L’utopia di fronte ai problemi della famiglia e della donna nel fra Sette e Ottocento Laura Tundo Ferente Università del Salento Resumo Dopo un rapido sguardo alle diverse concezioni filosofiche e della famiglia e alla prassi socio-antropologica, il saggio discute le proposte di emancipazione della donna nella progettazione utopica dell’Ottocento e la loro influenza nella trasformazione della famiglia, individuando i fattori storici del cambiamento. La rivoluzione industriale, il diffondersi dei Lumi, le rivoluzioni politiche, americana e francese, riversano molti dei loro effetti sulla famiglia: modificano i rapporti fra i sessi, trasformano il ruolo lavorativo e sociale delle donne, evidenziano la storicità dell’istituto familiare. Con la Rivoluzione vengono introdotte nuove regole per il matrimonio e l’ordine domestico e si “ apre il vaso di Pandora delle rivendicazioni femminili”. In seguito saranno i progetti utopici degli “ingegneri sociali” a rilanciare sia la riflessione teorica sulla condizione della donna, la forma della famiglia, l’organizzazione della società, sia la spinta alla prassi. Così come saranno gli scritti e i comportamenti di molte personalità femminili a far avanzare il livello di consapevolezza delle donne e portare avanti l’impegno per la loro emancipazione. L’analisi prosegue discutendo la posizione di C. H. de SaintSimon e della scuola di P. Enfantin. Si sottolinea la novità dell’impegno che sorge in questo momento: le donne non ritengono più indispensabile essere guidate dai teorici e, per la prima volta, si dimostrano capaci non solo di riflessione, ma anche di azione autonoma e indipendente, come nel caso di Flora Tristan. Infine il saggio ricostruisce la fine analisi e il progetto utopico radicalmente innovativo di Charles Fourier relativamente alla concezione dell’amore, alla morale privata e pubblica, alla condizione personale e sociale della donna e alla trasformazione della famiglia, che coinvolge la società intera, globalmente considerata come contesto storicoepocale, la Civilisation, una fase della storia umana, profondamente viziosa e corrotta che ha perduto i legami con la natura originaria dell’uomo. Palavras-chave Utopia, Famiglia, Crisi del Patriarcato. Laura Tundo Ferente é professora de Filosofia Moral e Bioética junto à Facoltà di Scienze della Formazione da Università del Salento, Lecce (Itália). Docente do doutorado de pesquisa em “Ética e Antropologia”; membro fundador do Centro Interuniversitario di studi sull’Utopia; faz parte do Conselho Científico das revistas: “Idee”, “Cahiers Charles Fourier”, “Rivista di Studi utopici”. Trabalhou para o aprofundamento teórico e historiográfico do pensamento utópico francês dos séculos XVIII e XIX (H. T. D’Holbach, L.-S. Mercier, Ch. Fourier); para a nova concepção do conceito de Utopia como projeto/processo da história humana, para a análise do pensamento moral e político de di I. Kant (Kant. Utopia e senso della storia, Dedalo, Bari 1998; Kant, Per la pace perpetua, Rizzoli, Milano 2003). Mais recentemente, sua pesquisa tem abordado a importante questão históricoteórica da formação da consciência moral, da assunção dos princípios éticos historicamente emergentes na ação política, social, econômica, desde a modernidade até o pensamento contemporâneo (Moralità e storia, B. Mondadori, Milano 2005); concomitantemente, trabalha com a relação entre utopia e ciência (La razionalità dell’utopia e l’agire scientificotecnologico, in Cosmopolis, n.2, 2007 e in www.Cosmopolisonline) e pela compreensão da idéia cosmopolítica moderna e sua evolução, desde a proposta institucional kantiana às perspectivas emergentes no século XXI (Il cosmopolitismo. Paradigma normativo, vincoli morali e progettualità politica, in corso di stampa). LAURA TUNDO FERENTE 1. Concezioni filosofiche e della famiglia e prassi socio-antropologica 1 Va detto che tutta l’architettura della koinonìa, della comunanza di donne e figli che veniva a sostituire la parentela di sangue tradizionale, pur nella dirompente novità della proposta, non è una mera invenzione platonica; essa proviene in gran parte dalla antecedente divisione in classi di età dei nomoioi spartani e da suggestioni antropologiche di analoghi costumi entro popolazioni barbare, riferiti da Erodoto in relazione ai libici e da Teopompo agli etruschi. Del resto, la letteratura comica e satirica aveva già utilizzato queste reminiscenze (Cf. Ecclesiauze). 296 Fin dalle origini la riflessione filosofica sulla famiglia si è mossa secondo due distinti percorsi, che attingevano le proprie motivazioni teoriche o alla realtà socio-storica della famiglia e ai suoi principi costitutivi, oppure a principi etici e politici tendenti ad anteporre un ideale di organizzazione sociale giusta e di bene comune, rispetto agli interessi di individui o di gruppi. In Aristotele e in Platone questi due distinti percorsi trovano un’ampia trattazione; i loro presupposti principiali (nota per il traduttore: relativi ai principi) sono rimasti a connotare due concezioni, due strutture assiologiche con differenti esiti socio-politici. Da una parte, Aristotele guarda all’oikos, che è insieme la casa di abitazione, il gruppo umano degli individui e i possedimenti materiali di appartenenza, e la definisce “la comunità che si costituisce per la vita quotidiana secondo natura” (Politica, I, 1252 b, p. 12-14). Qui l’unione del maschio e della femmina forma la cellula sociale di base richiesta dalle naturali necessità della riproduzione e conservazione della specie, e della sussistenza dei suoi membri; l’immodificabile e inestinguibile modello dei rapporti affettivo-riproduttivi ed economici volti alla formazione dei beni e alla loro trasmissione, chiamato a integrarsi globalmente nel complesso della polis. Una finalità questa che rivelerà subito un carattere aporetico insito in quello che possiamo definire un conflitto tra fonti autoritative diverse, quella gerarchica paterno-padronale su donne, figli, schiavi e quella dell’archè politikè fondata sul godimento degli stessi diritti. Dall’altra parte, Platone introduce nella cultura greca, che della famiglia aveva fatto una solida roccaforte per l’intera polis, un modello di aggregazione sociale retto da regole del tutto nuove per il matrimonio, l’allevamento dei figli, il possesso dei beni per i custodi, l’educazione e il ruolo delle donne e per i legami di parentela. Partendo dal convincimento, acquisito sul piano storico-critico, che oikos e proprietà privata sono le fonti stesse della corruzione, le radici della discordia, dell’egoismo, della rottura dell’armonia solidale, dell’avvento di prepotenza, ambizione, avidità, cause primarie della crisi della polis, Platone delinea nella Repubblica un progetto di città capace di eliminare le cause della disegualianza e della disarmonia, in vista della costruzione di un ordine sociale complessivamente più giusto. Le regole fondamentali per la giustizia nell’ordine politico si raccolgono, si può dire, intorno al principio di koinonìa1, che implica, da una parte, l’abolizione della proprietà privata per i custodi: “nessuno dei custodi della polis potrà possedere nulla di proprio, al di là degli oggetti di prima necessità” (Repubblica, 416 d.); dall’altra, la comunanza, la comune appartenenza tra i custodi, delle donne e dei figli (Ivi, 464 b.). Tagliando alla radice il rapporto fra possesso privato dell’oikos e organizzazione e gestione della città, Platone, pur ancora sempre entro una cornice aristocratica, lavora a eliminare il fattore principale del conflitto, la proprietà individuale; con la comunità delle donne istanzia, L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... poi, il comune appartenere all’unità dello stato e prefigura una solidarietà totale fra individuo e stato in vista del bene comune, della buona gestione della cosa pubblica, dell’abbattimento della divisione sociale e della felicità generale. Infine, rompendo la struttura tradizionale