the HOPE study and MICRO-HOPE substudy. Lancet 355:253– 259.[CrossRef][ISI][Medline] 97 374. Estacio RO, Jeffers BW, Hiatt WR, Biggerstaff SL, Gifford N, Schrier RW. (1998) The effect of nisoldipine as compared with enalapril on cardiovascular outcomes in patients with non-insulin-dependent diabetes and hypertension. N Engl J Med 338:645– 652.[Abstract/Free Full Text] 375. Tatti P, Pahor M, Byington RP, et al. (1998) Outcome results of the Fosinopril versus Amlodipine Cardiovascular Events Randomized Trial (FACET) in patients with hypertension and NIDDM. Diabetes Care 21:597–603.[Abstract] 376. Niskanen L, Hedner T, Hansson L, et al. (2001) Reduced cardiovascular morbidity and mortality in hypertensive diabetic patients on first-line therapy with an ACE inhibitor compared with a diuretic/beta-blocker-based treatment regimen: a subanalysis of the Captopril Prevention Project. Diabetes Care 24:2091–2096.[Abstract/Free Full Text] 377. Ruggenenti P, Fassi A, Ilieva AP, et al. Brusegan Bergamo Nephrologic Diabetes Complications Trial (BENEDICT) Investigators. (2004) Preventing microalbuminuria in type 2 diabetes. N Engl J Med 351:1941–1951.[Abstract/Free Full Text] 378. Lindholm LH, Ibsen H, Dahlöf B, et al. (2002) Cardiovascular morbidity and mortality in patients with diabetes in the Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study (LIFE): a randomized trial against atenolol. Lancet 359:1004– 1010.[CrossRef][ISI][Medline] 379. Hansson L, Lindholm LH, Niskanen L, et al. (1999) Effect of angiotensin-convertingenzyme inhibition compared with conventional therapy on cardiovascular morbidity and mortality in hypertension: the Captopril Prevention Project (CAPPP) randomized trial. Lancet 353:611–616.[CrossRef][ISI][Medline] 380. The ALLHAT Officers and Coordinators for the ALLHAT Collaborative Research Group. (2002) Major outcomes in high-risk hypertensive patients randomized to angiotensinconverting enzyme inhibitor or calcium channel blocker vs. diuretic. The Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). JAMA 288:2981– 2997.[Abstract/Free Full Text] 381. Whelton PK, Barzilay J, Cushman WC, et al. (2005) Clinical outcomes in antihypertensive treatment of type 2 diabetes, impaired fasting glucose concentration and normoglycaemia: Anti-Hypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT). Arch Intern Med 165:1401–1409.[Abstract/Free Full Text] 382. Guidelines Committee. (2003) 2003 European Society of Hypertension—European Society of Cardiology guidelines for the management of arterial hypertension. J Hypertens 21:1011–1053.[CrossRef][ISI][Medline] 383. The Hypertension Detection and Follow-up Programme Cooperative Research Group. (1985) Mortality findings for stepped-care and referred-care participants in the hypertension detection and follow-up programme, stratified by other risk factors. Prev Med 14:312– 335.[CrossRef][ISI][Medline] 98 384. Lindholm LH, Hansson L, Ekbom T, et al. (2000) Comparison of antihypertensive treatments in preventing cardiovascular events in elderly diabetic patients: results from the Swedish Trial in Old Patients with Hypertension-2. STOP Hypertension-2 Study Group. J Hypertens 18:1671–1675.[CrossRef][ISI][Medline] 385. Hansson L, Hedner T, Lund-Johanson P, et al. (2000) Randomized trial of effects of calcium-antagonists compared with diuretics and (blockers on cardiovascular morbidity and mortality in hypertension: The Nordic Diltiazem (NORDIL) Study. Lancet 356:359– 365.[CrossRef][ISI][Medline] 386. Mancia G, Brown M, Castaigne A, et al. (2003) Outcomes with nifedipine GITS or CoAmizolide in hypertensive diabetics and nondiabetics in intervention as a goal in hypertension (INSIGHT). Hypertension 41:431–436.[Abstract/Free Full Text] 387. Dahlöf B, Sever P, Poulter N, et al. (2005) The enhanced prevention of cardiovascular events with an amlodipine-based regimen compared with an atenolol-based regimen. The Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial—Blood Pressure Lowering Arm (ASCOT— BPLA): a multicentre randomized controlled trial. Lancet 366:895– 906.[CrossRef][ISI][Medline] 388. Norhammar A, Malmberg K, Ryden L, et al. Register of Information and Knowledge about Swedish Heart Intensive Care Admission (RIKS-HIA). (2003) Under utilisation of evidence-based treatment partially explains for the unfavourable prognosis in diabetic patients with acute myocardial infarction. Eur Heart J 24:838–844.[Abstract/Free Full Text] 389. Franklin K, Goldberg RJ, Spencer F, Klein W, Budaj A, Brieger D, Marre M, Steg PG, Gowda N, Gore JM, et al. GRACE Investigators. (2004) Implications of diabetes in patients with acute coronary syndromes. The Global Registry of Acute Coronary Events. Arch Intern Med 164:1457–1463.[Abstract/Free Full Text] 390. Hasdai D, Behar S, Wallentin L, Danchin N, Gitt AK, Boersma E, Fioretti PM, Simoons ML, Battler A, et al. (2002) A prospective survey on the characteristic, treatments and outcomes of patients with acute coronary syndromes in Europe and Mediterranean basin. The Euro Heart Survey of Acute Coronary Syndromes. Eur Heart J 23:1190–1201.[Abstract/Free Full Text] 391. Malmberg K, Yusuf S, Gerstein HC, Brown J, Zhao F, Hunt D, Piegas L, Calvin J, Keltai M, Budaj A, et al. (2000) Impact of diabetes on long-term prognosis in patients with unstable angina and non-Q-wave myocardial infarction: results of the OASIS (Organization to Assess Strategies for Ischemic Syndromes) Registry. Circulation 102:1014–1019. 392. Norhammar A, Tenerz A, Nilsson G, Hamsten A, Efendic S, Rydén L, Malmberg K, et al. (2002) Glucose metabolism in patients with acute myocardial infarction and no previous diagnosis of diabetes mellitus: a prospective study. Lancet 359:2140– 2144.[CrossRef][ISI][Medline] 393. Bartnik M, Malmberg K, Hamsten A, Efendic S, Norhammar A, Silveira A, Tenerz A, Ohrvik J, Rydén L, et al. (2004) Abnormal glucose tolerance—a common risk factor in patients 99 with acute myocardial infarction in comparison with population-based controls. J Intern Med 256:288–297.[CrossRef][ISI][Medline] 394. Pyörälä K, Lehto S, De Bacquer D, et al. on behalf of the EUROASPIRE I and II Group. (2004) Risk factor management in diabetic and non-diabetic coronary heart disease patients. Findings from heart disease patients from EUROASPIRE I and II surveys. Diabetologia 47:1257–1265.[ISI][Medline] 395. Bartnik M, Rydén L, Ferrari R, Malmberg K, Pyörälä K, Simoons ML, Standl E, SolerSoler J, Öhrvik J, et al. on behalf of the Euro Heart Survey Investigators. (2004) The prevalence of abnormal glucose regulation in patients with coronary artery disease across Europe. Eur Heart J 25:1880–1890.[Abstract/Free Full Text] 396. Bartnik M. (2005) Studies on prevalence, recognition and prognostic implications. Glucose regulation and coronary artery disease(Karolinska Institutet, Stockholm) (ISBN:917140-401-5). 397. Löwel H, Koenig W, Engel S, Hörmann A, Keil U, et al. (2000) The impact of diabetes mellitus on survival after myocardial infarction: can it be modified by drug treatment? Results of a population-based myocardial infarction register follow-up study. Diabetologia 43:218– 226.[CrossRef][ISI][Medline] 398. van Domburg RT, van Miltenburg-van Zijl AJ, Veerhoek RJ, Simoons ML, et al. (1998) Unstable angina: good long-term outcome after a complicated early course. J Am Coll Cardiol 31:1534–1539.[Abstract/Free Full Text] 399. Mukamal KJ, Nesto RW, Cohen MC, Nuller JE, Maclure M, Sherwood JB, Mittleman MA, et al. (2001) Impact of diabetes on long-term survival after acute myocardial infarction. Comparability of risk with prior myocardial infarction. Diabetes Care 24:1422– 1427.[Abstract/Free Full Text] 400. Timmer JR, van der Horst IC, de Luca G, Ottervanger JP, Hoorntje JC, de Boer MJ, Suryapranata H, Dambrink JH, Gosselink M, Zijlstra F, van 't Hof AW, et al. Zwolle Myocardial Infarction Study Group. (2005) Comparison of myocardial perfusion after successful primary percutaneous coronary intervention in patients with ST-elevation myocardial infarction with versus without diabetes mellitus. Am J Cardiol 95:1375– 1377.[CrossRef][ISI][Medline] 401. Svensson AM, Abrahamsson P, McGuire DK, Dellborg M. (2004) Influence of diabetes on long-term outcome among unselected patients with acute coronary events. Scand Cardiovasc J 38:229–234.[CrossRef][ISI][Medline] 402. Mak KH, Moliterno DJ, Granger CB, Miller DP, White HD, Wilcox RG, Califf RM, Topol EJ. for the GUSTO-I Investigators. (1997) Influence of diabetes mellitus on clinical outcome in the thrombolytic era of acute myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 30:171– 179.[Abstract] 100 403. McGuire DK, Emanuelsson H, Granger CB, Magnus Ohman E, Moliterno DJ, White HD, Ardissino D, Box JW, Califf RM, Topol EJ. (2000) Influence of diabetes mellitus on clinical outcomes across the spectrum of acute coronary syndromes. Findings from the GUSTO-IIb Study. GUSTO IIb Investigators. Eur Heart J 21:1750– 1758.[Abstract/Free Full Text] 404. Gitt AK, Schiele R, Wienbergen H, Zeymer U, Schneider S, Gottwik MG, Senges J. MITRA Study. (2003) Intensive treatment of coronary artery disease in diabetic patients in clinical practice: results of the MITRA study. Acta Diabetol 40:Suppl. 2, S343–S347. 405. Norhammar A, Malmberg K, Diderholm E, Lagerqvist B, Lindahl B, Ryden L, Wallentin L. (2004) Diabetes mellitus: the major risk factor in unstable coronary artery disease even after consideration of the extent of coronary artery disease and benefits of revascularization. J Am Coll Cardiol 43:585–591.