INTRODUZIONE La questione del rapporto di Machiavelli e Spinoza è stata per quasi due secoli presa in considerazione solo in termini negativi, per lo più dall’apologetica cattolica e riformata, ed è poi per tutto il Novecento rimasta ai margini dell’imponente lavoro filologico e critico dedicato all’opera di Spinoza: si trovano assai più accenni ad una via da percorrere piuttosto che vere e proprie ricerche. Il primo ad occuparsene agli inizi del secolo fu Menzel che, pur sottolineando la grande importanza del pensiero machiavelliano nella costituzione della teoria politica del TP (non però del TTP, sul quale non rileva alcuna influenza di Machiavelli) 1, non è andato oltre l’analisi delle due citazioni dirette 2 e l’enfatizzazione di una comune Methode der Darstellung antiutopistica. Questo secondo aspetto diverrà luogo comune degli studi italo-tedeschi tra le due guerre, alla cui fascinazione non sapranno sottrarsi Maggiore 3, Sola1 «[…] hat kein Politiker auf die Staatslehre Spinoza’s mächtiger eingewirkt als Machiavelli» (A. Menzel, Machiavelli und Spinoza, «Grünhuts Zeitschrift für das Privat und Öffentliches Recht der Gegenwart» 29 (1902), p. 567); «[…] in [TTP] noch keine Spur einer Einwirkung Machiavelli’s zu finden ist» (ivi, p. 571). 2 Esclusivamente all’analisi della prima delle due citazioni è dedicato l’articolo di Villa, il cui nucleo interpretativo risiede nella demarcazione dell’interpretazione spinoziana del Principe da quella di tradizione repubblicana (Rousseau, Alfieri, Foscolo). Non dunque un’opera in cui si finge di insegnare ai re, per istruire in realtà il popolo, bensì la teoria delle condizioni di fatto tanto della tirannide quanto della libertà: «Come determinate cause creano la tirannide – scrive Villa –, così altre portano necessariamente alla libertà. La libertà è dimostrata possibile: ecco la massima apologia e glorificazione che di essa si possa fare e che il Machiavelli fece con profondità mirabile. In ciò consiste il merito del Machiavelli e, oso dire, anche il vero fine di tutta l’opera sua» (E. Villa, Di un giudizio dello Spinoza su Machiavelli, «Athenaeum» 7 (1919), 4, p. 195). 3 G. Maggiore, Due anniversari (Machiavelli e Spinoza), «Critica fascista» 5 (1927), 11, pp. 207-209. 12 13 INTRODUZIONE INTRODUZIONE ri 4, Ravà 5, Strauss e Gebhardt: la polemica di TP I, 1 sarebbe dunque direttamente ispirata dai celebri passaggi del Principe sulla verità effettuale. La sola nota di novità nell’analisi di questo tema è introdotta da Strauss che nel suo celebre Religionskritik Spinozas als Grundlage seiner Bibelwissenschaft rileva una differente tonalità nella polemica antiutopistica dei due autori: lucida e fredda quella di Machiavelli, che combatte l’utopia nei suoi effetti esclusivamente pratici, dura e sarcastica quella di Spinoza, che la combatte in nome della filosofia e secondo un’attitudine fondamentalmente impolitica 6. Ma la discussione è esaurita da questo aspetto. Viene toccato in primo luogo il tema della concezione della virtù: tanto Maggiore quanto Ravà 7 mettono in rilievo l’influenza del concetto machiavelliano sulla teoria spinoziana della virtus sive potentia, nel primo non senza un afflato di chiaro stampo fascista 8. In secondo luogo il tema della datazione dell’incontro Spinoza-Machiavelli: Ravà, sviluppando un’intuizione di Guzzo, si oppone alla tesi di Menzel di una limitazione dell’influenza di Machiavelli al solo TP cogliendola invece all’opera già nei capitoli sulla storia ebraica del TTP 9. Il lavoro di Gebhardt, la Einleitung zu den beiden Traktaten, fa il punto dei risultati raggiunti da questi studi: nell’inventario delle fonti delle due opere propone il primo scarno e largamente incompleto elenco dei passaggi spinoziani ispirati a Machiavelli, senza peraltro