Re v i vpeorrtag e con e nl a s m Trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (aHSCT) in caso di sclerosi multipla Il trattamento di pazienti con forme gravi di SM continua a essere difficile. In questi casi il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (aHSCT) consente di arrestare del tutto o quasi la malattia. In questa terapia le cellule staminali vengono impiegate con successo da molto tempo, ma in generale essa non si è ancora imposta come metodo. Di seguito vengono descritti gli aspetti più importanti del trattamento, le possibilità e le sfide che presenta. Una versione breve di questa relazione è riportata sul numero 3 2013 di FORTE. Introduzione Malgrado i grandi progressi nel trattamento della sclerosi multipla e l’introduzione di molti nuovi medicamenti negli ultimi anni, per una ridotta percentuale di persone con SM il decorso della malattia è così grave che anche le terapie più efficaci come natalizumab, citostatico, mitoxantrone o ciclofosfamide non si dimostrano del tutto efficaci. La procedura da adottare in questo caso, dopo aver aumentato l’intensità del trattamento e spesso dopo l’uso di medicamenti non ancora autorizzati per la SM, resta un problema importante nella terapia contro questa malattia. Le alternative sono l’adozione della terapia causale limitandosi al trattamento dei maggiori sintomi, come ad esempio la spasticità o l’affaticamento, oppure il ricorso al trattamento aHSCT, che da 1 | N° 3 | Agosto 2013 tempo viene impiegato con successo nel trattamento della leucemia. Da oltre 20 anni il metodo aHSCT è sperimentato in Europa e in Nord America su pazienti con forme gravi di SM e ulteriormente sviluppato. Finora oltre 1000 pazienti sono stati trattati con l’aHSCT. Sulla base dei risultati di molteplici studi clinici e dell’analisi dei dati relativi alle diverse procedure, ora si è in grado di valutare l’aHSCT in modo sufficientemente ponderato da poterlo prevedere come buona terapia alternativa nei suddetti casi di SM grave, in presenza di determinate condizioni. L’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare l’esecuzione pratica dell’aHSCT, il suo effetto e i possibili effetti collaterali, i pazienti più adatti al trattamento e le fasi pratiche da adottare se si sceglie l’aHSCT come possibile trattamento. v i v e r e au con s klla an sm g SM – una malattia autoimmune La SM è una tipica malattia autoimmune organo-specifica: in altre parole, il sistema immunitario del paziente attacca i tessuti corporei. Nel caso della SM vengono attaccate le strutture proteiche o gli antigeni nel cervello e nel midollo osseo (sistema nervoso centrale o SNC). Normalmente la funzione del sistema immunitario è quella di proteggerci dagli agenti patogeni come virus e batteri. In presenza di condizioni non ancora accertate, che comprendono infezioni virali e fattori genetici, può avvenire che le cellule immunitarie non tollerino più le strutture del corpo, ma le attacchino. In questo caso gli immunologi parlano di possibilità di malattia autoimmune dovuta alla compromissione dell’immunotolleranza. Processi simili si hanno nei casi delle allergie, con la differenza che in questo caso le iperimmunizzazioni che provocano la malattia si rivolgono contro le proteine dei peli dei gatti, gli acari della polvere, i semi di determinate piante o strutture simili. Nel caso della SM l’iperimmunizzazione è rivolta contro il tessuto dell’SNC, e viene trasmessa principalmente dai cosiddetti linfociti T helper, una particolare tipologia di globuli bianchi. La reazione determina a sua volta altri meccanismi infiammatori e cellule infiammatorie. Si ritiene che il processo sia innescato da una infezione virale, provocata da determinati virus come ad esempio il virus di Epstein-Barr, che provoca la mononucleosi infettiva. Probabilmente però tra i fattori scatenanti possono rientrare molti altri virus che provocano infezioni delle vie aeree superiori o influenza. Inoltre il soggetto deve avere una determinata predisposizione genetica. Come tutti i disturbi ricorrenti, la SM rientra nelle malattie genetiche complesse: in altre parole, la combinazione di molti