L`Ermetismo di Ungaretti e la Grande Guerra

La Prima Guerra Mondiale emerge, all’interno del 1900, con
tale sanguinosa maestosità da oscurare gli avvenimenti che
la precedettero e quelli che la seguirono.
Non a caso essa prenderà la denominazione di “Grande
Guerra”.
Nei primi anni del novecento, l’Europa fu minacciata più
volte dallo scoppio di un conflitto: da una parte per le
manifestazioni di sentimento nazionale, sotto forma sia di movimenti di protesta delle
“minoranze nazionali”, sia dei nazionalismi espansionistici dei grandi Stati; dall’altra, la
rivalità a causa degli interessi economici e finanziari.
La preoccupazione maggiore di vari Stati europei era dunque di rafforzare, le alleanze
nell’interesse della propria sicurezza.
Le cause dello scoppio della prima guerra mondiale furono molte e complesse.
La situazione degli Stati che divennero protagonisti della Grande Guerra, prima che essa
iniziasse era diversa da nazione a nazione.
Nel 1871 la Francia era una repubblica abbastanza industrializzata ed
aveva un notevole impero coloniale in Africa, Asia e Oceania.
La G
Geerrm
maanniiaa fino al 1870 era divisa in tanti stati che formavano la
confederazione tedesca. All'interno della confederazione gli stati più forti
erano la Prussia e l'Austria.
Nel 1866 scoppiò una guerra tra Prussia ed Austria e quest'ultima fu
rapidamente sconfitta ed espulsa dalla confederazione. Nel 1871, dopo
una rapida guerra vittoriosa contro la Francia, si
formò la Germania strutturata come un impero sotto
il controllo della Prussia.
Nel XIX secolo, nell'Impero Austriaco vivevano molti popoli diversi (tedeschi, ungheresi,
slavi e anche italiani) spesso in rivolta. L'impero era una monarchia autoritaria, con a capo
l'imperatore Francesco Giuseppe che resse il governo
dal
1848 al 1916.
Nell'Ottocento, l'Inghilterra si era consolidato come lo stato europeo più
industrializzato e come la maggiore potenza commerciale mondiale.
L'Inghilterra era una monarchia costituzionale, la più evoluta tra gli stati
europei .
L'Impero russo era lo stato più esteso: comprendeva l'Europa
orientale, l'Asia settentrionale e alcuni territori dell'America (Alaska). La
Russia aveva enormi risorse ma lo sviluppo era frenato dalla difficoltà
di comunicazioni. La Russia era una monarchia assoluta e non c'era
nessun tipo di libertà: coloro che avevano idee liberali o socialiste
venivano perseguitati.
Si deve, anche, sottolineare che alla vigilia della guerra esistevano tre grandi rivalità tra le
potenze europee.
Fra Inghilterra e Germania vi era una forte concorrenza a causa della produzione
industriale e della presenza commerciale nelle varie parti del mondo. Inghilterra e
Germania erano, infatti, i due Paesi più ricchi e potenti.
Rivalità esistevano anche tra Francia e Germania in quanto la Francia era stata umiliata
dai tedeschi nella guerra del 1870/71; aveva dovuto cedere due importanti e ricche
regioni: l'Alsazia e la Lorena. Per gli anni a seguire non aveva fatto altro che pensare ad
una rivincita.
Infine, tra la Russia e l’Impero Austro-Ungarico vi era una rivalità dovuta al controllo della
penisola balcanica; in particolare la Russia sosteneva la Serbia che ambiva a creare uno
stato slavo, conquistando i territori come la Bosnia che era sottomessa all'Austria.
Il 1914 segnò l’inizio della prima guerra mondiale.
Il pretesto che fece scoppiare la guerra fu l'assassinio dell'erede al trono d'Austria,
l’Arciduca Francesco Ferdinando, figlio di Francesco Giuseppe, e di sua moglie Sofia,
uccisi a Sarajevo in Bosnia,
il 28 Giugno 1914, per mano di Gavrilo Princip un
nazionalista serbo.
