INDICE Introduzione............................................................................................................X Capitolo I Lo scudo fiscale: rationes politiche e presupposti applicativi 1. La ratio e gli obiettivi del provvedimento........................................................13 2. Soggetti ed oggetto dell’emersione....................................................................19 3. Modalità di emersione delle attività...................................................................23 3.1. Rimpatrio: le tre modalità....................................................................23 3.1.1. Il rimpatrio materiale............................................................23 3.1.2. Il rimpatrio giuridico............................................................24 3.1.3. Il rimpatrio fisico..................................................................25 3.2. La procedura per effettuare il rimpatrio..............................................26 3.3. Regolarizzazione.................................................................................28 3.3.1. La possibilità di scelta a discrezione dell’interessato circa le modalità di emersione: differenze tra il provvedimento del 2001 e del 2009.......................................................................31 3.3.2. Il divieto di regolarizzazione e l’obbligo di rimpatrio per le attività finanziarie e patrimoniali detenute nei paesi non collaborativi.............................................................................33 3.3.3. Conclusioni sulla scelta operata dal legislatore del 2009.....34 4. La causa ostativa alla produzione degli effetti premiali penali ex art. 14 comma 1 lett. c) della L. 409/2001: il dibattito dottrinale sul significato di avvio del procedimento penale............................................................................35 4.1. I dubbi sul rispetto del diritto di difesa per l’indagato........................37 4.2. Le modifiche alle cause ostative penali nello scudo-bis.....................39 4.2.1. La formale conoscenza dell’avvio del procedimento penale..............................................................................................40 4.2.2. L’esclusione della punibilità per i reati già estinti, non punibili o non più previsti come tali dall’ordinamento..........42 4.3. La causa ostativa penale nello scudo- ter: comunicazione dell’avvio del procedimento penale o dell’esercizio dell’azione 1 penale? problemi di coordinamento tra le norme richiamate.....................44 4.3.1. Le soluzioni proposte nell’interpretazione dottrinale...........46 4.3.2. Soluzione preferibile.............................................................48 5. Brevi cenni sulla disciplina extrapenale dello scudo.........................................49 5.1. Gli effetti tributari ed amministrativi dello scudo fiscale....................49 5.2. Il problema degli imponibili non riconducibili ai capitali rimpatriati: le due opposte interpretazioni ed il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate..........................................................................51 5.3. L’esclusione degli effetti premiali tributari ed amministrativi............54 6. L’anonimato fiscale............................................................................................56 6.1. La garanzia dell’anonimato fiscale per il rimpatrio nella fase precedente all’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria...............................................................56 6.2. La garanzia dell’anonimato fiscale per il rimpatrio a seguito di esercizio dell’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria...............................................................59 6.3. L’anonimato fiscale nel caso di operazione di regolarizzazione.........62 2 Capitolo II Effetti penali dello scudo fiscale 1. L’anonimato penale............................................................................................64 2. L’effetto di non punibilità: classificazione dogmatica.......................................67 2.1. Il problema nella vigenza del provvedimento del 2001......................68 2.2. Lo scudo fiscale come causa di esclusione della pena ex art. 119 c.p............................................................................................68 2.3. Lo scudo fiscale come causa di estinzione del reato ex art. 182 c.p.............................................................................................69 2.4. Il profilo di illegittimità costituzionale comune alla scelta, nei due articoli del codice penale, di non estendere al concorrente del reato la causa sopravvenuta di non punibilità o l’effetto estintivo del reato.........................................................................70 2.5. Lo scudo fiscale: una moderna forma di impunità retroattiva.............71 2.6. Conclusioni riguardo la struttura del provvedimento..........................73 3. L’estensione della non punibilità.......................................................................75 3.1. L’estensione soggettiva della non punibilità ai concorrenti nel reato............................................................................................................75 3.1.1. La storica sentenza della Corte Costituzionale, in materia di estensione dei condoni tributari ai concorrenti nel reato..........................................................................................76 3.1.2. Riflessi applicativi della sentenza della Corte in tema estensione della non punibilità prevista dallo scudo fiscale del 2001 ai concorrenti nel reato....................................................78 3.1.3. La soluzione adottata nello scudo- ter..................................80 3.2. L’estensione oggettiva della non punibilità: i reati coperti dallo scudo...........................................................................................................81 3.2.1. I reati previsti nel primo scudo fiscale..................................81 3.2.2. Protezione penale priva di pericoli?.....................................85 3.2.3. I reati previsti nello scudo- ter..............................................90 3.2.3.1. L’operatività dello scudo fiscale per i reati societari...............................................................................91 3 3.2.3.2. La tesi dell’incompatibilità tra i reati tributari e i reati societari: assenza del nesso teleologico....................95 3.2.3.3. La differente scelta di politica criminale riguardo i reati tributari previsti nel provvedimento del 2001 e nello scudo- ter: una scelta legittima....................100 3.2.3.4. L’introduzione dei reati di falso in bilancio nel provvedimento del 2009: l’assenza di ratio politico-criminale nella scelta...........................................103 4 Capitolo III I perduranti rischi penali dello scudo fiscale 1. I rischi dell’uso illegittimo dello scudo..........................................................106 2. Il reato di falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello Stato di denaro o altre attività.....................................................................106 2.1 I rapporti tra il reato di falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello Stato di denaro o altre attività e la truffa..................................................................................................107 2.1.1. La tesi del concorso apparente di norme............................108 2.1.2 La tesi del concorso formale di reati...................................109 2.1.3. La sentenza della Corte di Cassazione n. 12910, 29 marzo 2007..............................................................................109 3. I rapporti con la disciplina sul riciclaggio........................................................112 3.1. Il riciclaggio: breve analisi della fattispecie......................................114 3.2. Ricognizione normativa sulla disciplina antiriciclaggio destinata ai soggetti incaricati dello svolgimento delle procedure di emersione dei capitali: i tre obblighi richiamati...................................117 3.3. Gli obblighi di identificazione e registrazione alla luce dell’attuale disciplina antiriciclaggio.......................................................119 3.4. La trasposizione degli obblighi identificazione e registrazione nelle operazioni di scudo fiscale..............................................................122 3.5. Gli obblighi di segnalazione nella disciplina antiriciclaggio............124 3.6. La deroga all’obbligo di segnalazione disposta dal legislatore nella normativa sullo scudo fiscale..........................................................125 3.6.1. Gli altri indici a disposizione degli intermediari per attivare la segnalazione antiriciclaggio nelle operazioni di scudo e i rilievi critici della dottrina sulla loro efficacia.............127 3.6.2. Riflessioni critiche..............................................................129 3.6.3. Il problema relativo all’operatività della deroga: quale sicurezza ha l’intermediario che i capitali scudati provengano da un reato coperto dallo scudo fiscale?.......................................132 5 3.6.4. Il problema della parcellizzazione delle somme scudate per eludere la disciplina sugli obblighi antiriciclaggio.................133 3.7. La non punibilità del reato presupposto fa venire meno la punibilità anche per il riciclaggio? La posizione della Corte di Cassazione espressa in una recente sentenza.......................................135 3.8. Le sanzioni nei confronti degli intermediari e professionisti che non rispettino la normativa antiriciclaggio nelle operazioni di scudo fiscale: l’uso della minaccia coercitiva per supplire alla mancanza di prevenzione.........................................................................136 6 Capitolo IV Possibili profili di illegittimità dello scudo fiscale (in relazione alla materia penale) 1. Premessa: lo scudo fiscale tra vincoli costituzionali e comunitari...................138 2. Lo scudo fiscale come “condono”: implicazioni costituzionali in relazione all’art. 53 Cost..................................................................................................140 2.1. La posizione della Corte Costituzionale in riferimento al condono...............................................................................................142 2.1.1. Il ragionamento svolto dalla Corte traslato allo scudo fiscale..........................................................................144 3. Lo scudo fiscale e i rapporti con l’amnistia: implicazioni costituzionali in relazione all’art. 79 Cost..................................................................................145 3.1. L’amnistia: breve ricostruzione storico-normativa dell’istituto................................................................................................146 3.2. Le forme di amnistia disciplinate nel codice penale ed il loro rapporto con lo scudo fiscale............................................................149 3.2.1. L’amnistia propria ed impropria.........................................149 3.2.1.1. Il confronto con lo scudo fiscale: la “mediazione fattuale” come criterio distintivo valido per distinguerlo dall’amnistia alla luce del ragionamento svolto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.369/1988.........................151 3.2.1.2. L’esiguità dell’importo dovuto come indice di un avvicinamento dello scudo fiscale verso forme di amnistia condizionata? Una breve riflessione sul possibile impatto politicocriminale di un tipo di tassazione notevolmente bassa rispetto al premio penale.........................................153 3.2.2. Amnistia condizionata e scudo fiscale............................................................................................156 3.2.2.1. Le tesi dottrinali contrarie ad una qualificazione dello scudo fiscale come una forma di 7 amnistia condizionata “mascherata”.....................................................................157 3.2.2.2. Criticità nelle tesi riportate: la qualificazione dello scudo fiscale come forma di amnistia “mascherata”......................................................160 4. I profili di irragionevolezza ex art. 3 Cost. nella scelta di escludere le società dal novero dei soggetti premiati dallo scudo fiscale................................160 4.1. Breve excursus sul criterio di ragionevolezza-uguaglianza..............161 4.2. L’applicazione del principio alla disciplina dello scudo fiscale nel confronto con la disciplina della responsabilità amministrativa delle società per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato..........................................................................................................164 5. Scudo fiscale e vincoli comunitari...................................................................166 5.1. Le riserve sullo scudo fiscale sollevate dalla Commissione Europea e le risposte del governo.............................................................166 5.2 I perduranti dubbi di conformità comunitaria in relazione all’art. 56 Trattato CE...............................................................................168 5.3. La possibile illegittimità dello scudo alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia sul condono iva del 2002....................................172 5.3.1. Le motivazioni delle contestazioni mosse dalla Commissione e la difesa italiana..................................................174 5.3.2. L’intervento della Corte di giustizia europea in materia di Iva: la sentenza C-132/06 e la ricezione dei principi in essa contenuti da parte della Cassazione in due recenti sentenze......................................................................176 5.3.3. Brevi cenni sugli effetti tributari ed amministrativi delle sentenze ora richiamate sullo scudo fiscale............................................................................................178 6. Gli effetti penali sullo scudo fiscale a seguito della possibile illegittimità comunitaria.......................................................................................181 6.1. Le procedure atte a disciplinare il controllo da parte del giudice nazionale sulla conformità della legge nazionale al 8 diritto europeo.........................................................................................183 6.2. Il principio fondamentale di riserva di legge come ostacolo ad un’applicazione in malam partem della disciplina comunitaria e gli orientamenti della Corte di Giustizia in merito...................................185 6.3. La possibile sindacabilità comunitaria in malam partem in una recente sentenza della Corte Costituzionale..................................189 6.4. La crisi del principio di divieto di pronunce in malam partem nella giurisprudenza della Corte Costituzionale:quali riflessi sullo scudo fiscale?......................................191 9 Introduzione. Il presente elaborato intende descrivere e affrontare le problematiche connesse allo scudo fiscale, provvedimento di grande portata innovativa introdotto dal legislatore nel contesto normativo dell’ultima decade; fin dal suo esordio in effetti il provvedimento ha destato un acceso dibattito politico e dottrinale circa l’opportunità del suo utilizzo e le ragioni sottostanti a tale scelta. Mediante questa misura il legislatore ha fatto ricorso ad una tecnica di politica criminale che è stata sperimentata con successo a partire dagli anni ’80 con i primi condoni con i quali in sostanza si perveniva ad una ridefinizione del rapporto contributivo tra Stato e contribuente mediante pagamento da parte di questo di una somma di danaro cui seguiva una remissione in tutto o in parte di una sanzione da parte dello Stato. Sostanzialmente la struttura dello scudo fiscale è simile a quella ora riferita per i condoni; finalizzata ad incentivare il rientro di capitali illecitamente esportati all’estero mediante violazioni della legge tributaria, amministrativa e penale, essa si fonda su un’abdicazione della pretesa punitiva dello Stato che dietro pagamento di una somma per regolarizzare la propria posizione, offre al contribuente ravveduto strumenti premiali o parapremiali che mettono al riparo il soggetto che scuda da una repressione delle condotte illecite perpetrate per esportare i capitali all’estero. Questi istituti premiali producono i loro effetti su tre settori del diritto: il diritto amministrativo, tributario e penale; l’obiettivo della Tesi è quello di analizzare i profili attinenti all’ultimo dei tre ambiti del diritto ora elencati, il diritto penale. Ciò verrà fatto dopo un primo essenziale esame tecnico-giuridico sul funzionamento e sui meccanismi di ricorrenza dello scudo che risponde sostanzialmente alle domande inerenti ai soggetti, ai presupposti e alle modalità previste per porre in essere lo scudo fiscale. Questo si pone, da un punto di vista penalistico, come interessante materia di studio sia per l’analisi delle tipologie dei reati coinvolti che sono stati oggetto di accesi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali inerenti alla loro struttura, ridisegnata di recente dal legislatore delegato del 2000, sia per le problematiche di carattere politico-criminali afferenti la scelta di ampliare nel corso della 10 riproposizione del provvedimento il novero dei reati protetti dall’ombrello penale. (soprattutto in riferimento ai reati societari di falso in bilancio, per i quali ci si è interrogati sull’efficacia di questa scelta). Inoltre è interessante rilevare come questa possibilità offerta dal legislatore inevitabilmente apra le porte ad un suo potenziale sfruttamento da parte di una criminalità organizzata che nel corso degli anni ha evoluto e raffinato le proprie tecniche di riciclaggio dei proventi delle attività illecite, sfruttando le possibilità offerte dal diritto societario e dei mercati finanziari, mediante costituzione di s.p.a., holding, società di intermediazione creditizia, e quant’altro, in guisa da entrare nel mercato come operatore economico non più “parallelo” e nascosto allo Stato, ma ben inserito in esso e difficilmente riconoscibile. Bisognerà dunque interrogarsi sul come, sul se, e su fino a che punto il legislatore abbia predisposto un sistema di tutela adeguato nei confronti delle infiltrazioni della criminalità organizzata nella platea dei soggetti interessati e legittimati all’uso dello scudo fiscale. Illustrando brevemente i profili strutturali dell’elaborato, i maggiori problemi interpretativi sono stati riassunti in tre macrocategorie: la prima, che trova trattazione nel primo capitolo, riguarda la qualificazione dogmatica generale dell’istituto e ivi ci si interroga sull’estensione dei riflessi penalistici di questo (i reati coperti, le cause ostative alla produzione degli effetti di esso e la possibilità di estensione dell’effetto premiale ai concorrenti nel reato) e su quale sia la sua tenuta general preventiva dato che, essendo lo scudo fiscale stato riproposto più volte nel tempo e con una tassazione talmente bassa da poter risultare irragionevole, ha forse tradito le iniziali premesse sulle quali era basato; la seconda, contenuta nel successivo capitolo, concerne i profili di rischio penale connessi ad un uso illegittimo dello scudo e cerca di dare riposta al quesito riguardo la possibilità o meno che con tale misura, come paventato da alcuni, possano aprirsi le porte per il rientro di capitali (mediante il reato di riciclaggio) di quell’economia nera frutto di reati gravissimi e non compresi sotto l’ombrello protettivo dello scudo; la terza infine concerne i rapporti tra lo scudo fiscale e la normativa costituzionale e comunitaria ed affronta le questioni di legittimità e compatibilità dello scudo rispetto ad esse. 11 È importante infine ricordare come si è cercato di fornire un’analisi dell’istituto strettamente connessa ai profili giuridici di questo; finalità dell’elaborato è lo studio degli aspetti tecnici del provvedimento e le annesse problematiche afferenti la disciplina penalistica dell’istituto. I giudizi sull’ “ingiustizia” o meno del provvedimento, su possibili “sovversioni dell’ordine democratico”, sui possibili “favori alla mafia e alla criminalità organizzata” sono materia riservata all’analisi giornalistica e politica; nel corso della Tesi si cercherà di esporre il punto di vista personale sulla misura, evitando di utilizzare toni pletorici e presuntivamente apodittici che mal si adattano al profilo equilibrato e razionale del giurista. 12 Capitolo I Lo scudo fiscale: rationes politiche e presupposti applicativi SOMMARIO: 1. La ratio e gli obiettivi del provvedimento. – 2. Soggetti ed oggetto dell’emersione. – 3. Modalità di emersione delle attività. –3.1 Rimpatrio: le tre modalità. – 3.1.1. Il rimpatrio materiale. – 3.1.2. Il rimpatrio giuridico. – 3.1.3. Il rimpatrio fisico. – 3.2. La procedura per effettuare il rimpatrio. – 3.3. Regolarizzazione. – 3.3.1. La possibilità di scelta a discrezione dell’interessato circa le modalità di emersione: differenze tra il provvedimento del 2001 e del 2009. – 3.3.2. Il divieto di regolarizzazione e l’obbligo di rimpatrio per le attività finanziarie e patrimoniali detenute nei paesi non collaborativi. – 3.3.3. Conclusioni sulla scelta operata dal legislatore del 2009. – 4. La causa ostativa alla produzione degli effetti premiali penali ex art. 14 comma 1 lett. c) della L. 409/2001: il dibattito dottrinale sul significato di avvio del procedimento penale. – 4.1. I dubbi sul rispetto del diritto di difesa per l’indagato – 4.2. Le modifiche alle cause ostative penali nello scudo-bis. – 4.2.1. La formale conoscenza dell’avvio del procedimento penale. – 4.2.2. L’esclusione della punibilità per i reati già estinti, non punibili o non più previsti come tali dall’ordinamento. – 4.3. La causa ostativa penale nello scudo- ter: comunicazione dell’avvio del procedimento penale o dell’esercizio dell’azione penale? problemi di coordinamento tra le norme richiamate. – 4.3.1. Le soluzioni proposte nell’interpretazione dottrinale. – 4.3.2. Soluzione preferibile. – 5. Brevi cenni sulla disciplina extrapenale dello scudo. – 5.1. Gli effetti tributari ed amministrativi dello scudo fiscale. – 5.2. Il problema degli imponibili non riconducibili ai capitali rimpatriati: le due opposte interpretazioni ed il chiarimento dell’Agenzia delle entrate. – 5.3. L’esclusione degli effetti premiali tributari ed amministrativi. – 6. L’anonimato fiscale. – 6.1. La garanzia dell’anonimato fiscale per il rimpatrio nella fase precedente all’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria. – 6.2. La garanzia dell’anonimato fiscale per il rimpatrio a seguito di esercizio dell’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria. – 6.3. L’anonimato fiscale nel caso di operazione di regolarizzazione. 1. La ratio e gli obiettivi del provvedimento. La ratio complessiva del provvedimento si giustifica in base agli obiettivi che il legislatore si è preposto sin dall’approvazione del primo provvedimento di scudo fiscale e che sono rimasti i medesimi anche nelle successive versioni: lo scudo fiscale, accordando una disciplina produttiva di effetti favorevoli dal punto di vista penale e tributario, definita “premiale”, per il soggetto che ne fruisce, è finalizzato per prima cosa ad ottenere il rientro di capitali frutto di reati penali e penali tributari sottratti fraudolentemente al Fisco italiano ed esportati illegalmente (mediante violazioni delle normativa sul monitoraggio fiscale) nel corso degli anni nei paesi a regime fiscale privilegiato, inseriti nella c.d. “Black list1”. La Relazione al decreto legge 350/2001, riferimento anche per i successivi provvedimenti del 2002 e del 2009, individua le cause di tale fenomeno in una “serie strutturata di fattori eterogenei” che vanno “dai timori endemici di 1 Il cu elenco è stato di recente aggiornato dal D.M. 27 luglio 2010 pubblicato in G.U. del 4 agosto 2010. 13 instabilità politica, alla costante svalutazione della lira; dall’aumento senza controllo del debito pubblico (si ricorda al lettore che l’Italia è la prima in Europa e sesta al mondo per rapporto debito/Pil, che è a quota al 115%2), all’opportunità o speranza di sfruttare, per di più nell’anonimato, differenziali fiscali positivi, tanto sui flussi di reddito, quanto sugli stock di capitale”3; si aggiunga, da ultimo, una percezione da parte del contribuente di un Fisco che a fronte di una tassazione non indifferente, definita da alcuni in maniera colorita ma efficace “repressione finanziaria4”, non eroga servizi adeguati agli importi versati e anzi spesso viene percepito come scialacquatore di risorse. Nell’ottica del ragionamento criminale i fattori ora indicati hanno prevalso come beneficio netto sia sul costo delle possibili conseguenze sanzionatorie prospettate dalle norme incriminatrici relative all’illecito trasferimento di valuta all’estero, sostanzialmente rischio di indagini e procedimenti penali a carico dei soggetti che avevano esportato i capitali frutto dei reati penali-tributari, sia sulle conseguenze sfavorevoli in termini economici del deposito all’estero di tali attività: minori rendimenti (come prezzo da pagare e/o subire per l’originaria illegalità del capitale esportato), “perdita di valore del capitale stesso, prodotta dai suoi limiti di utilizzo, ancora derivanti dalla sua origine “nera5”. Il provvedimento del 20096 ha ulteriormente chiarito la ratio dello scudo fiscale inserendo una novità relativa ai paradisi fiscali che rafforza l’obbiettivo ora 2 Secondo le stime contenute nel CIA world factbook 2010, consultabile on-line all’indirizzo https://www.cia.gov 3 La relazione è consultabile al sito www.sba.unimi.it presso la banca dati online de Il sole 24 ore. 4 D. MASCIANDARO, Sotto lo scudo la fiducia nella stabilità, cit. 5 Idem. 6 Per un commento sullo scudo fiscale- ter si veda: L. TROYER - A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale: la roulette russa della punibilità, in Rivista dei Dottori commercialisti, n.4/2009; A. CISTERNA, Questioni sanzionatorie e procedurali nella manovra-ter per il rientro dei capitali: dallo scudo fiscale a quello penale, in Dir. Pen e Processo, n.2/2010, 144 ss.; S. CAPOLUPO, Manovra anti-crisi (D.L. 1 luglio 2009, n.78, convertito) – La nuova versione dello scudo fiscale, in il fisco, n.32/2009, 15261; I. BUFACCHI, Scudo fiscale e condono obiettivi in parallelo, in Il sole 24 ore 5 luglio 2009, in banca dati online www.sba.unimi.it; P.M. TABELLINI, Rientro dei capitali e “scudo fiscale”, Milano, Giuffrè, 2009; G.P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali, in il fisco, n.38/2009; I. CARACCIOLI, Per le violazioni penali copertura a maglie larghe, in Il sole 24 ore, guide pratiche, n.4/2009; Circolare 43/E , 10 ottobre 2009, in bancadati online, www.sba.unimi.it.; S. PICCIOLI, Falso ideologico e falso materiale nei reati tributari: profili di inquadramento sistematico, in Riv. dir. trib., 2009; A. CRISCIONE, Una necessità per l’adesione, in Il sole 24 ore, 19 settembre 2009, in banca dati online, www.sba.unimi.it.; A. BERNASCONI, I profili penali dello scudo fiscale nella cornice della premialità, in Corr. trib., n. 42/2009; E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, in il fisco, n. 45/2009; G. POLO, Riflessioni su alcuni aspetti controversi della applicazione della normativa sul 14 indicato di lotta a tali regimi fiscali privilegiati: l’art. 12 del D.L. 78/2009 intitolato per l’appunto “lotta ai paradisi fiscali”, “per dare attuazione a questo fine ambizioso7” ovvero “di migliorare l’attuale insoddisfacente livello di trasparenza fiscale e di scambio di informazioni, nonché di incrementare la cooperazione amministrativa tra Stati8”, dispone al comma secondo che tutte le attività finanziarie detenute negli Stati o nei territori a regime fiscale privilegiato “si presumono costituite, salva prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione”. Il dato di novità consiste dunque in “una presunzione relativa (salvo prova contraria) di provenienza da evasione fiscale dei capitali allocati nei paesi di cui agli elenchi del ministero dell’Economia9” e per i quali lo scudo fiscale è rappresentato come ultima opportunità per regolarizzare la situazione di illegalità dei capitali medesimi. La misura dunque interessa quei paesi “in cui esiste un regime fiscale privilegiato la cui caratteristica consiste nell’avere un livello di tassazione basso o addirittura nullo10” e si pone in linea con l’obbiettivo di politica economica di invertire il fenomeno dell’illecita migrazione dei capitali italiani all’estero la cui origine nel sistema economico della nazione è endemica e risalente; la fuga dei capitali rappresentava e rappresenta una “ormai storica anomalia italiana nella dinamica di allocazione dei portafogli di risparmio. Nei paesi “normali” le scelte di portafoglio degli investitori tendono a privilegiare, a parità di altre condizioni, il mercato domestico: è il cosiddetto homebias. In Italia, al contrario, si è d. “scudo fiscale- ter”, in Boll. trib., n. 21/2009; C. DI GREGORIO – G. MAINOLFI, Scudo fiscale- ter e adempimenti antiriciclaggio, in il fisco, n.44/2009; A. IORIO, Dallo scudo una tutela penale (quasi) piena, in Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2009; F. FALCONE - A. IORIO, Contrasto con il passo doppio. Contro il riciclaggio sanzioni penali e obblighi amministrativi, in Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2009; D. LIBURDI, L’attività di controllo sulla legittimità dello scudo fiscale, in il fisco, n.46/2010; I. CARACCIOLI, Indagini finanziarie, normativa antiriciclaggio e reati tributari, in il fisco, n.9/2009.; I. BUFACCHI- M. MOBILI, Scudo chiuso entro l’anno, in Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2009; M. PIAZZA, Rientro protetto per i soci, in Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2009; M. PIAZZA, L’iniziativa “ripara” da sanzioni penali, in Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2009; L. MIELE, Lo stato estero vincola l’immobile, in Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2009; M. PIAZZA, Esclusi dall’emersione i rimpatri di inizio 2009, in Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2009; V. RUSSO, Si dice subito addio all’anonimato, in Il Sole 24 Ore 12 ottobre 2009; G. MALINCONICO, Le indagini finanziarie acquistano nuovi spazi, in Il Sole 24 Ore, 22 settembre 2009; A. BUSANI – F. VEDANA, Dalla Svizzera scudo con trappole , in Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2009. 7 A. CISTERNA, Questioni sanzionatorie e procedurali nella manovra-ter per il rientro dei capitali: dallo scudo fiscale a quello penale, cit., 144 ss. 8 Ibidem. 9 Ibidem. 10 Secondo la definizione presente in www.fiscooggi.it/accordi-e-convenzioni/black-list. 15 assistito, a partire almeno dagli anni 50, a una sorta di abroad bias: tanti singoli risparmiatori decidevano di violare le legislazioni valutarie, indirizzando le proprie scelte allocative all’estero11”. Il primo obiettivo di politica economica ora descritto finalizzato ad incentivare il rientro dei capitali mediante lotta ai paradisi fiscali è in linea con il secondo, non meno importante, perseguito dal legislatore: “fare cassa”, recuperare gettito fiscale per uno Stato che nel corso degli ultimi dieci anni ha subito una grave recessione economica ed una trasformazione epocale del regime monetario che ha influito pesantemente sull’intero assetto economico del Paese. Il fattore scatenante che nel 2001 (anno di approvazione del primo scudo fiscale) ha portato ad una grave recessione economica può individuarsi nell’attacco terroristico alle torri gemelle avvenuto l’11 settembre a New York, che ha colpito il cuore finanziario degli Stai Uniti cui è conseguita una globale instabilità dei mercati finanziari già molto sensibili a livello europeo per la situazione di transizione monetaria in corso consistente nel passaggio all’euro, moneta unica che a partire dal primo gennaio 2002 ha sostituito le differenti valute degli Stati appartenenti alla comunità europea. Lo scudo fiscale del 2001 infatti è inserito, come particolare misura, all’interno di un provvedimento legislativo, la L. 409/2001, finalizzato a regolare la transizione monetaria verso la valuta unica; non a caso infatti, il capo I della legge titolava: “Disposizioni per il passaggio all’euro”. Identico discorso può farsi in riferimento al terzo scudo del 2009, anno in cui lo scoppio della bolla speculativa nei mercati finanziari statunitensi ha prodotto conseguenze estremamente negative sulle economie europee e per l’Italia, concretizzatesi in termini di forti tagli di spesa soprattutto su settori dell’economia (istruzione, sanità, piccole e medie imprese ecc.) fondamentali per la tenuta del sistema sociale di welfare state e per i quali lo scudo fiscale ad avviso del legislatore può “offrire un sollievo apprezzabile nell’azione di risanamento delle finanze pubbliche12” mirando ad “almeno nell’immediato a 11 D. MASCIANDARO, Sotto lo scudo la fiducia nella stabilità, Il sole 24 ore, 29 giugno 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it. 12 Relazione al D.L. 350/2001, consultabile al sito www.sba.unimi.it presso la banca dati online de Il sole 24 ore. 16 porre a disposizione dei cittadini risorse finanziarie altrimenti non acquisibili13” e presentandosi “come norma cuscinetto per attutire il peggioramento dei conti pubblici14” e “gli effetti devastanti della recessione sui saldi di finanza pubblica15”. A dimostrazione dell’impatto positivo dello scudo sulle finanze pubbliche, sul giungere del termine per effettuare l’operazione del primo scudo fiscale, nel trarre i bilanci dell’operazione16, la stampa specializzata ha evidenziato come il sistema scudo nonostante “era stato snobbato da molti17”, avesse portato per l’anno 2001 “freschi e cospicui capitali, che ridaranno ossigeno e soprattutto vivacità ad un settore (quello dei promotori finanziari) dopo il 2001 licenziato come uno dei più difficili del decennio18”; la diversificazione degli investimenti nelle reti bancarie, con conseguenti nuove opportunità per gli operatori che si trovavano in difficoltà per la congiuntura economica che stava attraversando il Paese nel 2001 e che si è riproposta con lo scoppio della bolla speculativa e della crisi dei mercati finanziari nel 2009, è stato un importante effetto speculare all’incremento di gettito ora descritto: questa diversificazione trovava origine soprattutto, come osservato dalla stampa specializzata, nel fatto che “spesso chi 13 S. CAPOLUPO, Manovra anti-crisi (D.L. 1 luglio 2009, n.78, convertito) – La nuova versione dello scudo fiscale, cit., 15261. 14 I. BUFACCHI, Scudo fiscale e condono obiettivi in parallelo, in Il sole 24 ore 5 luglio 2009, cit. 15 Ibidem.. 16 Per un commento sugli esiti del provvedimento del 2001 e sulla successiva proroga del D.L. 12/2002 conv, con modifiche in L. 23 aprile 2002, n.73, si veda: L. INCORVATI, Grandi affari con lo scudo fiscale, Il sole 24 ore, 2 febbraio 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; Scudo, per Bankitalia febbraio boom, Il sole 24 ore, 22 marzo 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; M. PERUZZI, Febbraio accende lo scudo fiscale, Il sole 24 ore, 29 marzo 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; L. INCORVATI, Uno scudo a impatto limitato, Il sole 24 ore, 3 novembre 2001, in banca dati online www.sba.unimi.it; M. MEAZZA, Scudo, l’ora della proroga, Il sole 24 ore, 14 febbraio 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; Scudo, la Ue apre alla proroga, Il sole 24 ore, 9 febbraio 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; Relazione al D.L. 12/2002 consultabile nella banca dati on line de il fisco, in www.sba.unimi.it; A. IORIO, Scudo fiscale, ampliati i termini in G.U., Il sole 24 ore, 24 febbraio 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; Circolare n. 37/E, in il fisco n. 19/2002; I. CARACCIOLI, Ultimi ritocchi allo “scudo fiscale” con irrisolto il problema della confisca, in il fisco n. 22/2002; L. IMPERATO, i profili penali dello scudo fiscale, cit., A. IORIO, Solo un atto formale sbarra la strada alla sanatoria, Il sole 24 ore, 4 maggio 2002, , in banca dati online www.sba.unimi.it; E. BLASIO, Aspetti problematici in tema di scudo fiscale, in il fisco, n.18/2002, 12790 ss.; E. MIGNARRI, Rilevazione e tassazione dei redditi di fonte estera: un quadro aggiornato dopo lo scudo fiscale, in il fisco n.30/2002, 14831 ss.; I. DELLA VALLE, Reti, ancora positiva la raccolta in aprile, Il sole 24 ore, 28 maggio 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it; M. MEAZZA, Scudo, finale in ascesa, Il sole 24 ore 15 maggio 2002, in banca dati online www.sba.unimi.it. 17 L. INCORVATI , Grandi affari con lo scudo fiscale, cit. 18 Ibidem. 17 deve far rientrare grossi capitali, un po’ per non dare nell’occhio, un po’ per diversificare il rischio, ripartisce l’operazione su più intermediari. E questo favorisce le reti19”. Il secondo obiettivo dunque, se si passano brevemente in rassegna i dati che descrivono l’ammontare dei capitali rientrati o regolarizzati nel corso della proposizione dei vari provvedimenti pare essere stato raggiunto: il primo scudo fiscale ha fruttato alle casse dello Stato “molto più di quanto previsto dal Governo e di quanto registrato dall’Ufficio Italiano Cambi; 1,484 miliardi di euro rispetto ai 980 milioni attesi, in virtù dei 59, 350 miliardi di euro emersi attraverso i rimpatri e le regolarizzazioni contro i 40 miliardi messi in conto prudentemente dal ministero dell’Economia e i 56,4 miliardi segnalati dall’U.i.c.20”. Con la proroga avvenuta nel 2002, anche se il dato finale era “meno brillante21” rispetto al precedente, lo scudo “ha chiuso i battenti22” con un totale “di 18,4 miliardi di euro, con valori molto distanti tra rimpatri e regolarizzazioni: 54% è stato rimpatriato, 45,9% regolarizzato23”; infine, con lo scudo-ter “le operazioni di scudo fiscale perfezionate dal 15 settembre 2009 al 30 aprile 2010 hanno portato all’emersione di attività per un valore complessivo pari a circa 104,5 miliardi di euro24” con un “gettito dell’imposta straordinaria applicata sul valore di tali operazioni pari a circa 5,4 miliardi di euro25”. In termini economici, dunque l’importanza ed l’imponenza del gettito fiscale derivante dai vari scudi ha consentito di superare degli iniziali scetticismi sullo “scarso appeal del provvedimento26”, basati su “la difficile comprensione del testo e le solita diffidenza dei risparmiatori italiani27” e su paventate indiscrezioni per cui “molte banche elvetiche, oltre che a demonizzare il provvedimento del Governo italiano, sarebbero disposte, pur di mantenersi stretti i capitali di chi è intenzionato a regolarizzare la propria posizione, a versare al 19 Ibidem. I. BUFACCHI, Scudo fiscale, centrato l’obiettivo 60 miliardi, in Il sole 24 ore 11 gennaio 2003, in banca dati online www.sba.unimi.it. 21 M. MEA, Per lo scudo bis oltre 18 miliardi, in Il sole 24 ore 15 gennaio 2003, in banca dati online www.sba.unimi.it. 22 Ibidem. 23 Ibidem. 24 Documento XXVII n.21 della camera dei deputati. 25 Ibidem. 26 L. INCORVATI, Uno scudo a impatto limitato, cit. 27 Ibidem. 18 20 posto del cliente il 2,5%28”: al fine di perseguire i risultati economici brevemente ripercorsi, infatti il legislatore ha utilizzato diversi strumenti per rendere appetibile il rientro; dal punto di vista prettamente economico e tributario del provvedimento, questi ha assicurato una tassazione ridotta sui capitali rientrati o regolarizzati che andava da un iniziale 2,5% del 2001 al 7% previsto con l’ultima proroga nel 2010, percentuale molto bassa rispetto a possibili evasioni d’imposta molto elevate, nonché, dal punto di vista penalistico, ma non per questo non meno valido incentivo a fini economici per attirare il rientro dei capitali, una rinuncia a perseguire determinati reati fiscali e non che nel seguito verranno illustrati in maniera approfondita. 2. Soggetti ed oggetto dell’emersione. La disciplina relativa allo scudo fiscale è stata introdotta con il D.L. 25 settembre 2001 n. 350, capo III, articoli da 11 a 21, convertito in L. 23 novembre 2001 n.40929, prorogata con il D.L. 22 febbraio 2002 n.12, convertito con 28 Ibidem. Per un commento al decreto e alla legge di conversione si veda: I. CARACCIOLI, “Emersionismo” e “scudo penale”, in il fisco, n. 34/2001, 11418; idem, Ma la regolarizzazione non copre la frode,in “Il sole 24 ore” 25 settembre 2001, 25; S. CAPOLUPO, Lo scudo fiscale, modalità di rientro dei capitali ed effetti fiscali, in il fisco, n.38/2001, 12489, L. SALVINI, Lo scudo fiscale, in il Fisco, n.42/2001, 13577; G. IZZO, Rimpatrio di attività finanziarie e non punibilità dei delitti ex artt. 4 e 5 del D.lgs. n. 74/2001, in il fisco, n.45/2001, 14258; G. P. CHIEPPA, Le attività derivanti da reato. Lessico normativo di politica fiscale negli emendamenti al decreto-legge sul rimpatrio dei capitali, in il fisco, n.46/2001,14761; idem, Rientro dei capitali, “scudo penale” e poteri di indagine del pubblico ministero, in il fisco, n.39/2001, 12845; L. TOSI, Lo scudo fiscale. Efficacia ai fini dell’accertamento amministrativo e penale, in il fisco, n. 44/2001, 13931; C. DI GREGORIO, Il monitoraggio fiscale dei trasferimenti di capitale: i poteri del Fisco e le opportunità per i contribuenti alla luce del D.L. n.350/2001, in il fisco, n.46/2001, 14664; V. VISCO, un condono fiscale mascherato, in Dir. e prat. trib., 2001; 919; P. ANELLO, Rimpatrio e regolarizzazione dei capitali all’estero: adempimenti ed effetti, in Corr. trib., 2001, 3028; C. NOCERA, Emersione delle attività all’estero: si amplia l’ambito applicativo delle disposizioni, in Corr. Trib., 2001, 3193; A. GIOVANNINI, “Scudo” fiscale e anonimato, in Rass. trib., n.1/2002, 253; P. CORSO, Emersione di attività detenute all’estero e “bonus penale”, in Corr. trib., n.2/2002, 101; S. DOVERE, “Lo scudo fiscale”: struttura ed effetti di una nuova causa di non punibilità per i reati tributari, in Dir. pen. e proc., n.6/2002, 765; G. GAFFURI, I requisiti soggettivi e oggettivi per il rimpatrio e la regolarizzazione delle attività detenute all’estero, in Rass. trib., 2001, 14185; U. PERRUCCI, Favorito il rientro dei capitali dei capitali esteri, in Boll. trib., 2001, 1453; S. STUFANO, Quanto è solido lo scudo fiscale?, in Corr. trib., n.6/2002, 485; A. LANZI, Profili e risvolti penalistici dello “scudo fiscale”, in il fisco, n.1/2001, 127; G. BERNONI, Scudo fiscale: tassazione dei redditi da capitale detenuti all’estero,in il fisco, n.47/2001, 14921; idem, Residenti nei “paradisi fiscali” e scudo fiscale, in il fisco, n.16/2001, 2356; G. PEZZUTO, Gli effetti e le possibili “sorprese dello scudo fiscale”, in il fisco, n.45/2001,14185; A. MISFUD – M. MARIANO, Il rientro dei capitali all’estero: preclusione al’azione accertatrice degli uffici finanziari e problematiche di compatibilità con la manovra antiriciclaggio, in il fisco, n. 39/2001, 12758; A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, Giuffrè editore, Milano, 2010, 82. 19 29 modiche dalla L. 23 aprile 2002, n.7330 e riproposta da ultimo con il D.L. 1 luglio 2009, n.78 convertito, con modifiche dalla L. 3 agosto 2009, n.102 e successive modificazioni. In primo luogo, l’art 11, comma 1, lettera a), individua e circoscrive l’ambito di applicazione soggettiva della normativa a due categorie di soggetti31: la prima, che può definirsi sostanziale, poiché è su di essa che si producono gli effetti della norma, qualifica come “interessati” i soggetti abilitati allo scudo che rientrano nella disciplina del cosiddetto “monitoraggio fiscale”, contenuta nel D.L. 28 giugno 1990, n.167, convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227 e successive modificazioni: persone fisiche, enti non commerciali, società semplici ed associazioni equiparate ai sensi dell’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Il riferimento alla normativa relativa al monitoraggio fiscale è di fondamentale importanza, in quanto i soggetti ora riferiti, per poter fruire della normativa in esame, dovevano avere esportato o detenuto all’estero capitali ed attività in violazione dei vincoli valutari e tributari sanciti dalla disposizioni relative al monitoraggio; la violazione di tale normativa dunque si pone, per i soggetti interessati, come conditio sine qua non per l’applicazione del provvedimento. 30 Si veda: L. INCORVATI, Uno scudo a impatto limitato, cit; M. MEAZZA, Scudo, l’ora della proroga, cit.; Relazione al D.L. 12/2002, cit; A. IORIO, Scudo fiscale, ampliati i termini in G.U., cit; Circolare n. 37/E, cit; I. CARACCIOLI, Ultimi ritocchi allo “scudo fiscale” con irrisolto il problema della confisca, cit; L. IMPERATO, i profili penali dello scudo fiscale, cit., A. IORIO, Solo un atto formale sbarra la strada alla sanatoria, cit; G. GOLIA, Profili penali della sanatoria fiscale, cit.; G. BERSANI, Gli effetti penali della legge finanziaria 2003, cit.; G. ANDREANI, Lo scudo fiscale societario: contenuto e responsabilità, in il fisco, n. 4/2003, 1504; G. D’ABRUZZO, Emersione dei redditi e delle attività estere: anatomia di una sanatoria costruita come un puzzle, cit.; L. DEL FEDERICO, Condoni 2003: scudo fiscale e regolarizzazione dei redditi e degli imponibili detenuti all’estero. Esame di un’ interessante ipotesi di lavoro, in il fisco, cit.; I. CARACCIOLI, Condono fiscale: introdotto lo “scudo penale” dei managers, in il fisco, n.31/2003, E. MASTROGIACOMO, Profili penali delle disposizioni in materia di concordato previste dalla legge finanziaria 2003, in il fisco, n.12/2003, 11845; S. GENNAI, Effetti sul piano penale del cosiddetto scudo fiscale per le società, in il fisco, n.10/2003, 11538; S. M. D’ARCANGELO – G. CHIARION CASONI, Emersione dei redditi di fonte estera: scudo fiscale o dichiarazione integrativa semplice?, in il fisco, n.16/2003, 12465; E. BLASIO, Aspetti problematici in tema di scudo fiscale, cit.; E. MIGNARRI, Rilevazione e tassazione dei redditi di fonte estera: un quadro aggiornato dopo lo scudo fiscale, cit.; I. DELLA VALLE, Reti, ancora positiva la raccolta in aprile, cit; M. MEAZZA, Scudo, finale in ascesa,cit. 31 Per una ricognizione sui requisiti soggettivi si veda: G. GAFFURI, I requisiti soggettivi e oggettivi per il rimpatrio, cit., 1637. 20 Il requisito della residenza fiscale nello Stato, per quanto riguarda le persone fisiche, è soddisfatto se coincidente con la definizione che ne viene data dall’art. 2, comma 2, del Tuir, in base alla quale si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile; inoltre, il successivo comma 2- bis del Tuir, considera altresì residenti, salvo prova contraria del contribuente, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati dal D.M. 4 maggio 1999. Per le società semplici, le associazioni e gli enti non commerciali, gli artt. 5, comma 3, lett. d), e 87, comma 3, del Tuir, stabiliscono che si considerano residenti coloro che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’Amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Il differente trattamento rispetto alle società di persone che svolgono attività commerciale e le società di capitali, che sono i soggetti esclusi dalla disciplina dello scudo, trova “fondamento razionale (.....) nel fatto che ai predetti soggetti collettivi non si applica la disciplina sul monitoraggio fiscale32”. La seconda categoria di soggetti, citata dall’articolo 11, lettera b), della L. 409/2001, sono gli intermediari: le banche italiane, le società d’intermediazione mobiliare previste dall’art. 1, comma 1, lettera e) del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, le società di gestione del risparmio previste dall’art.1, comma 1, lettera o), dello stesso testo unico, limitatamente alle attività di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, le società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966, gli agenti di cambio iscritti nel ruolo unico previsto dall’art. 201 del predetto testo unico, le Poste italiane S.p.a., le stabili organizzazioni in Italia di banche ed imprese di investimento non residenti; tali soggetti riferiti dalla normativa possono definirsi come “procedimentali”, in quanto deputati ad effettuare le operazioni di emersione. 32 S. CAPOLUPO, Manovra anticrisi, cit., 15261. 21 Per quanto riguarda l’interrogativo su quali attività detenute all’estero possano rimpatriarsi o regolarizzarsi, gli artt. 12 comma1 e 15 comma 1 della legge fanno riferimento a somme di denaro ed attività finanziarie: in sostanza “valute estere, finanziamenti a non residenti, azioni o quote di non residenti, anche se non rappresentate da titoli, i titoli non rappresentativi di merce e i certificati di massa emersi da non residenti indicati dall’art. 67, comma 1, lett. c) del Tuir, le quote di partecipazioni a organismi esteri d’investimento collettivo, i contratti derivati e gli altri rapporti finanziari previsti dall’articolo 67 del Tuir, lettere c-quater e c) quinquies, se i contratti sono conclusi al di fuori del territorio dello Stato, le polizze vita con società non residenti, i contratti di pronto termine, riporto e prestito titoli, con controparti non residenti33”. Per coloro che si avvalgono della procedura di regolarizzazione, oltre alle somme di denaro ed attività finanziarie, è per di più possibile regolarizzare, ex art. 16 comma 1, anche “altri investimenti detenuti all’estero”: immobili, quote di diritti reali, oggetti preziosi nonché opere d’arte; nel provvedimento del 2001 era condizione imprescindibile per il rimpatrio e la regolarizzazione che gli oggetti fossero detenuti in qualsiasi Paese europeo ed extraeuropeo, alla data prevista dalla norma: 1 agosto 2001 per il rimpatrio o 27 settembre 2001 per la regolarizzazione; per il provvedimento del 2009 ovviamente i termini cambiano, prescrivendo il comma 6 dell’art. 13 della legge sullo scudo del 2009, che le attività oggetto di rimpatrio e di regolarizzazione devono essere detenute fuori dal territori dello Stato alla data del 31 dicembre 2008. A seconda dell’anno del provvedimento variano anche i termini del periodo entro il quale effettuare l’operazione di rimpatrio: il primo provvedimento, a seguito della proroga, operava in un periodo compreso tra il 1 novembre 2001 ed il 15 giugno 2002, lo scudo-bis dal 1 gennaio 2003 al 30 settembre 2003 e infine l’ultima versione dello scudo ha dato la possibilità di rimpatriare o regolarizzare in un arco di tempo compreso tra il 15 settembre 2009 e il 30 aprile 2010. Nel caso di mancato rispetto dei termini ora visti, il rimpatrio o la regolarizzazione sono preclusi e anzi “gli effetti del’emersione non possono essere invocati con riferimento alle attività che, pur essendo indicate nella 33 V. RUSSO, Decisivo il luogo delle attività, in Guida pratica de Il Sole 24 Ore, cit., 11. 22 dichiarazione riservata, non sono detenute all’estero alla predetta data34”; l’agenzia delle Entrate ha specificato inoltre che “in considerazione della finalità del provvedimento che è quella di consentire l’emersione di attività comunque riferibili al contribuente35” le attività passibili di emersione non sono solo quelle in possesso diretto del contribuente, ma possono riguardare anche “attività intestate a società fiduciarie o possedute dal contribuente per il tramite di interposta persona36”. 3. Modalità di emersione delle attività. L’emersione delle attività detenute all’estero può effettuarsi secondo due modalità alternative, la cui scelta è rimessa alla discrezionalità del soggetto interessato; la prima è il rimpatrio, che consiste nel “far rientrare in Italia denaro e attività di natura finanziaria37”, la seconda è la regolarizzazione, attraverso la quale il soggetto continua a mantenere le proprie attività all’estero dichiarandone l’esistenza al fisco italiano. 3.1. Rimpatrio: le tre modalità. Il rimpatrio è disciplinato dall’articolo 12 della L. 409/2001: come sopra riferito, condizione per effettuare il rimpatrio, consiste nell’aver detenuto il denaro o le attività finanziarie senza l’osservanza delle disposizioni inerenti il “monitoraggio fiscale”, contenute nel D.L. n.167 del 1990, convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227. 3.1.1. Il rimpatrio materiale. Una prima modalità di rimpatrio è il cosiddetto “rimpatrio effettivo o materiale”: in tal modo “il contribuente interessato si reca in Italia presso un intermediario abilitato (una banca, una Sim o una società fiduciaria) dove sottoscrive un’apposita dichiarazione riservata (che resta cioè sconosciuta al fisco italiano) e conferisce all’intermediario stesso l’incarico a ricevere il denaro 34 Circolare 85/2001, in il fisco n.37/2001, 12195. Idem, 12191. 36 Idem, 12191. 37 Circolare n. 85/E, cit.; 12191. 23 35 e gli strumenti finanziari esistenti presso l’intermediario estero. L’intermediario estero effettua poi il trasferimento a quello italiano su ordine del cliente38”; in sostanza il rimpatrio materiale consiste nell’introduzione o reintroduzione delle attività, finanziarie o patrimoniali, nel territorio dello Stato. 3.1.2. Il rimpatrio giuridico È tuttavia possibile effettuare l’operazione di rimpatrio in modo tale da non rendere necessario il trasferimento fisico delle attività detenute all’estero mediante il ricorso al rimpatrio “giuridico” la cui procedura è stata chiarita dalla circolare 9/E dell’Agenzia delle Entrate che così ha precisato: “affinché si realizzi un’ipotesi di rimpatrio, è sufficiente che l’intermediario italiano assuma formalmente in custodia, deposito, amministrazione o gestione le attività depositate o esistenti all’estero, anche senza procedere al materiale afflusso nel territorio dello Stato. È però necessario che, con l’operazione di rimpatrio, l’interessato sia titolare soltanto di un rapporto di deposito, custodia, amministrazione e gestione intrattenuto con l’intermediario residente e che, all’estero, i conti di deposito (o sub deposito) siano aperti non più a nome dell’interessato – che già ha proceduto al rimpatrio – ma a nome dell’intermediario italiano che ha curato l’operazione di rimpatrio39”. Al fine di rendere più semplice quanto ora riportato dalla circolare dell’Agenzia, la dottrina40 ha efficacemente riassunto la procedura in cinque operazioni: 1. Accensione di un contratto di amministrazione con un intermediario residente; 2. Presentazione all’intermediario residente della dichiarazione riservata, con costituzione del deposito delle attività rimpatriate; 3. Accensione di un contratto di sub- deposito tra intermediario italiano e intermediario estero; 4. Chiusura del rapporto tra contribuente e intermediario estero; 38 39 A. BUSANI – F. VEDANA, Dalla Svizzera scudo con trappole, in Il Sole 24 Ore, 7 P. CEPPELLINI – R. LUGANO, Se il ritorno è solo giuridico, Guida pratica de Il 27. 40 Ibidem. 24 dicembre 2009. Sole 24 Ore, cit. 5. E, infine, immissione delle attività nel sub deposito intestato all’intermediario italiano. I motivi che legittimano tale procedura possono rinvenirsi sostanzialmente nel fatto che “in presenza di attività dematerializzate41” un trasferimento fisico “avrebbe poco significato dal punto di vista operativo42”; pare potersi concordare con quanto detto a suo tempo anche dall’Assofiduciaria, per cui “(...) la necessità che, per effetto del rimpatrio, si verifichi un trasferimento fisico dei titoli - intesi in senso materiale e documentale – dall’estero in Italia contrasterebbe con la realtà, tenuto conto del fenomeno di dematerializzazione dei titoli e dell’inclusione fra le attività rimpatriabili anche di quelle non incorporabili un beni materialmente trasferibili (tipicamente le quote di società non azionarie)43”. 3.1.3. Il rimpatrio fisico. L’Agenzia delle Entrate infine ha specificato una terza e ultima possibile modalità per l’operazione di rimpatrio (“rimpatrio fisico”): questa “può essere effettuata anche attraverso il trasporto al seguito del contante o delle attività finanziare. In tal caso si applica, oltre alla normativa antiriciclaggio per l’individuazione delle operazioni sospette, l’ordinaria disciplina in materia di monitoraggio”44 la quale prevede all’art. 3 del D.L. 167/1990 l’obbligo a carico del soggetto di dichiarare l’operazione di trasporto a seguito del contante e delle altre attività finanziarie all’Ufficio Italiano dei Cambi all’atto del passaggio in dogana, in caso di transiti extracomunitari, ovvero, nel caso di transiti da un Paese dell’Unione europea, nelle quarantotto ore successive all’entrata; in quest’ultima ipotesi, “la dichiarazione è depositata presso una banca, un ufficio doganale, un ufficio postale o un comando delle Guardia di finanza, che trasmettono le dichiarazioni ricevute all’Ufficio Italiano dei Cambi che provvede ad inviarli all’Amministrazione finanziaria.”45 41 Ibidem. Ibidem. 43 Circolare COM/100/2001 del 7 dicembre 2001, consultabile in banca dati online de Il Sole 24 Ore, www.sba.unimi.it. 44 Circolare 85/E, cit., 12192. 45 Circolare 85/E, cit., 12192. 25 42 In questo caso può concordarsi con chi ritiene che il contribuente “gioca a volto scoperto46” poiché l’Amministrazione finanziaria viene a conoscenza del rimpatrio e dell’identità del soggetto che rimpatria; l’obbligo di dichiarazione e segnalazione sono imposti per evitare che i contribuenti utilizzino impropriamente la facoltà concessa dal provvedimento, facendo emergere anziché attività detenute all’estero, attività detenute in Italia, oggetto di violazioni di natura fiscale non ancora accertate. Mediante le segnalazioni nominative invece, l’Amministrazione è posta nelle condizioni di accertare la veridicità della dichiarazione di trasporto e l’effettiva provenienza estera del denaro o altre attività. Anche per l’ipotesi di rimpatrio con trasporto al seguito47 le relative somme od attività vengono depositate presso l’intermediario al quale è presentata la dichiarazione riservata; i soggetti che hanno ricevuto le dichiarazioni, a loro volta sono tenuti a trasmetterne copia -ai sensi dell’art. 3-bis del D.L. 167/1990entro la fine del mese successivo all’UIC, che provvede ad inviarle all’Amministrazione finanziaria. Come precisato dall’UIC48, le dichiarazioni di passaggio doganale devono essere trasmesse dagli enti riceventi con plico a parte, evidenziando la dicitura “Decreto Legge n.350/2001” (e “Decreto Legge n.78/2009” per lo scudo- ter); anche in questo caso gli interessati che rimpatriano, sulla base del disposto dell’art. 14 comma 5 del D.L. 350/2001, sono esonerati dal’obbligo di indicazione degli importi rimpatriati nella dichiarazione dei redditi, quadro RW, relativamente al periodo d’imposta in corso alla data di presentazione della dichiarazione riservata. 