dell’oikos e vietando il possesso privato per la comunità dei custodi il modello platonico reimposta il tradizionale rapporto governante/governato, e fa dei governati gli unici detentori della ricchezza. Già con i maggiori rappresentanti della filosofia classica greca maturano, dunque, due distinte concezioni teoriche, delle quali, nelle grandi linee, si può dire che corrispondano ai differenti orientamenti rilevati dagli antropologi nella prassi socio-culturale. La forma organizzativa della famiglia, i cui tratti salienti si ritrovano, come spiega Claude Levi-Strauss, nell’unione coniugale sancita dal “matrimonio monogamico” socialmente riconosciuto di un uomo e una donna, nella “dimora autonoma” della giovane coppia, in una serie di vincoli religiosi, economici, di cooperazione, nel riconoscimento dei figli e nel rapporto affettuoso con loro, è certamente la forma più diffusa, in relazione alla quale è affermato il concetto di “famiglia naturale” e “universale”. Le ricerche antropologiche comparate confermano, in realtà, la presenza, al di là di peculiarità specifiche, di questa unità sociale di base nella gran parte delle culture. Ciò che farebbe pensare che l’unione fra un uomo e una donna, più o meno durevole e socialmente approvata, e dei loro figli sia “un fenomeno universale presente in ogni e qualsiasi tipo di società”. Si tratta, in effetti, di una presenza che potremmo definire trasversale, i cui caratteri essenziali possono ben coesistere e intrecciarsi con altre manifestazioni e con caratteristiche anche abbastanza differenziate. Tuttavia, emerge nettamente la non univocità del modello e la presenza di forme, sia pure più rare, di organizzazione sociale in cui è stata verificata la “inesistenza di vincoli familiari”, insieme al riconoscimento della “discendenza” e all’esercizio “dell’autorità giuridico-familiare rigorosamente matrilineare”. Né si tratta di forme residuali, o come spiega Levi-Strauss (1967, p. 146-177) di “vestigia di un primitivo genere di organizzazione sociale in passato molto più diffuso”; piuttosto di “una struttura sociale estremamente specializzata ed elaborata”. Del resto, sono state rintracciate e descritte altre forme in cui “la famiglia convive con un tipo non familiare e promiscuo di relazioni fra i sessi”. Le ricerche di antropologia culturale comparata giungono, dunque, a una prospettiva relativistica, sulla base della rilevazione di una varietà di modi in cui l’organizzazione della famiglia/parentela/discendenza si presenta; una prospettiva che, unita alle indagini sociologiche sulla evoluzione della forma della famiglia in Occidente, ha consentito di introdurre un’ipoteca decisiva circa la diversità culturale e storica dell’istituto familiare. Per converso, essa non consente di considerare la famiglia cosiddetta naturale, con i caratteri che abbiamo visto, come radicata in un’esigenza di natura e dunque universale; mentre ci permette di cogliere nelle differenti concezioni e nei modelli teorici proposti dalla riflessione filosofica, da una parte, una certa loro corrispondenza alla 297 LAURA TUNDO FERENTE prassi socio-culturale, dall’altra, uno sforzo propositivo di pensare i modi della convivenza a partire dai legami e dai vincoli basilari più semplici fra gli individui, e dai principi soggettivi, sociali, economici che si ritengono prioritari, nonché in ordine ad una complessiva organizzazione politica di riferimento. Le distinte posizioni teoriche di Aristotele e di Platone riguardo alla famiglia sintetizzano al loro interno non solo due grandi modelli alternativi, ma anche due rappresentazioni diverse dell’universo relazionale umano, dei rapporti affettivo-sessuali, di conservazione e riproduzione della specie, di parentela e discendenza, i rapporti economici di produzione, possesso e trasmissione delle proprietà; infine i rapporti di autorità, gerarchia, potere e dominio, su scala ridotta (famiglia, tribù, clan) e su scala più ampia (politico-istituzionale). Le motivazioni che fondano le due diverse concezioni sono anch’esse relative a quei rapporti e si compendiano, da una parte, nella centralità della famiglia come unità sociale-naturale, in sé conclusa di affetti, di vita, di lavoro, di accumulazione proprietaria, di educazione, di interna distinzione di ruoli, funzioni, autorità; dall’altra nella priorità attribuita all’integrazione sociale nella comunità, nella quale si espandono tutti i rapporti e si riversano le relative funzioni, potenziando i legami solidaristici, la cooperazione, l’attivazione di servizi, la condivisione dei beni, la collaborazione nella crescita ed educazione delle nuove generazioni. Nella riflessione utopica successiva fino alla modernità inoltrata e all’Ottocento, rimangono sostanzialmente queste le due concezioni, riproposte più o meno con le stesse motivazioni. Così come rimane, il presupposto metodologico ricorrente, l’archetipo: la profonda critica degli aspetti distorti, viziosi, ingiusti della società, che investe insieme agli ambiti politico, sociale ed economico, anche quello delle relazioni private e familiari; sotto un duplice profilo, quale risultato di un’organizzazione sociale data, e quale luogo di riproduzione di valenze assiologico-normative e di consolidamento sociale. 2. Emancipazione della donna e trasformazione della famiglia nella progettazione utopica dell’Ottocento I fattori storici del cambiamento La riflessione moderna sulla famiglia, sul matrimonio, la proprietà, l’autorità e il potere su moglie e figli matura in modo parallelo e inscindibile a quella sull’organizzazione della società e sulla forma della convivenza. Lungo il ‘700 essa prende contorni più netti con il travaglio e l’accelerazione storica prodotti dagli eventi centrali di quel secolo. La rivoluzione industriale, il diffondersi dei Lumi, le rivoluzioni politiche, americana e francese, riversano molti dei loro effetti sulla famiglia: modificano i rapporti fra i sessi, trasformano il ruolo lavorativo 298 L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... e sociale delle donne; e sul piano teorico comincia ad evidenziarsi la storicità dell’istituto familiare. Con la rivoluzione industriale occidentale la presenza sul terreno economico-produttivo della donna lavoratrice diventa rilevante: nei secoli precedenti la troviamo prevalentemente applicata a funzioni precise, anche se numericamente esigue e peculiari al suo sesso: balia, sarta, filatrice, variamente addetta al commercio, contadina; nella seconda metà del ’700 la donna esce dalla casa ed entra nel mondo della produzione industriale; lavora per un salario, fra grandi difficoltà per conciliare lavoro, crescita dei figli, cura della casa, dedizione alla vita familiare. È una novità che innesca un acceso dibattito intorno a quello che era avvertito come un complesso problema sociale, morale e addirittura legale. L’impegno orario gravoso, in luoghi lontani e separati dalla dimora familiare, del lavoro industriale di fabbrica comportava cambiamenti radicali rispetto al lavoro artigianale o commerciale a domicilio; che permanevano anche quando la donna continuava a lavorare in casa a fronte di una retribuzione a cottimo o di un salario molto basso. Permaneva, infatti, identico l’impatto problematico sulla vita familiare, determinato dall’applicazione delle donne al lavoro per molte ore, dalle continue variazioni occupazionali, dalle fluttuazioni economiche (SCOTT, 1981, p. 355-385). D’altra parte, le rivoluzioni politiche, in particolare la Rivoluzione francese, evento troppo spesso considerato privo di incidenza sulla condizione delle donne, rompe gli schemi tradizionali delle relazioni sociali e favorisce comportamenti nuovi; spinge le donne sul terreno della prassi politica, ne sollecita la riflessione e la presa di coscienza, le induce a sperimentare ruoli nuovi nel privato come nel sociale (GODINEAU, 1991, p. 15-33). Dopo che il secolo dei Lumi aveva aperto ad alcune di loro − le raffinate aristocratiche