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L'Austria ritenne la Serbia responsabile dell'uccisione dell'arciduca e minacciò la guerra. In
realtà, l'Austria pensò di approfittare dell'occasione per conquistare la Serbia e continuare
l'espansione nei Balcani.
La guerra austro-serba provocò un conflitto austro-russo: il governo dello zar, infatti, aveva
annunciato che non avrebbe lasciato “schiacciare la
Serbia”. Alla notizia del bombardamento di Belgrado,
decretò, così, una mobilitazione parziale, diretta
solamente contro l’Austria- Ungheria (29 Luglio).
Giornale dell’epoca
A questo punto il conflitto austro-russo divenne europeo.
La Germania proclamò lo stato di “pericolo di guerra” e, il 31 luglio, inviò alla Russia un
ultimatum che esigeva la sospensione delle misure di mobilitazione; nello stesso tempo
chiese alla Francia, alleata della Russia da ventidue anni, l’impegno a restare neutrale.
Il governo francese, naturalmente, rifiutò decretando, a sua volta, la mobilitazione
generale.
La sera del 2 agosto 1914, la Germania dichiarò guerra alla Russia, intimando al Belgio,
nonostante lo statuto internazionale di neutralità che lo proteggeva, di permettere il
passaggio alle sue truppe.
Il 3 inviò alla Francia la dichiarazione di guerra.
Alla violazione della neutralità belga, la Gran Bretagna rispose con la decisione di entrare
in guerra a fianco della Francia e della Russia, mentre l’Italia, nonostante era dal 1882
alleata dell’Austria-Ungheria e della Germania, dichiarò la propria neutralità.
Quando l'Austria dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio 1914) erano entrate in gioco le
alleanze stabilite negli anni precedenti. Da una parte i cosiddetti Imperi Centrali con
Austria- Ungheria e Germania, cui si unirono in seguito l'Impero Turco e la Bulgaria;
dall'altra, le potenze della Triplice alleanza: Inghilterra, Francia, Russia, più la Serbia e
altri Stati.
A questo punto appare chiaro che nella crisi del luglio 1914, la pressione degli interessi
economici (che era stata notevole negli anni precedenti) non si era manifestata affatto;
furono unicamente le preoccupazioni di sicurezza, di potenza e di prestigio ad orientare le
scelte decisive.
Nel momento in cui iniziarono le ostilità, le due Potenze Centrali, Germania e AustriaUngheria, possedevano riserve di uomini e potevano fornire loro armamenti senza
difficoltà.
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Nella Triplice alleanza, la Russia disponeva di riserve molto più ingenti, ma aveva difficoltà
ad utilizzarle per la carenza di quadri e di armamenti. La Gran Bretagna, con gli
arruolamenti volontari, reclutò, tra l’agosto 1914 e l’aprile 1915, un milione di uomini. La
Francia, avendo sopportato il peso principale della lotta durante i primi mesi, non riuscì ad
aumentare in maniera sensibile il numero delle proprie divisioni.
Per tentare di modificare a proprio vantaggio l’equilibrio delle forze, ognuna delle due
coalizioni cercò, fin dall’inizio della guerra, di trascinare nel conflitto qualcuno dei Paesi
europei rimasti neutrali.
Alcuni di questi Stati, infatti, avevano delle ragioni immediate per seguire il corso degli
avvenimenti con particolare attenzione: alcuni di loro cercavano di svincolarsi da un
dominio straniero.
Ad esempio, la Turchia, la quale temeva la politica russa tanto da stipulare un trattato con
la Germania ed entrare in guerra il primo novembre del 1914.
La Romania, che guardava alle popolazioni di lingua rumena che vivevano nelle regioni
russe (Bessarabia) o austro-ungariche (Transilvania, Bucovina, Banato di Timisoara).
Grazie alla promessa della Bessarabia entrò in guerra a fianco delle Potenze Centrali
nell’estate del 1916.
