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L’antro del ciclope li imprigionava,
Ulisse e i compagni tra le pecore,
Sconvolti dall’orrido Occhio
Che sempre segue vigile gli uomini.
Intrusi nel cosmo della grotta
Diversi dai lanuti, fuori dal gregge.
Senza ruolo divorati da Polifemo.
Ma Ulisse l’illuso implorò il mostro,
Ma Polifemo il grande rise,
Al di là delle leggi umane e divine,
Al di sopra degli dei.
Ulisse allora divenne Nessuno,
Identità negata per paura della morte.
L’Occhio osservava attentamente
E il ciclope sbranava la diversità.
E Nessuno volle rimanere uomo
E Nessuno rifiutò il destino del gregge.
E Polifemo amorevole accudiva le pecore.
E l’Occhio inquisitore li guardava,
E Nessuno volle ingannarlo,
Il solo rimasto a gridare vendetta,
A chiedere libertà.
Allora addormentò l’osservatore,
Nessuno il prediletto del ciclope,
E roteò l’ardente legno crudele.
Massacrò l’unico Occhio, Nessuno.
E Polifemo ululò per l’Occhio perduto,
E il delitto blasfemo fu condannato...
Nessuno aveva vinto il l’Occhio.
Ma le orrende Mani tastavano la lana,
Ma Nessuno le vide,
Uomo deciso a fuggire dall’uguale,
Astutissimo tra le pecore.
Nessuno di evadere ormai convinto,
Con lana di pecora bestia si finse.
Terrorizzati dal ciclope divoratore
Nessuno e i compagni si fecero gregge
E dopo l’Occhio le Mani furono vinte.
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Nessuno sfuggi alla grotta della paura.
Nessuno aveva sconfitto Polifemo.
Ma Ulisse più non esisteva, era Nessuno.
Aveva infine la via del gregge scelto.
In altra grotta giunse, da altro pastore.
E la pecora Nessuno mai si domandò
Se davvero Polifemo era il vinto.
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