dedicare al problema alcuna riflessione critica 10. Dopo un lungo periodo intervallato dal libro di Gallicet Calvetti, che sarà preso in considerazione tra breve, una rinascita dell’interesse per il machiavellismo di Spinoza si deve al marxismo italo-francese di fine secolo. Alexandre Matheron, autore di importanti studi su Spinoza a cavallo degli anni Sessanta, ha mostrato come TP I, 2 sia riferito ai «machiavéliens ordinaires» 11 e non al vero insegnamento di Machiavelli che è di portata assai più vasta 12. Egli ritiene che, attraverso un sovvertimento radicale tanto della posizione dei filosofi quanto di quella dei politici (esposte nei primi due paragrafi di TP I), Spinoza oltrepassi il dilemma filosofia-politica, producendo un vero e proprio changement de terrain. Spinoza respinge la filosofia, in quanto produce una politica utopica, e in quanto alla politica, «conformément sans doute à l’enseignement de l’authentique Machiavel, fait apparaître les arcana ‘machiavéliens’ comme des recettes pragmatiques dérisoires» 13. Di una continuità tra il pensiero di Machiavelli e quello di Spinoza parla anche Laurent Bove, allievo di Matheron, prendendo in considerazione i concetti di prudenza, virtù e necessità nel filosofo olandese. Sulla falsariga della tesi interpretativa del suo libro sulla teoria del conatus in Spinoza, Bove ritiene che «la lecture de Machiavel [confirme] pour Spinoza l’identification de l’essence actuelle (le conatus) et d’une logique de l’existant s’efforçant de durer, qui est celle d’une dynamique stratégique déterminée d’affirmation et de résistance» 14. 4 G. Solari, La dottrina del contratto in Spinoza, «Rivista di filosofia» 17 (1927), pp. 317-353, poi in La filosofia politica, vol. I, Bari, Laterza, 1974, pp. 195-250. 5 A. Ravà, Un contributo agli studi spinoziani. Spinoza e Machiavelli, in Studi filosofico-giuridici dedicati a G. Del Vecchio, tomo II, Modena, Società tipografica modenese, 1930, pp. 299-313, poi in Studi su Spinoza e Fichte, Milano, Giuffrè, 1958, pp. 91-113. Ravà fa nel debutto dell’articolo una affascinate promessa, che tuttavia non mantiene nelle analisi successive: «Machiavelli – scrive – è una delle fonti principali del pensiero politico di Spinoza, e non di quello politico soltanto» (ivi, p. 91, corsivo mio). 6 «Er bekämpft die Utopien also nicht so sehr im Interesse der Politik als im Interesse der Philosophie» (L. Strauss, Religionskritik Spinozas als Grundlage seiner Bibelwissenschaft, Berlin, Akademie-Verlag, 1930, p. 220). 7 Ravà propone un parallelismo tra la virtù machiavelliana e la potentia spinoziana intendendole «come compendio delle attitudini di una persona alla riuscita nei contrasti sociali» (A. Ravà, Un contributo agli studi spinoziani. Spinoza e Machiavelli cit., p. 105). 8 «C’è qui altro che non sia implicito nel concetto di virtù del Machiavelli? La virtù è, per questi, azione, operazione, libertà in atto. E però lontano dalla virtù greca che, quando non venne confusa con la fredda saggezza, con la voluttà e l’apatia, stette a significare il giusto e temperato equilibrio tra due termini. Per essere virtuosi non basta essere saggi, riposarsi sulle buone intenzioni, starsene in bilico tra il bene ed il male sull’orlo di un pensiero quasi pauroso di traboccarsi in azione; bisogna battersi contro la fortuna, ed osare, aggrapparsi a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il fine, e guardare in faccia il male, invece di nascondere il viso al suo cospetto, per vincere e trasfigurarlo in bene» (G. Maggiore, Due anniversari (Machiavelli e Spinoza) cit., p. 208). 