geni, probabilmente varie centinaia, può provocare un maggiore rischio di sviluppare la SM. Una situazione simile si osserva con altre malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1, l’artrite reumatoide o le patologie intestinali infettive, anche se in questo caso la combinazione di geni a rischio e FORTE fattori ambientali è leggermente diversa, e pertanto la reazione immunitaria si rivolge contro il pancreas o le articolazioni. Se la SM si è manifestata con un primo attacco, o come accade di solito, era già presente in precedenza senza che il paziente o il medico se ne accorgessero, le cellule T helper si sono attivate e anziché rivolgersi contro il virus scatenante, aggrediscono le strutture proteiche o determinate sostanze dell’SNC, danneggiandone i tessuti. Con l’andare del tempo queste cellule T autoreattive si moltiplicano e si attivano sempre più facilmente, ogni volta che vengono attivate da una nuova infezione virale o dalla liberazione di autoantigeni dell’SNC. Si verifica così una reazione a cascata, che di solito non è più in grado di arrestarsi da sola e provoca la distruzione di una parte di tessuto sempre maggiore dell’SNC. Di conseguenza i pazienti soffrono di attacchi e disfunzioni neurologiche. L’obiettivo del trattamento di una malattia di questo tipo dovrebbe essere quello di impedire quanto prima il circolo di attivazione crescente di cellule immunitarie autoreattive, disattivare o eliminare queste cellule e ripristinare la condizione normale del sistema immunitario, in modo che non attacchi i tessuti del corpo: in altre parole, ripristinare la tolleranza immunitaria. In che cosa consiste il trattamento aHSCT? Proprio questo ultimo punto è l’obiettivo del trattamento aHSCT. Per comprendere come funziona, è necessario citare alcune informazioni generali sullo sviluppo dell’aHSCT. Nell’ambito deIle affezioni cancerogene a carico del sistema ematico (leucemie, linfomi), ma anche di altre patologie tumorali, si cerca di eliminare completamente le cellule tumorali attraverso una chemioterapia il più possibile aggressiva, per eliminare il cancro. Il grande problema di questa procedura era che i medicamenti utilizzati non uccidono soltanto le cellule tumorali, ma anche altre cellule che si dividono molto rapidamente, come ad esempio le cellule dell’intestino o del sistema ematico. Pertanto la terapia contro il tumore elimina anche cellule sane e vitali, e in particolare le cellule immunitarie. Queste ci difendono dagli agenti patogeni con i quali siamo confrontati quotidianamente dall’esterno o che sono persino presenti sia all’interno (intestino, vie respiratorie e altri organi) sia all’esterno del nostro corpo (cute). Ne consegue che il risultato della chemioterapia è quello di esporre il paziente alle infezioni, il che provoca infezioni pericolose, a volte letali, nel giro di pochi giorni. Se oltre alle cellule immunitarie mature si eliminano anche le cellule staminali, ovvero le cellule presenti nel nostro midollo osseo, che compongono il sistema immunitario, la morte è inevitabile, in quanto prima o poi si verificherà una grave infezione. Più di 30 anni fa medici e studiosi hanno sviluppato una soluzione che consente di aggirare elegantemente questi problemi, che nel 1990 è valsa a E. Donnall Thomas il premio Nobel per la medicina: il trapianto di cellule staminali emopoietiche. Se prima della chemioterapia si prelevano al paziente le sue cellule staminali (autologhe) dal midollo osseo, e le si congela, dopo la chemioterapia aggressiva, che distrugge cellule tumorali, ematiche e immunitarie, è possibile scongelarle e risomministrarle attraverso una semplice infusione. In poche settimane/mesi da queste cellule progenitrici si ricostruirà la maggior parte della popolazione di cellule immunitarie, creando un «nuovo» sistema immunitario. Il paziente tornerà così a essere immunocompetente, ovvero a essere nuovamente in grado di controllare o evitare le infezioni in modo del tutto normale. Per tornare al problema iniziale: come trattare i pazienti affetti da SM aggressiva, il cui sistema immunitario per così dire «non segue le regole», ma attacca il cervello e il