11 lugano cattedrale interno intro

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Arte sacra in Ticino
Schede di approfondimento
Chiesa Cattedrale di S. Lorenzo – Lugano
L’interno della Cattedrale
di mons. Franco Poretti
Dopo un lungo sguardo sulla facciata della Cattedrale, sguardo che si è trasformato in una
catechesi su Cristo, preannunciato dai Profeti, intravisto dalle Sibille, discendente da Davide e da
Salomone, nato dalla Vergine Maria e descritto dai quattro Evangelisti, noi, ora, varchiamo la
soglia del portale maggiore per entrare nell’interno della Cattedrale. Vuol essere una visita che non
solo ci metta a contatto della struttura e degli aspetti artistici del sacro monumento, ma in modo
speciale vuol essere aiuto e stimolo per rendere più cosciente e attiva la nostra partecipazione alle
solenni liturgie che si svolgono durante l’anno liturgico e renderci più convinti, come ci insegna la
Bibbia, che: “Questa è la Casa di Dio; è la Porta del cielo; è la Dimora che il Signore si è scelto tra
gli uomini” e, come ci ricorda un’iscrizione latina sulla facciata di una chiesa del Ticino, sia
(traduco) “Salvezza per chi entra e pace per chi esce”.
Prima di cominciare la visita, desidero fermarmi un momento ancora sulla facciata perché essa
non sorse con la costruzione dell’edificio, ma dopo, ossia a partire dal 1517. La domanda è lecita:
“Come era la prima facciata?”. Aveva una forma che appare da uno studio (vedi disegno nella
pagina precedente) dell’architetto Augusto Guidini, che diresse il restauro della Cattedrale tra gli
anni 1905 e 1910. Questa struttura da noi si vede in alcune chiese, ad es. nel Sottoceneri quella di
Arosio e nel Sopraceneri la chiesa di Ravecchia. In Italia ricordo, data la vicinanza ed il legame
antico religioso, il Duomo di Como. La struttura in parte è visibile da chi scende dalla stazione di
Lugano e dal cortile del Borghetto. Evidentemente, il Rinascimento volle affermarsi anche da noi
ed unendosi allo stile lombardo diede vita alla pur bella e dignitosa facciata della nostra Cattedrale.
Una seconda domanda è la seguente: “Perché si chiama Cattedrale la Chiesa di S. Lorenzo?”
Dapprima c’è da spiegare la parola Cattedrale. Deriva da una parola greca entrata poi in latino e
che significa sedia. E’ la sedia che è riservata al Vescovo ed assume un significato profondo in
quanto il Vescovo nella sua Diocesi è il maestro liturgico del suo Popolo. In antico, penso ad un
passaggio di un discorso di S. Agostino, il Vescovo, quando parlava ed insegnava al popolo, si
sedeva: era il segnale che egli, in quel momento esercitava ufficialmente il ruolo di Maestro. Del
resto il nome sedia con il significato spiegato è passato a quello di sede e la principale è quella del
Papa e che vien chiamata la Santa Sede.
Ma la nostra Cattedrale non ebbe sempre questo titolo. Dapprima (siamo nel nono secolo) sul colle
vi era una chiesa di piccole dimensioni che venne sostituita da una più grande in stile romanico: di
essa si vedono ancora oggi i pilastri e gli affreschi che li adornano. Per la presenza del Capitolo
dei Canonici la chiesa fu poi detta Collegiata (i canonici formano un Collegio). Poi per il fatto che le
terre ticinesi, escluse le Tre Valli, Tesserete e Brissago, erano dal profilo religioso governate dal
Vescovo di Como, costui aveva dato alla Collegiata anche il titolo di semi-cattedrale, ponendovi un
seggio. Fu soltanto nel 1888, quando il Canton Ticino, dal profilo religioso, si staccò da Como, che
la semi-cattedrale ricevette ufficialmente il titolo di Cattedrale.
Detto questo, ritenuto utile per il nostro popolo, possiamo varcare il bel portone di noce e gettare
uno sguardo all’interno così come appare fino ad oggi.
Il punto ideale per avere una visione d’assieme dell’interno della Cattedrale è la soglia del portone
centrale. Allora, davanti a noi, si presenta uno spazio di ca. 745 mq suddiviso in tre parti: la
centrale che parte dal portone maggiore e arriva fino alla parete dietro l’Altare nel settore chiamato
coro.
A destra e a sinistra, segnati da alcuni pilastri in stile romanico, appaiono due altri spazi minori.
Questi spazi si chiamano navate o navi: quella di mezzo è la navata centrale, le altre due son dette
navate laterali.