[Abstract/Free Full Text] 406. Aguilar D, Solomon SD, Kober L, Rouleau JL, Skali H, McMurray JJ, Francis GS, Henis M, O'Connor CM, Diaz R, Belenkov YN, Varshavsky S, Leimberger JD, Velazquez EJ, Califf RM, Pfeffer MA. (2004) Newly diagnosed and previously known diabetes mellitus and 1-year outcomes of acute myocardial infarction: the VALsartan In Acute myocardial iNfarcTion (VALIANT) trial. Circulation 21:1572–1578. 407. Marchioli R, Avanzini F, Barzi F, Chieffo C, et al. on behalf of GISSI-Prevenzione Investigators. (2001) Assessment of absolute risk of death after myocardial infarction by use of multiple-risk-factor assessment equations. GISSI-Prevenzione mortality chart. Eur Heart J 22:2085–2103.[Abstract/Free Full Text] 408. Ceriello A and Motz E. (2004) Is oxidative stress the pathogenic mechanism underlying insulin resistance, diabetes, and cardiovascular disease? The common soil hypothesis revisited. Arterioscler Thromb Vasc Biol 24:816–823.[Abstract/Free Full Text] 409. Malmberg K. (1997) Prospective randomized study of intensive insulin treatment on long term survival after acute myocardial infarction in patients with diabetes mellitus. DIGAMI (Diabetes Mellitus, Insulin Glucose Infusion in Acute Myocardial Infarction) Study Group. BMJ 314:1512–1515.[Abstract/Free Full Text] 410. Fath-Ordoubadi F and Beatt KJ. (1997) Glucose-insulin-potassium therapy for treatment of acute myocardial infarction: an overview of randomized placebo-controlled trials. Circulation 96:1152–1156. 411. Diaz R, Paolasso EA, Piegas LS, et al. on behalf of the ECLA Collaborative Group. (1998) Metabolic modulation of acute myocardial infarction. The ECLA Glucose-InsulinPotassium Pilot Trial. Circulation 98:2227–2234. 412. Mehta SR, Eikelboom JW, Demers C, Maggioni AP, Commerford PJ, Yusuf S. (2005) Congestive heart failure complicating non-ST segment elevation acute coronary syndrome: incidence, predictors, and clinical outcomes. Can J Physiol Pharmacol 83:98– 103.[CrossRef][ISI][Medline] 101 413. O'Connor MC, Hathaway WR, Bates ER, Leimberger JD, Sigmon KN, Kereiakes DJ, George BS, Samaha JK, Abbottsmith CW, Candela RJ, Topol EJ, Califf RM. (1997) Clinical characteristics and long-term outcome of patients in whom congestive heart failure develops after thrombolytic therapy for acute myocardial infarction: development of a predictive model. Am Heart J 133:663–673.[CrossRef][ISI][Medline] 414. Lewis EF, Moye LA, Rouleau JL, Sacks FM, Arnold JM, Warnica JW, et al. (2004) Predictors of late development of heart failure in stable survivors of myocardial infarction. The CARE Study. J Am Coll Cardiol 42:1446–1453.[ISI] 415. Valeur N, Clemmensen P, Saunamaki K, Grande P. for the DANAMI-2 Investigators. (2005) The prognostic value of pre-discharge exercise testing after myocardial infarction treated with either primary PCI or fibrinolysis: a DANAMI-2 sub-study. Eur Heart J 26:119– 127.[Abstract/Free Full Text] 416. Campbell RWF, Wallentin L, Verheugt FWA, Turpie AGG, Maseri A, Klein W, Cleland JGF, Bode C, Becker R, Anderson J, Bertrand ME, Conti CR. (1998) Management strategies for a better outcome in unstable coronary artery disease. Clin Cardiol 21:314– 322.[ISI][Medline] 417. Van de Werf F, Ardissino D, Betriu A, Cokkinos DV, Falk E, Fox KAA, Julian D, Lengyel M, Neumann FJ, Ruzyllo W, Thygesen C, Underwood SR, Vahanian A, Verheugt FVA, Wijns W. Task Force of the ESC. (2003) Acute coronary syndromes acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation. Eur Heart J 24:28– 66.[Free Full Text] 418. Bertrand ME, Simoons ML, Fox KAA, Wallentin LC, Hamm CW, McFadden E, De Feyter PJ, Specchia G, Ruzyllo W. Task Force of the ESC. (2002) Acute coronary syndromes in patients presenting without persistent ST-segment elevation. Eur Heart J 23:1809– 1840.[Free Full Text] 419. De Backer G, Ambrosioni E, Borch-Johnsen K, Brotons C, Cifkova R, Dallongeville J, Ebrahim S, Faergeman O, Graham I, Mancia G, Cats VM, Orth-Gomér K, Perk J, Pyörälä K, Rodicio JL, Sans S, Sansoy V, Sechtem U, Silber S, Thomsen T, Wood D, et al. (2003) Third Joint Task Force of the European and other Societies. European Guidelines on Cardiovascular Disease Prevention. Eur J Cardiovasc Preven Rehab 10:Suppl. 1, S1–S78. 420. A desktop guide to Type 2 diabetes mellitus. (1999) European Diabetes Policy Group 1999. Diabet Med 16:716–730 http://www.staff.ncl.ac.uk/Philip.home/guidelines.[CrossRef][ISI][Medline] 421. International Diabetes Association 2005—Clinical Guidelines Task Force—Global Guidelines for type 2 Diabetes. http://www.idf.org/webdata/docs/IDF%20GGT2D.pdf. 422. Fibrinolytic Therapy Trialists (FFT) Collaborative Group. (1994) Indication for fibrinolytic therapy in suspected acute myocardial infarction: collaborative overview of early mortality and major morbidity results form all randomized trials of more than 1000 patients. Lancet 343:311–322.[CrossRef][ISI][Medline] 102 423. Mehta SR, Cannon CP, Fox KAA, Wallentin L, Boden WE, Spacek R, Widimsky P, McCullough PA, Braunwald E, Yusuf S. (2005) Routive vs selective invasive strategies in patients with acute coronary syndromes. JAMA 293:2908–2917.[Abstract/Free Full Text] 424. Stenestrand U and Wallentin L. (2002) Early revascularisation and 1-year survival in 14-day survivors of acute myocardial infarction: a prospective cohort study. Lancet 359:1805– 1811.[CrossRef][ISI][Medline] 425. Lagerqvist B, Husted S, Kontny F, Näslund U, Ståhle E, Swahn E, Wallentin L. the FRISC-II Investigators. (2002) A long-term perspective on the protective effects of an early invasive strategy in unstable coronary artery disease. JACC 40:1902– 1914.[Abstract/Free Full Text] 426. Freemantle N, Cleland J, Young P, et al. (1999) Beta blockade after myocardial infarction. Systematic review and meta regression analysis. BMJ 318:1730– 1737.[Abstract/Free Full Text] 427. Malmberg K, Herlitz J, Hjalmarson Å, Rydén L. (1989) Effects of metoprolol on mortality and late infarction in diabetics with suspected acute myocardial infraction. Retrospective data from two large scale studies. Eur Heart J 10:423– 428.[Abstract/Free Full Text] 428. Kjekshus J, Gilpin E, Blackey AR, Henning H, Ross J. (1990) Diabetic patients and beta-blockers after acute myocardial infarction. Eur Heart J 11:43–50.[Abstract/Free Full Text] 429. Jonas M, Reichel-Reiss H, Boyko V, Shotan A, et al. for the Bezafibrate Infarction Prevention (BIP) Study Group. (1996) Usefulness of beta-blocker therapy in patients with noninsulin-dependent diabetes mellitus and coronary artery disease. Am J Cardiol 77:1273– 1277.[CrossRef][ISI][Medline] 430. Malmberg K, Ryden L, Hamsten A, Herlitz J, Waldenstrom A, Wedel H. (1997) Mortality prediction in diabetic patients with myocardial infarction: experiences from the DIGAMI study. Cardiovasc Res 34:248–253.[CrossRef][ISI][Medline] 431. Gottlieb SS, McCarter RJ, Vogel RA. (1998) Effect of beta-blockade on mortality among high-risk and low-risk patients after myocardial infarction. N Engl J Med 339:489– 497.[Abstract/Free Full Text] 432. Haas SJ, Vos T, Gilbert RE, Krum H. (2003) Are ß-blockers as efficacious in patients with diabetes mellitus as in patients without diabetes mellitus who have chronic heart failure? A meta-analysis of large-scale clinical trials. Am Heart J 146:848–853.[CrossRef][ISI][Medline] 433. López-Sendón J, Swedberg K, McMurray J, Tamargo J, Maggioni AP, Dargie H, Tendera M, Waagstein F, Kjekshus J, Lechat P, Torp-Pedersen C. Task Force on Beta-Blockers of the ESC. (2004) Expert consensus document on beta-adrenergic receptor blockers. Eur Heart J 25:1341–1362.[Free Full Text] 103 434. Gheorghiade M and Goldsten S. (2002) ß-blockers in the post-myocardial infarction patient. Circulation 106:394–398. 435. Held PYS and Furberg CD. (1989) Calcium channel blockers in acute myocardial infarction and unstable angina: an overview. BMJ 299:1187–1892.[ISI][Medline] 436. Antithrombotic Trialists' Collaboration. (2002) Collaborative meta-analysis of randomized trials of antiplatelet therapy for prevention of death, myocardial infarction and stroke in high risk patients. BMJ 324:71–85.[Abstract/Free Full Text] 437. Yusuf S, Zhao F, Mehta SR, et al. The Clopidogrel in Unstable Angina to Prevent Recurrent Events Trial (CURE) Investigators. (2001) The effects of clopidogrel in addition to aspirin in patients with acute coronary syndromes without ST-segment elevation. N Engl J Med 345:494–502.[Abstract/Free Full Text] 438. Bhatt DL, Marso SP, Hirsch AT, Ringleb PA, Hacke W, Topol EJ. (2002) Amplified benefit of clopidogrel versus aspirin in patients with diabetes mellitus. Am J Cardiol 90:625– 628.[CrossRef][ISI][Medline] 439. Patrono CP, Bachmann F, Baigent C, Bode C, De Caterina R, Charbonnier B, Fitzgerald D, et al. (2004) Expert consensus document on the use of antiplatelet agents. Eur Heart J 25:166–181.[Free Full Text] 440. Hirsh J and Bhatt DL. (2004) Comparative benefits of clopidogrel and aspirin in highrisk patient populations: lessons from the CAPRIE and CURE studies. Arch Intern Med 164:2106–2610.[Abstract/Free Full Text] 441. Zuanetti G, Latini R, Maggioni AP, et al. (1997) Effect of the ACE inhibitor lisinopril on mortality in diabetic patients with acute myocardial infarction: data from the GISSI-3 study. Circulation 96:4239–4245. 442. Fox KM. EURopean trial On reduction of cardiac events with Perindopril in stable coronary Artery disease Investigators. (2003) Efficacy of perindopril in reduction of cardiovascular events among patients with stable coronary artery disease: randomized, doubleblind, placebo-controlled, multicentre trial (the EUROPA study). Lancet 362:782– 788.[CrossRef][ISI][Medline] 443. Daly CA, Fox KM, Remme WJ, Bertrand ME, Ferrari R, Simoons ML. EUROPA Investigators. (2005) The effect of perindopril on cardiovascular morbidity and mortality in patients with diabetes in the EUROPA study: results from the PERSUADE substudy. Eur Heart J 26:1369–1378.