e alto borghesi − le porte dell’istruzione e della cultura, delle accademie, della “conversazione” elegante e paritaria (almeno nella facciata) con l’uomo sui grandi temi della natura, dei viaggi di scoperta, dell’arte, della scienza, e aveva consacrato i «salotti» delle dame alla dignità dei circoli letterari2, è proprio la Rivoluzione che avvicina le donne della media e piccola borghesia e dei ceti popolari alle questioni sociali e politiche, e che talvolta le “arruola”3. Come dice D. Godineau (1991, p. 18), le donne fanno “irruzione nello spazio politico aperto della Rivoluzione”. Durante le sue complesse fasi, entrano in uno spazio da sempre riservato agli uomini e gestito solo da loro. Se, infatti, nell’ ‘89 le donne si erano trovate escluse dai momenti politici qualificanti, estromesse “dal popolo deliberante (assemblee di sezione), dai comitati locali, dalle associazioni politiche”, a seguito delle insurrezioni molte cose cambiano; soprattutto nel momento operativo delle sommosse; “nasce una sans-culotterie femminile” (Ivi, p. 19); le donne affrontano il dibattito pubblico nelle tribune con il preciso intento di manifestare direttamente le loro idee, di esprimere platealmente il loro consenso/ dissenso, di influenzare le assemblee dei legislatori. Se non hanno pieno titolo all’ingresso nelle associazioni rivoluzionarie si riuniscono in Clubs, Pur al confine tra pubblico e privato, i salotti, come quelli di M.me d’Epinay, di M.me Helvétius o di M.me Condorcet, da semplici luoghi d’incontro diventano luoghi di cultura in cui circolano idee nuove, si diffondono costumi più liberi, si recepiscono posizioni filosofiche e scoperte scientifiche; in cui uomini - letterati, filosofi, politici, scienziati - e donne di cultura discutono alla pari questioni di interesse generale, problemi politici. 2 È documentata la presenza di donne nella Garde nazionale e la formazione di numerose legioni di Amazones nella provincia (Cf. DE VILLIERS, 1910). 3 299 LAURA TUNDO FERENTE 4 L’argomentazione di Condorcet, che pure rievoca Poullain de la Barre, si svolge secondo un’impostazione giuridica: «l’habitude ­dice ­ peut familiariser les hommes avec la violation de leurs droits naturels au point que, parmi ceux qui les ont perdus, personne ne songe à les reclamer, ne craie avoir eprouvé une injustice»; ed è proprio violando questo principio dell’egalité des droits che filosofi e legislatori hanno escluso le donne dal «droit de cité» e privato così la metà del genere umano dal «concourir à la formation des lois». Nelle Cinq memoire sur l’instruction publique (1790), un progetto di decreto, presentato all’Assemblea nel ‘92 e mai votato, affronta in modo ampio la questione dell’istruzione femminile evidenziando l’inscindibile legame causale fra ineguaglianza nella cultura e ineguaglianza sociale e politica. 5 Nel 1791 pubblica una brochure dedicata alla regina, Les droits de la femme et de la citoyenne. 300 fondano le “Societés fraternelles des Deux sexes” (Ivi, p. 20-22) dove la forte socialità femminile assume una valenza politica sempre più chiara. E, se in altri contesti rivoluzionari − come quello nordamericano − si tratta, soprattutto, di mettere a disposizione della causa politica, il proprio lavoro e, insieme, di assumere atteggiamenti privati di adesione a quella causa, in Francia si sviluppa perfino un linguaggio politico femminile e vengono avanzate rivendicazioni specifiche fino al diritto di voto . Sono gli anni in cui muta anche l’approccio e l’interrogazione di letterati, filosofi, progettisti sociali alle questioni che riguardano le donne e le loro richieste. Condorcet, ad esempio, affida prima a un opuscolo, Sur l’admission des femmes au droit de cité (1790), poi alla Lettre d’un bourgeois de New haven à un citoyen de Virginie la sua perorazione a favore del riconoscimento per le donne degli stessi diritti e doveri degli uomini, a partire dalla autonoma razionalità e volontà delle donne stesse, al di là dell’autorità paterna o maritale, che egli contesta, precisando, per i critici prevenuti e malevoli, di richiedere “les droits à l’égalité” e non “l’empire des femmes”. Una perorazione avanzata in modo emblematico come ricadente entro la più generale questione dell’uguaglianza e del diritto dell’intera specie umana4. A partire dal 1791, se nessun diritto politico e di cittadinanza ha trovato accoglimento, nonostante l’impegno di Condorcet, il nuovo clima influenza la legislazione, almeno sul piano del diritto privato: essa accoglie l’eguaglianza dei diritti nella successione, nella capacità di testimoniare, nel contrarre obbligazioni. Nel 1792 le leggi dello stato civile sanciscono l’eguaglianza fra i coniugi, conferiscono validità di contratto civile al matrimonio, introducono il divorzio; nel ‘93 le donne sono ammesse a concorrere al pari degli uomini, all’attribuzione dei beni comunali; va maturando così la loro coscienza di essere parte della società politica. Con toni appassionati e argomentazioni teoriche rigorose Olimpe de Gouge5 si spinge a ricalcare gli articoli della Dichiarazione dell’89 sostituendo all’universalismo − rivelatosi ambiguo nell’affermazione di genere − di “les hommes” il puntuale e inequivocabile “citoyens et citoyennes” perorando per le donne, “esseri liberi”, la costante partecipazione politica, ben al di là del semplice esercizio del voto, l’accesso a tutte le funzioni deliberative, esecutive e di controllo. Quasi negli stessi anni, Olimpe de Gouges, ma anche Flora Tristan e Mary Wollstonecraft, con approcci diversi convergono, anzitutto, sull’appello ai principi di libertà ed eguaglianza richiesti per le donne non diversamente che per gli uomini, ma poi sulla necessità di affermare esplicitamente e senza ambiguità, sul piano giuridico-istituzionale, così come su quelli sociale, politico e culturale i diritti delle donne. Le loro posizioni teoriche contrassegnano le principali direzioni in cui le questioni legate alle donne verranno in seguito affrontate e sviluppate, e costituiscono le punte avanzate di un atteggiamento decisamente minoritario, quantunque in crescita, in aperta antitesi con una secolare tradizione e con le posizioni filosofico-politiche più autorevoli del tempo (cf. FRAISSE, 1991, p. 89-123). Le stesse che nella famiglia vedono il L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... luogo del dispiegarsi dell’autorità del marito-padre verso moglie e figli e, insieme, della condizione di sottomissione-servitù della donna; in cui, pur attraverso mistificatorie idealizzazioni si sancisce la sua “naturale” inferiorità-dipendenza, perciò la privazione di autonomia e il ruolo di “custode” della casa. Punte avanzate di un dibattito, che, se per un verso contribuiscono a fecondare l’ambiente e maturare le coscienze, per altro verso, alimentano nella società il timore di non riuscire a controllare l’attivismo delle donne e dei loro sostenitori; la paura di andare verso una «società destabilizzata da una confusione fra i sessi che trascinerà nel caos, che “ribalterà l’ordine della natura”; fino a ipotizzare un irrazionale e catastrofico conflitto fra i sessi6. Introducendo nuove regole per il matrimonio e l’ordine domestico, in realtà, la Rivoluzione “ha aperto il vaso di Pandora delle rivendicazioni femminili”, ha dato alla donna “le cattive abitudini” che saranno stigmatizzate dai redattori del nuovo Codice (SLEDZIEWSKI, 1991, 35-50). L’Ottocento, il nuovo secolo, si apre senza che la vivace e ampia discussione sui diritti sociali politici e giuridici per le donne sia sfociata nel loro riconoscimento: l’istruzione per la donna è ancora considerata “deplorevole” e l’attività politica “contraire à sa nature” (Ivi, p. 48-49). Saranno allora i progetti utopici degli “ingegneri sociali” a rilanciare sia la riflessione teorica sulla condizione della donna, la forma della famiglia, l’organizzazione della società, sia la spinta alla prassi. Così come saranno gli scritti e i comportamenti di molte