3.2. La procedura per effettuare il rimpatrio. Il conseguimento degli effetti premiali previsti dall’art. 14 della legge (che in seguito verranno descritti) si verifica successivamente al compimento di uno dei due atti prescritti dall’art. 12, comma 1 e comma 2, la scelta dei quali è rimessa alla discrezione dell’interessato: questi infatti, ex comma 1 art. 12, può conseguire i menzionati effetti o mediante il versamento di una somma che a 46 A. GIOVANNINI, Scudo fiscale e anonimato, cit., 255. Si veda: C. DI GREGORIO, Il monitoraggio fiscale dei trasferimenti di capitale, cit., 14673. 47 Si veda: A. FELICIONI, Scudo fiscale, pronti i titoli ad hoc, in Italia Oggi, 30 ottobre 2001, 47 26 36. seconda dei provvedimenti varati nel corso degli anni va da un iniziale 2,5 per cento al 7% dell’importo dichiarato delle attività finanziarie, e che non è deducibile, né compensabile, ai fini di alcuna imposta, tassa o contributo; una prima differenza è da sottolineare in riferimento ai primi due scudi rispetto l’ultima versione del 2009: i primi in alternativa al versamento del 2,5 per cento permettevano il rimpatrio, ex comma 2 dell’art.12 della legge, attraverso la sottoscrizione, per un importo pari al 12 per cento dell’ammontare delle attività finanziarie rimpatriate, di titoli di Stato di cui all’art. 18 comma 2 della legge 409/2001, con tasso di interesse tale da rendere equivalente alla somma dovuta il differenziale tra il valore nominale ed il valore di mercato 49. Il provvedimento del 2009 invece ha escluso questa seconda alternativa possibilità, a fronte di una tassa più elevata da versare per l’operazione di emersione che parte dal 5% fino al 7% dell’ultima finestra di proroga. Per quanto concerne gli adempimenti necessari per l’operazione di rimpatrio questi sono indicati nell’art. 13 della l. 409/2001, che individua al comma 1, gli adempimenti gravanti sull’interessato: questi consistono nella presentazione agli intermediari di una dichiarazione riservata del denaro e delle attività finanziarie detenute all’estero, delle quali si dispone l’ingresso nel territorio dello Stato, contenente l’incarico all’intermediario di ricevere in deposito le attività provenienti dall’estero e di versare la somma di cui all’art.12 comma 1, nelle modalità previste dalle disposizioni contenute nel capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241, o di sottoscrivere i titoli di cui all’art.12 comma 2, versando alla Banca d’Italia le somme corrispondenti ai mandati alla sottoscrizione dei titoli, entro il termine che era previsto dall’articolo 18 comma2 della legge 409/2001 (operazione non più possibile per lo scudo del 2009). L’intermediario, una volta ricevuta la dichiarazione ed effettuate le procedure di versamento della somma, secondo quanto dispone il comma 3 dell’articolo ora richiamato, deve rilasciare all’interessato copia della dichiarazione riservata e comunicare all’amministrazione finanziaria, entro il termine stabilito per la dichiarazione del sostituto d’imposta, l’ammontare complessivo delle attività rimpatriate e delle somme versate, di cui all’art.12 49 Si veda: A. FELICIONI, Scudo fiscale, pronti i titoli ad hoc, in Italia Oggi, 30 ottobre 2001, 36. 27 comma 1, ovvero dei titoli sottoscritti, di cui all’art.12 comma 2; le caratteristiche della “riservatezza” della dichiarazione sono individuate in forza della lettura del combinato disposto dell’ultimo alinea del comma 3 dell’art. 13, che prevede l’obbligo per l’intermediario di non indicare all’amministrazione finanziaria i nominativi dei soggetti che hanno presentato la dichiarazione e del comma 2 art. 14, secondo alinea, che vieta agli intermediari di comunicare all’amministrazione finanziaria, ai fini degli accertamenti tributari, dati e notizie concernenti le dichiarazioni riservate, ivi compresi quelli riguardanti la somma e i titoli di cui all’art. 12 commi 1 e 2, in deroga alla disposizione di carattere generale contenuta nell’art.1 comma 3 del D.L. n.167/1990. È dunque compito degli intermediari adottare le procedure necessarie per garantire la completa riservatezza dei dati; tra queste, di particolare rilevanza è quella indicata nella circolare 99/E del 4 dicembre 2001 dell’Agenzia delle Entrate, ossia la costituzione di appositi conti destinati ad accogliere le somme e le attività oggetto del rimpatrio; su tali conti ha precisato però l’Agenzia, “potranno essere depositate esclusivamente le attività rimpatriate di cui alle dichiarazioni riservate prodotte dai contribuenti interessati, rimanendo escluso qualunque ulteriore accredito, tranne quello riguardante somme derivanti dall’alienazione delle attività rimpatriate, fino a concorrenza dell’importo indicato nella dichiarazione riservata”.50 L’Agenzia ha chiarito inoltre che il regime della riservatezza sui conti “si ritiene applicabile, oltre l’importo indicato nella dichiarazione riservata, anche ai redditi di capitale e alle plusvalenze realizzate derivanti dal denaro e dalle attività finanziarie rimpatriate, a condizione che si tratti di proventi assoggettati a tassazione definitiva da parte dell’intermediario depositario”.51 3.3 Regolarizzazione. La seconda modalità per l’emersione delle attività detenute all’estero è la regolarizzazione52 prevista dall’art. 15 delle legge e che “disciplina il caso in cui 50 Circolare n.99/E del 4 dicembre 2001, in il fisco,n.46/2001, 14777. Ibidem. 52 Si veda: L. MIELE, Lo stato estero vincola l’immobile, cit.; P. ANELLO, Rimpatrio e regolarizzazione dei capitali all’estero: adempimenti ed effetti, cit; G. GAFFURI, I requisiti soggettivi e oggettivi per il rimpatrio e la regolarizzazione delle attività detenute all’estero, cit. 28 51 il contribuente, in alternativa all’effettuazione dell’operazione di rimpatrio, intenda avvalersi degli effetti dell’emersione pur continuando a mantenere all’estero il denaro e le attività finanziarie53”. In sostanza “la regolarizzazione consente agli interessati, che lo preferiscano e siano legittimati a farlo, di profittare ugualmente degli effetti premiali della sanatoria, mantenendo tali attività negli Stati nei quali esse sono attualmente e procedendo alla corrispondente emersione mediante la loro semplice dichiarazione ed il conseguente pagamento dell’imposta straordinaria54”. La norma in esame prevede che gli interessati che comunque detengono all’estero attività finanziarie, possono conseguire gli effetti indicati dall’articolo 14, ad eccezione del comma 8, relativamente alle attività finanziarie mantenute all’estero e regolarizzate, con il versamento della somma indicata nell’art. 12, comma 1. Il richiamo all’art. 12 della legge indica le modalità con cui conseguire gli effetti di cui all’art. 14 delle legge: versamento di una somma pari al 2,5 per cento (ma si ricorda che questa è variata nel corso della riproposizione dei provvedimenti fino a raggiungere il 7% nel provvedimento del 2009) dell’importo dichiarato delle attività finanziarie (comma 1 art. 12). Il comma secondo dell’art. 15 prescrive anche per la regolarizzazione la presentazione della dichiarazione riservata delle attività finanziarie agli intermediari di cui all’art. 13; in aggiunta rispetto a quanto previsto per il rimpatrio, il secondo alinea dell’art. 15 comma secondo prescrive di allegare alla dichiarazione riservata una certificazione degli intermediari non residenti che attesti che le attività corrispondenti agli importi in essa indicati siano in deposito presso i medesimi intermediari. L’Agenzia delle Entrate ha precisato poi che “la responsabilità circa la veridicità e la provenienza della certificazione ricade sull’interessato e sul soggetto che l’ha rilasciata, che ne rispondono a tutti gli effetti di legge, anche penali”55; quale esempio di possibile ricadute penalistiche nel caso di certificazione alterata, la stessa Agenzia cita l’art. 485 del codice 53 Circolare 85/E, cit., 12193. Rientro dei capitali e scudo fiscale, cit., 56. 55 Ibidem. 29 54 P. TABELLINI, penale, che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, al fine di procurare per sé o per altri un ingiusto vantaggio o di recare ad altri danno, forma in tutto o in parte una scrittura privata falsa, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne facciano uso. Per gli intermediari che ricevono la dichiarazione riservata sono previsti gli stessi obblighi di versamento della somma per il rimpatrio, come si evince dal richiamo dell’art. 15 comma 3 all’articolo 13, comma 2, e le stesse modalità di comunicazioni ed attestazioni previste per il rimpatrio, come risulta dal richiamo, operato sempre dell’art. 15 comma 3, all’art. 13 commi 2, 3 e 4. Analogamente a quanto dispone l’art. 14 comma 2, l’art. 15 comma 4 prescrive agli intermediari di effettuare le rilevazioni di cui all’art. 1, commi 1 e 2, del decreto legge n. 167/ del 1990; tuttavia a differenza di quanto previsto dall’art. 14 comma 2 della legge, è previsto per gli intermediari che attuano l’operazione di regolarizzazione l’obbligo di effettuare le comunicazioni di cui all’art. 1 comma 3 del D.L. n. 167/ del 1990. La differenza merita di essere sottolineata in quanto comporta per il soggetto che regolarizza, come verrà meglio spiegato nei paragrafi relativi all’anonimato fiscale e penale, la perdita dell’anonimato nei confronti dell’amministrazione finanziaria che di conseguenza viene a conoscenza del contenuto dell’attività finanziaria oggetto di regolarizzazione e dell’identità dell’interessato, a differenza del rimpatrio per il quale al Fisco, come si è visto precedentemente, non è comunicata l’identità dei soggetti a cui fanno riferimento le somme e anzi possono essere comunicate solo le informazioni complessive sui patrimoni segnalati. Il successivo articolo 16 della legge prevede la possibilità per gli interessati di regolarizzare gli investimenti e le attività finanziarie di natura diversa da quelli di cui all’art. 15 della legge, con le modalità previste dall’art. 15 e nello stesso periodo di tempo previsto dall’art. 12 della legge, con un’importante differenza: non è previsto per la regolarizzazione di tale attività l’obbligo di certificazione degli intermediari non residenti che attesti che le attività corrispondenti agli importi in essa indicati siano in deposito presso i medesimi intermediari. Le procedure di versamento delle somme e dei titoli e di rilevazioni 30 e comunicazioni sono le medesime di quelle previste per la regolarizzazione di cui all’art. 15 commi 3 e 4, stante il richiamo che ne viene fatto dall’art. 16 comma 2. Brevemente, per quanto riguarda gli effetti della procedura di regolarizzazione, sia l’art. 15 comma 1 sia l’art. 16 comma 1 richiamano espressamente l’art. 14 della legge: identici effetti dunque all’operazione di rimpatrio, ad eccezione di quanto previsto dal comma 8 dell’art. 14; questo prescrive che non è possibile per il soggetto che regolarizza comunicare all’intermediario, contestualmente alla dichiarazione riservata, i redditi derivanti dalle attività regolarizzate al fine di evitare di indicare i predetti redditi nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui gli stessi erano conseguiti. 3.3.1. La possibilità di scelta a discrezione dell’interessato circa le modalità di emersione: differenze tra il provvedimento del 2001 e del 2009. La scelta riservata alla volontà dell’interessato tra rimpatrio o regolarizzazione è stata ridimensionata nell’ultima versione dello scudo fiscale del 2009. L’art. 13 bis comma lett. b) del D.L.78/2009 dispone infatti che le attività finanziarie e patrimoniali possono emergere a condizione che le stesse siano rimpatriate in Italia da Stati non appartenenti all’Unione europea, ovvero regolarizzate o rimpatriate perché detenute in Stati dell’Unione europea o aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa; la Circolare del 2009 ha rilevato come “la precedente sanatoria lasciò all’interessato la facoltà di realizzare il procedimento di emersione, mediante il rimpatrio oppure la regolarizzazione; e la circ. 85/2001 precisò che era concessa ampia discrezionalità circa l’utilizzo dei due strumenti, al punto che l’interessato avrebbe potuto utilizzare entrambi. Quella attuale lascia all’interessato facoltà di scelta, fra rimpatrio e regolarizzazione, solo quando le attività siano allocate in Stati aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un effettivo scambio di informazioni 31 fiscali in via amministrativa”; mentre impone il rimpatrio allorché le attività siano allocate in Stati non appartenenti all’Unione Europea56”. Se dunque per gli Stati dell’Unione vige una presunzione per cui “il requisito dell’effettività dello scambio di informazioni si considera in ogni caso sussistente57”, e pertanto permane per colui che scuda, come nelle precedenti versioni, facoltà di scelta tra rimpatrio e regolarizzazione anche mediante utilizzo di entrambe le modalità, diverso discorso va fatto tanto a riguardo degli Stati aderenti alla SEE per i quali la sussistenza del requisito dell’effettività dello scambio di informazioni “deve essere verificato58” e “attualmente, gli stati SEE che rispettano detto requisito sono la Norvegia e l’Islanda59” quanto per gli Stati extra-UE per i quali i tecnici del Ministero hanno puntualizzato che “si deve ritenere possibile la regolarizzazione delle attività detenute anche nei Paesi extra Ue con i quali è in atto un effettivo scambio di informazioni secondo il recente standard ONU/OCSE. Pertanto, in aggiunta ai paesi della UE e alla Norvegia e all’Islanda, la regolarizzazione è consentita da tutti i Paesi dell’OCSE che non hanno posto riserve alla possibilità di scambiare informazioni bancarie60”; tale puntualizzazione si è resa necessaria al fine di evitare le possibili censure in sede comunitaria per una scelta che escludendo gli Stati extra- UE, senza previa verifica del requisito dell’effettivo scambio delle informazioni finanziarie, avrebbe prodotto un evidente contrasto con l’art. 56 del Trattato istitutivo della Comunità europea, articolo che vieta qualsiasi restrizione ai movimenti di capitale non solo tra Stati membri, ma anche tra Stati membri e paesi terzi. Quid iuris per gli Stati che non soddisfano tale requisito, come il Liechtenstein (facente parte della SEE) o per i paesi extra UE, quali, ad esempio, la Svizzera, Montecarlo e San Marino? Per essi non resta altra via che il rimpatrio; tuttavia, la questione presenta profili di ulteriori sviluppi problematici in relazione al tipo di bene per il quale chi ricorre allo scudo fiscale ha la sola possibilità di richiedere il rimpatrio. 56 Circolare 43/E , 10 ottobre 2009, cit. Idem. 58 Idem. 59 Idem. 60 Idem. 57 32 3.3.2. Il divieto di regolarizzazione e l’obbligo di rimpatrio per le attività finanziarie e patrimoniali detenute nei paesi non collaborativi. Per quanto concerne l’ipotesi del rimpatrio delle attività finanziarie, la dottrina più attenta non ha mancato di evidenziare alcune possibili incognite che “potrebbero sorgere nell’ipotesi in cui il contribuente possegga un portafoglio titoli molto diversificato (...). Ipotizzando portafogli di attività finanziarie localizzate in Lussemburgo, queste possono rimanere dove sono (in quanto Stato che consente un effettivo scambio di flussi informativi, n.d.a), mentre i capitali investiti in azioni, titoli, fondi, obbligazioni tramite intermediari basati in Svizzera o nelle Isole Cayman devono rientrare in Italia. In quest’ultimo caso, si deve tenere conto del rischio di incontrare diverse difficoltà legate alla tempistica e alla onerosità dell’operazione di rientro in Italia. Alcuni investimenti, infatti non consentono il riscatto prima di un certo lasso di tempo (tre o sei mesi) e, per di più vi sono prodotti finanziari strutturati oppure polizze assicurative che impongono penali molto elevate nel caso di riscatti anticipati. Ciò, dunque, deve essere oggetto di attenta valutazione da parte del contribuente. Sommando l’aliquota del 5 per cento, prevista dallo scudo 2009 (...) alle eventuali penali previste dagli operatori esteri in relazione al “riscatto anticipato” richiesto dal contribuente, l’applicazione della normativa prevista dallo scudo fiscale potrebbe rivelarsi alquanto onerosa61”. Per quanto concerne le attività patrimoniali per le quali vige l’obbligo di rimpatrio nell’ipotesi di paesi non collaborativi, è necessario in primo luogo specificare che queste si dividono in due categorie: i beni mobili, quali quote di diritti reali, oggetti preziosi, opere d’arte ed imbarcazioni (su tutte gli yacht) ed i beni immobili; quando oggetto di scudo sono gli oggetti preziosi e le opere d’arte, la dottrina ha evidenziato come “le alternative che il contribuente ha a sua disposizione sono le seguenti: a) vendere i beni e “scudare” la somma di denaro che rinviene dalla vendita; b) rimpatriare i beni, cioè riportarli fisicamente in Italia, se siano trasportabili; c) lasciarli all’estero ed effettuare l’operazione di “rimpatrio giuridico62”. 61 B. SANTACROCE – I. VOLO, Un rientro ad ampio raggio, in Guida pratica de Il Sole 24 Ore, cit., 24. 62 A. BUSANI – F. VEDANA, Lingotti custoditi nel “conto metalli”, cit. 3. 33 Nel caso invece di rimpatrio dei beni immobili o degli yacht, risulta evidente come sia impossibile un rimpatrio materiale di queste, di conseguenza dunque la circostanza presenta profili di criticità ancora più marcati rispetto a quelli ora visti per il caso delle attività finanziarie; si è visto come in generale lo scudo degli immobili (ma il discorso vale anche per gli yacht) può essere effettuato (e anzi è questa la forma che più si adatta al caso) mediante regolarizzazione, ossia facendoli emergere “agli occhi del fisco italiano63” con “loro successiva inclusione nelle future dichiarazioni dei redditi64”. La regola tuttavia non vale per gli immobili o gli yacht detenuti in Stati non collaborativi e per i quali dunque si prospetta per il contribuente, qualora non decidesse di vendere l’immobile per “scudare” le somme ricavate dalla vendita, l’unica possibilità di rimpatrio giuridico: questo avverrà nel caso dell’immobile con “il conferimento dell’immobile in una società costituita nello stesso paese in cui l’immobile è ubicato e nel conseguente rimpatrio delle partecipazioni65” che può avvenire sia “mediante intestazione delle quote a società fiduciaria”, ovvero “mediante il conferimento a quest’ultima di un mandato di amministrazione delle quote stesse66”. Riguardo queste scelte, la dottrina non ha mancato di evidenziare come tuttavia per la prima ipotesi (conferimento del’immobile in una società costituita ad hoc) “potrebbe non essere conveniente per via del prelievo fiscale gravante sulla plusvalenza67”; 3.3.3. Conclusioni sulla scelta operata dal legislatore del 2009. La modifica della normativa disposta nel 2009, ovvero la previsione del solo rimpatrio come unica modalità di emersione per le attività patrimoniali e finanziarie detenute nei paesi non collaborativi, oltre evidentemente a rappresentare una notevole inversione di rotta rispetto al provvedimento del 2001, trova una legittimazione sistematica in quanto coerente con l’impianto complessivo del provvedimento che, in maniera più marcata rispetto al primo 63 A. BUSANI – F. VEDANA, Percorso standard di fatto inapplicabile agli immobili, in Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2009, 3. 64 Ibidem. 65 Ibidem. 66 A. BUSANI – F. VEDANA, Chi amministra paga le imposte, in Il sole 24 Ore, 7 dicembre 2009, 3. 67 P. M. TABELLINI, Rientro dei capitali e scudo fiscale, cit., 51. 34 scudo fiscale, si inserisce in un disegno complessivo di forte contrasto e lotta ai paradisi fiscali, rappresentandone per l'appunto, un considerevole strumento attuativo. Pare utile rimarcare come il legislatore ha compiuto una scelta sul versante della politica criminale molto forte: si è preferito concedere delle condizioni più restrittive tenendo anche in conto di una possibile scelta diretta a mantenere in una situazione di illegalità determinati beni, si pensi soprattutto ai beni immobili per i quali risultano vietati la regolarizzazione e molto difficile il rimpatrio giuridico, piuttosto che dare un segnale “distensivo” verso gli stati che non consentono lo scambio di informazioni amministrative; segnale che avrebbe potuto essere finalizzato ad aprire una finestra di dialogo con essi in vista di una futura possibile stipulazione di accordi modificativi dei loro regimi sui flussi informativi, ma che tuttavia sarebbe stato in contrasto con la finalità programmatica di cui all’art. 12 del D.L. 78/2009 di inaugurare “una stagione di maggior rigore nel trattamento tributario dei patrimoni e dei capitali instradati verso i paesi off-shore68”. 4. La causa ostativa alla produzione degli effetti premiali penali ex art. 14 comma 1 lett. c) della L. 409/2001: il dibattito dottrinale sul significato di avvio del procedimento penale. Per quanto concerne l’effetto premiale penale previsto nella lett. c) del comma 1 dell’art. 14, questo non si produce a norma del comma 7 dell’art. 14 ultimo alinea, quando per gli illeciti penali ivi indicati sia già stato avviato il procedimento penale. A differenza della causa ostativa prevista per gli accertamenti tributari, che opera per tutti i vari scudi fiscali nei confronti degli interessati quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, costoro abbiano avuto formale conoscenza dell’atto di accertamento tributario e contributivo dell’amministrazione finanziaria, nell’ipotesi prevista per la causa ostativa penale la norma del 2001 non face riferimento ad alcun atto formale necessario per evitare la produzione degli effetti premiali del provvedimento, bensì al solo avviamento del procedimento penale nei confronti dell’interessato; la mancata previsione nel testo del comma 7 dell’art. 14 della legge di una 68 A. CISTERNA, Questioni sanzionatorie e procedurali nella manovra-ter per il rientro dei capitali: dallo scudo fiscale a quello penale, cit.,144. 35 conoscenza formale del procedimento penale è ricca di implicazioni problematiche inerenti ad una piena tutela del diritto di difesa del soggetto cui, in ragione di quanto disposto dalla norma, è preclusa la possibilità di fruire dell’ombrello penale concesso dalla legge. Preliminarmente è necessario individuare cosa si intenda per procedimento penale: al riguardo, due interpretazioni divergenti sono date dalla dottrina che si è occupata delle problematiche connesse alla causa ostativa penale del 2001; a seconda della risposta data, si producono in effetti conseguenze di non poco peso per le sorti penali dello scudante; la prima69 distingue il procedimento penale come “una fase tecnicamente antecedente a quella del processo, rappresentato invece dal dibattimento e dai successivi (eventuali) gradi di giudizio70”, che trovava avvio con “l’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro previsto dall’art. 335 del codice di procedura penale71”. La dottrina72 che non concorda con quanto ora riferito ritiene all’opposto che il procedimento penale possa considerarsi avviato in un momento precedente all’iscrizione di cui all’art. 335 c.p.p. considerando “l’adozione di un atto della polizia giudiziaria73” sufficiente ed idoneo “a determinare l’avvio di un procedimento penale diretto a perseguire nei confronti dell’interessato uno dei reati estinguibili con il rimpatrio o la regolarizzazione74”. L’assunto è stato motivato da tale dottrina sulla base della “generale difficoltà di definire con nettezza il tempo di emersione del reato tributario75” (che tradotta nel linguaggio codicistico significa “incertezza sul tempo di superamento del discrimine che l’art. 220 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale fissa per garantire le attività della Guardia di finanza garantite dal codice di rito76”), dovuta alle “modalità imposte all’accertamento della dichiarazione infedele che necessita di raffronto dei dati acquisiti nel corso dell’attività amministrativa di 69 70 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12845. Si veda: D. SIRACUSANO – A. GALATI – G. TRANCHINA – E. ZAPPALÀ, Diritto processuale penale, volume primo, Milano, Giuffrè, 2006, 30 ss. 71 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12845. 72 G. IZZO, Rimpatrio di attività, cit. 14258 ss. 73 A. VIOTTO, Gli eventi ostativi dello scudo fiscale, in il fisco n.12/2002, 1742. 74 Ibidem. 75 G. IZZO, Rimpatrio di attività, cit. 14257. 76 Ibidem. 36 verifica tributaria con la dichiarazione presentata77”, e che, sommata al fatto che “gli obblighi di denuncia e di riferire al pubblico ministero devono essere 78 adempiuti senza ritardo ”, determina un’elasticità della formula “avviamento del procedimento penale” tale da implicare che già nel segmento temporale dell’attività della polizia giudiziaria “si dia luogo ad attività investigative di iniziativa della Guardia di finanza che il codice di rito colloca nella prima fase del procedimento penale che, dunque, con esse prende avvio79”. . 4.1. I dubbi sul rispetto del diritto di difesa per l’indagato. Quale delle due interpretazioni sopra esposte può ritenersi maggiormente valida? La questione, come sottolinea la dottrina80, resta aperta: tuttavia per entrambe le soluzioni si prospettano possibili conseguenze in malam partem per il rispetto del diritto di difesa del soggetto coinvolto nell’operazione di scudo. Anche qualora si ritenesse valida la prima interpretazione dottrinale esposta, per la quale l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. è elemento che definisce l’avvio del procedimento penale, propendendo per una soluzione che eviti un’anticipazione del momento ostativo finanche alle indagini della polizia giudiziaria (soluzione, secondo il parere dello scrivente, da respingere in quanto l’operazione risulterebbe troppo aleatoria), occorre considerare che l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., non è un atto che viene in ogni caso conosciuto formalmente dal soggetto che ha rimpatriato o regolarizzato; dispone infatti l’articolo 335 c.p.p. al comma 3 che, ad eccezione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all’art. 407 c.p.p. comma 2 lett. a81), le iscrizioni previste dai commi 1 (iscrizione della 77 Rimpatrio di attività, cit. 14258. Ibidem. 79 Ibidem. 80 A. VIOTTO, Gli eventi ostativi dello scudo fiscale, in il fisco n.12/2002, 1742. 81 I delitti sono: 1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291- ter, limitatamente alle ipostesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291- quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43; 2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale; 3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416- bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; 4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel 37 78 G. IZZO, notizia di reato) e 2 (aggiornamento dell’iscrizione prevista al comma 1 in caso di mutazione della qualificazione giuridica del fatto) sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, nonché alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta82; la mancanza di una previsione che obblighi gli organi competenti a comunicare l’avviamento del procedimento penale nei confronti dell’indagato non è proporzionata dalla possibilità che del procedimento l’indagato ne venga a conoscenza con comunicazione a seguito di richiesta: come è stato evidenziato dalla dottrina, il presidio posto a garanzia del diritto di difesa è anzi di portata molto limitata e “risulterebbe di fatto impraticabile: il procedimento potrebbe essere aperto in una qualsiasi delle Procure di Tribunale sparse per territorio83” non vedendosi quindi “come potrebbe ragionevolmente compiersi il tour giudiziario necessario a verificare se per avventura un pubblico ministero abbia iniziato un procedimento nei confronti dell’interessato al rimpatrio84”. Inoltre, ammesso che la richiesta venga fatta dall’indagato o dal suo difensore, tale richiesta potrebbe inizialmente essere frustrata poiché, secondo quanto disposto dal comma 3-bis dell’ all’art. 335 c.p.p, se sussistono specifiche esigenze attinenti alle attività d’indagine, il pubblico ministero, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile. Il procedimento penale dunque, “rileva oggettivamente, a prescindere dal fatto che l’interessato sappia, o meno di essere indagato85”; la causa ostativa massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, e 306, secondo comma, codice penale; 5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n.110; 6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; 7) delitto di cui all’art. 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza; 7- bis) dei delitti previsti dagli articoli 600, 600- bis, comma 1, 600- ter, comma 1, 601, 602, 609bis, nelle ipotesi aggravate previste dall’art. 609- ter, 609- quater, 609- octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’art. 12 comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. 82 C.fr.: Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 3015 ss. 83 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12846. 84 Ibidem. 85 Ibidem. 38 dunque opera senza necessità che l’indagato riceva l’informazione di garanzia, atto che, ex art. 369 c.p.p., il pubblico ministero invia alla persona sottoposta alle indagini, quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere e finalizzato a portare a conoscenza del soggetto che la riceve le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto: in sostanza la qualifica di persona sottoposta ad indagine e l’esistenza di un procedimento penale che lo coinvolge. La conseguenza di quanto ora descritto comporta notevoli profili d’incertezza nella vigenza del provvedimento del 2001 in ordine alle conseguenze che possono derivare dall’operazione di rimpatrio effettuata nel caso di un’indagine in corso ma non conosciuta dall’interessato, risultando così lo scudo fiscale, come acutamente definito, una sorta “roulette russa della punibilità86”: “è sufficiente una gestione riservata delle indagini preliminari (che tra l’altro è perfettamente legittima ed usuale) per creare una situazione ignota al contribuente, ma nonostante ciò in grado di vanificare lo “scudo penale” da questi immaginato quale conseguenza del rientro delle attività finanziarie detenute all’estero87”, portando addirittura lo scudo al paradossale risultato di elemento che autodenuncia l’interessato circa i reati finanziari per i quali è indagato stante anche che la stessa legge sullo scudo dispone, ex comma 4 dell’art. 14, l’obbligo per gli intermediari di fornire i dati e le notizie relativi alla dichiarazioni riservate ove fossero richiesti in relazione all’acquisizione delle fonti di prova e della prova nel corso dei procedimenti penali. 4.2. Le modifiche alle cause ostative penali nello scudo-bis. Con il successivo provvedimento del 2002, denominato “scudo- bis” il legislatore ha optato per una modifica più “garantista” riguardo la causa ostativa penale; questa risulta necessaria per il disegno di politica economica sottostante all’operazione di scudo, finalizzato ad un incremento dell’attivo patrimoniale dello Stato e per la cui soddisfazione occorre fornire agli interessati strumenti chiari ed incentivanti. 86 87 L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12846. 39 del nuovo scudo fiscale, cit., 858. 4.2.1. La formale conoscenza dell’avvio del procedimento penale. L’art. 3-ter della legge 23 aprile 2002, n. 7, che ha convertito il D.L. 12/2002 (scudo fiscale- bis) ha sostituito la previsione del secondo periodo del comma 7 dell’art. 14 della L.409/2001 con quanto segue: “Il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1 lett. c), quando per gli illeciti penali ivi indicati è già stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza”; la formale conoscenza del procedimento penale “accade, di regola, attraverso la notifica alla persona sottoposta alle indagini dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415- bis c.p.p.: avviso che viene notificato alla persona sottoposta alle indagini ed al suo difensore, attraverso il quale viene comunicato che le indagini preliminari sono concluse, e che la persona sottoposta alle indagini può chiedere di essere sottoposta ad interrogatorio, ovvero può chiedere al p.m. il compimento di atti d’indagine. Collocato al termine delle indagini preliminari, detto avviso postula che esso intervenga decorsi almeno sei mesi, di regola, dall’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro, ovvero, nei casi più complessi, anche un anno o più88”. Stante la regola ora esposta però, nel codice di procedura penale non mancano eccezioni che anticipano il momento di formale conoscenza da parte dell’indagato del procedimento penale avviato nei suoi confronti, e questo avviene, come evidenziato dalla dottrina, nell’ipotesi “in cui fosse disposta attività di ricerca degli elementi di prova, quali la perquisizione ed il sequestro, ovvero con l’intervento della notifica dell’informazione di garanzia ai sensi dell’art. 369-bis c.p.p.89”: il decreto di perquisizione o sequestro menzionano l’ipotesi di reato per cui si procede e la contestuale pendenza del procedimento penale. Ovviamente, la conseguenza per cui la perquisizione o il sequestro producono “l’effetto di anticipare di molto – anche alle battute iniziali del procedimento penale – l’intervento della causa ostativa90” è collegata al fatto che il decreto emesso nei confronti del soggetto interessato ad avvalersi dello scudo 88 L. IMPERATO, I profili penali dello scudo fiscale, cit., 2. Ibidem. 90 Ibidem. 40 89 fiscale menzioni nelle ipotesi di reato per cui si procede uno dei reati previsti nell’art. 14 della L. 409/2001. Quanto ora riportato trova sostanziale ed autorevole conferma anche dall’Agenzia delle Entrate che, con circolare 37/E del 3 maggio 2002, precisa come la formale conoscenza “normalmente si verifica con la notifica della conclusione delle indagini preliminari ai sensi di quanto disposto dall’art. 415-bis del codice di procedura penale91” ma che “tuttavia considerato che in alcuni casi può accadere che l’indagato abbia avuto formale conoscenza del procedimento penale prima del termine a cui si riferisce il citato art. 415-bis, (per esempio, se viene disposto un sequestro o una perquisizione a suo carico) in tali casi si deve tenere conto, più in generale delle notifiche dei primi atti da cui espressamente risulti la qualità di indagato92”. La norma in esame pone dunque fine al dibattito dottrinale e alle incertezze sollevate in relazione alla precedente versione dello scudo93, che non prevedeva la conoscenza formale del procedimento penale avviato nei confronti dell’interessato come causa ostativa alla produzione degli effetti premiali dello scudo, ma si limitava a statuire l’ostatività penale al momento dell’avviamento del procedimento penale, con la conseguenza di possibili situazioni di “autentica ingiustizia sostanziale, in quanto appunto il soggetto poteva non sapere – fino alla chiusura delle indagini preliminari od alla comunicazione della pendenza nei soli casi previsti dalla legge – di essere indagato da una qualunque Procura della Repubblica del territorio nazionale94”. L’effetto della modifica è ben espresso da quella dottrina per la quale “l’inserimento esplicito della nuova clausola rende necessario che il soggetto, il quale intende avvalersi dello scudo, sia stato in qualunque modo, ma formalmente, notiziato95” e viene ancora meglio chiarito dalla stessa quando ribadisce come “non potrebbe valere, ad esempio, l’informale conoscenza della trasmissione degli atti al pubblico ministero, a seguito di una verifica fiscale, in 91 Circolare n. 37/E, cit., 2813. Ibidem. 93 Si veda il paragrafo 8 per una disamina del problema relativo alla prima versione dello scudo e gli annessi riferimenti dottrinali. 94 I. CARACCIOLI, Ultimi ritocchi, cit. 13467. 95 Ibidem. 41 92 sede di controllo incrociato, a carico di altro contribuente con il quale si sono avuti dei rapporti illeciti (ad esempio, in materia di fatture false)96”; In conclusione, con il provvedimento denominato “scudo- bis” il legislatore è intervenuto con una disposizione più attenta ai diritti di difesa dell’indagato (comma 3-ter aggiunto dalla legge di conversione n.73/2002 all’art. 1 del D.L. n. 12/2002) tali da risolvere, o quantomeno ridurre, i possibili effetti a sorpresa in malam partem per l’interessato; con ciò può ritenersi che l’intervento di favore sulla disciplina penalistica relativa alle cause ostative, che risulta la più temuta ed incerta per i soggetti interessati a scudare, si pone in linea con l’obbiettivo governativo finalizzato a ottenere dal rientro il massimo risultato in termini economici, stante la breve durata della “finestra” di proroga. 4.2.2. L’esclusione della punibilità per i reati già estinti, non punibili o non più previsti come tali dall’ordinamento. Una seconda importante modifica per quanto concerne le cause ostative alla produzione degli effetti premiali dello scudo, è stata disposta dallo scudo- bis con l’aggiunta del comma 2-ter all’art. 17 del D.L. 350/2001; questo sancisce che la disposizione di cui al comma 2-bis (“l’utilizzo delle modalità di cui agli artt. 12, 15, e 16 per effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione di attività detenute all’estero derivanti da reati diversi da quelli per i quali è esclusa la punibilità ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. c), non produce gli effetti di cui al medesimo articolo 14 ed è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100 per cento del valore corrente delle attività oggetto della dichiarazione riservata”) non si applica nel caso di reati già estinti, non punibili o non più previsti come tali dall’ordinamento, salvo che per i delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, di corruzione, di concussione, di estorsione, di sequestro di persona a scopo di estorsione, di usura. La Relazione al decreto ha chiarito che nonostante “il comma introdotto con l’articolo 2 lascia invariato il profilo del rigore penale”, la motivazione dell’aggiunta legislativa “evita un paradosso: la riviviscenza in sede di emersione delle attività detenute all’estero di reati già estinti o non più previsti come tali 96 Ibidem. 42 dall’ordinamento97”; in sostanza possono accedere alla regolarizzazione o al rimpatrio anche “coloro che avevano commesso uno dei reati per i quali inizialmente vigeva la preclusione purché la violazione risulti estinta, non punibile o non prevista dalla legge come tale. Nella precedente versione della legge 409/2001, invece, non era possibile beneficiare degli effetti dello scudo fiscale qualora il rientro o la regolarizzazione avessero riguardato somme o beni, esportati o acquistati, per effetto di violazioni differenti da quelle per le quali veniva esclusa la punibilità (sostanzialmente l’omessa e l’infedele presentazione delle dichiarazioni), ciò a prescindere che il reato fosse prescritto o non più punibile98”; la possibilità dunque di rimpatriare il provento del reato estinto o non più previsto come tale dall’ordinamento si pone secondo il legislatore in linea “con la ratio sottesa al provvedimento di emersione e, più in generale, con i principi ordinamentali, quali quelli del favor rei e con le regole proprie della disciplina penale applicabili nel tempo99”: si ritiene irrazionale e di difficile giustificazione alla luce dei principi generali dell’ordinamento che la derivazione del capitale riemerso da reati estinti o non previsti più come tali dall’ordinamento avesse dovuto pregiudicare la riemersione ed addirittura sanzionarla con una “gravosa sanzione pecuniaria100”. Per quanto riguarda il novero dei reati per i quali non opera la norma favorevole il legislatore, in sede di conversione del D.L. 12/2002 in aggiunta ai delitti da questo previsto di associazione per delinquere di tipo mafioso, di corruzione, di concussione, di estorsione, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di usura, ha ricompreso nell’elenco dei reati i delitti di traffico di armi, di tratta e commercio di schiavi, di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, nonché dei delitti aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.203, e comunque per i delitti puniti con l’ergastolo ovvero con pena edittale non inferiore nel massimo a quindici anni 97 Ibidem. 98 A. IORIO, Scudo fiscale, ampliati i termini in G.U., cit. 99 Ibidem. 100 Ibidem. 43 di reclusione. A parere della dottrina meno critica verso il provvedimento, con l’aggiunta di tale novero di reati, il legislatore è andato “ben oltre la materia del riciclaggio, risultante dalla rubrica dell’art. 2 del D.L. n. 12/2002 (“Disposizioni in materia di antiriciclaggio”)101” e ha fugato “in radice le (da molti) enfatizzate preoccupazioni addirittura di “condono fiscale” per i guadagni provenienti da precorse attività criminali102” con un intervento più attento alla protezione e libera disposizione del patrimonio privato. 4.3. La causa ostativa penale nello scudo- ter: comunicazione dell’avvio del procedimento penale o dell’esercizio dell’azione penale? problemi di coordinamento tra le norme richiamate. Si è da poco visto come nella versione bis dello scudo fiscale il legislatore, con l’aggiunta del requisito della formale conoscenza dell’avvio del procedimento penale nei confronti dell’interessato a scudare avesse operato un’importante e chiarificatrice modifica per l’operatività della causa ostativa penale tale da porre fine alle incertezze sollevate dall’elaborazione dottrinale relativa al primo scudo fiscale, in cui il requisito sopra menzionato mancava. All'opposto di quanto rilevato per il provvedimento del 2002, il legislatore del 2009 ha riportato l’interprete verso situazioni di incertezza riguardo il tema del “limite che lega le vicende processual-penalistiche per i fatti di reato per cui può essere esclusa la punibilità103”; le difficoltà interpretative riguardo la causa ostativa penale per la produzione degli effetti derivano dalla formulazione “imprecisa e farraginosa104”, nonché, a modesto parere dello scrivente, contraddittoria del comma 4 dell’art. 13-bis del D.L.78/2009 e successive modificazioni. Dispone il primo capoverso del predetto comma: “L’effettivo pagamento dell’imposta produce gli effetti di cui agli articoli 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni di cui all’articolo 17 del decreto-legge 25 settembre 2001, n.350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n.409 e successive modificazioni”; l’articolo 14 richiamato, per quanto concerne la 101 I. CARACCIOLI, Ultimi ritocchi, cit. 13468. Ibidem. 103 L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale, cit., 848. 104 Ibidem. 44 102 causa ostativa alla produzione degli effetti premiali, dispone al comma 7 (come precedentemente visto, e a seguito delle modifiche operate con lo scudo- bis) che “il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1 lettera c) quando per gli illeciti penali ivi previsti sia già stato avviato il procedimento penale (corsivo aggiunto) di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza”. Tuttavia il comma 4 dell’articolo 13- bis prosegue disponendo al secondo capoverso che “fermo quanto sopra previsto, e per l’efficacia di quanto sopra (corsivo aggiunto) l’effettivo pagamento dell’imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità penale, limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo, l’applicazione della disposizione di cui al già vigente articolo 8, comma 6, lettera c) della legge 27 dicembre 2002, n.289, e successive modificazioni (...)”. Ai sensi della seconda parte dell’articolo 8 comma 6, lettera c) della L. 289/2002 il legislatore ha previsto una causa ostativa diversa e non concorde rispetto a quella del 2001: dispone infatti l’articolo che “l’esclusione di cui alla presente lettera (ossia l’esclusione della punibilità per i reati ivi previsti) non si applica in caso di esercizio dell’azione penale della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza (corsivo aggiunto) entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa (corsivo aggiunto).” La scelta legislativa del “duplice rinvio a precedenti disposizioni normative105”, per cui “ci si trova (..), in maniera abbastanza sconcertante, di fronte ad uno stesso comma che richiama articoli appartenenti a leggi distinte che disciplinano la stessa materia106” suscita problemi interpretativi che traggono origine dalle palesi “antinomie correnti fra le due norme diversamente richiamate107”; come ora visto infatti, le due norme “riferiscono a momenti processuali diversi e distinti (avvio del procedimento penale ed esercizio dell’azione penale) l’insorgenza della causa ostativa penale108”, risultando di tale modo incompatibili. Quali delle previsioni ostative dovrà essere applicata per lo scudo fiscale- ter? 105 G. P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali, cit., 6276. L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo 107 G. P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali, cit., 6276. 106 108 Idem, 6277. 45 fiscale, cit., 849. 4.3.1. Le soluzioni proposte nell’interpretazione dottrinale. Una soluzione che opti per la prevalenza l’articolo 14 del D.L. 35072001 sull’articolo 8 della l. 289/2002109 può sostenersi seguendo un ragionamento di questo tipo: il rinvio operato dall’articolo 13- bis alle due norme potrebbe scomporsi in un rinvio di tipo “sostanziale” e un rinvio di tipo “procedurale”; quest’ultimo profilo individua la causa ostativa penale (in quanto, come si è visto, l’esercizio dell’azione penale nonché l’avvio del procedimento penale sono istituti riconducibili al diritto processuale penale). Valorizzando l’esplicito riferimento alla “materia di esclusione della punibilità penale” cui fa riferimento l’articolo 13-bis nel richiamare l’applicazione dell’articolo 8, nonché gli incisi “fermo quanto sopra” e “per l’efficacia di quanto sopra” del secondo capoverso dell’art. 13- bis che fanno propendere per una portata in senso residuale dell’articolo 8 rispetto all’articolo 14 e, “soprattutto il fatto che la seconda parte dell’articolo 8 fa riferimento a una dichiarazione integrativa che nel caso dello scudo non è prevista110”, dovrebbe conseguirsi che l’articolo 8 sia riferibile al solo profilo sostanziale della disciplina penalistica e come tale “funzionale a rendere applicabile ad un numero più ampio di reati di quelli previsti dall’art. 14 del D.L. n.350/2001 la causa di non punibilità111”. La soluzione opposta sostiene, a prescindere da una suddivisione procedurale e sostanziale delle norme richiamate, la prevalenza dell’art 8 sull’articolo 14 sostanzialmente giustificando tale opzione interpretativa secondo tre argomentazioni: per prima cosa, il legislatore, sulla base dell’utilizzo di “due distinte modalità linguistiche112”, ha voluto limitare il richiamo all’articolo 14 ai soli effetti (“l’effettivo pagamento dell’imposta produce gli effetti di cui agli articoli 14 e 15...”), mentre con il rinvio all’articolo 8 (“l’effettivo pagamento dell’imposta comporta.....l’applicazione della disposizione di cui al già vigente art. 8 comma 6, lettera c) della legge 27 dicembre 2002, n.289”) ha operato un richiamo “in toto113” alla disciplina dell’articolo “e non (solo) ai reati ivi 109 Si veda: P. M. TABELLINI, Rientro dei capitali e “scudo fiscale”, cit, 40 ss. G. P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali, cit., 6276. 111 L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale, cit., 849. 112 G. P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali, cit, 6278. 113 G. P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali,cit., 6276. 46 110 previsti114”. La seconda argomentazione, che cerca “di operare una ricostruzione organica della norma115” in un’ottica di “interpretazione razionalizzante116”, non delimita il campo di applicazione dell’articolo 14 ai soli affetti premiali del provvedimento, ma ritiene che l’articolo ricomprenda anche i profili della disciplina delle cause ostative dello scudo fiscale; tuttavia, per conciliarli con la causa ostativa prevista nell’articolo 8 della L. 289/2002, ritiene che essi operino solo in riferimento al “piano tributario in senso ampio117”, ipotizzando dunque che “il primo capoverso dell’art. 13- bis costituirebbe la disciplina degli effetti premiali (...) in materia tributaria, amministrativa, previdenziale e di monitoraggio fiscale; diversamente il secondo capoverso, pur avendo la stessa funzione di disciplina, avrebbe oggetto diverso, disponendo in materia di esclusione della punibilità118” involgendo quindi i profili attinenti alla disciplina penalistica dell’istituto per i quali dunque opererebbe la clausola dell’esercizio dell’azione penale formalmente comunicato quale causa impeditiva degli effetti premiali penali. L’ultima asserzione, rafforzativa delle prime due, parte da un’analisi non strettamente giuridico-testuale della norma ma si basa sostanzialmente sull’“esame dei lavori parlamentari e del relativo dibattito politico119” riconducendo siffatta opzione favorevole al contribuente “a quella che pare essere stata intenzione del legislatore con l’approvazione dell’emendamento dell’on. Fleres per cui, il richiamo all’art.8 comma 6 lett. c) della legge n.289/2002 ha inteso ampliare l’ambito applicativo in materia penale della norma non solo in senso “orizzontale”, ampliando il novero dei reati su cui incide la causa di non punibilità, ma anche in senso “verticale”, ovvero in senso temporale, posticipando il termine della condizione ostativa120”. La conseguenza dal punto di vista processual-penalistico dell’adesione a questa seconda ipotesi prospettata comporta che la causa ostativa, ovvero la formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale si verifica: 114 Ibidem. L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale, cit., 849. 116 Ibidem. 117 Ibidem. 118 Ibidem. 119 G. P. CHIEPPA, Scudo fiscale e cause ostative penali, cit., 6277. 120 L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale, cit., 851. 47 115 - “Nel caso in cui il pubblico ministero abbia formulato la richiesta di rinvio a giudizio, con la notifica dell’avviso del giorno, dell’ora e del luogo dell’udienza preliminare (art. 419 c.p.p.) - Qualora il pubblico ministero abbia trasmesso la richiesta di giudizio immediato con la notifica del decreto che dispone il giudizio immediato (art. 456 c.p.p.) - Qualora il pubblico ministero abbia presentato la richiesta di emissione del decreto penale di condanna e questa sia stata accolta dal giudice (art. 460 c.p.p.) - Nell’ipotesi che, nel corso delle indagini preliminari, sia stata avanzata al giudice richiesta di applicazione della pena (art. 447, primo comma, c.p.p.), al momento della presentazione della richiesta121”. Per quanto concerne la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, la dottrina ha tuttavia sottolineato come “nella sua già citata circolare n.43/E del 2009, a p. 40, ha espresso un orientamento difforme secondo il quale costituirebbe fatto ostativo “l’avvio del procedimento penale di cui l’interessato abbia avuto formale conoscenza”, optando così per la soluzione più restrittiva, senza spiegarne il motivo122”; a giudizio di tale dottrina, che evidentemente è favorevole per una lettura più attenta alle esigenze garantistiche del contribuente, “certamente, il giudice penale non è tenuto ad attenersi all’interpretazione della norma offerta dall’Agenzia delle Entrate123”, tuttavia “non si può dubitare tale indicazione potrà avere una rilevanza perspicua nella prassi applicativa124”. 4.3.2. Soluzione preferibile. Nonostante entrambe le argomentazioni riportate paiono valide, si ritiene la seconda interpretazione più convincente in quanto in linea con la ratio e le finalità del provvedimento, tra cui spicca, come si è ricordato più volte, quella di ottenere la maggiore capitalizzazione dal rientro dei capitali; strumentale alla 121 F. ARDITO, Profili penali dello scudo fiscale, cit., che aderisce alla tesi della prevalenza dell’art. 8 sull’art. 14. 122 Ibidem. 123 Ibidem. 124 Ibidem. 48 soddisfazione di tale obbiettivo è dunque la predisposizione di un’architettura normativa che, più si fa complessa, più richiede un maggior grado di chiarezza e attenzione alle esigenze di certezza del diritto. Questo deve avvenire soprattutto per un ambito, il penale, che fa del favor rei un principio di sistema (si veda l’art. 2 c.p.); rispettato questo principio base, stante l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore riguardo le scelte da operare in ambito di politica criminale, deve in conclusione rilevarsi come sarebbe auspicabile una maggiore precisione del legislatore stesso nella formulazione della normativa, magari evitando di ricorrere alla tecnica del duplice rinvio normativo da cui si è visto non pochi problemi di coordinamento possono derivare. Ciò anche al fine di evitare che i “non addetti ai lavori” possano polemizzare su tali provvedimenti invocando strappi alla legalità, discriminazioni destituiti di fondamento e gravi attentati alla tenuta del sistema general preventivo, spesso pretestuosi ma che hanno una presa mediatica tale direzionare l’opinione pubblica verso giudizi poco analitici e meditati e che di certo non contribuiscono a creare le condizioni per un dibattito sereno sulla misura in esame. 5. Brevi cenni sulla disciplina extrapenale dello scudo fiscale. Come anticipato nell’introduzione, prima di passare alle problematiche sostanziali di matrice penalistica del provvedimento, non può prescindersi da una breve ricognizione sugli aspetti disciplinari extrapenali coinvolti dall’istituto, al fine di fornire un quadro complessivo dell’istituto il più completo esauriente. 5.1. Gli effetti tributari ed amministrativi dello scudo fiscale. L’art. 14 della L. 409/2001, individua il punto centrale della disciplina in esame, ossia gli effetti del rimpatrio. Salvo quanto stabilito dal comma 7 del medesimo articolo, che individua le cause ostative per la produzione degli effetti di cui al comma 1 dell’art.14, il rimpatrio delle attività finanziarie, nonché la regolarizzazione, effettuati ai sensi dell’art.12, 15 e 16 della legge e nel rispetto delle modalità dell’art.13, in relazione agli effetti tributari ed amministrativi dello scudo comportano: 49 a) la preclusione nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, di ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta per i quali non era ancora decorso il termine per l’azione di accertamento alla data di entrata in vigore del decreto 350/2001, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto del rimpatrio; b) l’estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali e di quelle previste dall’articolo 5 del decreto legge n.167/1990, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate; c) L’effetto preclusivo ex art. 14 comma 5, per il quale relativamente alle attività finanziarie oggetto di rimpatrio, gli interessati non sono tenuti ad effettuare le dichiarazioni previste dagli artt. 2 e 4 del D.L. n.167 del 1990 per il periodo d’imposta in corso alla data di presentazione della dichiarazione riservata, nonché per quello precedente, ove la dichiarazione medesima sia presentata nel periodo dal 1 gennaio al 28 febbraio 2002: in sostanza i contribuenti “non sono tenuti ad indicare gli importi rimpatriati o regolarizzati nella dichiarazione di redditi, modulo RW, relativo al periodo d’imposta in corso alla data di presentazione della dichiarazione riservata, nonché relativo al periodo d’imposta precedente125”. L’articolo ricorda però che nel caso di rimpatrio mediante trasporto al seguito, resta fermo l’obbligo di dichiarazione all’Ufficio Italiano Cambi di cui all’art. 3 D.L. 167/1990. Secondo quanto dispone l’art. 14 comma 1, si è visto che sono due gli effetti tributari ed amministrativi dello scudo fiscale: il primo, incide sull’azione istruttoria ed accertatrice dell’Amministrazione finanziaria, precludendola per i periodi d’imposta per i quali non era ancora decorso il termine per l’azione di accertamento alla data di entrata in vigore del decreto 350/2001 e limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto del rimpatrio; il secondo comporta l’estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali e di quelle previste dall’articolo 5 del 125 Circolare n.99/E del 4 dicembre 2001, in il fisco, n.46/2001, 14777. 50 decreto legge n.167/1990, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate126. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito per quanto riguarda l’oggetto della preclusione dall’accertamento tributario e contributivo di cui alla lett. a), che questo opera non solo in riferimento alle imposte sui redditi, ma riguarda anche “tributi diversi, quali, ad esempio, l’Iva o l’imposta sulle successioni o donazioni, sempreché siano riferibili alle attività oggetto di emersione”127. Si vedrà nel proseguo come tale interpretazione si pone in evidente contrasto con quanto disposto dalle sentenze della giurisprudenza comunitaria e italiana; un primo interrogativo da risolvere concerne l’ipotesi di soggetti solidalmente obbligati: come opera la preclusione nei loro confronti? L’Agenzia ha specificato che questa si produce solo “se ed in quanto” essi siano “tenuti all’obbligazione tributaria in dipendenza di imponibili accertati in capo al contribuente che ha presentato la dichiarazione riservata”, pertanto, “gli effetti non si producono automaticamente nei confronti dei soggetti che detengono attività all’estero in comunione con altri soggetti qualora solo questi ultimi abbiano effettuato le operazioni di emersione”128. Di conseguenza il soggetto interessato al rimpatrio delle attività detenute in comunione doveva presentare una distinta dichiarazione di emersione per la quota di parte di propria competenza. 