[Abstract/Free Full Text] 444. Mehta SR, Yusuf S, Diaz R, Zhu J, Pais P, Xavier D, Paolasso E, Ahmed R, Xie C, Kazmi K, Tai J, Orlandini A, Pogue J, Liu L. CREATE-ECLA Trial Group Investigators. (2005) Effect of glucose-insulin-potassium infusion on mortality in patients with acute STsegment elevation myocardial infarction: the CREATE-ECLA randomized controlled trial. The CREATE-ECLA trial group investigators. JAMA 293:437–446.[Abstract/Free Full Text] 104 445. Van den Berghe G, Wouters PJ, Weekers F, et al. (2001) Intensive insulin therapy in critically ill patients. N Engl J Med 345:1359–1367.[Abstract/Free Full Text] 446. Wallner S, Watzinger N, Lindschinger M, et al. (1999) Effects of intensified life style modification on the need for further revascularization after coronary angioplasty. Eur J Clin Invest 29:372–379.[CrossRef][ISI][Medline] 447. Favaloro RG, Effler DB, Groves LK, Sones FM, Fergusson DJ. (1967) Myocardial revascularization by internal mammary artery implant procedures. Clinical experience. J Thorac Cardiovasc Surg 54:359–370.[ISI][Medline] 448. Sheldon WC, Favaloro RG, Sones FM, Effler DB. (1970) Reconstructive coronary artery surgery. Venous autograft technique. JAMA 213:78–82.[CrossRef][Medline] 449. Gruentzig A, Hirzel H, Goebel N, et al. (1978) Percutaneous transluminal dilatation of chronic coronary stenoses. First experiences. Schweiz Med Wochenschr 108:1721– 1723.[ISI][Medline] 450. Barsness GW, Peterson ED, Ohman EM, et al. (1997) Relationship between diabetes mellitus and long-term survival after coronary bypass and angioplasty. Circulation 96:2551– 2556. 451. Carson JL, Scholz PM, Chen AY, Peterson ED, Gold J, Schneider SH. (2002) Diabetes mellitus increases short-term mortality and morbidity in patients undergoing coronary artery bypass graft surgery. J Am Coll Cardiol 40:418–423.[Abstract/Free Full Text] 452. Thourani VH, Weintraub WS, Stein B, et al. (1999) Influence of diabetes mellitus on early and late outcome after coronary artery bypass grafting. Ann Thorac Surg 67:1045– 1052.[Abstract/Free Full Text] 453. Stein B, Weintraub WS, Gebhart SP, et al. (1995) Influence of diabetes mellitus on early and late outcome after percutaneous transluminal coronary angioplasty. Circulation 91:979– 989. 454. Van Belle E, Ketelers R, Bauters C, et al. (2001) Patency of percutaneous transluminal coronary angioplasty sites at 6-month angiographic follow-up: a key determinant of survival in diabetics after coronary balloon angioplasty. Circulation 103:1218–1224. 455. Kip KE, Faxon DP, Detre KM, Yeh W, Kelsey SF, Currier JW. (1996) Coronary angioplasty in diabetic patients. The National Heart, Lung, and Blood Institute Percutaneous Transluminal Coronary Angioplasty Registry. Circulation 94:1818–1825. 456. Laskey WK, Selzer F, Vlachos HA, et al. for the Dynamic Registry. (2002) Comparison of in-hospital and one-year outcomes in patients with and without diabetes mellitus undergoing percutaneous catheter intervention (from the National Heart, Lung, and Blood Institute Dynamic Registry). Am J Cardiol 90:1062–1067.[CrossRef][ISI][Medline] 105 457. Mehran R, Dangas GD, Kobayashi Y, et al. (2004) Short- and long-term results after multivessel stenting in diabetic patients. J Am Coll Cardiol 43:1348– 1354.[Abstract/Free Full Text] 458. The BARI Investigators. (2000) Seven-year outcome in the bypass angioplasty revascularization investigation (BARI) by treatment and diabetic status. J Am Coll Cardiol 35:1122–1129.[Abstract/Free Full Text] 459. The BARI Investigators. (1997) Influence of diabetes on 5-year mortality and morbidity in a randomized trial comparing CABG and PTCA in patients with multivessel disease: the Bypass Angioplasty Revascularization Investigation (BARI). Circulation 96:1761–1769. 460. Detre KM, Guo P, Holubkov R, et al. (1999) Coronary revascularization in diabetic patients. A comparison of the randomized and observational components of the bypass angioplasty revascularization investigation (BARI). Circulation 99:633–640. 461. Mathew V, Frye RL, Lennon R, Barsness GW, Holmes DR. (2004) Comparison of survival after successful percutaneous coronary intervention of patients with diabetes mellitus receiving insulin versus those receiving only diet and/or oral hypoglycaemic agents. Am J Cardiol 93:399–403.[CrossRef][ISI][Medline] 462. Ong ATL, Aoki J, van Mieghem CAG, et al. (2005) Comparison of short- (one month) and long- (twelve months) term outcomes of sirolimus- versus paclitaxel-eluting stents in 293 consecutive patients with diabetes mellitus (from the RESEARCH and T-SEARCH registries). Am J Cardiol 96:358–362.[CrossRef][ISI][Medline] 463. Kouchoukos NT, Wareing TH, Murphy SF, Pelate C, Marshall WG. (1990) Risks of bilateral internal mammary artery bypass grafting. Ann Thorac Surg 49:210–217.[Abstract] 464. Milano CA, Kesler K, Archibald N, Sexton DJ, Jones RH. (1995) Mediastinitis after coronary artery bypass graft surgery: risk factors and long-term survival. Circulation 92:2245– 2251. 465. Magee MJ, Dewey TM, Acuff T, et al. (2001) Influence of diabetes on mortality and morbidity: off-pump coronary artery bypass grafting versus coronary artery bypass grafting with cardiopulmonary bypass. Ann Thorac Surg 72:776–781.[Abstract/Free Full Text] 466. Bucerius J, Gummert JF, Walther T, et al. (2003) Impact of diabetes mellitus on cardiac surgery outcome. Thorac Cardiovasc Surg 51:11–16.[CrossRef][ISI][Medline] 467. Tang GH, Maganti M, Weisel RD, Borger MA. (2004) Prevention and management of deep sternal wound infection. Semin Thorac Cardiovasc Surg 16:62–69.[Medline] 468. Elezi S, Katrati A, Pache J, et al. (1998) Diabetes and the clinical and angiographic outcome after coronary stent placement. J Am Coll Cardiol 32:1866– 1873.[Abstract/Free Full Text] 106 469. Marso SP, Giorgi LV, Johnson WL, et al. (2003) Diabetes mellitus is associated with a shift in the temporal risk profile of inhospital death after percutaneous coronary intervention: an analysis of 25,223 patients over 20 years. Am Heart J 145:270–277.[CrossRef][ISI][Medline] 470. The Bypass Angioplasty Revascularisation Investigation (BARI) Investigators. (1996) Comparison of coronary bypass surgery with angioplasty in patients with multivessel disease. N Engl J Med 335:217–225 [Erratum in: N Engl J Med 1997;336:147].[Abstract/Free Full Text] 471. Kurbaan AS, Bowker TJ, Ilsley CD, Sigwart U, Rickards AF. the CABRI Investigators. (2001) Difference in the mortality of the CABRI diabetic and nondiabetic populations and its relation to coronary artery disease and the revascularization mode. Am J Cardiol 87:947– 950.[CrossRef][ISI][Medline] 472. Zhao XQ, Brown BG, Stewart DK, et al. (1996) A randomized comparison of coronary angioplasty with bypass surgery. Circulation 93:1954–1962. 473. Henderson RA, Pocock SJ, Sharp SJ, Nanchahal K, Sculpher MJ, Buxton MJ, Hampton JR. (1998) Long-term results of RITA-1 trial: clinical and cost comparisons of coronary angioplasty and coronary-artery bypass grafting. Randomized intervention treatment of angina. Lancet 352:1419–1425.[CrossRef][ISI][Medline] 474. Abizaid A, Costa MA, Centemero M, et al. the ARTS Investigators. (2001) Clinical and economic impact of diabetes mellitus on percutaneous and surgical treatment of multivessel coronary disease patients. Insights from the Arterial Revascularization Therapy Study. Circulation 104:533–538. 475. Rodriguez A, Bernardi V, Navia J, et al. for the ERACI II Investigators. (2001) Argentine randomized study: coronary angioplasty with stenting versus coronary bypass surgery in patients with multiple-vessel disease (ERACI II): 30-day and one-year follow-up results. J Am Coll Cardiol 37:51–58.[Abstract/Free Full Text] 476. SoS Investigators. (2002) Coronary artery bypass surgery versus percutaneous coronary intervention with stent implantation in patients with multivessel coronary artery disease (the Stent or Surgery Trial): a randomized controlled trial. Lancet 360:965– 970.[CrossRef][ISI][Medline] 477. Sedlis SP, Morrison DA, Lorin JD, et al. Investigators of the Department of Veterans Affairs Cooperative Study No.385, the Angina With Extremely Serious Operative Mortality Evaluation (AWESOME). (2002) Percutaneous coronary intervention versus coronary bypass graft surgery for diabetic patients with unstable angina and risk factors for adverse outcomes with bypass: outcome of diabetic patients in the AWESOME randomized trial and registry. J Am Coll Cardiol 40:1555–1566.[Abstract/Free Full Text] 478. O'Neill WW. (1998) Multivessel balloon angioplasty should be abandoned in diabetic patients!. J Am Coll Cardiol 31:20–22.[Free Full Text] 479. Niles NW, McGrath PD, Malenka D, et al. Northern New England Cardiovascular Disease Study Group. (2001) Survival of patients with diabetes and multivessel coronary artery 107 disease after surgical or percutaneous coronary revascularization: results of a large regional prospective study. J Am Coll Cardiol 37:1008–1015.[Abstract/Free Full Text] 480. Sabate M, Jimenez-Quevedo P, Angiolillo DJ, et al. DIABETES Investigators. (2005) Randomized comparison of sirolimus-eluting stent versus standard stent for percutaneous coronary revascularization in diabetic patients: the diabetes and sirolimus-eluting stent (DIABETES) trial. Circulation 112:2175–2183. 481. Finn AV, Palacios IF, Kastrati A, Gold HK. (2005) Drug-eluting stents for diabetes mellitus. A rush to judgment? J Am Coll Cardiol 45:479–483.[Abstract/Free Full Text] 482. Bhatt DL, Marso SP, Lincoff AM, Wolski KE, Ellis SG, Topol EJ. (2000) Abciximab reduces mortality in diabetics following percutaneous intervention. J Am Coll Cardiol 35:922– 928.