L`utopia di fronte ai problemi della famiglia e della

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L’utopia di fronte ai problemi della famiglia
e della donna nel fra Sette e Ottocento
Laura Tundo Ferente
Università del Salento
Resumo
Dopo un rapido sguardo alle diverse concezioni filosofiche e della famiglia
e alla prassi socio-antropologica, il saggio discute le proposte di emancipazione
della donna nella progettazione utopica dell’Ottocento e la loro influenza nella
trasformazione della famiglia, individuando i fattori storici del cambiamento. La
rivoluzione industriale, il diffondersi dei Lumi, le rivoluzioni politiche, americana
e francese, riversano molti dei loro effetti sulla famiglia: modificano i rapporti
fra i sessi, trasformano il ruolo lavorativo e sociale delle donne, evidenziano la
storicità dell’istituto familiare. Con la Rivoluzione vengono introdotte nuove
regole per il matrimonio e l’ordine domestico e si “ apre il vaso di Pandora delle
rivendicazioni femminili”. In seguito saranno i progetti utopici degli “ingegneri
sociali” a rilanciare sia la riflessione teorica sulla condizione della donna, la forma
della famiglia, l’organizzazione della società, sia la spinta alla prassi. Così come
saranno gli scritti e i comportamenti di molte personalità femminili a far avanzare
il livello di consapevolezza delle donne e portare avanti l’impegno per la loro
emancipazione. L’analisi prosegue discutendo la posizione di C. H. de SaintSimon e della scuola di P. Enfantin. Si sottolinea la novità dell’impegno che sorge
in questo momento: le donne non ritengono più indispensabile essere guidate dai
teorici e, per la prima volta, si dimostrano capaci non solo di riflessione, ma anche
di azione autonoma e indipendente, come nel caso di Flora Tristan. Infine il saggio
ricostruisce la fine analisi e il progetto utopico radicalmente innovativo di Charles
Fourier relativamente alla concezione dell’amore, alla morale privata e pubblica,
alla condizione personale e sociale della donna e alla trasformazione della famiglia,
che coinvolge la società intera, globalmente considerata come contesto storicoepocale, la Civilisation, una fase della storia umana, profondamente viziosa e
corrotta che ha perduto i legami con la natura originaria dell’uomo.
Palavras-chave
Utopia, Famiglia, Crisi del Patriarcato.
Laura Tundo Ferente é professora de Filosofia Moral e Bioética junto à Facoltà di Scienze
della Formazione da Università del Salento, Lecce (Itália). Docente do doutorado de
pesquisa em “Ética e Antropologia”; membro fundador do Centro Interuniversitario di studi
sull’Utopia; faz parte do Conselho Científico das revistas: “Idee”, “Cahiers Charles Fourier”,
“Rivista di Studi utopici”. Trabalhou para o aprofundamento teórico e historiográfico do
pensamento utópico francês dos séculos XVIII e XIX (H. T. D’Holbach, L.-S. Mercier,
Ch. Fourier); para a nova concepção do conceito de Utopia como projeto/processo da
história humana, para a análise do pensamento moral e político de di I. Kant (Kant. Utopia
e senso della storia, Dedalo, Bari 1998; Kant, Per la pace perpetua, Rizzoli, Milano
2003). Mais recentemente, sua pesquisa tem abordado a importante questão históricoteórica da formação da consciência moral, da assunção dos princípios éticos historicamente
emergentes na ação política, social, econômica, desde a modernidade até o pensamento
contemporâneo (Moralità e storia, B. Mondadori, Milano 2005); concomitantemente,
trabalha com a relação entre utopia e ciência (La razionalità dell’utopia e l’agire scientificotecnologico, in Cosmopolis, n.2, 2007 e in www.Cosmopolisonline) e pela compreensão
da idéia cosmopolítica moderna e sua evolução, desde a proposta institucional kantiana
às perspectivas emergentes no século XXI (Il cosmopolitismo. Paradigma normativo,
vincoli morali e progettualità politica, in corso di stampa).
LAURA TUNDO FERENTE
1. Concezioni filosofiche e della famiglia
e prassi socio-antropologica
1
Va detto che tutta
l’architettura della koinonìa,
della comunanza di donne e
figli che veniva a sostituire
la parentela di sangue
tradizionale, pur nella
dirompente novità della
proposta, non è una mera
invenzione platonica; essa
proviene in gran parte dalla
antecedente divisione in classi
di età dei nomoioi spartani e
da suggestioni antropologiche
di analoghi costumi entro
popolazioni barbare, riferiti da
Erodoto in relazione ai libici
e da Teopompo agli etruschi.
Del resto, la letteratura comica
e satirica aveva già utilizzato
queste reminiscenze
(Cf. Ecclesiauze).
296
Fin dalle origini la riflessione filosofica sulla famiglia si è mossa
secondo due distinti percorsi, che attingevano le proprie motivazioni
teoriche o alla realtà socio-storica della famiglia e ai suoi principi
costitutivi, oppure a principi etici e politici tendenti ad anteporre un
ideale di organizzazione sociale giusta e di bene comune, rispetto agli
interessi di individui o di gruppi.
In Aristotele e in Platone questi due distinti percorsi trovano
un’ampia trattazione; i loro presupposti principiali (nota per il traduttore:
relativi ai principi) sono rimasti a connotare due concezioni, due
strutture assiologiche con differenti esiti socio-politici. Da una parte,
Aristotele guarda all’oikos, che è insieme la casa di abitazione, il gruppo
umano degli individui e i possedimenti materiali di appartenenza, e la
definisce “la comunità che si costituisce per la vita quotidiana secondo
natura” (Politica, I, 1252 b, p. 12-14). Qui l’unione del maschio e della
femmina forma la cellula sociale di base richiesta dalle naturali necessità
della riproduzione e conservazione della specie, e della sussistenza dei
suoi membri; l’immodificabile e inestinguibile modello dei rapporti
affettivo-riproduttivi ed economici volti alla formazione dei beni e alla
loro trasmissione, chiamato a integrarsi globalmente nel complesso della
polis. Una finalità questa che rivelerà subito un carattere aporetico insito
in quello che possiamo definire un conflitto tra fonti autoritative diverse,
quella gerarchica paterno-padronale su donne, figli, schiavi e quella
dell’archè politikè fondata sul godimento degli stessi diritti. Dall’altra
parte, Platone introduce nella cultura greca, che della famiglia aveva fatto
una solida roccaforte per l’intera polis, un modello di aggregazione sociale
retto da regole del tutto nuove per il matrimonio, l’allevamento dei figli,
il possesso dei beni per i custodi, l’educazione e il ruolo delle donne e per
i legami di parentela. Partendo dal convincimento, acquisito sul piano
storico-critico, che oikos e proprietà privata sono le fonti stesse della
corruzione, le radici della discordia, dell’egoismo, della rottura dell’armonia
solidale, dell’avvento di prepotenza, ambizione, avidità, cause primarie
della crisi della polis, Platone delinea nella Repubblica un progetto di
città capace di eliminare le cause della disegualianza e della disarmonia,
in vista della costruzione di un ordine sociale complessivamente più
giusto. Le regole fondamentali per la giustizia nell’ordine politico si
raccolgono, si può dire, intorno al principio di koinonìa1, che implica,
da una parte, l’abolizione della proprietà privata per i custodi: “nessuno
dei custodi della polis potrà possedere nulla di proprio, al di là degli
oggetti di prima necessità” (Repubblica, 416 d.); dall’altra, la comunanza,
la comune appartenenza tra i custodi, delle donne e dei figli (Ivi, 464
b.). Tagliando alla radice il rapporto fra possesso privato dell’oikos e
organizzazione e gestione della città, Platone, pur ancora sempre entro
una cornice aristocratica, lavora a eliminare il fattore principale del
conflitto, la proprietà individuale; con la comunità delle donne istanzia,
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
poi, il comune appartenere all’unità dello stato e prefigura una solidarietà
totale fra individuo e stato in vista del bene comune, della buona gestione
della cosa pubblica, dell’abbattimento della divisione sociale e della
felicità generale. Infine, rompendo la struttura tradizionale dell’oikos
e vietando il possesso privato per la comunità dei custodi il modello
platonico reimposta il tradizionale rapporto governante/governato, e fa
dei governati gli unici detentori della ricchezza.