midollo spinale? Sulla base della premessa che abbiamo appena delineato relativamente allo sviluppo del trattamento HSCT, quasi 20 anni fa alcuni ematologi come Riccardo Saccardi e Athanassios Fassas, specialisti in trapianto di cellule N° 3 | Agosto 2013 | 2 vivere con la sm staminali come Richard Burt e neurologi come Gianluigi Mancardi, per citare solo pochi pionieri, hanno deciso di adottare una soluzione tanto semplice quanto logica: sostituire il sistema immunitario difettoso. A tal fine si adotta il metodo aHSCT che comprende la «raccolta» delle cellule staminali del corpo, l’eliminazione del sistema immunitario che non funziona correttamente e successivamente la ricostruzione di un nuovo sistema immunitario completamente tollerante. Nelle diverse forme di trapianto di cellule staminali ematopoietiche è importante fare la distinzione tra HSCT autologo (di cui stiamo scrivendo ora) e HSCT allogenico. Nel trattamento HSCT autologo al paziente vengono infuse le sue stesse cellule staminali, che hanno una buona compatibilità a lungo termine, ma comportano il rischio dovuto al fatto che si tratta delle proprie cellule, quindi potenzialmente a rischio SM dal punto di vista genetico. Nel trattamento HSCT allogenico si utilizzano cellule staminali di un’altra persona, ad esempio un fratello o altri familiari, che devono essere il più possibile istocompatibili con le cellule del ricevente. Dal momento che una tale istocompatibilità completa è rarissima, spesso si verificano le cosiddette reazioni immunologiche del trapianto contro l’ospite (Graft versus host), che possono avere diversa gravità. In questo caso il nuovo sistema immunitario generato presso il ricevente delle cellule immunitarie si rivolge contro l’ospite (Host) e ne attacca gli organi che percepisce come estranei. Per evitarlo, il ricevente di un trattamento HSCT allogenico deve essere sottoposto a terapia immunosoppressiva, che a sua volta causa una serie di problemi. Per i pazienti è importante sapere che il trattamento aHSCT presenta una mortalità, ovvero un rischio di morire in seguito al trattamento, pari a circa l’1,2%, mentre nell’allo-HSCT la percentuale sale al 7–10% o superiore. Pertanto in caso di SM o malattie autoimmuni l’allo-HSCT è fuori discussione. Il rischio di morte legato all’aHSCT è limitato al tempo immediata3 | N° 3 | Agosto 2013 mente precedente e successivo al trapianto, in cui il paziente si trova a essere completamente privo di protezione immunologica ed esposto a qualsiasi infezione. Se questo periodo viene superato, non sono necessari altri trattamenti. Il paziente viene riportato a uno stato simile a quello precedente alla malattia e inizia a ricostruire un nuovo sistema immunitario, come avviene in età infantile o giovanile. Infine si dovrebbe accertare, come nel frattempo è stato dimostrato in modo convincente anche dal nostro laboratorio, che nella maggior parte dei pazienti il trattamento aHSCT consente di ottenere veramente i risultati sperati, ovvero una sostituzione completa e un rinnovamento del sistema immunitario. In precedenza si erano eseguiti degli esperimenti su cavie animali che avevano dimostrato l’efficacia della terapia in diversi modelli, tuttavia per quanto riguarda la SM gli effetti positivi sono stati dimostrati solo nel 2005, una tappa fondamentale per la comprensione del meccanismo d’azione. Quali pazienti possono essere trattati con il metodo aHSCT? Il primo passo, nonché il più importante, è costituito dall’identificazione del paziente con SM dal decorso grave. In questo modo è possibile ponderare correttamente rischi e possibilità del trattamento aHSCT sulla base delle conoscenze scientifiche attuali. Senza citare tutti i dettagli degli intensi dibattiti tra gli esperti in Europa e Nord America, si possono elencare i seguenti aspetti: nel caso ideale i pazienti dovrebbero trovarsi nella fase di attacco della malattia (RRMS), o – se si prevede di trattare un paziente con decorso secondario progressivo (SPMS) o primario cronico progressivo (PPMS) – manifestare lesioni croniche all’SNC. Inoltre la percentuale di attacchi, la loro gravità e regressione incompleta, la