5.2. Il problema degli imponibili non riconducibili ai capitali rimpatriati: le due opposte interpretazioni ed il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Un seconda dibattuta questione verte sull’interpretazione del limite dell’efficacia preclusiva tributaria dello scudo: la norma infatti dispone al comma 6 dell’art. 14 che in caso di accertamento, gli interessati possono opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi ed estintivi di cui al comma 1 con invito a controllare la congruità della somma di cui all’art. 12 co. 1 della legge in relazione 126 Per un approfondimento sulle problematiche tributarie e amministrative connesse al provvedimento si veda: G. BERNONI, Scudo fiscale: tassazione dei redditi da capitale detenuti all’estero,cit., 14921; idem, Residenti nei “paradisi fiscali” e scudo fiscale, cit., 2356; idem, Il doppio scudo fiscale, il punto della situazione, in il fisco, n.7/2002, 930; L. TOSI, Lo scudo fiscale. Efficacia ai fini dell’accertamento amministrativo e penale, cit., 13931; C. DI GREGORIO, Il monitoraggio fiscale dei trasferimenti di capitale: i poteri del Fisco e le opportunità per i contribuenti alla luce del D.L. n.350/2001, cit., 14664; L. SALVINI, “Lo scudo fiscale”, cit., 13577. 127 Circolare n.99/E, cit., 14778. 128 Circolare n.99/E del 4 dicembre 2001, in il fisco, n.46/2001, 14778. 51 all’ammontare delle attività indicato nella dichiarazione riservata, ovvero l’effettività della sottoscrizione dei titoli di cui al comma 2 dell’art. 12. (nell’ipotesi del primo scudo). Inoltre, previa adesione dell’interessato, le basi imponibili fiscali e contributive determinate dalle amministrazioni competenti sono definite fino a concorrenza degli importi dichiarati. Lo scudo dunque opera con riferimento agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero e oggetto del rimpatrio. In sostanza, se l’amministrazione finanziaria in sede di accertamento contesta al soggetto l’illecito fiscale protetto dallo scudo, questi può “fermare” l’azione accertatrice dell’amministrazione finanziaria in relazione a quegli imponibili riconducibili all’ammontare delle somme scudate. Cosa dunque succede nel caso in cui gli imponibili accertati non siano riconducibili ai capitali rimpatriati? E quale tipo di prova deve fornire l’interessato per ricondurre gli imponibili agli importi indicati nella dichiarazione? Due opposte soluzioni possono darsi al primo quesito: la prima129, più favorevole all’interessato, considera l’ammontare delle somme rimpatriate come copertura “totale” contro gli accertamenti da cui emerge un maggiore imponibile; la dottrina propone a supporto di tale impostazione l’esempio degli accertamenti duplici: “Si pensi alla cessione di un immobile, che potrebbe scontare Invim e imposte sui redditi ( determinate condizioni) in capo al cedente e Registro in capo all’acquirente. In questo caso, possono coesistere diversi accertamenti. La definizione, però, dovrebbe essere unica, nel senso che una volta esibita la dichiarazione riservata essa dovrebbe inibire ogni tipo di pretesa sull’intera operazione, anche per le imposte diverse da quelle accertate in prima battuta130”. Di conseguenza l’interessato non deve fornire alcuna prova per relazionare le somme all’oggetto dell’accertamento da cui risulta un maggiore imponibile e anzi la dichiarazione avrebbe coperto i maggiori imponibili. La seconda tesi, più rigorosa, ritiene invece che la copertura assicurata dallo scudo fiscale è “subordinata ad un’indagine analitica sulla fonte delle 129 R. LUGANO, “Scudo fiscale” a protezione allargata, cit., 21; R. LUGANO, Scudo a effetto allargato, cit. 25. 130 Ibidem. 52 somme rimpatriate131”: simile ipotesi interpretativa richiede dunque la prova specifica che le somme scudate abbiano la loro origine proprio nell’illecito fiscale oggetto di accertamento; come conseguenza, in assenza di una prova ineccepibile (gravante sul soggetto che ha rimpatriato o regolarizzato), che il maggiore imponibile riscontrato, non sia riconducibile alle somme o alle altre attività costituite all’estero ed oggetto del rimpatrio, l’imponibile medesimo va dunque accertato, preteso e sanzionato dall’amministrazione finanziaria, venendo meno così l’effetto preclusivo all’accertamento tributario, l’effetto estintivo per la sanzioni tributarie e anche, conviene aggiungere, l’esclusione della punibilità per i reati tributari, in quanto la causa di esclusione opera relativamente ai reati connessi alle disponibilità finanziarie dichiarate. L’Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni risolutive del quesito mediante una circolare in cui ha precisato che “la preclusione all’accertamento opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile anche astrattamente ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite o detenute all’estero oggetto di rimpatrio o regolarizzazione132”. L’interpretazione dell’Agenzia dunque si pone come intermedia rispetto alle due soluzioni prospettate, in quanto non considera lo scudo come una “franchigia spendibile contro ogni accertamento da cui emerge un maggiore imponibile133” e tuttavia non aderisce all’opposta e più rigorosa soluzione, poiché comunque richiede una riconducibilità astratta degli imponibili alle somme; di conseguenza l’effetto preclusivo può opporsi in sede di accertamento, per esempio, “in presenza di contestazioni basate su compensi ricavi e compensi occultati”134, indipendentemente dal fatto che i capitali emersi siano stati effettivamente originati dalle ipotesi oggetto di accertamento, ma non su elementi che nulla hanno a che vedere con attività per le quali si è usufruito del regime di emersione e per le quali non possa configurarsi nemmeno in astratto una connessione tra i 131 L. SALVINI, Lo “scudo fiscale”, cit. 13759. Circolare n.99/E del 4 dicembre 2001, in il fisco, n.46/2001, 14778. 133 L. SALVINI, Lo scudo fiscale, cit., 13579. 134 Circolare n.99/E del 4 dicembre 2001, in il fisco, n.46/2001, 14779. 53 132 maggiori imponibili accertati e le attività emerse, come nel caso di rilievi sulla competenza di oneri. L’interpretazione data dall’Agenzia, non ha comunque evitato critiche serrate da parte della dottrina, che ha evidenziato come tale interpretazione “tutt’altro che lineare135”, avrebbe aperto la strada “ad un possibile uso premiale dello scudo, che ben potrà essere opposto da coloro che, ad esempio, hanno costituito all’estero i capitali rimpatriati in anni diversi da quelli oggetto di accertamento136” con l’ effetto di ingenerare in costoro un “legittimo affidamento nell’automatico effetto preclusivo del rimpatrio, purchè sia sostenibile un’astratta compatibilità fra l’ipotesi di costituzione all’estero e il tipo di violazioni accertate137”. In sostanza, una volta rilevata l’astratta compatibilità degli imponibili accertati ai capitali rimpatriati, secondo tale dottrina si sarebbe verificato un effetto non previsto dal legislatore nella legge, ossia una generalizzata preclusione per l’amministrazione finanziaria “da qualsiasi ulteriore indagine sull’effettivo rapporto sussistente tra i capitali rimpatriati e le violazioni tributarie emerse in sede di accertamento138”; inoltre in base all’affidamento ingenerato dalla circolare, i contribuenti potrebbero invocare, dinanzi a comportamenti dell’Amministrazione finanziaria difformi dalle indicazioni contenute nella circolare, la non applicabilità delle sanzioni amministrative tributarie, prevista dall’art. 10 comma 2 della legge n.212/2002 (Statuto dei diritti del contribuente), che prevede appunto che non possono essere erogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’Amministrazione medesima. 5.3. L’esclusione degli effetti premiali tributari ed amministrativi. Il legislatore ha previsto che gli effetti del rimpatrio e della regolarizzazione descritti nel comma 1 dell’art. 14 lett. a) e b) non si producono quando, a norma del comma 7 dell’art. 14, alla data di presentazione della 135 Quanto è solido lo scudo fiscale?, cit., 486. Ibidem. 137 Ibidem. 138 S. STUFANO, Quanto è solido lo scudo fiscale?, cit., 487. 54 136 S. STUFANO, dichiarazione riservata, una delle violazione delle norme indicate al comma 1 è stata già contestata (norme sul monitoraggio fiscale, per esempio) o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza, comprese le richieste, gli inviti ed i questionari di cui agli artt. 51, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 e 32 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600 notificati al contribuente139. Sempre in relazione alle cause ostative alla produzione degli effetti del rimpatrio e regolarizzazione, per concludere il commento agli effetti relativi alla disciplina tributaria e amministrativa della legge, parallelamente agli effetti premiali tributari e amministrativi ora descritti, due importanti innovazioni riguardanti la disciplina sanzionatoria in materia di monitoraggio della legge fiscale140 sono state introdotte dall’art. 19 della legge: il comma 1 dell’articolo in esame prevede pene più severe per coloro che violavano la normativa sul monitoraggio fiscale; la lettera a) ora punisce, modificando l’art. 5 del D.L. 167/1990, la violazione dell’obbligo di dichiarazione relativo ai trasferimenti diversi da quelli riguardanti investimenti all’estero e attività all’estero di natura finanziaria di valuta, con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 5 al 25 per cento degli importi non dichiarati e la confisca dei beni di corrispondente valore quando l’ammontare complessivo di tali trasferimenti è superiore, nel periodo d’imposta, a euro 12.500, in luogo della sanzione di un milione di lire; la lettera b) ora punisce la violazione dell’obbligo di dichiarazione all’amministrazione finanziaria degli acquisti e vendite di titoli o valori immobiliari esteri, con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 5 al 25 per cento degli importi non dichiarati e la confisca dei beni di corrispondente valore, quando l’ammontare complessivo di tali trasferimenti è superiore, nel periodo d’imposta, a euro 12.500, in luogo della sanzione di un milione di lire. Le modifiche ora menzionate, trovano applicazione specifica per la disciplina sullo scudo fiscale nel comma 2 dell’art. 19 della legge: l’intermediario che non comunica 139 Come chiarito nella Circolare 180/E del 10 luglio 1998, in allegato a il fisco, n.30/1998, 10199; cfr anche: Comm. Trib. reg. di Milano, sez. XXX, sentenza 18 maggio 2009, n. 56, in bancadati il fisco, www.sba.unimi.it. 140 C. DI GREGORIO, Il monitoraggio fiscale, cit., 14664. 55 all’Amministrazione finanziaria i dati relativi alle operazioni di emersione, ove gli importi rimpatriati eccedano quelli dichiarati o siano riferiti ad operazioni diverse per le quali non operi il vincolo della segretezza, disattendendo la prescrizione di cui all’art. 14 comma 3 della legge, è punito con la sanzione pari al 25 per cento degli importi eccedenti quelli indicati nella dichiarazione riservata, vale a dire con la sanzione massima prevista dalle lettere a) e b) del comma primo dell’art. 19. Circa le sanzioni ora menzionate, non sono mancati commenti negativi riguardo un loro inasprimento forse troppo deciso, soprattutto in riferimento all’istituto della confisca, che “appare eccessiva rispetto al complesso delle sanzioni previste per i comportamenti illeciti in materia tributaria141”; tuttavia le modifiche alle norme sul monitoraggio ed il loro inasprimento risulta secondo il promotori della legge “coerente con la ratio del provvedimento, che vede la violazione agli obblighi di monitoraggio e l’occultamento all’estero di disponibilità finanziarie come un comportamento molto grave142” e si ritiene che siano state utilizzate dal legislatore come monito per coloro che hanno usufruito della normativa premiale a non reiterare la condotta di trasferimento all’estero di denaro o altre attività finanziarie in violazione delle norme stesse. 6. L’anonimato fiscale. 6.1. La garanzia dell’anonimato fiscale per il rimpatrio nella fase precedente all’azione accertatrice dall’Amministrazione finanziaria. La garanzia dell’anonimato in relazione all’operazione di rimpatrio (si vedrà nel paragrafo successivo come la regola non operi nel caso di regolarizzazione) si pone come elemento centrale della disciplina dello scudo fiscale, finalizzato ad incentivare l’emersione dei capitali ed ottimizzare i risultati in termini economici-finanziari derivanti dal rientro dei capitali medesimi. Come precedentemente riferito la legge sullo scudo fiscale del 2001, in vari articoli, fermi rimanendo gli obblighi in materia di antiriciclaggio indicati dall’articolo 17 della legge 409/2001 e quelli previsti dall’articolo 1, comma 1 e 2 141 L’operazione rientro si è messa in moto, in “Il sole 24 ore”, 27 novembre 2001. Secondo quanto sostenuto dal consigliere giuridico all’economia Andrea Manzitti, in R. LUGANO, “Scudo fiscale” a protezione allargata, cit. 56 142 M. MEAZZA, e 3-ter del decreto legge n.167/1990, “detta disposizioni volte ad assicurare il completo anonimato fiscale143”, permettendo al soggetto interessato, al fine di fruire degli effetti premiali dello scudo fiscale, di svolgere l’operazione al riparo dalla conoscenza che potrebbe averne l’Amministrazione finanziaria; strumento formale per garantire la riservatezza per il rimpatrio è la dichiarazione riservata, la cui consegna all’intermediario incaricato di ricevere in deposito le somme è presupposto imprescindibile per l’emersione delle attività. Quanto all’oggetto della dichiarazione riservata, questa “ha contenuto sintetico e ricalca sostanzialmente i dati e le notizie che il contribuente avrebbe dovuto indicare nella dichiarazione dei redditi, modulo RW, in osservanza degli obblighi previsti dal cosiddetto “monitoraggio fiscale”; le attività, in essa specificate, devono essere indicate con esclusivo riferimento alla tipologia delle stesse, senza la descrizione analitica degli estremi identificativi delle stesse144”; inoltre, sempre all’interno della dichiarazione riservata “il contribuente deve esprimere l’opzione relativa alla modalità prescelta per il pagamento della somma dovuta, specificando la scelta del pagamento in denaro o mediante la sottoscrizione dei titoli “a tasso ridotto145”. Circa il grado di riservatezza sostanziale della dichiarazione riservata in riferimento all’operazione di emersione effettuata mediante il rimpatrio, prescindendo dal caso di rimpatrio effettuato mediante trasporto al seguito, per il quale si è visto146 come la regola della riservatezza risulti di molto attenuata, l’operatività dell’anonimato a favore del contribuente e avverso l’Amministrazione finanziaria, per quanto riguarda gli adempimenti degli intermediari, è desumibile in primo luogo dall’art. 13 comma 3 della legge, il quale dispone che gli intermediari “comunicano all’amministrazione finanziaria, entro il termine stabilito per la dichiarazione dei sostituti d’imposta, l’ammontare complessivo delle attività rimpatriate, quello delle somme di cui all’art. 12 comma 143 Circolare 85/E del 1 ottobre 2001, cit, 12191. Cfr. anche: A. GIOVANNINI, “Scudo” fiscale e anonimato, cit.; F. PISTOLESI, L’oggetto e i limiti dell’anonimato in tema di cosiddetto “scudo fiscale”, in riv. dir. fin., 2002, 611 ss.; L. SALVINI, lo “scudo fiscale”, cit., 13577 ss.; RIPA, Scudo fiscale, rischio di autodenuncia, cit., 32 ss.; A. FELICIONI, Verifiche, conta la dichiarazione, cit., 39 ss. 144 Ibidem. 145 Ibidem. 146 Si veda il paragrafo 3.1 relativo al rimpatrio, 19 ss. 57 1, versate, ovvero dei titoli di cui all’art. 12, comma 2, sottoscritti, senza l’indicazione dei nominativi dei soggetti che hanno presentato la dichiarazione riservata (corsivo aggiunto)”; sempre con riguardo ai doveri degli intermediari che potrebbero incidere negativamente sulla protezione dei dati e delle generalità dello scudante, l’art. 14 comma 2 dispone per essi che restano fermi gli obblighi di rilevazione e comunicazione previsti dagli articoli 1, commi 1 e 2, e 3- ter del D.L. 167/1990, con esclusione del comma 3 dell’art. 1 medesimo. Il richiamo ai primi due commi dell’articolo 1 del D.L. 167/1990 è riferito alla disciplina del monitoraggio fiscale per i trasferimenti dall’estero di denaro, titoli o valori: i commi sopra citati dettano prescrizioni agli intermediari atte mantenere in evidenza, anche mediante rilevazione elettronica, le generalità o la denominazione o la ragione sociale del soggetto residente in Italia per conto del quale vengono effettuati trasferimenti dall’estero (o verso l’estero) di denaro, titoli o certificati in serie o di massa, per un importo superiore a lire venti milioni; inoltre di queste movimentazioni, l’ultimo alinea dell’articolo prescrive di rilevarne la data, la causale, l’importo e gli estremi identificativi degli eventuali conti di destinazione: stante questi obblighi, trasposti alla disciplina sullo scudo fiscale, potrebbe dedursene una totale scomparsa dell’anonimato! Anzi, il rispetto di tali obblighi fornisce una completa ed esauriente identificazione documentale a disposizione dell’Amministrazione finanziaria nel caso in cui questa promuova un’azione accertatrice nei confronti del soggetto che beneficia del trasferimento di denaro o altre attività dall’estero; ancora una volta però, l’intervento del legislatore va a favore dello scudante, dissipando ogni possibile e notevole insidia normativa derivante dall’operazione di scudo: l’art. 14 della legge infatti prevede espressamente che gli intermediari non debbano effettuare le comunicazioni dei dati ora descritte all’Amministrazione finanziaria, ciò in quanto si è escluso il richiamo per la disciplina dello scudo fiscale di quanto dispone il successivo comma 3 dell’art. 1 del D.L. 167/1990, che prescrive che le evenienze di cui ai commi 1 e 2 del D.L. siano tenute a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per cinque anni e trasmesse alla stessa secondo le modalità stabilite con i decreti di cui all’art. 7 del D.L. 58 Si è visto dunque che, per effetto delle norme ora descritte, l’intermediario è sì tenuto a segnalare l’operazione di scudo all’Amministrazione finanziaria, ma tale segnalazione è limitata e generica in quanto non fornisce all’Amministrazione stessa né l’identità del soggetto scudante, né un dettagliato elenco delle attività contenute nella dichiarazione riservata, ma anzi solo l’ammontare complessivo di queste. In conclusione dunque, nella fase prodromica ad un’attività d’indagine dell’Amministrazione nei confronti del contribuente l’anonimato opera in modo indiscusso, per il tramite degli intermediari, cui la legge attribuisce un ruolo di “custodi” dell’operazione di emersione del soggetto scudante; maggior problemi si pongono per la protezione dell’identità del soggetto scudante, nel caso in cui l’Amministrazione abbia agito con un’attività d’indagine nei confronti dell’intermediario e del contribuente. 6.2. La garanzia dell’anonimato fiscale per il rimpatrio a seguito di esercizio dell’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria. Nell’ipotesi in cui vi sia una verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria presso l’intermediario, e questa verifica abbia per oggetto la posizione tributaria e amministrativa dello scudante, l’ultimo alinea dell’art. 14 comma 2 della legge prescrive agli intermediari di non comunicare all’amministrazione finanziaria dati e notizie concernenti le dichiarazioni riservate, ivi compresi quelli riguardanti la somma e i titoli di cui all’art. 12, commi 1 e 2. Non solo lo schermo dell’anonimato vale per le somme rimpatriate, ma il regime di riservatezza, come ha chiarito l’Agenzia delle entrate, “si ritiene applicabile, oltre l’importo indicato nella dichiarazione riservata, anche ai redditi di capitale e alle plusvalenze realizzate derivanti dal denaro e dalle attività finanziarie rimpatriate a condizione che si tratti di proventi assoggettati a tassazione definitiva”147: uno schermo a tutto campo dunque, che si estende alle disponibilità finanziarie acquisite utilizzando il denaro o i titoli rimpatriati, sempreché queste subiscano l’imposizione (tassazione) definitiva ad opera dell’intermediario o di altro sostituto d’imposta. Per assoggettare tali redditi all’imposizione definitiva, 147 Circolare 99/E, cit., 14777. 59 secondo quanto dispone il comma 8 dell’art. 14 della legge, è onere dell’interessato comunicare agli intermediari, cui è presentata la dichiarazione riservata, i redditi derivanti dal rimpatrio delle attività finanziarie rimpatriate; con due limiti: che i summenzionati redditi siano percepiti dopo l’entrata in vigore del decreto e prima della presentazione delle dichiarazione riservata. A contrario, laddove i redditi riferiti ai mezzi rimpatriati non siano assoggettabili a imposizione definitiva, viene meno per essi il vincolo della riservatezza: come ha sottolineato la dottrina dunque, e per chiarezza espositiva per il lettore, nei casi per esempio di reddito conseguito dalla percezione di dividendi erogati da società estera non quotata su mercati regolamentati, essendo la ritenuta operata dall’intermediario a titolo d’acconto ( ex art. 27 comma 4 del D.P.R. n.600/1973) e non definitiva, “è inevitabile che i redditi ritratti debbano essere dichiarati e che l’Amministrazione finanziaria possa verificarne la congruità richiedendo, se del caso, la documentazione bancaria ad essi afferente148”; anche in questo caso però, la riservatezza sulla dichiarazione riservata di rimpatrio dei capitali (e non dei redditi derivanti da essi) permane, in quanto l’intermediario nei confronti del quale viene formulata la richiesta d’informazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria deve “fornire dati e notizie relative esclusivamente alle operazioni di percezione dei dividendi esteri, senza cioè immettere nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione delle finanze la dichiarazione riservata grazie alla quale la partecipazione è stata rimpatriata dal contribuente.149” Nel caso in cui la verifica dell’Amministrazione sia diretta verso lo scudante, non passando quindi mediante richieste di informazioni presso gli intermediari, il disposto dell’art. 14 comma 6 della legge sullo scudo descrive la modalità con cui l’interessato produce i tre effetti preclusivi di cui all’art. 14 comma 1 e si difende dalle richieste dell’Amministrazione: in ipotesi di accertamenti, l’interessato infatti può opporre agli organi competenti la dichiarazione riservata con invito all’amministrazione di controllare la congruità della somma corrisposta di cui al comma 1 dell’art.12 in relazione all’ammontare delle attività indicate nella dichiarazione riservata, ovvero l’effettività della 148 F. PISTOLESI, 149 Ibidem. L’oggetto e i limiti dell’anonimato, cit., 612. 60 sottoscrizione dei titoli di cui al comma 2 dell’art. 12 (in riferimento al primo scudo); dalla disposizione ora citata risulta evidente che svelare l’esistenza della dichiarazione riservata all’amministrazione finanziaria in caso di accertamento sia lasciata alla discrezionalità del contribuente sottoposto a verifica tributaria. Questi può quindi scegliere, in caso di contestazioni, di opporre la dichiarazione riservata all’Amministrazione definendo l’imponibile fino a concorrenza con gli importi indicati nella dichiarazione riservata oppure difendersi dalle contestazioni nei modi ordinari prescritti dalla legge; certo è che aver mostrato all’Amministrazione finanziaria di aver scudato produce le duplici conseguenze: positive in quanto il soggetto può difendersi sino a bloccare l’azione accertatrice dell’amministrazione finanziaria, ma anche negative in quanto così facendo il soggetto scudante si segnala all’amministrazione come soggetto da controllare in relazione alle sue posizioni contributive passate e future. In relazione quindi all’istituto dell’anonimato fiscale, possono trarsi le più varie conclusioni, potendo rilevare nel modo in cui ha fatto una certa dottrina come “dal punto di vista fiscale, il fatto che l’Amministrazione non sia di regola posta nella condizione di conoscere l’identità del dichiarante, la natura delle attività emerse e la loro fonte, determina un duplice pregiudizio sul piano dell’accertamento: l’anonimato, infatti, non solo ostacola ricognizione tese a verificare, per gli anni d’imposta successivi a quelli coperti dal condono, la reale fonte della ricchezza e la persistenza dell’evasione, ma comporta anche un impiego di energie istruttorie che si potrebbe rivelare del tutto inutile; per gli anni garantiti dallo “scudo”, gli effetti che si connettono alla dichiarazione riservata potrebbero rendere vana l’azione di accertamento, atteso che tale dichiarazione sembrerebbe suscettibile di “coprire”, fino a concorrenza dell’imponibile ivi esposto, quello eventualmente accertato secondo le regole ordinarie150”. Ciò nonostante, l’elemento “anonimato”, necessita comunque di essere considerato in relazione alla struttura complessiva del provvedimento e alle finalità di questo: l’emersione di capitali sottratti all’imposizione fiscale italiana, mediante loro costituzione in “nero” derivante dal deposito all’estero, deve per forza di cose fruire di un regime privilegiato per essere “attratta” verso i lidi 150 A. GIOVANNINI, “Scudo fiscale” e anonimato, cit., 256. 61 italici. “In assenza della garanzia dell’anonimato la “pietanza” non sarebbe sufficientemente appetibile151” ed anzi pare condivisibile quanto rilevato circa il fatto che il “solido assetto di riservatezza con riguardo al passato si coniuga con l’indiscussa incisività degli effetti premiali che conseguono alla realizzazione del rimpatrio dei capitali allocati all’estero; non avrebbe avuto alcun senso, invero, contemplare detti effetti e lasciare al contempo al Fisco la possibilità di acquisire i dati concernenti la dichiarazione riservata e le relative movimentazioni finanziarie152”. 6.3. L’anonimato nel caso di operazione di regolarizzazione. Per concludere l’analisi sull’istituto dell’anonimato nella legge sullo scudo fiscale è necessario ricordare che l’operatività dell’istituto riguarda solo l’emersione effettuata mediante la procedura di rimpatrio: la regolarizzazione, diversamente dal rimpatrio, come specificato in precedenza, permette sì agli interessati di conservare all’estero il denaro e le altre attività finanziarie alle quali si applica la sanatoria, ma per esse gli intermediari sono tenuti ad effettuare, in forza di quanto statuito dall’articolo 15 comma 4 della legge sullo scudo, oltre alle rilevazioni contemplate dall’articolo 1 commi 1 e 2 del D.L. 167/1990, anche le comunicazioni all’Amministrazione finanziaria previste dal comma 3 del suddetto articolo 1. Le ragioni della scelta sono state evidenziate nella Relazione al decreto, che ha l’ha motivata sostenendo come “l’assenza di qualsiasi comunicazione all’Amministrazione finanziaria sulle attività che continuano ad essere detenute all’estero renderebbe nuovamente tali investimenti fuori da qualsiasi presidio o controllo e non garantirebbe la neutralità rispetto alle ipostesi di rimpatrio. Mentre infatti i redditi derivanti dalle attività finanziarie rimpatriate, in quanto immessi nel circuito bancario, verrebbero assoggettati ad imposizione sostituiva, le attività finanziarie detenute all’estero sfuggirebbero facilmente all’imposizione.153” Anche la dottrina ritiene tale scelta “perfettamente comprensibile; la regolarizzazione, diversamente dal rimpatrio, permette agli 151 Idem, 255. 152 F. PISTOLESI, 153 L’oggetto e i limiti dell’anonimato, cit., 612. Relazione al D.L. 350/2001, cit. 62 interessati di conservare all’estero il denaro e le altre attività finanziarie alle quali si applica la sanatoria senza che uno degli intermediari abbia l’incombenza di operare l’imposizione in via sostitutiva dei redditi che dovessero discendere da tali sostanze. Cosicché, se si tiene presente che l’Amministrazione finanziaria non ha diritto a ricevere alcuna comunicazione circa l’esecuzione delle operazioni di cui trattasi, le rilevazioni e le comunicazioni di cui all’articolo 1 rappresentavano l’unico strumento per consentire all’Amministrazione suddetta di verificare se i titolari dell’attività e dei bei regolarizzati adempiano (per i periodi d’imposta successivi a quelli interessati dalla sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 14 del D.L. 350) correttamente ai loro doveri impositivi154”. Dunque, secondo la disposizione contenuta nell’art. 15 comma 4 del D.L. 350/2001 l’Amministrazione viene a conoscenza del nominativo del dichiarante e del contenuto della dichiarazione riservata presentata dall’intermediario, al fine di soddisfare le esigenze di “tracciabilità” delle somme o attività regolarizzate per assoggettare a tassazione i redditi da esse derivanti; la dottrina si è poi interrogata su quali conseguenze si connettono alla segnalazione: va questa ad incidere negativamente sugli effetti premiali della legge, permettendo che, una volta conosciuto il nome del contribuente, l’Amministrazione possa bloccare la realizzazione degli effetti premiali mediante una contestazione sugli imponibili derivanti dalla regolarizzazione? Stando alla lettura della legge sulle sullo scudo, e precisamente alla disposizione di cui all’art. 15 comma 1 della legge, il quesito meritava risposta negativa: l’articolo ora ricordato richiama l’applicazione dell’art. 14 per quanto concerneva gli effetti che discendono dalla regolarizzazione dei capitali o delle attività, senza disporre nessun effetto in malam partem derivante dalla segnalazione all’Amministrazione finanziaria dell’identità dello scudante. Una volta dunque che l’Amministrazione finanziaria sia giunta a conoscenza del contribuente che abbia proceduto a regolarizzare, questo avrebbe sempre concessa la facoltà di opporre all’Ufficio gli effetti prodotti dall’emersione, così da ottenere la riduzione dell’imponibile accertato in misura corrispondente alle somme esposte nella dichiarazione riservata. 154 F. PISTOLESI, L’oggetto e i limiti dell’anonimato, cit., 612. 63 Capitolo II Effetti penali dello scudo fiscale SOMMARIO: 1. L’anonimato penale. – 2. L’effetto di non punibilità: classificazione dogmatica. – 2.1. Il problema nella vigenza del provvedimento del 2001. – 2.2. Lo scudo fiscale come causa oggettiva di esclusione della pena ex art. 119 c.p. – 2.3. Lo scudo fiscale come causa di estinzione del reato ex art. 182 c.p. – 2.4. Il profilo di illegittimità costituzionale comune alla scelta, nei due articoli del codice penale, di non estendere al concorrente del reato la causa sopravvenuta di non punibilità o l’effetto estintivo del reato. – 2.5. Lo scudo fiscale: una moderna forma di impunità retroattiva. ––2.6. Conclusioni riguardo la struttura del provvedimento. – 3. L’estensione della non punibilità. – 3.1. L’estensione soggettiva della non punibilità ai concorrenti nel reato. –3.1.1. La storica sentenza della Corte Costituzionale, in materia di estensione dei condoni tributari ai concorrenti nel reato. – 3.1.2. Riflessi applicativi della sentenza della Corte in tema estensione della non punibilità prevista dallo scudo fiscale del 2001 ai concorrenti nel reato. – 3.1.3. La soluzione adottata nello scudo- ter. – 3.2. L’estensione oggettiva della non punibilità: i reati coperti dallo scudo. – 3.2.1. I reati previsti nel primo scudo fiscale. – 3.2.2. Protezione penale priva di pericoli? – 3.2.3. I reati previsti nello scudo- ter. – 3.2.3.1. L’operatività dello scudo fiscale per i reati societari. – 3.2.3.2. La tesi dell’incompatibilità tra i reati tributari e i reati societari: assenza del nesso teleologico. – 3.2.3.3. La differente scelta di politica criminale riguardo i reati previsti nel provvedimento del 2001 e nello scudo- ter: una scelta legittima. – 3.2.3.4. L’introduzione dei reati di falso in bilancio nel provvedimento del 2009: l’assenza di ratio politico-criminale nella scelta. 1. L’anonimato penale. Si è visto come, per quanto riguarda la garanzia dell’anonimato fiscale, questa opera in maniera sostanzialmente priva di fenditure che potrebbero scalfirne la portata. Discorso diverso deve farsi per quanto riguarda l’istituto dell’anonimato in relazione agli aspetti penalistici della disciplina dello scudo fiscale: la protezione riguardo l’identità e il contenuto dell’operazione di rimpatrio descritti nel comma 2 dell’art. 14 non si verifica, e quindi gli intermediari sono obbligati, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, a fornire i dati e le notizie relativi alla dichiarazione riservata, nel caso previsto dal comma 4 dell’art. 14, ovvero quando i dati e le notizie siano richiesti in relazione all’acquisizione delle fonti di prova nel corso di procedimenti e processi penali, nonché in relazione agli accertamenti per le finalità di prevenzione di natura patrimoniale previste da specifiche disposizioni di legge ovvero per l’attività di contrasto del riciclaggio e di tutti gli altri reati, con particolare riferimento alle norme antiterrorismo nonché per l’attività di contrasto al delitto di cui all’art. 416- bis del codice penale. Tale articolo individua il limite al potere di acquisizione dei dati contenuti nella dichiarazione riservata: la regola della garanzia dell’anonimato cede di fronte alla necessità di acquisire fonti di prova e/o prove in ordine a procedimenti 64 penali che devono già essere avviati, sulla base di un’autonoma notitia criminis; di conseguenza, il p.m. non può, “in assenza di una precedente notitia criminis, iniziare un’indagine acquisendo, in modo indiscriminato, tutte le dichiarazioni riservate presentate nella circoscrizione ove questi opera, per poi su di esse attivare degli accertamenti155”. La previsione del limite della possibilità di acquisizione o visione della dichiarazione nel caso di procedimento già avviato autonomamente è funzionale ad evitare che il pubblico ministero individui chi si è avvalso dello scudo fiscale allo scopo di appurare poi, se nei confronti di costui si renda ipotizzabile una qualche imputazione156. Ciò risulta equilibrato alla luce dell’impianto generale della legge: questa, come si è detto, è finalizzata ad incentivare l’ingresso dei capitali: l’anonimato risulta fondamentale per tutelare il soggetto che rimpatria; lo Stato non può quindi allo stesso tempo offrire la garanzia dell’anonimato al rimpatriante e poi, una volta conclusa l’operazione di rimpatrio, fornire la dichiarazione completa di dati e contenuto al p.m. affinchè questi possa indagare sulla regolarità di questa e su eventuali reati connessi all’espatrio. Come evidenziato in dottrina, “certamente paradossale sarebbe la situazione nella quale si verrebbe a trovare il contribuente che, con il rimpatrio, riteneva di aver definito le proprie pendenze con il Fisco e con il giudice penale: ed invece finisca per offrire all’accusa la prova inconfutabile del reddito sfuggito a tassazione, facendo rientrare in Italia le somme frutto del reato tributario157”. La scelta di sacrificare l’anonimato nel caso in cui il contribuente abbia già un procedimento penale in corso, previa dunque acquisizione di notitia criminis aliunde recepita da parte dell’autorità procedente sembra la scelta migliore, in quanto lo Stato dimostra così di non rinunciare ad approfonditi accertamenti sulla regolarità delle operazioni di scudo da parte di soggetti che hanno già mostrato propensione al comportamento criminale. Un problema di tenuta per la regola della riservatezza nello scudo si verifica in relazione alla previsione contenuta nell’art. 248 c.p.p.; questo prescrive che per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre 155 F. PISTOLESI, L’oggetto e i limiti dell’anonimato, cit., 612. Ibidem. 157 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12847. 65 156 circostanze utili ai fini delle indagini, l’autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria da questa delegati possono esaminare, presso banche, atti, documenti, corrispondenza, nonché dati, informazioni e programmi informatici; in caso di rifiuto, l’autorità giudiziaria procede a perquisizione. La richiesta di consegna cui, in caso di rifiuto, segue perquisizione, ex art. 248 c.p.p. prevede quindi un potere del p.m. “svincolato dalla preventiva acquisizione di una notizia di reato: posto infatti, che l’adozione di un tale provvedimento presuppone che l’autorità giudiziaria non sia ancora in possesso di elementi atti a legittimare il sequestro previsto dall’art. 225. del codice di procedura penale, deve ritenersi che il provvedimento abbia finalità solo conoscitive e non ablatorie158”; in tale caso dunque il p.m. viene a conoscenza del contenuto della dichiarazione in violazione delle regola che richiede la previa acquisizione della notitia criminis. La dottrina, interrogandosi sulla possibile reazione dell’intermediario in tale situazione (ossia nel caso in cui il p.m. faccia richiesta della dichiarazione riservata durante l’operazione di visione dei documenti ex art. 248. c.p.p.), ha evidenziato come sia “poco realistico pensare che l’intermediario, ricevuto il provvedimento che richiede la trasmissione delle dichiarazioni riservate opponga al pubblico ministero l’illegittimità della richiesta: nella pressoché totalità dei casi i dati richiesti saranno immediatamente forniti all’autorità procedente159”; anzi, “in assenza di una palese violazione a detto divieto di generica acquisizione, gli intermediari dovranno consegnare questa documentazione non potendo sindacare sul corretto esercizio dei poteri da parte del p.m.160” e nel caso in cui si rifiutino, eccependo l’illegittimità della richiesta e rifiutandosi di fornire i dati richiesti, il p.m. potrebbe comunque procedere all’esame di questi operando una perquisizione ai sensi del secondo alinea comma 2 dell’art. 248 c.p.p. Il rimedio per l’illegittimità di tale illegittima visione non può consistere nel ricorso al Tribunale del riesame, “mezzo di gravame costantemente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità non applicabile agli ordini di esibizione rivolti 158 Ibidem. Ibidem. 160 G.L. SOANA, Effetti penali dello scudo fiscale, cit., nota 43, 1263. 66 159 agli istituti bancari dal pubblico ministero161”, con la conseguenza che “i vizi del procedimento attivato dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 248 del codice di procedura penale risultano censurabili soltanto nella fase di processo vero e proprio, e solo qualora potesse dirsi verificata un’ipotesi di nullità o inutilizzabilità prevista dalla legge162”, con la conseguenza che “nel frattempo il pubblico ministero sarebbe libero di indagare ed acquisire prove del fatto di reato163” sulla base della visione della dichiarazione riservata. 2. L’effetto di non punibilità: classificazione dogmatica. In apparenza, la lettura della legge sullo scudo del 2001 profila un contrasto tra quanto disposto dal comma 7 dell’art. 14, che classifica lo scudo fiscale come causa estintiva della punibilità e quanto previsto invece dal comma1 lett. c) del medesimo articolo, che invece riferisci gli effetti premiali in termini di esclusione della pena; lo scudo dunque è qualificabile come causa (sopravvenuta) di non punibilità164 o come causa di estinzione del reato165? L’adesione ad una delle due premesse classificatorie è stata usata come criterio ermeneutico finalizzato, nel primo scudo fiscale del 2001, a ricomprendere l’istituto nella 161 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12848; per un riferimento sulla giurisprudenza formatasi in relazione al tema richiamato, si veda: Cass. Pen., 30 giugno 1995, sez V, n. 1834, in banca dati www.dejure.giuffrè.it; Cass. Pen., 27 luglio 1994, sez., V, mass. 199225, in banca dati www.dejure.giuffrè.it; Cass. Pen., 10 dicembre 1991, mass. 188700, in banca dati www.dejure.it 162 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, cit., 12848. 163 Ibidem. 164 C.fr.: G. VASSALLI, voce Cause di non punibilità, in Enciclopedia del Diritto, VI, 1960, 609; idem, voce “Potestà punitiva”, in Enc. Del dir., XXXIV, 793; G. MARINIUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, Giuffrè, seconda edizione, 2006, 316 ss.; M. DONINI, Le tecniche di degradazione fra sussidiarietà e non punibilità, in Indice Penale, 75, 2003; idem, Non punibilità ed idea negoziale, in Ind. Pen., 2001, 1038; G. RAGNO, voce “Estinzione del reato e della pena”, in Enc. Del Dir., XV, 951; A. PAGLIARO, Profili dogmatici delle c.d. cause estintive del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 472; F. BRICOLA, voce “Punibilità (condizioni obiettive di)”, in Nss. Dig. It., XIV, 1967, 588; M. ZANOTTI, Riflessioni in margine alla concezione processuale delle condizioni di non punibilità, in Arch. pen., 1984, 82; A. ASTROLOGO, Le cause di non punibilità: un percorso tra nuovi orientamenti interpretativi e perenni incertezze dogmatiche, Bologna, Bonomia University press, 2009. 165 C.fr.: G. MARINIUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, Giuffrè, seconda edizione, 2006, 318 ss.; F. CARNELUTTI, Estinzione del reato ed accertamento negativo del reato estinto, in Riv. dir. proc., 1950, I, 205 ss.; A. PAGLIARO, Profili dogmatici delle c.d. cause estintive del reato, cit.; G. VASSALLI, voce “Potestà punitiva”, cit.,793; M. ROMANO - G. GRASSO - T. PADOVANI, Commentario sistematico del codice penale, III, Milano, Giuffrè, 1994., sub pre-art. 150, 10 ss.; E. APRILE, Il reo e la persona offesa dal reato, la modificazione, applicazione ed esecuzione della pena, l’estinzione del reato e della pena, le sanzioni civili e le misure amministrative di sicurezza, Milano, Giuffrè, 2005. 67 disciplina di cui all’art. 182 c.p. o 119 c.p.166; finalità dei seguenti paragrafi sarà quella di approfondire i profili generali di classificazione dogmatica dell’istituto. 2.1. Il problema nella vigenza del provvedimento del 2001. Il problema attiene alla prima versione dello scudo fiscale poiché, come si vedrà, nei successivi provvedimenti di scudo il legislatore vi ha posto rimedio mediante un intervento attuato con norma di interpretazione autentica. Si cercherà quindi ora di spiegare come mai gli articoli del codice penale richiamati precludano la possibilità di estendere la disciplina premiale per il concorrente nel reato e quale sia la possibile via per un’interpretazione in bonam partem dell’estensione degli effetti premiali penali anche ad esso. 2.2. Lo scudo fiscale come causa di esclusione della pena ex art. 119 c.p. L’art. 14 comma 1 lett. c) della legge dispone che il rimpatrio effettuato ai sensi e nel rispetto delle modalità prescritte dalle legge esclude la punibilità per determinati reati; l’art. 119 del codice penale fornisce la disciplina sull’estensione della punibilità ai concorrenti nel reato non punibile: dispone il primo comma dell’articolo che le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono; al comma secondo che le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato. Tre sono gli istituti che latu sensu escludono la punibilità e che il legislatore riconduce o al primo comma o al secondo comma dell’art. 119: le cause di giustificazione (o anche dette scriminanti), le scusanti e le cause di non punibilità. Le prime sono disciplinate dal codice dagli artt. da 51 a 54 c.p. e in presenza di esse il fatto “è lecito, e quindi non punibile, né assoggettabile a misure cautelari processuali, perché non costituisce reato, difettando l’estremo dell’antigiuridicità del fatto167”; per esse trova applicazione la disciplina di estensione della causa di non punibilità al concorrente: “di regola, chi concorre 166 167 Si veda: paragrafo 3 e seguenti. G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, Giuffrè, seconda edizione, 170. 68 alla realizzazione di un fatto tipico commesso in presenza di una causa di giustificazione non è punibile perché concorre in un fatto lecito168”. Le scusanti, “circostanze anormali che, nella valutazione del legislativa hanno influito in modo irresistibile nella volontà dell’agente o nelle capacità psicofisiche dell’agente (...) impedendo a questo di rispettare la regola di diligenza violata169” sono invece classificate come causa di esclusione della pena soggettiva: ad esse dunque non si applica la disciplina dell’estensione del’esclusione della pena per il concorrente nel reato. Lo stesso può dirsi per le cause di non punibilità, che sono suddivise a loro volta in cause personali di non punibilità (“situazioni concomitanti alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole che ineriscono alla posizione personale dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima170”) e cause sopravvenute di non punibilità (“alcuni comportamenti dell’agente susseguenti alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole171”) in quanto poiché “si riferiscono per lo più all’opportunità di punire la singola persona che ha realizzato il fatto antigiuridico e colpevole (...) esse vanno infatti ricomprese di regola nella disciplina dettata dall’articolo 119 co.1 c.p. in ordine alle circostanze soggettive di esclusione della pena172”. Lo scudo fiscale, come si vedrà nel proseguo, è riconducibile a quest’ultima categoria. 2.3. Lo scudo fiscale come causa di estinzione del reato ex art. 182 c.p. La disposizione contenuta nell’articolo 14 al comma 7 dello scudo, dispone che se interviene la causa ostativa in esso descritta, non si producono gli effetti estintivi del reato; le cause estintive del reato incidono anch’esse sulla punibilità e si affiancano alle cause sopravvenute di non punibilità, in quanto, come queste, intervengono successivamente alla commissione del reato, ma, a differenza di queste sono “fatti materiali o giuridici del tutto indipendenti da 168 Idem., 198. 169 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, 170 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, 171 Ibidem. 172 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 330. Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 316. Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 318. 69 comportamenti dell’agente o comunque non si esauriscono in un comportamento dell’agente173”. “Il legislatore annovera tra le cause di estinzione del reato: la morte del reo e l’amnistia intervenute prima della condanno definita, la prescrizione del reato, l’oblazione e il perdono giudiziale174”; lo scudo fiscale, non rientra in nessuna di queste previsioni, e, come detto, e verrà in seguito chiarito, appartiene alla categoria delle cause di non punibilità sopravvenute. Ma pur ammettendo che esso possa essere ipoteticamente una causa di estinzione del reato, si veda quale sia la disciplina relativa al concorso di persone in tale caso: l’art. 182 c.p. prescrive che, salvo che la legge disponga altrimenti, l’estinzione del reato o della pena ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce; anche in tale caso quindi si produce un effetto in malam partem per il concorrente del reato, non potendo questi fruire degli effetti premiali connessi al provvedimento. La stessa legge del primo scudo fiscale d’altronde, nulla dispone espressamente su un’estensione della causa estintiva ai concorrenti nel reato; pare potersi quindi concordare con quella dottrina che evidenzia come “l’art. 182 del codice penale contiene una clausola di riserva la quale fa salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, ma di tale presenza nel testo del D.L. 350/2001 non v’è traccia. È giocoforza ritenere che il rimpatrio delle attività non manda esente da responsabilità penale il consulente finanziario che sia in concorso di reato in eventuali reati tributari175”. 2.4. Il profilo di illegittimità costituzionale comune alla scelta, nei due articoli del codice penale, di non estendere al concorrente del reato la causa sopravvenuta di non punibilità o l’effetto estintivo del reato. Sia che si inquadri lo scudo fiscale nel campo di applicazione della disciplina di cui all’art. 119 c.p., sia che si opti per la scelta di assoggettarlo alla disciplina di cui all’articolo 182 c.p., il risultato non cambia: il concorrente sarà punibile per un reato che ha agevolato a commettere a fronte della non punibilità 173 Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 319. Ibidem. 175 G. RUGGIERO, Sull’estensione, cit., 872. 70 174 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, del reato per il soggetto nei cui confronti si producono gli effetti del reato. Questa soluzione tuttavia desta forti perplessità in ordine ad un possibile contrasto con il principio di uguaglianza fissato dall’art. 3 Cost: a fronte di due situazioni uguali, che dovrebbero di conseguenza subire lo stesso trattamento, una è premiata, l’altra sanzionata senza peraltro un criterio ragionevole nella scelta punitiva; si rimanda per la soluzione del quesito ai successivi paragrafi in cui sarà esposto l’orientamento adottato dalla Corte in una situazione analoga, avente come oggetto l’indagine su una norma che ha concesso l’amnistia tributaria e non ha previsto la sua estensione, in vista dell’applicazione dell’art. 182 c.p. ora analizzato, ai concorrenti nel reato amnistiato. La soluzione ed il ragionamento svolto dalla Corte possono essere utilizzati anche in riferimento all’articolo 119 c.p., i cui effetti discriminatori sono i medesimi di quelli disposti dall’art.182 c.p. 2.5. Lo scudo fiscale: una moderna forma di impunità retroattiva. Per espressa previsione dell’art. 14 comma 1 lett. c) del D.L. 350/2001, l’effetto prodotto dallo scudo fiscale consiste nell’esclusione della punibilità per tutta una serie di reati che nel corso della riproposizione di esso nel tempo, come si vedrà nel proseguo, sono via via aumentati. La misura in esame coinvolge dunque l’istituto della punibilità, una categoria dogmatica che è da sempre stata oggetto di un serrato dibattito dottrinale circa il suo posizionamento nella struttura del reato; siffatto dibattito vede opposti due orientamenti: il primo suddivide la struttura del reato secondo una logica tripartita ritenendo questo formato da fatto, antigiuridicità e colpevolezza, cui si oppone un secondo orientamento176 che propone una qualificazione della punibilità come “ultimo elemento (nella struttura del reato) la cui idea guida risiede nell’opportunità o inopportunità dell’applicazione della pena177”; una categoria, che, secondo tale enunciazione, viene elevata a quarto elemento della sistematica del reato al fine di enfatizzare e porre in evidenza il ruolo che può avere una determinata scelta di politica criminale, intrapresa dal legislatore, in un determinato periodo storico, sugli equilibri e sui valori che marcano il sistema penale e inevitabilmente la società nel 176 Per tutti: G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano, Giuffrè, terza edizione, 2001 177 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Corso di diritto penale, terza ed., cit., 2001, 651-652. 71 suo complesso. A prescindere da quale delle due impostazioni si aderisca, la cui ricostruzione e descrizione esula dall’oggetto del presente lavoro, è pacifico che quando il legislatore interviene su tale categoria con un provvedimento legislativo che produce una sua esclusione in riferimento a determinati reati, siffatto provvedimento introduce nel sistema penale una negazione di essa che è definita causa di non punibilità. Secondo la classificazione della manualistica le cause di non punibilità possono riguardare “alcune situazioni concomitanti alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole, che ineriscono alla posizione personale dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima (cause personali di non punibilità); alcuni comportamenti dell’agente susseguenti alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole (cause sopravvenute di non punibilità); alcuni fatti naturali o giuridici successivi alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole, che o sono del tutto indipendenti da comportamenti dell’agente o comunque non si esauriscono in un comportamento dell’agente (cause di estinzione del reato)178”. Per dare una definizione dello scudo occorre dunque interrogarsi a quali di queste tre possibili cause di non punibilità esso possa riferirsi: è evidente che in questo caso siamo di fronte ad una causa di non punibilità sopravvenuta; lo scudo fiscale infatti si attua mediante una procedura posta in essere successivamente alla commissione del reato. Per quanto concerne il profilo dell’incidenza temporale in cui si producono gli effetti dello scudo bisogna rilevare come con esso la non punibilità retroagisca per fatti penalmente rilevanti avvenuti nel passato, potendosi di tale modo qualificare lo scudo come una causa di non punibilità retroattiva. Così definito lo scudo, come particolare causa di non punibilità sopravvenuta retroattiva, per concludere il suo inquadramento dogmatico bisogna concentrarsi sul primo elemento letterale definitorio di esso (e su cui è stata costruita la sua struttura normativa): la causa. Questa è costituita dal premio; esso consiste e si articola in uno scambio finalizzato ad un “ultimativo richiamo alla legalità179” in cui lo Stato offre al contribuente la rinuncia alla punibilità a fronte di “contro-azioni positive e utili in vista o della reintegrazione totale o parziale del bene giuridico protetto dalla norma penale violata, oppure della tutela di un 178 179 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, C. PIERGALLINI, Fond.,funz. Corso di diritto penale, terza ed., cit., 316, 317. e limiti, cit., 1674. 72 interesse diverso da quello sotteso alla norma incriminatrice180”; nel caso dello scudo fiscale la contro azione è identificata nella somma da versare per ottenere la punibilità, “sacrifico economico181” reso “particolarmente appetibile182” dalla sua parzialità. Per quanto concerne la finalità che il legislatore intende perseguire con tale offerta di non punibilità al contribuente che pone in essere lo scudo, bisogna rilevare come essa si ponga in linea con la reintegrazione parziale del bene giuridico protetto (e offeso dal reato tributario): si è visto prima come lo scudo sia mosso prevalentemente da esigenze di “cassa”, interessi erariali; come ha evidenziato la dottrina più attenta infatti se “l’interesse tutelato dalla normativa penale tributaria per la quale lo scudo dispone la causa di non punibilità “è quello alla riscossione dei tributi, la rinuncia alla punibilità non appare estranea a questa finalità, essendo per giunta affiancata al concorrente interesse, perseguito dal condono, al rientro delle disponibilità occultate all’estero in vista di un loro virtuoso reimpiego nel circuito nazionale183”. Si vedrà nel proseguo come tale lineare ricostruzione dogmatica dell’istituto è stata messa in crisi per la scelta operata dal legislatore nel provvedimento del 2009 di allargare l’ampiezza dell’ombrello penale a reati in cui manca una simmetria rispetto al bene giuridico protetto. In conclusione, tornando al problema di classificazione prima sollevato in merito alla riconducibilità dello scudo fiscale alla categoria delle cause di non punibilità o di estinzione del reato, può affermarsi che esso appartenga alla prima categoria, risultando così il rifermento agli effetti estintivi contenuti nel comma 7 dell’art. 14 frutto di una possibile imprecisione del legislatore. 2.6. Conclusioni riguardo la struttura del provvedimento. L’idea evocativa tipica è rappresentata dunque dal rapporto tra Stato che abdica, per taluni reati, l’esercizio della potestà punitiva e soggetto (l’“interessato”) che, versando un determinato corrispettivo, evita di incorrere nella sanzione penale. 180 Ibidem. 181 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1675. Ibidem. 183 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit.,1676. 73 182 L’impianto premiale così predisposto dalla misura in esame tuttavia non deve condurre ad una affrettata conclusione sulla totale negatività di esso: se in effetti si aderisce con la considerazione che la categoria della non punibilità “lungi dal rappresentare una patologia da correggere, si iscrive nell’assetto teleologico complessivo del sistema penale184”, lo scudo fiscale potrebbe spiegare la pena che non si applica in chiave di efficienza e legittimazione del sistema stesso, nel senso che un diritto penale orientato alle conseguenze e volto ad assicurare istanze di prevenzione generale e speciale mette in conto diversi meccanismi (tra i quali appunto lo scudo fiscale) volti a derogare in tutto o in parte all’astratta comminatoria della pena. Una visione della categoria della punibilità in una prospettiva funzionale all’interno del sistema potrebbe dunque essere argomento valido a sgombrare il campo da preconcetti ed anzi utile a spiegare la misura in esame come conseguenza “del potente influsso dello spirito dell’analisi economica del diritto penale (law and economics) che ha affiancato l’idea tradizionale di giustizia (come ars aequi et boni) in nome dell’efficienza185”. Sarà poi rimesso alle considerazioni dottrinali il giudizio sulla ragionevolezza, rectius, efficienza o meno della scelta operata dal legislatore, come per esempio, nella tesi critica, ancorata ad una visione di tradizionalista, di quell’Autore, che pone in evidenza come “il costo davvero irrisorio186” per la sanatoria (per il rimpatrio o la regolarizzazione) “finisce con il comportare un ingiustificato trattamento fiscale di privilegio all’(altrimenti) evasore rispetto al contribuente ligio e tempestivo187”, o di un altro Autore188 che ritiene la punibilità ridursi a vera e propria “merce di scambio189” in un rapporto di do ut des con la punibilità; a costoro si potrebbe replicare che le procedure di rimpatrio e regolarizzazione sono state concepite per fare emergere redditi che, nel momento della loro formazione, non erano stati dichiarati al Fisco; secondo questa diversa 184 M. DONINI, Le tecniche di degradazione fra sussidiarietà e non punibilità, in Indice Penale, 2003. 185 M. DONINI, Non punibilità ed idea negoziale, in Indice Penale, 2001, 1053. 186 C. RUGA RIVA, Sanatorie, condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2004, 232. 187 Ibidem. 188 T. PADOVANI, Il traffico delle indulgenze, premio e corrispettivo nella dinamica della punibilità, in Rivista italiana diritto processuale penale, 1986, 413. 189 Ibidem. 74 visuale il premio si giustifica come “strumento per incoraggiare in ogni modo un percorso inverso all’infedeltà 190 rispetto a quello che ha condotto il 191 ”, in funzione di “lotta all’evasione fiscale contribuente ” finalizzato all’emersione di basi imponibili che, oltre ad ampliare il gettito nelle casse dello Stato, potranno essere utilizzati per un reimpiego virtuoso a sostegno di settori dell’economia in forte crisi (secondo l’ottica di law and economics ora indicata). 