Note sul programma di sala Il concerto inizia con “O dolce vita mia” di Adrian Willaert, compositore fiammingo vissuto a cavallo fra il XV e il XVI secolo, che dette un notevole contributo allo sviluppo del mottetto e del madrigale; in questo brano un giovane innamorato esprime in un antico linguaggio “napolitano” il suo dolore per le dure parole della sua amata (“Che t’aggio fatto che mi minacci ogn’hor con tue parole”). Di John Wilbye, musicista inglese vissuto fra il ‘500 e il ‘600, è il secondo brano dedicato alla bellezza di Amarilli. Al tatto è dedicata “Sentomi la formicula”, divertente composizione tratta dalla raccolta di carattere popolareggiante “Villotte del fiore” di Filippo Azzaiolo, compositore del XVI secolo che con questo genere ha contribuito allo sviluppo del madrigale cinquecentesco. Vista e tatto sono rappresentati dalle due composizioni di Orlando di Lasso, uno dei grandi maestri della polifonia, vissuto a Napoli fra il 1549 e il ’52: “O occhi manza mia” e “Matona mia cara”; in quest’ultima un lanzichenecco ubriaco esprime, in un italiano deturpato (“Matona mia cara mi follere canzon”), il suo audace corteggiamento verso la donna amata. Si passa al ‘900 con Paul Hindemith, eclettico musicista tedesco nel cui stile musicale appare radicato il senso della tonalità che lo colloca non fra i musicisti di tendenze neoclassiche ma piuttosto come progressivo restauratore della tradizione tedesca. Molto affascinante il gioco di colori musicali e di dinamiche che creano l’atmosfera e la rappresentazione visiva del cigno, dolce immagine in movimento che si rispecchia nell’acqua come la persona amata si rispecchia navigando nella nostra anima. L’olfatto è ben rappresentato nel successivo brano, un divertente canone a tre voci di Henry Aldrich, musicista vissuto a cavallo fra il ‘600 e il ‘700, nel quale si racconta delle caratteristiche e delle “imprese” del naso di Tom Jolly. John Farmer, compositore inglese del XVII secolo, è l’autore di “Fair Nymphs”,brano a sei voci che rappresenta un’altra testimonianza del senso dell’udito. Fino ad ora è mancato uno dei sensi più…gradevoli ed importanti: il gusto, che entra con impeto nel programma con il canone “Essen trinken das erhält” di Wolfgang Amadeus Mozart, gioiosa composizione nella quale si sottolinea il fondamentale ruolo del bere nella vita dell’uomo e con il “Tourdion”, antico brano francese di autore anonimo, nel quale il coro, iniziando a mezza voce, pian piano cresce fino all’esplosione finale come a simboleggiare un progressivo stato di felice ebbrezza. Poche spiegazioni sono necessarie per il successivo pezzo “Viva viva la bottiglia”, allegro canone a tre voci maschili di Antonio Salieri, che ci fa poi ritornare alla vista con “Son confusa pastorella” a tre voci femminili. Una particolare composizione di Orlando di Lasso “Oh, che bon eccho” mostra il divertente effetto dell’eco rappresentato da due distinti gruppi di coristi che, posizionati in diverse parti della sala, realizzano questo strano effetto uditivo. I tre brani conclusivi meritano una particolare attenzione perché composti da un Autore contemporaneo che, presente in sala, elabora la parte elettronica e le proiezioni che “entrano” nei quadri di Anita Ottner che ne hanno ispirato la parte musicale. Le composizioni di Stefano Busiello sono costituite da una componente elettronica che si affianca al coro accompagnato dal pianoforte. La musica è stata composta appositamente per il Coro Polifonico Universitario di Napoli; questo concerto rappresenta quindi la prima esecuzione in assoluto di queste tre composizioni. L’Autore ha evitato uno stile sperimentale con forti dissonanze e ha preferito uno stile accordale rispetto a quello contrappuntistico. Ciò ha creato una musica formata dalla concomitanza di due linguaggi molto lontani: quello della musica elettronica (in cui non esiste né armonia né melodia e i concetti di suono e di ritmo sono completamente stravolti) e quello della musica cantata dal coro (in un linguaggio quasi tonale, benché caratterizzato da frequenti risoluzioni eccezionali). Ma questi due linguaggi, data la loro diversità, non si disturbano, anzi si integrano e si fondono. Il progetto artistico di cui fanno parte queste tre composizioni parte da un’idea della pittrice viennese contemporanea Anita Ottner che ha dipinto una serie di quadri aventi come tema comune dei bambini con delle conchiglie. Ispirato da questi quadri, Giuseppe De Chiara ha scritto delle poesie in latino. Si tratta però di un latino non classico, ma popolare, simile al latino volgare (ciò è evidente soprattutto in Perlmuttschnecke). Questo latino dà alla poesia un carattere popolaresco e semplice che rispecchia la semplicità e l’ingenuità dei bambini raffigurati nei quadri. La bellezza e la grazia di questi bambini ha ispirato a Giuseppe De Chiara delle poesie aventi come tematica di sottofondo la caducità delle cose belle ma soggette all’inesorabilità del tempo e contemporaneamente l’eternità dei sentimenti come l’amore di un padre verso la figlia che le augura giorni radiosi (candida) anche quando egli non ci sarà più (Esther mit muschel) o l’amore di un marito (Perlmuttschnecke) verso la sua sposa infedele il quale rinuncia a tutte le sue ricchezze per riaverla con sé. Queste opere sono costituite da una parte video in cui, con dei filmati molto semplici e privi di effetti speciali, si “viaggia” nel quadro a cui la composizione si ispira. Si è così realizzata un’opera che rappresenta la fusione di tre arti: musica, pittura e poesia, venendo quindi incontro al filo conduttore di tutto il concerto, ossia “I cinque sensi A cura di Sergio Majocchi della Musica”.