sintomatologia della malattia (deficit motori gravi, disfunzioni del cervelletto o delle funzioni autonome) e i risultati dell’imaging a risonanza magnetica dovrebbero far presagire un decorso attivo/ aggressivo della SM. Tra gli altri fattori si considera anche l’età del paziente. Nei pazienti di età superiore ai 40–45 anni, per motivi non ancora chiariti si innesca un invecchiamento precoce delle cellule immunitarie, che riduce l’efficacia della generazione di un nuovo sistema immunitario e comporta maggiori rischi. Inoltre, come per tutti i trattamenti rivolti al sistema immunitario, è importante che l’aHSCT venga effettuato prima che venga danneggiata una quantità eccessiva di tessuti dell’SNC, e nel caso ideale fintantoché il paziente abbia una disabilità contenuta, ovvero pari a 4–5 punti nella scala EDSS. Pertanto il paziente dovrebbe essere trattato nei primi cinque, massimo 10 anni dalla diagnosi. I criteri elencati presentano un grave dilemma. Il gruppo di pazienti appena delineato è proprio quello per cui l’assunzione di sostanze già omologate ed efficaci come il natalizumab, e in futuro anche altre, darebbero risultati più promettenti. Pertanto la sfida è quella di sperimentare in un tempo accettabile e prima che il paziente raggiunga un grado considerevole di disabilità non soltanto le terapie iniziali standard (p. es. Interferon-beta, glatiramer-acetato, fingolimod o acido fumarico), bensì, qualora queste non dessero risultati, di passare a una sostanza più efficace, ad esempio il natalizumab, prima di optare per la terapia dimostratasi di gran lunga più efficace, il trattamento aHSCT, o perlomeno di prenderla in considerazione. Di solito questo processo dura troppo tempo e non viene portato avanti in modo sufficientemente deciso, e pertanto si perde la «window of opportunity» ottimale. Nel frattempo è stato chiaramente dimostrato che l’aHSCT è comunque in grado di attenuare il decorso della malattia negli stadi successivi dell’SPMS o PPMS, ma probabilmente in questo caso il rischio del trattamento non è compensato dai suoi possibili vantaggi. Per molti anni sono state trattate principalmente queste ultime categorie di pazienti, motivo per cui è anche stato necessario così tanto tempo per delineare il grande potenziale del trattamento. vivere con la sm In pratica, come viene eseguito l’aHSCT? Negli ultimi 20 anni sono stati analizzati nel dettaglio tutti i parametri dell’aHSCT, ad esempio il modo migliore per ottenere le cellule staminali (oggi si attingono dal sangue periferico attraverso una procedura simile alla donazione di sangue, chiamata leucaferesi), i medicamenti da utilizzare per eliminare il sistema immunitario e le modalità con cui proteggere i pazienti con antibiotici da infezioni dovute a virus e funghi durante la fase successiva al trapianto. Senza scendere troppo nel dettaglio, dopo molte discussioni tra esperti attualmente si è consolidata le seguente procedura, considerata il migliore compromesso tra elevata efficacia e buona tollerabilità: una volta identificato un paziente affetto da una forma grave di SM e discusso con lui in modo approfondito le altre terapie possibili, il trattamento aHSCT dovrebbe essere effettuato da un team interdisciplinare di specialisti in trapianti (solitamente ematologi o oncologi), specialisti in SM e personale infermieristico con formazione e preparazione ad hoc. L’indicazione e gli esami preliminari vengono effettuati da neurologi con esperienza nel settore. Successivamente il paziente viene visitato dall’ematologo al fine di escludere la presenza di patologie internistiche preesistenti, in particolare ematologiche/immunologiche. In caso di conformità di indicazione ed esclusione dei rischi, la fase successiva è il ricovero nel reparto ematologia/trapianti, dove per prima cosa si effettua la mobilizzazione delle cellule staminali con la somministrazione di un fattore di crescita e di un prodotto chemioterapico (ciclofosfamide). In seguito a questo trattamento, le cellule staminali ematopoietiche vengono immesse dal midollo osseo al sangue periferico, dove possono essere «raccolte» attraverso la suddetta leucaferesi, per