Già con i maggiori rappresentanti della filosofia classica greca
maturano, dunque, due distinte concezioni teoriche, delle quali, nelle
grandi linee, si può dire che corrispondano ai differenti orientamenti
rilevati dagli antropologi nella prassi socio-culturale. La forma
organizzativa della famiglia, i cui tratti salienti si ritrovano, come spiega
Claude Levi-Strauss, nell’unione coniugale sancita dal “matrimonio
monogamico” socialmente riconosciuto di un uomo e una donna, nella
“dimora autonoma” della giovane coppia, in una serie di vincoli religiosi,
economici, di cooperazione, nel riconoscimento dei figli e nel rapporto
affettuoso con loro, è certamente la forma più diffusa, in relazione
alla quale è affermato il concetto di “famiglia naturale” e “universale”.
Le ricerche antropologiche comparate confermano, in realtà, la presenza,
al di là di peculiarità specifiche, di questa unità sociale di base nella gran
parte delle culture. Ciò che farebbe pensare che l’unione fra un uomo e
una donna, più o meno durevole e socialmente approvata, e dei loro figli
sia “un fenomeno universale presente in ogni e qualsiasi tipo di società”.
Si tratta, in effetti, di una presenza che potremmo definire trasversale,
i cui caratteri essenziali possono ben coesistere e intrecciarsi con altre
manifestazioni e con caratteristiche anche abbastanza differenziate.
Tuttavia, emerge nettamente la non univocità del modello e la presenza
di forme, sia pure più rare, di organizzazione sociale in cui è stata
verificata la “inesistenza di vincoli familiari”, insieme al riconoscimento
della “discendenza” e all’esercizio “dell’autorità giuridico-familiare
rigorosamente matrilineare”. Né si tratta di forme residuali, o come
spiega Levi-Strauss (1967, p. 146-177) di “vestigia di un primitivo
genere di organizzazione sociale in passato molto più diffuso”; piuttosto
di “una struttura sociale estremamente specializzata ed elaborata”. Del
resto, sono state rintracciate e descritte altre forme in cui “la famiglia
convive con un tipo non familiare e promiscuo di relazioni fra i sessi”.
Le ricerche di antropologia culturale comparata giungono, dunque, a
una prospettiva relativistica, sulla base della rilevazione di una varietà
di modi in cui l’organizzazione della famiglia/parentela/discendenza
si presenta; una prospettiva che, unita alle indagini sociologiche sulla
evoluzione della forma della famiglia in Occidente, ha consentito
di introdurre un’ipoteca decisiva circa la diversità culturale e storica
dell’istituto familiare. Per converso, essa non consente di considerare
la famiglia cosiddetta naturale, con i caratteri che abbiamo visto, come
radicata in un’esigenza di natura e dunque universale; mentre ci permette
di cogliere nelle differenti concezioni e nei modelli teorici proposti dalla
riflessione filosofica, da una parte, una certa loro corrispondenza alla
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LAURA TUNDO FERENTE
prassi socio-culturale, dall’altra, uno sforzo propositivo di pensare i modi
della convivenza a partire dai legami e dai vincoli basilari più semplici fra
gli individui, e dai principi soggettivi, sociali, economici che si ritengono
prioritari, nonché in ordine ad una complessiva organizzazione politica
di riferimento.
Le distinte posizioni teoriche di Aristotele e di Platone riguardo
alla famiglia sintetizzano al loro interno non solo due grandi modelli
alternativi, ma anche due rappresentazioni diverse dell’universo
relazionale umano, dei rapporti affettivo-sessuali, di conservazione
e riproduzione della specie, di parentela e discendenza, i rapporti
economici di produzione, possesso e trasmissione delle proprietà; infine
i rapporti di autorità, gerarchia, potere e dominio, su scala ridotta
(famiglia, tribù, clan) e su scala più ampia (politico-istituzionale). Le
motivazioni che fondano le due diverse concezioni sono anch’esse
relative a quei rapporti e si compendiano, da una parte, nella centralità
della famiglia come unità sociale-naturale, in sé conclusa di affetti, di
vita, di lavoro, di accumulazione proprietaria, di educazione, di interna
distinzione di ruoli, funzioni, autorità; dall’altra nella priorità attribuita
all’integrazione sociale nella comunità, nella quale si espandono tutti
i rapporti e si riversano le relative funzioni, potenziando i legami
solidaristici, la cooperazione, l’attivazione di servizi, la condivisione
dei beni, la collaborazione nella crescita ed educazione delle nuove
generazioni.
Nella riflessione utopica successiva fino alla modernità inoltrata
e all’Ottocento, rimangono sostanzialmente queste le due concezioni,
riproposte più o meno con le stesse motivazioni. Così come rimane,
il presupposto metodologico ricorrente, l’archetipo: la profonda
critica degli aspetti distorti, viziosi, ingiusti della società, che investe
insieme agli ambiti politico, sociale ed economico, anche quello delle
relazioni private e familiari; sotto un duplice profilo, quale risultato di
un’organizzazione sociale data, e quale luogo di riproduzione di valenze
assiologico-normative e di consolidamento sociale.
2. Emancipazione della donna e trasformazione della
famiglia nella progettazione utopica dell’Ottocento
I fattori storici del cambiamento
La riflessione moderna sulla famiglia, sul matrimonio, la
proprietà, l’autorità e il potere su moglie e figli matura in modo parallelo
e inscindibile a quella sull’organizzazione della società e sulla forma
della convivenza. Lungo il ‘700 essa prende contorni più netti con il
travaglio e l’accelerazione storica prodotti dagli eventi centrali di quel
secolo. La rivoluzione industriale, il diffondersi dei Lumi, le rivoluzioni
politiche, americana e francese, riversano molti dei loro effetti sulla
famiglia: modificano i rapporti fra i sessi, trasformano il ruolo lavorativo
298
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
e sociale delle donne; e sul piano teorico comincia ad evidenziarsi la
storicità dell’istituto familiare.
Con la rivoluzione industriale occidentale la presenza sul terreno
economico-produttivo della donna lavoratrice diventa rilevante: nei
secoli precedenti la troviamo prevalentemente applicata a funzioni
precise, anche se numericamente esigue e peculiari al suo sesso: balia,
sarta, filatrice, variamente addetta al commercio, contadina; nella
seconda metà del ’700 la donna esce dalla casa ed entra nel mondo
della produzione industriale; lavora per un salario, fra grandi difficoltà
per conciliare lavoro, crescita dei figli, cura della casa, dedizione alla
vita familiare. È una novità che innesca un acceso dibattito intorno a
quello che era avvertito come un complesso problema sociale, morale e
addirittura legale. L’impegno orario gravoso, in luoghi lontani e separati
dalla dimora familiare, del lavoro industriale di fabbrica comportava
cambiamenti radicali rispetto al lavoro artigianale o commerciale a
domicilio; che permanevano anche quando la donna continuava a
lavorare in casa a fronte di una retribuzione a cottimo o di un salario
molto basso. Permaneva, infatti, identico l’impatto problematico sulla
vita familiare, determinato dall’applicazione delle donne al lavoro per
molte ore, dalle continue variazioni occupazionali, dalle fluttuazioni
economiche (SCOTT, 1981, p. 355-385).
D’altra parte, le rivoluzioni politiche, in particolare la Rivoluzione
francese, evento troppo spesso considerato privo di incidenza sulla
condizione delle donne, rompe gli schemi tradizionali delle relazioni
sociali e favorisce comportamenti nuovi; spinge le donne sul terreno della
prassi politica, ne sollecita la riflessione e la presa di coscienza, le induce
a sperimentare ruoli nuovi nel privato come nel sociale (GODINEAU,
1991, p. 15-33). Dopo che il secolo dei Lumi aveva aperto ad alcune di
loro − le raffinate aristocratiche e alto borghesi − le porte dell’istruzione
e della cultura, delle accademie, della “conversazione” elegante e paritaria
(almeno nella facciata) con l’uomo sui grandi temi della natura, dei
viaggi di scoperta, dell’arte, della scienza, e aveva consacrato i «salotti»
delle dame alla dignità dei circoli letterari2, è proprio la Rivoluzione che
avvicina le donne della media e piccola borghesia e dei ceti popolari alle
questioni sociali e politiche, e che talvolta le “arruola”3. Come dice D.