9 «Lo stesso Menzel, che ha studiato ex professo i rapporti tra Machiavelli e Spinoza, sostiene che l’influenza del fiorentino si fece sentire solo negli ultimi scritti di Spinoza, e particolarmente sul TP, mentre nel TTP non ve ne sarebbe ancora traccia. Eppure a chi conosce sul serio i Discorsi, l’intero TTP appare come un tentativo di spiegare le vicende del popolo ebreo, e trarne conclusioni politiche, col medesimo spirito di indagine obiettiva con cui Machiavelli ha studiato la storia del popolo romano» (A. Ravà, Un contributo agli studi spinoziani. Spinoza e Machiavelli cit., p. 103). A. Guzzo in un’opera del 1924, riguardo alla storia del popolo ebraico presente nel TTP, aveva scritto: «Qui lo Spinoza fa una serie di osservazioni acutissime e felicissime, che risentono di una lettura accurata degli storici latini, Tacito specialmente, e del nostro Machiavelli» (A. Guzzo, Il pensiero di Spinoza, Firenze, La Nuova Italia, 1924, 19642, 19803, p. 403). 10 C. Gebhardt, Einleitung zu den beiden Traktaten, in G, Band V, pp. 242-243. 11 A. Matheron, Spinoza et la décomposition de la politique thomiste. Machiavélisme et utopie, «Archivio di filosofia» (Lo spinozismo ieri e oggi) 47 (1978), 1, p. 43. 12 «Il n’est pas question, bien entendu, de réduire Machiavel à ce squelette: si ces différents traits sont effectivement revendiqués par lui, il les intègre, encore une fois, dans un ensemble beaucoup plus vaste; Spinoza le sait, qui laisse en suspens la question du sens véritable de l’œuvre du Florentin, y compris du Prince» (ivi, p. 49). 13 Ivi, p. 59. 14 L. Bove, Le réalisme ontologique de la durée chez Spinoza lecteur de Machiavel, in L. Bove (textes réunis par), La ‘recta ratio’. Criticiste et spinoziste?, Paris, Presses de l’Université de Paris - Sorbonne, 1999, p. 49. 14 15 INTRODUZIONE INTRODUZIONE Pervase da una sensibilità più teorica che storico-filosofica, le letture marxiste di Negri e di Althusser, tese a individuare una tradizione di pensiero materialistico e rivoluzionario, danno luogo a una perfetta simmetria oppositiva. Negri nell’Anomalia selvaggia prima e nel Potere costituente poi individua nella linea Machiavelli-Spinoza-Marx la tradizione umanistica e rivoluzionaria che si oppone all’ideologia borghese dominante nel mondo moderno 15. Althusser in alcuni scritti postumi tratteggia invece una corrente sotterranea del materialismo, che egli definisce dell’incontro o aleatorio, in cui Machiavelli, Spinoza, Marx ed altri autori rappresentano una tradizione antiumanistica, in cui la realtà è pensata al di fuori di ogni ordine teologico o teleologico e, per ciò stesso, di ogni legittimazione dell’esistente 16. Ad un allievo spagnolo di Althusser, Gabriel Albiac, autore di un fondamentale studio sulle fonti marrane dello spinozismo, dobbiamo l’analisi di uno dei modi in cui questa corrente sotterranea può essersi trasmessa. Nei testi di Abraham Pereira, tendenti a ricostruire l’ortodossia rabbinica dopo due secoli di marranismo, Machiavelli appare come il nemico giurato che fa della religione una pura couverture fonctionnelle de la domination 17. Proprio nel distaccarsi dalla comunità ebraica di Amsterdam, Spinoza può aver fatto appello a questo nemico giurato di ogni religione radicalizzandone la teoria: in questa prospettiva infatti «le chemin pour la formulation d’une conception rigoureusement matérialiste de [la] virtù demeure ouvert. Après Machiavel, Spinoza est à l’affût. Avec lui s’opère la décomposition finale du prince chrétien – et aussi du sujet, qui est son ombre» 18. Tra questi due periodi si situa la ricerca di Carla Gallicet Calvetti, studiosa del pensiero spinoziano di orientamento cattolico e autrice della sola monografia dedicata a questo tema nel XX secolo, Spinoza lettore del Machiavelli. Lo studio, che ha l’indiscusso merito di ampliare la rilevazione dei punti di concordanza tra i due autori rispetto al lavoro di Gebhardt, prende le mosse da un duplice presupposto interpretativo