personalità femminili a far avanzare il livello di consapevolezza delle donne e portare avanti l’impegno per la loro emancipazione. Da C. H. de Saint-Simon alla scuola di P. Enfantin A seguito dell’attenzione con cui Claude H. de Saint-Simon guarda alla società del suo tempo, alla sua composizione di classe, alla povertà diffusa, ed entro il suo progetto utopico di riforma organizzativa della società su base industriale, di incremento dei lavoratori attivi e produttivi, di raggiungimento dell’efficienza, sorge un certo interesse per la donna. In Lettre d’un habitant de Genève à ses contemporains, una brochure in cui delinea un governo mondiale presieduto dal Conseil de Newton − composto da 21 membri: mathématiciens, phisiciens, chimistes, phisiologistes, litterateurs, peintres, musiciens, nominati dai più importanti sottoscrittori − Saint-Simon aveva avanzato senza enfasi il diritto per le donne a partecipare a questo Consiglio: “les femmes seront admises à souscrire, elles pourront êtres nommées”, dice con espressione laconica, sempre ripresa dai discepoli unitamente ad una successiva, raccolta da O. Rodriguez in un colloquio con Saint-Simon morente: “l’homme et la femme, voilà l’individue social”. In realtà, SaintSimon non si era dedicato ad un’analisi sistematica della condizione delle donne, né si era preoccupato di progettare il loro nuovo ruolo familiare e sociale. Furono i discepoli a ricomporre, come dice S. Charlety (1965, p. 109), “avec mèthode la théorie éparse et fragmentaire du maître” La pubblicazione e il successo, come vedremo anche più avanti, di giornali, riviste, brochures, pamphlets, dedicati alle donne, redatti da donne singole o da gruppi, che aveva caratterizzato la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento contribuiva sia nella prima che nella seconda direzione (Cf. SULLEROT, 1960). 6 301 LAURA TUNDO FERENTE 7 Si trattava di una dottrina religiosa che aveva le sue cerimonie e i suoi riti (come la Communione generale, i matrimoni, i funerali) di cui i discepoli erano i nuovi ministri, il nuovo clero (cf. CHARLETY, 1965, p. 108). 8 Va detto, tuttavia, che rispetto al progetto originario i discepoli di Fourier assunsero e mantennero un atteggiamento ambiguo e censorio: privilegiarono decisamente le questioni economicoproduttive e occultarono quelle relative alla trasformazione dei rapporti d’amore e della famiglia. 302 e costruire una complessa dottrina riprendendo la teorizzazione sociale e politica del maestro, la nuova morale e la particolare religiosità che ne avevano caratterizzato la prassi oltre che gli scritti. Una dottrina che riguardo al ruolo della donna e alla sua missione sociale e religiosa giungeva a una revisione/integrazione delle idee del maestro, a una rinnovata formulazione dell’eguaglianza dei sessi, a una reimpostazione dei rapporti amoroso-sessuali su base religiosa. Negli anni ’30 Enfantin, Rodriguez, Duveyrier, Boucher e altri maturano l’idea che la cellula di base della società sia la coppia nella quale l’individualità dei singoli confluisce totalmente formando una unità, sintesi delle nature specifiche dei due sessi. La forza e la razionalità dell’uomo si completano e si armonizzano attraverso l’accoglimento delle pulsioni del sentimento tutte femminili. La formulazione teorica della scuola va prendendo presto il carattere di un credo mistico-religioso7; e si esplicita come una filosofia della storia pervasa da fanatismo; in particolare con la dottrina del DieuMatière, esito ultimo della partecipazione della “chair” al completamento dell’alleanza di “cuore e spirito” con Dio. Riprendendo dal maestro l’istanza di rivalutazione del corpo e della fisicità, lungamente disprezzati dal Cristianesimo, Enfantin postula una svolta, la riconciliazione delle antiche contraddizioni sotto il segno della valorizzazione di tutto ciò che, come corpo e spirito, non è se non una forma della manifestazione di Dio. Questa dottrina del “Dieu-Matière”, che restituisce rinnovato valore al lavoro umano, alla scienza e ai suoi crescenti progressi, è affiancata da quella del “Dieu mâle et femelle” intesa a fornire giustificazione all’egualianza dei sessi, che la scuola tenta di tradurre in prassi estendendo alla gerarchia del nuovo clero (dal prêtre al pontife) il principio della coppia e introducendo il divorzio come passo in avanti verso l’emancipazione della donna. Il risultato etico-religioso e pratico di questi presupposti è il “divino androginato”, apice della vertigine mistico-esoterica in cui la scuola precipita e che Enfantin porterà avanti in vario modo. Con appelli al proselitismo, con la predicazione del nuovo credo, quello della “Femme-Messie”, la figura cui viene affidata la rigenerazione nell’egalité dell’intero genere umano. L’accusa di attentare ai buoni costumi e di preparare la comunanza delle donne oltre che dei beni, rivolta ad Enfantin e ad altri quattro sodali, il successivo processo e la condanna provocarono di fatto la divisione e poi la dissoluzione della scuola; alcuni componenti passarono tra le fila dei discepoli di Fourier, attratti da un progetto molto più articolato e aperto alle garanzie di libertà e al riconoscimento dei diritti8. L’esperienza assai controversa della scuola saintsimoniana si può dire che rappresentò un’opportunità per motivi diversi distorta. Anzitutto, l’analisi dei caratteri distintivi dei due sessi fu risolta interpretandoli, secondo una lunga tradizione, come presenza di componenti naturali diverse: nell’uomo la razionalità, nella donna la sensibilità, la cui unione nella coppia avrebbe ricomposto l’integrale unità della natura umana. Il sesso femminile fu poi fortemente idealizzato, definito moralmente L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... superiore, innalzato a livelli di sacralità e di venerazione, ma senza il raggiungimento di un’equilibrata considerazione di ciascun sesso e del suo posto nella società. La riflessione e la prassi della scuola, nonostante una iniziale presenza politica e un’intensa attività di propaganda, ebbero scarsa incisività; neppure sul piano teorico, dell’analisi delle cause della condizione subalterna in cui si trovavano le donne, ci furono esiti scientifici apprezzabili; il progetto poi di modificare quella condizione si smarrì in eccentricità e in conflitti, in una deriva mistica e irrazionale. La presenza di donne, da Claire Bazard a Eugénie Niboyet, Cécile Fournel, Clorinde Rogé, Suzanne Voilquin, fra i discepoli della scuola saint-simoniana era stata fin dall’inizio notevole; partecipavano alle riunioni e costituivano gruppi gerarchicamente ordinati, anche se nessuna di esse giunse mai alla carica più elevata. Nel tirocinio teorico e pratico nella scuola si formarono gruppi attivi di femministe − alcune delle quali avevano condiviso intense esperienze amorose con il caposcuola Enfantin − che cominciarono a contestare dall’interno il ruolo ancora sostanzialmente servile ad esse riservato, nonostante gli onori e il riguardo apparenti, e lo scarso peso che finivano per avere le loro idee, le loro opinioni e giudizi. Le critiche vivaci all’impostazione della nuova moralità, alle pressioni psicologiche ad accondiscendere alle richieste amoroso-sessuali del Pére Enfantin, insieme a una formazione intellettuale sempre più robusta, le spingeva ormai verso attività teoriche e pratiche all’esterno: giri di propaganda, apertura di Clubs, Comités, Societées − un anticipo sui foyers della seconda metà del secolo − in cui incontrarsi, discutere, mettere in comune interessi e progetti. Cresceva lo spirito di indipendenza, come testimonia la fondazione di un foglio scritto da donne, La femme libre, titolo poi cambiato più volte, fino a La tribune des femmes. Molte donne dei ceti operai avevano riposto grandi speranze nella capacità della scuola di sostenere sul piano sociale ed educativo le loro famiglie; altre cercavano solidarietà; all’inizio, quasi soltanto le donne borghesi erano mosse da istanze di