Godineau (1991, p. 18), le donne fanno “irruzione nello spazio politico
aperto della Rivoluzione”. Durante le sue complesse fasi, entrano in uno
spazio da sempre riservato agli uomini e gestito solo da loro. Se, infatti,
nell’ ‘89 le donne si erano trovate escluse dai momenti politici qualificanti,
estromesse “dal popolo deliberante (assemblee di sezione), dai comitati
locali, dalle associazioni politiche”, a seguito delle insurrezioni molte
cose cambiano; soprattutto nel momento operativo delle sommosse;
“nasce una sans-culotterie femminile” (Ivi, p. 19); le donne affrontano
il dibattito pubblico nelle tribune con il preciso intento di manifestare
direttamente le loro idee, di esprimere platealmente il loro consenso/
dissenso, di influenzare le assemblee dei legislatori. Se non hanno pieno
titolo all’ingresso nelle associazioni rivoluzionarie si riuniscono in Clubs,
Pur al confine tra pubblico
e privato, i salotti, come
quelli di M.me d’Epinay, di
M.me Helvétius o di M.me
Condorcet, da semplici luoghi
d’incontro diventano luoghi
di cultura in cui circolano idee
nuove, si diffondono costumi
più liberi, si recepiscono
posizioni filosofiche e scoperte
scientifiche; in cui uomini
- letterati, filosofi, politici,
scienziati - e donne di cultura
discutono alla pari questioni
di interesse generale, problemi
politici.
2
È documentata la presenza di
donne nella Garde nazionale
e la formazione di numerose
legioni di Amazones nella
provincia (Cf. DE VILLIERS,
1910).
3
299
LAURA TUNDO FERENTE
4
L’argomentazione di
Condorcet, che pure rievoca
Poullain de la Barre, si svolge
secondo un’impostazione
giuridica: «l’habitude ­dice ­
peut familiariser les hommes
avec la violation de leurs
droits naturels au point
que, parmi ceux qui les ont
perdus, personne ne songe
à les reclamer, ne craie avoir
eprouvé une injustice»; ed
è proprio violando questo
principio dell’egalité des
droits che filosofi e legislatori
hanno escluso le donne dal
«droit de cité» e privato così
la metà del genere umano dal
«concourir à la formation des
lois». Nelle Cinq memoire sur
l’instruction publique (1790), un
progetto di decreto, presentato
all’Assemblea nel ‘92 e mai
votato, affronta in modo ampio
la questione dell’istruzione
femminile evidenziando
l’inscindibile legame causale fra
ineguaglianza nella cultura e
ineguaglianza sociale e politica.
5
Nel 1791 pubblica una
brochure dedicata alla regina,
Les droits de la femme et de la
citoyenne.
300
fondano le “Societés fraternelles des Deux sexes” (Ivi, p. 20-22) dove la
forte socialità femminile assume una valenza politica sempre più chiara.
E, se in altri contesti rivoluzionari − come quello nordamericano − si
tratta, soprattutto, di mettere a disposizione della causa politica, il proprio
lavoro e, insieme, di assumere atteggiamenti privati di adesione a quella
causa, in Francia si sviluppa perfino un linguaggio politico femminile e
vengono avanzate rivendicazioni specifiche fino al diritto di voto .
Sono gli anni in cui muta anche l’approccio e l’interrogazione
di letterati, filosofi, progettisti sociali alle questioni che riguardano le
donne e le loro richieste. Condorcet, ad esempio, affida prima a un
opuscolo, Sur l’admission des femmes au droit de cité (1790), poi alla Lettre
d’un bourgeois de New haven à un citoyen de Virginie la sua perorazione a
favore del riconoscimento per le donne degli stessi diritti e doveri degli
uomini, a partire dalla autonoma razionalità e volontà delle donne stesse,
al di là dell’autorità paterna o maritale, che egli contesta, precisando, per
i critici prevenuti e malevoli, di richiedere “les droits à l’égalité” e non
“l’empire des femmes”. Una perorazione avanzata in modo emblematico
come ricadente entro la più generale questione dell’uguaglianza
e del diritto dell’intera specie umana4. A partire dal 1791, se nessun
diritto politico e di cittadinanza ha trovato accoglimento, nonostante
l’impegno di Condorcet, il nuovo clima influenza la legislazione, almeno
sul piano del diritto privato: essa accoglie l’eguaglianza dei diritti nella
successione, nella capacità di testimoniare, nel contrarre obbligazioni.
Nel 1792 le leggi dello stato civile sanciscono l’eguaglianza fra i coniugi,
conferiscono validità di contratto civile al matrimonio, introducono
il divorzio; nel ‘93 le donne sono ammesse a concorrere al pari degli
uomini, all’attribuzione dei beni comunali; va maturando così la loro
coscienza di essere parte della società politica.
Con toni appassionati e argomentazioni teoriche rigorose Olimpe
de Gouge5 si spinge a ricalcare gli articoli della Dichiarazione dell’89
sostituendo all’universalismo − rivelatosi ambiguo nell’affermazione
di genere − di “les hommes” il puntuale e inequivocabile “citoyens
et citoyennes” perorando per le donne, “esseri liberi”, la costante
partecipazione politica, ben al di là del semplice esercizio del voto,
l’accesso a tutte le funzioni deliberative, esecutive e di controllo.
Quasi negli stessi anni, Olimpe de Gouges, ma anche Flora Tristan
e Mary Wollstonecraft, con approcci diversi convergono, anzitutto,
sull’appello ai principi di libertà ed eguaglianza richiesti per le donne
non diversamente che per gli uomini, ma poi sulla necessità di affermare
esplicitamente e senza ambiguità, sul piano giuridico-istituzionale,
così come su quelli sociale, politico e culturale i diritti delle donne.
Le loro posizioni teoriche contrassegnano le principali direzioni in cui
le questioni legate alle donne verranno in seguito affrontate e sviluppate,
e costituiscono le punte avanzate di un atteggiamento decisamente
minoritario, quantunque in crescita, in aperta antitesi con una secolare
tradizione e con le posizioni filosofico-politiche più autorevoli del tempo
(cf. FRAISSE, 1991, p. 89-123). Le stesse che nella famiglia vedono il
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
luogo del dispiegarsi dell’autorità del marito-padre verso moglie e figli
e, insieme, della condizione di sottomissione-servitù della donna; in cui,
pur attraverso mistificatorie idealizzazioni si sancisce la sua “naturale”
inferiorità-dipendenza, perciò la privazione di autonomia e il ruolo di
“custode” della casa. Punte avanzate di un dibattito, che, se per un verso
contribuiscono a fecondare l’ambiente e maturare le coscienze, per altro
verso, alimentano nella società il timore di non riuscire a controllare
l’attivismo delle donne e dei loro sostenitori; la paura di andare verso una
«società destabilizzata da una confusione fra i sessi che trascinerà nel
caos, che “ribalterà l’ordine della natura”; fino a ipotizzare un irrazionale
e catastrofico conflitto fra i sessi6. Introducendo nuove regole per il
matrimonio e l’ordine domestico, in realtà, la Rivoluzione “ha aperto
il vaso di Pandora delle rivendicazioni femminili”, ha dato alla donna
“le cattive abitudini” che saranno stigmatizzate dai redattori del nuovo
Codice (SLEDZIEWSKI, 1991, 35-50).
L’Ottocento, il nuovo secolo, si apre senza che la vivace e ampia
discussione sui diritti sociali politici e giuridici per le donne sia sfociata
nel loro riconoscimento: l’istruzione per la donna è ancora considerata
“deplorevole” e l’attività politica “contraire à sa nature” (Ivi, p. 48-49).