La navata centrale a sua volta si suddivide in tre parti: la più vasta è riservata al popolo quando
partecipa alla santa Liturgia; la seconda, quella che contiene l’Altare, è detta presbiterio cioè il
posto occupato dai presbiteri (preti) quando svolgono “il Servizio sacerdotale” con la Liturgia della
Parola e con quella Eucaristica. L’ultima parte, occupata dagli stalli dei Canonici, è detta coro ed è
riservata ad essi.
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Perché questi spazi son detti navate o navi? C’è certamente un riferimento ad alcuni fatti del
Vangelo avvenuti sul lago di Tiberiade. Buona parte degli Apostoli erano pescatori ed usavano
delle barche molto grandi che poi furono viste come delle navi da parte dei commentatori dei
Vangeli.
Matteo ad es. ricorda questo fatto: “Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare: si
cominciò a raccogliere attorno a Lui tanta gente che dovette salire su una barca. Là si pose a
sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose in parabole” (Mt
13, 1-2). Questo fatto si rinnova anche nelle nostre chiese durante la Liturgia della Parola: il prete
legge il Vangelo e lo commenta e la gente, seduta, lo ascolta. Il prete prende il posto di Cristo e gli
ascoltatori sono i fedeli radunati nella navata. Alcuni Padri della Chiesa hanno visto un simbolo
della Chiesa nella barca degli Apostoli quando, sbattuta da un’improvvisa tempesta, minacciava di
affondare. Ma vi era Gesù che riportò il mare ad una calma che stupì gli Apostoli. La barca o nave,
sballottata dalle onde diventava poi il simbolo delle molte difficoltà che la chiesa di Cristo ha
dovuto affrontare nella sua lunga storia. Anche nella barca che, dopo la risurrezione di Cristo, fu
strapiena di 153 grossi pesci, i Padri videro un simbolo positivo del lavoro, non sempre facile, che i
vescovi ed i preti di tutte le epoche devono affrontare, ma che Cristo premia, talvolta già quaggiù,
ma certamente nel Regno di suo Padre.
Ancora sulla soglia del portone centrale solleviamo la testa verso il soffitto che in antico era di
legno e ora appare a volta in stile romanico. Sulla decorazione dirò qualcosa in seguito. Se poi
spostiamo lo sguardo a destra ed a sinistra verso le navate laterali, vediamo che si suddividono a
loro volta in tre sezioni dette Cappelle: in totale 6, ma nel 1597 se ne contavano 12: così volevano
le idee del tempo! Un altro sguardo ci mostra un interno non unico dal profilo dello stile. Accanto
ad elementi di stile romanico (ad es. i pilastri), si affianca quello gotico nelle navate laterali e lo stile
tardo barocco nella Cappella della Madonna delle Grazie.
Chi si ferma sulla soglia del portale maggiore, non solo ha una visione d’assieme dell’interno della
Cattedrale, ma l’occhio vien attirato quasi irresistibilmente verso l’altare, centro ideale liturgico di
tutta la costruzione. Esso, infatti, ripropone il Cristo dell’ultima sua cena, il Cristo del Calvario e
quello della Risurrezione. Altare in cui ha valore speciale la mensa alla quale i fedeli, nel mistero e
con la fede, mangiano il corpo di Cristo e ne bevono il sangue, resi presenti dalle parole del
sacerdote, il quale, in obbedienza a Cristo, ripete le sue prodigiose parole dell’ultima cena sul
pane: “Questo è il mio corpo” e sul vino: “Questo il calice del mio sangue”, a cui aggiunge le altre
parole che giustificano quanto Gesù ha detto: “Fate questo in memoria di me”.
Ma presto, gli occhi vanno a posarsi sul Cristo crocifisso sotto l’elegante tronetto di marmo. La
croce è di legno dorato ed il Cristo è di bronzo e vi si trova dal 1747. Come in quasi tutti i crocifissi
il Cristo appare morto con il fianco squarciato da cui uscì sangue ed acqua dopo la lanciata del
soldato romano. Così Gesù, crocifisso e morto, appare come Colui che, in obbedienza al Padre,
ha compiuto il doloroso sacrificio per la salvezza eterna di tutti gli uomini.
E’ bene che il Crocifisso si trovi in quella posizione elevata e molto visibile. Infatti, oltre a farci
ricordare e poi rivivere nel mistero la morte sacrificale di Cristo, ci fa percepire l’enorme energia
che se ne sprigiona secondo le parole stesse di Gesù: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò
tutti a me” (Gv 12, 32).