poi essere congelate. Segue il trattamento con un cocktail di quattro citostatici, abbreviati con la sigla BEAM. Il risultato è la quasi totale eliminazione di tutte le cellule ematiche e immunitarie. Questa fase viene FORTE chiamata anche condizionamento. Successivamente vengono reinfuse le cellule ematiche scongelate del paziente e vengono somministrati una tantum degli anticorpi contro i linfociti T (globulina antitimociti, ATG), che eliminano le eventuali cellule immunitarie rimaste. Nelle 2–4 settimane successive, il paziente ricoverato viene trattato con antibiotici contro batteri, virus e funghi per superare lo stadio della fase iniziale successiva al trattamento in cui il paziente è privo di protezioni immunologiche e quindi esposto alle infezioni. La formazione di un nuovo sistema immunitario funzionante a partire dalle cellule staminali richiede da poche settimane ad alcuni mesi. Il solo ripristino delle cellule T helper CD4+ è molto più lungo e si conclude in 1–2 anni. Possibilità e rischi del trattamento aHSCT Negli ultimi anni ci sono stati grandi dibattiti, meta-analisi, studi di casi, piccoli studi clinici, uno studio clinico della fase IIb (ASTIMS) e la valutazione sistematica dei dati del registro dell’European Blood and Marrow Transplantation Group (EBMT) in Europa e del Center for International Blood and Marrow Transplant Research (CIBMTR) in Nord America. Tutto ciò ha portato a dimostrare che la procedura BEAM-ATG aHSCT ha un’elevata efficacia nei pazienti con forme gravi di malattia e decorso RRMS, nella maggior parte dei casi arresta in modo completo e duraturo la malattia senza richiedere un ulteriore trattamento permanente, e spesso fa regredire parzialmente le disfunzioni cliniche. Tutto ciò di fronte a un rischio di mortalità acuta nei primi 3 mesi dall’aHSCT pari a circa l’1,2%. La mortalità dei pazienti che hanno subito il trapianto prima del 2000 si attestava attorno al 7%, un valore da imputarsi a determinati fattori di rischio come l’età avanzata del paziente, lo stato avanzato della SM e gli schemi di trapianto che prevedevano l’irradiazione corporale totale o il citostatico busulfan per via orale. A posteriori la motivazione di gran lunga pre- valente era però l’esperienza insufficiente dei centri e la mancanza di una stretta cooperazione tra specialisti di trapianti e neurologi specializzati in SM. Ora tali fattori di rischio sono noti, è stato identificato lo schema aHSCT che costituisce il migliore compromesso tra elevata efficacia e buon profilo di effetti collaterali (BEAM-ATG) e almeno in alcuni centri esiste una solida cooperazione tra ematologi/specialisti di trapianti e neurologi. Inoltre, se si confronta il tasso di leucemie secondarie, effetti collaterali gravi per il cuore, e il tempo relativamente breve in cui è possibile somministrare il mitoxantrone, nonché la sua efficacia molto più bassa rispetto al trattamento aHSCT, la mortalità acuta sopra riportata dell’aHSCT assume un valore molto più relativo, e dal mio punto di vista accettabile per un paziente affetto da SM. Naturalmente è opportuno mirare a contenere ulteriormente il rischio di mortalità. Qual è la differenza tra il trattamento aHSCT e le terapie immunomodulatorie/ immunosoppressive disponibili attualmente o nel prossimo futuro per il trattamento della SM? I trattamenti immunomodulatori/immunosoppressivi contro la SM attualmente autorizzati hanno un’efficacia contenuta (interferone beta, glatiramer acetato), o in presenza di un’elevata efficacia possono avere effetti collaterali gravi (natalizumab e PML; Fingolimod con effetti collaterali cardiaci e oftalmologici e raramente riattivazione di infezioni da virus Herpes pericolose per la vita). Essi sono accomunati dal fatto di dover essere costantemente somministrati e di esercitare tutta una serie di effetti relativamente aspecifici sul sistema immunitario e su altri organi. A questa seconda caratteristica fa eccezione il natalizumab: tuttavia la possibilità di somministrarlo in modo permanente è notevolmente limitata dal rischio di PML crescente col protrarsi del trattamento. Al contrario, il trattamento aHSCT viene effettuato