Saranno allora i progetti utopici degli “ingegneri sociali” a rilanciare sia
la riflessione teorica sulla condizione della donna, la forma della famiglia, l’organizzazione della società, sia la spinta alla prassi. Così come
saranno gli scritti e i comportamenti di molte personalità femminili a
far avanzare il livello di consapevolezza delle donne e portare avanti
l’impegno per la loro emancipazione.
Da C. H. de Saint-Simon alla scuola di P. Enfantin
A seguito dell’attenzione con cui Claude H. de Saint-Simon
guarda alla società del suo tempo, alla sua composizione di classe, alla
povertà diffusa, ed entro il suo progetto utopico di riforma organizzativa
della società su base industriale, di incremento dei lavoratori attivi e
produttivi, di raggiungimento dell’efficienza, sorge un certo interesse
per la donna. In Lettre d’un habitant de Genève à ses contemporains, una
brochure in cui delinea un governo mondiale presieduto dal Conseil
de Newton − composto da 21 membri: mathématiciens, phisiciens,
chimistes, phisiologistes, litterateurs, peintres, musiciens, nominati dai
più importanti sottoscrittori − Saint-Simon aveva avanzato senza enfasi
il diritto per le donne a partecipare a questo Consiglio: “les femmes
seront admises à souscrire, elles pourront êtres nommées”, dice con
espressione laconica, sempre ripresa dai discepoli unitamente ad una
successiva, raccolta da O. Rodriguez in un colloquio con Saint-Simon
morente: “l’homme et la femme, voilà l’individue social”. In realtà, SaintSimon non si era dedicato ad un’analisi sistematica della condizione delle
donne, né si era preoccupato di progettare il loro nuovo ruolo familiare
e sociale. Furono i discepoli a ricomporre, come dice S. Charlety (1965,
p. 109), “avec mèthode la théorie éparse et fragmentaire du maître”
La pubblicazione e il
successo, come vedremo
anche più avanti, di giornali,
riviste, brochures, pamphlets,
dedicati alle donne, redatti da
donne singole o da gruppi, che
aveva caratterizzato la fine del
Settecento e i primi decenni
dell’Ottocento contribuiva sia
nella prima che nella seconda
direzione (Cf. SULLEROT,
1960).
6
301
LAURA TUNDO FERENTE
7
Si trattava di una dottrina
religiosa che aveva le sue
cerimonie e i suoi riti (come
la Communione generale, i
matrimoni, i funerali) di
cui i discepoli erano i nuovi
ministri, il nuovo clero (cf.
CHARLETY, 1965, p. 108).
8
Va detto, tuttavia, che
rispetto al progetto originario i
discepoli di Fourier assunsero e
mantennero un atteggiamento
ambiguo e censorio:
privilegiarono decisamente
le questioni economicoproduttive e occultarono quelle
relative alla trasformazione
dei rapporti d’amore e della
famiglia.
302
e costruire una complessa dottrina riprendendo la teorizzazione sociale
e politica del maestro, la nuova morale e la particolare religiosità che
ne avevano caratterizzato la prassi oltre che gli scritti. Una dottrina
che riguardo al ruolo della donna e alla sua missione sociale e religiosa
giungeva a una revisione/integrazione delle idee del maestro, a una
rinnovata formulazione dell’eguaglianza dei sessi, a una reimpostazione
dei rapporti amoroso-sessuali su base religiosa. Negli anni ’30 Enfantin,
Rodriguez, Duveyrier, Boucher e altri maturano l’idea che la cellula
di base della società sia la coppia nella quale l’individualità dei singoli
confluisce totalmente formando una unità, sintesi delle nature specifiche
dei due sessi. La forza e la razionalità dell’uomo si completano e si
armonizzano attraverso l’accoglimento delle pulsioni del sentimento
tutte femminili.
La formulazione teorica della scuola va prendendo presto il
carattere di un credo mistico-religioso7; e si esplicita come una filosofia
della storia pervasa da fanatismo; in particolare con la dottrina del DieuMatière, esito ultimo della partecipazione della “chair” al completamento
dell’alleanza di “cuore e spirito” con Dio. Riprendendo dal maestro
l’istanza di rivalutazione del corpo e della fisicità, lungamente disprezzati
dal Cristianesimo, Enfantin postula una svolta, la riconciliazione delle
antiche contraddizioni sotto il segno della valorizzazione di tutto ciò
che, come corpo e spirito, non è se non una forma della manifestazione
di Dio. Questa dottrina del “Dieu-Matière”, che restituisce rinnovato
valore al lavoro umano, alla scienza e ai suoi crescenti progressi,
è affiancata da quella del “Dieu mâle et femelle” intesa a fornire
giustificazione all’egualianza dei sessi, che la scuola tenta di tradurre in
prassi estendendo alla gerarchia del nuovo clero (dal prêtre al pontife)
il principio della coppia e introducendo il divorzio come passo in avanti
verso l’emancipazione della donna. Il risultato etico-religioso e pratico
di questi presupposti è il “divino androginato”, apice della vertigine
mistico-esoterica in cui la scuola precipita e che Enfantin porterà avanti
in vario modo. Con appelli al proselitismo, con la predicazione del
nuovo credo, quello della “Femme-Messie”, la figura cui viene affidata la
rigenerazione nell’egalité dell’intero genere umano.
L’accusa di attentare ai buoni costumi e di preparare la comunanza
delle donne oltre che dei beni, rivolta ad Enfantin e ad altri quattro sodali,
il successivo processo e la condanna provocarono di fatto la divisione e
poi la dissoluzione della scuola; alcuni componenti passarono tra le fila
dei discepoli di Fourier, attratti da un progetto molto più articolato e
aperto alle garanzie di libertà e al riconoscimento dei diritti8.
L’esperienza assai controversa della scuola saintsimoniana si può
dire che rappresentò un’opportunità per motivi diversi distorta. Anzitutto,
l’analisi dei caratteri distintivi dei due sessi fu risolta interpretandoli,
secondo una lunga tradizione, come presenza di componenti naturali
diverse: nell’uomo la razionalità, nella donna la sensibilità, la cui unione
nella coppia avrebbe ricomposto l’integrale unità della natura umana.
Il sesso femminile fu poi fortemente idealizzato, definito moralmente
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
superiore, innalzato a livelli di sacralità e di venerazione, ma senza il
raggiungimento di un’equilibrata considerazione di ciascun sesso e del
suo posto nella società. La riflessione e la prassi della scuola, nonostante
una iniziale presenza politica e un’intensa attività di propaganda, ebbero
scarsa incisività; neppure sul piano teorico, dell’analisi delle cause della
condizione subalterna in cui si trovavano le donne, ci furono esiti
scientifici apprezzabili; il progetto poi di modificare quella condizione si
smarrì in eccentricità e in conflitti, in una deriva mistica e irrazionale.
La presenza di donne, da Claire Bazard a Eugénie Niboyet,
Cécile Fournel, Clorinde Rogé, Suzanne Voilquin, fra i discepoli della
scuola saint-simoniana era stata fin dall’inizio notevole; partecipavano
alle riunioni e costituivano gruppi gerarchicamente ordinati, anche
se nessuna di esse giunse mai alla carica più elevata. Nel tirocinio
teorico e pratico nella scuola si formarono gruppi attivi di femministe
− alcune delle quali avevano condiviso intense esperienze amorose con
il caposcuola Enfantin − che cominciarono a contestare dall’interno il
ruolo ancora sostanzialmente servile ad esse riservato, nonostante gli
onori e il riguardo apparenti, e lo scarso peso che finivano per avere le
loro idee, le loro opinioni e giudizi. Le critiche vivaci all’impostazione
della nuova moralità, alle pressioni psicologiche ad accondiscendere alle
richieste amoroso-sessuali del Pére Enfantin, insieme a una formazione
intellettuale sempre più robusta, le spingeva ormai verso attività teoriche
e pratiche all’esterno: giri di propaganda, apertura di Clubs, Comités,
Societées − un anticipo sui foyers della seconda metà del secolo − in cui
incontrarsi, discutere, mettere in comune interessi e progetti. Cresceva
lo spirito di indipendenza, come testimonia la fondazione di un foglio
scritto da donne, La femme libre, titolo poi cambiato più volte, fino a
La tribune des femmes. Molte donne dei ceti operai avevano riposto
grandi speranze nella capacità della scuola di sostenere sul piano sociale
ed educativo le loro famiglie; altre cercavano solidarietà; all’inizio, quasi
soltanto le donne borghesi erano mosse da istanze di emancipazione
ed eguaglianza, più tardi, tutte maturano una consapevolezza crescente
della loro condizione, come testimoniano gli interventi frequenti sui
giornali, che toccano con maggiore o minore lucidità le grandi questioni:
matrimonio, divorzio, educazione, salario, prostituzione, perfino
l’elettorato attivo e passivo per le donne e le riforme del Code civil
(Cf. ARMAND-DUC, 1991, 51-88).