3. L’estensione della non punibilità. Affrontata brevemente la disciplina tecnica inerente ai soggetti, l’oggetto e le procedure di emersione, si prosegua ora con la trattazione del tema principale oggetto dell’elaborato, ovvero i rapporti tra scudo fiscale e la disciplina penalistica e le problematiche di ordine generale afferenti a tali relazioni. 3.1. L’estensione soggettiva della non punibilità ai concorrenti nel reato. Un primo profilo di analisi, che concerne un possibile “effetto sorpresa” che potrebbe riservare lo scudo fiscale, riguarda l’evenienza di una comunicabilità o meno della causa di esclusione della punibilità ai concorrenti (come per esempio il consulente che abbia consigliato l’espatrio sotto forma di istigazione accolta cui sia seguita la commissione del reato192, o il professionista il quale abbia consigliato di non presentare la dichiarazione) nel reato penale-tributario commesso da colui che si è avvalso dello scudo fiscale. Il problema, come accennato nei paragrafi relativi all’inquadramento della natura giuridica dell’istituto, sorge da una mancanza di coordinamento interno alla normativa: il comma 1 dell’articolo 14 della legge qualifica l’effetto premiale penale per lo scudante in una causa di non punibilità; il comma 7 del medesimo articolo si riferisce, nell’individuare la causa ostativa alla produzione degli effetti premiali, ad effetti estintivi del reato. Ora: la disciplina delle cause di estensione ai concorrenti del reato è disciplinata, a seconda del tipo di istituto in cui inquadrare lo scudo, da due diversi articoli del codice penale; se, stando alla definizione che ne viene data dal comma primo dell’articolo 14, lo scudo fiscale è 190 A. MARTINI, Il dir. pen. tra indulgenze e rinunce, cit., 309. Relazione, cit. 192 Esempio tratto da G. RUGGIERO, Sull’estensione, cit., 871. 75 191 una causa di non punibilità ad esso si applica l’articolo 119 c.p. Qualora invece lo scudo, in guisa del comma 7 dell’articolo 14 sia riconducibile ad una causa di estinzione del reato o della pena, la disciplina applicabile ai concorrenti nel reato è individuata nell’art. 182 c.p.; tuttavia occorre sottolineare come sia che lo scudo venga ricondotto alla prima o sia che venga ricondotto alla seconda ipotesi, la differente qualificazione in realtà produce lo stesso effetto in malam partem per il concorrente: in entrambe i casi, stando al dettato codicistico, ad esso sarà preclusa l’estensione della disciplina di favore. 3.1.1. La storica sentenza della Corte Costituzionale, in materia di estensione dei condoni tributari ai concorrenti nel reato. Il criterio ermeneutico per risolvere il quesito va ricercato nell’indirizzo assunto dalla Corte Costituzionale193 con una recente e storica sentenza inerente all’amnistia dei reati tributari: nella sentenza in esame, la Corte è stata chiamata ad esprimersi circa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 commi 1 e 2 del d.P.R. 20 gennaio 1992, n.23, (Concessione di amnistia per i reati tributari), sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., per la mancata previsione, nella menzionata legge, dell’estensione della fruibilità dell’amnistia al concorrente nel reato. L’articolo 1 del d.P.R. oggetto del sindacato della Corte infatti stabiliva al comma 1 la concessione dell’amnistia per i reati previsti in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, commessi fino al 30 settembre 1991 e riferibili ai periodi di imposta che potevano essere definiti secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413; precisava poi il comma 2 dello stesso articolo che, per ciascuna imposta, l’amnistia si applicava, salvo le diverse specifiche ipotesi disciplinate dal successivo comma 3, a tutti i reati di cui al comma 1 riferibili al periodo d’imposta a condizione che il contribuente, o 193 C.Cost., 19 gennaio 1995, n.19, in Dir. pen. e proc., n.4/1995, 483, con commento di L. D. Si veda anche: I. CARACCIOLI, Ravvedimento operoso e falso in bilancio. Nuovi spunti applicativi, in il fisco, 5/1995, 1190 ss., Idem, Concessione di amnistia per i reati tributari, in legisl. pen., 1992, 235 ss., Idem, L’estensione dell’amnistia ai concorrenti davanti alla Corte Costituzionale, in il fisco, 1995, 1390; A. LANZI – C. M. PRICOLO, Applicabilità dell’amnistia ai concorrenti nel reato tributario: i dubbi, l’interventio della Corte Costituzionale, la soluzione del problema, in riv. dir. trib., 1995, 328 ss.; A. MONTAGNA, Principi di diritto enunciati ai sensi dell’art. 173 comma 3 disp.att. c.p.p., in dir. pen e proc, n.2/2002, 213 ss., L. D. CERQUA, La funzione retributiva e l’efficacia oggettiva dell’amnistia connessa al condono in materia tributaria, in dir pen. ec., 1996, 1309 ss. 76 CERQUA; chiunque altro, avendone interesse, presentasse la dichiarazione integrativa per la definizione per l’intero periodo ovvero definisse il periodo stesso. Il remittente dunque sollevava la questione muovendo “dal presupposto che, in base alla normativa denunciata, il provvedimento di amnistia deve necessariamente correlarsi con la legge n. 413 del 1991, che consente la presentazione della dichiarazione integrativa solo a soggetti qualificati in virtù del loro status di contribuente, attuale o pregresso, traendone la conseguenza che il sistema della legge sia tale da non consentire di fruire dell’amnistia al concorrente del reato, pur a fronte dell’avvenuta definizione della pendenza tributaria ad opera del contribuente194”; la Corte Costituzionale respingeva la questione dichiarandone l’infondatezza, rilevando in primo luogo come “pur essendo l’amnistia condizionata alla presentazione di dichiarazione integrativa ovvero alla definizione del periodo d’imposta ad opera del contribuente o di chiunque vi abbia interesse, l’oggettività del presupposto indicato dalla legge non autorizza a ritenere che il legislatore abbia voluto limitare a chi abbia posto in essere detti adempimenti la causa di estinzione del reato e quindi gli effetti che, sul piano penale, conseguono alla definizione del rapporto tributario195”; questo alla luce del “canone ermeneutico secondo il quale, tra le possibili interpretazioni della norma, sia da scegliere quella conforme a Costituzione196” e anche sulla base dell’assunto che “è vero sì che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella scelta del criterio di discriminazione fra i reati amnistiabili e non, ma come è evidente, occorre pur sempre, nell’interpretare le norme relative, muovere dal presupposto che egli abbia voluto escludere sperequazioni normative fra attività criminose omogenee che non troverebbero alcuna plausibile giustificazione197”. Come riferito dalla dottrina “la Corte dunque ha avuto modo di sottolineare che, una volta che sia eliminata la pretesa tributaria attraverso l’adesione del contribuente principale al provvedimento estintivo, non può porsi in dubbio la piena efficacia nei confronti di tutti i concorrenti198”. La norma non era dunque costituzionalmente illegittima in quanto la Corte evidenziava come “pur essendo 194 C.Cost., 19 gennaio 1995, n.19, cit., 483. Ibidem. 196 Ibidem. 197 Ibidem. 198 L. IMPERATO, I profili penali dello scudo fiscale, in www.odc.torino.it, 20. 77 195 l’amnistia condizionata alla presentazione di dichiarazione integrativa ovvero alla definizione del periodo d’imposta ad opera del contribuente o di chiunque vi abbia interesse, l’oggettività del presupposto indicato dalla legge non autorizza a ritenere che il legislatore abbia voluto limitare a chi abbia posto in essere detti adempimenti la causa d’estinzione del reato e quindi tutti gli effetti che, sul piano penale, conseguono alla definizione del rapporto199”; la Corte dunque statuiva il principio dell’efficacia oggettiva dell’amnistia in materia tributaria: l’esecuzione degli adempimenti oggettivi prescritti dalla legge (presentazione dichiarazione integrativa o definizione del periodo d’imposta) per fruire dei benefici premiali penali connessi al loro adempimento non ostava ad un’estensione dell’effetto premiale al concorrente nel reato, secondo una interpretazione “conforme a Costituzione, specie quando ad un’interpretazione nel senso più ampio (..) concorrono argomenti di non trascurabile rilievo, desumibili dalle incongruenze cui si andrebbe altrimenti incontro a ritenere che dell’amnistia non possano comunque beneficiare, pur in presenza della definizione della pendenza tributaria ad opera del contribuente, i concorrenti nel reato che non siano essi stessi contribuenti200”. 3.1.2. Riflessi applicativi della sentenza della Corte in tema estensione della non punibilità prevista dallo scudo fiscale del 2001 ai concorrenti nel reato. Come nel caso dell’amnistia per i reati tributari ora evidenziato anche per lo scudo fiscale deve estendersi analogo ragionamento in bonam partem per coloro che sono concorsi nel reato, sia in quanto per entrambe le occasioni “l’estinzione del reato tributario era subordinata alla presentazione, da parte unicamente del soggetto direttamente evasore d’imposta, di una dichiarazione integrativa con definizione dell’intero periodo201”, sia in quanto la conclusione opposta, che indica nell’art. 182 c.p. la disciplina applicabile ai concorrenti nel reato commesso dallo scudante, “determinerebbe (come visto per la sentenza della Corte Costituzionale) seri dubbi di costituzionalità in relazione soprattutto all’art. 3 della Costituzione in quanto sarebbe fonte di una ingiustificata disparità 199 C.Cost., 19 gennaio 1995, n.19, cit., 484. Ibidem. 201 G. L. SOANA, Effetti penali dello scudo fiscale, cit., 1258. 78 200 di trattamento, potendo fruire di detta causa estintiva gli autori principali del reato tributario, che sono anche coloro che hanno da esso tratto immediato vantaggio avendo in tal modo evaso al proprio obbligo tributario, mentre ne rimarrebbero esclusi i soggetti che, pur avendo dato un apporto necessario a detta condotta illecita, hanno realizzato un fine evasivo altrui; soggetti ai quali non viene data neanche la possibilità di sanare la propria posizione attraverso un autonomo procedimento di estinzione202”. In conclusione è necessario interpretare la norma in esame in maniera più conforme a Costituzione, secondo un principio più generale per cui “quando l’interpretazione letterale di una norma ponga questa in evidente contrasto con il significato di altre disposizioni203” deve farsi ricorso ad un’interpretazione logicosistematica finalizzata ad evitare che possa incorrersi in violazioni del principio di cui all’art. 3 Cost. “Le norme giuridiche (...) integrano, ciascuna di esse nel loro insieme, un sistema organico e potenzialmente coerente in tutte le sue parti, con la conseguenza che il loro significato deriva anche dalla relazioni logiche e sistematiche che intercorrono tra le stesse204” ; in sostanza la clausola della previsione espressa di legge per l’estensione della causa estintiva del reato di cui all’art. 182 c.p. come implicita per le situazioni di amnistia e scudo fiscale; tuttavia, secondo un’altra interpretazione205, potrebbe addirittura ricondursi l’istituto dello scudo fiscale alla disciplina di cui all’art. 119 c.p. comma secondo; ciò, mediante una sorta di “finzione equitativa” che, in ragione di opportunità ed equità in riferimento alle scelte di politica criminale adottata, riconduce giocoforza lo scudo fittiziamente alla disciplina di cui all’art. 119 comma 2 c.p., facendo di questo “una norma contenitore entro la quale far rientrare tutte quelle cause di non punibilità non altrimenti dichiarate estintive, anche se, ontologicamente, a queste ultime riconducibili, il tutto nel commendevole sforzo di sottrarre i casi dubbi dalla più rigorosa disciplina dettata dall’art. 182 del 202 Idem, cit., 1257. L. D. CERQUA, La funzione retributiva e l’efficacia oggettiva dell’amnistia connessa al condono in materia tributaria, cit., 1312. 204 Ibidem. 205 G. RUGGIERO, Sull’estensione, cit. 873. 79 203 codice penale, in virtù di un ragionamento analogico in bonam partem206”. Sembra in conclusione potersi concordare con quanto suggerito dai commentatori più attenti, i quali rimarcano che “meglio sarebbe stato, onde evitare disarmonie sistematiche e, soprattutto, il ricorso ad acrobazie logiche, formulare la lettera c) dell’art. 14 nel seguente modo: “Estingue i reati di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n.74 del 2000, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate, anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato207”; tale soluzione infatti avrebbe permesso di risolvere efficacemente i problemi interpretativi passati in rassegna e non da ultimo ulteriori conseguenti difficoltà pratiche di ordine processuale, quale per esempio quello, posto dalla dottrina più accorta, sul “come il concorrente possa far valere lo scudo fiscale posto in essere da una persona diversa, soprattutto se non coimputata nel medesimo processo208”. 3.1.3. La soluzione adottata nello scudo- ter. Anche nel provvedimento del 2009, l’art. 13- bis del D.L.78/2009 e successive modificazioni, apparentemente nulla dispone circa il regime di estensione o meno della non punibilità ai concorrenti nel reato; tuttavia, l’articolo in questione dispone al comma 4 che l’effettivo pagamento dell’imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità penale, limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione, l’applicazione della disposizione di cui al già vigente articolo 8, comma 6, lettera c) della legge 27 dicembre 2002, n.289, e successive modificazioni (c.d. scudo-bis). La disposizione richiamata, oltre che ampliare il novero dei reati per i quali opera l’effetto premiale del provvedimento per la cui analisi si rimanda al proseguo, è stata sottoposta a interpretazione autentica del legislatore tramite il D.L. 143/2003: questo, all’art. 1 comma 2-septies ha disposto che “l’esclusione della punibilità opera nei confronti di tutti coloro che hanno commesso o concorso a commettere (corsivo aggiunto) i reati ivi indicati (...)”. Come conseguenza di tale addendum ermeneutico deve dunque ritenersi giustificata la dilatazione in 206 Ibidem. Ibidem. 208 F. ARDITO, Profili penali dello scudo fiscale, in banca dati fisco online, http://home.ilfisco.it. 80 207 favore dei correi del beneficio, avendo il legislatore dei provvedimenti successivi finalmente operato una necessaria chiarificazione conforme d’altronde all’orientamento della Corte costituzionale sopra esposto. 3.2. L’estensione oggettiva della non punibilità: i reati coperti dallo scudo. Si prosegua ora con l’analisi dei reati coperti dallo scudo: questi variano a seconda dei provvedimenti; conviene dunque analizzarli distintamente seguendo un iter logico-temporale ordinato: dal primo provvedimento del 2001 a quello con del 2009. Ciò anche al fine di evidenziare come il tipo di scelta di politica criminale operata relativamente al novero dei reati non perseguibili nella prima versione dello scudo sia notevolmente cambiata nelle successive riposizioni di questo. 3.2.1. I reati previsti nel primo scudo fiscale. Nel provvedimento del 2001, ex la lett. c) dell’articolo 14, l’esclusione della punibilità coinvolge un novero ristretto di reati: la “dichiarazione infedele” di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000209, il delitto di “omessa dichiarazione” di cui all’art. 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000210 e i reati previsti dal D.L. 429/1982, ad eccezione di quelli contenuti nell’art. 4 lett. d)211 e f) 212. 209 “Fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3 è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 103.291,38 b) l’ammontare complessivo degli elementi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro 2.065,827,60”. Si veda: A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 380. 210 “È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 77.468,53”. Per un commento analitico della disposizione in esame, si veda: A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 414; B. CARTONI, Il reato di omessa dichiarazione tra vecchio e nuovo diritto penale tributario, in Impresa, 2000, 1378. 211 “È punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da cinque a dieci milioni di lire chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l’evasione o indebito rimborso a terzi: emette o utilizza fatture o altri documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti o recanti l’indicazione dei corrispettivi o dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale; 81 Un primo problema di coordinamento si pone tra gli effetti previsti dello scudo fiscale e le normative che ne sono interessate; si è visto che l’effetto scudo opera con riferimento a reati previsti dal provvedimento del 2000 e del 1982: la questione interpretativa rileva in quanto il D.Lgs. n. 74 del 2000 ha abrogato, all’art. 25, lett. d), tutte le disposizioni penali contenute nel D.L. n.429/1982, eccezion fatta la fattispecie di cui alla lettera f), senza dettare alcuna norma transitoria; per quale ragione il legislatore ha richiamato tali fattispecie nella legge? Per quanto riguarda la lettera f), alla sua formale abrogazione non è seguita l’abolitio criminis, ossia quella conseguenza di non punibilità, ex art. 2 c.p., nei confronti di coloro che abbiano commesso fatti che, secondo la previsione della nuova legge, non costituiscano più reato: al contrario il delitto di dichiarazione fraudolenta o accompagnata da comportamenti diretti ad ostacolare l’accertamento si pone in linea di continuità normativa con l’art. 3 del D.Lgs. 74 del 2000213, costituendone “il cuore214” della fattispecie di cui all’art. 3. Il suo richiamo è quindi necessario per continuare a punire quelle condotte commesse precedentemente all’entrata in vigore del D.Lgs. 74 del 2000, sempre che fossero state integrate entrambe le soglie quantitative di punibilità, e per evitare di far rientrare tale fattispecie nell’area di operatività premiale. ovvero emette o utilizza fatture o altri documenti recanti l’indicazione di nomi diversi da quelli veri in modo che ne risulti impedita l’identificazione dei soggetti cui si riferiscono”. 212 “È punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da cinque a dieci milioni di lire chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l’evasione o indebito rimborso a terzi: indica nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall’art.1, ricavi, proventi od altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento di altri fatti materiali”. 213 “Fuori dei casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 77.468,53; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 1.549.370,70.” Si veda: S. PICCIOLI, Falso ideologico e falso materiale nei reati tributari: profili di inquadramento sistematico, cit., 12; A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 338; P. CORSO, I reati fiscali, allegato al Corr. Trib., n.47/2001. 214 S. DOVERE, Lo scudo fiscale: struttura ed effetti, cit, 768. 82 A differenza della lettera f),con la lettera d) dell’art. 4 D.L. n.429/1982 invece sorgono maggiori problemi di coordinamento in relazione alla continuità normativa dell’articolo citato con il suo presunto omologo contenuto nell’art. 2 del D.Lgs 74/2000215; due indirizzi giurisprudenziali interpretativi si contrapponevano: il primo ravvisava una sorta di continuità normativa fra l’ipotesi di utilizzazione di fatture inesistenti sanzionata dall’art. 4 lett. d) legge 516/1982 e la nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D.Lgs 74/2000216; il secondo217 sosteneva l’indirizzo opposto, ovvero che “l’originaria fattispecie di utilizzazione, consistita nella detenzione a fine di prova o nella registrazione nelle scritture contabili obbligatorie di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, che non abbiano però costituito il supporto documentale per l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione fraudolenta resta di per sé sola priva di rilevanza penale e non più configurabile come reato, poiché la sanzione, secondo la chiara formulazione dell’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, risulta oggi ancorata esclusivamente al momento della dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, nel quale si realizza il presupposto obiettivo dell’evasione d’imposta e la concreta offesa degli interessi connessi al prelievo fiscale218”. L’intervento delle Sezione Unite, rilevando come la prima tesi interpretativa collidesse “sia con la formulazione letterale della disciplina positiva, sia con l’univoca volontà del legislatore, il quale designa il fenomeno in termini di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione 215 “È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi”. C.fr anche: P. BIONDO, Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D.L.gs 19 marzo 2000, n.74, in Boll. trib. inf., 2005, 267; M. SONEGO, Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D.L.gs: continuità con il delitto di frode fiscale previsto dalla l. n.516/1982. Considerazioni sulla nuova fattispecie in generale, in Rass. trib., 2001, 781; A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 280. 216 Si veda: Cass. Pen., III, 27 aprile 2000, n.6228, BELLAVIA, in banca dati www.dejure.giuffrè.it 217 C.fr anche: Cass. Pen., III, 10 luglio 2000, n.2792, BAIETTA, in Studium iuris, 2001, 224; Cass. Pen., III, 31 maggio 2000, n.7632, BOSCO, in banca dati www.dejure.it; Cass. Pen., III, 18 maggio 2000, n.1932, DALL’ANESE, in banca dati www.dejure.it; Cass. Pen., III, 2 maggio 2000, n.1808, RASI, in Giur. Impr., 2000, 1093. 218 Cass. SS. UU., 7 novembre 2000, n.27, in Rass. trib., 2000, 1925, per un commento alla sentenza si veda: P. CORSO, Le SS.UU. confermano la depenalizzazione dell’utilizzo di fatture false, in Corr. trib, n. 47/2000, 3485. 83 penale-tributaria219” ha risolto la questione interpretativa aderendo alla seconda tesi e non ravvisando quindi “all’esito della comparazione e del raffronto tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle fattispecie incriminatrici220” il persistere, anche se mutato, “del giudizio di disvalore astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni221”. La disomogeneità strutturale fra la due fattispecie rilevata dalla Corte non ha dunque creato i presupposti per la continuità punitiva della disposizione dell’art. 4 lett. d) del D.L. 1982 con l’attuale art. 2 del D.Lgs 74/2000: di conseguenza “con riferimento alle condotte prodromiche di utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, un tempo integratrici del reato di cui all’art. 4 lett. d) del D.L. 1982, è intervenuta una vera e propria abolito criminis mediante integrale depenalizzazione della fattispecie222”. Depenalizzazione che si concretizza, in relazione ai procedimenti pendenti aventi ad oggetto i fatti disciplinati dalla disciplina ora abrogata, con la decisione di non luogo a procedere non essendo più il fatto previsto dalla legge come reato. La sentenza ora segnalata pone dunque in evidenza quale fosse il problema di coordinamento delle normative del 1982 e del 2000 richiamate dalla legge sullo scudo fiscale del 2001: anche se la falsa fattura non costituisce il supporto documentale per l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione fraudolenta il legislatore del 2001 richiama espressamente tale ipotesi come delitto per il quale permane la punibilità per coloro che scudano nonostante questa sia una fattispecie non più punibile! Il problema non può che essere risolto ritenendo che “il riferimento fatto dal legislatore alla lettera d) rientri in quelle previsioni da valutare come inutili223, essendo il frutto di una particolare prudenza del legislatore. Inutile, in quanto relativa ad una norma che rispetto alla figura dell’utilizzatore della fattura falsa è da valutarsi, anche per il passato, abrogata224”; prudente perché, a fronte della posizione della Corte di Cassazione, il legislatore ha comunque 219 Cass. SS. UU., 7 novembre 2000, n.27, in Rass. trib., 2000, 1926. Ibidem. 221 Ibidem. 222 Ibidem. 223 Definisce tale previsione come facente parte di quelle “inutili” o “impossibili”, A. LANZI, Profili e risvolti, cit., 127. 224 G. L. SOANA, Effetti penali dello scudo fiscale, in Rass. trib., n.4/2002, 1242. 84 220 preferito non rischiare che eventuali ripensamenti potessero determinare conseguenze non volute; si legge infatti nella Relazione al decreto legge che “la menzione dei reati previsti dal decreto-legge si è resa opportuna per chiarezza ed esaustività del dettato normativo, al fine di dirimere eventuali dubbi interpretativi225”. 3.2.2. Protezione penale priva di pericoli? Circa la scelta operata dal legislatore riguardo il novero circoscritto dei reati sopra descritti, questa, ha rilevato la dottrina, fa emergere “in modo evidente come il legislatore del primo provvedimento avesse limitato l’effetto sanante al settore del diritto penale-tributario e, in detto ambito, a quelle condotte di minore allarme sociale derivante dalla semplice omessa indicazione in una delle dichiarazioni annuali del reddito derivante da queste disponibilità finanziarie in tal modo emerse226”: il soggetto che effettuava il rimpatrio o la regolarizzazione nel 2001 doveva dunque valutare l’opportunità di emersione in maniera più attenta rispetto allo scudante del 2009 che gode di una protezione maggiore dovuta all’estensione dello scudo ad un ampio numero di reati. L’effetto in malam partem nel caso di un utilizzo dello scudo fiscale per reati esclusi dal suo ombrello è individuato nell’ articolo 17 comma 2- bis del provvedimento: il rimpatrio o la regolarizzazione di attività detenute all’estero per reati diversi da quelli per i quali è esclusa la punibilità non produce gli effetti premiali penali ed è anzi punito con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100 per cento del valore corrente delle attività oggetto della dichiarazione riservata. La dottrina ha dimostrato come non pochi erano i casi in cui l’utilizzo dello scudo fiscale doveva essere attentamente valutato dagli scudanti del 2001 al fine di evitare effetto boomerang di questo. I casi maggiormente critici sono stati evidenziati in relazione ai rapporti tra reati scudabili e reato di falso in bilancio: “si pensi, ad esempio, all’amministratore che riceve una parte del compenso all’estero, attingendo a fondi neri della società ovviamente non dichiarati in bilancio. Il rimpatrio lo 225 226 Consultabile in banca dati il fisco video, www.sba.unimi.it. G. L. SOANA, Gli effetti penali dello scudo fiscale, cit., 1239. 85 renderebbe non punibile per il reato di dichiarazione infedele, ma potrebbe esporlo a rispondere di falso in bilancio e dei reati eventualmente commessi per costituire la disponibilità riservata della società227” o ancora “egualmente potrebbe dirsi per colui il quale, dovendo ricevere una somma da una società per una prestazione resa in Italia, ne richieda ed ottenga il pagamento all’estero: anche costui potrebbe essere chiamato a rispondere di falso in bilancio con l’amministratore della società erogante, quale extraneus concorrente del soggetto tipico del reato proprio ai sensi dell’art. 110 e 117 del codice penale 228”. Non solo lo scudo potrebbe costituire fonte di innesco per indagini relative al reato di falso in bilancio nei confronti dello scudante, ma questo potrebbe costituire una spia per avviare indagini nei confronti della società, laddove lo scudante rivesta una posizione all’interno di questa: “nessuna norma del decreto impedisce all’ufficio finanziario di usare la “confessione” insita nello scudo fiscale come fonte d’innesco o anche come elemento rafforzativo della motivazione, relativamente ad una possibile accertamento ulteriore nei confronti del soggetto terzo, non protetto da scudo229”. In sostanza la dichiarazione riservata, che viene utilizzata come scudo nel caso in cui l’amministrazione finanziaria ponga in essere un controllo nei confronti del soggetto rimpatriante, può servire alla stessa “come elemento indiziario considerevole per dirottare il controllo verso la società, che sarebbe vulnerabile su basi facilitate, sotto il profilo probatorio230”. Inoltre la dottrina non aveva mancato di evidenziare come in relazione ai possibili effetti in malam partem sul versante tributario, essendo le attività finanziarie costituite all’estero espressione di un sicuro indice di ricchezza, l’ufficio finanziario considerasse le stesse come “portatrici di un’estrinseca forza persuasiva nei riguardi di ulteriori iniziative accertative: sia come fonte d’innesco per nuove indagini, sia sotto il profilo della possibile blindatura, in termini di contenuto motivazionale, di un accertamento relativo alla posizione tributaria che pur essendo comunque correlata agli importi dichiarati, fosse 227 G. P. CHIEPPA, Rientro dei capitali, scudo penale e poteri d’indagine del pubblico ministero, cit., 12849. 228 Ibidem. 229 Ibidem. 230 L. LOVECCHIO, Ma il veto alle società condiziona il rientro, cit. 86 rimasta formalmente fuori dallo scudo sotto il profilo soggettivo231”; il discorso è corretto alla luce della mancanza nel provvedimento del 2001 della disposizione del comma 3 dell’articolo 13- bis dello scudo del 2009 che prescrive, proprio per evitare il riproporsi di siffatti profili critici, che il rimpatrio o la regolarizzazione non possono costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria, civile, amministrativa ovvero tributaria con esclusione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge. Un secondo problema rilevante circa la possibilità che lo scudo fiscale si rivelasse “un’arma a doppio taglio” per lo scudante, concerne il labile confine tra il reato di cui all’art. 3232 e il reato di cui all’art. 4 del D.L.gs 74/2000; come precedentemente illustrato, mentre per la fattispecie di cui all’art. 4 (ad eccezione delle lettere d ed f ) operava la causa di esclusione della punibilità in relazione all’emersione dei capitali detenuti all’estero, al contrario l’art. 3 risultava non compreso nelle maglie protettive dello scudo penale del 2001. La dottrina ha posto in evidenza233 come potesse prospettarsi l’eventualità che alcune fattispecie di reato inizialmente rubricate sotto l’art. 4 del D.Lgs. 74/2000, quindi protette dallo scudo fiscale potessero essere, in corso d’indagine, modificate come casi di dichiarazione fraudolenta ex art. 3 del medesimo decreto legislativo, nei confronti delle quali l’esibizione della dichiarazione riservata non avrebbe più potuto proteggere il soggetto indagato, rilevando anzi come utile indizio per la dimostrazione dell’illecita esportazione all’estero di capitali sottratti a tassazione in Italia, stante la previsione dell’articolo 14 comma 4 della legge, 231 Ibidem. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici: “fuori dai casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole ipotesi, a lire centocinquanta milioni; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a lire tre miliardi”. Per un commento sulla norma si veda: A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit; G. GRAZIANO, I reati tributari nella giurisprudenza: il D.Lgs. 74/2000 recante la disciplina dei nuovi reati tributari dopo tre anni di applicazione, Milanofiori, Assago, Ipsoa, 2003. 233 Per avvalorare la legittimità della richiesta che lo scudo venisse esplicitamente esteso anche alle condotte sanzionate all’art. 3 del D.Lgs 74/2000, si veda: F. GIANARIA – P. RE, Restano confusi gli aspetti penali, cit. 87 232 che prevede l’utilizzabilità della dichiarazione riservata come prova nel corso dei procedimenti penali. I profili d’incertezza riguardavano soprattutto i casi di “configurabilità del reato di cui all’art. 3 del D.Lgs 74/2000 nell’ipotesi di cosiddetta “sottofatturazione”, soprattutto se provvista dei caratteri della sistematicità, nonché la configurabilità del reato di cui all’art. 3 medesimo nell’ipotesi di apertura di conti correnti intestati a nomi di fantasia ovvero a soggetti diversi rispetto al contribuente (su cui fare confluire proventi non dichiarati)234”. In riferimento alla seconda ipotesi ora citata, la dottrina ha rilevato, supportata anche da pronunce giurisprudenziali235, la possibilità che la condotta venisse considerata come “comportamento fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento di fatti materiali”, suscettibile di integrare la fattispecie di cui all’art. 3 del D.Lgs 74/2000, con la conseguenza che l’ombrello penale offerto dallo scudo del 2001 non trovasse applicazione in riferimento all’apertura di conti correnti intestati a soggetti diversi rispetto al contribuente. Tuttavia l’Agenzia delle entrate nelle due circolari emesse in seguito all’approvazione del D.L. 350/2001, in relazione all’ambito oggettivo di operatività delle norme sul rimpatrio, ha chiarito che “in considerazione della finalità del provvedimento che è quella di consentire l’emersione di attività comunque riferibili al contribuente, detenute al di fuori del territorio dello Stato, essa era ammessa non soltanto nel caso di possesso diretto delle attività da parte del contribuente, ma anche nel caso in cui le predette attività fossero intestate a società fiduciarie236” o comunque fossero possedute dal contribuente “per interposta persona237”. L’Agenzia stessa ha specificato poi che, per quanto “relativamente alla nozione di interposta persona, si fa presente che la questione non può essere risolta in modo generalizzato, essendo direttamente connessa alle caratteristiche e alle modalità organizzative del soggetto interposto238”, questa ha ritenuto “a titolo esemplificativo, che debba essere considerato soggetto 234 A. AMATO, Emersione, cit., 14760. Si veda: Trib. Torino, sent. 26 marzo 1998, in il fisco, n.29/1998, 9748 ss. 236 Circolare n. 85/E, cit., 12191; anche la Circolare successiva, n. 99/E, cit., 14778, conferma quanto disposto dalla prima circolare. 237 Ibidem. 238 Ibidem. 88 235 interposto una società localizzata in un Paese avente fiscalità privilegiata, non soggetta ad alcun obbligo di tenuta di scritture contabili, in relazione alla quale lo schermo societario appare meramente formale e ben si può sostenere che la titolarità dei beni intestati alla società spetti in realtà al socio che effettui il rimpatrio239”; in sostanza l’Agenzia delle entrate ha fornito un’interpretazione del concetto di interposta persona coincidente con quella che secondo una certa giurisprudenza integra la fattispecie di cui all’art. 3 del D.Lgs 74/2000, destando grande incertezza tra gli operatori ed i soggetti coinvolti nelle operazioni di scudo. Laddove dunque per l’Agenzia l’interposizione di persona mediante apertura di conti correnti a soggetti diversi rispetto al contribuente sui quali far confluire proventi non dichiarati esclude l’ipotesi che questa rientri nel reato di cui all’art. 3 citato e anzi viene fatta rientrare nell’ambito applicativo della disciplina dello scudo, per giurisprudenza e dottrina240 invece l’interpretazione non è univoca; di conseguenza il dubbio che si pone per l’interprete è di notevole incertezza: quale valenza attribuire alle indicazioni contenute nella circolare dell’Agenzia delle entrate? Come messo in evidenza dalla dottrina, “il principio contenuto in una circolare amministrativa non ha alcuna efficacia vincolante rispetto all’interpretazione che il giudice penale può dare alla norma. Il contenuto della circolare, inoltre, non può neppure essere utilizzato per invocare la buona fede del contribuente, e per ciò escludere la punibilità, in quanto il reato si è perfezionato, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, nel momento in cui è stato consumato, con conseguente irrilevanza del profilo soggettivo avuto in sede di emersione241”. Ancora una volta dunque, restano incerti i profili di protezione penale dello scudo fiscale del 2001 anche in riferimento a situazioni, come quella ora esposta, in cui l’operatività dell’istituto appariva, secondo i chiarimenti di un organo dotato di massima autorità, incontrovertibili; una volta presa la decisone di adottare un provvedimento di siffatta storica portata, nonostante le forti perplessità sollevate, sarebbe stata forse preferibile maggiore chiarezza normativa 239 Circolare n. 99/E, cit., 14779. R. BRICCHETTI – L. DE RUGGIERO, I reati tributari, Milano, ed. Il sole 24 ore, 274 ss. 241 A. AMATO, Emersione, cit., 14760. 89 240 del legislatore del 2001 per gli interessati fruitori del provvedimento, osando un ampliamento, in fase di conversione del decreto o anche mediante decreto successivo alla legge, del novero dei reati protetti dallo scudo almeno per quelle ipotesi, relative ai reati di cui all’art. 3 del D.L.gs 74/2000 e 2621 c.c., per le quali si è visto come l’incertezza ingenerata dai possibili effetti in malam partem dello scudo ha probabilmente “frenato” i fruitori del provvedimento circoscrivendone la portata applicativa. 3.2.3. I reati previsti nello scudo- ter. Per quanto concerne il novero dei reati previsti dal provvedimento del 2009, inizialmente l’art. 13- bis del il D.L. 78/2009 introdotto dalla legge di conversione 102/2009, per espresso richiamo operato dal comma 4, prevedeva la produzione degli effetti premiali penali relativi agli stessi reati del provvedimento del 2001; le modifiche apportate al D.L. 103/2009 dal c.d. emendamento Fleres (nome dell’onorevole che ha proposto le modifiche), a sua volta convertito in L. 141/2009, hanno modificato in senso estensivo il novero dei reati per i quali opera la causa di non punibilità ampliando le maglie di copertura penale dello scudo fiscale- ter. L’art. 13- bis comma 4 risultante dalle modifiche richiama ora, per gli effetti penali del rimpatrio e della regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero, l’art. 8, comma 6, lett. c) della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che prevede a favore del contribuente l’esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 4 (dichiarazione infedele), 5 (omessa dichiarazione) e 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482 (falsità materiale commessa dal privato), 483 (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), 484 (falsità in registri e notificazioni), 485 (falsità in scrittura privata), 489 (uso di atto falso), 490 (Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri), 491 –bis (che applica le disposizioni dei reati ora elencati anche ai documenti informatici) e 492 (copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti, 90 articolo che specifica come agli effetti delle disposizioni precedenti, nella denominazione di atti pubblici e di scritture private sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti) del codice penale (libro secondo capo II riguardante le falsità in atti), nonché dagli articoli 2621 (false comunicazioni sociali), 2622 (false comunicazioni sociali in danno dei soci e dei creditori), 2623242 del codice civile qualora tali ultimi reati siano stati commessi per eseguire od occultare i reati penali tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria. Il novero dei reati, come si può evincere dal testo della norma è catalogabile in tre macrocategorie: alla prima categoria vanno riferiti i soli delitti tributari, previsti e puniti dal d.lgs. 74/2000; alla seconda categoria vanno riferiti i reati del codice penale inerenti alle fattispecie di falsità; la terza categoria ricomprende infine taluni reati societari. 3.2.3.1. L’operatività dello scudo fiscale per i reati societari. La portata della novità in ambito penalistico introdotta dallo scudo- ter è da evidenziare in riferimento soprattutto ai reati societari, che erano esclusi dal campo di applicazione della disciplina del 2001 e del 2002, nei confronti dei quali non operava alcuna impunità, con la conseguenza che se il contribuente italiano avesse fatto rientrare o regolarizzare le somme all’estero e, successivamente, fosse stato scoperto che tali somme provenivano da uno dei reati societari non coperti dallo scudo trovava applicazione l’art. 17 comma 2-bis (mancata produzione degli effetti premiali nonché sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100% del valore corrente delle attività oggetto della dichiarazione riservata). Non uniforme è il giudizio sulla scelta attuata dal legislatore; parte della dottrina ha criticato tale opzione estensiva del novero dei reati anche alle fattispecie di false comunicazioni sociali ritenendo “la non punibilità particolarmente inopportuna243” in quanto tali reati “diversamente dai reati di 242 Articolo abrogato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, che lo ha riformulato e collocato nell’art. 173 –bis del Testo Unico della Finanza (d.lg. 58/1998). 243 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 225. 91 falso contenuti nel codice penale, posti a tutela della fede pubblica in modo strumentale rispetto ad altri beni, godono di una propria accentuata autonomia concettuale; autonomia rafforzata dalla recente riforma, che ha colorato la tutela in senso patrimoniale – privatistico. Sicchè non si capisce perché la punibilità (...) di un fatto (altrimenti) costituente illecito penal – tributario debba comportare anche la non punibilità delle false comunicazioni sociali che, pur essendo in ipotesi ad esso strumentali, tutelano un fascio di interessi anche privatistici eterogenei. In quest’ultimo caso lo Stato non si limita ad abdicare (...) alla piena tutela di un bene nella sua titolarità, ma rinuncia alla tutela di beni facenti capo (almeno in parte) a soggetti privati (soci e creditori)244”. L’inclusione dei reati societari di false comunicazioni sociali e false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori nello scudo del 2009 si ritiene possa trovare una duplice giustificazione e legittimazione sul piano delle scelte di politica criminale; la prima può definirsi “sistematica”: se si ha riguardo infatti alla la riforma del diritto penale societario245 introdotta pochi anni addietro dal legislatore (che, è tra l’altro, il medesimo del provvedimento di scudo- ter), questa ha “mutato profondamente il diritto penale societario nel suo complesso246”, secondo linee direttrici riassumibili in “una drastica diminuzione delle figure di reato; una diversa tecnica legislativa di formulazione delle norme, più rispettosa dei canoni di tassatività e determinatezza della fattispecie; introduzione di nuove ipotesi incriminatrici (...) e diversa selezione dei beni giuridici rilevanti247”; gli istituti su cui ha maggiormente inciso la riforma sono per l’appunto le fattispecie di cui agli artt. 2621 c.c.248 e 2622249, ovvero le false 244 Ibidem. Si veda: R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, Giuffrè editore, seconda edizione, Milano, 2008; AA. VV., I nuovi illeciti penale ed amministrativi riguardanti le società commerciali. Commentario del d.lgs. 11 aprile 2002, n.61, a cura di F. GIUNTA, Torino, 2002; AA. VV.., I nuovi reati societari (Commentario al decreto legislativo 11 aprile 2002, n.61), a cura di A. LANZI e A. CADOPPI, Padova, 2002; AA. VV., Il nuovo diritto penale delle società. D.lgs. 11 aprile 2002, n.61, a cura di A. ALESSANDRI, Milano, 2002. 246 R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., 103. 247 Ibidem. 248 “Salvo quanto previsto dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazioni di documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori,i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorchè oggetto di valutazioni, ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale 92 245 o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino a due anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità è esclusa se la falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se la falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico d’esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% di quella corretta. Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dal’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa”. Per un commento si veda: R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit.,119 ss.; M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio. Struttura e offensività delle false comunicazioni sociali (art.. 2621 e 2622 c.c.) dopo il d.lg. 11 aprile 2002, n.61, in Cass. pen., 2002, 1240 ss.; D. PULITANÒ, False comunicazioni sociali, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società. D.lgs. 11 aprile 2002, n.61, cit. 141 ss.; A. ALESSANDRI, False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, in AA. VV., Il nuovo diritto penale delle società. D.lgs. 11 aprile 2002, cit., 176. 249 “Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazioni di documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori,i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorchè oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione,cagionano un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si procede a querela anche se il fatto integra un altro delitto, ancorchè aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è precedibile d’ufficio. La pena è da due a sei anni se, nell’ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave nocumento ai risparmiatori. Il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della popolazione risultante dall’ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella distruzione o riduzione di valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche nel caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta. Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, 93 comunicazioni sociali (o più comunemente “falso in bilancio”), per i quali la riscrittura della disciplina “densa di nuovi elementi normativi di fattispecie, di nuovi limiti alla tipicità penale del fatto (le varie soglie di punibilità), di elementi che arricchiscono il dolo250”, della procedibilità a querela di parte per il falso in bilancio che provoca danno nelle società non quotate (introdotta con l. 28 dicembre 2005, n.262), unitamente al termine di prescrizione breve (tre anni se il falso in bilancio non era in danno ai soci o ai creditori251), , in sostanza ha portato ad una depenalizzazione dell’illecito (per la quale non sono mancate forti critiche mosse dalla dottrina che è giunta a definire “il reato di false comunicazioni sociali del tutto inefficace252”, stante anche “la pressoché completa assenza di un’elaborazione giurisprudenziale negli ultimi anni253” del reato di false comunicazioni sociali) che trova come approdo naturale il suo inserimento nell’elenco dei reati protetti dall’ombrello penale, rendendo “incomprensibile, di conseguenza, la bagarre scatenata in sede politica contro il loro inserimento nel novero dei reati che, causalmente collegati ad una violazione penale- tributaria tra quelle citate, fanno scattare l’esonero di responsabilità254”. La seconda giustificazione, sul piano di politica criminale, all’ampliamento del novero dei reati coperti dall’ombrello penale è data da un’analisi più dell’operazione 255 aderente alla necessità di “salvaguardare l’effettività ” in riferimento all’operatività dei reati di natura fiscale; si aderisce con quanto autorevolmente sostenutosi circa il fatto che “se un soggetto commette un reato di natura fiscale, molto probabilmente ne compierà anche altri strettamente connessi. Allora non è possibile dare una copertura parziale rispetto a potenziali conseguenze in campo penale. La copertura non può essere limitata ai soli reati tributari. Fare il contrario sarebbe contraddittorio e non involgerebbe i soggetti interessati ad aderire al nuovo istituto256”. sindaco,liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa”. 250 R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., 178. 251 Ante riforma operata con legge 5 dicembre 2005, n.251. 252 R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., 178. 253 Ibidem. 254 A. BERNASCONI, I profili penali dello scudo fiscale nella cornice della premialità, cit., 3418. 255 A. CRISCIONE, Una necessità per l’adesione, cit. 256 Opinione espressa da P. CORSO nell’articolo di A. CRISCIONE, Una necessità per l’adesione, cit. 94 L’indicazione proveniente dalla legge che subordina l’efficacia premiale dei reati societari (ma anche delle fattispecie penali codicistiche inerenti ai reati di falso) al sussistere di un rapporto di “connessione teleologica o consequenziale257” con i reati tributari della prima categoria, funge poi da limite a possibili contestazioni circa una sanatoria generalizzata con apertura dell’ombrello penale troppo ampia e senza regole; la connessione ora indicata si realizza solo qualora i menzionati reati tributari “siano stati commessi per eseguire od occultare i reati penali tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria258”; “in altre parole, non tutte le condotte che integrano i richiamati reati saranno sanate a seguito del rimpatrio o della regolarizzazione delle attività detenute all’estero, ma solo quelle che effettivamente costituiscono lo strumento attraverso cui il contribuente ha realizzato un’evasione d’imposta suscettibile di determinare una responsabilità penale ai sensi delle norme del D.Lgs. n.74/2000 (o altresì il mezzo per occultare la stessa o per conseguirne il profitto259)”. L’operatività condizionata dello scudo per i reati societari può dunque trovare una legittimazione secondo un’analisi afferente alle politiche criminali intraprese dal legislatore in un dato periodo; da una prospettiva più strettamente giuridica, essa solleva tuttavia questioni interpretative di non facile soluzione, incentrate su un quesito dalla cui risposta dipende l’effettività della protezione penale riguardo i reati societari: sussiste un rapporto di compatibilità tra questi reati e quelli tributari tale da poter soddisfare il requisito del nesso teleologico? 3.2.3.2. La tesi dell’incompatibilità tra i reati tributari e i reati societari: assenza del nesso teleologico. Per potersi avere l’esclusione della punibilità per il reato di societario di false comunicazioni sociali è necessario per prima cosa che il reato assuma “rilevanza giuridica autonoma260” rispetto al reato tributario per poi verificare se possa connettersi teleologicamente con esso; sarà necessario che si verifichi 257 E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, cit., 7425. 258 Ibidem. 259 Ibidem. 260 Ibidem. 95 quindi un concorso di reati, che potrà essere formale allorquando con “un'unica azione viola due o più norme incriminatrici261” o materiale quando con una pluralità di azioni od omissioni si violano norme diverse. Per “comprendere come in concreto lo scudo penale possa assumere rilevanza autonoma in relazione ai reati societari262” bisogna comparare gli elementi costitutivi dei reati di false comunicazioni sociali e dei reati di frode fiscale di cui agli artt. 2 e 3 del D.Lgs 74/2000; se dall’analisi risulta che tra i due reati non può profilarsi un concorso apparente di norme, ma un concorso di reati, bisogna quindi chiedersi, affinché possa operare la causa di non punibilità nei loro confronti, se la realizzazione di uno dei reati di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. si ponga come alternativa compatibile o meno rispetto alla fattispecie di reato tributario tale da potersi commettere il reato di falsa comunicazione al fine di “eseguire od occultare i reati penali tributari, ovvero per conseguirne il profitto” come richiesto dalla legge. Nell’ipotesi di incompatibilità, il rapporto tra le due fattispecie sarà tale per cui il nesso teleologico/strumentale non possa venire soddisfatto risultando così nulla l’operatività dell’ombrello penale per le fattispecie penali societarie. Una prima differenza che depone per la tesi riguardo il concorso di reati tra le due fattispecie riguarda l’elemento soggettivo degli illeciti: i reati di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. sono reati propri in quanto “possono essere commessi soltanto da chi possegga determinate qualità o si trovi in determinate relazioni con altre persone263”: essi infatti possono essere commessi solo da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori, “soli soggetti cioè che, nelle diverse fasi della vita della società, possono attentare al diritto all’informazione veritiera e completa di soci, creditori, investitori, ecc264”; i reati tributari previsti invece dagli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 74/2000 sono reati comuni, ovvero “reati che possono essere commessi da chiunque”: gli stessi articoli infatti nella formulazione letterale puniscono con le pene previste “chiunque, al fine di...”. 261 G. MARINUCCI- E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., seconda ed.,cit., 401. E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, cit. 7426. 263 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 167. 264 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 168. 262 96 Una seconda ancor più rilevante differenza concerne, come rilevato in dottrina, “l’elemento psicologico richiesto per la consumazione dei predetti reati265”: nel caso di falso in bilancio è duplice, in quanto si richiede un dolo intenzionale costituito dall’ “intenzione di ingannare i soci o il pubblico sulla situazione economica della società” e un dolo specifico, costituito dal fine particolare di conseguire “per sé o per altri un ingiusto profitto”. Confrontando le due fattispecie di false comunicazioni sociali, può concordarsi con quella dottrina che rileva come l’elemento psicologico soggettivo delle false comunicazioni sociali con danno di cui all’art. 2622 c.c. è “pressoché identico a quello previsto dalle false comunicazioni senza danno (art. 2621 c.c.)” pur tuttavia apparendo “opportuno evidenziare la seguente sfumatura (.....): l’autore del reato, oltre ad essere mosso dall’intenzione di ingannare o dall’ulteriore scopo di conseguire un ingiusto profitto (dolo specifico), deve essere, altresì, consapevole di aggredire il patrimonio dei soci o dei creditori danneggiandolo (dolo generico)266”. L’elemento soggettivo degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 74/2000 consiste invece nella finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, qualificabile come “dolo specifico di evasione267” diretto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Dimostrata dunque la differenza tra le due fattispecie, che risolve il quesito relativo alla sussistenza di un concorso apparente tra le norme o concorso formale/materiale tra i due reati a favore di quest’ultima ipotesi, una certa dottrina ha utilizzato proprio la differenza ora riscontrata concernente l’elemento psicologico del reato per motivare la tesi dell’incompatibilità tra le due fattispecie. A parere di questo Autore infatti, nonostante il rilievo per cui il dolo specifico di evasione nei reati tributari possa considerarsi come “mera specificazione dolo di profitto268” previsto anche nelle due fattispecie di false comunicazioni sociali, “non si può tacere del fatto che l’elemento costitutivo dato 265 fiscale- ter, cit., 7426. bilancio: analisi delle fattispecie penali, rapporti con i reati tributari e recenti sviluppi giurisprudenziali, in il fisco, n.40/2010, in banca dati online www.sba.unimi.it. 267 A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 320. 268 E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, cit., 7427. 97 266 E. FIORE, Profili penali dello scudo M. GRAZIOLI – M. THIONE, Falso in dalla direzione della volontà alla realizzazione della falsa rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria volta all’inganno dei soci e/o del pubblico, appare indurre un elemento incompatibile con le fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n.74/2000269”. Un’incompatibilità desumibile anche dalla relazione al D.L.gs n.61/2002 (primo intervento modificativo agli art. 2621 e 2622 c.c., precedente l’ultima riforma attuata con la L. 28 dicembre 2005, n.262) che “aveva esplicitamente evidenziato che il dolo specifico rendeva inapplicabili le false comunicazioni sociali ai comportamenti finalizzati ad un illecito risparmio d’imposta270”; di conseguenza “la realizzazione di uno dei reati descritti dagli artt. 2621 c.c. e 2622 c.c. si pone come alternativa alla realizzazione dei reati tributari di cui agli art.. 2 e 3 del D.Lgs. 74/2000 per i quali è richiesto il dolo specifico di evasione, in quanto l’elemento soggettivo richiesto dai predetti reati societari sembra escludere quello necessario affinché si perfezionino questi ultimi271”; “il soggetto che ha quindi posto la suddetta condotta risponderà solo ed esclusivamente del reato tributario o di quello societario a secondo dell’esistenza o meno del dolo di evasione. Nel caso in cui l’autore sia chiamato a rispondere esclusivamente del reato tributario, allora ovviamente potrà beneficiare dello scudo penale, ma qualora al contrario dovesse essere ritenuto integrato il reato di falso in bilancio, non potrà, ovviamente beneficiare dello scudo penale in relazione a tale reato in quanto manca quel rapporto di connessione strumentale con un ulteriore reato tributario richiesto dalla norma272”. La diversa finalità cui è preordinata la commissione del reato di false comunicazioni sociali, una finalità in linea con l’obbiettivo della riforma del 2002 che ha eliminato qualsiasi riconducibilità del reato ad interessi di natura pubblicistica, impedisce che queste fattispecie possano essere commesse per eseguire reati tributari che al contrario sono strutturati in chiave di protezione di un interesse pubblico alla percezione dei tributi; le condotte ingannatorie in essi previste sono finalizzate proprio ad ottenere un ingiusto vantaggio patrimoniale in 269 Ibidem. M. GRAZIOLI – M. THIONE, Falso in bilancio: analisi delle fattispecie penali, rapporti con i reati tributari e recenti sviluppi giurisprudenziali, cit. 271 E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, cit., 7427. 272 E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, cit., 7430. 