Le Caritas Parrocchiali Fantasmi In Diocesi

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CONVEGNO CARITAS DIOCESANA
ARMENO, 17 OTTOBRE 2009
Le Caritas Parrocchiali
Fantasmi In Diocesi
INTERVENTO DI DON GIOVANNI PERINI (RESPONSABILE CARITAS BIELLESE)
Fare la Caritas e vivere la carità in una comunità parrocchiale è ciò che ci aiuta a metterci alla
sequela di Cristo. Per noi Cristo e il Vangelo sono la ragione ultima e fondamentale per cui siamo
chiamati a fare, vivere, animare la carità. A tutto il resto possiamo sfuggire, a questo no. É
impossibile non stabilire un contatto con Gesù Cristo, una volta che abbiamo dato la nostra adesione a
Luì.
Consideriamo alcune parole:
1) Prossimità. Leggendo il Vangelo capiamo, attraverso la Sua disponibilità, la strada da seguire.
Capiamo che Dio si è fatto concretamente vicino - prossimo - agli uomini: a uomini concreti, ha
dato prova della sua vicinanza e questo è diventato uno dei marchi del cristianesimo. La
prossimità di Cristo è una condizione che non è più stata abbandonata: Cristo, Dio, si è fatto
vicino.
2) Compagnia. Colui che viene a spezzare il pane con noi, divide materialmente e fisicamente il
cibo con noi (compagno: cum + pagno, con noi mangia!).
Questo richiede da parte nostra una presa di posizione: come noi possiamo continuare a mostrare
prossimità e compagnia di Dio agli uomini?
Ma quali uomini? Quali donne? Cristo ha fatto una scelta rispetto a coloro con cui spezzare il pane e a
cui stare vicino. La scelta di Gesù è ben precisa: non è indiscriminata. Gesù ha scelto gli ultimi:
peccatori, prostitute, donne, bambini, lebbrosi, malati. Togliamo questi incontri dal Vangelo e ci
rimane un pugno di parole, che vanno però nella stessa direzione: infatti Cristo dice "Beati i poveri".
Parlare a tutti, ma soprattutto a quelli che ascoltano e che sono disposti a farsi ultimi con Lui. Noi
dobbiamo tenere conto della prassi di Gesù: se non ci facciamo poveri, se non restiamo con i poveri,
non entriamo nel Regno.
La povertà può essere un rifiuto di gestire il potere nei confronti della società (Vangelo del 18
ottobre) ,e un confronto inconciliabile tra le gerarchie del mondo e la visione di Dio. "Tra voi non é
così!". E la sequela di Cristo che ci fa cristiani, non un battesimo di cui non abbiamo memoria. Cristo
ci sana dalla povertà, Egli ci include.
Gesù è venuto per ricostruire l'unità di Israele. Ma cosa intendeva Lui per unità? Riconfigurare l'unità
del popolo reinserendo tutti quelli che le norme legali avevano escluso. Valuta e vede che dal popolo
erano state escluse alcune categorie di persone, per cui il popolo di Israele si era venuto ad
identificare con i "giusti". Ma Gesù fa capire chiaramente che i confini non sono quelli. Gesù è
venuto per dire che bisogna ricostruire una comunione con chi è stato escluso, senza guardare le
ragioni: non cerca le colpe, Lui riallarga il concetto di inclusione a tutti. Il problema non è la colpa,
ma la capacità di ciascuno di includere o meno l'altro.
Ci può essere una comunità cristiana che non esercita la carità? E quali sono i suoi scopi? Come può
questa comunità seguire Gesù? Quindi: che scelta è chiamato a fare chi dice di essere cristiano? Chi,
secondo noi, fa parte della comunità cristiana? Le, nostre risposte concordano con il Vangelo?
Ricordiamoci che facciamo parte del mondo: dobbiamo chiederci: dhe ci stiamo a fare come chiesa se
non ci ricordiamo di far parte di un mondo molto più vasto di noi? I confini della comunità cristiana
sono molto più vasti di noi: c'è una convivenza più ampia, di cui noi siamo solo una componente.
Dunque: quale mondo? Quale società?
La Lettera agli Efesini ci indica che il progetto di Dio è "creare in se stesso, dei due, un solo uomo
nuovo". Inoltre, la Lettera ai Galati dice che "Non c'è più Giudeo né Greco, non c 'è più schiavo né
libero; non c'è più uomo né donna poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù". Non c'è più la
discriminazione tra le parti che compongono la società.
Secondo san Paolo, è questo il progetto che Dio ha sul mondo. E noi dobbiamo seguire Gesù.
Noi non siamo una comunità chiusa, siamo un popolo nel mondo, così dobbiamo fare, vivere,
organizzare la carità in comunità, per evitare il rischio per cui in chiesa valgono dei criteri e nella
società degli altri: in chiesa parliamo di accoglienza e uguaglianza, ma fuori che facciamo? Questo è
sintomo di una chiesa malata, schizofrenica! La chiesa non può rinunciare ad essere se stessa, dentro
la quale diciamo a mani alzate "Padre nostro!". Il nostro non finisce fuori dalle porte della chiesa!
La costituzione della Caritas ha richiesto un salto di qualità nell'idea di carità nella comunità. Paolo
VI ha costituito la Caritas nel 1972 in modo che la carità diventasse più limpida e genuina,
adeguandola alla cultura e alla storia che stiamo vivendo.