emancipazione ed eguaglianza, più tardi, tutte maturano una consapevolezza crescente della loro condizione, come testimoniano gli interventi frequenti sui giornali, che toccano con maggiore o minore lucidità le grandi questioni: matrimonio, divorzio, educazione, salario, prostituzione, perfino l’elettorato attivo e passivo per le donne e le riforme del Code civil (Cf. ARMAND-DUC, 1991, 51-88). Ma la novità dell’impegno che sorge in questo momento è che le donne non ritengono più indispensabile transitare attraverso i progetti delle scuole e, per la prima volta, si dimostrano capaci non solo di riflessione, ma anche di azione autonoma, di indipendenza, come nel caso di Flora Tristan. Fin da giovanissima Flora Tristan aveva sperimentato una vita di povertà e di asservimento culminata nella scelta di abbandonare il marito e la famiglia e iniziare una serie di viaggi, in Europa e in Perù (nel tentativo di ottenere l’eredità paterna), durante i quali conosce a fondo le condizioni di vita e di lavoro delle donne e mette a punto una 303 LAURA TUNDO FERENTE rigorosa analisi (cf. MICHAUD, 1985). Il denominatore comune del loro stato, osserva, è la servitù sul lavoro e nella famiglia; precorrendo i tempi, riconosce che l’emancipazione delle donne può procedere solo insieme all’emancipazione dei lavoratori; tuttavia, rimane a suo avviso uno specifico femminile del problema. La sua appassionata capacità di solidarizzare, mossa da un profondo ideale di fraternità, emerge dall’opuscolo Necessité de faire bon accueil aux femmes etrangères (1835), dove dichiara di volersi impegnare per cambiare le loro drammatiche condizioni, rilevate direttamente nel suo giro lungo la Francia (cf. TRISTAN, 1980), parlando, interrogando, osservando e analizzando. Pensa che sia necessaria una rivoluzione come quella dell’ ‘89 anche per le donne, perché prendano coscienza, si uniscano in classe, si organizzino e sperimentino le forme più adeguate per liberarsi da sole. In Promenades dans Londres (1839) denuncia con puntualità le responsabilità sociali e politiche “de l’ignorance”, dell’assenza “d’ éducazion” e “de formation professionnelle”, la disparità dei salari del trattamento nel lavoro. Invoca un ripensamento del ruolo della donna, una evoluzione del costume e della mentalità sulle questioni dell’amore e della famiglia per far uscire le donne dall’assurda condizione di essere “les prolétaire des prolétaires” (DESANTI, 1973). L’originalità delle sue inchieste sociali ed economiche, la forza delle sue proposte fecero della Tristan una protagonista della liberazione della donna e della nascita del movimento sindacale (cf. TRISTAN, 1843). Amore donna e famiglia nel progetto utopico di Charles Fourier 9 La Civilisation è una fase della storia umana, ma anche una forma sociale. È stata preceduta da altre, dotate anch’esse di precisi caratteri: Eden, Sauvagerie, Patriarcat, Barbarie; la sequenza fourieriana dei periodi futuri prosegue con Garantisme, Sociantisme, Armonisme. Le passioni sono forze istintuali, energie originarie ma anche abiti attitudinali acquisiti che spingono ad agire. Sono opera di Dio, perciò buone e utili, da ciò consegue direttamente l’invocazione al libre et plein essor di ciascuna. 10 304 Un approccio radicalmente innovativo nei principi ispiratori e nella loro applicazione sociale alla condizione della donna e ai suoi diritti è certamente quello di Charles Fourier. Suo punto di partenza è un’accurata e pervasiva analisi critica della famiglia, della morale privata e pubblica, dei rapporti amorosi e affettivi, della condizione personale e sociale della donna, che si intreccia con l’analisi della società intera, globalmente considerata come contesto storico-epocale, la Civilisation9. Questa è per Fourier una fase della storia umana, il suo presente, profondamente pervasa di vizio, corruzione e degenerazione, risultato dello stravolgimento e della perdita dei legami con la natura originaria dell’uomo. È la concezione antropologica (di ascendenza roussauiana) della naturale bontà originaria dell’uomo dotato di passioni10, cui è riservato un preciso ruolo nel piano divino sul cosmo e sull’uomo, che si costituisce come postulato fondativo dell’intera teorizzazione fourieriana e anche dell’emancipazione e liberazione della donna. A partire dal libre e plein essor delle passioni Fourier fa discendere una catena di effetti che scuotono dalle fondamenta con il modello «civilisé» della convivenza l’impostazione tradizionale dei ruoli maschile e femminile, il rapporto fra i sessi, la forma della famiglia, la stessa moralità denunciata come incongrua, contraddittoria, doppia, per questo costantemente violata fino L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... all’anarchia dei costumi. Dall’analisi del costume, dei comportamenti reali da Fourier svelati e classificati nelle fantasiose consuetudini trasgressive che avevano preso il posto di norme restrittive, emerge il quadro una società falsa, ipocrita, cinica, governata da egoismo e repressione. Uno spaccato sociologico della fenomenologia dei vizi più comuni (come la minuziosa classifica del tradimento coniugale nella Hierarchie du cocuage) simile ai molti tableau di costume, alle pièces teatrali o alle trasposizioni romanzate, ispirati alla vita reale di cui la letteratura francese del ‘700 è ricca. Per Fourier, causa profonda di questa realtà è la sistematica e convergente − di famiglia, educazione, religione, politica – repressione delle passioni; per rimuoverla egli pensa in termini progettuali di vasta portata, di coinvolgimento dell’intera società e di tutte le relazioni umane in essa attive. Al centro del suo progetto c’è il libre essor di tutte le passioni in quanto buone e utili, il loro pieno e integrale sviluppo; perciò anche la libera espansione e manifestazione della passione amorosa su cui fonda l’amore liberale, un nuovo principio teorico capace di reimpostare i costumi amorosi e sessuali, aprire il legame matrimoniale e familiare esclusivo a rapporti molteplici, a relazioni diversificate e complesse: di amore, di generazione, di oblazione, di trasmissione della proprietà; liberare la donna da quel contesto di autoritarismo, ideologia, repressione, ineguaglianza predisposto fin dall’inizio per tenerla sottomessa e fedele. Con il nouveau monde amoureux11 Fourier disegna una società radicalmente trasformata dalla liberalità e circolarità dell’amore, in cui a ciascun uomo e donna è riconosciuto il diritto a una soddisfazione equilibrata ed armonica degli impulsi spirituali, sessuali ed eroticomaniacali; ma soprattutto esprime una profonda attenzione sociale che indica nella moltiplicazione dei rapporti affettivi e amorosi in tutte le direzioni la via privilegiata per giungere a una fitta rete di relazioni con cui formare il tessuto della comunità. L’amore liberale, infatti, non si chiude sulla soddisfazione e sul piacere individuali ma si intreccia con le altre passioni in un sistema di filantropia universale. Si comprende facilmente come la forma storica della famiglia sia investita direttamente e complessivamente da una tale trasformazione non meno della struttura sociale. La famiglia monogamica nata dal matrimonio esclusivo e perpetuo rappresenta, infatti, per Fourier, più di ogni altra istituzione, l’estenuarsi del vincolo sociale, il dissolversi dell’unità solidale della comunità nella frammentazione e nell’egoismo. Per un verso, come monade economico-produttiva autonoma, il mènage incoherèn12, la famiglia-impresa, emerge dall’analisi fourieriana come nucleo di produzione inefficace contro il pauperismo diffuso; antieconomico per la dispersione di tempo, di risorse, di energie che esso comporta; incoerente perché agisce sulla base di interessi ristretti e in concorrenza reciproca, contro ogni logica di efficienza e di maggiore produttività, contro il rispetto della salute, contro la preservazione dell’equilibrio naturale. Rilevati con fine attenzione sociologica questi caratteri evidenziano la totale inadeguatezza di questo modello 11 Le nouveau monde amoureux, è anche il titolo del VII volume delle Oeuvres complètes de Charles Fourier (XII voll., Anthropos, Paris,1966-68) scoperto, curato e pubblicato da S. Debout. 