98 270 danno dell’“interesse alla regolarità ed equa distribuzione del carico tributario273”, nonché in violazione di un dovere “che trova la propria profonda origine nella stessa Costituzione (artt. 2 e 53 Cost.)” ovvero “quello di assoggettarsi, secondo i criteri di capacità contributiva e della progressività, all’assolvimento del dovere fiscale274”. Una soluzione alternativa a quanto prospettato potrebbe ravvisarsi in una visione del rapporto tra le due norme come in concorso apparente; nel caso in cui il reato di false comunicazioni venga perpetrato per occultare o eseguire quello fiscale, i reati di false comunicazioni sociali “risulterebbero, in tale ipotesi, meramente strumentali allo scopo di frodare il fisco, perdendo la propria autonomia giuridica in modo da poter, al massimo, ipotizzare un concorso apparente di norme, a favore della sussistenza della frode fiscale275”; una prevalenza della frode fiscale rispetto alle false comunicazioni sociali determinata secondo un’interpretazione che riconduce i rapporti tra le due norme allo schema dei reati progressivi, “categoria nella quale sono riconducibili quei reati che contengono come elemento costitutivo, necessario od eventuale, un reato minor (il falso in bilancio), onde la commissione del reato maggiore implica il passaggio al reato minore276”. Tuttavia, anche secondo quanto argomentato precedentemente, pare potersi concordare con quella dottrina che critica questa seconda impostazione, in quanto “è altrettanto evidente che una relazione della specie descritta (reato progressivo) non può ravvisarsi quando si è in presenza di reati con beni giuridici diversi tra i quali non sia possibile individuare alcun tipo di rapporto similare tra fattispecie. Allo stato della normativa, in effetti, falso in bilancio e frode fiscale differiscono sia sotto il profilo del bene giuridico sia sotto il profilo dei soggetti passivi277”. 273 A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 281. A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 198. 275 M. GRAZIOLI – M. THIONE, Falso in bilancio: analisi delle 274 fattispecie penali, rapporti con i reati tributari e recenti sviluppi giurisprudenziali, cit. 276 E. FIORE, Profili penali dello scudo fiscale- ter, cit., 7428. 277 F. CAPASSO, I rapporti tra frode fiscale e falso in bilancio: la novella in materia di falso in bilancio. Ultimo atto della dibattuta questione dei rapporti con la frode fiscale?, in il fisco, n. 29/2002. 99 3.2.3.3. La differente scelta di politica criminale riguardo i reati tributari previsti nel provvedimento del 2001 e nello scudo- ter: una scelta legittima. Riprendendo la distinzione operata dallo dottrina più attenta, può rilevarsi come il soggetto che “si avvalga dello scudo fiscale non sarà punibile per una serie di reati, compendiabili in due macrocategorie: si tratta, quanto alla prima di alcuni delitti tributari, nonché, quanto alla seconda, di talune condotte di falso punite dal codice penale e dei reati di false comunicazioni sociali se connessi teleologicamente o consequenzialmente ai predetti illeciti penali278”: il discorso sulla legittimità della scelta di politica criminale operata dal legislatore riguardo i reati protetti dallo scudo deve quindi essere effettuato prendendo come riferimento tale divisione. Partendo dalla categoria dei reati tributari, può rilevarsi una sostanziale legittimità della scelta operata del legislatore: la previsione di non punibilità attiene a fattispecie di reato che offendono il bene giuridico dell’interesse erariale; poiché la “controazione positiva fornisce prestazioni utili in direzione della tutela del bene giuridico protetto dalle norme penali violate279” la rinuncia alla pretesa punitiva può dirsi “tutto sommato accettabile280” in quanto rafforza la pretesa all’efficienza delle entrate erariali. Può rilevarsi come nel 2001 il legislatore avesse definito entro stretti limiti le fattispecie di reato per le quali operava il premio penale, limitandole a due sole: artt. 4 e 5 del D.lgs. 74/2000. Ci pare che tale prima opzione di politica criminale, finalizzata ad una permanenza della potestà punitiva per quelle ipotesi di reato tributario di maggiore rilevanza sociale e criminale, possa motivarsi probabilmente dall’intenzione di limitare le forti critiche sollevate in sede di dibattito parlamentare in primis da parte dell’opposizione281, dai quotidiani (sia quelli schierati politicamente all’opposto della coalizione di governo ma anche quelli più 278 L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale, cit., 487. C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1684. 280 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità 279 di impunità retroattiva, cit., 225. 281 Tra le proposte più importanti, nei cento emendamenti al D.L. 350/2001, si era chiesto di elevare la percentuale dell’importo dichiarato da versare per fruire dell’agevolazione, nonché la previsione di un pagamento di una somma pari alle imposte evase, nel presupposto che quelle esportate illegalmente fossero frutto anche di imponibili sottratti all’Erario. 100 vicini agli ambienti governativi) e delle organizzazioni facenti riferimento alla c.d. “società civile” che, a sostegno delle loro rimostranze, avevano paventato, nei giorni precedenti all’approvazione del D.L.350/2001, una generalizzata legalizzazione dell’evasione fiscale e dei reati annessi282: sembra dunque che il legislatore si sia mosso con la necessaria prudenza che si è soliti usare nelle ipotesi di introduzione di provvedimenti che, per la loro forte portata premiale e caratterizzazione selettiva per i soggetti che ne possono fruire sono foriere di forti contrasti sociali che è necessario cercare quantomeno di ridurre. Forte dei risultati positivi del precedenti provvedimenti e di un minore se non ormai inconsistente effetto novità derivante del terzo scudo fiscale, il legislatore del 2009 ha osato maggiormente nella scelta di politica criminale, ampliando notevolmente il novero dei reati penali tributari protetti dall’ombrello penale. Tuttavia, non è solo sulla base tali due considerazioni che può rinvenirsi siffatta scelta estensiva sui reati tributari: le motivazioni che hanno portato all’estensione del novero dei reati tributari nel provvedimento del 2009 nascono da esigenze ben più pregnanti che possono riassumersi efficacemente in quanto rilevato circa il fatto che la “consapevolezza che proporne un altro sarà molto difficile perché la lista dei paradisi fiscali si sta gradualmente svuotando e perderà forse a breve significato283”; lo scudo fiscale del 2009 e la previsione di estensione del novero dei reati tributari rappresentano il mezzo funzionale ad incamerare più risorse possibili per sfruttare l’ultima occasione di fare cassa in un momento di cambiamento epocale in materia di economia globale tale che, con l’introduzione di nuove regole più stringenti finalizzate alla tutela della trasparenza dei mercati finanziari e alla lotta transnazionale ai reati fiscali non potranno più riproporsi simili strumenti premiali. Si ritiene in effetti che il 2009 sia l’anno del non ritorno per le scelte economiche da intraprendere nel contesto finanziario globale. La scossa all’economica generale frutto di una crisi inizialmente circoscritta 282 ai mutui sub- prime americani, ma inesorabilmente ed Si veda: R. PETRINI, Battaglia sul rientro dei capitali. Ulivo: “un favore agli evasori”, in “La Repubblica”, 24 ottobre 2001; I. BUFACCHI, Capitali all’estero, arriva il maxiscudo, cit.; M. PERUZZI, Lo scudo fiscale punta allo sprint in aula, cit. 283 G. NEGRI, I penalisti confermano: “non sarà un’amnistia”, in banca dati Il sole 24 ore, www.sba.unimi.it. 101 incontenibilmente estesasi a macchia d’olio su tutti i mercati mondiali in tempi brevissimi con effetti altrettanto fulminanti per le economie dei singoli Stati, ha radicalmente cambiato la concezione delle relazioni e delle collaborazioni economiche e normative interstatali; si è assistito, e tutt’ora si assiste, ad una modifica nella produzione normativa dei singoli Stati in campo (anche e per quel che interessa) penal – tributario, impostata secondo un nuovo paradigma normoculturale costruito in vista di una duplice finalità: eliminare, mediante sinergie normative, quelle zone d’ombra favortie da una concezione economica iperliberista e senza controlli di scuola friedmaniana; costruire una nuova etica finanziaria che possa rimettere al centro degli obbiettivi di crescita degli Stati investimenti in strutture produttive reali piuttosto che in speculazioni finanziarie rischiose basate su strumenti appositamente presentati e congegnati dagli operatori del mercato come fonte di guadagno rapido, ma in realtà celanti complesse strutture aleatorie e produttive di effetti negativi (si pensi ai c.d. derivati che hanno causato ingenti perdite per le casse erariali di Stati ed enti locali che ne hanno sottoscritto grandi quantità e per le quali tutt’ora sono in corso vertenze legali il cui esito negativo per le parti in causa potrebbe produrre aggravi di bilancio di non poco conto284). Se insomma, sulla base delle premesse ora viste, si giungerà ad un nuovo equilibrio finanziario, lo scudo fiscale potrà forse essere visto in un luce diversa tale da poter stimolare una riflessione più approfondita anche da coloro che nell’immediato hanno espresso giudizi negativi su di esso motivati da prese di posizione poco fiduciose su una possibile inversione di rotta dell’atteggiamento soggetti interessati alle operazioni di rientro; per costoro dunque, ci si augura che lo scudo potrà smentire affermazioni per cui “l’evasore che ottiene il condono o fruisce del c.d. scudo fiscale si troverà, all’indomani dell’ottenimento dell’impunità, nella identica situazione oggettiva e soggettiva che l’aveva spinto 284 Cfr: REDAZIONE, Derivati, a Milano contestata la truffa a quattro banche, in Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2008, in banca dati online www.sbaunimi.it; REDAZIONE, Derivati, truffa a comune di Milano: sequestri in quattro banche, in Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2009, in banca dati online www.sba.unimi.it.; B. RIODA, Vicenda derivati a Milano: contestato il reato di truffa aggravata per quattordici persone e quattro banche, in Il Sole 24 Ore, 28 luglio 2009, in banca dati online www.sba.unimi.it; F. CARLETTI, Ecco come funzionava la truffa delle banche ai danni del comune di Milano, in Il sole 24 Ore, 17 marzo 2010, in banca dati online www.sba.unimi.it;in aggiunta, per una mappa aggiornata sulle inchieste in corso in Italia sui derivati consultare il sito internet de Il Sole 24 Ore, www.ilsole24ore.com. 102 all’evasione o all’illecita esportazione dei capitali all’estero: scarsa efficienza dei controlli o comunque dei meccanismi di riscossione di quanto accertato, ragionevole aspettativa in futuri condoni285”. Un profilo di criticità semmai, da più parti286, è stato avanzato in relazione alla scelta di non includere tra i reati per i quali opera la causa di non punibilità la fattispecie di cui all’art. 8 del D.lgs. 74/2000 (emissione di fatture per operazioni inesistenti) reato correlato ad un'altra fattispecie per cui è invece prevista l’esenzione della punibilità, ovvero l’art. 2 del D.lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti). Tale previsione risulta essere “contraddittoria287” in quanto “finirà per creare la seguente situazione: mentre sarebbe esente da pena il grosso evasore che, dopo aver presentato una dichiarazione fraudolenta (o infedele) arrecando grave danno all’Erario, si sia poi avvalso dello scudo, rimarrebbe invece punibile il contribuente che si sarebbe limitato ad emettere una sola fattura falsa, magari di importo modesto, che, al limite, non sia stata poi neppure da altri utilizzata. (...) Si prevede la non punibilità per le fattispecie di reato più gravi e, inopinatamente, la si esclude per quelle meno gravi!288”. 3.2.3.4. L’introduzione dei reati di falso in bilancio nel provvedimento del 2009: l’assenza di ratio politico-criminale nella scelta. Se dunque la scelta di politica criminale circa i reati tributari e la loro estensione nel provvedimento del 2009, appare non irragionevole, in quanto il bene protetto da tali norme (l’interessa erariale) è reintegrato, seppur parzialmente, mediante il versamento della somma per fruire dello scudo fiscale, discorso diverso deve farsi per quanto riguarda il novero dei reati compreso 285 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 223. 286 A. BERNASCONI, I profili penali dello scudo fiscale nella cornice della premialità, cit., A. CISTERNA, Questioni sanzionatorie e procedurali nella manovra-ter per il rientro dei capitali: dallo scudo fiscale a quello penale, cit. I. CARACCIOLI, Per le violazioni penali copertura a maglie larghe, cit., 35 ss. 287 L. F. NATOLI – M. MARTELLA, Le fattispecie non punibili ex legge n. 289/2002: aspetti discriminatori e dubbi di costituzionalità, in riv. dir. trib. 2003, n.12, in banca dati online www.dejure.giuffrè.it. 288 Ibidem. 103 nell’elenco del provvedimento del 2009 attinenti alla fattispecie di false comunicazioni sociali. Ad un primo orientamento che si limita a rilevare come la scelta “resta pura espressione della discrezionalità politica del legislatore289”, rilevando anzi come il legislatore avrebbe potuto estendere il novero dei reati a fattispecie di appropriazione indebita e di infedeltà patrimoniale commessi dagli amministratori di società, “assenze eccellenti290” in quanto “spesso ipotattici o comunque connessi ai delitti tributari su cui opera la causa di non punibilità291”, se ne contrappone un secondo che invece non ha mancato di criticare l’ampliamento protettivo a reati non tributari. La previsione di estendere “l’orbita della causa estintiva292” a reati diversi da quelli tributari funzionali alla loro commissione ingenera, secondo tale orientamento, “l’impressione che, questa volta, le esigenze di cassa, collegate alla volontà di raggiungere una platea particolarmente vasta, rendano assai poco ragionevole una simile estensione della non punibilità. La condotta di reintegrazione non riesce a spiegare e giustificare sufficientemente l’impunità di reati che, seppure commessi per eseguire od occultare i reati tributari o per conseguire il profitto, tutelano beni chiaramente diversi. Si pensi, per tutti, al reato di false comunicazioni sociali, assistito da una peculiare autonomia concettuale e la cui tutela è stata orientata, di recente, in senso prevalentemente patrimonial-privatistico. Benchè sprovvisto di uno (sciaguratamente) modesto apparato sanzionatorio, il condono sottrae ai soci, agli investitori e ai creditori qualsiasi forma di protezione”. Va ribadito, con forza, che l’interesse a conseguire nuove entrate tributarie non può in alcun modo legittimare l’acquisto di impunità a pagamento, quando l’interesse sotteso alla fattispecie incriminatrice denota un disvalore non accostabile a quello di illeciti provvisti di una componente di tutela erariale (come i reati tributari)293”. Secondo tale dottrina dunque la scelta di politica criminale denota una totale assenza di 289 290 A. BERNASCONI, I profili penali dello scudo fiscale nella cornice della premialità, cit., 3418. A. PERINI, Profili penali dei condoni fiscali previsti dalla “Finanziaria 2003”, in Rass trib. 2003, 572.. L. TROYER – A. INGRASSIA, Le ricadute penalistiche del nuovo scudo fiscale, cit., 855. 292 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1678. 293 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1685. 104 291 ragionevolezza, dato che “non si capisce perché la non punibilità di un fatto (altrimenti) costituente illecito penal-tributario debba comportare anche la non punibilità (...) delle false comunicazioni sociali che, pure essendo ad esso strumentali, tutelano un fascio di interessi anche privatistici eterogenei294”. In ultimo tale caso, mancano le basi per richiamare l’ipotesi interpretativa sopra delineata che ha cercato di legittimare sul piano di politica criminale la scelta di estendere il novero dei reati protetti dallo scudo, potendosi invece concordare con le conclusioni proposte da tale dottrina, che ha rilevato come “lo Stato non si limita ad abdicare, come nel precedente, alla tutela di un bene nella sua titolarità, ma rinuncia alla tutela di bene facenti capo (almeno in parte) a soggetti privati (soci e creditori)295”. 294 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 225. 295 Ibidem. 105 Capitolo III I perduranti rischi penali dello scudo fiscale SOMMARIO: 1. I rischi dell’uso illegittimo dello scudo. – 2. Il reato di falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello Stato di denaro o altre attività. – 2.1. I rapporti tra il reato di falsa attestazione di falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello Stato di denaro o altre attività e la truffa. – 2.1.1. La tesi del concorso apparente di norme. – 2.1.2. La tesi del concorso formale di reati. – 2.1.3. La sentenza della Corte di Cassazione n. 12910, 29 marzo 2007. – 3. I rapporti con la disciplina sul riciclaggio – 3.1 Il riciclaggio: breve analisi della fattispecie. – 3.2. Ricognizione normativa sulla disciplina antiriciclaggio destinata ai soggetti incaricati dello svolgimento delle procedure di emersione dei capitali: i tre obblighi richiamati. – 3.3. Gli obblighi di identificazione e registrazione alla luce dell’attuale disciplina antiriciclaggio. – 3.4. La trasposizione degli obblighi identificazione e registrazione nelle operazioni di scudo fiscale. – 3.5. Gli obblighi di segnalazione nella disciplina antiriciclaggio. – 3.6. La deroga all’obbligo di segnalazione disposta dal legislatore nella normativa sullo scudo fiscale. – 3.6.1. Gli altri indici a disposizione degli intermediari per attivare la segnalazione antiriciclaggio nelle operazioni di scudo e i rilievi critici della dottrina sulla loro efficacia – 3.6.2. Riflessioni critiche. – 3.6.3. Il problema relativo all’operatività della deroga: quale sicurezza ha l’intermediario che i capitali scudati provengano da un reato coperto dallo scudo fiscale? – 3.6.4. Il problema della parcellizzazione delle somme scudate per eludere la disciplina sugli obblighi antiriciclaggio – 3.7. La non punibilità del reato presupposto fa venire meno la punibilità anche per il riciclaggio? La posizione della Corte di Cassazione espressa in una recente sentenza – 3.8. Le sanzioni nei confronti degli intermediari e professionisti che non rispettino la normativa antiriciclaggio nelle operazioni di scudo fiscale: l’uso della minaccia coercitiva per supplire alla mancanza di prevenzione. 1. I rischi dell’uso illegittimo dello scudo. Nel capitolo precedente si è cercato di fornire un quadro il più possibile completo della disciplina dello scudo fiscale; ciò è avvenuto mediante una lettura degli articoli che ha seguito l’ordine disposto dal legislatore. Man mano che si è proceduti nella lettura, sono stati proposte ed analizzate le principali questioni interpretative sorte, con un’attenzione particolare agli aspetti penalistici dell’istituto; il presente capitolo intende ora concentrarsi esclusivamente proprio su questo settore del diritto che lo scudo fiscale ha direttamente chiamato in causa mediante la previsione in esso contenuta di una nuova fattispecie di reato, la falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello stato del denaro e delle altre attività di cui di cui all’art. 19 del D.L. 350/2001, nonché attraverso un richiamo ad ampio raggio ad una normativa, quella sul riciclaggio, che da sempre si pone come crocevia necessario per l’analisi dell’evoluzione criminale in Italia e nel mondo. 2. Il reato di falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello Stato di denaro o altre attività. 106 Il comma 2- bis dell’art. 19 della legge sullo scudo fiscale, introduce una nuova figura di reato, che punisce con la reclusione dai tre mesi ad un anno l’interessato che attesta falsamente nella dichiarazione riservata la detenzione fuori dal territorio dello Stato del denaro o delle alte attività rimpatriate alla data indicata ai sensi dell’art. 12 comma 1 e successive modifiche296. Per quanto concerne l’analisi della struttura del reato, è necessario innanzitutto il dolo, in quanto trattasi di delitto; la semplice colpa quindi non è rilevante. La condotta punibile consiste in un comportamento positivo di falsa attestazione, ovvero mendacio; un tipo di falsa attestazione documentale, reso in scrittura privata e rivolta a soggetti privati, ossia gli intermediari. Oggetto della condotta di falso riguarda “espressamente ed esclusivamente la data nella quale le somme dovevano essere detenute all’estero297”; la finalità della norma in esame è di “impedire che lo strumento dello scudo fiscale sia utilizzato per far figurare come detenute all’estero delle somme ivi successivamente esportate298”. 2.1. I rapporti tra il reato di falsa attestazione di detenzione fuori dal territorio dello Stato di denaro o altre attività e la truffa. La particolarità della disciplina in esame riguarda la non pacifica qualificazione dogmatica dei rapporti tra questa e la figura della truffa di cui all’art. 640 c.p.; la dottrina299 si è infatti chiesta se tra le due fattispecie sussista un rapporto in cui l’art. 19 comma 2-bis si pone come species del genus “truffa” di cui all’art. 640 c.p., o al contrario se tale rapporto fosse da escludere. Qualora si fosse configurata la prima relazione, nel caso in cui un soggetto avesse commesso il delitto di cui all’art. 19 bis della legge sullo scudo fiscale si sarebbe verificato un concorso apparente tra la norma ora indicata e l’art. 640 c.p. tale che “un unico fatto concreto (la falsa attestazione nella dichiarazione) sia 296 Cfr: A. GENTILE, Truffa e falsità nella dichiarazione in materia di scudo fiscale: quali rapporti tra le due fattispecie alla luce della recente giurisprudenza di legittimità?, in Riv. pen., n.10/2008, 1066 ss., I. CARACCIOLI, Il reato di false attestazioni in materia di scudo fiscale, cit., A. I.., Sanzioni a doppia via, in Il sole 24 ore, 14 dicembre 2001, in banca dati on-line, http://www.sba.unimi.it/; F. ARDITO, Profili penali dello scudo fiscale, in banca dati fisco online, http://www.sba.unimi.it/. 297 I. CARACCIOLI, Il reato di false attestazioni in materia di scudo fiscale, cit.1671. 298 Ibidem. 299 A. GENTILE, Truffa e falsità nella dichiarazione, cit., 1066 ss. 107 riconducibile ad una pluralità di norme incriminatrici (art. 19 comma 2-bis della legge 409/2001 e art. 640 c.p.), una sola delle quali applicabili300”. 2.1.1. La tesi del concorso apparente di norme. Il concorso apparente può risolversi, stabilendo dunque quale delle due norme debba applicarsi, mediante il ricorso a tre criteri: il primo, definito come rapporto di specialità, che si realizza quando “una norma descrive un fatto che presenta tutti gli elementi del fatto contemplato dall’altra – la norma generale – e inoltre uno o più elementi specializzanti301”, disciplinato dall’art. 15 c.p., che stabilisce che quando più leggi penali o disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito302, con la conseguenza che “la norma generale, pur avendo la capacità di disciplinare il fatto concreto, viene “estromessa” da quella speciale, alla quale l’ordinamento assegna la prevalenza303”; il secondo criterio, definito come criterio di sussidiarietà, opera quando sussista un “rapporto di rango” tra due norme, una delle quali (la principale) prevale in quanto tutela “accanto al bene giuridico protetto dalla prima norma, uno o più beni ulteriori ovvero reprime un grado di offesa più grave allo stesso bene304”; il terzo ed ultimo criterio, denominato come principio di consunzione, individua “i casi in cui la commissione di un reato è strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, la cui previsione “consuma” ed assorbe in sé l’intero disvalore del fatto concreto305” e trova la sua disciplina all’interno del codice penale nell’art. 84 c.p., il quale dispone che le disposizioni degli articoli precedenti (cioè quelle relative al concorso di reati) non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato. 300 Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 382. Idem., cit., 383. 302 Art. 15 c.p., per un commento all’articolo si veda: G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Codice penale commentato, cit. 303 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., seconda ed., 383. 304 Idem, cit., 391. 305 Idem, cit., 390. 108 301 G. MARINUCCI – E. DOLCINI, La conseguenza della prospettata ipotesi classificatoria comporta, una volta che risolto il conflitto mediante il ricorso ad uno dei criteri sopraesposti, l’applicazione la pena prevista per il reato che troverebbe applicazione. 2.1.2. La tesi del concorso formale di reati. Qualora invece si ritenga valida l’ipotesi di concorso formali di reati, i rapporti tra le due discipline si sarebbero configurati nei termini di un “diverso ed autorevole ambito di applicazione alla fattispecie di truffa e a quelle di falsità nella dichiarazione prevista dalla legge 409/2001, prospettando un’ipotesi di concorso tra le stesse, con ciò escludendo qualsiasi rapporto di specialità306”; questo comporterebbe o “l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata sino al triplo307” o l’applicazione di pene detentive previste per ogni singolo reato sommate l’una all’altra (ex art. 71 ss. c.p.) a seconda che il concorso venga qualificato come formale o materiale. 2.1.3. La sentenza della Corte di Cassazione n. 12910, 29 marzo 2007. La questione è trattata in un’importante sentenza della Corte di Cassazione, la n.12910 del 29 marzo 2007, che si presenta, ad oggi, come unica sentenza avente per oggetto la fattispecie di cui all’art. 19 comma 2 – bis della L. 409/2001 e suoi rapporti con la fattispecie di truffa di cui all’art 640 c.p.; nel caso di specie gli autori del fatto di reato si erano rivolti, per mezzo di un commercialista, ad una società estera per la retrodatazione al giugno 2001 dell’emissione obbligazionaria di una società, e avevano preso accordi con altra società per “schermare” l’operazione di “scudo fiscale” attraverso tre mandati fiduciari. Il ricorrente contestava la qualificazione data dal Tribunale di Milano, con ordinanza del 10 luglio 2006, alla condotta sopradescritta come truffa aggravata ex art. 640 comma 2 c.p.; l’ordinanza prescriveva che “in tema di emersione e regolarizzazione di capitali esteri (c.d. scudo fiscale) sussiste il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, e non il semplice illecito amministrativo di cui all’art. 19 l. n.409 del 2001, nell’ipotesi in cui la condotta si sia articolata non solo nella presentazione di dichiarazione mendace, già punita con l’illecito 306 307 A. GENTILE, Truffa e falsità nella dichiarazione, cit., 1066. Art. 81 comma 1 c.p. 109 amministrativo dalla predetta legge, ma altresì nella simulazione di condizioni di fatto e di diritto tali da consentire l’accesso alle operazioni di emersione dei capitali, detenuti all’estero, pur in assenza dei presupposti previsti dal legislatore, mediante l’acquisizione di strumenti finanziari ad hoc, allo scopo di ottenere un ingiusto profitto consistito nel far rientrare in Italia i capitali con le modalità agevolate previste dalla legge speciale e tassazione al 2,5% con conseguente danno erariale308”; il ricorrente si opponeva all’ordinanza ora riportata, sostenendo l’applicabilità della “norma speciale, dettata dall’art. 19, comma 2-bis del D.L. 2 settembre 2001, n.350, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 409, contestandosi, sul punto, la fondatezza delle deduzioni svolte in proposito nella ordinanza impugnata. In particolare, non sussisterebbero i ravvisati comportamenti fraudolenti che avrebbero indotto in errore l’amministrazione finanziaria, dal momento che l’utilizzo di una società fiduciaria, per avvalersi della disciplina del rientro di capitali in regime di “scudo fiscale” non potrebbe considerarsi artificio o raggiro; non sussisterebbero, infine, né il danno, né l’ingiusto profitto, (richiesti per la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 640 c.p.) che rappresentano gli estremi costitutivi della truffa309”: due diverse qualificazioni del fatto di reato venivano date all’operato degli imputati; secondo il Tribunale sussisteva il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato e non l’illecito di cui all’art. 19 della legge scudo, il ricorrente invece qualificava il fatto come rientrante nella disciplina del reato di falsa attestazione la condotta in esame. Quanto affermato dal tribunale di Milano veniva essenzialmente confermato dalla Corte di Cassazione, la quale sentenziava che “la previsione del reato di false attestazioni nella dichiarazione finalizzata al rimpatrio del denaro delle attività detenute, alla data indicata dalla legge, fuori dal territorio dello Stato, non esclude l’applicazione della norma incriminatrice della truffa aggravata ai danni dello Stato, ove la condotta si arricchisca in concreto di artifici diretti ad ottenere i consistenti vantaggi fiscali e le altre agevolazione previste dalla legge, con l’induzione in errore dell’amministrazione finanziaria circa il momento temporale in cui le somme di denaro detenute al’estero sono 308 309 Trib. Milano, sez. XI, 10 luglio 2006, banca dati on-line dejure, http://www.sba.unimi.it/. Idem, cit., 1060. 110 pervenute nella disponibilità dell’autore del fatto e circa la provenienza di dette somme310”. La tesi del Supremo Collegio, come ha efficacemente sottolineato la dottrina, “è che il mendacio nella dichiarazione riservata di rimpatrio è limitato alla sola condotta di chi falsamente attesta nelle dichiarazione da presentare agli intermediari nazionali, che le attività da rimpatriare fossero da essi detenute fuori dello Stato anteriormente ad una certa data311”; nondimeno, la Corte però specifica che nell’ipotesi in cui “il mendacio in dichiarazione sia accompagnato da ulteriori artifici312” come nella sentenza in esame, in cui gli artifici sono rappresentati dal ricorso ai mandati fiduciari, e tali artifici siano “atti ad indurre l’Amministrazione finanziaria in errore, con correlativo profitto per l’autore dell’illecito e danno per l’Erario, in tal caso, sarà perfezionato il reato di truffa aggravata313” di conseguenza potendosi in tal caso ricondurre lo stesso fatto a due diverse norme penali, la cui prevalenza di una sull’altra sancita dalla Corte di Cassazione può interpretarsi da una certa dottrina mediante il ricorso al principio di consunzione314 o di sussidiarietà315. Se dunque la Corte pur precisando che è il requisito dell’alterazione della data a formare la fattispecie di cui all’articolo 19 comma 2-bis, ma che l’aggiunta di altri artifici all’alterazione della stessa non impediscono l’attrazione del reato nell’ambito della truffa aggravata, la dottrina più critica al contrario proprio partendo dal requisito della condotta di falsificazione ha fatto di questa diversità il perno del ragionamento per cui “non può parlarsi di concorso fra norme: il contenuto della condotta di falso riguarda espressamente ed esclusivamente la data nella quale le somme dovevano essere detenute all’estero. Se dunque, si vuole impedire che lo strumento dello scudo fiscale sia utilizzato per far figurare come detenute all’estero le somme ivi successivamente esportate, allora è evidente che il reato di cui all’art. 19, comma 2- bis, non ha nulla ha che vedere con il delitto di truffa aggravata316”. Quale ulteriore argomento a supporto della tesi della mancanza di configurabilità di un concorso tra le due norme la dottrina, 310 Cass., sez. II, 29 marzo 2007, n. 12910, in riv. pen., n.10/2008, cit., 1058. F. ARDITO, Profili penali dello scudo fiscale, cit. 312 Idem. 313 Idem. 314 Idem. 315 A. GENTILE, Truffa e falsità nella dichiarazione, cit., 1068. 316 F. ARDITO, Profili penali dello scudo fiscale, cit. 111 311 e che nega quanto sostenuto dalla Suprema Corte circa il fatto che l’induzione in errore dell’amministrazione finanziaria possa, ex se, provocare un danno, ha evidenziato come nelle due fattispecie tale profilo (di danno) sia disciplinato in modo diverso ed incompatibile: “requisito della truffa, espressamente richiesto dall’art. 640 c.p., è il danno patrimoniale quale (ulteriore) elemento provocato dall’induzione in errore. Ora in forza della concezione obiettivo-economica del danno, questo va identificato in un danno patrimoniale effettivo, sotto forma di danno emergente o lucro cessante trattandosi di danno contro il patrimonio. Nella dichiarazione mendace di cui all’art. 19, comma 2- bis, manca del tutto il danno patrimoniale effettivo ed, anzi, l’Erario ha comunque incassato l’imposta sostitutiva sui capitali rimpatriati317”. In conclusione può dirsi che, nonostante i rilievi critici ora riportati la sentenza citata dà un indirizzo interpretativo su un tema più generale, relativo al “problema dell’unità o pluralità di reati nel caso di frodi fiscali in cui l’espediente dell’utilizzazione di falsi documenti contabili produca un inganno per l’amministrazione finanziaria, culminando, per effetto, nel conseguimento di un illecito profitto in danno dello Stato318” che si pone in linea con l’orientamento favorevole alla unitarietà dei reati e che è stato recentemente confermato dalla Cassazione penale a sezioni unite319, il cui intervento è stato sollecitato per una soluzione definitiva dei forti contrasti giurisprudenziali sorti in materia320, statuendo che i reati previsti dagli artt. 2 e 8 del D.lgs. 74/2000 hanno un rapporto di specialità con la truffa aggravata con conseguente esclusione del concorso tra i due reati. 3. I rapporti con la disciplina sul riciclaggio. 317 Profili penali dello scudo fiscale, cit. Idem, cit. 1066. 319 Cass. Pen. SS.UU. 19 gennaio 2011, in banca dati online www.sba.unimi.it ; sia noto al lettore che la questione era stata sollevata da Cass. pen., sez.III, con ordinanza 21 luglio 2010, n.28734. Si veda: F. FALCONE – A. IORIO, Fatture false alle sezioni unite, in Il sole 24 ore, 31 agosto 2010, 32; A. IORIO – G. NEGRI, False fatture senza truffa. Per la Cassazione non è possibile il concorso tra reati, in Il Sole 24 ore, 30 ottobre 2010, consultabile su www.ilsole24ore.com; REDAZIONE, Falsa fatturazione, Escluso il concorso con il reato di truffa aggravata, in www.lalentesulfisco.it; 320 Si veda: Cass. pen., sez., II, 24 febbraio 2004, n. 7996, in Rass. trib. 2005, n.6, con nota di L. TALDONE, Dichiarazione fraudolenta e truffa ai danni dello Stato: la Cassazione esclude il concorso tra reati; contra Cass. pen, sez. III, 16 marzo 2000, n. 1193, in Cass. pen. 2001, 3174 ss..; Cass. pen., sez. II, 31 ottobre 1988, in Giust pen. 1989, II, 419 ss. 112 318 F. ARDITO, La seconda problematica riguardo i possibili rischi di un uso illegittimo dello scudo coinvolge uno dei profili di analisi più interessanti riguardo la disciplina penalistica dell’istituto, ossia i rapporti tra le leggi di scudo fiscale e la disciplina sul riciclaggio321; il legislatore nei vari provvedimenti ha infatti richiamato l’applicazione di tale disciplina con l’intenzione di arginare un potenziale uso distorto dello scudo fiscale finalizzato a far rientrare capitali frutto di reati gravissimi (quali l’estorsione, il traffico di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione o l’associazione di tipo mafioso) non compresi nell’elenco dei reati per i quali opera l’istituto premiale da parte soprattutto, ma non unicamente, della criminalità organizzata. Per la materia di cui trattasi, occorre subito anticipare che il richiamo alla disciplina ed alle disposizioni previste in materia di contrasto al riciclaggio non risulta completo, ma sono previsti alcuni limiti al recepimento della normativa de qua operati al fine di adattare questa alle particolarità della legge sul rientro dei capitali; ciò in quanto un’eventuale ricezione in toto della disciplina sul riciclaggio avrebbe reso meno appetibile lo scudo fiscale poiché avrebbe inciso negativamente su profili, su tutti la riservatezza, che sono stati predisposti proprio per incentivare le procedure di emersione. Nei seguenti paragrafi si rifletterà tanto sull’efficacia del modello predisposto dal legislatore per contrastare il fenomeno dell’uso illegittimo dello scudo fiscale connesso allo scopo di riciclaggio, quanto sulla legittimità e coerenza delle eccezioni previste per adattare la normativa a quella dello scudo, al fine di porre in evidenza se e quali possibilità concrete vi siano che la disciplina 321 Si veda: G. MAINOLFI, Scudo fiscale- ter e adempimenti antiriciclaggio, cit; A. IORIO, Dallo scudo una tutela penale (quasi) piena, cit; F. FALCONE - A. IORIO, Contrasto con il passo doppio. Contro il riciclaggio sanzioni penali e obblighi amministrativi, cit; G. MALINCONICO, Le indagini finanziarie acquistano nuovi spazi, cit., B. TINTI, Rientro dei capitali: legalizzazione del riciclaggio e dell’evasione fiscale, in il fisco, n.47/2001; P CORSO, Emersione di attività detenute all’estero e “bonus penale”, cit., G. L. SOANA, Effetti penali dello scudo fiscale, cit., S. STUFANO, Quanto è solido lo scudo fiscale?, cit., A. GIOVANNINI, “Scudo” fiscale e anonimato, cit., A. LANZI, Profili e risvolti penalistici dello “scudo fiscale”, cit., E. BLASIO, Aspetti problematici in tema di scudo fiscale, cit., R. REZZANTE, Antiriciclaggio depotenziato, in Scudo Fiscale - Guida pratica del Sole 24 Ore, n. 4/2009; D. MASCIANDARO, Il rischio riciclaggio è solo teorico e residuale, in Il Sole 24 Ore, 6 febbraio 2002; G. PEZZUTO, Dall’antiriciclaggio sprint allo scudo fiscale, in Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2003; D. MASCIANDARO, Il boomerang dello scudo, in Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2005; D. DE PALMA, Lo scudo fiscale e le limitazioni alle segnalazioni antiriciclaggio, in www.airant.it.; C. DI GREGORIO – G. MAINOLFI, Scudo fiscale- ter e adempimenti antiriciclaggio, cit. 113 antiriciclaggio possa essere facilmente elusa da coloro che hanno commesso delitti che non trovano copertura dall’ombrello penale. 3.1. Il riciclaggio: breve analisi della fattispecie. Punto di partenza necessario al fine di trattare l’argomento in esame, è una breve descrizione normativa del reato di riciclaggio322; questo è individuato nell’art. 648- bis del codice penale, il quale al comma 1 stabilisce che: “fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1032 a euro 15.493”. Il comma 2 dispone poi che “la pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale”, il comma 3 prosegue sancendo che “la pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dal delitto per il quale è stabilita una pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni” e il comma 4 chiude la descrizione della fattispecie richiamando l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 648 c.p. in tema di ricettazione, per cui “le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità per tale delitto. Per quanto concerne la struttura del reato, appare “evidente che la materialità della condotta – che si concretizza nelle tre ipotesi di sostituzione, del trasferimento e del compimento di altre indefinite operazioni – deve essere valutata in funzione dell’elemento finalistico di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità e cioè in funzione 322 G. NANULA, Il riciclaggio: un quadro riepilogativo con autorevole conclusione, in il fisco, n.37/2007, banca dati online www.sba.unimi.it; S. GOLINO, False fatturazioni, associazione per delinquere e riciclaggio, in il fisco n.20/2008, banca dati online www.sba.unimi.it; M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, n.60/2008; M. SILVARI – M. THIONE, Money laundering: analisi del fenomeno, normativa di riferimento, e progetti in corso per l’introduzione del reato di “autoriciclaggio”, in il fisco n.46/2008, in banca dati online www.sba.unimi.it; U. PERRUCCI, Il contrasto al riciclaggio, in il fisco n.22/2006, in banca dati online www.sba.unimi.it; M. PISANI, Reati tributari e riciclaggio, in il fisco, n.1/2006, in banca dati online www.sba.unimi.it; A. CUZZOCREA, Scudo fiscale e riciclaggio di capitali illeciti, in www.amministrazioneincammino.luiss.it; P.M.TABELLINI, “Rientro dei capitali e scudo fiscale”, cit., 87 ss. 114 della finalità di “ripulire” i suddetti beni di provenienza illecita. (...) La norma postula, dunque, la pregressa esistenza di un delitto (il cosiddetto “reato presupposto”, un qualsiasi tipo di delitto non colposo) e, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza della provenienza delittuosa del denaro, del bene o delle altre utilità alla cui identificazione l’agente frappone ostacoli. Si tratta, quindi, di una previsione incriminatrice residuale, di secondo momento che, naturalmente, pur essendo collegata ad un reato precedente, ha una sua autonomia materiale e giuridica323” in quanto il consolidamento di patrimoni illecitamente acquisiti avviene “non già ad opera dell’autore o di chi abbia con lui concorso nel reato presupposto, ma ad opera di un soggetto estraneo, autore a sua volta di un post factum del tutto svincolato, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, dal precedente reato324” ( per completezza espositiva bisogna tuttavia sottolineare come riguardo quest’ultimo aspetto, la normativa antiriciclaggio del 2007 ha previsto un’importante innovazione avendo inserito le ipotesi di autoriciclaggio come ipotesi di reato; questa è individuata in condotte “nelle quali oggetto di riciclaggio siano anche i frutti di un’attività criminosa compiuta dallo stesso riciclatore325”). Fin qui la disciplina codicistica e relativa all’ordinamento italiano; occorre però sottolineare come “la sempre più marcata dimensione transnazionale del fenomeno, ha accresciuto, nel corso degli anni il coinvolgimento di organismi internazionali326”. Questo coinvolgimento può essere riassunto, a grandi linee, in due macrocategorie: un prima categoria che potrebbe definirsi “operativa” che è costituita dal FAFT (Financial Action Task Force) o anche, secondo la terminologia francese GAFI (Group d’Action Financière), istituzione che nasce “nel luglio del 1989, in occasione del vertice dei Capi di Stato e di governo dell’allora G7327”, composta attualmente da 36 Stati328, che svolge “a livello 323 Il riciclaggio: un quadro riepilogativo con autorevole conclusione, cit. Ibidem. 325 M. SILVARI – M. THIONE, Money laundering: analisi del fenomeno, normativa di riferimento, e progetti in corso per l’introduzione del reato di “autoriciclaggio”, cit. 326 M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, cit., 3. 327 M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo,51. 328 Il cui elenco è consultabile al sito http://www.fatf-gafi.org 115 324 G. NANULA, internazionale un’azione di monitoraggio in materia di riciclaggio329” nonché attività di promozione di iniziative in tutti i paesi finalizzate a “costituire una rete antiriciclaggio globale330”, che sostanzialmente si concretizza nella “costituzione di organismi regionali sulla stessa falsariga del GAFI, nello sviluppo della collaborazione con le più importanti istituzioni internazionali, nell’attività di assistenza e monitoraggio dei paesi non cooperativi331” e nella produzione di Raccomandazioni332 che, pur non avendo forza vincolante, ed iscrivendosi, piuttosto, “in quell’attività di moral suasion tipica degli strumenti non normativi333” fungono da strumento fondamentale “ai fini della valutazione del livello di compliance degli stati membri agli standard antiriciclaggio334”. La seconda categoria, che può definirsi “normativa” è riconducibile, in guisa della definizione data ad essa dalla dottrina, ad “un complesso reticolato di principi, di atti, e di norme335” che “si caratterizza, invero, per un ampio spettro di strumenti, che ricomprende atti normativi aventi forza di legge, atti aventi carattere internazionale, quali convenzioni e dichiarazioni di principi, muniti di potere prescrittivo differenziato, standard internazionali, che, configurandosi talora come soft laws, traggono la propria forza cogente, in primis, dall’autorevolezza dell’organo che li emana336”. Tra questi vari atti normativi337 finalizzati dunque a completare il quadro strutturale del reato, di primaria importanza per l’ambito disciplinare oggetto del presente elaborato è 329 M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, cit., 51. 330 Ibidem. 331 Ibidem. 332 Le 40 Raccomandazioni del GAFI, sono state presentate per la prima volta il 7 febbraio del 1990, aggiornate nel 1996 e da ultimo nel 2003. 333 M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, cit., 55. 334 Ibidem. 335 M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, cit., 3. 336 Ibidem. 337 Tra cui si ricorda: Dichiarazione di Principi sulla prevenzione dell’utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita, in Diritto della Banca, II, 97; Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico di sostanze stupefacenti e sostanze psicotrope, adottata a Vienna il 19 dicmebre 1988 e ratificata in Italia con legge 5 novembre 1990, n.328; Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi del reato, Convenzione n.141 del Consiglio d’Europa, ratificata in Italia con legge 9 agosto 1993, n. 328; 116 l’analisi delle leggi e dei decreti legislativi338 che hanno recepito le tre direttive europee339 emanate per contrastare il fenomeno del riciclaggio; tali decreti hanno un campo di applicazione molto specifico, in quanto sono destinati agli operatori economici che svolgono la loro professione in quei settori dell'economia in cui il rischio riciclaggio è molto alto. Questi stessi operatori sono anche i soggetti coinvolti nelle operazioni di scudo fiscale; l’illustrazione del contenuto dei decreti legislativi è dunque necessaria per fornire il riferimento normativo con cui confrontare e coordinare le disposizioni in materia di riciclaggio dettate in tema di scudo fiscale. 3.2. Ricognizione normativa sulla disciplina antiriciclaggio destinata ai soggetti incaricati dello svolgimento delle procedure di emersione dei capitali: i tre obblighi richiamati. I soggetti cui si rivolge la normativa relativa al contrasto del riciclaggio contenuta nello scudo fiscale, sono gli operatori finanziari (gli intermediari) ed i professionisti; è in effetto indubbia l’importanza del ruolo e delle funzioni che questi soggetti ricoprono complessivamente nel provvedimento di scudo fiscale in quanto essi si pongono come necessario tramite per lo svolgimento delle operazioni di emersione dei capitali. Essi sono chiamati in causa essenzialmente per il compimento di tre operazioni: ricevere le dichiarazioni riservate; versare le imposte connesse alla dichiarazione; effettuare le rilevazioni e le verifiche previste dalla normativa antiriciclaggio. L’ultima di queste operazioni attiene dunque ai profili di contrasto al riciclaggio; che tipo di rilevazione e verifiche devono compiere? quali norme in sostanza disciplinano gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette cui sono soggetti gli operatori finanziari nelle operazioni di scudo? Per quanto concerne la normativa predisposta nello scudo fiscale, l’art. 17 del D.L. 350/2001, richiamato espressamente nello scudo- ter dal comma 4 dell’art. 13- bis del provvedimento del 2009, che titola per l’appunto “Disposizioni in materia di antiriciclaggio”, così dispone: 338 339 D.L. 143/1991 convertito con L.197/1991;D.Lgs. 56/2004; D.Lgs. 231/2007; 91/308CEE; 2001/97/CEE; 2005/60/CE. 117 “1. Alle operazioni di cui agli articoli 12, 15 e 16 si applicano le disposizioni concernenti gli obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione previsti dal decreto legge n. 143 del 1991 e tutte le altre disposizioni in materia penale, di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. 2. Le operazioni di cui agli articoli 12, 15 e 16 non costituiscono di per sé elemento sufficiente ai fini della valutazione dei profili di sospetto per la segnalazione di cui all’art. 3 del decreto-legge n.143 del 1991, ferma rimanendo la valutazione degli altri elementi previsti dal medesimo articolo 3 del decreto-legge n.143 del 1991. 2- bis. L’utilizzo delle modalità di cui agli articoli 12, 15 e 16 per effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione di attività detenute all’estero derivanti da reati diversi da quelli per i quali è esclusa la punibilità ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera c), non produce gli effetti di cui al medesimo articolo 14 ed è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100 per cento del valore corrente delle attività oggetto della dichiarazione riservata. 2- ter. Le disposizioni di cui ai commi 2- bis non si applicano ai casi di reati già estinti, non punibili o non più previsti come tali dall’ordinamento, salvo che per i delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, di corruzione, di concussione, di estorsione, di usura, di traffico di armi, di tratta e commercio di schiavi, di alienazione e acquisto di schiavi, di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, nonché dei delitti aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.152, convertito con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e comunque per i delitti puniti con l’ergastolo ovvero con pena edittale non inferiore nel massimo a quindici anni di reclusione. Il primo comma dell’articolo 17 della legge sullo scudo fiscale rinvia alle disposizioni del decreto- legge n.143/1991 convertito in L. 197/1991: queste recavano provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. 118 Il campo di applicazione della normativa disciplinava espressamente gli obblighi dei professionisti incaricati di compiere operazioni finanziarie, al di sopra di una certa soglia quantitativa, per monitorare in ottica preventiva i possibili rischi di riciclaggio inerenti a transazioni finanziaria di siffatta importanza; il rifermento al tempo passato è necessario in quanto la legge ora citata è stata abrogata dall’art. 64 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e successive modificazioni, decreto legislativo emanato in attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e della direttiva 2006/70/ CE che ne reca misure di esecuzione. Tratto comune alle discipline antiriciclaggio riservate agli intermediari ed operatori economici modificate nel corso degli anni sono i tre obblighi cui si articola l’intero impianto normativo: obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione delle operazioni sospette. Bisogna però ribadire che in tema di disposizioni concernenti tali obblighi tuttavia il primo ed il secondo scudo fiscale facevano riferimento alla disciplina del 1991, laddove il provvedimento del 2009 ha come riferimento una disciplina più recente che è intervenuta abrogando le disposizioni precedenti; è dunque opportuno interrogarsi su cosa sia cambiato in relazione al profilo degli obblighi degli intermediari in materia di identificazione, registrazione e segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio tra i primi due scudi e l’ultimo scudo approvato nel 2009 per osservare se le differenze hanno prodotto effetti significativi per il contrasto all’uso improprio dello scudo fiscale. 3.3. Gli obblighi di identificazione e registrazione alla luce dell’attuale disciplina antiriciclaggio. Per quanto concerne i primi due obblighi degli intermediari, ovvero l’identificazione e la registrazione, nonostante siano del tutto identici a quelli a quelli disciplina precedente, l’intervento del legislatore del 2007 che ha recepito la terza direttiva europea in materia di antiriciclaggio, ha introdotto delle modifiche che nel complesso ora regolano il corpo degli adempimenti antiriciclaggio in 119 maniera più organica e completa340: di grande importanza è l’introduzione dell’“obbligo dell’adeguata verifica della clientela”; questo sorge in presenza di quattro presupposti, descritti dagli articoli 15 e 16 del D.Lgs. 231/2007: - Quando sorge un rapporto continuativo - Quando gli intermediari o i professionisti eseguono operazioni occasionali, disposte dai clienti, che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento o importo pari o superiore ai 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un’operazione unica o con più operazioni che appaiano tra loro collegate per realizzare un’operazione frazionata - Quando vi è sospetto di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile - Quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione del cliente. E si articola, ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. 231/2007 nelle seguenti attività: a) Identificazione del cliente e verifica della sua identità sulla base di documenti, dati, informazioni ottenuti da una fonte affidabile ed indipendente b) Identificazione dell’eventuale titolare effettivo e verifica della sua identità c) Acquisizione di informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto continuativo o dell’operazione d) Svolgimento di un controllo costante nel corso del rapporto continuativo. In sostanza rispetto alla precedente normativa il rapporto intermediariocliente si risolve ora, grazie alla previsione dell’adeguata verifica, in un monitoraggio costante e per tutta la durata del rapporto finanziario instaurato. Questa innovazione, che rivela una più incisiva responsabilizzazione degli intermediari, è stata evidenziata dalla dottrina, la quale, oltre ad aver accolto positivamente la modifica, ha specificato come “diversamente dall’obbligo di 340 Secondo l’opinione di P. M. TABELLINI, Rientro dei capitali e scudo fiscale, cit. 120 identificazione configurato nella disciplina precedente, il compito di verifica della clientela non si consuma in un momento preciso, ovvero non si adempie con modalità istantanee; esso infatti, permane per tutta la durata del rapporto con il cliente, accompagnandone l’intero svolgimento. La necessità di verificare e aggiornare le informazioni acquisite, di completare il profilo del cliente attraverso la costante valutazione dell’attività svolta, infatti, non viene mai meno. Si tratta di una differenza fondamentale del nuovo sistema, tale da rendere necessaria la revisione radicale dell’approccio allo svolgimento dei compiti antiriciclaggio: essi, assai più che in precedenza, necessitano di una adeguata proceduralizzazione nonché di una elevata integrazione nei processi operativi dei soggetti obbligati341”. Inoltre pare potersi concordare con chi ha messo in evidenza come “rispetto alla abrogata normativa antiriciclaggio, che si limitava ad imporre la mera identificazione del cliente all’atto dell’operazione o dell’apertura del rapporto, il d.lgs. (231/2007) prevede l’adeguata verifica della clientela, sia al momento dell’operazione o dell’instaurazione della relazione d’affari sia per tutta la durata del rapporto342”. Una seconda importante novità predisposta dal provvedimento del 2007 riguarda l’“estensione del novero dei soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio, che comprende ora, accanto agli intermediari, gli appartenenti alle professioni giuridico-economiche343 (quali per esempio i soggetti iscritti nell’albo dei dottori commercialisti, gli avvocati e i notai 344)”. Le novità ora riportate sono esplicazione diretta del criterio di base su cui è stata costruita la normativa del 2007, ossia il principio del “risked based 341 M. CONDEMI – F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, cit., 207. 342 A. CUZZOCREA, Scudo fiscale e riciclaggio di capitali illeciti, cit.,10. 343 C. DI GREGORIO – G. MAINOLFI, Scudo fiscale- ter e adempimenti antiriciclaggio, cit., 7249. 344 Per l’ elenco completo dei professionisti ricompresi nella disciplina antiriciclaggio si veda: art. 12 del D.lgs. 231/2007 e succ. modifiche; si veda inoltre: U. DI NUZZO – A. CARANO, Gli adempimenti giuridico-contabili per i professionisti nella prevenzione del riciclaggio, in il fisco, n.21/2005, 13261, i quali tuttavia sottolineano come già la “Direttiva n.2001/97 CE, attuata a livello interno con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56, nel riformare la disciplina in materia ha: - ampliato la platea dei soggetti onerati dagli obblighi di collaborazione attiva, contenuti nel già citato D.L. n.143/1991, contribuendo così a migliorare ulteriormente il dispositivo antiriciclaggio. - riunito, per la prima volta in unica cornice normativa, tutti i destinatari degli obblighi antiriciclaggio (...)”; si veda anche, sempre degli stessi Autori l’articolo I professionisti giuridicocontabili nella prevenzione del riciclaggio e profili di connessione con gli adempimenti fiscali, in il fisco n.20/2006, 13051 ss.; G. REBECCA – G. CERVINO, Evasione fiscale e riciclaggio di denaro: i nuovi obblighi per le professioni economico-giuridiche, in il fisco n.47/2006. 121 approach”; questo si fonda su un’attenta costruzione del “profilo di rischio del cliente di cui all’art. 20, per il quale gli obblighi sono assolti commisurandoli al rischio associato al tipo di cliente, al rapporto continuativo, prestazione professionale, operazione, prodotto o transazione di cui trattasi345”, con l’effetto di comportare, “per gli intermediari e i professionisti, l’adempimento di più stringenti oneri di accertamento del titolare effettivo, dello scopo, della natura delle operazioni che sono compiute nel corso del suo svolgersi346”. 3.4. La trasposizione degli obblighi identificazione e registrazione nelle operazioni di scudo fiscale . Nel paragrafo che precede sono stati brevemente illustrati gli obblighi di identificazione e segnalazione gravanti sugli operatori economici che svolgono quelle particolari transazioni economiche potenzialmente frutto di condotte di riciclaggio. Bisogna dunque ora vedere se e come i primi due obblighi ora richiamati si applichino alle operazioni di scudo fiscale; per quanto riguarda il primo interrogativo, si è visto347 come l’art.17 del D.L. n.350/2001, ripreso dal comma 4 dell’art. 13- bis, richiami espressamente l’applicazione della disciplina relativa agli obblighi di identificazione e registrazione della normativa antiriciclaggio. Per quanto concerne il come questi obblighi richiamati vadano adattati alla disciplina sullo scudo fiscale, fondamentale risulta il chiarimento del Ministero dell’Economia, che ha specificato che, in applicazione degli obblighi di adeguata verifica previsti dal D.Lgs. 231/2007, “gli intermediari e i professionisti sono tenuti a: - Identificare e verificare l’identità del cliente, compreso l’eventuale titolare effettivo. Una particolare cura dovrà essere messa nell’evitare l’utilizzo di prestanome o di soggetti interposti; 345 C. DI GREGORIO – G. MAINOLFI, Scudo fiscale- ter e adempimenti antiriciclaggio, cit., 7249. 346 Ibidem. 347 paragrafo 2.2. 