[Abstract/Free Full Text] 483. Scheen AJ, Warzee F, Legrand VMG. (2004) Drug-eluting stents: a meta-analysis in diabetic patients. Eur Heart J 25:2167–2168.[Free Full Text] 484. Eefting F, Nathoe H, van Dijk D, et al. (2003) Randomized comparison between stenting and off-pump bypass surgery in patients referred for angioplasty. Circulation 108:2870–2876. 485. Hannan EL, Racz MJ, Walford G, Jones RH, Ryan TJ, Bennett E, Culliford AT, Isom OW, Gold JP, Rose EA. (2005) Long-term outcomes of coronary-artery bypass grafting versus stent implantation. N Engl J Med 352:2174–2183.[Abstract/Free Full Text] 486. Gersh BJ and Frye RL. (2005) Methods of coronary revascularization—things may not be as they seem. N Engl J Med 352:2235–2237.[Free Full Text] 487. Marso SP, Ellis SG, Tuzcu EM, et al. (1999) The importance of proteinuria as a determinant of mortality following percutaneous coronary revascularisation in diabetics. J Am Coll Cardiol 33:1269–1277.[Abstract/Free Full Text] 488. Schwartz L, Kip KE, Frye RL, Alderman EL, Schaff HV, Detre KM. (2002) Coronary bypass graft patency in patients with diabetes in the bypass angioplasty revascularization investigation (BARI). Circulation 106:2652–2658. 489. Marso SP. (2002) Optimizing the diabetic formulary: beyond aspirin and insulin. J Am Coll Cardiol 40:652–661.[Abstract/Free Full Text] 490. Breeman A, Hordijk M, Lenzen M, et al. (2006) Treatment decisions in stable coronary artery disease in a broad range of European practices. Insights from the Euro Heart Survey on coronary revascularization. J Thor Cardiovasc Surg 132:1001–1009.[Abstract/Free Full Text] 491. Gibbons RJ, Abrams J, Chatterjee K, et al. American College of Cardiology; American Heart Association task force on practice guidelines. (2003) Committee on the management of patients with chronic stable angina. ACC/AHA 2002 guideline update for the management of patients with chronic stable angina—summary article: a report of the American College of 108 Cardiology/American Heart Association task force on practice guidelines (Committee on the Management of Patients With Chronic Stable Angina). Circulation 107:149–158. 492. van Bergen PF, Deckers JW, Jonker JJ, van Domburg RT, Azar AJ, Hofman A. (1995) Efficacy of long-term anticoagulant treatment in subgroups of patients after myocardial infarction. Br Heart J 74:117–121.[Abstract/Free Full Text] 493. Quinn MJ and Moliterno DJ. (2003) Diabetes and percutaneous intervention: the sweet smell of success? Am Heart J 145:203–205.[CrossRef][ISI][Medline] 494. Roffi M and Topol EJ. (2004) Percutaneous intervention in diabetic patients with nonST-segment elevation acute coronary syndromes. Eur Heart J 25:190– 198.[Abstract/Free Full Text] 495. Angeja BG, de Lemos J, Murphy SA, et al. TIMI Study Group. (2002) Impact of diabetes mellitus on epicardial and microvascular flow after fibrinolytic therapy. Am Heart J 144:649–656.[ISI][Medline] 496. O'Neill WW, de Boer MJ, Gibbons RJ, et al. (1998) Lessons from the pooled outcome of the PAMI, Zwolle and Mayo clinic randomized trials of primary angioplasty versus thrombolytic therapy of acute myocardial infarction. J Invasive Cardiol 10:4–10.[Medline] 497. Grines C, Patel A, Zijlstra F, Weaver WD, Granger C, Simes RJ. PCAT Collaborators. (2003) Primary coronary angioplasty compared with intravenous thrombolytic therapy for acute myocardial infarction: six-month follow up and analysis of individual patient data from randomized trials. Am Heart J 145:47–57.[CrossRef][ISI][Medline] 498. Zijlstra F, Hoorntje JC, de Boer MJ, et al. (1999) Long-term benefit of primary angioplasty as compared with thrombolytic therapy for acute myocardial infarction. N Engl J Med 341:1413–1419.[Abstract/Free Full Text] 499. Goraya TY, Leibson CL, Palumbo PJ, et al. (2002) Coronary atherosclerosis in diabetes mellitus: a population-based autopsy study. J Am Coll Cardiol 40:946– 953.[Abstract/Free Full Text] 500. Van Belle E, Abolmaali K, Bauters C, McFadden EP, Lablanche J-M, Bertrand ME. (1999) Restenosis, late vessel occlusion and left ventricular function six months after balloon angioplasty in diabetic patients. J Am Coll Cardiol 34:476–485.[Abstract/Free Full Text] 501. Malmberg K and Rydén L. (1988) Myocardial infarction in patients with diabetes mellitus. Eur Heart J 9:259–264.[Abstract/Free Full Text] 502. Hsu LF, Mak KH, Lau KW, et al. (2002) Clinical outcomes of patients with diabetes mellitus and acute myocardial infarction treated with primary angioplasty or fibrinolysis. Heart 88:260–265.[Abstract/Free Full Text] 503. Thomas K, Ottervanger JP, de Boer MJ, Suryapranata H, Hoorntje JC, Zijlstra F. (1999) Primary angioplasty compared with thrombolysis in acute myocardial infarction in diabetic patients. Diabetes Care 22:647–649.[ISI][Medline] 109 504. National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI). Comparison of two treatments for multivessel coronary artery disease in individuals with di abetes (FREEDOM). http://www.clinicaltrials.gov/ct/show/NCT00086450. 505. Kapur A, Malik IS, Bagger JP, et al. (2005) The Coronary Artery Revascularisation in Diabetes (CARDia) trial: background, aims, and design. Am Heart J 149:13– 19.[CrossRef][ISI][Medline] 506. Swedberg K, Cleland J, Dargie H, Drexler H, Follath F, Komajda M, Tavazzi L, Smiseth OA, Gavazzi A, Haverich A, Hoes A, Jaarsma T, Korewicki J, Levy S, Linde C, Lopez-Sendon JL, Nieminen MS, Pierard L, Remme WJ. Task Force for the Diagnosis: Treatment of Chronic Heart Failure of the European Society of Cardiology. (2005) Guidelines for the diagnosis treatment of chronic heart failure: Executive summary (update 2005): The Task Force for the Diagnosis: Treatment of Chronic Heart Failure of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 26:1115–1149.[Free Full Text] 507. von Bibra, Thrainsdottir IS, Hansen A, Dounis V, Malmberg K, Rydén L. (2005) Tissue Doppler imaging for the detection and quantification of myocardial dysfunction in patients with type 2 diabetes mellitus. Diabetes Vasc Dis Res 2:24–30.[CrossRef] 508. Epshteyn V, Morrison K, Krishnaswamy P, et al. (2003) Utility of B-type natriuretic peptide (BNP) as a screen for left ventricular dysfunction in patients with diabetes. Diabetes Care 26:2081–2087.[Abstract/Free Full Text] 509. Zannad F, Briancon S, Juilliere Y, et al. the EPICAL Investigators. (1999) Incidence, clinical and etiologic features, and outcomes of advanced chronic heart failure: the EPICAL study. J Am Coll Cardiol 33:734–742.[Abstract/Free Full Text] 510. Kristiansson K, Sigfusson N, Sigvaldason H, Thorgeirsson G. (1995) Glucose tolerance and blood pressure in a population-based cohort study of males and females: the Reykjavik Study. J Hypertens 13:581–586.[CrossRef][ISI][Medline] 511. McKee PA, Castelli WP, McNamara PM, Kannel WB. (1971) The natural history of congestive heart failure: the Framingham Study. N Engl J Med 285:1441–1446.[ISI][Medline] 512. Nichols GA, Gullion CM, Koro CE, Ephross SA, Brown JB. (2004) The incidence of congestive heart failure in type 2 diabetes: an update. Diabetes Care 27:1879– 1884.[Abstract/Free Full Text] 513. He J, Ogden LG, Bazzano LA, Vupputuri S, Loria C, Whelton PK. (2001) Risk factors for congestive heart failure in US men and women. NHANES I Epidemiologic follow-up study. Arch Intern Med 161:996–1002.[Abstract/Free Full Text] 514. Wilhelmsen L, Rosengren A, Eriksson H, Lappas G. (2001) Heart failure in the general population of men—morbidity, risk factors and prognosis. J Intern Med 249:253– 261.[CrossRef][ISI][Medline] 110 515. Mosterd A, Hoes AW, de Bruyne MC, Deckers JW, Linker DT, Hofman A, et al. (1999) Prevalence of heart failure and left ventricular dysfunction in the general population. The Rotterdam Study. Eur Heart J 20:447–455.[Abstract/Free Full Text] 516. Thrainsdottir IS, Aspelund T, Thorgeirsson G, Gudnason V, Hardarson T, Malmberg K, et al. (2005) The association between glucose abnormalities and heart failure in the population based Reykjavík Study. Diabetes Care 28:612–616.[Abstract/Free Full Text] 517. Johansson S, Wallander MA, Ruigómez A, Garcia Rodríguez LA. (2001) Incidence of newly diagnosed heart failure in UK general practice. Eur J Heart Fail 3:225– 231.[CrossRef][ISI][Medline] 518. Remes J, Reunanen A, Aromaa A, Pyörala K. (1992) Incidence of heart failure in eastern Finland: a population-based surveillance study. Eur Heart J 13:588– 593.[Abstract/Free Full Text] 519. Kannel WB, Hjortland M, Castelli WP. (1974) Role of diabetes in congestive heart failure: the Framingham study. Am J Cardiol 34:29–34.[CrossRef][ISI][Medline] 520. Amato L, Paolisso G, Cacciatore F, et al. on behalf of the Osservatorio Geriatrico Regione Campania Group. (1997) Congestive heart failure predicts the development of noninsulin-dependent diabetes mellitus in the elderly. Diabetes Med 23:213–218. 521. Mosterd A, Cost B, Hoes AW, de Bruijne MC, Deckers JW, Hofman A, et al. (2001) The prognosis of heart failure in the general population. The Rotterdam Study. Eur Heart J 22:1318–1327.[Abstract/Free Full Text] 522. De Groote P, Lamblin N, Mouquet F, Plichon D, McFadden E, Van Belle E, et al. (2004) Impact of diabetes mellitus on long-term survival in patients with congestive heart failure. Eur Heart J 25:656–662.[Abstract/Free Full Text] 523. Thrainsdottir IS, Aspelund T, Hardarson T, Malmberg K, Sigurdsson G, Thorgeirsson G, Gudnason V, Rydén L. (2005) Glucose abnormalities and heart failure predict poor prognosis in the population based Reykjavík Study. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 12:465– 471.