che ne costituisce forse il limite più evidente: in primo luogo che l’influenza di Machiavelli su Spinoza sia rilevabile solo ad un livello politico e che proprio questa influenza del metodo della verità effettuale produca una frattura tra la politica e la metafisica 19; in secondo luogo che il rapporto sia leggibile nei termini di un inveramento 20. Questa marginalità della questione Machiavelli-Spinoza rispetto alle linee fondamentali della ricerca spinoziana deve essere spiegata. È vero che, se si eccettuano le due lunghe citazioni del TP, nulla sembra collegare il politico Machiavelli e il metafisico Spinoza. Ma la stessa prossimità nella teoria politica, segnalata esplicitamente dai due lunghi passi del TP, è restata a lungo in secondo piano nella considerazione della critica se paragonata, per esempio, all’attenzione mostrata nell’analisi dei rapporti con Hobbes 21 ma anche con il giusnaturalismo in genere, in fondo allo 15 «La storia del pensiero moderno deve essere vista come problematica della nuova forza produttiva. Il filone ideologicamente egemone è quello funzionale allo sviluppo della borghesia: esso si piega nell’ideologia del mercato, nella forma determinata imposta dal nuovo modo di produzione. Il problema è, come abbiamo ampiamente dimostrato, l’ipostasi del dualismo del mercato nel sistema metafisico: da Hobbes a Rousseau, da Kant a Hegel. Questo è dunque il filone centrale della filosofia moderna: la mistificazione del mercato diviene utopia dello sviluppo. Di contro la rottura spinoziana, – ma già, prima, quella operata da Machiavelli, poi, quella sancita da Marx. La disutopia del mercato diviene in questo caso affermazione della forza produttiva come terreno di liberazione. Non insisterò mai a sufficienza su questa alternativa immanente e possibile nella storia del pensiero occidentale: essa è segno di dignità, quanto l’altra tendenza è suggello d’infamia» (A. Negri, L’anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in Baruch Spinoza, Milano, Feltrinelli, 1982, p. 255). 16 L. Althusser, Le courant souterrain du matérialisme de la rencontre, in Ecrits philosophiques et politiques, textes réunis et présentés par F. Matheron, tome I, Paris, Stock/Imec, 1994, pp. 539-576; L’unique tradition matérialiste, «Lignes» 18 (1993), janvier, pp. 71-119. 17 «C’est, avant tout, la volonté d’ériger la politique – chez Machiavel – en discipline théorique, en marge des prétentions moralisantes ou des fondements transcendants, ce qui apparaît comme le péril qu’il faut écarter. La réduction de l’étude de la politique à une analytique des mécanismes du pouvoir, en fonction de leur stricte fonctionnalité, dans la mesure où elle exclut des processus historiques toute présupposition d’orientation téléologique, laisse dans une situation difficile – il faudrait plutôt dire qu’elle balaie, fait disparaître pour toujours de l’horizon théorique – le vieux problème des dimensions éthiques de l’acte de pouvoir: le bien et le mal font définitivement leur valises et cèdent leur fortification théorique définitivement détériorée, à la dynamique subtile des jeux de force et de domination. La virtù qui consiste à ‘conoscere i tempi e l’ordine delle cose e accomodarsi a quello’ n’a plus aucun lien avec la tradition chrétienne; et, certainement, non plus avec aucune autre tradition sotériologique: il ne reste aucune autre option, dans le terrain du pouvoir, que celle d’annihiler ou d’être annihilé. Virtù ne veut dire que potenza. Tout le reste n’est que servitude» (G. Albiac, «Recuperar lo passado». L’axe épicurisme/machiavélisme dans l’histoire apologétique d’Abraham Pereyra, «Archives de Philosophie» 51 (1988), 1, p. 39). 18 Ivi, p. 52. 