122 - Raccogliere informazioni dettagliate sull’attività del cliente e sulle sue capacità economiche, sulla natura e sullo scopo/destinazione del rapporto continuativo connesso all’operazione scudata348”. In accordo poi con il principio del profilo di rischio del cliente, la Circolare ha specificato che l’intermediario dovrà prestare “attenzione particolare a quelle situazioni che si presentano a rischio per la natura dell’operazione349”, tra le quali possono rientravi “le operazioni effettuate da soggetti che non sono già clienti della banca, le operazioni in contante o che non transitano da un intermediario estero, le operazioni effettuate da clienti che non sembrano avere o non avevano mai dichiarato le disponibilità economiche, il tenore di vita, il giro di affari compatibile con l’entità delle somme rimpatriate350”. In relazione poi al monitoraggio costante del cliente per tutta la durata del rapporto, la circolare ha ulteriormente chiarito che “gli intermediari e i professionisti dovranno inoltre svolgere un controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale, anche successivamente all’operazione di emersione, al fine di rilevare eventuali elementi che possano condurre a individuare profili di anomalia meritevoli di approfondimento anche ai fini della segnalazione di operazioni sospette351”. A corollario delle prescrizioni ora riportate, le informazioni così raccolte dagli intermediari e i professionisti dovranno essere conservate e registrate, al fine di “assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela352”; l’obbligo di registrazione è imposto dall’art. 36 del decreto legislativo 231/2007, per cui gli intermediari, dovranno conservare le copie o i riferimenti dei documenti richiesti nell’Archivio Unico Informatico, mentre l’altra categoria di operatori, ossia i professionisti, “conservano la documentazione, nonché gli ulteriori dati e informazioni, nel registro della clientela353”, per una durata complessiva di dieci anni. 348 Circolare MEF 17 febbraio 2010, banca dati online de il fisco, www.sba.unimi.it. Ibidem. 350 Ibidem. 351 Ibidem. 352 Ibidem. 353 Ibidem. 123 349 3.5. Gli obblighi di segnalazione nella disciplina antiriciclaggio. Se gli obblighi di identificazione e registrazione risultano richiamati tout court nella normativa sullo scudo fiscale, per il terzo degli obblighi previsti dalla normativa antiriciclaggio destinata agli operatori economici, ossia l’obbligo di segnalazione dell’operazione sospetta, sorgono maggiori problemi esegetici che costituiscono “il cuore” della tematica attinente ai profili dell’uso strumentale dello scudo fiscale ai fini di riciclaggio. Tuttavia prima di illustrare per quale motivo sorgano tali problemi, risulta necessario operare una breve panoramica normativa circa la disciplina degli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio al fine di poter operare il necessario raffronto con le disposizioni dettate in materia di scudo fiscale. La parte relativa agli obblighi di segnalazione è disciplinata dall’art. 41 del D.Lgs. 231/2007; preliminarmente è necessario chiarire che questa norma ha sostanzialmente ripreso quanto disponeva il suo omologo art. 3 della L. 197/1991 senza differenze che ne hanno modificato la portata sostanziale ed applicativa ma anzi ponendosi in linea di continuità con essa. L’articolo in esame prescrive l’obbligo di inviare una segnalazione sospetta all’Unità di Informazione Finanziaria (“struttura nazionale incaricata di prevenire e contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo (...) istituita presso la Banca d’Italia il 1 gennaio 2008354”che ha soppresso l’Ufficio Italiano Cambi) quando gli intermediari sanno, sospettano, o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio. Secondo il disposto dell’articolo gli indici di sospetto possono essere desunti dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta o a seguito del conferimento dell’incarico; l’articolo fornisce un esempio concreto di indice di sospetto, per cui scatta l’obbligo incondizionato di segnalazione, nel caso di ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante e in particolare il 354 Secondo la definizione data in www.bancaditalia.it/UIF 124 prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro. Al fine di agevolare l’individuazione degli elementi di “rischio” per i quali scattano gli obblighi di segnalazione del cliente da parte dell’intermediario, e inoltre per “ridurre i margini di incertezza connessi a valutazioni soggettive o a comportamenti discrezionali, nonché per assicurare la piena collaborazione degli intermediari con le autorità preposte alla prevenzione del riciclaggio355”, l’articolo 41 al comma 2 prescrive che la Banca d’Italia provveda periodicamente ad emanare le “istruzioni recanti gli indicatori di anomalia per gli intermediari” (o cosiddetto “Decalogo”); queste sono state emanate già a partire dal primo provvedimento del 1993, in quanto anche la normativa precedente dettava tale adempimento per la Banca d’Italia, e via via sono state aggiornate nel corso degli anni ponendosi come corollario naturale per una migliore e il più possibile completa disciplina relativa agli obblighi antiriciclaggio destinata agli intermediari356. Occorre però precisare, come risulta dall’art. 3 del testo dell’ultimo provvedimento risalente ad agosto del 2010, che la mera ricorrenza dei comportamenti descritti in uno o più indicatori di anomalia non è motivo di per sé sufficiente per la segnalazione di operazioni sospette, ma che tuttavia questi, unitamente a tutte le altre informazioni disponibili, sono utili per effettuare la valutazione complessiva sulla natura dell’operazione; infine a completare il quadro di fonti utili ad attivare gli obblighi di segnalazione, risultano “un valido ausilio anche gli schemi di comportamento anomalo elaborati e diffusi dalla UIF sulla base di comportamenti riscontrati nell’analisi di fenomeni di criminalità finanziaria, ai sensi dell’art. 6 comma 7, lett b) del (...) decreto 231/2007357”. 3.6. La deroga all’obbligo di segnalazione disposta dal legislatore nella normativa sullo scudo fiscale. 355 V. SUPPA – S. SENATORE, Le nuove istruzioni antiriciclaggio della Banca d’Italia, in il fisco n.12/2001, 4603. 356 Per quanto concerne i professionisti, indicazione degli indici di anomalia trova la sua fonte nel decreto del 16 aprile 2010 emanato dal ministero della giustizia, che riprende in sostanza gli indici predisposti dalla Banca d’Italia. 357 A. CUZZOCREA, Scudo fiscale e riciclaggio di capitali illeciti, cit.,11. 125 Per un’accurata analisi della disciplina inerente alle segnalazioni antiriciclaggio in materia di scudo fiscale occorre innanzitutto partire dal dato normativo. Per quanto concerne il provvedimento del 2001, l’articolo 17 del D.L. 350/2001 dispone testualmente al comma secondo una deroga di non trascurabile portata: “le operazioni di cui agli articoli 12, 15 e 16 non costituiscono di per sé elemento sufficiente ai fini della valutazione dei profili di sospetto per la segnalazione (corsivo aggiunto) di cui all’art. 3 del decreto-legge n.143 del 1991, ferma rimanendo la valutazione degli altri elementi previsti dal medesimo articolo 3 del decreto-legge n.143 del 1991.” Egualmente, l’art. 13-bis del D.L. 78/2009 inerente allo scudo fiscale- ter dispone simile deroga per cui le operazioni di rimpatrio e regolarizzazione non comportano l’obbligo di segnalazione di cui all’art. 41 del D.Lgs. 231/2007: come può vedersi i due scudi fiscali richiamano diverse normative relative agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette; tuttavia si è detto come “non è stata sostanzialmente modificata l’identità e la disciplina di quegli obblighi358”, motivo per cui può parlarsi in modo unitario delle problematiche relative a tale aspetto. Elemento centrale della disciplina è dunque rappresentato dalla deroga alla normativa antiriciclaggio relativa ai profili di segnalazione delle operazioni sospette, per cui di per sé le operazioni di emersione dei capitali, che abbiano come reati “sottostanti” i reati tributari, di falso e le false comunicazioni sociali (qualora connessi con i reati tributari), non costituiscono un’anomalia sufficiente a giustificare al segnalazione antiriciclaggio. Nel caso contrario invece si abbia il sospetto che l’operazione di emersione derivi da reati diversi da quelli coperti dovrebbe scattare la segnalazione; il problema che si pone per l’esegeta della disposizione dunque si articola in diversi interrogativi cui si cercherà di dare risposta con ordine; il primo di questi può essere così formulato: quali sono gli altri presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio che si applicano alle operazioni di scudo? Sono questi in grado di garantire una tutela adeguata contro il rischio riciclaggio insito nell’operazione di scudo? 358 P.M.TABELLINI, “Rientro dei capitali e scudo fiscale”, cit., 87. 126 3.6.1. Gli altri indici a disposizione degli intermediari per attivare la segnalazione antiriciclaggio nelle operazioni di scudo e i rilievi critici della dottrina sulla loro efficacia. L’articolo 17 comma 2 della legge sullo scudo fiscale fa salva la valutazione degli altri profili di sospetto previsti dall’art. 3 del D.L. 143/1990 (ora contenuti nell’41 del D.lgs. 231/2007) per attivare la segnalazione antiriciclaggio; per quanto riguarda nello specifico l’operazione di scudo, il ministero delle finanze è intervenuto con una nota che hanno elencato quali siano gli indici di cui tener conto nelle valutazioni delle operazioni finalizzate all’emersione. Nella prima di queste note, emessa il 12 ottobre del 2009, il ministero ha specificato che “nella valutazione delle operazioni finalizzate all’emersione, si dovrà tenere conto: • Del comportamento del cliente • Di ogni altra circostanza di fatto conosciuta o disponibile nell’ambito dell’adeguata verifica svolta; • Alle origini dei fondi, soprattutto se le operazioni di rimpatrio sono effettuate in contanti; • Alla valutazione della congruità tra il valore dell’operazione di rientro o di regolarizzazione e il profilo del cliente359.” La dottrina ha sottolineato come la previsione di “ogni altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate (...) tale da indurre a ritenere, in base a elementi obiettivi, che le somme depositate ai fini del rientro derivino da attività illecite, è estremamente improbabile, per non dire da escludere in radice. Quale circostanza diversa dalla provenienza del danaro dall’estero, che di per sé la legge definisce irrilevante ai fini antiriciclaggio, può emergere autonomamente in queste situazioni? E, d’altra parte, è pacifico che l’intermediario non ha non ha l’obbligo di svolgere indagini di sua iniziativa; egli deve limitarsi a prendere atto di eventuali elementi di sospetto; ma, si ripete, quali possono essere? Naturalmente la stessa rilevanza della somma può dare luogo a sospetti; ma, una volta che l’intermediario abbia chiesto al suo cliente da dove gli derivi tanta 359 M. MEOLI, Documento CNEDEC del 4 novembre 2009- scudo fiscale- ter e obblighi di antiriciclaggio dei professionisti, cit. 127 ricchezza e si sia sentito rispondere che trattasi di risparmi accumulati nel tempo, eredità, vincite al casinò, restituzioni di prestiti a suo tempo effettuati, o magari una articolata miscellanea di tutte queste fortunate circostanze, è da escludere che egli ritenga necessaria la segnalazione antiriciclaggio; anche perché va bene essere ligi alla legge, ma scontentare un danaroso cliente e le alte gerarchie della struttura da cui dipende non è sempre consigliabile360”. Dunque la segnalazione, poiché è escluso che le operazioni di emersione possano autonomamente fondare sospetto sufficiente a far scattare la segnalazione, “potrà muovere solo da elementi ulteriormente acquisiti o conosciuti dall’intermediario in ragione della sua funzione, la cui gravità sia tale da indurlo nel convincimento della provenienza illecita dell’attività regolarizzata o rimpatriata361”; i dubbi ora sollevati vengono riproposti, con l’utilizzo di metafore anche colorite, anche da altra dottrina che in relazione a quanto ora riportato, si mostra estremamente dubbiosa sull’adeguatezza degli altri elementi previsti dai presidi antiriciclaggio a far scattare la segnalazione, tanto da ritenere che “il richiamo alla disciplina antiriciclaggio rischi di tradursi in affermazione di “bandiera”, priva di reale capacità operativa362”. Questa dottrina infatti ritiene infatti che la previsione di deroga alla segnalazione in materia di scudo fiscale “comprometta largamente l’efficacia della normativa antiriciclaggio. Espungendo dagli elementi di valutazione le attività finanziarie emerse, riesce difficile immaginare l’acquisizione di elementi ulteriori suscettibili di determinare l’intermediario ad avviare la procedura d’accertamento sulla reale forma del patrimonio o ad eseguire le segnalazioni all’UIC (ora denominata UIF). Se si ragiona in termini pragmatici, mi pare improbabile, infatti, che il trasgressore depositi banconote macchiate di sangue, o, specie, se delinquente “professionista” o noto alle cronache, si esponga personalmente o lasci tracce visibili del suo coinvolgimento nell’operazione medesima (...). Il decalogo, è vero, indica anche altri elementi di sospetto, quali la personalità dell’operatore o la sua condizione economica complessiva. Ma si peccherebbe di ingenuità se si ritenesse di poter assegnare a questi elementi 360 361 362 B. TINTI, Rientro dei capitali, legalizzazione del riciclaggio A. GIOVANNINI, Scudo fiscale e anonimato, cit., 258. Ibidem. 128 e dell’evasione fiscale, cit., 14900. concreta efficacia indiziaria. È difficile, lo ripeto, che la criminalità internazionale si esponga a tal punto da far emergere profili personalistici in qualche modo legati all’operazione o che il soggetto cui il patrimonio è effettivamente riferibile lasci impronte tangibili363”. Sempre a supporto di questa tesi critica sull’impianto generale di tutela in materia di indici di sospetto riciclaggio altra dottrina non ha mancato di osservare, “è ben possibile immaginare che nel dubbio gli intermediari si asterranno da segnalare il proprio cliente364” stante il fatto che nello specifico, l’elemento di allarme consistente nella sproporzione di capacità economica del cliente rispetto alla somma scudata “risulta di difficile definizione in relazione a denaro od ad altre attività finanziarie di cui non sono conosciuti i tempi e le modalità di accumulo e di esportazione. L’intermediario, infatti, non è a conoscenza se quel denaro è stato accumulato all’estero in poco tempo – tanto da poter essere valutato come incompatibile con l’attuale capacità economica del soggetto - o se invece è il frutto di un’attività di esportazione illecita di denaro che viene svolta da decenni e allora è possibile valutare come compatibile con la capacità economica che il soggetto ha sviluppato negli anni365”. Le conclusioni di questa dottrina, sulla base del ragionamento riportato, portano dunque inevitabilmente alla configurazione di situazioni molto negative, come per esempio per quell’Autore che rileva come “è ragionevole ritenere (...) che lo strumento delle indagini preventive si trasformi in realtà, in arma spuntata, di fatto inefficace ad intimorire i malfattori ed evitare che o contrastare efficacemente il riciclaggio366” o per altra dottrina che conclude sentenziando come “ogni delinquente che detenga all’estero il suo “bottino” può sbiancarlo a prezzo modico, senza rischio di autodenuncia né sul piano fiscale né su quello penale367”. 3.6.2. Riflessioni critiche. 363 Ibidem. 364 G. L. SOANA, Gli effetti penali dello scudo fiscale, cit.,1260. Ibidem. 366 A. GIOVANNINI, Scudo fiscale e anonimato, cit., 259. 367 B. TINTI, Rientro dei capitali, legalizzazione del riciclaggio e dell’evasione fiscale, cit., 14900. 129 365 L’esclusione della rilevanza delle operazioni come indice per attivare il sospetto dirotta l’indagine dell’intermediario, come risulta anche dalle indicazioni fornite dal ministero, su profili soggettivi del cliente, quale appunto il suo comportamento o la valutazione della congruità tra valore dell’operazione e profilo del cliente. Permane quindi il dubbio, in accordo con quanto ora riportato dalla dottrina, sulla validità di tali indici come validi ad attivare la segnalazione nel caso in cui ad operare sia la criminalità organizzata; pare difficile in effetti che questa possa utilizzare soggetti come “l’’impiegato statale che rimpatri capitali per diversi milioni di euro o l’artigiano che regolarizzi quadri di ingente valore detenuti all’estero368” che palesano un indice di sproporzione tale per cui la segnalazione appare quantomeno obbligata. La necessaria prudenza nella pianificazione dell’operazione di riciclaggio è dovuta al fatto che tale fattispecie rappresenta “uno sbocco assolutamente necessario delle attività illecite della criminalità organizzata: gli altissimi profitti del traffico degli stupefacenti, per esempio, possono essere utilmente impiegati solo in minima parte in analoghi comportamenti illeciti, dovendo trovare, quindi, sbocco nel mercato legale degli investimenti finanziari369”; proprio sulle modalità relative al tipo di sfocio che i capitali devono avere per essere ripuliti, occorre sottolineare la criticità sull’efficacia del profilo economico del cliente quale indice valido per attivare la segnalazione. La motivazione dell’assunto, deve preliminarmente partire da una considerazione di sistema: il fatto che sia difficile credere che la mafia si serva di soggetti poco qualificati per le operazioni di reimpiego di denaro sporco, deriva da una trasformazione strutturale di grande rilievo che è necessario porre all’attenzione del lettore al fine di comprendere l’attualità del rischio riciclaggio connesso alle operazioni di scudo. In effetto la criminalità organizzata è partita (grossomodo dalla sua nascita ad inizio secolo fino al primo ventennio della seconda parte del novecento) da un tipo di struttura articolata mediante una presenza sul territorio di tipo “fisico”, 368 369 D. DE PALMA, Lo scudo fiscale e le segnalazioni antiriciclaggio, cit. M. SILVARI – M. THIONE, Money laundering: analisi del fenomeno, progetti in corso per l’introduzione del reato di “autoriciclaggio”, cit. 130 normativa di riferimento, e violento e in aperta competizione con lo Stato e le istituzioni, cui seguiva dunque un tipo di reimpiego dei capitali prevalentemente diretto intramoenia, ovvero all’interno di quel sistema economico da essa creato ed “autoalimentato” con il reinvestimento dei capitali in altre operazioni illecite (acquisto di nuove partite di droga, armi, ecc.), ad un sistema sempre più sofisticato ed anonimo, che si vicina alle moderne forme di società di capitali, holding e quant’altro. Questo in ragione del fatto che si è via via passati, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, a forme di investimento e produzione di capitali sempre più “dematerializzati”, costituito da forme di investimento e partecipazione all’attività economica molteplici e spesso di difficile comprensione, ma anche molto più redditizie; la criminalità organizzata, per poter sfruttare al massimo le ingenti risorse accumulate dalle attività illecite, ha dovuto adattarsi all’evoluzione del sistema economico ora delineato. Per fare ciò dunque, ha trasformato il fenomeno riciclaggio in un sistema di “estrema sofisticazione, una vera e propria “attività finanziaria, complessa e strutturata, che si avvale di professionisti del settore” ; questi soggetti sono di fondamentale importanza per le due fasi di reimpiego dei proventi illeciti: il “layering” (lavaggio), che costituisce “il momento in cui, attraverso i diversi momenti della movimentazioneframmentazione-riaggregazione, le somme illecite sono dissimulate nel sistema finanziario” ed l’ “integration370” (impiego delle ricchezze provenienti dal reato) attraverso cui i proventi lavati vengono “introdotti nei circuiti dell’economia in modo tale che questo ingresso appaia frutto di un’operazione finanziaria ordinaria, con fondi di provenienza pienamente legittima371”. Chi meglio di “società, imprese o intermediari rispettabili, ad esempio banche straniere, società di assicurazioni, società che fanno prestiti internazionali, grossi avvocati d’affari, cambi valute, ecc.372”, o trust e società fiduciarie, espressamente previsti dall’ Agenzia delle Entrate come soggetti attraverso cui poter schermare l’operazione di rientro, potranno essere impiegati nel sodalizio criminale finalizzato ad utilizzare lo scudo fiscale per riciclare senza destare il minimo sospetto nell’intermediario? 370 Ibidem. Ibidem. 372 Ibidem. 371 131 3.6.3. Il problema relativo all’operatività della deroga: quale sicurezza ha l’intermediario che i capitali scudati provengano da un reato coperto dallo scudo fiscale? Si è detto quindi come sia difficile attivare la segnalazione antiriciclaggio sulla base degli altri elementi previsti dalla normativa; il problema del sospetto quindi è fondamentale per attivare la segnalazione antiriciclaggio. La dottrina373, mettendo proprio in evidenza la difficoltà in cui si trova l’intermediario nell’indagine sull’operazione, è giunta però ad una soluzione paradossalmente opposta a quella sin ora prospettata, che vede nello scudo un facile mezzo per eludere la normativa antiriciclaggio. “Si pone, dunque, un problema sul “sospetto” che rappresenta l’incipit per l’attivazione della procedura di segnalazione. Il decreto legislativo 231/2007, nel descrivere l’iter della segnalazione, non impone all’intermediario o al professionista (o agli altri soggetti obbligati) di essere a conoscenza o di “scoprire” da quale reato i capitali provengano, ma impone soltanto di segnalare l’operazione nel caso in cui vi sia il sospetto che i capitali oggetto dell’operazione stessa siano di provenienza illecita. L’intermediario il professionista, quindi, non devono indagare sulla provenienza dei capitali ma solo avere il ragionevole sospetto che questi siano frutto di un illecito. Il problema allora, è proprio quello di capire come possano gli obbligati ritenersi esenti dall’obbligo di segnalazione se non sono tenuti ad indagare sulla provenienza illecita dei capitali ma solo tenuti a sospettarla. In altri termini, se non si è tenuti a capire quale reato c’è a monte dei capitali rientrati, come si può essere certi di essere esenti dall’obbligo di segnalazione (perché trattasi di reati tributari, societari, di falso)374?”. Le conseguenze prospettate dalla dottrina sono duplici: “questo problema sull’individuazione del reato-fonte, può, evidentemente portare gli obbligati (che siano professionisti, intermediari o altri) a segnalare, per timore di sanzioni, 373 D. DE PALMA, Lo scudo fiscale e le segnalazioni antiriciclaggio, in www.airant.it (sito internet dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio). 374 Ibidem. 132 operazioni di rientro che, invece, sarebbero coperte dallo scudo375” ; non solo: “l’UIC, una volta ricevuta la segnalazione, dovrebbe investire della questione il Nucleo speciale di polizia valutari della Guardia di Finanza al fine di ogni miglior intervento antiriciclaggio. Una volta che ciò sia accaduto, dovranno essere svolti accertamenti da parte della polizia valutaria la quale, in ipotesi, potrà anche non riscontrare alcunché di rilevante ai fini del riciclaggio, ma individuare irregolarità fiscali o di altro tipo e dunque, (.....), eventuali ipotesi di reati fiscali fraudolenti non coperti dallo “scudo” o reati di altro tipo376”. Con l’ effetto che potrebbero così prodursi “gravi conseguenze in capo all’interessato377” sia di tipo penale (indagini, procedimento fino ad una eventuale condanna) che di tipo amministrativo; “infatti, il comma 2- bis dell’art. 17 prevede che ove si è fatto ricorso allo “scudo fiscale” in relazione a ad attività derivanti da reati diversi da quelli per i quali è prevista la non punibilità, verrà inflitta una “sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100 per cento del valore corrente delle attività oggetto della dichiarazione riservata378”. Risulta evidente che la condizione posta dal legislatore, e cioè esenzione dall’obbligo di segnalazione in caso di operazione di rientro solo se il capitale scudato derivi dal reato presupposto coperto dall’ombrello penale, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio produttiva di un effetto in malam partem e contrario alla sua funzione di presidio posto a tutela dello scudante. 3.6.4. Il problema della parcellizzazione delle somme scudate per eludere la disciplina sugli obblighi antiriciclaggio. Come si è visto nei paragrafi precedenti, la normativa antiriciclaggio prevede una soglia quantitativa al di sopra della quale gli intermediari ed i professionisti devono attivarsi per adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela; questa soglia è prevista nello specifico dall’art. 17 del D.Lgs. 231/2007 che dispone che scatta l’obbligo dell’adeguata verifica per tali soggetti quando essi eseguono operazioni occasionali che comportino la trasmissione o la 375 Ibidem. 376 A. LANZI, Profili e risvolti penalistici dello “scudo fiscale”, in il fisco, 1/2002, cit., 129. 377 Ibidem. 378 Ibidem. 133 movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni che appaiano tra loro collegate per realizzare un’operazione frazionata. Un problema di notevole portata è stato sollevato dai commentatori del primo provvedimento, che può essere riferito anche allo scudo del 2009; la dottrina, interrogandosi sulle modalità per aggirare la normativa antiriciclaggio, ha infatti posto l’attenzione su un possibile “escamotage379”, che potrebbe essere utilizzato dai riciclatori, al fine di “far rientrare i (...) capitali con modalità tali da escludere l’attivazione della normativa antiriciclaggio; vale a dire evitando di superare la fatidica soglia dei 15.000 euro per operazione giornaliera ed evitando altresì di depositare somme, pur inferiori ai 15.000 euro che, cumulandosi nella settimana, superino detta soglia. In questo modo le segnalazioni antiriciclaggio non sarebbero dovute380”. Tale Autore prosegue nel ragionamento cercando di risolvere le possibili obiezioni che potrebbero muoversi a siffatta tesi: “naturalmente potrebbe obiettarsi che far rientrare 1 milione a 15.000 euro alla settimana è un po’ faticoso; ma l’obiezione sarebbe imputabile a scarsa fantasia, che invece non manca agli attori della vicenda, delinquenti che intendono riciclare il loro bottino. Ed infatti è sufficiente compiere tante operazioni di rientro di 15.000 euro con altrettanti intermediari (di cui si è visto nel paragrafo riservato alla descrizione dei soggetti abilitati alle procedure di emersione come sia vario il novero nonché nel paragrafo precedente come varie figure professionali altamente qualificate possano presentarsi come soggetti scudanti) perché ogni operazione non possa essere collegata con le altre e quindi non debba essere segnalata. (...) Va messo in evidenza che la benemerita normativa non fissa alcun limite al numero di operazioni di rientro che possono essere effettuate da una singola persona e al correlativo numero di dichiarazioni riservate che questa può presentare agli intermediari; in altri termini la legge non impone di procedere al rientro di quanto detenuto all’estero in un’unica soluzione e dunque un con unico intermediario e con un’unica dichiarazione. È ben vero che questa soluzione pare implicita nella legge; ma è anche vero che 379 B. TINTI, 380 Ibidem. Rientro dei capitali, legalizzazione del riciclaggio e dell’evasione fiscale, cit., 14900. 134 l’interpretazione che qui si paventa non è in contrasto con alcuna norma del provvedimento e che sarebbe quindi arduo ritenere che dichiarazioni successive, ognuna concernente una parte dei capitali detenuti all’estero, siano in sé illegittime. Insomma, cosa vieta di frazionare l’operazione di rientro? Potrà dunque avvenire che il rientro delle risorse detenute all’estero venga parcellizzato381”. 3.7. La non punibilità del reato presupposto fa venire meno la punibilità anche per il riciclaggio? La posizione della Corte di Cassazione espressa in una recente sentenza. Si è visto precedentemente nel corso dell’analisi sulla fattispecie di riciclaggio come questa sia connessa con il reato presupposto; il riciclaggio infatti consiste proprio nel reimpiego del denaro, beni o altre utilità frutto del delitto presupposto. Nondimeno la legge sullo scudo fiscale prevede una copertura penale per determinati reati che costituiscono presupposto del riciclaggio; di conseguenza, potrebbe obbiettarsi che l’esclusione della punibilità per i reati che potrebbero costituire presupposto di riciclaggio potrebbero far venir meno la punibilità del reato di riciclaggio. Questa possibilità è stata avanzata, dalla difesa della parte in causa, in una recente sentenza382 proprio in relazione a casi di riciclaggio di proventi di reato non punibile per effetto del precedente scudo fiscale; in merito al quesito la Corte ha sentenziato che non “può dirsi che la condizione di non punibilità (...) in quanto condizione oggettiva di non punibilità, capace di privare di illiceità il delitto presupposto, incida in termini risolutivi sulla sussistenza dei reati di riciclaggio o di impiego di denaro di provenienza illecita383”. Secondo quanto opposto dalla difesa, la causa di non punibilità prevista per il reato presupposto trasforma in leciti i profitti dell’attività da cui l’evasione fiscale è derivata; la Corte però ha rigettato quanto obbiettato dalla difesa, sulla base del fatto che “va considerato che per espresso richiamo dell’ultimo comma degli artt. 648- bis (riciclaggio) e 648- ter (impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita) alle rispettive fattispecie criminali si applica 381 Ibidem. Cass. Pen. Sez. II, 21 maggio 2005, n. 23396, in Cass. pen., bancadati online www.sba.unimi.it 383 Ibidem. 135 382 la previsione di cui al terzo comma dell’art. 648 (ricettazione). Secondo tale comma le disposizioni dettate dal medesimo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengano non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. Quindi l’ipotesi della ricorrenza di una condizione di non punibilità (...) trova una risposta nell’espresso dettato normativo in termini di permanenza dell’illecito di ricettazione, come pure di riciclaggio e di impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita384”. 3.8. Le sanzioni nei confronti degli intermediari e professionisti che non rispettino la normativa antiriciclaggio nelle operazioni di scudo fiscale: l’uso della minaccia coercitiva per supplire alla mancanza di prevenzione. Si è visto nei paragrafi precedenti come non pochi dubbi possa sollevare la deroga disposta dal legislatore in materia di segnalazioni; a causa di questa l’impianto preventivo risulta fortemente penalizzato per l’inadeguatezza degli altri presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio, cosicché risulta difficile per gli intermediari attivare una segnalazione che sarebbe più immediata se potesse basarsi solo sulle operazioni di rimpatrio. A fronte di ciò, il legislatore tuttavia ha previsto delle norme che penalizzano l’intermediario per la mancata segnalazione: per quanto concerne le possibili conseguenze sanzionatorie in cui possono incorrere “gli intermediari coinvolti nelle operazioni di rientro dei capitali caratterizzate da elementi di sospetto ai sensi dell’art. 41 D.LGS. 231/2007385” essi saranno gravati da sanzione amministrativa pecuniaria sino al 40% dell’importo dell’operazione non segnalata (art. 57, comma 4, d.lgs. 231/2007), nonché potranno “essere responsabili del riciclaggio stesso, qualora siano consapevoli della provenienza delittuosa delle somme oggetto di scudo. Ciò, in quanto alle operazioni di emersione sono applicabili le norme previste dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, che all’articolo 25-octies, introdotto dall’art. 63 del d.lgs. n.231/2007, prevede fra i reati presupposto della 384 385 Ibidem. Ibidem. 136 responsabilità amministrativa degli enti anche i reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita386”. Una certa dottrina tuttavia non mancato di evidenziare come la previsione che “l’intermediario o il professionista colpevoli dell’omissione, e che fossero a conoscenza della provenienza delittuosa delle somme rimpatriate387”, sarebbero “imputabili di riciclaggio388”, sia una minaccia molto grave a fronte di una “legge e norme applicative di non semplice utilizzo389”; in effetti si ritiene che la minaccia così disposta possa giustificarsi qualora il legislatore operi una tutela dei presidi antiriciclaggio completa ed in linea con la progressione sempre più sofisticata e articolata del fenomeno. La predisposizione di strumenti sanzionatori anche molto energici per il mancato rispetto degli obblighi di segnalazione va interpretata in ottica valorizzante (come incentivo per un comportamento rigoroso da parte degli operatori al fine di far acquisire loro una maggiore responsabilità e plasmarli secondo un tipo di etica professionale il più possibile attenta alla percezione della gravità di cosa comporti l’inquinamento dell’economia del Paese) solo qualora gli operatori potranno disporre di un quadro di analisi completa della fattispecie nel corso del loro operato. La deroga disposta dal legislatore nella legge sullo scudo fiscale diminuisce i controlli finalizzati ad impedire l’infiltrazione della criminalità con il risultato che quanto più questa entrerà nel tessuto economico tanto più essa andrà a drenare risorse economiche al Paese: ciò quindi porterà nuovamente il legislatore, in cerca da sempre di risorse immediate per le situazioni di crisi, ad utilizzare misure di perdono (come appunto quella dello scudo) che, se sprovviste di un adeguato impianto normativo, riprodurranno periodicamente i problemi ora indicati. 386 387 388 389 A. CUZZOCREA, Scudo fiscale e riciclaggio di capitali R. REZZANTE, L’antiriciclaggio stringe le maglie, cit. Ibidem. Ibidem. 137 illeciti, cit., 20. Capitolo IV Possibili profili di illegittimità dello scudo fiscale (in relazione alla materia penale) SOMMARIO: 1. Premessa: lo scudo fiscale tra vincoli costituzionali e comunitari. – 2. Lo scudo fiscale come “condono”: implicazioni costituzionali in relazione all’art. 53 Cost. – 2.1. La posizione della Corte Costituzionale in riferimento al condono. – 2.1.1. Il ragionamento svolto dalla Corte traslato allo scudo fiscale. – 3. Lo scudo fiscale e i rapporti con l’amnistia: implicazioni costituzionali in relazione all’art. 79 Cost. – 3.1. L’amnistia: breve ricostruzione storico-normativa dell’istituto – 3.2. Le forme di amnistia disciplinate nel codice penale ed il loro rapporto con lo scudo fiscale – 3.2.1. L’amnistia propria ed impropria – 3.2.1.1. Il confronto con lo scudo fiscale: la “mediazione fattuale” come criterio distintivo valido per distinguerlo dall’amnistia alla luce del ragionamento svolto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.369/1988. – 3.2.1.2. L’esiguità dell’importo dovuto come indice di un avvicinamento dello scudo fiscale verso forme di clemenza tipica? Una breve riflessione sul possibile impatto politicocriminale di un tipo di tassazione notevolmente bassa rispetto al premio penale – 3.2.2. Amnistia condizionata e scudo fiscale. – 3.2.2.1. Le tesi dottrinali contrarie ad una qualificazione dello scudo fiscale come una forma di amnistia condizionata “mascherata”. – 3.2.2.2. Criticità nelle tesi riportate. – 4. I profili di irragionevolezza ex art. 3 Cost. nella scelta di escludere le società dal novero dei soggetti premiati dallo scudo fiscale. – 4.1. Breve excursus sul criterio di ragionevolezza-uguaglianza. – 4.2. L’applicazione del principio alla disciplina dello scudo fiscale nel confronto con la disciplina della responsabilità amministrativa delle società per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. – 5. Scudo fiscale e vincoli comunitari. – 5.1. Le riserve sullo scudo fiscale sollevate dalla Commissione Europea e le risposte del governo. – 5.2. I perduranti dubbi di conformità comunitaria in relazione all’art. 56 Trattato CE. – 5.3 La possibile illegittimità dello scudo alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia sul condono iva del 2002. – 5.3.1. Le motivazioni delle contestazioni mosse dalla Commissione e la difesa italiana. – 5.3.2. L’intervento della Corte di giustizia europea in materia di Iva: la sentenza C-132/06 e la ricezione dei principi in essa contenuti da parte della Cassazione in due recenti sentenze. – 5.3.3. Brevi cenni sugli effetti tributari ed amministrativi delle sentenze ora richiamate sullo scudo fiscale. – 6. Gli effetti penali sullo scudo fiscale a seguito della possibile illegittimità comunitaria. – 6.1. Le procedure atte a disciplinare il controllo da parte del giudice nazionale sulla conformità della legge nazionale al diritto europeo. – 6.2. Il principio fondamentale di riserva di legge come ostacolo ad un’applicazione in malam partem della disciplina comunitaria e gli orientamenti della Corte di Giustizia in merito. – 6.3. La possibile sindacabilità comunitaria in malam partem in una recente sentenza della Corte Costituzionale. – 6.4. La crisi del principio di divieto di pronunce in malam partem nella giurisprudenza della Corte Costituzionale: quali riflessi sullo scudo fiscale? 1. Premessa: lo scudo fiscale tra vincoli costituzionali e comunitari. Dopo una preliminare riflessione sugli aspetti dogmatici e di politica criminale della misura in esame, nonché sulle attuali problematiche penali coinvolte dal provvedimento di scudo, si concluda la trattazione dell’istituto con un’analisi dei delicati aspetti relativi ai rapporti tra scudo fiscale e normativa costituzionale e comunitaria390. 390 Cfr.: P. HILPOLD, Lo scudo fiscale: aspetti di diritto costituzionale e di diritto comunitario,cit; A. FANTOZZI, Concordati, condoni, collette, in Riv. dir trib.; C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., E. BRIVIO, L’Europa approva lo scudo fiscale, in il sole 24 ore- norme e tributi, 29/01/2002, 23; P. R. 138 Per quanto concerne il primo dei due profili occorre segnalare come tutta la normativa relativa allo scudo sia incentrata sulla (ri)definizione dei rapporti tra contribuenti e Fisco, categorie utilizzate come punto di riferimento essenziale nella costruzione dell’impianto normativo costituzionale. La prima delle due categorie, i contribuenti, è invero composta da una variegata e multiforme platea di soggetti; secondo le prerogative costituzionali, tali soggetti sono tutti obbligati a versare il proprio contributo al Fisco attraverso un tipo di tassazione proporzionata alle loro capacità contributive. I problemi afferenti ai rapporti tra scudo fiscale e normativa costituzionale derivano propriamente dal fatto che questa operazione ha concesso un premio penale e tributario, in ottica di “riappacificazione” tra contribuenti e pretese del Fisco, a favore di una categoria di soggetti che ha dimostrato, mediante le condotte illecite di esportazione all’estero di capitali accumulati con il compimento di reati tributari, insensibilità al rispetto di quanto disposto dai principi costituzionali in materia collaborazione contributiva alle richieste del Fisco; una collaborazione che, prestata in ritardo e con il versamento di una somma scontata e forfettaria potrebbe essere venuta meno ai principi di equità e proporzionalità del contributo fiscale dovuto da ogni cittadino nel rispetto delle sue capacità contributive e che incontra il suo ultimo fine nel raggiungimento di un generale progresso e benessere dell’intera società. Oltre a ciò non si deve trascurare che l’operazione di scudo coinvolge interessi più ampi e che vanno oltre l’ordinamento costituzionale, che incidono conseguentemente su quell’ordinamento sovra nazionale costituito dall’Unione Europea che ha un potere diretto e limitativo nei confronti del legislatore nazionale, e che si esplica in attività di produzione normativa e di controllo nei confronti del legislatore nazionale qualora si presuma esso possa aver compiuto delle violazioni del diritto comunitario; di conseguenza, nella seconda sezione del capitolo ci si chiederà se con lo scudo fiscale il legislatore abbia invaso MACCANICO, Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale, in il fisco, n.37/2009; M. BELLINAZZO, La Gdf va in pressing per i controlli sullo scudo, in Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2010; Idem, Un milione di contribuenti a rischio sul condono iva, in Il Sole 24 , 28 ottobre 2010; S. BOLIS, Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, in il fisco, n. 4/2010, in bancadati online www.sba.unimi.it; C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti delle moderne forme di impunità retroattiva, cit.; R. PARISOTTO, Per chiudere lo scudo slalom fra le cause ostative, in Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2010; A. OLIVIERI, Ancora fermi i capitali scudati, in Il Sole 24 Ore 29 maggio 2010. 139 competenze legislative riservate al diritto europeo e se con tale provvedimento possano comunque profilarsi lesioni giuridicamente apprezzabili di siffatto diritto. 2. Lo scudo fiscale come “condono”: implicazioni costituzionali in relazione all’art. 53 Cost. La dottrina più critica391 verso la misura in esame argomenta che, nonostante siffatto provvedimento presenti aspetti particolari relativamente alla peculiare ampiezza del campo di applicazione, che giunge a ricomprendere fatti di rilevanza penalistica e fenomeni transfrontalieri, l’interprete si trovi in realtà nientemeno che di fronte ad una forma di condono fiscale ordinario, o “mascherato392”; anzi la restrizione dell’applicabilità dello scudo fiscale a fattispecie transfrontaliere “appare essere più uno strumento politicamente accettabile che una caratteristica che possa veramente differenziarlo da provvedimenti di condono passato393”. In effetti, se si mettono a raffronto il provvedimento inerente allo scudo fiscale ed il condono fiscale contenuto nella L.289/2002, i punti di contatto tra i due provvedimenti normativi non sono pochi: circa la forma prevista per gli adempimenti sananti, entrambe prevedono la forma della dichiarazione riservata per effettuare le relative procedure di integrazione degli imponibili pregressi o di rientro o regolarizzazione dei capitali; identica è poi la previsione circa gli effetti premiali conseguenti al perfezionamento della procedura in quanto l’art.13-bis comma 4, secondo periodo, rinvia proprio all’art. 8 lett c) della legge 289/2002; anche le cause ostative sono le stesse, prevedendo infatti il comma 10 dell’art. 8 lett. c) della legge 289/2002 così come l’art. 14 comma 7 della L. 409/2001 cui rinvia l’art 13-bis del D.L. 1 luglio 2009 n.78, che le disposizioni inerenti al condono non trovano applicazione laddove alla data dell’entrata in vigore della legge fossero contestate le violazioni delle norme tributarie (notifica del processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento, nonché invito al contraddittorio) o fosse stata esercitata un’azione penale per determinati illeciti e della quale avessero avuto 391 P. HILPOLD, Lo scudo fiscale: aspetti di diritto costituzionale e di diritto comunitario, cit. V. VISCO, Un condono fiscale mascherato, in Diritto e pratica tributaria, cit. 393 P. HILPOLD, Lo scudo fiscale: aspetti di diritto costituzionale e di diritto comunitario,cit., 392 140 1726. formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa o della dichiarazione di rimpatrio o regolarizzazione. Infine, e per riassumere, nella misura in cui lo scudo consente la produzione di effetti di definizione automatica delle basi imponibili e della misura del carico fiscale, subordinatamente alla manifestazione di volontà del solo contribuente, contro il pagamento di somme totalmente sganciate dall’obbligazione tributaria che deriverebbe dall’applicazione ordinaria sulle medesime basi imponibili, può affermarsi che lo scudo fiscale si avvicina ad un provvedimento di condono. Le differenze tra i due provvedimenti possono riscontrarsi nell’allocazione del capitale evaso, che nel caso del condono si trova (ed è stato presumibilmente investito) in Italia mentre per lo scudo è situato all’estero, nonché in relazione al quantum richiesto a titolo di tassazione per definire la propria posizione. Non pochi sono gli interrogativi che solleva l’equiparazione dello scudo ad un condono: tra questi, preme porre all’attenzione del lettore (“è del tutto aperta la questione394”) su fino a quale punto esso possa conciliarsi con uno dei più importanti principi della Costituzione italiana in materia di diritto tributario, ossia il principio della capacità contributiva ex art. 53 Cost., secondo cui al comma primo “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva” e al comma secondo “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Per quella dottrina395 che considera la “funzione sociale” di questo principio, che si sostanzia nel dovere inderogabile (né sul piano individuale né sul piano collettivo) di contribuire ai bisogni della collettività e di contribuire ad una spesa determinata dal potere politico avendo riguardo alla capacità contributiva del singolo contribuente, il condono, come concepito nello scudo fiscale, desta forti perplessità circa la sua conformità al dettato costituzionale; questa moderna forma di impunità invero non è neanche ritenuta da codesta dottrina come facente parte della categoria della legislazione premiale, ma è anzi qualificata in termini di riconducibilità ad una “sua più o meno marcata corruzione396”. 394 Ibidem. Cfr. F. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, Cedam, 1973. 396 A. FANTOZZI, Concordati, condoni, collette, in Riv. dir trib., cit., 199. 141 395 Al fine di chiarire meglio le motivazioni di siffatta impostazione dottrinale si ritiene opportuno riportare il pensiero di quell’Autore, che così argomenta: “è chiaro che già con l’esclusione delle sanzioni, che equipara la situazione dell’evasore ravveduto a quella del contribuente originariamente diligente, il legislatore infligge un grave vulnus all’ordinamento giuridico, poiché pregiudica i criteri di giustizia distributiva che stanno alla base del senso di appartenenza alla comunità. Ma quando all’evasore ravveduto si fa anche uno sconto sull’imposta, non si tratta di un pregiudizio, ma dell’ingiustizia eletta a sistema. Tale risultato non è solo sommamente ingiusto sul piano della politica tributaria, ma in palese conflitto con il principio costituzionale della capacità contributiva, poiché, a parità di situazioni di base (possesso di reddito o altri presupposti espressione di capacità contributiva), ciò che distingue il condonante dai contribuenti diligenti è proprio e soltanto l’adempimento tardivo del primo rispetto all’adempimento tempestivo degli altri; e proprio in virtù di tale tardività l’evasore ravveduto ottiene uno sconto d’imposta, cioè è assoggettato ad un carico contributivo inferiore 397”. Pertanto tale dottrina ravvisa una violazione dei principi di capacità contributiva difficilmente giustificabile; sarà quindi compito del successivo paragrafo cercare di fornire una giustificazione di sistema all’istituto del condono che sia tale da superare i dubbi ora avanzati sulle possibili violazioni dei principi costituzionale operati da un legislatore ordinario che rinuncia agli importi dovuti e sottratti dall’evasore, e anzi sconta ad esso l’imposta dovuta, addirittura forfettizzandola (nel caso dello scudo fiscale), contrariamente a quanto ispirato in tema di capacità contributiva dalla Carta costituzionale, che sembra imporre il pedissequo adempimento del dovere tributario giustificato dai fondamentali doveri di solidarietà nonché di equità. 2.1. La posizione della Corte Costituzionale in riferimento al condono. Occorrerà chiarire dunque quale sia stato nel corso degli anni l’atteggiamento assunto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale in relazione ai condoni al fine di spiegare se vi sia una sostanziale conformità dello 397 Ibidem. 142 scudo fiscale rispetto ai principi indicati dalle norme costituzionali; pertanto sarà necessario operare un richiamo alla storica sentenza 31/3/1988 n.369 pronunciata dalla Corte398, in cui il giudice delle leggi è stato chiamato a pronunciarsi sulla prospettata illegittimità costituzionale degli artt. 31 e ss. l. n. 47/1988; questi prevedevano un complesso meccanismo di sanatoria anche penale per gli abusi edilizi consumati anteriormente all’1/10/1983, che ha valenza tale da assurgere, secondo una certa dottrina, a modello per le odierne misure clemenziali399. In relazione ad essi la Corte ha affermato che le ipotesi di impunità retroattiva “non possono essere ricondotte ai tradizionali istituti di clemenza o, comunque, estintivi del reato, perché possiedono una propria particolare ragion d’essere e così una propria fisionomia400”; tali ipotesi, secondo il giudizio della Corte,“vanno studiate a sé, a prescindere da ogni formalistico, inattuale avvicendamento a vecchie formule o ad antichi istituti (...). Non solo (tali ipotesi) danno per scontato che la punibilità abbia una consistenza autonoma, un valore autonomo, rispetto al reato, ma dimostrano che la medesima può essere usata per ottenere dall’autore prestazioni utili a fini spesso estranei alla tutela del bene offeso dal reato401”. La tecnica premiale, consistente nell’esclusione o nell’attenuazione della punibilità utilizzata dal legislatore nei confronti dell’autore dell’illecito, viene concepita dalla Corte come una tecnica per “orientare e dirigere la condotta del reo susseguente al reato al raggiungimento di fini dallo stesso legislatore desiderati402”. Con questa sentenza dunque la Corte per prima cosa supera quelle resistenze dottrinali verso la non punibilità retroattiva ancorate ad una concezione, per così dire, “immanente” dei principi contenuti nella Carta, sottolineando con accenti anzi critici il ritardo di dottrina e giurisprudenza nel cambio di paradigma: “...il legislatore moderno, repentinamente destando la dottrina e la giurisprudenza da sogni dommatici403”, ha utilizzato la categoria della non 398 C. Cost. sent 31 marzo 1988, n.369, in banca dati online www.sba.unimi.it. C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti delle moderne forme di impunità retroattiva, cit., 1667. 400 C. Cost. sent 31 marzo 1988, n.369, in banca dati online www.sba.unimi.it. 401 Ibidem. 402 Ibidem. 403 Ibidem. 143 399 punibilità “per ottenere dall’autore dell’illecito prestazioni utili a fini spesso estranei alla tutela del bene offeso dal reato404”. La Corte riconosce alle moderne forme di clemenza finalità di “direzione e orientamento (Steuerung) 405” per la tutela di interessi che si muovono su un piano “eccentrico” rispetto a quello che fonda l’incriminazione e la censura di legittimità (in relazione alla possibile violazione dell’art.53 nel nostro caso). 2.1.1. Il ragionamento svolto dalla Corte traslato allo scudo fiscale. Una volta dunque rintracciati gli interessi di cui sopra, che dovranno essere “espressione del prevalere temporaneo, dovuto a fattori contingenti, di un interesse di rilievo costituzionale, anche se di rango sotto ordinato a quello scarificato dalla rinuncia alla pena406”, senza dover operare sempre un bilanciamento tra di essi, ma limitandosi ad un giudizio di non irragionevolezza della invocata situazione di eccezionalità e del relativo termine temporale, questi saranno ritenuti sufficienti a garantire la ragionevolezza della rinuncia della pena e della discriminazione nel trattamento contributivo, per come descritto nell’art. 53 Cost., in riferimento allo scudo fiscale, per coloro che ritengono tale principio violato; la Corte sembra quindi sottrarre al sindacato di legittimità le opportunità politico-criminali che il legislatore intende conseguire con siffatti istituti premiali, sempreché l’interesse di volta in volta perseguito dal legislatore per la fisionomia e il rilievo che gli sono propri, faccia apparire come non irragionevole la disciplina derogatoria. Nel caso in esame la risposta ipotizzabile dalla sentenza della Corte, che si ritiene paradigmatica per le ipotesi di impunità retroattiva atipica tra le quali indubbiamente vi è da ricomprendere lo scudo fiscale, in relazione al valore da attribuire al principio della capacità contributiva, si orienta verso una definizione di questo come principio di politica legislativa che può essere disatteso in situazioni che abbiano un qualche carattere di straordinarietà e che possano formare quel fascio di interessi legittimanti la misura in esame. 404 Ibidem. 405 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti delle moderne 406 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: impunità retroattiva, cit., 220. 144 forme di impunità retroattiva, cit., 1657. forme e limiti costituzionali dell’impunità di Tale concetto viene ribadito in una seconda e più recente sentenza407, che ha espresso, pur incidentalmente, un giudizio di sostanziale accettazione degli strumenti di condono fiscale, precisando e mettendo in evidenza che “l’istituto del condono, infatti, costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti dei redditi ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria ed immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso e non in quella dell’accertamento dell’imponibile408”. Recupero delle risorse finanziarie e riduzione del contenzioso, nel caso del condono fiscale; ancora recupero delle risorse finanziarie e necessità di porre rimedio ad una contingente ed eccezionale illegalità di massa nel caso dello scudo fiscale come interessi che legittimano la deroga di un trattamento contributivo equo nei confronti del contribuente intenzionato a sanare l’irregolarità derivante da una condotta elusiva dalla pretesa contributiva dello Stato. 3. Lo scudo fiscale e i rapporti con l’amnistia: implicazioni costituzionali in relazione all’art. 79 Cost. La rinuncia del legislatore all’esercizio della potestà punitiva è espressione di un “generale potere di clemenza409” di cui esso dispone e che fino a non molto tempo addietro è stato attuato mediante provvedimenti legislativi tipici, che trovano una collocazione nel codice penale e che sono soggetti a vincoli procedurali costituzionali: l’indulto e l’amnistia. Una prima superficiale definizione, valida per entrambe, qualifica le due figure come “provvedimento generale in quanto opera nei confronti di tutti i consociati ed astratto in quanto si applica indistintamente a tutti i reati e le pene individuati nei relativi provvedimenti di clemenza410”. In particolare, l’amnistia411, disciplinata 407 C.Cost. sent. n.321 del 13 luglio 1995, in Giust.civ.,1996 I 26. Ibidem. 409 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 226. 410 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, Milano, Giuffrè 2008, 125. 411 Cfr: ZAGREBELSKY, Amnsitia, indulto e grazia. Profili Costituzionali, Milano, 1974.; MARINI, Amnistia e indulto nel diritto penale, in Dpen, I, 1987, 135 ss.; PIOLETTI, Osservazioni sugli istituti dell’amnsitia e dell’indulto, in Rivista penale, 1960, I, 65; P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit.; Codice di procedura penale commentato, a cura di A. 145 408 dall’articolo 151 del codice penale per quanto attiene ai suoi profili sostanziali e dall’art. 79 Cost. per gli aspetti procedurali di approvazione, rileva e chiama in causa lo scudo fiscale ai fini della trattazione in esame sia in relazione ad uno specifico motivo, che attiene a rilievi storico-empirici relativi all’evoluzione dell’istituto nel corso degli anni e di cui si tratta nel seguente paragrafo, nonché in riferimento a diversi profili di analogia con la disciplina dello scudo fiscale le cui conseguenti problematiche verranno approfondite nel corso della trattazione illustrando la (non concorde) posizione della dottrina e della giurisprudenza costituzionale in merito a ciò. 3.1. L’amnistia: breve ricostruzione storico-normativa dell’istituto. Da un uso inizialmente limitato dell’amnistia, in linea con la sua considerazione di strumento eccezionale e dettato da “scelte prevalentemente politiche (pacificazione sociale dopo situazioni di spaccatura nel paese, come quella verificatasi nell’ultima fase delle seconda guerra mondiale)412”, si è passati nel corso delle varie legislature ad un suo utilizzo “di routine413”, finalizzato a risolvere le più disparate situazioni: come ha rilevato la dottrina, “nel periodo ricompreso tra l’anno 1960 e l’anno 1990, si è fatto ricorso a tale provvedimento per le ragioni più disparate, in particolare, per fronteggiare situazioni di emergenza determinate da carenza di organico e sovraffollamento nelle strutture carcerarie, carenza di personale e magistrati nei tribunali, sovraccarico di processi ed inadeguatezza dell’ordinamento giudiziario e penitenziario e, più in generale, del sistema processuale414”; tra i vari provvedimenti di amnistia, per quanto interessa, occorre da subito sottolineare come numerose sono anche state le amnistie che hanno avuto per oggetto reati tributari e finanziari415. e G. SPANGHER, cit, 1354 ss.; GEMMA, Amnistia e indulto dopo la revisione dell’art. 92 Cost., in Legsl. Pen., 1992, 349; RAMAJOLI, In tema di concorso di cause estintive del reato (amnistia e prescrizione): criteri determinative della priorità nell’applicazioni, in Cass. Pen. 1987, 1908 ss. 412 Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 1355. 413 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 125. 414 Ibidem, cit., 125. 415 Tra le quali: d. lg. lgt. 27 giugno 1946, n.25; d.P.R. 14 aprile 1948, n.511; d.P.R. 4 agosto 1978, n.413; d.P.R. 16 dicembre 1986, n.865. 146 GIARDA Per arginare suddetto uso distorto dello strumento dell’amnistia produttivo di “ricadute negative in termini di salvaguardia del principio di certezza del diritto e della pena, e della stessa funzione di prevenzione generale e speciale che la Costituzione riconosce alla sanzione penale416”, il legislatore è quindi intervenuto, mediante con l. cost. n.1 del 1992, riscrivendo l’art. 79 Cost. che reca la disciplina dei vincoli procedurali cui è soggetta la concessione di siffatto provvedimento: la versione precedente alla modifica prevedeva che “l’amnistia e l’indulto fossero concessi dal Presidente della Repubblica su legge di delegazione delle Camere417”; due le caratteristiche salienti di questa versione: la prima, concerne gli organi deputati all’approvazione del provvedimento, ovvero il Parlamento, elemento centrale nel “processo decisionale politico418” relativo al contenuto dell’amnistia, e il Presidente della Repubblica, destinatario della delega419. La seconda riguarda la previsione di una maggioranza parlamentare semplice per l’approvazione della legge di delegazione ed è in essa che in sostanza va individuata la causa decisiva della proliferazione incontrollata del provvedimento. L’articolo 79 Cost. oggi dispone che “l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna 416 Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE- R. BIN, Cedam, seconda edizione, 2008, 725. 