[CrossRef][Medline] 524. Solang L, Malmberg K, Rydén L. (1999) Diabetes mellitus and congestive heart failure. Eur Heart J 20:789–795.[Free Full Text] 525. The Acute Infarction Ramipril Efficacy (AIRE) Study Investigators. (1993) Effect of ramipril on mortality and morbidity of survivors of acute myocardial infarction with clinical evidence of heart failure. Lancet 342:821–828.[ISI][Medline] 526. Konstam MA, Rousseau MF, Kronenberg MW, Udelson JE, Melin J, Stewart D, et al. (1992) Effects of the angiotensin converting enzyme inhibitor enalapril on the long-term progression of left ventricular dysfunction in patients with heart failure. SOLVD Investigators. Circulation 86:431–438. 111 527. Konstam MA, Patten RD, Thomas I, Ramahi T, La Bresh K, Goldman S, et al. (2000) Effects of losartan and captopril on left ventricular volumes in elderly patients with heart failure: results of the ELITE ventricular function substudy. Am Heart J 139:1081– 1087.[CrossRef][ISI][Medline] 528. Effects of enalapril on mortality in severe congestive heart failure. (1987) Results of the Cooperative North Scandinavian Enalapril Survival Study (CONSENSUS). The CONSENSUS Trial Study Group. N Engl J Med 316:1429–1435.[Abstract] 529. Pitt B, Poole-Wilson PA, Segal R, Martinez FA, Dickstein K, Camm AJ, et al. on behalf of the ELITE II Investigators. (2000) Effect of losartan compared with captopril on mortality in patients with symptomatic heart failure: randomized trial—the Losartan Heart Failure Survival Study ELITE-II. Lancet 355:1582–1587.[CrossRef][ISI][Medline] 530. The SOLVD Investigators. (1991) Effect of enalapril on survival in patients with reduced left ventricular ejection fraction and congestive heart failure. N Engl J Med 325:293– 302.[Abstract] 531. Rydén L, Armstrong PW, Cleland JG, et al. (2000) Efficacy and safety of high-dose lisinopril in chronic heart failure patients at high cardiovascular risk, including those with diabetes mellitus. Results from the ATLAS trial. Eur Heart J 21:1967– 1978.[Abstract/Free Full Text] 532. Pfeffer M, Braunwald E, Moyé E, et al. on behalf of the SAVE investigators. (1992) Effect of captopril on mortality and morbidity in patients with left ventricular dysfunction after myocardial infarction. N Engl J Med 327:669–677.[Abstract] 533. Moyé LA, Pfeffer MA, Wun CC, et al. Uniformity of captopril benefit in the SAVE study: subgroup analysis. (1994) Survival and ventricular enlargement study. Eur Heart J 15:Suppl. B, 2–8.[Free Full Text] 534. Herings RMC, deBoer A, Stricker BHC, Leufkens HGM, Porsius A. (1996) Hypoglycaemia associated with the use of inhibitors of angiotensin-converting enzyme. Lancet 345:1195–1198. 535. Morris AD, Boyle DIR, McMahon AD, et al. (1997) ACE inhibitor use is associated with hospitalization for severe hypoglycaemia in patients with diabetes. Diabetes Care 20:1363–1379.[Abstract] 536. Dickstein K and Kjekshus J. the OPTIMAAL Steering Committee, for the OPTIMAAL Study Group. (2002) Effects of losartan and captopril on mortality and morbidity in high-risk patients after acute myocardial infarction: the OPTIMAAL randomized trial. Lancet 360:752– 760.[CrossRef][ISI][Medline] 537. Pfeffer MA, McMurray JJ, Velazques EJ, et al. for the Valsartan in Acute Myocardial Infarction Trial Investigators. (2003) Valsartan, captopril, or both in myocardial infarction complicated by heart failure, left ventricular dysfunction, or both. N Engl J Med 349:1893– 1906.[Abstract/Free Full Text] 112 538. Granger CB, McMurray JJV, Yusuf S, et al. for the CHARM Investigators and Committees. (2003) Effects of candesartan in patients with chronic heart failure and reduced left-ventricular systolic function intolerant to angiotensin-converting-enzyme inhibitors: the CHARM-Alternative Trial. Lancet 362:772–776.[CrossRef][ISI][Medline] 539. Opie LH and Thomas M. (1976) Propranolol and experimental myocardial infarction: substrate effects. Postgrad Med J 52:Suppl. 4, 124–133. 540. Dávila-Román VG, Vedala G, Herrero P, de las Fuentes L, Rogers JG, Kelly DP, et al. (2002) Altered myocardial fatty acid and glucose metabolism in idiopathic dilated cardiomyopathy. J Am Coll Cardiol 40:271–277.[Abstract/Free Full Text] 541. CIBIS-II Investigators and Committees. (1999) The Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study II (CIBIS-II): a randomized trial. Lancet 353:9–13.[CrossRef][ISI][Medline] 542. Hjalmarson A, Goldstein S, Fagerberg B, Wedel H, Waagstein F, Kjekshus J, et al. for the MERIT-HF Study Group. (2000) Effects of controlled-release metoprolol on total mortality, hospitalizations, and well-being in patients with heart failure: The Metoprolol CR/XL Randomized Intervention Trial in Congestive Heart Failure (MERIT-HF). JAMA 283:1295– 1302.[Abstract/Free Full Text] 543. Deedwania PC, Giles TD, Klibaner M, Ghali JK, Herlitz J, Hildebrandt P, Kjekshus J, Spinar J, Vitovec J, Stanbrook H, Wikstrand J. MERIT-HF Study Group. (2005) Efficacy, safety and tolerability of metoprolol CR/XL in patients with diabetes and chronic heart failure: experiences from MERIT-HF. Am Heart J 149:159–167.[CrossRef][ISI][Medline] 544. Packer M, Coats AJ, Fowler MB, Katus HA, Krum H, Mohacsi P, et al. for the Carvedilol Prospective Randomized Cumulative Survival Study Group. (2001) Effect of carvedilol on survival in severe chronic heart failure. N Engl J Med 344:1651– 1658.[Abstract/Free Full Text] 545. Poole-Wilson PA, Swedberg K, Cleland JG, Di Lenarda A, Hanrath P, Komajda M, et al. for the COMET Investigators. (2003) Comparison of carvedilol and metoprolol on clinical outcomes in patients with chronic heart failure in the Carvedilol Or Metoprolol European Trial (COMET): randomized controlled trial. Lancet 362:7–13.[CrossRef][ISI][Medline] 546. Vargo DL, Kramer WG, Black PK, Smith WB, Serpas T, Brater DC. (1995) Bioavailability, pharmacokinetics, and pharmacodynamics of torsemide and furosemide in patients with congestive heart failure. Clin Pharmacol Ther 57:601– 609.[CrossRef][ISI][Medline] 547. Pitt B, Zannad F, Remme WJ, Cody R, Castaigne A, Perez A, Palensky J, Wittes J. (1999) for the Randomized Aldactone Evaluation Study Investigators. The effects of spironolactone on morbidity and mortality in patients with severe heart failure. N Engl J Med 341:709–717.[Abstract/Free Full Text] 548. Parsonage WA, Hetmanski D, Cowley AJ. (2001) Beneficial haemodynamic effects of insulin in chronic heart failure. Heart 85:508–513.[Abstract/Free Full Text] 113 549. McNulty PH, Pfau S, Deckelbaum LI. (2000) Effect of plasma insulin level on myocardial blood flow and its mechanism of action. Am J Cardiol 85:161– 165.[CrossRef][ISI][Medline] 550. Smooke S, Horwich TB, Fonarow GC. (2005) Insulin-treated diabetes is associated with a marked increase in mortality in patients with advanced heart failure. Am Heart J 149:168– 174.[CrossRef][ISI][Medline] 551. Khoury VK, Haluska B, Prins J, Marwick TH. (2003) Effects of glucose–insulin– potassium infusion on chronic ischaemic left ventricular dysfunction. Heart 89:61– 65.[Abstract/Free Full Text] 552. American Diabetes Association: Clinical Practice Recommendations 2004. (2004) Diabetes Care 27:Suppl. 1, S5–S19. 553. Schmidt-Schweda S and Holubarsch C. (2000) First clinical trial with etomoxir in patients with chronic congestive heart failure. Clin Sci 99:27–35. 554. Fragasso G, Piatti PM, Monti L, Palloshi A, Setola E, Puccetti P, et al. (2003) Short- and long-term beneficial effects of trimetazidine in patients with diabetes and ischemic cardiomyopathy. Am Heart J 146:E18.[CrossRef][Medline] 555. Thrainsdottir IS, von Bibra H, Malmberg K, Rydén L. (2004) Effects of trimetazidine on left ventricular function in patients with type 2 diabetes and heart failure. J Cardiovasc Pharmacol 44:101–108.[CrossRef][ISI][Medline] 556. Lewis JF, DaCosta M, Wargowich T, Stacpoole P. (1998) Effects of dichloroacetate in patients with congestive heart failure. Clin Cardiol 21:888–889.[ISI][Medline] 557. Wolf PA, Abbott RD, Kannel WB. (1991) Atrial fibrillation as an independent risk factor for stroke: the Framingham Study. Stroke 22:983–988.[Abstract] 558. Go AS, Hylek EM, Phillips KA, Chang Y, Henault LE, Selby JV, Singer DE. (2001) Prevalence of diagnosed atrial fibrillation in adults: national implications for rhythm management and stroke prevention: the AnTicoagulation and Risk Factors in Atrial fibrillation (ATRIA) Study. JAMA 285:2370–2375.[Abstract/Free Full Text] 559. Furberg CD, Psaty BM, Manolio TA, Gardin JM. Silent myocardial ischeamiaSilent myocardial ischeamiath VE, Rautaharju PM. (1994) Prevalence of atrial fibrillation in elderly subjects (the Cardiovascular Health Study). Am J Cardiol 74:236– 241.[CrossRef][ISI][Medline] 560. Psaty BM, Manolio TA, Kuller LH, Kronmal RA, Cushman M, Fried LP, White R, Furberg CD, Rautaharju PM. (1997) Incidence of and risk factors for atrial fibrillation in older adults. Circulation 96:2455–2461. 561. Levy S, Maarek M, Coumel P, et al. (1999) Characterization of different subsets of atrial fibrillation in general practice in France: the ALFA study. The College of French Cardiologists. Circulation 99:3028–3035. 114 562. Krahn AD, Manfreda J, Tate RB, Mathewson FA, Cuddy TE. (1995) The natural history of atrial fibrillation: incidence, risk factors, and prognosis in the Manitoba Follow-Up Study. Am J Med 98:476–484.[CrossRef][ISI][Medline] 563. Benjamin EJ, Levy D, Vaziri SM, D'Agostino RB, Belanger AJ, Wolf PA. (1994) Independent risk factors for atrial fibrillation in a population-based cohort. The Framingham Heart Study. JAMA 271:840–844.[Abstract] 564. Flegel KM, Shipley MJ, Rose G. (1987) Risk of stroke in non-rheumatic atrial fibrillation. Lancet 1:526–529.