12 Cf. Le nouveau monde industriel et sociétaire (FOURIER, 1966-1968, VI, p. 269). 305 LAURA TUNDO FERENTE Il gruppo si seleziona spontaneamente sulla base delle passioni comuni; la serie di gruppi si compone sulla base della scala di graduazione in cui ogni passione si esprime. 13 14 La fausse industrie (FOURIER, 1966-1968, VIII, p. 97). 15 Le nouveau monde amoureux,(FOURIER, 1966-1968, VII, p. 303). 16 Le nouveau monde industriel et sociétaire (FOURIER, 1966-1968, VI, p. 201). 306 organizzativo (al tempo di Fourier percentualmente significativo in molti ambiti, dall’agricoltura all’artigianato al commercio) a rispondere alla richiesta di un forte incremento della produzione, necessario per superare la povertà dominante. Per altro verso, dall’analisi fourieriana risalta la falsità della forma affettivo-riproduttiva della famiglia, viziata fin dalla sua formazione dall’assenza di libertà, dall’impostazione coercitivo-repressiva, dall’ineguaglianza dei suoi membri, infine, dall’esclusività perpetua. Essa appare a Fourier come la meno idonea a contenere ed esprimere l’ampiezza dei sentimenti umani, dei desideri, della carica erotica, ma anche la meno indicata a dar corso alla complessità e vastità delle relazioni nel senso più ampio, nonché a provvedere adeguatamente all’educazione dei figli. Riprendendo quella che ritiene la primitiva organizzazione seriale, Fourier propone una associazione di individui raccolti in gruppi e serie di gruppi13. E’ nell’associazione che si risolve la famiglia come entità economico-produttiva e anche come monade affettiva, riproduttiva, educativa, e nasce una comunità di lavoro, di vita e di affetti, dove l’individuo si trova coinvolto in un reseau di rapporti variegati e complessi. La loro molteplicità e diversità viene a sostituire l’esiguità del rapporto familiare monogamico in “une famille composée au famille tres ramifiée, solidarie dans toutes ses bransches”14 ve ogni legame è pervaso di un forte “esprit de communauté”15. Presupposto e condizione di questa trasformazione radicale della «societé domestique», ma poi anche della società tout-court, è l’emancipazione della donna, la sua liberazione dall’asservimento all’autorità maschile in tutte le espressioni della sua esistenza; da quella profonda disegualianza culturale che, dice Fourier, adducendo a dimostrazione i suoi stessi effetti è stata ideologicamente dichiarata ineguaglianza-inferiorità di natura. Una contraddizione presto trasformatasi in “oppression” e “esclavage morale” della donna nella famiglia e nella società. Icastica ed efficacissima l’espressione con cui Fourier stigmatizza l’edificio ideologico costruito da filosofi e moralisti per giustificare la realtà della condizione femminile: “les philosophes […] sont comparables à ces méchant colons des Antilles qui, aprés avoir abruti par les supplices leurs nègres dèjà abrutis par l’éducation barbare, prétendent que ces nègres ne sont pas au niveau de l’espèce humaine. L’opinion des philosophes sur le femmes est aussi juste que celle des colons sur les nègres”16. Svelare la responsabilità di intellettuali e filosofi, che hanno costruito con il loro sistema di conoscenze, i loro pregiudizi, la loro misoginia l’edificio teorico del potere maschile, è il primo passo per sconfiggere la secolare esclusione delle donne dalla cultura, che ha portato alla loro irrilevanza sociale; liberare le passioni e attitudini delle donne, la loro creatività nel lavoro, farà recuperare alla società le capacità progettuali e decisionali che esse posseggono. Nella sua proposta utopica, Fourier disegna per le donne un ruolo completamente nuovo nel privato personale e familiare, nel lavoro e nella vita sociale, che non ha pari nella riflessione coeva e per lungo tempo successiva, per l’equilibrio di libertà, dignità e responsabilità con cui è posto. La posizione L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... teorica di Fourier, l’analisi minuziosa e felicemente libera da pregiudizi ch’egli conduce dello specifico femminile delle grandi questioni, dalla morale comune, all’educazione-istruzione, al lavoro, può essere considerata un esempio eccezionale all’interno del pensiero filosofico-politico del XIX secolo. Contro le argomentazioni ideologiche dominanti, contro il disprezzo sistematico dell’ugualianza naturale che ha spinto la donna in uno stato di servitù permanente, contro l’organizzata discriminazione culturale che accoglie la donna fin dalla nascita e ne deforma e coarta le facoltà e le attitudini, Fourier esprime la limpida consapevolezza che non a fattori di natura bensì a una deliberata e protratta scelta maschile si deve lo stato di inferiorità e di debolezza morale della donna, paragonata, oltre che ai negri tenuti in schiavitù, agli intelligenti e attivissimi castori inebetiti e resi stupidi dalla condizione di cattività.17 Dopo aver percorso l’itinerario storico-culturale dell’affermarsi della repressione e della subordinazione femminile fino all’epoca «civilizzata»; dopo aver messo a nudo i meccanismi culturali e ideologici dell’asservimento delle donne, Fourier giunge a enunciare il principio generale, avente cioè carattere di universalità, secondo cui ogni passaggio da un periodo storico altro è connotato da un mutamento profondo della condizione personale e sociale delle donne. E nelle sue previsioni, anche solo il godimento di maggiori diritti e di più ampie libertà da parte delle donne avrebbe determinato, un avanzamento reale, un progresso della società intera. La sua tesi generale è: “les progrés sociaux et les changements de periodes s’opèrent en raion du progrès des femmes vers la liberté”(Ivi, p. 132). Diritti e libertà per le donne diventano qui condizione di progresso sociale globale e sua misura infallibile, ma anche fattore strategico di accelerazione del cammino storico di avanzamento. Al rapporto poi delle donne con il lavoro, Fourier dedica grande attenzione e giunge a una comprensione dettagliata delle trasformazioni introdotte dal modello industriale-capitalistico, dalla condizione di schiavitù, espropriazione, e sfruttamento del lavoratore, fino alla specifica schiavitù di donne e bambini in quel lavoro. Qui il quadro della vita reale della donna lavoratrice, ma anche dei bambini, spesso rilevato da fonti ufficiali e descritto con sociologica puntualità, non priva di accenti drammatici, denunzia l’uso opportunistico della forza-lavoro, la ciclica disoccupazione, la dura e spersonalizzante disciplina, gli ambienti malsani, il salario dimezzato, la lunghezza sfiancante dell’orario di lavoro, prolungato poi dalle incombenze domestiche, e si chiude infine sulla miseria materiale e sulla degradazione morale. Una ricostruzione e denunzia, quella fourieriana, che rimarrà alla base dell’analisi sociologico-economica sviluppata da Marx fin dai Manoscritti del 1844, e che travalica il mero contesto delle condizioni di lavoro nel nascente capitalismo per affrontare le questioni centrali della libertà e dignità della donna in tutte le fasce sociali. Il pivot del progetto è l’eguaglianza dei due sessi nell’essor passionale, nelle opportunità educativo-formative, nelle possibilità di accesso al «travail attrayant», nella partecipazione alla gestione collettiva della comunità. 17 Cf. Théorie des quatre mouvements (FOURIER, 1966-1968, I, p. 47) 307 LAURA TUNDO FERENTE Si veda per questo la Préface di S. Debout al Nouveau monde amoureux (FOURIER, 19661968, VII, p. VII-CXII). 