N OTE AL PROGRAMMA “Le vetrate della Cattedrale” DI NADYR VIETTI La memoria di un popolo sta certo negli orizzonti, nei volti, tra i contorni immutabili delle montagne, ma non di meno nei luoghi silenziosi e ombrosi dove si concentra il pensiero di Dio. Le idee sulla trascendenza si alimentano in due bacini temporali lontani: l’uno remoto, l’altro futuro. Nadyr Vietti per la sua musica sceglie il primo, scovando, nel baule dei ricordi, detriti d’immagini legate alle sue frequentazioni, da bambino, della Cattedrale di Aosta in compagnia del nonno. Nessun episodio da narrare riaffiora, né alcuna urgenza descrittiva, ma solo il desiderio di evocare per mezzo dei suoni le effigi variopinte di Profeti e Santi, della Vergine e del Cristo crocifisso trasformate in un caleidoscopio di colori dall’immaginario fantastico di una giovane sensibilità estetica. Parafrasando Marcel Proust, Vietti nelle note de “Le vetrate della Cattedrale” riconosce quei colori: udendoli, prima nella mente che nello spazio, suscitano in lui tutta una vita che la sua immaginazione aveva occultato, ch’essa raccoglie in quegli istanti e gusta, non sa se nelle cromie sonore che scrive o negli stessi colori che la sua memoria gli presenta…Un’operazione di evocazione dunque, che riconduce e mescola il passato al presente transitando e raccogliendo impronte emozionali lungo l’intera storia dell’artista e della sua gente. Il filo della trama è guidato dal potere del canto, della melodia continuamente trasformata, come le campiture tra i contorni delle figure vitree, dal passaggio da uno strumento all’altro in un gioco di diffrazioni luminose, di timbri ora più affilati, ora caldi e avvolgenti. SEGUE L’opera è suddivisa in due movimenti, ciascuno dei quali, secondo una libera speculazione contrappuntistica, è ulteriormente sezionato in episodi dall’espressività circostanziata, che ha origine da rallentamenti del tactus, rarefazioni della scrittura, impiego di effetti timbrici come i pizzicati e l’uso di sordine, mutazioni del metro; il tutto è percepito come unitario grazie a un solido collante tematico. Nella prima parte, in sol minore, si riconosce una cellula germinale che parte da una nota ferma e leggera, subito vivificata da un ritmo dattilico (lunga-breve-breve) che costituirà il motore di gran parte del seguito. Grande importanza è attribuita dal compositore, come sua consuetudine, al potenziale espressivo di legni e ottoni impegnati, in momenti diversi, in colorite dialettiche paritarie, nell’impastare macchie di colori plumbei o nel declamare solenni, cerimoniose sentenze musicali. Il secondo movimento sembra seguire un percorso, seppur incidentato, di emersione dalle tenebre alla luce, da una certa indeterminatezza tonale a un luminoso do maggiore, da un’orchestrazione franta in filamenti sonori isolati, incerti e interrogativi verso un compatto, asseverativo serrare le fila. Corre lungo tutta la composizione una vena introspettiva melanconica, attenta alla cura di ogni dettaglio e insieme uno spirito fiero che richiama, per modi epici, un tempo che non è più. Gianni Nuti 58° Anniversario della proclamazione Repubblica italiana della