Ma la novità dell’impegno che sorge in questo momento è che le
donne non ritengono più indispensabile transitare attraverso i progetti
delle scuole e, per la prima volta, si dimostrano capaci non solo di
riflessione, ma anche di azione autonoma, di indipendenza, come nel caso
di Flora Tristan.
Fin da giovanissima Flora Tristan aveva sperimentato una vita
di povertà e di asservimento culminata nella scelta di abbandonare il
marito e la famiglia e iniziare una serie di viaggi, in Europa e in Perù
(nel tentativo di ottenere l’eredità paterna), durante i quali conosce a
fondo le condizioni di vita e di lavoro delle donne e mette a punto una
303
LAURA TUNDO FERENTE
rigorosa analisi (cf. MICHAUD, 1985). Il denominatore comune del
loro stato, osserva, è la servitù sul lavoro e nella famiglia; precorrendo
i tempi, riconosce che l’emancipazione delle donne può procedere solo
insieme all’emancipazione dei lavoratori; tuttavia, rimane a suo avviso
uno specifico femminile del problema. La sua appassionata capacità
di solidarizzare, mossa da un profondo ideale di fraternità, emerge
dall’opuscolo Necessité de faire bon accueil aux femmes etrangères (1835),
dove dichiara di volersi impegnare per cambiare le loro drammatiche
condizioni, rilevate direttamente nel suo giro lungo la Francia
(cf. TRISTAN, 1980), parlando, interrogando, osservando e analizzando.
Pensa che sia necessaria una rivoluzione come quella dell’ ‘89 anche per
le donne, perché prendano coscienza, si uniscano in classe, si organizzino
e sperimentino le forme più adeguate per liberarsi da sole. In Promenades
dans Londres (1839) denuncia con puntualità le responsabilità sociali e
politiche “de l’ignorance”, dell’assenza “d’ éducazion” e “de formation
professionnelle”, la disparità dei salari del trattamento nel lavoro. Invoca
un ripensamento del ruolo della donna, una evoluzione del costume
e della mentalità sulle questioni dell’amore e della famiglia per far
uscire le donne dall’assurda condizione di essere “les prolétaire des
prolétaires” (DESANTI, 1973). L’originalità delle sue inchieste sociali
ed economiche, la forza delle sue proposte fecero della Tristan una
protagonista della liberazione della donna e della nascita del movimento
sindacale (cf. TRISTAN, 1843).
Amore donna e famiglia nel progetto utopico di Charles
Fourier
9
La Civilisation è una fase
della storia umana, ma anche
una forma sociale. È stata
preceduta da altre, dotate
anch’esse di precisi caratteri:
Eden, Sauvagerie, Patriarcat,
Barbarie; la sequenza
fourieriana dei periodi futuri
prosegue con Garantisme,
Sociantisme, Armonisme.
Le passioni sono forze
istintuali, energie originarie
ma anche abiti attitudinali
acquisiti che spingono ad agire.
Sono opera di Dio, perciò
buone e utili, da ciò consegue
direttamente l’invocazione al
libre et plein essor di ciascuna.
10
304
Un approccio radicalmente innovativo nei principi ispiratori
e nella loro applicazione sociale alla condizione della donna e ai suoi
diritti è certamente quello di Charles Fourier. Suo punto di partenza è
un’accurata e pervasiva analisi critica della famiglia, della morale privata
e pubblica, dei rapporti amorosi e affettivi, della condizione personale
e sociale della donna, che si intreccia con l’analisi della società intera,
globalmente considerata come contesto storico-epocale, la Civilisation9.
Questa è per Fourier una fase della storia umana, il suo presente,
profondamente pervasa di vizio, corruzione e degenerazione, risultato
dello stravolgimento e della perdita dei legami con la natura originaria
dell’uomo. È la concezione antropologica (di ascendenza roussauiana)
della naturale bontà originaria dell’uomo dotato di passioni10, cui è
riservato un preciso ruolo nel piano divino sul cosmo e sull’uomo, che si
costituisce come postulato fondativo dell’intera teorizzazione fourieriana
e anche dell’emancipazione e liberazione della donna. A partire dal libre
e plein essor delle passioni Fourier fa discendere una catena di effetti che
scuotono dalle fondamenta con il modello «civilisé» della convivenza
l’impostazione tradizionale dei ruoli maschile e femminile, il rapporto
fra i sessi, la forma della famiglia, la stessa moralità denunciata come
incongrua, contraddittoria, doppia, per questo costantemente violata fino
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
all’anarchia dei costumi. Dall’analisi del costume, dei comportamenti reali
da Fourier svelati e classificati nelle fantasiose consuetudini trasgressive
che avevano preso il posto di norme restrittive, emerge il quadro una
società falsa, ipocrita, cinica, governata da egoismo e repressione. Uno
spaccato sociologico della fenomenologia dei vizi più comuni (come la
minuziosa classifica del tradimento coniugale nella Hierarchie du cocuage)
simile ai molti tableau di costume, alle pièces teatrali o alle trasposizioni
romanzate, ispirati alla vita reale di cui la letteratura francese del ‘700
è ricca. Per Fourier, causa profonda di questa realtà è la sistematica e
convergente − di famiglia, educazione, religione, politica – repressione
delle passioni; per rimuoverla egli pensa in termini progettuali di vasta
portata, di coinvolgimento dell’intera società e di tutte le relazioni
umane in essa attive. Al centro del suo progetto c’è il libre essor di tutte
le passioni in quanto buone e utili, il loro pieno e integrale sviluppo;
perciò anche la libera espansione e manifestazione della passione
amorosa su cui fonda l’amore liberale, un nuovo principio teorico capace
di reimpostare i costumi amorosi e sessuali, aprire il legame matrimoniale
e familiare esclusivo a rapporti molteplici, a relazioni diversificate e
complesse: di amore, di generazione, di oblazione, di trasmissione della
proprietà; liberare la donna da quel contesto di autoritarismo, ideologia,
repressione, ineguaglianza predisposto fin dall’inizio per tenerla
sottomessa e fedele.
Con il nouveau monde amoureux11 Fourier disegna una società
radicalmente trasformata dalla liberalità e circolarità dell’amore, in cui
a ciascun uomo e donna è riconosciuto il diritto a una soddisfazione
equilibrata ed armonica degli impulsi spirituali, sessuali ed eroticomaniacali; ma soprattutto esprime una profonda attenzione sociale che
indica nella moltiplicazione dei rapporti affettivi e amorosi in tutte le
direzioni la via privilegiata per giungere a una fitta rete di relazioni con
cui formare il tessuto della comunità. L’amore liberale, infatti, non si
chiude sulla soddisfazione e sul piacere individuali ma si intreccia con
le altre passioni in un sistema di filantropia universale. Si comprende
facilmente come la forma storica della famiglia sia investita direttamente
e complessivamente da una tale trasformazione non meno della struttura
sociale. La famiglia monogamica nata dal matrimonio esclusivo e
perpetuo rappresenta, infatti, per Fourier, più di ogni altra istituzione,
l’estenuarsi del vincolo sociale, il dissolversi dell’unità solidale della
comunità nella frammentazione e nell’egoismo.