19 «Ci sembra […] che, se in sede metafisica l’umana creatura, geneticamente congiunta alla divina sostanza e recante quindi le stigmate del divino, denuncia tuttavia una speciale degradazione del divino rappresentata appunto dalle ‘proprietà’ degli uomini esistenti, in sede politica poi tale degradazione assuma una più precisa fisionomia e rimandi ad una valutazione etica, non esente da ‘accorgimenti’ machiavellici» (C. Gallicet Calvetti, Spinoza lettore del Machiavelli, Milano, Vita e Pensiero, 1972, p. 54). 20 «Il machiavellismo di Spinoza […] assume una fisionomia originale che rappresenta talora la rielaborazione singolare del pensiero del politico italiano, talaltra il superamento della sua posizione, talaltra ancora una specie di inveramento delle stesse convinzioni del Machiavelli in funzione dei propri assunti» (ivi, p. 65). 21 Cfr. M. Bertman - H. De Dijn - M. Walther (edited by), Hobbes and Spinoza, «Studia Spinozana» 3 (1987), pp. 21-347; D. Bostrenghi (a cura di), Hobbes e Spinoza. 16 17 INTRODUZIONE INTRODUZIONE stesso modo in cui non si è posta attenzione, se non negli ultimi anni, alla sola corrente del pensiero antico per la quale Spinoza prende apertamente partito, l’atomismo 22. La possibilità poi di mostrare l’esistenza di un rapporto propriamente filosofico tra i due pensieri è stata solo suggerita da qualche critico e dunque al riguardo non si trovano che fuggevoli osservazioni, frutto dell’intuizione più che della ricerca. L’assenza di un’interrogazione di testi che nella loro stessa materialità sembrano sollecitarla risulta, mi sembra, da rapporti di forze che attraversano le interpretazioni di cui sono l’oggetto. Una potente interpretazione generale è infatti capace di eliminare la possibilità di una questione particolare, riducendo le tracce materiali, a partire da cui avrebbe potuto essere posta, al reperto di una diligente filologia. Ora, non è difficile identificare nell’immagine romantica e, in particolare, hegeliana di Spinoza la causa d’una tale esclusione. In effetti è proprio Hegel che nella Wissenschaft der Logik e nell’Enzyklopädie fissa le linee interpretative del pensiero spinoziano per l’avvenire 23: questo vi è analizzato come una filosofia dell’infinito, in cui il passaggio al finito non è che verschwinden, dileguarsi, e non aufheben, cioè superamento dialettico; una filosofia dell’eternità senza temporalità, e dunque senza storia e senza politica; una filosofia di cui la malattia di Spinoza, la tisi (Schwindsucht, cioè, etimologicamente, tendenza a scomparire), è il simbolo. Per lungo tempo questa potente ombra gettata sulla filosofia spinoziana dallo alles zermalmende sistema hegeliano ha orientato la ricerca della storiografia accademica ed è stato necessario attendere gli anni Sessanta per veder emergere una prospettiva nuova negli studi spinoziani. A quell’epoca i lavori svolti in particolare da Gueroult, Matheron e Deleuze produssero un cambiamento nei rapporti di forza che compongono il campo delle interpretazioni spinoziane, in un primo momento solo in Francia, poi in gran parte dell’Europa. Per quanto riguarda il mio lavoro però, la pagina di gran lunga più importante è quella, abbacinante e oscura, che Althusser dedica a Spinoza nelle prime pagine di Lire «Le Capital»: Scienza e politica, introduzione di E. Giancotti, Napoli, Bibliopolis, 1992; E. Giancotti, Studi su Hobbes e Spinoza, a cura di C. Santinelli - D. Bostrenghi, Napoli, Bibliopolis, 1995; P. Di Vona, Aspetti di Hobbes e Spinoza, Napoli, Loffredo, 1990. Da ultimo Ch. Lazzeri, Droit, pouvoir et liberté. Spinoza critique de Hobbes, Paris, PUF, 1998. 22 Questa lacuna è stata in parte colmata dal numero speciale Spinoza, Epicure, Gassendi degli «Archives de Philosophie» 57 (1994), 3 e da F. Barbaras, Spinoza et Democrite, in F. Chiereghin - P.-F. Moreau - G. Vokos (édité par), Spinoza and ancient philosophy, «Studia Spinozana» 12 (1996), pp. 12-27. 