[CrossRef][ISI][Medline] 565. Atrial Fibrillation Investigators. (1994) Risk factors for stroke and efficacy of antithrombotic therapy in atrial fibrillation: analysis of pooled data from five randomized controlled trials. Arch Intern Med 154:1449–1457.[Abstract] 566. Wolf PA, Abbott RD, Kannel WB. (1987) Atrial fibrillation: a major contributor to stroke in the elderly: the Framingham Study. Arch Intern Med 147:1561–1564.[Abstract] 567. Kuusisto J, Mykkänen L, Pyörälä K, Laakso M. (1994) Non-insulin-dependent diabetes: its metabolic control are important predictors of stroke in elderly subjects. Stroke 25:1157– 1164.[Abstract] 568. Davis TME, Millns H, Stratton IM, Holman RR, Turner RC. for the UK Prospective Diabetes Study Group. (1999) Risk factors for stroke in type 2 diabetes mellitus. United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS). Arch Intern Med 159:1097– 1103.[Abstract/Free Full Text] 569. Petersen P, Boysen G, Godtfredsen J, Andersen ED, Andersen B. (1989) Placebocontrolled, randomized trial of warfarin and aspirin for prevention of thromboembolic complications in chronic atrial fibrillation: the Copenhagen ATRIAL FIBRILLATIONASAK Study. Lancet 1:175–179.[ISI][Medline] 570. Connolly SJ, Laupacis A, Gent M, Roberts RS, Cairns JA, Joyner C. for the CATRIAL FIBRILLATIONA Study Coinvestigators. (1991) Canadian Atrial fibrillation Anticoagulation (CATRIAL FIBRILLATIONA) Study. J Am Coll Cardiol 18:349–355.[Abstract] 571. The Boston Area Anticoagulation Trial for Atrial fibrillation Investigators. (1990) The effect of low-dose warfarin on the risk of stroke in patients with nonrheumatic atrial fibrillation. N Engl J Med 323:1505–1511.[Abstract] 572. Hart RG, Pearce LA, McBride R, Rothbart RM, Asinger RW. (1999) Factors associated with ischemic stroke during aspirin therapy in atrial fibrillation: analysis of 2012 participants in the SPAF I-III clinical trials. The Stroke Prevention in Atrial Fibrillation (SPAF) Investigators. Stroke 30:1223–1229.[Abstract/Free Full Text] 573. Ezekowitz MD, Bridgers SL, James KE, Carliner NH, Colling CL, Gornick CC, KrauseSteinrauf H, Kurtzke JF, Nazarian SM, Radford MJ, Rickles FR, Shabetai R, Deykin D. for the Veterans Affairs Stroke Prevention in Nonrheumatic Atrial Fibrillation Investigators. (1992) 115 Warfarin in the prevention of stroke associated with nonrheumatic atrial fibrillation. N Engl J Med 327:1406–1412.[Abstract] 574. The Stroke Prevention in Atrial fibrillation Investigators. (1992) Predictors of thromboembolism in atrial fibrillation. 1. Clinical features of patients at risk. Ann Intern Med 116:1–5.[ISI][Medline] 575. Goldman ME, Pearce LA, Hart RG, Zabalgoitia M, Asinger RW, Safford R, Halperin JL. for the Stroke prevention in atrial fibrillation investigators. (1999) Pathophysiologic correlates of thromboembolism in nonvavular atrial fibrillation: I. Reduced flow velocity in the left atrial appendage (the Stroke Prevention in Atrial fibrillation [SPATRIAL FIBRILLATIONIII] Study). J Am Soc Echocardiogr 12:1080–1087.[CrossRef][ISI][Medline] 576. Illien S, Maroto-Jarvinen S, von der Recke G, Hammerstingl C, Schmidt H, KuntzHehner S, Luderitz B, Omran H. (2003) Atrial fibrillation: relation between clinical risk factors and transoesophageal echocardiographic risk factors for thromboembolism. Heart 89:165– 168.[Abstract/Free Full Text] 577. Hart RG, Benavente O, McBride R, Pearce LA. (1999) Antithrombotic therapy to prevent stroke in patients with atrial fibrillation: a meta-analysis. Ann Intern Med 131:492– 501.[Abstract/Free Full Text] 578. Albers GW, Dalen JE, Laupacis A, et al. (2001) Antithrombotic therapy in atrial fibrillation. Chest 119:194S–206S. 579. SPATRIAL FIBRILLATION Investigators. (1997) The Stroke Prevention in Atrial fibrillation III Study: rationale, design and patient features. J Stroke Cerebrovasc Dis 5:341– 353.[CrossRef] 580. Gage BF, Waterman AD, Shannon W, et al. (2001) Validation of clinical classification schemes for predicting stroke: results from the National Registry of atrial fibrillation. JAMA 285:2864–2870.[Abstract/Free Full Text] 581. Wang TJ, Massaro JM, Levy D, et al. (2003) A risk score for predicting stroke or death in individuals with new-onset atrial fibrillation in the community: the Framingham Heart Study. JAMA 290:1049–1056.[Abstract/Free Full Text] 582. Gage BF, van Walraven C, Pearce L, Hart RG, Koudstaal PJ, Boode BSP, Petersen P. (2004) Selecting patients with atrial fibrillation for anticoagulation. Stroke risk stratification in patients taking aspirin. Circulation 110:2287–2292. 583. Fuster V, Ryden LE, Asinger RW, Cannom DS, Crijns HJ, Frye RL, Halperin JL, Kay GN, Klein WW, Levy S, McNamara RL, Prystowsky EN, Wann LS, Wyse DG. (2006) ACC/AHA/ESC guidelines for the management of patients with atrial fibrillation. Eur Heart J 27:1979–2030.[Free Full Text] 116 584. Singer DE, Albers GW, Dalen JA, Go AS, Halperin JL, Manning WJ. (2004) Antithrombotic therapy in atrial fibrillation: The Seventh ACCP Conference on Antithrombotic and Thrombolytic Therapy. Chest 126:429–456.[CrossRef] 585. Priori SG, Aliot E, Blomstrom-Lundqvist C, Bossaert L, Breithardt G, Brugada P, Camm AJ, Cappato R, Cobbe SM, Di Mario C, Maron BJ, McKenna WJ, Pedersen AK, Ravens U, Schwartz PJ, Trusz-Gluza M, Vardas P, Wellens HJ, Zipes DP. (2001) Task Force on Sudden Cardiac Death of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 22:1374– 1450.[Free Full Text] 586. Kannel WB, Wilson PW, D'Agostino RB, Cobb J. (1998) Sudden coronary death in women. Am Heart J 136:205–212.[CrossRef][ISI][Medline] 587. Albert CM, Chae CU, Grodstein F, Rose LM, Rexrode KM, Ruskin JN, Stampfer MJ, Manson JE. (2003) Prospective study of sudden cardiac death among women in the United States. Circulation 107:2096–2101. 588. Curb JD, Rodriguez BL, Burchfiel CM, Abbott RD, Chiu D, Yano K. (1995) Related articles. Sudden death, impaired glucose tolerance, and diabetes in Japanese American men. Circulation 91:2591–2595. 589. Balkau B, Jouven X, Ducimetiere P, Eschwege E. (1999) Diabetes as a risk factor for sudden death. Lancet 354:1968–1969.[CrossRef][ISI][Medline] 590. Jouven X, Lemaitre RN, Rea TD, Sotoodehnia N, Empana JP, Siscovick DS. (2005) Diabetes, glucose level, and risk of sudden cardiac death. Eur Heart J 26:2142– 2147.[Abstract/Free Full Text] 591. Cosentino F and Egidy Assenza G. (2004) Diabetes and inflammation. Herz 29:749– 759.[CrossRef][ISI][Medline] 592. O'Brien IA, Mc Fadden JP, Corral RJM. (1991) The influence of autonomic neuropathy on mortality in insulin-dependent diabetes. Q J Med 79:495–502.[ISI][Medline] 593. Forsen A, Kangro M, Sterner G, Norrgren K, Thorsson O, Wollmer P, Sundkvist G. (2004) A 14-year prospective study of autonomic nerve function in Type 1 diabetic patients: association with nephropathy. Diabet Med 21:852–858.[CrossRef][ISI][Medline] 594. Veglio M, Chinaglia A, Cavallo-Perin P. (2004) QT interval, cardiovascular risk factors and risk of death in diabetes. J Endocrinol Invest 27:175–181.[ISI][Medline] 595. Rozanski GJ and Xu Z. (2002) A metabolic mechanism for cardiac K+ channel remodelling. Clin Exp Pharmacol Physiol 29:132–137.[CrossRef][ISI][Medline] 596. Ewing DJ, Compbell IW, Clarke BF. (1980) The natural history of diabetic authonomic neuropathy. Q J Med 49:95–108.[ISI][Medline] 597. Gerritsen J, Dekker JM, TenVoorde BJ, Bertelsmann FW, Kostense PJ, Stehouwer CD, Heine RJ, Nijpels G, Heethaar RM, Bouter LM. (2000) Glucose tolerance and other 117 determinants of cardiovascular autonomic function: the Hoorn Study. Diabetologia 43:561– 570.[CrossRef][ISI][Medline] 598. Ewing DJ, Boland O, Neilson JM, et al. (1991) Autonomic neuropathy, QT interval lengthening and unexpected deaths in male diabetic patients. Diabetologia 34:182– 185.[CrossRef][ISI][Medline] 599. Navarro X, Kennedy WR, Lowenson RB, et al. (1990) Influence of pancreas transplantation on cardiorepiratory reflexes, nerve conduction and mortality in diabetes mellitus. Diabetes 39:802–806.[Abstract] 600. Singh JP, Larson MG, O'Donnell CJ, Wilson PF, Tsuji H, Lloyd-Jones DM, Levy D. (2000) Association of hyperglycaemia with reduced heart rate variability (The Framingham Heart Study). Am J Cardiol 86:309–312.[CrossRef][ISI][Medline] 601. Schroeder EB, Chambless LE, Liao D, Prineas RJ, Evans GW, Rosamond WD, Heiss G. Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) Study. (2005) Diabetes, glucose, insulin, and heart rate variability: the Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) Study. Diabetes Care 28:668–674.[Abstract/Free Full Text] 602. Suarez GA, Clark VM, Norell JE, Kottke TE, Callahan MJ, O'Brien PC, Low PA, Dyck PJ. (2005) Sudden cardiac death in diabetes mellitus: risk factors in the Rochester diabetic neuropathy study. J Neurol Neurosurg Psychiatry 76:240–245.[Abstract/Free Full Text] 603. Beckman JA, Creager MA, Libby P. (2002) Diabetes and atherosclerosis: epidemiology, pathophysiology, and management. JAMA 287:2570–2581.[Abstract/Free Full Text] 604. Meijer WT, Hoes AW, Rutgers D, et al. (1998) Peripheral arterial disease in the elderly: the Rotterdam Study. Arterioscler Thromb Vasc Biol 18:185–192.[Abstract/Free Full Text] 605. Hiatt WR, Hoag S, Hamman RF. (1995) Effect of diagnostic criteria on the prevalence of peripheral arterial disease. The San Luis Valley Diabetes Study. Circulation 91:1472–1479. 606. Jude EB, Oyibo SO, Chalmers N, et al. (2001) Peripheral arterial disease in diabetic and nondiabetic patients: a comparison of severity and outcome. Diabetes Care 24:1433– 1437.[Abstract/Free Full Text] 607. Mozes G, Keresztury G, Kadar A, Magyar J, Sipos B, Dzsinich S, Gloviczki P. (1998) Atherosclerosis in amputated legs of patients with and without diabetes mellitus. Int Angiol 17:282–286.