417 Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE- R. BIN, cit., 724. 418 Ibidem. 419 Il dibattito dottrinale sorto nella vigenza del provvedimento precedente, vedeva opposte due correnti dottrinali sul ruolo del Presidente della Repubblica nella concessione dell’amnistia; la questione viene efficacemente posta all’attenzione del lettore e riassunta nel commento all’art. 79 Cost., in Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE- R. BIN,cit., 724., cui si rimanda per i riferimenti bibliografici relativi alle due tesi, in cui l’Autore rileva come “Il testo costituzionale poteva presentarsi a letture diverse, ora maggiormente inclini a valorizzare il ruolo del Presidente, ora risultanti da un ridimensionamento del rilievo di questo organo nel procedimento di concessione dell’amnistia e dell’indulto. Strettamente legata a questa lettura alternativa era la questione relativa alla doverosità dell’esercizio della delega, perché è evidente che qualora si fosse ritenuta non assolutamente dovuta l’adozione dei decreti di amnistia ed indulto a seguito della approvazione della legge di delegazione delle Camere, si sarebbe con ciò riconosciuto al Capo dello Stato il potere di effettuare una valutazione di opportunità politica circa la concessione dei provvedimenti di clemenza. Al riguardo, benché lì orientamento dottrinale prevalente fosse orientato nel senso di attribuire soltanto al Parlamento tale valutazione, in sede di approvazione della legge di delega, così configurando come obbligatoria l’adozione dei decreti presidenziali di amnistia ed indulto, vi era chi non escludeva che la prassi applicativa della norma costituzionale avrebbe potuto avallare una diversa interpretazione, magari in reazione ad un tentato abuso del potere di clemenza ad opera del Parlamento”. 147 Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge”. L’intervento modificativo si è direzionato quindi sia sull’organo competente per la decisione sull’atto di clemenza, vale a dire il Parlamento, senza più l’interposizione del Presidente della Repubblica, che, per quanto maggiormente interessa, sul tipo di maggioranza richiesta per l’approvazione della legge passando da una maggioranza semplice pre-riforma ad una maggioranza qualificata: ora l’amnistia (e l’indulto) sono “concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale420” dell’intero testo. In conseguenza di questa modifica fortemente limitativa del potere di concessione del provvedimento, che lo ha riportato alla sua iniziale funzione di “eccezionalità e irripetibilità421”, la dottrina ha rilevato come “negli ultimi anni, invero si è assistito ad un fenomeno contrario e di regressione dell’istituto. Dall’anno 1990 ad oggi, difatti, non è stato più emanato alcun provvedimento di amnistia, anche perché il recente fenomeno di “tangentopoli” e le note vicende giudiziarie che hanno visto (e vedono ancora oggi) coinvolti taluni esponenti politici non favoriscono certo una serena rivisitazione e rivalutazione, a livello parlamentare, della natura e della portata degli atti di clemenza in generale422”. Abbandonata quindi “la via maestra dell’indulto e dell’amnistia (...) l’indulgenza collettiva si è indirizzata su figure in gran parte nuove423” ma con caratteristiche strutturali simili all’amnistia, come condoni fiscali, edilizi, e da ultimo lo stesso scudo fiscale: il suo utilizzo dunque profila il problema di una sua possibile qualificazione come mezzo clemenziale e di natura squisitamente politica in realtà impiegato dal legislatore per aggirare le difficoltà procedurali previste per l’approvazione della legge di amnistia (maggioranza qualificata di due terzi dei componenti di ciascuna camera); sorge quindi inevitabilmente per 420 Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 1355. C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1669. 422 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 125. 423 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità 421 impunità retroattiva, cit., 191. 148 di l’interprete quella domanda che costituisce il nodo centrale dei rapporti tra scudo fiscale e amnistia: lo scudo fiscale rappresenta, dal punto di vista del contenuto, una forma di “amnistia mascherata”? È chiaro che l’eventuale risposta affermativa al quesito profilerebbe quindi come conseguenza la possibile l’incostituzionalità dell’istituto, profilo di notevole portata problematica. Per risolvere il quesito e al fine di fornire un quadro generale del problema il più possibile chiaro per il lettore, sarà necessario procedere con ordine; di conseguenza si opererà in primis una breve analisi della disciplina codicistica dell’amnistia, per poi procedere ad un raffronto tra essa e le disposizioni sullo scudo fiscale al fine di individuarne i profili di corrispondenza e trarne le dovute conclusioni circa l’interrogativo sollevato. 3.2. Le forme di amnistia disciplinate nel codice penale ed il loro rapporto con lo scudo fiscale. 3.2.1. L’amnistia propria ed impropria. L’art. 151 del codice penale dispone al comma 1 che “l’amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e delle pene accessorie”; da questa previsione deriva una suddivisione dell’amnistia in due forme: propria ed impropria. La prima interviene “prima di una sentenza di condanna irrevocabile e costituisce una causa di estinzione del reato424” producendo l’effetto per cui “il reato amnistiato, dal punto di vista penalistico, si considera tamquam non esset425” tale per cui si estinguono tutte “le conseguenze penali derivanti dal reato: pena principale, pena accessoria ed ogni altro ulteriore effetto penale426”, permanendo soltanto “alcuni effetti sul piano disciplinare e civilistico427”. Dal punto di vista processuale l’effetto dell’amnistia propria “viene ad impedire l’instaurazione o la prosecuzione del processo428”, motivo per cui in dottrina si ritiene che in relazione a tale profilo l’amnistia si caratterizzi per la 424 I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 126. Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 1366. 426 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 126. 427 Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 1366. 428 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 126. 149 425 P. POMANTI, “pregiudizialità: in presenza di una causa di estinzione del reato, difatti, viene meno l’interesse dello Stato alla celebrazione del processo, tanto più nell’ipotesi di amnistia429”; la norme processuali - penali che disciplinano come debba comportarsi il giudice quando sopraggiunga l’amnistia durante il processo sono l’art. 129 c.p.p430. e l’art. 531 c.p.p431. Quando l’amnistia interviene successivamente alla condanna definitiva, questa è definita come impropria; ad essa si applicano le regole fissate per l’amnistia propria con la sola differenza che rispetto ad essa l’amnistia impropria “spiega i suoi effetti estintivi solo sulla pena, facendo cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie ma non anche gli effetti penali della condanna432”. Per quanto riguarda la scelta dei reati da amnistiare, la cui individuazione può avvenire mediante indicazione del nomen juris, o con l’indicazione del numero dell’articolo di legge, “viene riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale la più ampia discrezionalità al legislatore, fermo il limite della manifesta arbitrarietà e sempre che tale previsione non contrasti con il principio di eguaglianza o con l’art. 24 Cost.433”; sul punto, bisogna sottolineare come però non vi sia unitarietà di vedute in dottrina circa “il problematico rapporto tra amnistia e principio di uguaglianza. Il beneficio è, infatti, legato esclusivamente a circostanze temporali del tutto indipendenti dalle prestazioni dell’interessato. È chiaro che uno strappo di tal fatta sul tessuto della punibilità va alla ricerca di solide ragioni giustificative. La dottrina più seguita ha ripetutamente sottolineato 429 I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 131. Il comma 1 dell’art. 129 c.p.p. dispone che, in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il reato è estinto, lo dichiara d’ufficio con sentenza. Il comma 2 della stessa norma dispone che, qualora dagli atti risulti evidente che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p. in sede dibattimentale o di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. in sede di udienza preliminare, con la formula prescritta. 431 L’art. 531 c.p.p. dispone che, salvo quanto disposto dall’ art. 129 comma 2 c.p.p., il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo. Il giudice provvede nello stesso modo qualora vi sia il dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato. 432 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 140; si ricorda che gli effetti penali della condanna, per come definiti nel Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., nel commento all’art. 151, sono quelle “conseguenze giuridiche di carattere afflittivo diverse dagli effetti civili ed amministrativi e dalle misure di sicurezza quali per es., l’aumento di pena per la recidiva (art. 99 c.p.), la dichiarazione di abitualità e di professionalità (art. 106 c.p.p) l’impossibilità di ottenere la sospensione condizionale della pena (art. 164, n.1 c.p.), la perdita di alcuni diritti nell’ambito dei delitti contro la moralità pubblica.” 433 P. POMANTI, I provvedimenti di clemenza: amnistia, indulto e grazia, cit., 119. 150 430 P. POMANTI, che questa forma di clemenza si legittima soltanto in presenza di presupposti di eccezionalità e di irripetibilità della situazione che la partorisce. Altri ritengono che debba ostentare un’assoluta coerenza con finalità di prevenzione generale e speciale sottese alla norma penale; oppure ne individuano il fondamento nella dipendenza dall’attuale meritevolezza di pena dei reati commessi in situazioni sociale e temporali definite434”. Il comma 3 dell’art. 151 c.p. individua il momento temporale in cui si verifica l’effetto di estinzione del reato o della pena relativo alle due forme di amnistia; questo prescrive che “l’estinzione del reato per effetto dell’amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data (del decreto), salvo che questo stabilisca una data diversa”. In sostanza, e per riassumere i tratti caratteristici dell’amnistia, questa si presenta come atto di clemenza del legislatore, con il quale questi rinuncia a soddisfare la pretesa punitiva per i reati amnistiati; tale frattura della legalità si fonda su esigenze di eccezionalità ed irripetibilità della situazione desumibili dal vasto consenso parlamentare richiesto a seguito della modifica dell’art. 79 Cost. L’efficacia operativa dell’istituto è retroattiva, riguardando essa reati commessi precedentemente all’approvazione della legge che la dispone e la cui scelta è lasciata alla discrezionalità del legislatore con il limite che questa sia ragionevole e non in palese contrasto con l’art. 3 Cost., tale da evitare una “sperequazione normativa inficiata da assoluta, intrinseca irrazionalità o comunque non sorretta da alcuna ragionevole giustificazione435”. 3.2.1.1. Il confronto con lo scudo fiscale: la “mediazione fattuale” come criterio distintivo valido per distinguerlo dall’amnistia alla luce del ragionamento svolto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.369/1988. Passando ora allo scudo fiscale, non poche sono le analogie di questo con gli elementi caratteristici dell’amnistia: anche’esso, come si è visto, opera sulla punibilità (escludendola) con efficacia retroattiva, in quanto copre reati commessi precedentemente alla sua entrata in vigore; la scelta sui reati per i quali si rinuncia 434 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1669, al cui testo si rimanda per un esaustivo elenco bibliografico delle correnti dottrinali ora citate. 435 Corte Cost., Sent. 11 luglio 2000, n.298, in banca dati online www.sba.unimi.it. 151 alla punibilità è discrezionale e il limite è dato dall’identità delle finalità cui mira il provvedimento (erariali) rispetto al tipo di bene offeso dal reato (la pretesa erariale). Le motivazioni che hanno portato all’adozione sono, come si è visto nei paragrafi precedenti, individuate in situazioni eccezionali (in breve: il passaggio dal regime lira/euro nel caso del primo scudo e la crisi finanziaria del 2009). Esso appartiene grossomodo (con le dovute sfumature) alla generale categoria dei condoni; a favore della tesi di una sua legittimità e della sua differenza sostanziale rispetto l’amnistia, pare utile richiamare quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza del 1988, vera “pietra angolare” e criterio di riferimento per la giurisprudenza successiva436 in tema di rapporti tra provvedimenti premiali atipici e tipici. La Consulta ebbe a respingere le eccezioni di incostituzionalità del condono edilizio sostenendo che tale forma di impunità premiale non configurava una forma di cripto-amnistia condizionata (nel caso in esame il condono era sottoposto al pagamento di una somma a titolo di oblazione) in quanto, secondo detta sentenza, a fronte del fatto che l’amnistia produce direttamente l’effetto estintivo senza alcuna mediazione fattuale, incidendo sulla punibilità in astratto desumibile da specifiche norme incriminatrici, eventualmente con talune condizioni, “nella specie (ossia nel caso del condono edilizio), aveva proseguito la Corte, l’oblazione non estingue di per sé il reato, ma è solo l’ultimo elemento di una complessa fattispecie estintiva la quale, almeno di regola, produce un effetto estintivo (del reato) ed un effetto costitutivo437”; ne consegue che poiché gli effetti previsti dalle norme impugnata si producono soltanto a seguito della manifestazione di concreta volontà degli interessati, “tali effetti derivano da un meccanismo l’amnistia 438 onotologicamente diverso da quello con il quale opera ”. Analogo ragionamento potrà essere prodotto nel caso dello scudo fiscale, laddove l’elemento dell’oblazione sarà sostituito dal versamento dell’importo dal 2,5% al 7% delle disponibilità finanziarie 436 rimpatriate o regolarizzate, come Cfr da ultimo: Corte Cost., Sent. 28 giugno 2004, n. 196, in banca dati online www.sba.unimi.it. 437 C. Cost. Sent. 31 marzo 1988, n.369, cit. 438 Ibidem. 152 elemento ultimo della complessa fattispecie estintiva caratterizzata dalla dichiarazione riservata e i successivi adempimenti che vengono posti in essere dai soggetti intermediari abilitati alle operazioni di rimpatrio e regolarizzazione; l’importante insomma, è che “sulla base dello schema adottato dalla ricordata sentenza, il fenomeno estintivo non sia frutto di una mera previsione in astratto generalizzata ed indistinta, bensì il risultato di una complessa procedura di carattere amministrativo parametrata su determinate ipotesi concrete e riferita a determinati soggetti439”. 3.2.1.2. L’esiguità dell’importo dovuto come indice di un avvicinamento dello scudo fiscale verso forme di clemenza tipica? Una breve riflessione sul possibile impatto politico-criminale di un tipo di tassazione notevolmente bassa rispetto al premio penale. La dottrina ha dunque posto in evidenza come “è il comportamento meritorio, in definitiva, a segnare il tratto distintivo delle forme di impunità “atipica”, laddove la clemenza “tipica” evoca in defettibilmente una funzione meramente abdicativa della punizione, sorretta da intenti politici di perdono440”; il soggetto non è quindi soggetto passivo di un atto di clemenza da parte dello Stato ma attivandosi con l’adesione alle prescrizioni predisposte dal legislatore ed impegnandosi a porre in essere tutte le complesse procedure previste, al termine del percorso si “guadagna meritatamente” la non punibilità. Tuttavia vi è un elemento dello scudo, ossia la somma da pagare sul totale delle attività rimpatriate o regolarizzate, inserito all’interno del procedimento di mediazione fattuale, per il quale la dottrina ha evidenziato come la sua esiguità possa avvicinarlo alla ratio di perdono politico, tipica dell’amnistia. Al riguardo in effetti, potrebbe opinarsi che la percentuale (dal 2,5% del primo scudo al 7% dell’ultima proroga dello scudo- ter) da pagare per regolarizzare la propria situazione ed ottenere il premio penale, essendo “il prezzo dell’impunità (...) significativamente più basso di quello originariamente dovuto a 439 440 I. CARACCIOLI, Emersionismo e scudo penale, cit., C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1672. 153 11418. titolo di tributi, imposte e contributi441”, sia un “esborso disancorato da qualsiasi forma di reintegrazione dell’offesa442” tale per cui “si tradurrebbe in un baratto giustificabile solo alla luce di eccezionali motivazioni di natura politica, che obbligherebbero ad incasellare simili provvedimenti nell’ambito della clemenza tipica443”, con conseguente incostituzionalità dello scudo fiscale per mancanza del rispetto del vincolo procedurale di cui all’art. 79 Cost. Tuttavia, a suffragio della difficile risoluzione del problema, l’esiguità del prezzo da pagare non può non essere considerata, e di tal modo in un certo senso legittimata come elemento caratterizzante propriamente il provvedimento clemenziale atipico, in relazione alla finalità del provvedimento: non si può negare che “il basso prezzo dell’impunità è del resto figlio dello “sconto” praticato sul piano fiscale, previdenziale, ecc. per incentivare l’emersione, e specchio della funzione meramente sanzionatoria che il diritto penale finisce per l’assumere in determinati campi in materia444”; vi è anche chi, spingendosi oltre, ha prospettato anzi come in realtà non possa parlarsi di esiguità della somma da pagare in quanto “non appare facile scrutare il legame che intercorre tra l’illecito valutario e quello fiscale. Il legislatore ha stabilito che il secondo debba afferire alla disponibilità delle risorse, integrando uno strumento per garantirla o occultarla. La situazione di sostanziale invisibilità ostacola la possibilità di decifrare quantitativamente il legame tra la consistenza dell’illecito pregresso e l’entità delle risorse introdotte. Per superare efficacemente questo ostacolo, bisognerebbe accertare quale sia la redditività del reato tributario: un’operazione, questa, che denota difficoltà pressoché insormontabili445”. Ad avvalorare le tesi di chi ritiene il corrispettivo da versare non idoneo a fondare quelle esigenze di “cassa” a fronte delle quali viene accordato un trattamento premiale del contribuente che ha posto in essere violazioni delle norme penali tributarie in materia di evasione, vi è chi446 solleva l’ulteriore 441 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 212. 442 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1671. 443 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1671. 444 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 212. 445 C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1676. 446 Ibidem. 154 questione relativa agli esiti fortemente negativi che potrebbe produrre sull’assetto sociale una tale scelta di politica criminale costruita su un’offerta di tassazione al “ribasso” rispetto ad un allettante premio penale. Occorre in primo luogo partire da una constatazione che emerge con forza dall’analisi del sistema penale-tributario nel suo complesso ed in relazione agli altri settori del sistema penale generale e speciale: nessun impianto repressivo penale ha dovuto sopportare tanto quanto il diritto penale-tributario che la propria efficacia preventiva fosse condizionata dal succedersi nel corso degli anni di provvedimenti di clemenza (il riferimento va agli svariati e ripetuti condoni) condizionati al parziale adempimento dei propri obblighi tributari447. Proprio tale reiterata offerta di opportunità al fine di transigere illeciti pregressi “per porre una pietra sopra al passato in cambio di pochi euro448”, ha provocato il sorgere di una consapevolezza nell’evasore di uno Stato poco credibile nella sua azione di contrasto alle forme di elusione del Fisco e anzi spesso indulgente nei suoi confronti; stante la non eccezionalità di tale comportamento criminale, sul piano della prevenzione generale tale misura non trasmette all’evasore un messaggio disincentivante per porre fine alla sua condotta lesiva. “L’estinzione di una punibilità per un corrispettivo che non ha alcun rapporto reale con l’offesa realizzata e che accredita la pessima immagine di uno Stato forte coi deboli e debole coi forti449” rivela di tal modo la portata destabilizzante della pratica condonatoria e produce l’effetto paradossale di una fuga del contribuente onesto dal modello ideal- tipico di condotta funzionale al rispetto delle regole contributive, con conseguente frattura per la complessiva tenuta del medesimo sistema contributivo-sociale. Tuttavia, quanto da ultimo detto (nonché i rilievi critici mossi dalla dottrina) limita la sua portata applicativa al campo dell’analisi (e della critica) delle scelte di politica-criminale; sostenere un’illegittimità in punta di diritto della scelta sulla tassazione “al ribasso” per eventuali contrasti con i principi costituzionali appare operazione estremamente difficile alla luce del costante 447 A. MARTINI, Il diritto penale tra indulgenze e rinunce: la recente pratica dei condoni, in legislazione penale, n.2/2004. 448 A. MARTINI, Il diritto penale tra indulgenze e rinunce, cit. 194. 449 A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 93. 155 orientamento costituzionale formatosi (e riferito) e direzionato in senso opposto ai possibili rilievi critici proposti. Pertanto, se appare arduo un sindacato sulla discrezionalità del legislatore da operare in riferimento ai principi interni al sistema, vedremo nel proseguo come viceversa dal punto di vista dei vincoli comunitari la Corte di Giustizia ha espressamente censurato la scelta del legislatore, sebbene limitatamente all’iva. 3.2.2. Amnistia condizionata e scudo fiscale. L’amnistia condizionata chiude l’elenco delle tipologie di amnistie ed è disciplinata al comma 4 dell’art. 151 c.p.; questo dispone che “l’amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi” che il legislatore “nel suo potere discrezionale, ritenga utili agli scopi politici e sociali perseguiti (...) purché tale potere sia esercitato ragionevolmente e trovi giustificazione nella necessità tecnica di regolamentare in modo pratico la concreta attuazione dell’istituto450”. La condizione cui sono subordinati gli effetti estintivi può essere sospensiva o risolutiva: la prima ha l’effetto, ex art. 672 comma 2 c.p.p. di sospendere l’esecuzione della sentenza o del decreto penale fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto di concessione o, se questo non è stato stabilito, fino alla scadenza del quarto mese dal giorno della pubblicazione del decreto; una volta adempiuta la condizione l’amnistia si applica definitivamente. Nella seconda ipotesi, “se il provvedimento è stato sottoposto ad una condizione risolutiva il verificarsi della condizione comporta la revoca del beneficio e la riviviscenza, sul piano processuale, del provvedimento a partire dalla fase processuale sospesa dall’applicazione condizionale dell’amnistia451”. È evidente come tale tipologia invero pone i maggiori problemi di legittimità costituzionale dello scudo fiscale stante la difficoltà ad individuarne le differenze strutturali rispetto ad esso; se in effetti il criterio ermeneutico della mediazione fattuale utilizzato dalla Corte Costituzionale per avallare la legittimità delle pratiche condonatorie trova una sua ratio rispetto alle forme di amnistia svincolate da condizioni, rispetto all’amnistia condizionata tale criterio si mostra in apparenza debole. Ci si chiede infatti se la condizione nell’amnistia non sia 450 451 Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit.,1369. Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 1370. 156 anch’essa quell’elemento di mediazione fattuale necessario affinché possano prodursi gli effetti dell’amnistia, così come lo è la dichiarazione riservata, condizione per ottenere gli effetti premiali penali dello scudo fiscale. In effetti così come lo scudo fiscale prevede degli obblighi cui è subordinata la concessione del premio penale, anche l’amnistia condizionata viene concessa a seguito di una condotta personale, sia essa positiva o negativa che si pone come mediazione fattuale per ottenere il beneficio penale; “in questo caso, come è intuibile, esistono numerosi punti di tangenza – strutturali e funzionali – tra i provvedimenti premiali e quelli meramente clemenziali: non è un caso che si tende spesso ad intravedere nei primi il DNA dei secondi, allo scopo di evidenziarne l’aggiramento dei vincoli procedurali posti dall’art. 79 Cost.452”. Quale soluzione ha prospettato la dottrina in merito a questo problema? 3.2.2.1. Le tesi dottrinali contrarie ad una qualificazione dello scudo fiscale come una forma di amnistia condizionata “mascherata”. Secondo una prima interpretazione la distinzione tra amnistia condizionata e scudo fiscale si basa sul fatto che la condizione nell’amnistia non è un elemento necessario per la sua concessione, negando che essa possa considerarsi alla stregua di un elemento fattuale necessario per aversi l’amnistia; l’operatività dell’amnistia precede e prescinde dalla condizione, in sostanza opera ex se: nel momento in cui il legislatore decide di concederla, e fino al termine previsto la scadenza della condizione, l’amnistia produce già il suo beneficio; la condizione non ha quindi funzione mediatrice per quella “complessa procedura453” di cui si compone lo scudo fiscale perché il suo intervento, almeno fino allo scadere del termine, non è necessario per la produzione degli effetti premiali; riprendendo quanto detto dalla Corte “il decreto di amnistia, pur condizionato, determina sempre, autonomamente, l’effetto estintivo: e per tale motivo non può attribuire ad alcuna fattispecie la virtù concretamente mediatrice dell’effetto stesso454”. Di conseguenza l’atto dell’amnistia rileva (e si distingue dallo scudo) per la differente ratio clemenziale: lo Stato compie una decisone (l’atto di clemenza) 452 Fond.,funz. e limiti, cit., 1672. Fond.,funz. e limiti, cit., 1674. 454 Corte Cost., 31 marzo 1988, n.369, cit. 157 453 C. PIERGALLINI, C. PIERGALLINI, la cui efficacia è svincolata da qualsiasi fatto oggettivo (come invece la presentazione della dichiarazione riservata nello scudo fiscale); “se si vuole mantenere la distinzione tra i due paradigmi clemenziali in esame, va posto il rilievo che i provvedimenti premiali si atteggiano come manifestazione di una potestas puniendi, sia pure attuata tramite moduli di natura non repressiva. L’amnistia (...) evoca moduli di potere di clemenza, cioè di una situazione soggettiva di sovranità correlativa alla potestas puniendi. L’amnistia determina una “sospensione temporanea” della norma sanzionatoria, senza apportare alcuna modificazione nella sfera giuridica del soggetto interessato: viene semplicemente a cessare lo stato di soggezione alla potestà punitiva. Dunque, nel vigente ordinamento costituzionale l’uso della clemenza nasce senza condizione alcuna, consistendo nel mero rimetter sovrano delle pene irrogate o irrogabili (...). La presenza di eventuali condizioni (sospensive o risolutive), che aprono il campo ad un elemento meritorio, non offusca l’efficacia accidentale delle stesse455”. Seguendo tale ipotesi interpretativa dunque il soggetto che fruisce dell’amnistia è soggetto passivo: “l’amnistia, per essere chiari, non è una merce che si acquista, ma la si riceve dallo Stato, in presenza di requisiti ragionevolezza e, talvolta, dopo che vi è stata una preventiva selezione di meritevolezza rispetto ai destinatari teorici degli effetti del provvedimento. L’amnistia sprigiona i suoi effetti di per sé, autonomamente456”. Al contrario, per il soggetto fruitore dello scudo (più in generale di qualunque provvedimento premiale atipico) è necessaria una sua attivazione, che consiste nel soddisfare la condizione che si pone come causa dell’esistenza del provvedimento premiale atipico poiché senza di essa il beneficio non può essere concesso: “per contro, nei casi di clemenza atipica, la funzione premiale è causa del provvedimento legislativo: la valutazione del merito ha caratteri dinamici, nel senso che la legge ha per suo diretto obbiettivo l’attuazione del comportamento meritorio, e normalmente lo incoraggia con il meccanismo proprio della norma categorica (“se fai A puoi B”)457”. 455 456 457 C. PIERGALLINI, C. PIERGALLINI, Fond.,funz. e limiti, cit., 1674. Fond.,funz. e limiti, cit., 1673. Ibidem. 158 In sostanza “l’eventuale apposizione di una condizione all’amnistia non incide sulla morfologia dell’atto: nel momento in cui la condizione si verificherà, la conseguenza giuridica andrà riferita alla norma e non alla condizione. Il soggetto si attiva per non rimanere escluso dal beneficio che, tuttavia, è già stato concretamente disposto458”; la condizione apposta all’amnistia ha sì una funzione “incentivante: ma questa va definita come impropria ed aggiuntiva rispetto a quella sua naturale459”. Altra dottrina propone un canone interpretativo diverso; questa, chiedendosi se “la complessa serie di condotte e condizioni ostative previste per lo scudo è riconducibile alle condizioni e agli obblighi tipici dell’amnistia condizionata460” risponde in maniera affermativa. Essa afferma che “i provvedimenti premiali atipici (tra i quali lo scudo fiscale) pur essendo equiparabili quanto agli effetti alla figura dell’amnistia condizionata, e pur essendo al pari di questa subordinati a condizioni ed obblighi461” tuttavia se ne differenziano quanto a “funzione”: gli atti tipici di clemenza rivestono un significato prettamente politico, di perdono in ragione della valutazione di fattori eccezionali e tendenzialmente irripetibili che rendono inopportuna la punizione attuale di determinati fatti. Diversamente, gli atti atipici di clemenza collegano la non punibilità a condotte idonee alla reintegrazione del bene offeso o alla tutela dei beni diversi da quello protetto dalla norma incriminatrice, ma comunque interni al sistema462”. In sostanza dunque il significato della condizione o dell’obbligo come elemento fondante la fattispecie normativa non è, come per il ragionamento prima svolto, elemento che fonda la diversità tra provvedimenti tipici ed atipici; il ragionamento svolto da tale Autore fonda il discrimine tra le due figure su un piano di analisi della concreta finalità per la quale è apposta la condizione o l’obbligo: se essa è utilizzata per una provvedimento motivato da intenti politici di clemenza la misura sarà tipica, se essa è apposta per un provvedimento finalizzato alla reintegrazione di beni offesi la misura sarà atipica. 458 Ibidem. Ibidem. 460 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 205. 461 C. RUGA RIVA, Sanatorie, Condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali dell’impunità di impunità retroattiva, cit., 206. 462 Ibidem. 159 459 3.2.2.2. Criticità nelle tesi riportate. Quanto ora riportato tuttavia, non pare pienamente convincente: la tesi riportata sostiene che il beneficio nell’amnistia si verifica già nel momento in cui questa viene concessa dal legislatore o mediante in una sospensione della sentenza o del decreto penale fintantoché non venga attuata la condizione sospensiva o mediante una piena efficacia del beneficio fino al verificarsi “della condizione che comporta la revoca del beneficio e la riviviscenza, sul piano processuale, del provvedimento463”. Ma può questa sospensione della pena definirsi propriamente come beneficio? Ciò appare assai problematico. Una volta scaduto il termine senza la soddisfazione della condizione, infatti, la pena da sospesa torna ad essere eseguita, senza nessun effetto estintivo di questa nel periodo in cui essa è stata sospesa. Non potendosi parlare dunque di alcun effetto estintivo per il reato o per la pena di conseguenza la situazione in cui si trova il soggetto destinatario della sospensione di pena non è propriamente definibile come amnistia; solo qualora “alla scadenza del termine, l’interessato dimostra di aver adempiuto alle condizioni ovvero agli obblighi indicati nel provvedimento di clemenza, l’amnistia condizionata si applica pienamente e definitivamente464”. Pertanto, se porre in essere la condizione prevista determina il sorgere dell’amnistia (poiché si è detto fino al momento non avviene alcun effetto estintivo del reato o della pena), allora non si vede quale differenza possa intercorrere tra questa e gli adempimenti richiesti dallo scudo fiscale (e in generale dai provvedimenti premiali atipici) per ottenere la non punibilità. In aggiunta, si consideri che entrambe i provvedimenti sono frutto di una decisione discrezionale del legislatore: la seconda tesi, che distingue i due istituti in base alla finalità di tale discrezionalità, non pare sufficiente a reggere dinnanzi all’identità sostanziale ora evidenziata. 4. I profili di irragionevolezza ex art. 3 Cost. nella scelta di escludere le società dal novero dei soggetti premiati dallo scudo fiscale. 463 464 Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., 1370. Digesto delle discipline penalistiche, voce “amnistia”, UTET, 1986, 6. 160 Si è prospettato nelle conclusioni relative al tema dei rapporti tra scudo fiscale ed amnistia condizionata la possibilità di un estensione in bonam partem dell’effetto premiale della disciplina dello scudo anche alle società; si è visto tuttavia come tale ipotesi sia destinata a rimanere tale, oltre che per le evidenti censure per illegittimità costituzionale dello scudo qualora fosse qualificato come amnistia condizionata in quanto approvato aggirando i vincoli procedurali dell’art. 79 Cost., in ragione anche della precisa scelta del legislatore di escludere le società come soggetti fruitori delle misure premiali penali previste dallo scudo fiscale. A questo proposito, un interrogativo sorge spontaneo per l’interprete: ci si chiede se siffatta scelta presenti dei profili di criticità rispetto a principi costituzionali, la cui osservanza si pone per il legislatore come criterio-guida fondamentale nella formulazione e per la legittimità della legge; tanto più il legislatore interviene in una materia, come quella penale, suscettibile di produrre effetti che vanno ad incidere su libertà fondamentali per l’individuo, quanto più sorge per l’interprete l’esigenza del vaglio di coerenza della legge ordinaria con i principi supremi dell’ordinamento. Siffatta considerazione, in termini specifici relativi alla disciplina dello scudo fiscale, può farsi anche rispetto alle società, nei confronti delle quali gli effetti di sanzionatori previsti nella legge che ne disciplina la responsabilità amministrativa derivante da reato possono paragonarsi, per la loro gravità e temibilità (si pensi all’ipotesi dell’interdizione dall’esercizio dell’attività o al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, previste rispettivamente alla lettera b) e c) del comma 2 dell’art. 5 del D.lgs. 231/2001), alle privazioni della libertà personale per il soggetto- persona fisica. 4.1. Breve excursus sul criterio di ragionevolezza-uguaglianza. Nello specifico, il parametro costituzionale suscettibile di essere chiamato in causa, in quanto violato dall’esclusione delle società dal novero dei soggetti beneficiari della disciplina disposta dallo scudo fiscale sarebbe evidentemente il 161 principio di eguaglianza-ragionevolezza465, contenuto nell’articolo 3 della Costituzione. Prima di procedere è necessario tuttavia un chiarimento preliminare: l’utilizzo di tale criterio, e più in generale l’oggetto della problematica posta nel paragrafo, non sono funzionali ad esprimere “un giudizio sull’equità o sulla giustizia della legge, o anche sul merito di essa466”, essendo, come precisato in proposito dalla Corte467,“estraneo al sindacato di legittimità costituzionale ogni indagine volte ad appurare se la legge sia giusta, equa, opportuna, completa, tecnicamente ben fatta, campo, questo riservato all’esclusivo apprezzamento del legislatore468”; l’indagine e la critica alla presunta “ingiustizia” o meno sulla scelta del legislatore è, come ribadito altrove, riservata alla materia politica che esula dal tema oggetto dell’elaborato. Si passi quindi ora a rintracciare, seppur brevemente, la caratteristica del giudizio di eguaglianza-ragionevolezza e la sua struttura, la cui ricognizione è necessaria per una maggiore chiarezza espositiva finalizzata ad un’applicazione di questo canone ermeneutico alla fattispecie di scudo fiscale; suddetto canone è duplice: la sua struttura si ricava mediante un’esegesi che parte dal principio di eguaglianza e viene trasposta poi al principio di ragionevolezza, secondo uno schema di studio utilizzato dallo scrivente che può definirsi di tipo “progressivo”. Partendo dall’eguaglianza quindi, la dottrina rileva come questa “può assumere varie forme. Una prima distinzione discende dall’applicazione delle 465 Cfr: R. BIN, “Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale”, Milano, 1992; V. ANGIOLINI, “Costituzione tollerante, costituzione totale ed interpretazione della disciplina della libertà”, in R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale ad una svolta, Torino, 1991, 31 ss.; AA.VV., “La discrezionalità del legislatore nella giurisprudenza della Corte Costituzionale”, 1988-1998, a cura di M. SCUDIERO E S. STAIANO, A. M. SANDULLI, “Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza Napoli, 1999; costituzionale”, in Scritti giuridici, Napoli, 1990, 683 ss.; A. MOSCARDINI, “ratio legis” e valutazione di ragionevoleeza della legge”, Torino, 1996; G. SCACCIA, “Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizion costituzionale”, Milano, 2000; A. VESPASIANI, “Interpretazioni del bilanciamento dei diritti fondamentali”, Padova, 2002. 466 Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE- R. BIN, cit., 22. 467 Si vedano: Corte Cost. n.46/1959, in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.118/1957 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.5/2000 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.264/2006 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.342/2006 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.98/1975 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.26/1979 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n.44/1990 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it; Corte Cost. n. 47/1991 in banca dati online dejure, www.sba.unimi.it. 468 Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE- R. BIN, cit., 22. 162 regole di giudizio che sin dalle prime pronunce la Corte ha provveduto a individuare. Se eguaglianza significa trattare in modo eguale situazioni eguali, (...) tendenzialmente sono illegittime le norme che istituiscono un trattamento differenziato tra situazioni uguali469”; come correttamente sottolineato dalla dottrina ora riferita, “la deroga non è di per sé illegittima, ma lo è quando essa è ingiustificata, cioè quando una certa situazione, pur assimilabile a quella fatta oggetto di diversa (e più favorevole disciplina), è soggetta ad una regolamentazione diversa (e deteriore)470”. Sulla base di tali premesse, viene costruita la struttura del giudizio che può definirsi relazionale e segue uno schema ternario: relazionale, in quanto la valutazione di eguaglianza avviene mediante una “valutazione interna all’ordinamento (...) in rapporto alla disciplina che l’ordinamento ha riservato, ad altro riguardo, alla medesima fattispecie471”; a schema ternario in quanto costruito, “a differenza del normale caso dell’incostituzionalità materiale, che deriva da un rapporto binario tra la norma costituzionale e quella ordinaria” in siffatto modo: “la norma legislativa da valutare, un’altra norma giuridica di raffronto e il principio costituzionale di razionalità che impone l’eliminazione della norma irrazionale. Ciò che vi è di caratteristico è l’esistenza necessaria di un tertium comparationis rappresentato da una norma che, usata come pietra di paragone, consenta di cogliere la rottura dell’ordinamento472”. La progressione nell’analisi del principio, chiama ora in causa il principio di ragionevolezza; questo è utilizzato dal giudice costituzionale per integrare il giudizio di uguaglianza sulla norma tacciata di illegittimità: il giudizio di ragionevolezza utilizza lo stesso schema di analisi di contraddizione tripartita del giudizio di uguaglianza “puro”, ma rispetto ad esso compie il raffronto non “tra due valutazioni contrarie dell’ordinamento sulla medesima fattispecie, ma tra valutazioni che riguardano fattispecie diverse tra le quali si vuole istruire una analogia473”; di conseguenza, la valutazione dei profili di irragionevolezza e la 469 Ibidem. 470 G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, il Mulino, 1988, 151. Ibidem. 472 G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit., 151. 473 G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit., 154. 163 471 declaratoria medesima di irragionevolezza è fondata non su una rottura, ma su un’assenza di “plausibilità474”, di “giustificatezza delle scelte legislative475”. 4.2. L’applicazione del principio alla disciplina dello scudo fiscale nel confronto con la disciplina della responsabilità amministrativa delle società per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Si provi ora a traslare la procedura di comparazione individuata per il giudizio di uguaglianza-ragionevolezza allo scudo fiscale; dato per pacifico che sarà l’articolo 3 Cost. a fungere da tertium comparationis, devono quindi individuarsi le due fattispecie diverse tra cui istituire l’analogia. La prima fattispecie è per l’appunto costituita dalla legge sullo scudo fiscale e precisamente oggetto d’indagine comparativa è la norma di cui all’art. 8 comma 6 lett. c) della legge finanziaria 2003, cui rimanda l’art. 13- bis del D.L.78/2009 della legge sullo scudo, che disciplina gli effetti dello scudo fiscale; questa dispone che nei confronti dello scudante, è prevista la non punibilità per una serie di reati: reati tributari, di falso codicistico e societario, se queste ultime due fattispecie sono in connessione teleologica con i reti tributari. Si prenda dunque in considerazione la seconda fattispecie del giudizio tripartito: il D.lgs 231/2001, legge che disciplina la responsabilità amministrativa delle società per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato; specificamente, gli artt. 5 e 6 della legge, che prevedono la responsabilità dell’ente quando i soggetti “apicali” (posti al vertice della società le cui funzioni sono descritte alla lettera a) dell’articolo 5), commettono reati nel suo interesse o vantaggio in quanto la società non ha adottato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire i reati commessi. Per verificare se possono verificarsi analogie tra le due previsioni (non punibilità/punibilità per identiche fattispecie di reato senza che il fine del rimpatrio possa essere ratio tale da giustificare ragionevolmente la differenziazione di trattamento punitivo) occorre fare un esempio pratico, punto di partenza specifico da cui induttivamente risalire alla regola generale: l’amministratore delegato della società Alfa distrae soldi dal bilancio della società 474 475 Ibidem. Ibidem. 164 e li deposita su un conto estero a lui intestato al fine di occultare una dichiarazione infedele della società medesima; il reato compiuto dall’amministratore fonda una responsabilità della società perché è commesso nell’interesse di questa: falsificando il bilancio alla società verrà effettuato un prelievo fiscale sulla base di una dichiarazione che risulterà vera agli occhi del fisco, nonostante essa contenga elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale. Sia all’amministratore che alla società potrà essere contestato il reato di false comunicazioni sociali; ma l’amministratore può, scudando, ottenere la non punibilità, mentre per la società permane la responsabilità. Guardiamo ora le norme in comparazione. Abbiamo due valutazioni: punibilità e non punibilità; esse riguardano fattispecie diverse, una attiene alla legge sullo scudo fiscale e l’altra alla legge che disciplina la responsabilità delle società. Queste due fattispecie sono analoghe in relazione solo allo specifico reato di falso in bilancio. Quale ragionevole, plausibile criterio quindi può differenziare l’esclusione delle società dalla disciplina? Peraltro, ragionando in un ottica elementarmente proporzionale più grandi sono le società, maggiore è il capitale di cui dispongono, maggiore sarà l’evasione che queste potranno perpetrare; di conseguenza maggiore sarà il gettito ricavabile dallo Stato applicando ad esse lo scudo fiscale. La loro esclusione dal novero dei soggetti beneficiari si rivelerebbe quindi irragionevole in quanto proprio in contrasto con la stessa ratio del provvedimento, che attua una rinuncia della punibilità, motivata da esigenze economiche, ma senza un criterio economico efficiente e anzi diseguale in quanto prevede un trattamento punitivo irragionevolmente diverso in relazione a fattispecie analoghe. Quali strumenti potrebbero utilizzarsi per rimediare a tale disparità? 165 Ci pare che l’unica strada percorribile consista in una richiesta di sentenza additiva in bonam partem che estenda l’effetto dello scudo anche alle società. Si ritiene che non potrebbe invocarsi la declaratoria di incostituzionalità della previsione contenuta nello scudo a causa della mancata estensione in bonam partem della causa di estinzione del reato al concorrente; ciò in quanto la stessa legge sulla responsabilità delle persone giuridiche prevede due ipotesi eccezionali (ed in quanto tali per l’appunto non estendibili) all’art. 8 per cui permane la responsabilità dell’ente anche quando a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile o b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia (corsivo aggiunto). Proseguendo nel ragionamento, secondo tale articolo solo una qualificazione dello scudo come amnistia (condizionata) potrebbe motivare una seconda censura di illegittimità della norma contenuta in esso nella parte in cui non prevede l’estensione della causa estintiva; tuttavia se così fosse la legge di scudo sarebbe già di per sé incostituzionale in quanto approvata senza il rispetto dei vincoli procedurali previsti nell’art. 79 Cost. 5. Scudo fiscale e vincoli comunitari. 5.1. Le riserve sullo scudo fiscale sollevate dalla Commissione Europea e le risposte del governo. I primi dubbi su aspetti problematici dello scudo in riferimento alla disciplina comunitaria sono stai avanzati dalla Commissione europea durante il periodo di discussione del primo scudo fiscale nel 2001; la Commissione è l’istituzione che “rappresenta il perno del sistema comunitario (...) chiamata a esprimere il principio di sovra nazionalità e a rappresentare l’interesse generale della Comunità in quanto tale476”. Proprio in relazione alle sue funzioni di sorveglianza “sulla corretta applicazione del diritto comunitario477” in vista del suo ruolo atto ad “assicurare il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune nella Comunità478” essa è 476 G. STROZZI, Diritto dell’unione europea, Torino, G. Giappichelli Editore, terza edizione, 108. 477 Ibidem. 478 Ibidem. 166 stata la prima istituzione a chiedere dei chiarimenti allo Stato italiano sulla normativa relativa allo scudo fiscale del 2001, avendo ritenuto utile promuovere un dialogo con i tecnici del Ministero delle Finanze al fine di prendere posizione su un’iniziativa del governo potenzialmente in rischio di porsi in contrasto con il diritto comunitario. Un primo contatto tra tecnici del Ministero delle Finanze e funzionari della Commissione europea risale ad ottobre dell’anno 2001, mediante un procedimento che è stato definito “pre-confidenziale479”, dovendosi fare riferimento a notizie della stampa480 nell’esaminare il giudizio della Commissione, e che si è concluso con l’approvazione, altrove definita enfaticamente “benedizione481” del provvedimento da parte degli esperti di Bruxelles i quali non hanno rilevato in esso la presenza di elementi in violazione della legislazione comunitaria. La Commissione aveva infatti inviato una lettera al Ministero dell’economia e delle finanze in cui chiedeva delucidazioni in riferimento particolarmente a tre rilievi che avevano creato perplessità presso la Commissione stessa: • La previsione (contenuta nel provvedimento del 2001 ma non riproposta nello scudo-ter) che l’opzione per il contribuente di sottoscrivere, in alternativa al pagamento della sanzione del 2,5% finanziarie delle disponibilità rimpatriate o regolarizzate, particolari titoli di Stato della durata di dieci anni con un rendimento dell’1,9% annuo potesse porsi come discriminazione nei confronti degli altri Stati membri risultando come vantaggio garantito alle emissioni italiane rispetto a quelle di altri paesi europei. • La previsione che l’esclusiva abilitazione per i soli intermediari finanziari residenti in Italia ad effettuare le operazioni di rimpatrio e regolarizzazione risultasse indice di un trattamento differenziato per gli intermediari ed i clienti di banche che non avessero filiali in Italia • L’anonimato garantito solo a chi fa rientrare i capitali in Italia rispetto a chi voglia regolarizzare la sua posizione all’estero, che veniva ritenuta 479 E. BRIVIO, L’Europa approva lo scudo fiscale, cit., 23. 480 Ibidem. 481 Ibidem. 167 come trattamento discriminatorio nei confronti di soggetti destinatari di una medesima disciplina. I tecnici del ministero hanno dunque risposto ai quesiti evidenziando come in relazione al primo punto, la previsione della sottoscrizione di titoli di Stato innanzitutto non è un obbligo ma si inscrive in una facoltà di scelta alternativa al pagamento della sanzione e ulteriormente si tratta di titoli a rendimento molto basso che non sono in concorrenza con altre emissioni; l’introduzione del requisito della residenza poi, è stato giustificato sulla base del fatto che la natura stessa di queste operazioni, essendo collegate a questioni fiscali, giustifica la scelta del legislatore italiano in guisa del potere sovrano di cui dispongono gli Stati in materia di legislazione fiscale, per come disposto ex art. 58 Trattato482 . Infine per quanto attiene all’ultima censura, relativa alla previsione di anonimato per i soli contribuenti che rimpatriano, il trattamento diseguale non rappresenta una discriminazione voluta ma è insita nel diverso modo di operare delle due varianti: nel nostro paese le banche già operano il sostituto d’imposta obbligatorio, all’estero, invece, se i titolari dei conto bancari non sono conosciuti, lo Stato in genere non può intervenire per tassarli483. 5.2. I perduranti dubbi di conformità comunitaria in relazione all’art. 56 Trattato CE. Nonostante i dubbi sollevati da parte degli organi comunitari, le risposte del governo italiano sono state giudicate soddisfacenti, in quanto non è stata posta in essere una procedura di infrazione ufficiale parte dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per violazione della normativa comunitaria484. 482 P. HILPOLD, Lo scudo fiscale: aspetti di diritto costituzionale e di diritto comunitario, cit., 1729. E. BRIVIO, L’Europa approva lo scudo fiscale, cit.. 484 S. BOLIS, Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, cit.; E. BRIVIO, L’Italia al contrattacco, in Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2001; Redazione, Lo scudo fiscale è ok, in Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2001; I. CARACCIOLI, Condono senza effetti penali, in Il Sole 24 Ore, 1 novembre 2010; S. RIONDATO, Corte europea, Grande sezione, 17 luglio 2008, C132/2006, in Diritto penale e processo, n.10/2009, 1308; B. SANTACROCE, Lo scudo non è un condono, in Il Sole 24 ore, 22 ottobre 2009, in banca dati online www.sba.unimi.it; P. HILPOLD, Lo scudo fiscale: aspetti di diritto costituzionale e di diritto comunitario,cit.; M. BELLINAZZO, La Gdf 483 va in pressing per i controlli sullo scudo, cit.; Idem, Un milione di contribuenti a rischio sul condono iva, cit.; Idem, Le categorie: stop alle verifiche, in Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2010; C. PIOLA, Scudo fiscale e iva. La giurisprudenza comunitaria e i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, in www.solmap.it. 168 Tuttavia la riflessione dottrinale formatasi in riferimento a possibili incompatibilità dello scudo fiscale in relazione alla normativa comunitaria, bisogna rilevare come questa si sia concentrata soprattutto su un aspetto, ossia quello relativo alle possibili conseguenze per i soggetti che hanno scudato derivanti dalla pronuncia di illegittimità, dichiarata in una recente sentenza della Corte di giustizia europea, della norma relativa agli effetti premiali dei condoni del 2003; ciò in quanto tale norma è richiamata espressamente dalla legge sullo scudo fiscale, e disciplina gli effetti premiali penali, amministrativi e tributari di esso anche in relazione all’Iva, tributo nei confronti del quale opera l’ombrello protettivo dello scudo; siffatto aspetto è ricco di notevoli implicazioni generali che verranno trattate in maniera approfondita nel proseguo. Prima di affrontare tale questione è opportuno evidenziare i dubbi avanzati dalla dottrina485 in riferimento ad una presunta violazione del principio di libera circolazione dei capitali operato dalla legge sullo scudo fiscale. Il riferimento normativo al principio ora citato e contenuto nell’ art. 56 del Trattato CEE; questo nei suoi due commi dispone che sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi e che sono altresì vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi; siffatto articolo, assieme alle disposizioni sulla libertà di stabilimento affermata dall’art. 43 del Trattato o sulla libertà da parte di operatori comunitari di prestare servizi transnazionali senza stabilirsi nella giurisdizione di riferimento ai sensi dell’art. 49 del Trattato, è l’esplicazione di quei principi generali, su cui si basa la costruzione dello spazio economico europeo, afferenti alle libertà economiche fondamentali che “garantiscono agli operatori economici opportunità di sviluppo per i loro investimenti nel mercato comune allargato in condizione di neutralità concorrenziale, limitando le ingiustificate ingerenze dei sistemi fiscali nazionali nella concorrenza su mercati sempre più globali486”. L’articolo 56 del Trattato, in sostanza, avverte il legislatore nazionale che qualora questo predisponga “norme nazionali che rendano più oneroso o anche 485 486 P. R. MACCANICO, P. R. MACCANICO, Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale, in il fisco, n.37/2009. Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale,cit., 6074. 169 solo meno interessante il trasferimento all’estero di capitali487” porrà in essere una restrizione alla libera circolazione di capitali e una violazione dell’art. 56 del Trattato cui dovrà rimediare secondo le regole proprie del diritto comunitario. Tali regole prevedono che, contro le misure nazionali, se ritenute discriminatorie o restrittive, “la Commissione può promuovere di propria iniziativa o su ricorso di uno Stato membro ovvero di terzi interessati una procedura a carico dello Stato membro interessato per inadempimento, a norma dell’art. 226 del Trattato CE. (...) L’eventuale vertenza scaturente dalla procedura è di competenza della esclusiva della Corte di Giustizia488”; questa dunque “decide se sussista o meno la violazione489” e in caso di risposta affermativa, “lo Stato membro ha l’obbligo di porre immediatamente rimedio alla violazione contestata. Se esso non si conforma alla sentenza della Corte, la Commissione può imporre una seconda sentenza, su ricorso promosso dalla Commissione nei confronti dello Stato che abbia mancato ai suoi obblighi490” che si sostanzia nel “pagamento di una somma forfettaria e di una penalità ex art. 228 CEE491”. La dottrina che critica l’incompatibilità dello scudo fiscale con la disciplina comunitaria in sostanza poggia le sue osservazioni sulla violazione dell’art. 56 del Trattato; questa sostiene che poiché “l’imposta straordinaria si applica esclusivamente per violazioni che sono obiettivamente riferibili ad investimenti all’estero492”, questa “potrebbe risultare discriminatoria nei confronti degli investimenti in altri paesi membri, nonché nei paesi Terzi493”; lo scudo fiscale quindi, ad avviso di tale Autore, prevedendo una tassazione dei capitali detenuti all’estero di tipo forfettario e di molto inferiore rispetto a quella normalmente applicata ad essi produce l’effetto per cui il loro mantenimento all’estero risulterebbe più oneroso, risultando così misura discriminatoria. Vi è tuttavia una norma, l’art. 58 del Trattato CEE, che garantisce il diritto degli Stati membri ad applicare disposizioni fiscali che possono operare 487 Ibidem. 488 P. R. MACCANICO, Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale,cit., 6075. Ibidem. 490 Ibidem. 491 Ibidem. 492 P. R. MACCANICO, Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale, cit. 6077. 493 Ibidem. 