Per un verso, come monade economico-produttiva autonoma,
il mènage incoherèn12, la famiglia-impresa, emerge dall’analisi fourieriana
come nucleo di produzione inefficace contro il pauperismo diffuso;
antieconomico per la dispersione di tempo, di risorse, di energie che
esso comporta; incoerente perché agisce sulla base di interessi ristretti e
in concorrenza reciproca, contro ogni logica di efficienza e di maggiore
produttività, contro il rispetto della salute, contro la preservazione
dell’equilibrio naturale. Rilevati con fine attenzione sociologica
questi caratteri evidenziano la totale inadeguatezza di questo modello
11
Le nouveau monde amoureux,
è anche il titolo del VII
volume delle Oeuvres complètes
de Charles Fourier (XII voll.,
Anthropos, Paris,1966-68)
scoperto, curato e pubblicato
da S. Debout.
12
Cf. Le nouveau monde
industriel et sociétaire
(FOURIER, 1966-1968,
VI, p. 269).
305
LAURA TUNDO FERENTE
Il gruppo si seleziona
spontaneamente sulla base
delle passioni comuni; la serie
di gruppi si compone sulla base
della scala di graduazione in
cui ogni passione si esprime.
13
14
La fausse industrie
(FOURIER, 1966-1968,
VIII, p. 97).
15
Le nouveau monde
amoureux,(FOURIER,
1966-1968, VII, p. 303).
16
Le nouveau monde industriel
et sociétaire (FOURIER,
1966-1968, VI, p. 201).
306
organizzativo (al tempo di Fourier percentualmente significativo in
molti ambiti, dall’agricoltura all’artigianato al commercio) a rispondere
alla richiesta di un forte incremento della produzione, necessario per
superare la povertà dominante.
Per altro verso, dall’analisi fourieriana risalta la falsità della forma
affettivo-riproduttiva della famiglia, viziata fin dalla sua formazione
dall’assenza di libertà, dall’impostazione coercitivo-repressiva,
dall’ineguaglianza dei suoi membri, infine, dall’esclusività perpetua.
Essa appare a Fourier come la meno idonea a contenere ed esprimere
l’ampiezza dei sentimenti umani, dei desideri, della carica erotica,
ma anche la meno indicata a dar corso alla complessità e vastità delle
relazioni nel senso più ampio, nonché a provvedere adeguatamente
all’educazione dei figli. Riprendendo quella che ritiene la primitiva
organizzazione seriale, Fourier propone una associazione di individui
raccolti in gruppi e serie di gruppi13. E’ nell’associazione che si risolve
la famiglia come entità economico-produttiva e anche come monade
affettiva, riproduttiva, educativa, e nasce una comunità di lavoro, di vita
e di affetti, dove l’individuo si trova coinvolto in un reseau di rapporti
variegati e complessi. La loro molteplicità e diversità viene a sostituire
l’esiguità del rapporto familiare monogamico in “une famille composée
au famille tres ramifiée, solidarie dans toutes ses bransches”14 ve ogni
legame è pervaso di un forte “esprit de communauté”15.
Presupposto e condizione di questa trasformazione radicale
della «societé domestique», ma poi anche della società tout-court, è
l’emancipazione della donna, la sua liberazione dall’asservimento all’autorità
maschile in tutte le espressioni della sua esistenza; da quella profonda
disegualianza culturale che, dice Fourier, adducendo a dimostrazione i suoi
stessi effetti è stata ideologicamente dichiarata ineguaglianza-inferiorità
di natura. Una contraddizione presto trasformatasi in “oppression” e
“esclavage morale” della donna nella famiglia e nella società. Icastica ed
efficacissima l’espressione con cui Fourier stigmatizza l’edificio ideologico
costruito da filosofi e moralisti per giustificare la realtà della condizione
femminile: “les philosophes […] sont comparables à ces méchant colons
des Antilles qui, aprés avoir abruti par les supplices leurs nègres dèjà
abrutis par l’éducation barbare, prétendent que ces nègres ne sont pas au
niveau de l’espèce humaine. L’opinion des philosophes sur le femmes est
aussi juste que celle des colons sur les nègres”16. Svelare la responsabilità di
intellettuali e filosofi, che hanno costruito con il loro sistema di conoscenze,
i loro pregiudizi, la loro misoginia l’edificio teorico del potere maschile,
è il primo passo per sconfiggere la secolare esclusione delle donne dalla
cultura, che ha portato alla loro irrilevanza sociale; liberare le passioni
e attitudini delle donne, la loro creatività nel lavoro, farà recuperare alla
società le capacità progettuali e decisionali che esse posseggono. Nella sua
proposta utopica, Fourier disegna per le donne un ruolo completamente
nuovo nel privato personale e familiare, nel lavoro e nella vita sociale,
che non ha pari nella riflessione coeva e per lungo tempo successiva, per
l’equilibrio di libertà, dignità e responsabilità con cui è posto. La posizione
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
teorica di Fourier, l’analisi minuziosa e felicemente libera da pregiudizi
ch’egli conduce dello specifico femminile delle grandi questioni, dalla
morale comune, all’educazione-istruzione, al lavoro, può essere considerata
un esempio eccezionale all’interno del pensiero filosofico-politico del
XIX secolo. Contro le argomentazioni ideologiche dominanti, contro
il disprezzo sistematico dell’ugualianza naturale che ha spinto la donna
in uno stato di servitù permanente, contro l’organizzata discriminazione
culturale che accoglie la donna fin dalla nascita e ne deforma e coarta le
facoltà e le attitudini, Fourier esprime la limpida consapevolezza che non
a fattori di natura bensì a una deliberata e protratta scelta maschile si
deve lo stato di inferiorità e di debolezza morale della donna, paragonata,
oltre che ai negri tenuti in schiavitù, agli intelligenti e attivissimi castori
inebetiti e resi stupidi dalla condizione di cattività.17
Dopo aver percorso l’itinerario storico-culturale dell’affermarsi
della repressione e della subordinazione femminile fino all’epoca
«civilizzata»; dopo aver messo a nudo i meccanismi culturali e ideologici
dell’asservimento delle donne, Fourier giunge a enunciare il principio
generale, avente cioè carattere di universalità, secondo cui ogni passaggio
da un periodo storico altro è connotato da un mutamento profondo della
condizione personale e sociale delle donne. E nelle sue previsioni, anche
solo il godimento di maggiori diritti e di più ampie libertà da parte
delle donne avrebbe determinato, un avanzamento reale, un progresso
della società intera. La sua tesi generale è: “les progrés sociaux et les
changements de periodes s’opèrent en raion du progrès des femmes
vers la liberté”(Ivi, p. 132). Diritti e libertà per le donne diventano qui
condizione di progresso sociale globale e sua misura infallibile, ma anche
fattore strategico di accelerazione del cammino storico di avanzamento.
Al rapporto poi delle donne con il lavoro, Fourier dedica grande
attenzione e giunge a una comprensione dettagliata delle trasformazioni
introdotte dal modello industriale-capitalistico, dalla condizione
di schiavitù, espropriazione, e sfruttamento del lavoratore, fino alla
specifica schiavitù di donne e bambini in quel lavoro. Qui il quadro della
vita reale della donna lavoratrice, ma anche dei bambini, spesso rilevato
da fonti ufficiali e descritto con sociologica puntualità, non priva di
accenti drammatici, denunzia l’uso opportunistico della forza-lavoro, la
ciclica disoccupazione, la dura e spersonalizzante disciplina, gli ambienti
malsani, il salario dimezzato, la lunghezza sfiancante dell’orario di
lavoro, prolungato poi dalle incombenze domestiche, e si chiude infine
sulla miseria materiale e sulla degradazione morale. Una ricostruzione
e denunzia, quella fourieriana, che rimarrà alla base dell’analisi
sociologico-economica sviluppata da Marx fin dai Manoscritti del 1844,
e che travalica il mero contesto delle condizioni di lavoro nel nascente
capitalismo per affrontare le questioni centrali della libertà e dignità
della donna in tutte le fasce sociali. Il pivot del progetto è l’eguaglianza
dei due sessi nell’essor passionale, nelle opportunità educativo-formative,
nelle possibilità di accesso al «travail attrayant», nella partecipazione alla
gestione collettiva della comunità.