[ISI][Medline] 608. Everhart JE, Pettitt DJ, Knowler WC, Rose FA, Bennett PH. (1988) Medial arterial calcification:its association with mortality: complications of diabetes. Diabetologia 31:16– 23.[ISI][Medline] 609. Dormandy JA and Rutherford RB. TASC Working Group. (2000) TransAtlantic InterSociety Concensus (TASC), Management of peripheral arterial disease (PAD). J Vasc Surg 31:S1–S296.[CrossRef][ISI][Medline] 118 610. Cavanagh PR, Lipsky BA, Bradbury AW, Botek G. (2005) Treatment for diabetic foot ulcers. Lancet 366:1725–1735.[CrossRef][ISI][Medline] 611. Hiatt WR. (2001) Medical treatment of peripheral arterial disease and claudication. N Engl J Med 344:1608–1621.[Free Full Text] 612. Hess H, Mietaschik A, Deichsel G. (1985) Drug induced inhibition of platelet function delays progression of peripheral occlusive arterial disease: a prospective double blind arteriographic controlled trial. Lancet 1:416–419. 613. Caprie Steering Committee. (1996) A randomized, blinded, trial of clopidogrel versus aspirin in patients at risk of ischemic events (CAPRIE). Lancet 348:1329– 1339.[CrossRef][ISI][Medline] 614. Kalani M, Apelqvist J, Blomback M, et al. (2003) Effect of dalteparin on healing of chronic foot ulcers in diabetic patients with peripheral arterial occlusive disease: a prospective, randomized, double-blind, placebo-controlled study. Diabetes Care 26:2575– 2580.[Abstract/Free Full Text] 615. Loosemore T, Chalmers T, Dormandy J. (1994) A meta-analysis of randomized placebo control trials in Fontaine stages III and IV peripheral occlusive arterial disease. Int Angiol 13:133–142.[ISI][Medline] 616. Stegmayr B and Asplund K. (1995) Diabetes as a risk factor for stroke. A population perspective. Diabetologia 38:1061–1068.[ISI][Medline] 617. Mankovsky BN and Ziegler D. (2004) Stroke in patients with diabetes mellitus. Diabetes Metab Res Rev 20:268–287.[CrossRef][ISI][Medline] 618. Folsom AR, Rasmussen ML, Chambless ME, et al. (1999) Prospective associations of fasting insulin, body fat distribution, and diabetes with risk of ischemic stroke. The Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) Study Investigators. Diabetes Care 22:1077– 1083.[Abstract/Free Full Text] 619. Miettinen H, Haffner SM, Lehto S, Ronnemaa T, Pyorala K, Laakso M, Roehmboldt ME, Palumbo PJ, Whisnant JP, Elveback LP. (1996) Proteinuria predicts stroke and other atherosclerotic vascular disease events in nondiabetic and non-insulin-dependent diabetic subjects. Stroke 27:2033–2039.[Abstract/Free Full Text] 620. Toyry JP, Niskanen LK, Lansimies EA, Partanen KP, Uusitupa MI. (1996) Autonomic neuropathy predicts the development of stroke in patients with non-insulin-dependent diabetes mellitus. Stroke 27:1316–1318.[Abstract/Free Full Text] 621. Transient ischemic attack and stroke in a community-based diabetic cohort. Mayo Clin Proc (1983) 58:56–58.[ISI][Medline] 622. Laing SP, Swerdlow AJ, Carpenter LM, Slater SD, Burden AC, Botha JL, Morris AD, Waugh NR, Gatling W, Gale EA, Patterson CC, Qiao Z, Keen H. (2003) Mortality from 119 cerebrovascular disease in a cohort of 23 000 patients with insulin-treated diabetes. Stroke 34:418–421.[Abstract/Free Full Text] 623. Johnston CS, Sidney S, Bernstein AL, Gress DR. (2003) A comparison of risk factors for recurrent TIA and stroke in patients diagnosed with TIA. Neurology 28:280–285. 624. PROGRESS Collaborative Group. (2001) Randomized trial of a perindopril-based blood-pressure-lowering regimen among 6,105 individuals with previous stroke or transient ischaemic attack. Lancet 358:1033–1041.[CrossRef][ISI][Medline] 625. Colwell JA. (1997) Aspirin therapy in diabetes (Technical review). Diabetes Care 20:1767–1771.[ISI][Medline] 626. Sivenius J, Laakso M, Piekkinen Sr, Smets P, Lowenthal A. (1992) European stroke prevention study: effectiveness of antiplatelet therapy in diabetic patients in secondary prevention of stroke. Stroke 23:851–854.[Abstract] 627. Diener F, Coccheri S, Libretti A, et al. (1996) European stroke prevention study 2. Dipyridamole and acetylsalicylic acid in the secondary prevention of stroke. J Neurol Sci 143:1–13.[CrossRef][ISI][Medline] 628. Diener F, Bogousslavsky J, Brass LM, et al. (2004) Aspirin and clopidogrel compared with clopidogrel alone after recent ischaemic stroke or transient ischaemic attack in high-risk patients (MATCH): randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 364:331– 337.[CrossRef][ISI][Medline] 629. Bhatt DL, Fox KA, Hacke W, et al. for the CHARISMA Investigators. (2006) Clopidogrel and aspirin versus aspirin alone for the prevention of atherothrombotic events. N Engl J Med 354:1706–1717.[Abstract/Free Full Text] 630. Rockson SG and Albers GW. (2004) Comparing the guidelines: anticoagulation therapy to optimize stroke prevention in patients with atrial fibrillation. J Am Coll Cardiol 43:929– 935.[Abstract/Free Full Text] 631. Imray CH and Tiivas CA. (2005) Are some strokes preventable? The potential role of transcranial doppler in transient ischaemic attacks of carotid origin. Lancet Neurol 4:580– 586.[CrossRef][ISI][Medline] 632. Goldstein LB, Adams R, Becker K, et al. (2001) Primary prevention of ischemic stroke. A statement for health care professionals from the stroke council of the American Heart Association. Stroke 32:280–293.[Free Full Text] 633. Tu JV, Wang H, Bowyer B, Green L, Fang J, Kucey D. (2003) Risk factors for death or stroke after carotid endarterectomy. Observations from the Ontario Carotid Endarterectomy Registry. Stroke 34:2568–2573.[Abstract/Free Full Text] 634. Goodney PP, Schermehorn ML, Powell RJ. (2006) Current status of carotid artery stenting. J Vasc Surg 43:406–411.[CrossRef][ISI][Medline] 120 635. Wardlaw JM, delZoppo GJ, Yamaguchi T. (2002) Thrombolysis in acute ischemic stroke (Cochrane review). The Cochrane LibraryOxford Update Software Issue 2. 636. Sulter G, Elting JW, Langedijk M, et al. (2003) Admitting acute ischemic stroke patients to a stroke care monitoring unit versus a conventional stroke unit: a randomized pilot study. Stroke 34:101–104.[Abstract/Free Full Text] 637. European Stroke Initiative Executive and Writing Committee. (2003) The European stroke initiative recommendations for stroke management: update 2003. Cerebrovasc Dis 314:1303–1306. 638. Thorell A, Nygren J, Ljungqvist O. (1999) Insulin resistance: a marker of surgical stress. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 21:69–78. 639. McCowen KC, Malhotra A, Bistrian BR. (2001) Stress-induced hyperglycaemia. Crit Care Clin 17:107–124.[CrossRef][ISI][Medline] 640. Hill M and McCallum R. (1991) Altered transcriptional regulation of phosphoenolpyruvate carboxykinase in rats following endotoxin treatment. J Clin Invest 88:811–816.[ISI][Medline] 641. Khani S and Tayek JA. (2001) Cortisol increases gluconeogenesis in humans: its role in the metabolic syndrome. Clin Sci (Lond.) 101:739–747.[Medline] 642. Watt MJ, Howlett KF, Febbraio MA, et al. (2001) Adrenalin increases skeletal muscle glycogenolysis, pyruvate dehydrogenase activation and carbohydrate oxidation during moderate exercise in humans. J Physiol 534:269–278.[Abstract/Free Full Text] 643. Flores EA, Istfan N, Pomposelli JJ, et al. (1990) Effect of interleukin-1 and tumor necrosis factor/cachectin on glucose turnover in the rat. Metabolism 39:738– 743.[CrossRef][ISI][Medline] 644. Sakurai Y, Zhang XJ, Wolfe RR. (1996) TNF directly stimulates glucose uptake and leucine oxidation and inhibits FFA flux in conscious dogs. Am J Physiol 270:E864–E872. 645. Lang CH, Dobrescu C, Bagby GJ. (1992) Tumor necrosis factor impairs insulin action on peripheral glucose disposal and hepatic glucose output. Endocrinology 130:43–52.[Abstract] 646. Capes SE, Hunt D, Malmberg K, et al. (2000) Stress hyperglycaemia and increased risk of death after myocardial infarction in patients with and without diabetes: a systematic overview. Lancet 355:773–778.[CrossRef][ISI][Medline] 647. Muhlestein JB, Anderson JL, Horne BD, et al. (2003) Effect of fasting glucose levels on mortality rate in patients with and without diabetes mellitus and coronary artery disease undergoing percutaneous coronary intervention. Am Heart J 146:351– 358.[CrossRef][ISI][Medline] 121 648. Suematsu Y, Sato H, Ohtsuka T, et al. (2000) Predictive risk factors for delayed extubation in patients undergoing coronary artery bypass grafting. Heart Vessels 15:214– 220.[CrossRef][ISI][Medline] 649. Krinsley JS. (2003) Association between hyperglycaemia and increased hospital mortality in a heterogeneous population of critically ill patients. Mayo Clin Proc 78:1471– 1478.[ISI][Medline] 650. Faustino EV and Apkon M. (2005) Persistent hyperglycaemia in critically ill children. J Pediatr 146:30–34.[CrossRef][ISI][Medline] 651. Capes SE, Hunt D, Malmberg K, et al. (2001) Stress hyperglycaemia and prognosis of stroke in nondiabetic and diabetic patients: a systematic overview. Stroke 32:2426– 2432.[Abstract/Free Full Text] 652. Rovlias A and Kotsou S. (2000) The influence of hyperglycaemia on neurological outcome in patients with severe head injury. Neurosurgery 46:335–342.[ISI][Medline] 653. Jeremitsky E, Omert LA, Dunham M, et al. (2005) The impact of hyperglycaemia on patients with severe brain injury. J Trauma 58:47–50.[ISI][Medline] 654. Yendamuri S, Fulda GJ, Tinkoff GH. (2003) Admission hyperglycaemia as a prognostic indicator in trauma. J Trauma 55:33–38.[ISI][Medline] 655. Laird AM, Miller PR, Kilgo PD, et al. (2004) Relationship of early hyperglycaemia to mortality in trauma patients. J Trauma 56:1058–1062.[ISI][Medline] 656. Gore DC, Chinkes D, Heggers J, et al. (2001) Association of hyperglycaemia with increased mortality after severe burn injury. J Trauma 51:540–544.