18 308 Nella sfera privata, amorosa e sessuale, l’emancipazione femminile sancisce la fine di quella minorità in cui la legge e il costume confinavano la donna, il riconoscimento che la maggiore età la rende autonoma e la libera da ogni soggezione affettiva o giuridica. Dopo un tirocinio di castità di durata variabile, ma coincidente di fatto con l’adolescenza inoltrata, le donne sono libere di contrarre vincoli amorosi il cui livello di impegno e di durata è stabilito solo dai due partners; libere di avere dei figli, di ratificare legalmente una unione, di stabilire sulla base del proprio carattere forme diverse di rapporti amorosi che ne soddisfino la spiritualità, la sessualità, la volontà oblativa; lo stesso matrimonio esclusivo resta una fra le possibilità per coloro che vogliono sceglierlo. Ai bambini, poi, è riservata una grande sollecitudine, una sensibilità pedagogica unita a una fine penetrazione psicologica. Fin dai primi mesi di vita i piccoli sono affidati alla comunità la quale si assume le funzioni educativo-formative e insieme l’impegno organizzativo ed economico della loro crescita, dell’istruzione, della tutela della loro salute, restituendo presto le madri alle loro funzioni lavorative e alla vita sociale. Come già osservavo, i numerosi discepoli di Fourier, fra cui anche alcune donne, prima fra tutte Clarisse Vigoureux, si impegnarono prevalentemente nella diffusione e nella propaganda delle notevoli innovazioni che il modello di associazione armonica introduceva sul piano economico e produttivo, del travail attrayant per tutti, nonché sul risultato di moltiplicazione della produzione su cui Fourier aveva molto insistito; avevano invece sottaciuto e trascurato (fino alla censura) la complessa trasformazione dei rapporti affettivi amorosi e sessuali che tanto rilievo avevano nell’ emancipazione femminile18. Nella progettazione utopica successiva, compresa – come vedremo – la teorizzazione marx-engelsiana del socialismo che si autodefinisce scientifico, l’analisi della condizione femminile, la riflessione e la proposta non raggiungeranno il respiro ampio e l’approfondiento che avevano trovato con Fourier. Etienne Cabet, ad esempio in Voyage en Icarie, si pone un obiettivo prioritario: mostrare la possibilità di realizzare una società di uguali sul piano economico e delle opportunità. Si ispira a T. More, al radicalismo egualitario di Babeuf, all’égalité rivoluzionaria tradita dall’esito borghese della Rivoluzione francese. L’ineguaglianza dei beni, la proprietà privata, sono nell’analisi di Cabet, le cause di tutti i problemi sociali; egli pensa perciò a un’organizzazione sociale ed economica in grado di elidere tutte le differenze: di nurriture, vêtement, logement, ameublement, in cui “l’égalité sociale et politique doit être la confirmation et le perfectionnement de l’égalité naturelle”. Una uguaglianza “parfaite et absolue” che nel progetto si traduce in organizzazione centralistica e in livellamento di ogni aspetto dell’esistenza, dove forse è il ruolo affidato da Cabet all’educazione, a possedere una forte valenza positiva, per la sua capacità di far nascere e consolidare sentimenti e valori veramente L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... ugualitari. L’educazione in Icaria è mista cioé domestica e pubblica, ed è paritaria sul piano fisico, culturale, professionale, al fine di consentire a tutti, comprese le donne, di accedere a ciascuna funzione di lavoro. Ma già nel lavoro si presenta una sorta di ghettizzazione dovuta alla scelta organizzativa di far svolgere i mestieri e le professioni all’interno di una divisione per sessi: le donne lavoreranno con e per le altre donne entro una cornice di salubrità, di comodità e di limitazione di orario, tale che consenta loro di adempiere agevolmente anche ai compiti domestici. I diritti politici e di cittadinanza sembrano però riservati soltanto agli uomini (CABET, 1847, p. 555-560). Il successo del progetto di Cabet fu notevolissimo e fu sperimentato fin dal 1847, per circa mezzo secolo, in alcune colonie del Texas. Nel corso della redazione della Costituzione per una di queste colonie, Cabet rivide alcune sue precedenti posizioni sui diritti civili per le donne, riservando loro un ruolo politico consultivo e chiamandole ad esprimersi, sia pure soltanto sulle questioni che le riguardavano più da vicino. Per contro, i loro doveri sul piano sociale, politico e familiare rimanevano ampi e cogenti, secondo il modello tradizionale che puniva duramente l’infedeltà femminile e intendeva l’eguaglianza fra gli sposi in modo scarsamente rigoroso, mentre concedeva alla donna, in quanto parte più vulnerabile, protezione, attenzione, adorazione, ma quasi mai veri diritti. Nonostante tutto, avendo come interlocutori gli ambienti popolari degli operai e salariati in genere, la diffusione del pensiero egualitario di Cabet ebbe una funzione efficace nella penetrazione dell’ideale egualitario e nella sua estensione anche ai diritti delle donne. Marx ed Engels L’analisi delle trasformazioni prodotte sulla società ottocentesca dall’industrializzazione e degli effetti sulla famiglia è, come si sa, parte integrante della più ampia analisi marx-engelsiana che muove dal paradigma metodologico-interpretativo della realtà storico-sociale che è il materialismo storico. Il carattere costitutivo della famiglia deriva, infatti, direttamente dai presupposti economici: è dall’attività produttiva umana che sorge l’esistenza immediata dell’uomo, la sua coscienza, la sua vita sociale, la sua storia; dall’affermarsi di una precisa modalità di produzione sorgono precise relazioni sociali e politiche. Pertanto, come entità storico-materialistico-evolutiva, la famiglia è il risultato di continue trasformazioni strutturali connesse al mutare delle condizioni materiali che di volta in volta la determinano. In Der Uusprug derFamilie, Engels tenta (sulla scia delle ricerche di Morgan e Bachofen) di ricostruire il passaggio da un modello primitivo comunitario, da un’economia di tipo comunistico (vita sessuale promiscua, libertà e autonomia della donna) al modello patriarcale ad economia privatistica (netta differenziazione fra funzioni maschili e femminili, preminenza del ruolo maschile). 309 LAURA TUNDO FERENTE 19 Cf. ENGELS (1959-1961, Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staates, XXI). 20 Cf. ENGELS (1959-1961, Kritik der hegelschen Staatsrecht, I). Cf. ENGELS (1959-1961, Die Deutsche Ideologie, III; Manifest der kommunistischen Partei, IV). 21 310 Subentra poi un passaggio ulteriore di tipo adultero-monogamico, che porta al definitivo sopravvento della proprietà privata su quella comune, al caratterizzarsi dell’uomo come produttore, allo stabilirsi della discendenza in linea maschile, protesa alla garanzia della legittimità della prole e alla conferma della posizione maschile nella produzione e nel mantenimento materiale della famiglia. Infine, è prospettata una forma superiore di proprietà collettiva cui si lega un modello sociale utopico di elevata giustizia19. Una ricostruzione che trascura la complessità intrinseca della forma famiglia, i delicati equilibri interni, il definirsi delle funzioni e delle relazioni, la gestione della sessualità così come della genitorialità. Resta importante la ribadita – era infatti già presente, come si è visto, particolarmente in Fourier – storicità della famiglia, che la libera definitivamente dal carattere di istituto metastorico e la apre alle successive analisi sociologiche e antropologiche. Mentre la fondamentale riduzione deterministica dell’analisi ne indebolisce la portata etica e ne fa un mero derivato della vicenda storica e del fatto economico. E anche le affermazioni di Der Ursprung der Familie e i pochi passaggi di Die deutsche Ideologie che sottolineano l’apporto della famiglia alla storia dell’umanità facendone (insieme al lavoro e al suo sviluppo) uno dei due poli portanti della storia umana, non hanno trovato successive conferme. La critica della famiglia borghese, la forma storica più evoluta del modello monogamico fondato su basi economiche e non naturali, è condotta da Marx ed Engels contestando alla radice la teorizzazione hegeliana del principio di universalità e necessità