170 489 legittimamente distinzioni tra i contribuenti a seconda del luogo di collocamento dei loro capitali; tale distinzione, con il limite che non sia arbitrariamente discriminatoria, può avvenire solo se la disposizione che la prevede sia qualificabile come una misura fiscale, o come una misura necessaria per prevenire le violazioni della legislazione fiscale nazionale, o infine come una misura giustificata da motivi di ordine pubblico e sicurezza. Procedendo con ordine, la dottrina critica rileva come tuttavia lo scudo fiscale non possa essere inquadrato in nessuna di queste “cause di giustificazione”: per quanto attiene alla sua possibile qualificazione come misura fiscale, tale dottrina la nega “in quanto (lo scudo) non tende a tassare i redditi degli investimenti detenuti all’estero, ma solo a transigere violazioni dell’obbligo di monitoraggio indipendentemente dal fatto che i capitali detenuti all’estero siano oggetto di imposizione in Italia494”. Per quanto concerne la qualificazione dello scudo come misura necessaria per prevenire le violazioni della legislazione fiscale nazionale, “lo scudo non sembra configurabile come misura antievasione in quanto esso non è finalizzato a reprimere, né prevenire violazioni, quanto piuttosto a sanarle, limitando le conseguenze legali dell’emersione di attività dichiarate in cambio del versamento dell’imposta straordinaria e garantendo l’anonimato dell’aderente e quindi rinunciando a precise garanzie circa il pagamento di imposte future495”; se davvero il legislatore avesse voluto inquadrare lo scudo fiscale come misura finalizzata alla lotta all’evasione, questi avrebbe dovuto modificare l’impianto normativo dell’istituto prevedendo “per coloro che hanno tenuto capitali all’estero, la possibilità di manifestarsi per far emergere i loro investimenti all’estero attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa dei redditi non dichiarati negli anni d’imposta coperti dallo scudo, e scomputando le imposte eventualmente sopportate in via definitiva all’estero496” di modo che “tale aggiuntiva modalità di emersione permetterebbe infatti di confermare che la 494 Ibidem. Ibidem. 496 P. R. MACCANICO, Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale, cit. 6081. 171 495 finalità prima dello scudo è quella di combattere l’evasione fiscale internazionale497”. Infine la giustificazione relativa ad una qualificazione della misura come motivata da esigenze di ordine pubblico risulta dubbia per tale dottrina che ha messo in evidenza come “è difficile stabilire la pertinenza nonché la proporzionalità del pagamento volontario ed anonimo dell’imposta straordinaria in questione rispetto all’obbiettivo di certezza giuridica che la misura dovrebbe essere orientata a conseguire498”, concludendo come “il carattere discriminatorio dell’imposta speciale sembrerebbe quindi confermato499”. 5.3. La possibile illegittimità dello scudo alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia sul condono iva del 2002. Si sono illustrati brevemente i problemi posti dalla dottrina in relazione ai possibili contrasti tra scudo fiscale le norma del Trattato in materia di libertà di circolazione dei capitali; a fronte di tali dubbi sorti in sede ermeneutica, tuttavia, nelle concrete dinamiche del dibattito avvenuto in sede istituzionale la posizione dell’Europa, per le prime due versioni dello scudo, è risultata favorevole alla misura posta in essere dal governo, risultando valide le motivazioni addotte dai tecnici del governo sulla necessità di siffatta scelta e soprattutto sulla mancanza di profili di illegittimità della normativa nei confronti del diritto comunitario. A testimonianza della generale validità e conformità della misura alle prescrizioni della normativa comunitaria milita il fatto che anche altri Stati europei, proprio sull’esempio italiano, hanno adottato lo scudo fiscale, sebbene ciascuno lo abbia fatto con le sue particolarità500. 497 Ibidem. 498 P. R. MACCANICO, Compatibilità comunitaria dello scudo fiscale, cit. 6077. Ibidem. 500 Si veda: P. PANICO, Sotto lo scudo fiscale belga più spese e meno riservatezza, in Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2003; B. ROMANO, Germania, capital gain nel mirino, in Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2003; A. GERONI, Ora Schroder punta allo scudo fiscale, in Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2002; B. ROMANO, Berlino pensa allo scudo fiscale, in Il Sole 24 Ore, 30 luglio 2002; A. GERONI, Germania, sì allo scudo fiscale, in Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2002; B. ROMANO, Schroder: Scudo fiscale con tasse al 25%, in Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2002; S. BOLIS, Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, cit. che a nota 36 rileva come “In Francia la Regularisation des avoir à l’etrangèr è disposta in via amministrativa e non è consentito l’anonimato ed è richiesto il pagamento immediato delle imposte dovute in relazione ai capitali, nonché degli interessi e delle sanzioni amministrative. Le sanzioni vanno concordate con l’amministrazione e possono arrivare fino all’80% delle imposte evase. Come è stato specificato 172 499 I profili di criticità che potranno invece avere un riscontro reale sulle posizioni dei contribuenti che sono ricorsi allo scudo fiscale, e la cui soluzione non è allo stato attuale ancora ben definita, sono in realtà sorti in connessione ad un’altra vicenda, questa sì foriera di notevoli contrasti tra Commissione europea e Stato Italiano, nonché tra diritto interno e diritto comunitario, relativa all’intervento della Corte di Giustizia, che in una recente sentenza ha dichiarato l’incompatibilità con la disciplina comunitaria in materia di Iva previsto di due fattispecie di condono tributario, previste agli artt. 8 e 9 della già citata L.289/2002 (legge Finanziaria del 2003); nello specifico, l’articolo 8 al comma 6 lettera c) dispone gli effetti premiali penali, amministrativi e tributari che si sanano la posizione del contribuente anche in relazione alle violazioni compiute in materia di iva. Gli effetti sono gli stessi che si verificano a seguito del perfezionamento della procedura di scudo fiscale, cui la legge rimanda espressamente; di conseguenza la declaratoria di illegittimità dell’articolo coinvolge anche la disciplina sullo scudo fiscale. Nei paragrafi che seguono dunque si procederà seguendo un ordine logico impostato su due sezioni. Nella prima si analizzerà la vicenda e i suoi riflessi nell’ordinamento italiano: verranno dunque brevemente riassunte le due posizioni degli attori in causa (Commissione contro Italia); si proseguirà con l’esposizione dettagliata della sentenza emessa dalla Corte e quindi, di seguito, si illustrerà brevemente la ripercussione di quanto statuito della Corte nell’ordinamento interno alla luce delle due sentenze della Cassazione civile. La seconda sezione si interrogherà, in linea con il leitmotiv dell’elaborato, sui possibili riflessi della sentenza della Corte in ambito penale, stante il fatto che si pone la possibilità per cui, una volta caduta la copertura del condono, il reato nel testo di legge, la regolarizzazione non è un’amnsitia fiscale, infatti evita solo le conseguenze penali e comporta normalmente una riduzione delle sanzioni amministrative, con la condizione necessaria per accedere alla regolarizzazione, che le somme non provengano da attività illegali, criminali e terroristiche. Nel Regno Unito, la Her Majesty’s Revenues and Customs (Hmrc), l’amministrazione finanziaria di sua Maestà, (...) non ammette l’anonimato, anzi ha previsto la pubblicazione dei nomi dei contribuenti che hanno commessogli illeciti più rilevanti; (...) è necessario il pagamento di tutte le imposte sui redditi (più gli interessi) relative ai rendimenti di tutte le attività non dichiarate per i 20 anni precedenti, ridotti a 10 in caso di attività detenute nel Liechtenstein, con cui è stato firmato un accordo ad hoc. Le sanzioni sono ridotte al 10% delle imposte dovute ed è necessaria una piena autodenuncia di tutti i debiti fiscali non dichiarati, non solo di quelli relativi a conti o a attività offshore”. 173 fiscale relativo alle annualità condonate possa o meno tornare ad essere punibile501; fin dove può giungere la forza prescrittiva delle sentenze della Corte europea? È questa tale da contravvenire anche i principi costituzionali (e la costante giurisprudenza della corte costituzionale formatasi in merito) che fissano i principi di irretroattività della norma penale sfavorevole? È tale principio stato mai messo in dubbio dalla Corte mediante sentenze che abbiano disposto effetti di riespansione in malam partem di fattispecie penalmente rilevanti i cui effetti erano stati neutralizzati dalla norma dichiarata illegittima? 5.3.1. Le motivazioni delle contestazioni mosse dalla Commissione e la difesa italiana. Prima di riportare quanto deciso dalla Corte di Giustizia, è necessario ripercorrere brevemente le contestazioni mosse dalla Commissione per mezzo del suo avvocato generale, nonché le motivazioni addotte dalla Repubblica Italiana a sostegno della legittimità delle misure di condono utilizzate nel 2003. La Commissione “contestava che, nei limiti in cui riguarda l’Iva, il condono contravveniva alle prescrizioni dell’art. 2 della Vi Direttiva, che prevede la tassazione delle operazioni, e dell’art. 22, diretto a imporre vari obblighi in merito alla dichiarazione e al pagamento dell’’Iva502”; la Commissione sosteneva che “le disposizioni controverse fanno subentrare ai normali rapporti giuridici connessi al debito IVA nuovi rapporti che estinguono definitivamente tale debito, sostituendolo con un diverso obbligo di corrispondere importi del tutto scollegati da quelli che dovrebbero essere accertati e versati in forza dell’ordinaria normativa in materia di IVA503”. Per tale motivo il condono operato nel 2003 era ritenuto dalla Commissione come “una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di accertamento e verifica, laddove ai sensi della direttiva ogni accordo di condono raggiunto con i contribuenti dovrebbe essere deciso caso per caso504” verificandosi così “una grave alterazione del principio di neutralità dell’Iva e di parità di trattamento tra soggetti passivi505”. 501 502 I. CARACCIOLI, Condono senza effetti penali, cit. S.BOLIS, Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, cit. http://www.giustiziatributaria.it/banca_dati/conclusioni_avvocato_generale.html 504 Ibidem. 505 Ibidem. 174 503 La legittimazione della Commissione a ricorrere ai giudici europei invocando una violazione del diritto comunitario deriva del fatto che l’Iva “rappresenta una delle risorse proprie della comunità ed è uno strumento essenziale al corretto funzionamento del mercato interno, espressamente riconosciuto con l’emendamento all’art. 113 del TfUE dal Trattato di Lisbona. Infatti, dai “considerando” della VI Direttiva emerge chiaramente che: • Le risorse proprie della Comunità comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’imposta sul valore aggiunto e ottenute mediante applicazione di un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie; • È opportuno (...) garantire la neutralità del sistema comune di imposte sulla cifra d’affari in ordine all’origine dei beni e delle prestazioni di servizi, onde realizzare a termine un mercato comune che implichi una sana concorrenza e presenti caratteristiche analoghe a quelle di un vero mercato interno; • Gli obblighi dei contribuenti debbono essere, per quanto possibile, armonizzati, per assicurare le garanzie necessarie a una riscossione equivalente dell’imposta in tutti gli Stati membri506”. In sostanza, avverso le contestazioni mosse l’Italia si difendeva sostenendo che “si può far ricorso al condono solo entro determinati limiti e che esso costituisce una misura effettiva, che rientra nel margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri, finalizzata a garantire il recupero di somme che altrimenti le autorità dovrebbero considerare perse507”; la posizione italiana dunque poneva l’accento sul fatto che il condono Iva è una misura che deve essere “considerata unicamente nella sua dimensione nazionale508” in quanto misura finalizzata al recupero delle risorse; la Commissione, pur non mettendo “in discussione che essi (gli Stati) godono di un certo margine di discrezionalità in merito a come dispiegare le risorse a loro disposizione nel modo più efficace possibile509”, tuttavia riteneva che tale libertà relativa al modo di utilizzare i 506 S. BOLIS, Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, cit. 507 Ibidem. 508 Ibidem. 509 Ibidem. 175 mezzi a loro disposizione “è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro510”. In sostanza la Commissione non assumeva una posizione “contro i condoni Iva in assoluta, ma la sua critica risulta veemente per quanto riguarda la forma adottata dalle disposizioni controverse511”. 5.3.2. L’intervento della Corte di giustizia europea in materia di Iva: la sentenza C-132/06 e la ricezione dei principi in essa contenuti da parte della Cassazione in due recenti sentenze. La Corte di Giustizia quindi riprendeva i ragionamenti e le conclusioni svolte dall’avvocato generale della Commissione europea sopra riportate, dichiarando che “la VI Direttiva deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’Iva, in base al quale gli operatori che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’Iva512”. Nello specifico la Corte ha ritenuto come “gli artt. 8 e 9 della l. 289/2002, svuotano di contenuto gli articoli della VI direttiva, che sono alla base del sistema comune dell’Iva. Il significativo squilibrio tra la base degli importi dovuti e quelli corrisposti dai contribuenti che intendono beneficiare del condono conduce ad una quasi-esenzione fiscale513”; il giudizio della Corte dunque è molto deciso e severo: non solo essa qualifica in sostanza le misure di condono in relazione ai profili fiscali utilizzando un termine definitorio di portata assolutamente negativa (“quasi-esenzione fiscale”), ma ritiene inoltre che il condono produca un duplice effetto deviante da un punto di vista di efficacia general preventiva del sistema nonché di politica criminale. Ciò in quanto, ad avviso della Corte, per il primo dei due effetti riferiti “i contribuenti in Italia possono attendersi di non dover versare una parte significativa dei loro oneri fiscali514”; in riferimento poi ai riflessi fallimentari in campo di politica 510 Ibidem. http://www.giustiziatributaria.it/banca_dati/conclusioni_avvocato_generale.html. 512 S. RIONDATO, Corte europea, Grande sezione, 17 luglio 2008, C-132/2006, cit. 1308. 513 Ibidem. 514 Ibidem. 176 511 criminale i problemi sorgono relativamente alla lotta contro la frode, “obbiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva, che invita espressamente gli Stati membri a stabilire, all’occorrenza, altri obblighi pere evitare le frodi. Secondo la Corte, la legislazione italiana produce un effetto contrario a tale obbiettivo, nella misura in cui i contribuenti colpevoli di frode risultano favoriti dalla l. 289/2002515”. I principi espressi dalla Corte di giustizia europea, che ha dunque accertato la violazione degli obblighi dello Stato Italiano in materia di riscossione dell’Iva, sono stati quindi recepiti dai giudici nazionali in due recenti sentenze516; nella prima di queste, la Corte ha sancito l’incompatibilità di un’altra disposizione della legge finanziaria del 2003, (nello specifico l’art. 16 della L. n.289/2002) e di alcuni articoli della L. n.413 del 1991, motivandone la scelta sulla base del fatto che “la sentenza della Corte di Giustizia (...) ha una portata generale, estesa a qualsiasi misura nazionale, sia essa di carattere legislativo o amministrativo, con la quale lo Stato membro rinunci in modo generale o indiscriminato, all’accertamento e/o alla riscossione del tributo di tutto o parte dell’imposta dovuta, oltre che delle sanzioni per la relativa violazione, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto comunitario517”. La secondo sentenza, in maniera del tutto analoga a quella ora riferita, dispone nella massima la disapplicazione della L. n. 413 del 1991, “nella parte in cui introduce un condono iva, (...) in applicazione dei principi già enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza causa C-132/2006 del 2008 in riferimento agli artt. 8 e 9 della legge n. 289/2002, che hanno escluso la legittimità nel sistema comunitario di meccanismi di condono che attribuiscano al contribuente la possibilità di sottrarsi all’accertamento e alla riscossione dell’Iva con il pagamento di una somma priva di un collegamento effettivo con l’imposta518”. Di conseguenza, per quanto concerne gli effetti di quanto statuito dalla Corte, la dottrina ha evidenziato come “la Corte rileva che pure non trattandosi 515 Ibidem. Cass. civ. sez. V, 18 settembre 2009, n.20068 e Cass. civ. sez. V, 18 settembre 2009, n. 20069, in banca dati online Diritto comunitario e dell’unione europea, www.sba.unimi.it. 517 Cass. civ. sez. V, 18 settembre 2009, n.20068, cit. 518 Cass. civ. sez. V, 18 settembre 2009, n. 20069, cit. 177 516 di sentenza resa in via pregiudiziale si debba ritenere che le statuizioni di principio in essa contenute svolgano un effetto vincolante sul piano dell’interpretazione del diritto comunitario, tanto più che le decisioni nelle procedure di infrazione contengono, a differenza di quelle pregiudiziali, un diretto giudizio di incompatibilità della misura nazione col diritto comunitario. Devono così considerarsi incompatibili con la disciplina sull’Iva anche i provvedimenti di condono oggetto della procedura d’infrazione. La Corte di Cassazione conclude chiosando che dalla riconosciuta non conformità delle norme alla normativa comunitaria discende l’inidoneità degli stessi a spiegare i propri effetti, con la conseguenza che i contribuenti hanno diritto al rimborso dell’imposta da condono assolta519”. 5.3.3. Brevi cenni sugli effetti tributari ed amministrativi delle sentenze ora richiamate sullo scudo fiscale. La disciplina sullo scudo fiscale risulta direttamente chiamata in causa dalle sentenze ora riferite nei tre ambiti per i quali opera come istituto premiale per il contribuente: amministrativo, tributario e penale. Per quanto concerne i primi due settori tuttavia l’analisi sarà breve in quanto l’elaborato in esame, come più volte ribadito, intende concentrarsi sugli aspetti di disciplina penalistica dell’istituto, stante d’altronde la complessità e vastità delle problematiche che comporterebbe una più approfondita analisi delle questioni attinenti al campo tributario e amministrativo520. Basterà dunque richiamare quella dottrina che ha evidenziato come gli effetti delle decisioni dei giudici comunitari e nazionali si producano anche sulla disciplina dello scudo fiscale: “alla luce degli orientamenti giurisprudenziali citati nel paragrafo di cui sopra, il richiamo agli effetti di cui agli artt. 14 e 15 del D.L. n. 350/2001 (ovvero, per la parte che ora interessa, la preclusione nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati di ogni 519 Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, cit. Per le quali si veda: R. ALFANO, La definizione agevolata delle liti fiscali al vaglio della Corte di Giustizia: dubbi e perplessità in tema di disapplicazione della norma interna per contrasti con i principi dell’Unione, in www.innovazioneediritto.it, rivista online dell’università degli studi di Napoli Federico II, facoltà di giurisprudenza; A. BULLO - F. DOMINICI, Le conseguenze della declaratoria di illegittimità del condono IVA della Corte di Giustizia, in Finanza e fisco n. 29/2008 e i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali contenuti negli articoli ora citati. 178 520 S. BOLIS, accertamento tributario e contributivo e l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie e previdenziali), con la conseguente applicazione delle disposizioni di cui all’art. 17 del medesimo decreto, non risulta coerente con il diritto comunitario nella parte in cui si viene a determinare, utilizzando le espressioni della cir. N. 43/E del 2009, una preclusione nei confronti di ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta che hanno termine al 31 dicembre 2008, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio521”. Tale dottrina dunque ritiene che la declaratoria di illegittimità del condono iva, potendo essere riferita allo scudo fiscale in vista di quanto espressamente riferiscono gli artt. 14 e 15 della legge, comporta la neutralizzazione degli effetti preclusivi della dichiarazione riservata “nei confronti di un accertamento ai fini iva e accise rivolti al soggetto scudante o alla società di cui è dominus522”; di conseguenza, gli ispettori del Fisco potranno utilizzare la dichiarazione riservata come elemento utile per procedere al recupero dell’iva. Tuttavia la dottrina ha precisato come il suo utilizzo ai fini probatori non è sufficiente per muovere la contestazione ed il recupero dell’iva evasa: “rimane tuttavia la disposizione, fissata dall’art. 13- bis, comma 3, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, per la quale tali dati non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuenti, in ogni sede amministrativa o giudiziaria civile, amministrativa ovvero tributaria. Gli accertatori non potranno, quindi, prendere i dati contenuti nella dichiarazione quale presunzione per rettificare il reddito dichiarato ex art. 38 del D.P.R 29 settembre 1973, n. 600, ma avranno l’onere di rinvenire altri elementi probatori. La possibilità di utilizzare elementi presuntivi ai fini dell’accertamento, e nell’attività ispettiva a ciò finalizzata, può essere infatti limitata per effetto di specifiche previsioni normative, come quella in esame523”. Per quanto riguarda la posizione in merito adottata dagli organi istituzionali deputati a fare chiarezza sull’interpretazione delle norme sullo scudo, bisogna però rilevare come due pareri opposti ed in contrasto emergano dalla lettura dei documenti prodotti dal governo e dall’Agenzia delle Entrate; mentre il 521 S. BOLIS, Scudo fiscale- ter: effetti della possibile incompatibilità con il diritto comunitario, cit. 522 Ibidem. 523 Ibidem. 179 governo ha negato che lo scudo fiscale possa operare come condono Iva, l’Agenzia delle Entrate ha adottato un orientamento in linea con le sentenze da ultimo richiamate. Per quanto concerne la posizione ufficiale del governo, sollecitato da un’interrogazione parlamentare in cui si richiedeva espressamente “se l’estensione degli effetti preclusivi dello scudo fiscale alle attività di accertamento relative all’Iva non contrasti con i principi espressi dalla sentenza n. C.132/06524”, questo rispondeva, per mezzo del sottosegretario Molgora, “evidenziando che non sussiste una preclusione generalizzata agli accertamenti, in quanto l’attività di controllo viene comunque effettuata al fine di verificare la riconducibilità dei maggiori imponibili accertati alle attività regolarizzate. Qualora i maggiori imponibili accertati siano di importo superiore a quello delle attività regolarizzate, l’organo accertatore procede all’ordinaria attività di recupero delle imposte evase sull’eccedenza, compresa l’Iva525”. In sostanza dunque la posizione del governo nega che lo scudo sia una “rinuncia generalizzata ed indiscriminata all’accertamento di operazioni imponibili526”; in ragione di ciò quindi lo scudo può produrre i suoi effetti preclusivi in relazione all’iva poiché non è “in contrasto con i principi che hanno condotto la Corte di giustizia a censurare il precedente condono527”. Di diverso ed opposto avviso risulta invece la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate; in effetti, successivamente alla presa di posizione ora illustrata della giurisprudenza, con la circolare 3/E del 29 gennaio 2010528, questa ha espressamente previsto, evidentemente al fine di porre chiarezza su una situazione “paradossale, in cui per un verso, la normativa che disciplina lo scudo sembrava estendere l’ombrello protettivo dello scudo stesso anche alle ipotesi di evasione di imposta sul valore aggiunto e per altro verso tuttavia il contribuente che avesse evaso tale imposta e profittato dello scudo si sarebbe potuto trovare nella situazione di non poter opporre lo scudo medesimo all’esito di accertamenti degli uffici tributari, posto che si stava formando un’autorevole giurisprudenza e 524 Ibidem. 525 B. SANTACROCE, Lo scudo non è un condono, cit. Ibidem. 527 Ibidem. 528 Consultabile al sito www.agenziadelleentrate.it. 180 526 una seria dottrina che sottraggono la materia dell’IVA alla disponibilità del legislatore nazionale529”, come “l’impianto normativo viene sostanzialmente confermato, facendo salva la conformità alle disposizioni comunitarie in materia di imposte sul valore aggiunto (IVA) e di antiriciclaggio, nonché alle relative interpretazioni della corte di giustizia530”. In conclusione di questa prima sezione, occorre rilevare come allo stato attuale, per quanto concerne i profili di incompatibilità dello scudo con la normativa europea in materia di fiscalità (con riferimento all’iva) si deve rilevare come la situazione non sia ancora definita in quanto si attende una presa di posizione ufficiale da parte della Commissione europea, che dovrà decidere se aprire o meno una procedura d’infrazione sullo scudo fiscale italiano531, sollecitata sul tema da un’interrogazione presentata da alcuni europarlamentari che hanno denunciato l’incompatibilità dello scudo anche in riferimento alla normativa europea in materia di antiriciclaggio e aiuti di Stato. 6. Gli effetti penali dello scudo fiscale a seguito della possibile illegittimità comunitaria. La dottrina si è interrogata su quale possibile conseguenza possa profilarsi per gli effetti penali dello scudo fiscale stante il fatto che in sede civile vi sono due pronunce della Cassazione (brevemente riportate nei paragrafi precedenti) che hanno recepito i principi della Corte di giustizia europea disapplicando agli effetti civili quelle norme sul condono della finanziaria del 2003 che sono espressamente richiamate nella legge di scudo fiscale: in sostanza il problema verte sul fatto che per la materia penale, potrebbe profilarsi siffatta situazione:“una volta caduta la copertura del condono (e lo stesso dicasi per lo scudo), il reato fiscale relativo 529 C. PIOLA, Scudo fiscale e iva. La giurisprudenza comunitaria e i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, cit. 530 Circolare n. 3/E, 29 gennaio 2010, cit., 3. 531 Si veda in tema: A. CRISCIONE, Scudo fiscale a rischio sull’iva, in Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2010, in banca dati online www.sba.unimi.it; REDAZIONE, Vicino il verdetto UE sullo scudo fiscale, in Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2010, in banca dati online www.sba.unimi.it; A. CRISCIONE, Scudo fiscale in zona promozione, in Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2010, in banca dati online www.sba.unimi.it.; in riferimento a quest’ultima fonte, occorre rilevare come essa abbia ha fatto filtrare indiscrezioni su un possibile giudizio positivo da parte della Commissione europea. 181 alle annualità in questione torna ad essere punibile, sempre ovviamente che non sia maturata la prescrizione532”. La domanda non è frutto di una mera riflessione dottrinale teorica, ma sorge dalla realtà: l’Amministrazione finanziaria, a seguito della pronuncia della Corte europea, e forte della giurisprudenza che si sta formando in relazione alla ricezione dei principi contenuti nel dictum della Corte, ha utilizzato le dichiarazioni di condono fatte a tempo debito dai contribuenti per riprendere accertamenti tributari relativi all’iva nei confronti di questi; da tali accertamenti, qualora venga riscontrato una evasione di imposta sull’iva, potrà nascere il sospetto che tale tributo sia stato evaso mediante commissione di reati tributari i quali, a fronte dell’illegittimità del condono, tornerebbero ad essere punibili. I medesimi meccanismi possono essere riferiti anche alla materia dello scudo fiscale; ciò in quanto, come ribadito più volte nelle pagine che precedono, i reati coperti dallo scudo- ter sono i medesimi di quelli per i quali opera l’ombrello penale del condono del 2003: in questo caso dunque, l’amministrazione finanziaria potrebbe riprendere le dichiarazioni riservate in suo possesso e utilizzarle per perseguire quei reati di evasione dell’Iva per i quali si è opposto lo scudo. Ora: l’atteggiamento pragmatico dell’Amministrazione finanziaria si basa su una sentenza del giudice comunitario, che ha dichiarato l’incompatibilità di una norma nazionale per contrasto con una direttiva europea; la domanda che quindi sorge per l’interprete è questa: può una sentenza della corte europea produrre un effetto retroattivo in malam partem per l’imputato o addirittura, come nel caso dello scudo fiscale, legittimare un’azione penale nei confronti di questo nonostante vi sia una legge che ne esclude la punibilità per il reato nei confronti di cui si procede? Siffatta possibilità nasce dall’impianto normativo che regola i rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale e che dispone la regola della prevalenza del primo sul secondo. La fissazione del principio di prevalenza gerarchica del diritto comunitario rispetto al diritto interno trova la propria fonte in due articoli della costituzione: il nuovo articolo 117 Cost., che al comma primo dispone che la 532 I. CARACCIOLI, Condono senza effetti penali, cit. 182 potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, e l’articolo 11 Cost. che dispone che l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la e la giustizia fra le Nazioni. In particolare il principio ora indicato è stato implementato dall’interpretazione dell’articolo 11 della Costituzione fornita dalla Corte Costituzionale533 e “dal dialogo instauratosi tra la Corte Costituzionale e la Corte di giustizia in merito al contenuto di esso, che ha trovato un soddisfacente punto di equilibrio nella sentenza n.170 del 1984 della Corte Costituzionale, in cui – nella prospettiva del giudice italiano – sono stati fissati i nodi essenziali di tale rapporto, così sintetizzabili: a) disapplicazione del diritto interno contrastante con il diritto comunitario, da operarsi direttamente da parte del giudice ordinario, senza necessità di sollevare apposita questione di legittimità costituzionale; b) competenza pregiudiziale riservata alla corte comunitaria sull’interpretazione e il controllo di legittimità del diritto comunitario; c) controllo di ultima istanza che la Corte Costituzionale comunque si riserva per valutare se gli esiti dell’operato comunitario siano compatibili con i diritti inalienabili della persona umana, che costituiscono i principi supremi del nostro ordinamento534”. I garanti dell’applicazione del diritto comunitario sono dunque i giudici comunitari ed italiani cui spetta il compito di accertare ed eliminare le violazioni degli obblighi comunitari di tutela; quale procedura devono rispettare questi ultimi al fine di vagliare la conformità del diritto nazionale con il diritto comunitario? 6.1. Le procedure atte a disciplinare il controllo da parte del giudice nazionale sulla conformità della legge nazionale al diritto europeo. Due sono le norme comunitarie che disciplinano il procedimento di controllo finalizzato ad “accertare ed eliminare le violazioni di obblighi 533 Cfr: C. Cost., sent. n. 183 del 1973, n.170/1984, n.23271989. C.SOTIS, Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?,in banca dati online de jure, www.sba.unimi.it. 183 534 comunitari di tutela535”: il ricorso per infrazione disciplinato dagli artt. 226- 228 Trattato Ce e il rinvio pregiudiziale disciplinato dall’art. 234 Trattato CE. Il primo consiste “nell’accertamento giurisdizionale dell’inadempimento agli obblighi comunitari, svolto dalla Corte di Giustizia, su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro delle Comunità. Nel ricorso in infrazione, la Corte è chiamata ad emettere una sentenza la quale ha carattere di accertamento, limitandosi a constatare l’inadempimento dello Stato. (...) Il giudice nazionale quando la disposizione violata è direttamente applicabile è tenuto a disapplicare la norma interna contraria al diritto comunitario”; il secondo procedimento, “come la procedura d’infrazione chiede alla Corte di giustizia la stessa attività di interpretazione del diritto comunitario: tuttavia esso trova nei giudici nazionali lo strumento privilegiato per garantire l’efficacia delle proprie statuizioni in relazione alle violazioni del diritto comunitario da parte degli Stati. La questione è direttamente sollevata dal giudice interno e in tal modo la Corte, pur rispettando formalmente la rigida separazione delle competenze (per cui spetta al giudice interno l’applicazione della norma comunitaria) finisce in sostanza per fornire al giudice tutti gli elementi interpretativi necessari per dirimere il contrasto536”. Così come nel ricorso per infrazione, anche nel rinvio pregiudiziale “i giudici nazionali dovranno applicare la normativa comunitaria così come definita dalla statuizione della Corte” con conseguente disapplicazione “del diritto interno che risulta contrario, così come statuito dalla Corte di Giustizia, al diritto comunitario537”. Se ci si fermasse a questa prima lineare ricostruzione, nell’ipotesi in cui si verificasse un contrasto tra norma penale nazionale e diritto comunitario, la prima dovrebbe soccombere per dare spazio alla fonte superiore in vista dei due principi ora illustrati: prevalenza e disapplicazione ad opera del giudice interno; la disapplicazione della norma penale nazionale potrebbe produrre quindi tale effetto: la reviviscenza della norma penale nazionale conforme alla direttiva e che prevede sanzioni più gravi della norma incompatibile, con la produzione di un effetto retroattivo in malam partem per il soggetto che la subisce. 535 C.SOTIS, Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?,cit.. 536 Ibidem. 537 Ibidem. 184 Nell’ipotesi dello scudo fiscale si profilerebbe in sostanza questa situazione: 1) il soggetto ha commesso dei reati di evasione dell’iva punibili secondo la legge vigente al momento della commissione del fatto; 2) viene approvato lo scudo fiscale: questo prevede una causa sopravvenuta di non punibilità con efficacia retroattiva che copre il reato di evasione dell’iva commesso a suo tempo dallo scudante; 3) la corte di giustizia dichiara l’illegittimità della legge che prevede la non punibilità del reato tributario per contrasto con la direttiva iva; lo scudante torna ad essere punibile per effetto della riviviscenza, conseguente alla sentenza europea, della norma penale interna conforme alla direttiva che prescrive la punibilità dello scudante nel caso in cui si accerti che questo abbia commesso un reato tributario finalizzato all’evasione dell’iva. Questa ipotesi, che realizzerebbe un’applicazione di una norma retroattiva con effetto in malam partem per lo scudante derivante da una sentenza della corte europea, si scontra però con tutta una serie di principi fondamentali e regole di sistema che informano la costruzione dogmatica del diritto penale e la cui violazione comporterebbe un teorico vulnus nell’impianto complessivo su cui è impostata la civiltà giuridica moderna. 6.2. Il principio fondamentale di riserva di legge come ostacolo ad un’applicazione in malam partem della disciplina comunitaria e gli orientamenti della Corte di Giustizia in merito. Si è illustrata brevemente nel paragrafo precedente la regola della prevalenza della noma comunitaria rispetto al diritto nazionale; se questa prevalenza fosse assoluta, ben potrebbero legittimarsi situazioni di disapplicazione di norme con effetti in malam partem per i soggetti che la subiscono. In realtà, la regola della prevalenza non è assoluta: “la Corte costituzionale ha voluto garantire al sistema normativo sottoposto al suo controllo una contropartita, in cambio delle limitazioni della sovranità da questo sofferte a favore dell’ordinamento comunitario: tale contropartita è rappresentata dalla c.d. “dottrina dei controlimiti”, secondo la quale il diritto 185 interno, anche di rango costituzionale, si ritrae di fronte alla norma comunitaria, ma qualora la norma comunitaria si ponga in contrasto con quel particolare sottoinsieme di principi costituzionali formato dai “principi fondamentali del nostro ordinamento Costituzionale e dai diritti inalienabili della persona umana” – considerati imprescindibili e posti al gradino più alto della gerarchia delle fonti (una sorta di Grundnrom formalizzata in canoni) – sarà la norma comunitaria a essere disapplicata dalla Corte Costituzionale538”. Tra questi principi, fondamentale è quello di irretroattività della norma penale sfavorevole, individuato nell’art. 25 comma 2 Cost. e riassumibile nel brocardo nullum crimen sine lege, che “permette (penalmente) tutti i comportamenti non espressamente vietati dal sistema penale del nostro Paese539”; a questo valore, la stessa Corte, nelle operazioni di interpretazione, riconosce “valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali540” con particolare “forza di resistenza, in ragione della ratio sottostante, che assume la previa conoscibilità del divieto penale quale condizione di funzionalità sia delle garanzie individuali, sia della stessa effettività degli obbiettivi di tutela programmati541”; La dottrina ha sottolineato come “tale principio (...) di irretroattività della legge penale542” non sia solo presente nella Carta, ma “trova riscontro nell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed è perciò un principio generale del diritto comunitario543”. Nella sua giurisprudenza in tema di irretroattività della norma penale sfavorevole la Corte di Giustizia nega la possibilità di “retroattività occulta della norma penale contra reum544”: per esempio, la sentenza della Corte di Giustizia del giugno 2005545 ha sancito come “il principio di irretroattività delle norme 538 Ibidem. M. GAMBARDELLA, Retroattività della legge penale favorevole e bilanciamento degli interessi costituzionali, in Giur. Cost. 2008, 2408. 540 Corte cost. sent.n. 384/2006, bancadati onlinde de jure, www.sba.unimi.it 541 Corte cost. sent n. 394/2006, in bancadati onlinde de jure, www.sba.unimi.it 542 G. IZZO, Tensioni sul principio di legalità, in il fisco, n.1/2006, in banca dati online il fisco www.sba.unmi.it. 543 Ibidem. 544 A. BALSAMO, “La dimensione garantistica del principio di irretroattività e le nuova interpretazione giurisprudenziale “imprevedibile”: una nuova “frontiera” del processo di “europeizzazione” del diritto penale”, in banca dati online de jure, www.sba.unimi.it. 545 CGE, n.60/2005, in banca dati on line de jure, www.sba.unimi.it. 186 539 penali impedisce l’applicazione retroattiva delle nuove interpretazioni giurisprudenziali sfavorevoli all’accusato, quando il loro risultato non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui l’infrazione è stata commessa546”; seppur in relazione ad una fattispecie riferita al sistema sanzionatorio comunitario in materia di concorrenza, la dottrina ha ravvisato come il richiamo della Corte di giustizia all’art. 7 delle Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, “nel sancire il canone nullum crimen sine poena lege, riassume in sé alcuni dei più importanti principi espressivi della civiltà giurdica europea e svolge essenzialmente un ruolo garantista che ne spiega la inderogabilità prevista dal comma 2 dell’art. 15 e la conseguente appartenenza al nocciolo duro della convenzione”. Ancor più importante sono due recenti sentenze, vero e proprio leading case per la determinazione (in chiave garantista) dei rapporti tra direttive e giudice penale interno, su cui conviene brevemente soffermarsi; la prima547 ha per oggetto un contrasto tra legge penale interna e direttiva, in cui la tesi sostenuta dall’Avvocato generale della Corte di giustizia “muoveva dall’asserito contrasto tra la legge penale interna, che si sarebbe dovuta applicare agli imputatati nei casi di specie, e gli obblighi di fonte comunitaria discendenti da direttive; contrasto che secondo la tesi sostenuta dall’avvocato generale, avrebbe dovuto essere eliminato direttamente dal giudice interno attraverso la disapplicazione della legge penale contrastante con l’obbligo comunitario548” di dare attuazione al diritto comunitario ex art. 10 Trattato CE; la disapplicazione della legge richiesta dall’avvocato avrebbe però comportato un vuoto normativo, in quanto essa era intervenuta abrogando una legge conforme alla direttiva. Tuttavia, secondo la tesi dell’avvocato, “la disapplicazione avrebbe comportato la riespansione della norma penale previgente, sulla base della quale avrebbe potuto pronunciarsi da parte del giudice nazionale sentenza di condanna a carico 546 Ibidem. CGCE, Grande Sezione, 3 maggio 2005, Berlusconi e altri, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C- 403/02 in banca dati online de jure, www.sba.unimi.it. 548 F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, in dir. pen. e proc., n.11/2005,1436. 187 547 degli imputati549”, con conseguente obbligo per il giudice di disapplicare la legge successiva più favorevole e disporre l’applicazione retroattiva della fattispecie penale sfavorevole la cui riviviscenza sarebbe legittimata dalla norma comunitaria intesa come “nuovo meccanismo di interferenza tra direttive e legge penale, in forza del quale una direttiva avrebbe potuto conferire una particolare resistenza a tutte le leggi penali emanate in attuazione degli obblighi di tutela da essa imposti, nonché a tutte le leggi pur anteriori alla direttiva, ma in concreto adeguate rispetto ai suoi standard di tutela550”. La Corte di Giustizia, a testimonianza di come il principio di irretroattività che funge da controlimite per l’applicazione del diritto comunitario sia condiviso ed utilizzato anche alla sua giurisprudenza, decide il caso prendendo “chiaramente posizione contro la ricostruzione dell’avvocato, considerando insuperabile l’ostacolo rappresentato dalla constatazione che una eventuale pronuncia della Corte attestante la contrarietà agli obblighi comunitari della legge penale (...) e la conseguente disapplicazione della legge medesima ad opera del giudice in favore della previgente e più severa disciplina avrebbe comportato un aggravamento della responsabilità penale dell’imputato551”. Di notevolissima importanza per il tema in esame risulta poi la seconda sentenza Pupino552: “la questione concerneva il sospettato contrasto tra due norme del c.p.p. italiano con la decisione quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale553”, afferente quindi al rapporto tra diritto penale interno ed un atto del terzo pilastro, laddove la Corte ha statuito che “il principio di interpretazione conforme si applica anche agli atti del terzo pilastro (...)554” ma “restano fermi da un lato, il divieto di determinare o di aggravare – per questa via – la responsabilità penale dell’imputato e dall’altro, il limite (...) alla stessa tecnica di interpretazione conforme, che non può ricevere un’applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito 549 F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, cit., 1436. 550 Ibidem. 551 Ibidem. 552 CGCE, 16 giugno 2005, C-105/03, in banca dati online de jure, www.sba.unimi.it. 553 F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, cit., 1438. 554 Ibidem. 188 da tale decisione quadro555”. Ancora una volta quindi la Corte si mostra attenta alle problematiche derivanti dalla influenza del suo dictum nella recezione di questo all’interno da parte degli organi giurisdizionali dei singoli Stati, chiarendo quindi i limiti dell’obbligo di interpretazione conforme in un’operazione che “può strutturalmente condurre ad interpretazioni secundum o praeter legem, non già contra legem556” di modo tale negare categoricamente la possibilità che una sua pronuncia possa dell’imputato 557 “determinare o aggravare la responsabilità penale ”. 6.3. La possibile sindacabilità comunitaria in malam partem in una recente sentenza della Corte Costituzionale. Il giudice italiano, qualora si trovi dinnanzi ad “conflitto di natura triadica558” dovuto ad “un’antinomia che poggia su tre norme559” (norma interna penale, norma comunitaria e norma costituzionale) è in una situazione di difficile soluzione; infatti su di esso grava “sia il generale obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario, secondo cui le autorità devono adottare tutti i provvedimenti atti a garantire l’adempimento ai precetti comunitari, sia (...) l’obbligo di interpretazione conforme alla Costituzione che impone di adottare sempre l’interpretazione maggiormente aderente al dettato costituzionale. I due obblighi impongo al giudice di dare attuazione, rispettivamente, ai dettati comunitari e costituzionali560”. Quale soluzione al problema? “il giudice comune, non potendo dare attuazione al’obbligo comunitario, perché altrimenti violerebbe il principio costituzionale della riserva di legge, ma dovendo al contempo adottare i provvedimenti atti a garantire l’adempimento degli obblighi comunitari, dopo aver posto la questione pregiudiziale alla corte di giustizia, non potrà far altro che rimettere il quesito alla Corte Costituzionale561”. Si è visto 555 Ibidem. F. VIGANÒ, Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, cit., 1440. 557 Ibidem. 558 D. FRANZIN, Assoggettabilità delle ceneri di pirite alla disciplina dei rifiuti, in Cass. Pen., n. 1/2011., 118. 559 Ibidem. 560 C. SOTIS, Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?,cit. 561 C.SOTIS, Obblighi comunitari di tutela e opzione penale: una dialettica perpetua?,cit. sull’obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario nella giurisprudenza della Corte di 189 556 quale sia l’orientamento seguito dalla Corte di Giustizia: questa si è mossa in maniera prudente e rispettosa del principio di irretroattività della norma penale sfavorevole evitando di fornire un’interpretazione della direttiva tale per cui il suo rispetto avrebbe posto la norma nazionale in contrasto con essa, con conseguente necessità per il giudice nazionale che ha posto in essere il rinvio pregiudiziale, di adire alla Corte Costituzionale per dirimere il conflitto. Di recente però, la Corte Costituzionale, chiamata in causa in relazione ad un conflitto tra norma interna e norma comunitaria, si è espressa in controtendenza rispetto alla giurisprudenza ora vista della Corte di Giustizia. La questione riguarda la presenza di una norma nell’ordinamento italiano che qualifica in maniera astratta, ovvero in quanto tali, le ceneri di pirite come sottoprodotto e non come rifiuto, in contrasto con quanto “stabilito in sede comunitaria circa la modalità di accertamento della natura di rifiuto o sottoprodotto di un determinato materiale562” da compiersi “in concreto e non mediante meccanismo lato sensu presuntivo563”, come invece operato dal legislatore nazionale. La Corte quindi ha sentenziato l’illegittimità costituzionale della norma nazionale definitoria delle ceneri di pirite (art. 183, comma 1, lett. n), del d.lg. n. 152/2006) in quanto non conforme alla definizione datane nella direttiva Giustizia: CGCE, 10 aprile 1984, von colson; CGCE 13 novembre 1990, marleasing, causa 106/89 in banca dati online www.sba.unimi.it; tuttavia occorre sottolineare come la Corte Costituzionale abbia espresso in una recentissima sentenza un orientamento difforme a quello riportato riguardo la ripartizione della competenza a giudicare dei conflitti tripartiti, risultando chiaro da questa come “la Consulta ha inteso affermare il proprio ruolo chiave nella risoluzione dei conflitti di natura triadica tra diritto comunitario e diritto penale nazionale, con ciò escludendo la altre, possibili vie in tal senso esperibili, vale a dire la disapplicazione diretta della normativa non conforme al dettato comunitario, ovvero il ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia”. La preclusione alla possibilità di disapplicare le norma o ricorrere pregiudizialmente dipende dal tipo di effetto che la direttiva è in grado di produrre in capo al cittadino: se questa è una direttiva c.d. autoapplicativa in grado cioè “di creare un diritto in capo al singolo, diritto, a sua volta, azionabile nei confronti dello Stato inadempiente” la disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario è pacifica; qualora però dagli “effetti diretti della direttiva deriverebbe una responsabilità per il cittadino e non un diritto”, in sostanza quindi un effetto in malam partem per il cittadino nei confronti del quali trova applicazione la direttiva, “certamente la Corte ritiene inopportuno il ricorso alla diretta disapplicazione della legge contraria al diritto comunitario” e d’altra parte “La Corte censura l’eventuale possibilità di esperire un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea essendo questo rimedio superfluo, dato che non vi sarebbe alcun dubbio interpretativo da chiarire”. D. FRANZIN, Assoggettabilità delle ceneri di pirite alla disciplina dei rifiuti, cit., 128. 562 D. FRANZIN, Assoggettabilità delle ceneri di pirite alla disciplina dei rifiuti, cit., 128. 563 Ibidem. 190 2008/98/CE. L’importanza della declaratoria di incostituzionalità della norma data dalla Corte rileva in quanto “tutti gli obblighi cautelari sulla cui osservanza si basano i reati ambientali hanno espressamente ad oggetto i rifiuti564”; la riconduzione della Corte del prodotto nella categoria dei rifiuti mostra la sua rilevanza per gli effetti nei confronti dell’imputato in quanto “significa, essenzialmente, distinguere cosa è punibile e cosa non lo è565”. A questo punto ben può farsi una considerazione cercando di individuare quale sia il punto centrale della questione: la statuizione della Corte su tale elemento normativo della fattispecie penale produce un effetto in malam partem nei confronti dell’imputato; in ossequio al rispetto del principio di prevalenza della norma comunitaria su quella nazionale, apre la possibilità che la (ri)determinazione dell’elemento della fattispecie penale possa, in sede di giudizio, aggravare la responsabilità dell’imputato; l’operazione ermeneutica compiuta dalla Corte si direziona in maniera opposta rispetto a quella (sopra riferita) dalla Corte di Giustizia. 6.4. La crisi del principio di divieto di pronunce in malam partem nella giurisprudenza della Corte Costituzionale: quali riflessi sullo scudo fiscale? Il discorso prima fatto in relazione alla dottrina dei controlimiti, teoria funzionale a bloccare pretese di superamento della riserva di legge in materia penale da parte del legislatore europeo, nonché soprattutto a tamponare possibili effetti di retroattività della norma penale sfavorevole determinate da pronunce del giudice europeo che dispongano la disapplicazione delle norme interne in contrasto con il diritto comunitario, incontra una possibile deroga se riferito all’orientamento della Corte Costituzionale in materia di rapporti tra norma penale interna e principi costituzionali. Ciò in quanto la Corte Costituzionale esprime un orientamento favorevole in merito alla sindacabilità in malam partem delle norme di favore: siffatta impostazione permette di superare il principio espresso dall’art. 25 comma 2 relativo alla riserva di legge, che a prima vista fungerebbe da “richiamo quasi 564 565 Ibidem. Ibidem. 191 totemico566” per, come efficacemente sottolineato da autorevolissima dottrina, “assicurare un insindacabile monopolio alle scelte legislative sul se punire, cosa e come punire,, non punire più o punire meno severamente567”, con conseguente inammissibilità di controllo di legittimità costituzionale delle scelte legislative. Sempre rimanendo fermo e pacifico che il principio di riserva di legge “impedisce alla Corte di fare il legislatore568”, con il divieto di “creare nuove fattispecie criminose o estendere quelle esistenti a casi non previsti, sia di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità569”, essa ha ammesso nella sent. n. 392 del 2006 la produzione di effetti in malam partem “esclusivamente come conseguenza di decisioni ablative di norme che ritagliano, per determinati soggetti o tipologie di condotte, un trattamento penale ingiustamente più favorevole rispetto a quello previsto da una norma generale o comune570”. Oggetto della declaratoria di incostituzionalità sono quelle norme c.d. di favore, che nella fantasia creativa del legislatore possono assumere “differenti sembianze giuridiche: scriminanti, cause di non punibilità (come lo scudo fiscale), cause di estinzione del reato o della pena, circostanze attenuanti o figure autonome di reato punite in modo più mite571”. L’ammissibilità di effetti in malam partem e la mancanza di uno “sconfinamento” nella riserva di legge penale si giustifica in quanto “l’effetto normativo sfavorevole sarebbe la conseguenza della riespansione automatica della norma generale o comune, che tornerebbe ad abbracciare ipotesi illegittimamente destinate ad un trattamento più favorevole572”. Peraltro, l’ipotesi che la Corte pronunci una sentenza di illegittimità costituzionale sulle norme contenute nello scudo fiscale con effetti in malam partem ci sembra non possa essere accolta acriticamente ma anzi vada valutata con estrema cautela. 566 M. SCOLETTA, L’irragionevole insindacabilità dell’arbitrio punitivo in bonam partem, in Giur. Cost, 2009, 430. 567 G. MARINUCCI, Il controllo di legittimità costituzionale delle norme penali: diminuiscono (ma non abbastanza) le “zone franche”, in Giur. Cost., 2006, 4160. 568 Ibidem. 569 Corte cost. sent. n.392/2006, in banca dati de jure, www.sba.unimi.it . 570 M. SCOLETTA, L’irragionevole insindacabilità dell’arbitrio punitivo in bonam partem,cit.,432. 571 Ibidem. 572 Ibidem. 192 Mentre il discorso generale sull’ammissibilità di declaratorie di illegittimità con effetto retroattivo in malam partem per le norme penali di favore non crea particolari problemi di coerenza con altri principi di sistema, poichè la declaratoria riguarda norme speciali che, comparate con la norma generale, rappresentano una pretesa punitiva sproporzionata al disvalore del fatto di reato ed è finalizzata al ripristino del rispetto degli altri principi di sistema, un ritorno alle istanze punitive nel caso dello scudo fiscale sarebbe quantomeno dubbioso. Con esso infatti, a differenza di altre norme di favore, il legislatore “chiama allo scoperto” il soggetto che ha commesso l’illecito e che, in assenza del premio penale, non avrebbe posto in essere la condotta di “ravvedimento” rimanendo nell’illegalità. Il messaggio del legislatore appare chiaro: fai rientrare il capitale evaso, ammetti di avere commesso un reato, tanto la sanzione penale ti verrà evitata; il ritorno all’istanza punitiva costituirebbe in questo caso una palese violazione del principio di sistema individuato nel brocardo nemo tenetur se detegere secondo cui “nessuno può essere tenuto a tenere comportamenti auto-indizianti o che comunque espongano a conseguenze deteriori sul piano sanzionatorio573”. Ammettere una pronuncia di illegittimità dello scudo fiscale da parte della Corte in tale caso non conduce al ripristino della coerenza dei valori interni al sistema, ma ad una sua rottura. Per concludere, ci sia concessa un’ultima considerazione politicocriminale di ordine generale: quando vengono proposte suddette misure premiali, proprio in quanto premiano il contribuente, dovrebbero queste essere formulate con una precisione e con un’attenzione che limiti il più possibile i dubbi, le incongruenze nonché gli eventuali i profili di illegittimità di queste rispetto sia ai principi costituzionali, sia alle norme comunitarie che, come si è visto in relazione alla direttiva iva, acquistano spazio sempre maggiore nella creazione del diritto e nella possibile interferenza con quanto prodotto a livello interno. Non si è mancato di sottolineare più volte nel corso della trattazione come di per sé, in quanto norma di favore, un provvedimento come lo scudo fiscale 573 V. DI PEPPE, “Il reato dello straniero che non ottempera all’ordine di esibizione de suoi documenti identificativi: considerazioni in margine all’intervento della “legge sicurezza” 2009”, in Cass. Pen., 1/2011, 342. 193 possa creare tensioni a livello sociale circa la considerazione di uno Stato che agisce con trattamenti differenziati e premiali nei riguardi di soggetti che non hanno dimostrato propriamente, con le loro condotte, di “meritarsi” questo premio: tuttavia questo, una volta disposto, tanto più se chiama il soggetto che ha commesso il reato ad autodenunciarsi, non può tollerare possibili “zone franche” nell’esenzione dalla punibilità. Questa deve essere applicata senza eccezioni o dubbi che non fanno altro che riprendere ed fomentare quella italica considerazione di uno Stato poco “serio” ed affidabile, motivo di condotte, come quelle di espatrio dei capitali, che, in primis, ponendosi in contrasto con la legge, producono un distacco accentuato dalla cultura del rispetto delle regole, collante fondamentale per la tenuta sociale dello Stato, e in secondo luogo determinano un grave danno per le casse dell’Erario, con conseguente sottrazione di risorse da destinare a svariati settori dell’economia. Ciò nondimeno, dovrebbe compiersi uno sforzo, per quanto difficile, anche da parte di quei contribuenti che vedono nello scudo fiscale una misura di grande ingiustizia sociale: il rigetto di possibili pretese punitive rigoristiche a “scoppio ritardato”, dovrebbe essere avallato anche da parte loro; “mettendo una pietra sopra” alle precedenti violazioni, tanto più “grande” se attinente proprio all’ambito penale, il legislatore si muove anche nella finalità di configurare una nuova stagione di rapporti con i soggetti ravveduti, cercando di orientare una categoria che ha operato sempre a margine della legalità verso un ritorno al rispetto delle regole violate nel corso degli anni. Una ripresa dell’azione punitiva, se nel breve periodo potrebbe soddisfare (vetero) esigenze di giustizia, nel lungo periodo produrrebbe effetti devastanti sul piano della prevenzione dei comportamenti illeciti. Ciò in quanto si reincentiverebbero un'altra volta ed inesorabilmente, come una sorta di boomerang, quelle condotte che hanno prodotto e continuerebbero a produrre danni economici per la società nel complesso (a contrario dell’evasore che nella maggior parte dei casi dispone di prospettive reddituali molto elevate) ed in particolare per quelle fasce più disagiate che non hanno potuto fruire di una 194 redistribuzione delle risorse sottratte all’economia del Paese e per le quali il legislatore prova ad effettuare un recupero. Seppur discutibile nella consistenza dei premi concessi. 195 BIBLIOGRAFIA A. I., Sanzioni a doppia via, in Il sole 24 ore, 14 dicembre 2001, in banca dati online, http://www.sba.unimi.it/; AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società. D.lgs. 11 aprile 2002, n.61, a cura di A. Alessandri, Milano, 2002. 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