23 Cfr. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, Erster Band: Die Objective Logik, in Gesammelte Werke, Band 11, herausgegeben von F. Hogemann - W. Jaeschke, Hamburg, Meiner, 1978, pp. 376-378. Nell’Enzyklopädie Hegel sintetizza in poche righe il cuore della sua lettura di Spinoza: «[…] a prescindere dal fatto che Spinoza non definisce Dio come unità di Dio e del mondo, bensì come unità del pensiero e dell’estensione (del mondo materiale), quest’unità, perfino quando viene presa in quel senso del tutto idoneo, implica che nel sistema spinoziano è piuttosto il mondo ad essere definito soltanto come un fenomeno a cui non spetta realtà effettiva [als ein Phänomen, dem nicht wirkliche Realität zukomme], per cui questo sistema va considerato piuttosto come acosmismo» (G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, in Gesammelte Werke, Band 20, herausgegeben von W. Bonsiepen - H.-Ch. Lucas, 1992, p. 89, trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, parte prima: La scienza della logica, a cura di V. Verra, Torino, UTET, 1981, p. 212). Pensando al fatto che Spinoza, che per primo ha posto il problema del leggere, e conseguentemente dello scrivere, sia stato anche il primo al mondo a proporre contemporaneamente una teoria della storia e una filosofia dell’opacità dell’immediato; al fatto che in lui per la prima volta al mondo un uomo abbia così saldato l’essenza del leggere e l’essenza della storia in una teoria della differenza tra l’immaginario e il vero, possiamo capire come necessariamente Marx sia divenuto Marx solo fondando una teoria della storia e una filosofia della distinzione storica tra l’ideologia e la scienza e come in ultima analisi questa fondazione si sia sostanziata nella lacerazione del mito religioso della lettura. 24 Questo détour althusseriano attraverso Spinoza permette di leggere secondo una prospettiva del tutto nuova la teoria spinoziana del finito, non più riducibile alla manifestazione universalizzata della noluntas schopenhaueriana. Metafisica e politica sono pensate l’una nell’altra in una teoria della storia elaborata a partire dalla distinzione tra vero e immaginario, essa stessa resa possibile da un’analisi del discorso biblico come senso e non come verità. In questa prospettiva la questione del rapporto Spinoza-Machiavelli diventa centrale, se solo si pone mente al fatto che Spinoza riprende la distinzione tra immaginazione della cosa e verità effettuale dal capitolo XV del Principe. Certo Machiavelli non è un filosofo in senso stretto, è un pensatore politico. Ma, riprendendo una volta di più le indicazioni di Althusser di Est-il simple d’être marxiste en philosophie?, ho cercato dietro la politica di Machiavelli la sua filosofia, ritrovando per quella via, in un circolo vizioso o virtuoso, la filosofia di Spinoza o almeno una sfumatura nuova della filosofia spinoziana, cioè un nuovo modo di confrontarsi con la materialità dei suoi testi. Ben inteso, una tale ricerca non pretende di essere il confronto oggettivo di due pensieri dati come totalità in sé conchiuse. È attraverso il passaggio continuo dall’uno all’altro, ciascuno preso in 24 L. Althusser et al., Lire «Le Capital», Paris, PUF, 19963, p. 8, trad. it. parziale, Leggere «Il Capitale», a cura di R. Rinaldi - V. Oskian, Milano, Feltrinelli, 1968, pp. 1617. 18 INTRODUZIONE considerazione nella materialità di ogni frammento, che ho cercato una risposta alle domande che ho posto. Domande che non sono puramente storiografiche: nello Zwischen, che allo stesso tempo separa e lega i due autori trattati, ho cercato i mezzi per pensare la storia indipendentemente da ogni filosofia della storia ma anche dalla stanca canzone della sua assenza, intonata dal nichilismo.