[ISI][Medline] 657. Ingels C, Debaveye Y, Milants I, Buelens E, Peeraer A, Devriendt Y, Vanhoutte T, Van Damme A, Schetz M, Wouters PJ, Van den Berghe G. (2006) Strict blood glucose control with insulin during intensive care after cardiac surgery: impact on 4-years survival, dependency on medical care, and quality-of-life. Eur Heart J 27:2716–2724.[Abstract/Free Full Text] 658. Van den Berghe G, Schoonheydt K, Becx P, et al. (2005) Insulin therapy protects the central and peripheral nervous system of intensive care patients. Neurology 64:1348– 1353.[Abstract/Free Full Text] 659. Van den Berghe G, Wilmer A, Hermans G, et al. (2006) Intensive insulin therapy in the medical ICU. N Engl J Med 354:449–461.[Abstract/Free Full Text] 660. Krinsley JS. (2004) Effect of an intensive glucose management protocol on the mortality of critically ill adult patients. Mayo Clin Proc 79:992–1000.[ISI][Medline] 661. Grey NJ and Perdrizet GA. (2004) Reduction of nosocomial infections in the surgical intensive-care unit by strict glycaemic control. Endocr Pract 10:Suppl. 2, 46–52. 122 662. Furnary AP, Wu Y, Bookin SO. (2004) Effect of hyperglycaemia and continuous intravenous insulin infusions on outcomes of cardiac surgical procedures: the Portland Diabetic Project. Endocr Pract 10:Suppl. 2, 21–33. 663. Chaney MA, Nikolov MP, Blakeman BP, Bakhos M. (1999) Attempting to maintain normoglycaemia during cardiopulmonary bypass with insulin may initiate postoperative hypoglycaemia. Anesth Analg 89:1091–1095.[Abstract/Free Full Text] 664. Carvalho G, Moore A, Qizilbash B, et al. (2004) Maintenance of normoglycaemia during cardiac surgery. Anesth Analg 99:319–324.[Abstract/Free Full Text] 665. Van den Berghe G, Wouters PJ, Bouillon R, et al. (2003) Outcome benefit of intensive insulin therapy in the critically ill: insulin dose versus glycaemic control. Crit Care Med 31:359–366.[CrossRef][ISI][Medline] 666. Finney SJ, Zekveld C, Elia A, et al. (2003) Glucose control and mortality in critically ill patients. JAMA 290:2041–2047.[Abstract/Free Full Text] 667. Klip A, Tsakiridis T, Marette A, Ortiz PA. (1994) Regulation of expression of glucose transporters by glucose: a review of studies in vivo and in cell cultures. FASEB J 8:43– 53.[Abstract] 668. Van den Berghe G. (2004) How does blood glucose control with insulin save lives in intensive care? J Clin Invest 114:1187–1195.[Abstract/Free Full Text] 669. Vanhorebeek I, De Vos R, Mesotten D, et al. (2005) Strict blood glucose control with insulin in critically ill patients protects hepatocytic mitochondrial ultrastructure and function. Lancet 365:53–59.[CrossRef][ISI][Medline] 670. Langouche L, Vanhorebeek I, Vlasselaers D, et al. (2005) Intensive insulin therapy protects the endothelium of critically ill patients. J Clin Invest 115:2277– 2286.[Abstract/Free Full Text] 671. Weekers F, Giuletti A-P, Michalaki M, et al. (2003) Endocrine and immune effects of stress hyperglycaemia in a rabbit model of prolonged critical illness. Endocrinology 144:5329– 5338.[Abstract/Free Full Text] 672. Mesotten D, Swinnen JV, Vanderhoydonc F, et al. (2004) Contribution of circulating lipids to the improved outcome of critical illness by glycaemic control with intensive insulin therapy. J Clin Endocrinol Metab 89:219–226.[Abstract/Free Full Text] 673. Hansen TK, Thiel S, Wouters PJ, et al. (2003) Intensive insulin therapy exerts antiinflammatory effects in critically ill patients, as indicated by circulating mannose-binding lectin and C-reactive protein levels. J Clin Endocrinol Metab 88:1082–1088.[Abstract/Free Full Text] 674. Das UN. (2003) Insulin: an endogenous cardioprotector. Curr Opin Crit Care 9:375– 383.[CrossRef][Medline] 123 675. Jonassen A, Aasum E, Riemersma R, et al. (2000) Glucose-insulin-potassium reduces infarct size when administered during reperfusion. Cardiovasc Drugs Ther 14:615– 623.[CrossRef][ISI][Medline] 676. Gao F, Gao E, Yue T, et al. (2002) Nitric oxide mediates the antiapoptotic effect of insulin in myocardial ischaemia-reperfusion: the role of PI3-kinase, Akt and eNOS phosphorylation. Circulation 105:1497–1502. 677. Jonassen A, Sack M, Mjos O, Yellon D. (2001) Myocardial protection by insulin at reperfusion requires early administration and is mediated via Akt and p70s6 kinase cell-survival signalling. Circ Res 89:1191–1198.[Abstract/Free Full Text] 678. Bothe W, Olschewski M, Beyersdorf F, Doenst T. (2004) Glucose-insulin-potassium in cardiac surgery: a meta-analysis. Ann Thorac Surg 78:1650–1657.[Abstract/Free Full Text] 679. Pagano E, Brunetti M, Tediosi F, et al. (1999) Costs of diabetes. A methodological analysis of the literature. Pharmacoeconomics 15:583–595.[CrossRef][ISI][Medline] 680. Songer TJ. (1992) The economic costs of NIDDM. Diabetes Metab Rev 8:389– 404.[ISI][Medline] 681. American Diabetes Association. (1987) Direct and indirect costs of diabetes in the United States in 1987(ADA, Alexandria, VA). 682. American Diabetes Association. (1994) Standards of medical care for patients with diabetes mellitus. American Diabetes Association. Diabetes Care 17:616–623.[ISI][Medline] 683. American Diabetes Association. (1998) Economic consequences of diabetes mellitus in the U.S. in 1997. American Diabetes Association. Diabetes Care 21:296–309.[Abstract] 684. Hogan P, Dall T, Nikolov P. (2003) Economic costs of diabetes in the US in 2002. Diabetes Care 26:917–932.[Abstract/Free Full Text] 685. Huse DM, Oster G, Killen AR, et al. (1989) The economic costs of non-insulindependent diabetes mellitus. JAMA 262:2708–2713.[Abstract] 686. Kegler MC, Lengerich EJ, Norman M, et al. (1995) The burden of diabetes in North Carolina. N C Med J 56:141–144.[Medline] 687. Rubin RJ, Altman WM, Mendelson DN. (1994) Health care expenditures for people with diabetes mellitus, 1992. J Clin Endocrinol Metab 78:809A–809F. 688. Warner DC, McCandless RR, De Nino LA, et al. (1996) Costs of diabetes in Texas, 1992. Diabetes Care 19:1416–1419.[Abstract] 689. Barcelo A, Aedo C, Rajpathak S, et al. (2003) The cost of diabetes in Latin America and the Caribbean. Bull World Health Organ 81:19–27.[ISI][Medline] 690. Chale SS, Swai AB, Mujinja PG, et al. (1992) Must diabetes be a fatal disease in Africa? Study of costs of treatment. BMJ 304:1215–1218.[ISI][Medline] 124 691. Dawson KG, Gomes D, Gerstein H, et al. (2002) The economic cost of diabetes in Canada, 1998. Diabetes Care 25:1303–1307.[Abstract/Free Full Text] 692. Lin T, Chou P, Lai MS, et al. (2001) Direct costs-of-illness of patients with diabetes mellitus in Taiwan. Diabetes Res Clin Pract 54:Suppl. 1, S43–S46. 693. McKendry JB. (1989) Direct costs of diabetes care: a survey in Ottawa, Ontario 1986. Can J Public Health 80:124–128.[ISI][Medline] 694. Phillips M and Salmeron J. (1992) Diabetes in Mexico—a serious and growing problem. World Health Stat Q 45:338–346.[Medline] 695. Gerard K, Donaldson C, Maynard AK. (1989) The cost of diabetes. Diabet Med 6:164– 170.[ISI][Medline] 696. Gray A, Fenn P, McGuire A. (1995) The cost of insulin-dependent diabetes mellitus (IDDM) in England and Wales. Diabet Med 12:1068–1076.[ISI][Medline] 697. Henriksson F and Jonsson B. (1998) Diabetes: the cost of illness in Sweden. J Intern Med 244:461–468.[CrossRef][ISI][Medline] 698. Henriksson F, Agardh CD, Berne C, et al. (2000) Direct medical costs for patients with type 2 diabetes in Sweden. J Intern Med 248:387–396.[CrossRef][ISI][Medline] 699. Jonsson B. (1983) Diabetes—the cost of illness and the cost of control. An estimate for Sweden 1978. Acta Med Scand Suppl 671:19–27.[Medline] 700. Kangas T, Aro S, Koivisto VA, et al. (1996) Structure and costs of health care of diabetic patients in Finland. Diabetes Care 19:494–497.[Abstract] 701. Lucioni C, Garancini MP, Massi-Benedetti M, et al. (2003) The costs of type 2 diabetes mellitus in Italy: a CODE-2 sub-study. Treat Endocrinol 2:121–133.[CrossRef][Medline] 702. Oliva J, Lobo F, Molina B, et al. (2004) Direct health care costs of diabetic patients in Spain. Diabetes Care 27:2616–2621.[Abstract/Free Full Text] 703. Spri, Diabetesvården i vågskålen. (1997) Yngre och medelålders diabetiker rapporterar om vårdutnyttjande, ekonomi och kvalitet. (Stockholm, Spri) Spri rapport 451, ISSN 0586– 1691. 704. Triomphe A, Flori YA, Costagliola D, et al. (1988) The cost of diabetes in France. Health Policy 9:39–48.[CrossRef][ISI][Medline] 705. Jonsson B. (1997) Health economic aspects of diabetes. Endocrinol Metab 4:Suppl. B, 135–137. 706. Jonsson B. (2002) Revealing the cost of Type II diabetes in Europe. Diabetologia 45:S5–S12.[CrossRef][ISI][Medline] 125 707. Williams R, Van Gaal L, Lucioni C. (2002) Assessing the impact of complications on the costs of Type II diabetes. Diabetologia 45:S13–S17.[CrossRef][ISI][Medline] 708. Jonsson B, Cook JR, Pedersen TR. (1999) The cost-effectiveness of lipid lowering in patients with diabetes: results from the 4S trial. Diabetologia 42:1293– 1301.[CrossRef][ISI][Medline] 709. Mihaylova B, Briggs A, Armitage J, et al. (2005) Cost-effectiveness of simvastatin in people at different levels of vascular disease risk: economic analysis of a randomized trial in 20,536 individuals. Lancet 365:1779–1785.[CrossRef][ISI][Medline] 710. Clarke PM, Gray AM, Briggs A, et al. (2005) Cost-utility analyses of intensive blood glucose and tight blood pressure control in type 2 diabetes (UKPDS 72). Diabetologia 48:868– 877.[CrossRef][ISI][Medline] 711. Casciano J, Doyle J, Casciano R, et al. (2001) The cost-effectiveness of doxazosin for the treatment of hypertension in type II diabetic patients in the UK and Italy. Int J Clin Pract 55:84–92.[ISI][Medline] 126