17
Cf. Théorie des quatre
mouvements (FOURIER,
1966-1968, I, p. 47)
307
LAURA TUNDO FERENTE
Si veda per questo la Préface
di S. Debout al Nouveau monde
amoureux (FOURIER, 19661968, VII, p. VII-CXII).
18
308
Nella sfera privata, amorosa e sessuale, l’emancipazione
femminile sancisce la fine di quella minorità in cui la legge e il costume
confinavano la donna, il riconoscimento che la maggiore età la rende
autonoma e la libera da ogni soggezione affettiva o giuridica. Dopo
un tirocinio di castità di durata variabile, ma coincidente di fatto con
l’adolescenza inoltrata, le donne sono libere di contrarre vincoli amorosi
il cui livello di impegno e di durata è stabilito solo dai due partners;
libere di avere dei figli, di ratificare legalmente una unione, di stabilire
sulla base del proprio carattere forme diverse di rapporti amorosi che
ne soddisfino la spiritualità, la sessualità, la volontà oblativa; lo stesso
matrimonio esclusivo resta una fra le possibilità per coloro che vogliono
sceglierlo.
Ai bambini, poi, è riservata una grande sollecitudine, una
sensibilità pedagogica unita a una fine penetrazione psicologica. Fin dai
primi mesi di vita i piccoli sono affidati alla comunità la quale si assume
le funzioni educativo-formative e insieme l’impegno organizzativo ed
economico della loro crescita, dell’istruzione, della tutela della loro
salute, restituendo presto le madri alle loro funzioni lavorative e alla vita
sociale.
Come già osservavo, i numerosi discepoli di Fourier, fra cui
anche alcune donne, prima fra tutte Clarisse Vigoureux, si impegnarono
prevalentemente nella diffusione e nella propaganda delle notevoli
innovazioni che il modello di associazione armonica introduceva sul
piano economico e produttivo, del travail attrayant per tutti, nonché
sul risultato di moltiplicazione della produzione su cui Fourier aveva
molto insistito; avevano invece sottaciuto e trascurato (fino alla censura)
la complessa trasformazione dei rapporti affettivi amorosi e sessuali che
tanto rilievo avevano nell’ emancipazione femminile18.
Nella progettazione utopica successiva, compresa – come vedremo
– la teorizzazione marx-engelsiana del socialismo che si autodefinisce
scientifico, l’analisi della condizione femminile, la riflessione e la
proposta non raggiungeranno il respiro ampio e l’approfondiento che
avevano trovato con Fourier.
Etienne Cabet, ad esempio in Voyage en Icarie, si pone un obiettivo
prioritario: mostrare la possibilità di realizzare una società di uguali sul
piano economico e delle opportunità. Si ispira a T. More, al radicalismo
egualitario di Babeuf, all’égalité rivoluzionaria tradita dall’esito borghese
della Rivoluzione francese. L’ineguaglianza dei beni, la proprietà privata,
sono nell’analisi di Cabet, le cause di tutti i problemi sociali; egli pensa
perciò a un’organizzazione sociale ed economica in grado di elidere
tutte le differenze: di nurriture, vêtement, logement, ameublement,
in cui “l’égalité sociale et politique doit être la confirmation et le
perfectionnement de l’égalité naturelle”. Una uguaglianza “parfaite et
absolue” che nel progetto si traduce in organizzazione centralistica e in
livellamento di ogni aspetto dell’esistenza, dove forse è il ruolo affidato
da Cabet all’educazione, a possedere una forte valenza positiva, per la
sua capacità di far nascere e consolidare sentimenti e valori veramente
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
ugualitari. L’educazione in Icaria è mista cioé domestica e pubblica, ed è
paritaria sul piano fisico, culturale, professionale, al fine di consentire a
tutti, comprese le donne, di accedere a ciascuna funzione di lavoro. Ma
già nel lavoro si presenta una sorta di ghettizzazione dovuta alla scelta
organizzativa di far svolgere i mestieri e le professioni all’interno di una
divisione per sessi: le donne lavoreranno con e per le altre donne entro
una cornice di salubrità, di comodità e di limitazione di orario, tale che
consenta loro di adempiere agevolmente anche ai compiti domestici.
I diritti politici e di cittadinanza sembrano però riservati soltanto agli
uomini (CABET, 1847, p. 555-560).
Il successo del progetto di Cabet fu notevolissimo e fu
sperimentato fin dal 1847, per circa mezzo secolo, in alcune colonie del
Texas. Nel corso della redazione della Costituzione per una di queste
colonie, Cabet rivide alcune sue precedenti posizioni sui diritti civili per
le donne, riservando loro un ruolo politico consultivo e chiamandole
ad esprimersi, sia pure soltanto sulle questioni che le riguardavano più
da vicino. Per contro, i loro doveri sul piano sociale, politico e familiare
rimanevano ampi e cogenti, secondo il modello tradizionale che puniva
duramente l’infedeltà femminile e intendeva l’eguaglianza fra gli sposi
in modo scarsamente rigoroso, mentre concedeva alla donna, in quanto
parte più vulnerabile, protezione, attenzione, adorazione, ma quasi mai
veri diritti. Nonostante tutto, avendo come interlocutori gli ambienti
popolari degli operai e salariati in genere, la diffusione del pensiero
egualitario di Cabet ebbe una funzione efficace nella penetrazione
dell’ideale egualitario e nella sua estensione anche ai diritti delle
donne.
Marx ed Engels
L’analisi delle trasformazioni prodotte sulla società ottocentesca
dall’industrializzazione e degli effetti sulla famiglia è, come si sa, parte
integrante della più ampia analisi marx-engelsiana che muove dal
paradigma metodologico-interpretativo della realtà storico-sociale che
è il materialismo storico.
Il carattere costitutivo della famiglia deriva, infatti, direttamente
dai presupposti economici: è dall’attività produttiva umana che sorge
l’esistenza immediata dell’uomo, la sua coscienza, la sua vita sociale,
la sua storia; dall’affermarsi di una precisa modalità di produzione
sorgono precise relazioni sociali e politiche. Pertanto, come entità
storico-materialistico-evolutiva, la famiglia è il risultato di continue
trasformazioni strutturali connesse al mutare delle condizioni materiali
che di volta in volta la determinano. In Der Uusprug derFamilie, Engels
tenta (sulla scia delle ricerche di Morgan e Bachofen) di ricostruire il
passaggio da un modello primitivo comunitario, da un’economia di tipo
comunistico (vita sessuale promiscua, libertà e autonomia della donna)
al modello patriarcale ad economia privatistica (netta differenziazione
fra funzioni maschili e femminili, preminenza del ruolo maschile).
309
LAURA TUNDO FERENTE
19
Cf. ENGELS (1959-1961,
Der Ursprung der Familie, des
Privateigentums und des Staates,
XXI).
20
Cf. ENGELS (1959-1961,
Kritik der hegelschen
Staatsrecht, I).
Cf. ENGELS (1959-1961,
Die Deutsche Ideologie,
III; Manifest der
kommunistischen Partei, IV).
21
310
Subentra poi un passaggio ulteriore di tipo adultero-monogamico,
che porta al definitivo sopravvento della proprietà privata su quella
comune, al caratterizzarsi dell’uomo come produttore, allo stabilirsi della
discendenza in linea maschile, protesa alla garanzia della legittimità della
prole e alla conferma della posizione maschile nella produzione e nel
mantenimento materiale della famiglia. Infine, è prospettata una forma
superiore di proprietà collettiva cui si lega un modello sociale utopico
di elevata giustizia19. Una ricostruzione che trascura la complessità
intrinseca della forma famiglia, i delicati equilibri interni, il definirsi
delle funzioni e delle relazioni, la gestione della sessualità così come
della genitorialità. Resta importante la ribadita – era infatti già presente,
come si è visto, particolarmente in Fourier – storicità della famiglia, che
la libera definitivamente dal carattere di istituto metastorico e la apre alle
successive analisi sociologiche e antropologiche. Mentre la fondamentale
riduzione deterministica dell’analisi ne indebolisce la portata etica e
ne fa un mero derivato della vicenda storica e del fatto economico. E
anche le affermazioni di Der Ursprung der Familie e i pochi passaggi
di Die deutsche Ideologie che sottolineano l’apporto della famiglia alla
storia dell’umanità facendone (insieme al lavoro e al suo sviluppo) uno
dei due poli portanti della storia umana, non hanno trovato successive
conferme.