Il Crocifisso ci rammenta anche le sue potenti qualità medicinali rese chiare da ciò che Gesù disse
a Nicodemo nel famoso colloquio notturno registrato da Giovanni: “Come Mosé innalzò il serpente
nel deserto così è necessario che il Figlio dell’uomo sia elevato” (Gv 3, 14). Nel deserto il serpente
di bronzo fu medicina per coloro che dai serpenti erano stati morsicati. Sulla croce Cristo fu e resta
la sicura medicina che realizza molto bene un’antica preghiera di S. Tommaso d’Aquino: “Dammi,
Signore, un cuore nobile che mai basso affetto seduca; un cuore retto che nessuna mala
intenzione contamini, un cuore saldo che per le tribolazioni non s’infranga, un cuore libero che a
torbide passioni non ceda”.
Il Crocifisso forma così un “unicum” con l’Altare. In certi momenti di riflessione, con la fantasia,
vedo partire dall’Altare un raggio diretto verso la Cappella della Madonna delle Grazie, dove vien
conservata l’Eucaristia ed un secondo raggio che raggiunge direttamente l’attuale Cappella di
santa Lucia ed Apollonia, dove, sempre nella fantasia, mi sembra di scorgere il Fonte Battesimale.
Si forma così un “mistico triangolo” in cui nasce l’Eucaristia e da cui sgorga la Vita nuova dei figli
adottivi di Dio per mezzo del battesimo.
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L’interno della Cattedrale (prima era Collegiata) lungo i secoli ha subito diverse trasformazioni. Gli
interventi non sempre riescono a farci capire oggi i motivi. Così sono ad esempio le navate laterali
che, con il loro stile gotico, in alcune parti ancora visibile, si distinguono dalla navata centrale in
stile in parte romanico e in parte rinascimentale.
Così pure è il soffitto, che all’inizio era a cassettoni in legno e che venne sostituito con l’attuale.
Anche la pianta dell’edificio ha subito delle trasformazioni. La prima era in stile “sala”, cioè un
grande rettangolo e le due navate laterali finivano con due cappelle, tolte nel restauro del 19051910. Tale pianta assomigliava a quella del duomo di Modena, il quale aveva pure la facciata a
salienti come era quella della nostra Cattedrale, quando venne sostituita a far data dal 1517 con
quella attuale.
E’ forse azzardato pensare che l’architetto delle due costruzioni sia il medesimo oppure che si tratti
di una copiatura, quando, allora, non esistevano i diritti d’autore?
In seguito, le pareti nord furono sfondate per costruirvi tre cappelle (san Pietro martire; Madonna
delle Grazie, dapprima dedicata alla Madonna Assunta, che ebbe in seguito l’imponente attuale
trasformazione; e san Crispino).
Attorno al 1650 seguì lo sfondamento della parete sud con altre tre cappelle: santo Stefano, santa
Lucia e san Nicola).
La parola “cappella” ha un’origine molto particolare e poco nota. Il nome è collegato ad una piccola
costruzione, in cui era custodita e venerata la “cappa” o mantello del famoso vescovo di Tours san
Martino. Da qui ebbe il nome di cappella ogni costruzione minore all’interno di una chiesa o anche
al di fuori, come se ne vedono nelle nostre vallate o villaggi. Nella Collegiata di San Lorenzo
l’inserimento di varie cappelle fu determinato dalla presenza dei canonici per la celebrazione della
Messa, considerato il fatto che non c’era ancora l’uso della concelebrazione.
Di regola, le cappelle della nostra Collegiata, diventata poi Cattedrale con la fondazione della
Diocesi, erano sotto il Patronato di alcune ricche famiglie di Lugano, come si vedrà in seguito;
oppure, come la cappella di san Crispino, sotto il patronato di una corporazione del borgo.
I patroni, oltre ad assicurare vari legati per Messe, avevano il privilegio di seppellirvi i loro morti.
Dirò pure che, secondo documenti d’archivio, la corsia della navata centrale era destinata alla
sepoltura dei canonici.
Era uso antichissimo quello di seppellire i morti all’interno delle chiese o nei cimiteri adiacenti. Non
era ancora stato promulgato il famoso decreto napoleonico di St. Cloud (1804) che, per motivi di
igiene, decise di seppellire fuori dell’abitato. Forse qualcuno ricorda la reazione di Ugo Foscolo che
nel carme dei “Sepolcri” biasimò il decreto nei noti versi: “Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi e il nome a’ morti contende” (Dei Sepolcri 51, 53).
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