una sola volta, e successivamente non sono necessarie terapie permanenti. N° 3 | Agosto 2013 | 4 vivere con la sm La maggior differenza rispetto ai trattamenti omologati è però costituita dal meccanismo completamente diverso con cui agisce l’aHSCT. Quest’ultimo agisce sulla causa della SM eliminando completamente il sistema immunitario aberrante e ricostruendo un sistema immunitario completamente nuovo e di nuovo tollerante nei confronti del tessuto dell’SNC. Si tratta del metodo che si avvicina maggiormente alla guarigione, anche se in seguito all’aHSCT in una ridotta percentuale di pazienti si verifica una nuova insorgenza della malattia. Al momento non è ancora chiaro se in questo caso la SM si sia sviluppata una seconda volta o se il precedente danneggiamento del tessuto dell’SNC e la liberazione di proteine/antigeni dall’SNC abbia stimolato nuove cellule immunitarie, ragion per cui la SM continua a progredire. In linea di massima esiste il rischio che la SM si ripresenti, in quanto nel trattamento aHSCT ai pazienti vengono risomministrate le loro cellule staminali ematopoietiche che hanno la predisposizione genetica alla SM. L’aHSCT è disponibile in Svizzera? L’aHSCT viene applicato con routine in diversi centri ematologici/oncologici in Svizzera nella terapia delle malattie del sangue e dei tumori e può essere utilizzato per le persone con SM. Attualmente, il trattamento non viene però rimborsato dalle casse malati. Affinché in futuro i costi possano essere assunti, dev’essere almeno avviato uno studio internazionale sul trattamento della SM con l’aHSCT, per garantire che le esperienze relative al trattamento vengano raccolte in maniera sistematica e che le suddette esperienze vengano tenute in considerazione. Uno studio di questo genere è attualmente in preparazione a Zurigo, a opera della Clinica di Ematologia in collaborazione don il reparto di Neuroimmunologia e Ricerca SM presso la Clinica di Neurologia, e a breve dovrebbe essere presentato al Comitato etico cantonale. Ci auguriamo che nei casi di SM grave nei quali le terapie omologate si dimostrino inefficaci, in presenza 5 | N° 3 | Agosto 2013 di una documentazione esaustiva vengano accolte le richieste di assunzione delle spese. Finanziando autonomamente i trattamenti, dopo l’introduzione degli importi forfettari per singolo caso i costi stabiliti presso l’Ospedale universitario di Zurigo si attestano attorno ai 160’000–180’000 franchi. Questo prezzo può essere considerato abbordabile se confrontato alle terapie permanenti da somministrarsi per anni o decenni, ma nel confronto internazionale con i Paesi confinanti (Germania, Regno Unito, Italia) è decisamente troppo elevato, in quanto in questi Paesi i costi si attestano tra i 30’000 e i 50’000 euro. Per questo motivo, il trattamento aHSCT a pagamento viene eseguito all’estero. Prospettive Nei prossimi anni dovrebbero essere effettuate ulteriori ricerche sul meccanismo con cui agisce il trattamento aHSCT nella SM. Inoltre si auspica che ai medici e agli studiosi, che da anni si occupano di questo tema, vengano messi a disposizione i mezzi finanziari per uno «studio della fase III», per confrontare l’efficacia dell’aHSCT con i migliori trattamenti omologati in uno studio clinico di ampia portata. Nonostante il lungo lavoro a monte, non sarà facile trovare questi fondi, poiché il procedimento in questione fa concorrenza ai prodotti dell’industria farmaceutica e la sua adozione non avvantaggerebbe nessuna azienda. Pertanto dovrà essere richiesto il sostegno finanziario delle pubbliche istituzioni, come ad esempio l’UE o i National Institutes of Health. Confidiamo nel sostegno delle organizzazioni dei pazienti e delle società SM dei rispettivi Paesi e a livello internazionale, affinché questa terapia così promettente e già ben analizzata possa essere messa quanto prima al servizio dei pazienti con SM dal decorso grave. Testo: Prof. Dr.med. Roland Martin Per maggiori informazioni Gli interessati possono rivolgere le loro richieste al Prof. Dr.med. Martin, reparto di Neuroimmunologia e Ricerca SM, Clinica di Neurologia, Ospedale universitario di Zurigo ([email protected]).