La critica della famiglia borghese, la forma storica più evoluta
del modello monogamico fondato su basi economiche e non naturali,
è condotta da Marx ed Engels contestando alla radice la teorizzazione
hegeliana del principio di universalità e necessità dell’istituto familiare e
la sua trasposizione del reale nell’ideale20. Per Marx la famiglia è comparsa
nella storia per la necessità di legittimare la discendenza, assicurare la
conservazione e trasmissione dei beni e attraverso il matrimonio, come
transazione economica, acquista il carattere dell’indissolubilità e della
monogamia (sia pure fittizia); nasce dunque come rapporto conflittuale
fra i sessi e si fonda sull’infedeltà reciproca. Così, al sacro concetto di
famiglia e assolutezza dei valori che la borghesia ha imposto agli altri ceti
come eticamente inviolabile corrisponde, in realtà, un’esistenza, quella
borghese centrata sul denaro, sull’immoralità delle continue finzioni e
violazioni del vincolo matrimoniale, “sulla corruzione, sull’inganno e sulla
falsità”, sulla “comunanza delle mogli”21. A quella pretesa universalità
corrisponde quindi solo una determinata famiglia, quella borghese,
l’unica che si fonda sul “capitale e sul guadagno privato”, integrata dalla
non famiglia proletaria, assorbita interamente dal capitale-profitto.
L’analisi marx-engeliana della famiglia proletaria ne mette
in evidenza la disgregazione all’interno del sistema capitalistico di
produzione, l’alto livello di sfruttamento della stessa essenza umana
dell’operaio, della sua famiglia, della donna e dei figli in una condizione
di miseria fisica e aberrazione e morale. È un processo che avanza verso i
ceti medi proletarizzandoli progressivamente con l’avanzare del capitale,
con l’annientamento dell’artigianato, con la fine della proprietà fondiaria
e l’impoverimento dei ceti intellettuali. Qui Engels sottolinea tutta una
L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA...
serie di fenomeni, che vanno dalla disaffezione delle madri, causa di
aumentata mortalità infantile, alla precoce emancipazione giovanile,
alla promiscuità e al sovrappopolamento e all’affievolirsi dell’affettività
e al dilagare di alcolismo, prostituzione, vagabondaggio e criminalità.
Veri e propri fattori dissolutivi nella precarietà della famiglia moderna,
legati allo sviluppo della società industriale-capitalistica in cui è messa
in serio pericolo più della sua esistenza, la sua funzione formativa,
educativa, assistenziale. Essere unità economica di base e comunità
autonoma di lavoro e di vita nella società precapitalistica, voleva dire
per la famiglia essere il centro della socializzazione e maturazione delle
nuove generazioni, centro della conservazione della tradizione culturale
e della sua trasmissione insieme al patrimonio strumentale acquisito. In
seguito, per Marx ed Engels, non tanto il lavoro a domicilio, seppure
comandato non più dall’autoconsumo ma dalla domanda del mercato,
quanto l’avvento del lavoro industriale smembra e rompe definitivamente
nella sua totalità il rapporto di trasmissione del mestiere fra genitori e
figli. In questo quadro, la scissione del lavoro femminile in domesticoriproduttivo e produttivo fa scoppiare tutte le contraddizioni22. È la
dissoluzione della vecchia famiglia che crea le condizioni, sia per una
rivendicazione paritaria e democratica dei rapporti marito-moglie
genitori-figli e sia per lo strutturarsi di una forma superiore di famiglia,
già presente in nuce in quella proletaria. La famiglia proletaria, liberata
dai residui di “brutalità”, è indicata come il modello futuro: un matrimonio
morale, libero, fondato su un intimo legame d’amore, sul superamento
del rapporto di schiavitù prodotto dalla differenziazione dei ruoli
sessuali nel lavoro. Il progetto marxiano prospetta così non la anticipata
«dissoluzione» della famiglia, ma di fatto l’assunzione di questo modello.
Rimane però una duplice ambiguità entro cui oscilla il discorso marxengeliano: la famiglia borghese è tale per il suo fondamento economico,
la proprietà, ma non lo è per la irrilevanza e dissipazione degli affetti
che vi si trova; la famiglia proletaria è autenticamente tale per l’unione
d’amore che la caratterizza, non lo è per l’assenza di un adeguato supporto
economico. Evidenziato il carattere ideologico della famiglia come
struttura di potere e di sfruttamento, espressione della classe dominante
e suo supporto, la conclusione necessaria è che anch’essa finirà con la
fine del conflitto di classe, della proprietà privata e dell’antagonismo
sociale.
La riappropriazione da parte dell’uomo della sua autentica essenza
umana passa, per il Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844,
attraverso la fine della proprietà privata e la “conversione dell’uomo dalla
religione, dalla famiglia dallo stato”. La collettivizzazione economica e
la socializzazione del momento educativo sostituiscono la famiglia come
entità economico-produttivo-assistenziale e nasce una società nuova
caratterizzata da nuovi rapporti fra uomini e sessi diversi. Il rinnovato
rapporto fra i sessi si produrrà sulla base della reciproca simpatia attraverso
una forma di matrimonio autenticamente monogamico, privo di quel
carattere di dominio dell’uomo sulla donna e dell’indissolubilità che ne
22
Per la ricostruzione delle
forme storiche della famiglia
moderna, cf. MANOUKIAN
(1974); FLANDRIN (1976);
STONE (1977); BARBAGLI
(1978); BARBAGLI &
KERTZER (2002).
311
LAURA TUNDO FERENTE
ha sempre alterato il senso; solo un rapporto d’amore che avrebbe in sé la
sua eticità23. Le rimanenti complesse questioni della famiglia futura non
sono ulteriormente chiarite e definite; tutta l’attenzione va alla società:
eliminata la proprietà privata essa assume su di sé il carico economico per
educazione, assistenza e servizi; emancipando il rapporto uomo-donna
dalle relative coercizioni e ideologie lo renderà essenzialmente libero
e autenticamente umano. Saranno le future generazioni a determinare
poi la propria “prassi”. L’eliminazione delle funzioni economiche della
famiglia la loro socializzazione attraverso servizi sostitutivi del lavoro
domestico, l’educazione-formazione affidata allo stato non portarono,
come Marx ed Engels pensavano, di per sé a una forma superiore di
famiglia, come ha dimostrato l’esperienza storica del modello sovietico.
La negazione di un reale incondizionato vincolo etico, in linea con il
convincimento marx-engelsiano che la morale è una sovrastruttura, una
proiezione ideologica dell’assetto economico, rende eticamente debole il
modello di esistenza proposto per la nuova famiglia. Lo sviluppo, poi,
di forme totalmente sradicate dalla tradizione familiare ancestrale del
popolo russo determina forte sbandamento nei comportamenti sociali,
uno smarrimento in forme di anarchia morale, in fenomeni di devianza
e di abuso connessi all’estrema precarietà del rapporto fra i sessi. Le
trasformazioni legislative, intervenute senza una maturazione della
coscienza, provocarono per molti anni gravi disordini sociali, il dilagare
della prostituzione e dei divorzi, una colpevole e incomprensibile
trascuratezza nei confronti dei figli, fino all’abbandono frequente. A
partire dagli anni ’40 interverrà una risoluta inversione di tendenza e
una modifica della legislazione dei primi decenni del secolo; questo
porterà a reintrodurre e promuovere la famiglia tradizionale24.
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Socialismus, (che ebbe 50
edizioni dal 1879 al 1910)
A. Bebel spiega il rapporto
fra i sessi nella futura società
comunista come una questione
puramente privata in cui la
donna, libera e indipendente,
avrebbe scelto, come un uomo,
solo in base all’amore.
23
Per una ricostruzione
della storia della famiglia
in URSS si veda : REICH
(1936); TROCKIJ (1936);
CHAMBRE (1974); HINDS
(1974); FRACASSI (1979).
24
312
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