La dimensione personale e individuale della carità mantiene la sua importanza, ma le problematiche
hanno assunto una dimensione tale per cui il singolo è impotente. Il rischio è di far valere a livello
individuale ciò che non facciamo a livello di comunità. Ciò che vale per me, deve valere anche a
livello di istituzioni, altrimenti c'è il rischio che l'istituzione si senta svincolata dall'etica del singolo.
Paolo VI voleva superare questo problema ricordando che il soggetto della carità è la comunità, prima
ancora che il singolo. La comunità è anche il soggetto della comunione. Può esserci una comunità che
non vive questa condizione? La carità deve essere il marchio, il segno della comunità. La risposta a
questo problema non è ancora stata del tutto esauriente. Occorre passare da una carità vissuta
prevalentemente come assistenza, che tiene conto soprattutto del mio sentirmi bene e che comunque
non sarà mai del tutto superata, ad una logica di progetto (anche minimale: si deve avere almeno
l'intenzionalità): è l'intelligenza della carità. Bisogna riconoscere all'altro la capacità residua di fare da
solo, fare le cose rimanda all'altro il suo senso di inutilità. In questo modo l'altro non conta più.
Questo passaggio è essenziale per una Caritas in crescita: i' assistenzialismo non può essere presente
nella nostra testa.
La carità non è sinonimo di elemosina: dobbiamo fare il passaggio dall'elemosina alla carità vera,
quella di un progetto di fuoriuscita dalla situazione, anche quando praticamente è impossibile uscirne.
Anche i miracoli seguono questa logica: ristabiliscono le capacità originarie delle persone. Noi non
sappiamo fare tutto in un colpo solo: ma questo deve essere lo stile della nostra carità.
Inoltre dobbiamo preoccuparci non solo delle conseguenze, ma anche delle cause (per esempio, la
mancanza di lavoro).
E con una cultura sociale diversa che bisogna intervenire perché le condizioni di disagio non si
moltiplichino, non basta il tamponamento. Tante volte le cause non sono materiali: sono cultura,
giudizi, idee... Non possiamo continuare a fare (in maniera cattiva) il buon samaritano, il laico è tale
perché è presente nel luogo mondano con la sua cristianità. Che cos'è la fede senza le opere?
Caratteristiche dell'operatore di carità:
1) Umile. Non bisogna partire da se stessi, ma dall'altro e dall'analisi dei suoi bisogni. Perché non
riusciamo mai a prendere l'altro sul serio? (Ad esempio: perché uno straniero arriva in Italia...)
Non bisogna pensare alle proprie paure e ai propri dubbi. Il potere si crea sulle paure (e se non ci
sono si inventano), anche il potere religioso: per questo Cristo ha rifiutato il potere. Tutti quelli
che vogliono il potere, li rimanda alla Sua morte: "Credi forse che io non potrei pregare il Padre
mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici , legioni d'angeli?". Se voglio partire
dall'altro e non da me stesso non devo valutare me é le mie sensazioni -- sono un problema mio ma quelle dell'altro.
2) Rispettoso. Se non costruisco un'immagine positiva dell'altro non faccio carità cristiana. Non si
può fare carità disprezzando, giudicando l'altro indegno, incapace o stupido. Se ci si accorge di
avere di fronte un approfittatore, gli si dice di no. Ma per il resto l'altro non è meno di me: questo
significherebbe svuotare la carità del suo senso. Il rispetto è il controllo interiore delle proprie
reazioni: ci vuole chiarezza, se una cosa la riteniamo sbagliata non facciamola!
3) Gratuito. C'è una sovrabbondanza di atteggiamenti e di cuore. Davanti a me c'è un essere
umano, non un bisogno con due gambe. Il punto di partenza non è un aspetto o una caratteristica
della persona, ma la persona. "La gloria di Dio è l'uomo vivente" (Sant'Irene): l'uomo per quello
che è; non sono io a determinare chi è l'altro o come è. Mi trovo davanti all'altro, che è altro da
me, un dono da rispettare. La carità è questa eccedenza che è imitazione per difetto dell'eccedenza
della carità di Dio. Io non mi devo sentire in credito con nessuno, se creo debitori non è più carità
cristiana. Non devo essere riconosciuto, riverito, ringraziato. Posso insegnare all'altro ad essere
riconoscente, ma non per me, perché la riconoscenza fa parte della crescita di una persona. E un
problema che riguarda lui, non me. La carità gratuita va oltre questi problemi. La destra non deve
sapere cosa fa la sinistra: quello che va controllato è cosa fa nascere le esigenze interiori.
4) Libero. E una grande opera di autoeducazione: non posso separare i miei sentimenti da quello
che sto facendo, la carità rimanda una conoscenza di me che mi fa crescere, se non mi nascondo.
Con la carità prendo coscienza di me stesso e mi misuro con una realtà che molte volte va in
direzioni diverse da quello che mi aspetto. Bisogna avere i1 coraggio di formulare pensieri su
queste percezioni.
CONSIDERAZIONI DI DOM ESMERALDO, VESCOVO IN AMAZZONIA
(PRIMA VESCOVO DI PAOLO APONSO).
In Amazzonia, la carità riguarda una condizione in cui tutti sono poveri, non povertà scelta, ma
dovuta allo sfruttamento. Gran parte della popolazione è in situazione difficile. (Ci sono cinque
centrali idroelettriche).
Come raggiungere nel concreto la coesione di gesti comunitari, personali e sociali?
Come passare dal dare cose al donare tempo, vita, la propria persona?
Quando Dio occupa il primo posto il tempo si trova per vivere il servizio con amore!
"Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire"
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