dell’istituto familiare e la sua trasposizione del reale nell’ideale20. Per Marx la famiglia è comparsa nella storia per la necessità di legittimare la discendenza, assicurare la conservazione e trasmissione dei beni e attraverso il matrimonio, come transazione economica, acquista il carattere dell’indissolubilità e della monogamia (sia pure fittizia); nasce dunque come rapporto conflittuale fra i sessi e si fonda sull’infedeltà reciproca. Così, al sacro concetto di famiglia e assolutezza dei valori che la borghesia ha imposto agli altri ceti come eticamente inviolabile corrisponde, in realtà, un’esistenza, quella borghese centrata sul denaro, sull’immoralità delle continue finzioni e violazioni del vincolo matrimoniale, “sulla corruzione, sull’inganno e sulla falsità”, sulla “comunanza delle mogli”21. A quella pretesa universalità corrisponde quindi solo una determinata famiglia, quella borghese, l’unica che si fonda sul “capitale e sul guadagno privato”, integrata dalla non famiglia proletaria, assorbita interamente dal capitale-profitto. L’analisi marx-engeliana della famiglia proletaria ne mette in evidenza la disgregazione all’interno del sistema capitalistico di produzione, l’alto livello di sfruttamento della stessa essenza umana dell’operaio, della sua famiglia, della donna e dei figli in una condizione di miseria fisica e aberrazione e morale. È un processo che avanza verso i ceti medi proletarizzandoli progressivamente con l’avanzare del capitale, con l’annientamento dell’artigianato, con la fine della proprietà fondiaria e l’impoverimento dei ceti intellettuali. Qui Engels sottolinea tutta una L’UTOPIA DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA FAMIGLIA... serie di fenomeni, che vanno dalla disaffezione delle madri, causa di aumentata mortalità infantile, alla precoce emancipazione giovanile, alla promiscuità e al sovrappopolamento e all’affievolirsi dell’affettività e al dilagare di alcolismo, prostituzione, vagabondaggio e criminalità. Veri e propri fattori dissolutivi nella precarietà della famiglia moderna, legati allo sviluppo della società industriale-capitalistica in cui è messa in serio pericolo più della sua esistenza, la sua funzione formativa, educativa, assistenziale. Essere unità economica di base e comunità autonoma di lavoro e di vita nella società precapitalistica, voleva dire per la famiglia essere il centro della socializzazione e maturazione delle nuove generazioni, centro della conservazione della tradizione culturale e della sua trasmissione insieme al patrimonio strumentale acquisito. In seguito, per Marx ed Engels, non tanto il lavoro a domicilio, seppure comandato non più dall’autoconsumo ma dalla domanda del mercato, quanto l’avvento del lavoro industriale smembra e rompe definitivamente nella sua totalità il rapporto di trasmissione del mestiere fra genitori e figli. In questo quadro, la scissione del lavoro femminile in domesticoriproduttivo e produttivo fa scoppiare tutte le contraddizioni22. È la dissoluzione della vecchia famiglia che crea le condizioni, sia per una rivendicazione paritaria e democratica dei rapporti marito-moglie genitori-figli e sia per lo strutturarsi di una forma superiore di famiglia, già presente in nuce in quella proletaria. La famiglia proletaria, liberata dai residui di “brutalità”, è indicata come il modello futuro: un matrimonio morale, libero, fondato su un intimo legame d’amore, sul superamento del rapporto di schiavitù prodotto dalla differenziazione dei ruoli sessuali nel lavoro. Il progetto marxiano prospetta così non la anticipata «dissoluzione» della famiglia, ma di fatto l’assunzione di questo modello. Rimane però una duplice ambiguità entro cui oscilla il discorso marxengeliano: la famiglia borghese è tale per il suo fondamento economico, la proprietà, ma non lo è per la irrilevanza e dissipazione degli affetti che vi si trova; la famiglia proletaria è autenticamente tale per l’unione d’amore che la caratterizza, non lo è per l’assenza di un adeguato supporto economico. Evidenziato il carattere ideologico della famiglia come struttura di potere e di sfruttamento, espressione della classe dominante e suo supporto, la conclusione necessaria è che anch’essa finirà con la fine del conflitto di classe, della proprietà privata e dell’antagonismo sociale. La riappropriazione da parte dell’uomo della sua autentica essenza umana passa, per il Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, attraverso la fine della proprietà privata e la “conversione dell’uomo dalla religione, dalla famiglia dallo stato”. La collettivizzazione economica e la socializzazione del momento educativo sostituiscono la famiglia come entità economico-produttivo-assistenziale e nasce una società nuova caratterizzata da nuovi rapporti fra uomini e sessi diversi. Il rinnovato rapporto fra i sessi si produrrà sulla base della reciproca simpatia attraverso una forma di matrimonio autenticamente monogamico, privo di quel carattere di dominio dell’uomo sulla donna e dell’indissolubilità che ne 22 Per la ricostruzione delle forme storiche della famiglia moderna, cf. MANOUKIAN (1974); FLANDRIN (1976); STONE (1977); BARBAGLI (1978); BARBAGLI & KERTZER (2002). 311 LAURA TUNDO FERENTE ha sempre alterato il senso; solo un rapporto d’amore che avrebbe in sé la sua eticità23. Le rimanenti complesse questioni della famiglia futura non sono ulteriormente chiarite e definite; tutta l’attenzione va alla società: eliminata la proprietà privata essa assume su di sé il carico economico per educazione, assistenza e servizi; emancipando il rapporto uomo-donna dalle relative coercizioni e ideologie lo renderà essenzialmente libero e autenticamente umano. Saranno le future generazioni a determinare poi la propria “prassi”. L’eliminazione delle funzioni economiche della famiglia la loro socializzazione attraverso servizi sostitutivi del lavoro domestico, l’educazione-formazione affidata allo stato non portarono, come Marx ed Engels pensavano, di per sé a una forma superiore di famiglia, come ha dimostrato l’esperienza storica del modello sovietico. La negazione di un reale incondizionato vincolo etico, in linea con il convincimento marx-engelsiano che la morale è una sovrastruttura, una proiezione ideologica dell’assetto economico, rende eticamente debole il modello di esistenza proposto per la nuova famiglia. Lo sviluppo, poi, di forme totalmente sradicate dalla tradizione familiare ancestrale del popolo russo determina forte sbandamento nei comportamenti sociali, uno smarrimento in forme di anarchia morale, in fenomeni di devianza e di abuso connessi all’estrema precarietà del rapporto fra i sessi. Le trasformazioni legislative, intervenute senza una maturazione della coscienza, provocarono per molti anni gravi disordini sociali, il dilagare della prostituzione e dei divorzi, una colpevole e incomprensibile trascuratezza nei confronti dei figli, fino all’abbandono frequente. A partire dagli anni ’40 interverrà una risoluta inversione di tendenza e una modifica della legislazione dei primi decenni del secolo; questo porterà a reintrodurre e promuovere la famiglia tradizionale24. Bibliografia ARMAND-DUC, N. Le contraddizioni del diritto, in FRAISSE, G (org.). Storia delle donne in Occidente, L’Ottocento. Roma-Bari: Laterza, 1991. In Die Frau und der Socialismus, (che ebbe 50 edizioni dal 1879 al 1910) A. Bebel spiega il rapporto fra i sessi nella futura società comunista come una questione puramente privata in cui la donna, libera e indipendente, avrebbe scelto, come un uomo, solo in base all’amore. 23 Per una ricostruzione della storia della famiglia in URSS si veda : REICH (1936); TROCKIJ (1936); CHAMBRE (1974); HINDS (1974); FRACASSI (1979). 24 312 BARBAGLI, M. Famiglia e mutamento sociale. Bologna: Il Mulino, 1978. BARBAGLI, M & KERTZER, D. I. (ed). Storia della famiglia in Europa. Il lungo Ottocento. Roma-Bari: Laterza, 2002. CABET, E. 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