La Bulgaria, che guardava alla Dobrugia che aveva dovuto cedere, dopo la guerra
balcanica, alla Romania, ma soprattutto alla Macedonia greca o serba. La sua neutralità si
concluderà nell’autunno del 1915.
Infine, la Grecia del re Costantino, convinto che la guerra si sarebbe conclusa con una
vittoria tedesca.
L’atteggiamento dell’Italia ha tutt’altra rilevanza, poiché questo grande Stato (36 milioni di
abitanti) possedeva una forza militare e aveva, nel Mediterraneo, una posizione strategica
di vitale importanza.
Tutti gli ambienti politici italiani erano convinti che la guerra europea offrisse alle
aspirazioni nazionali un’occasione favorevole, perché poteva costringere l’AustriaUngheria ad abbandonare quella parte dei territori su cui vivevano popolazioni italiane.
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Mentre in Europa infuriava la guerra, in Italia si formavano, così, due partiti: quello
interventista, fautore di un intervento italiano in guerra, e quello pacifista, contrario.
Gli interventisti erano repubblicani, irredentisti, sindacalisti, rivoluzionari, liberali di destra.
Anche la borghesia nazionalista era fortemente interventista e chiedeva una guerra contro
l'Austria, perché voleva unire all'Italia Trento e Trieste con parte della Dalmazia. Un'altra
parte della borghesia ed il proletariato erano invece pacifisti, insieme ai liberali, ai socialisti
e ai cattolici.
I nazionalisti come D'Annunzio, chiedevano l'intervento per le terre irridente di Trento e
Trieste e per l'egemonia italiana nel Mediterraneo; i repubblicani per completare il
Risorgimento e sistemare l'Europa secondo il principio di nazionalità; gli interventisti
democratici per spazzare via l'egemonia imperialistica della Germania e dell'Austria. I
socialisti rivoluzionari, guidati allora da Benito Mussolini, chiedevano la partecipazione
dell’Italia alla guerra per trasformare la vittoria italiana in vittoria del proletariato. Per i
futuristi, con a capo F.T. Marinetti, la guerra sarebbe stata un'occasione per realizzare la
loro poetica attivista; per i ceti medi, invece la guerra era l'occasione per essere di nuovo
protagonisti della storia.
Altrettanto vario il fronte neutralista: Giolitti, che sosteneva di poter ottenere Trento e
Trieste per via diplomatica, senza grandi sacrifici finanziari; i cattolici, che esprimevano
l'opinione pacifista dei contadini e del Papa, non ostile all'Austria; i socialisti, che si
dichiararono neutrali, perché ritenevano che fosse una guerra di matrice imperialistica
estranea agli interessi del proletariato.
La stragrande maggioranza del popolo italiano era contro la guerra, ma incapace di
opporsi ai pochi e agguerriti gruppi interventisti, trascinati dal mito dell' "eroismo" di
D'Annunzio e dall'attivismo di Marinetti, con la complicità della monarchia e del governo
Salandra, i quali imbandirono una clamorosa propaganda per trascinare l'Italia in guerra.
L’attuale Parlamento era, comunque, sensibile all’influenza di Giolitti che per dodici anni
aveva dominato la vita politica e appoggiava, con tutta la propria autorità, il movimento
neutralista.
Il governo, presieduto da Salandra, diede, però, inizio, nel 1915, a segrete trattative con
entrambi le parti. Gli interventisti spingevano sempre di più e riuscirono ad organizzare
manifestazioni a favore dell'entrata in guerra. Era l’unico Paese in cui, nelle grandi città, si
organizzarono delle manifestazioni popolari al grido di “Viva la guerra”. Così, il governo,
dopo quattro mesi di aspre trattative, prese la propria decisione.
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Non essendo riuscito a far accettare al governo austro-ungarico il proprio programma, il 26
aprile 1915 firmò, a Londra, con l’Intesa, un patto segreto, che prometteva all’Italia, oltre ai
territori austro-ungarici le cui popolazioni erano di lingua italiana, la maggior parte della
costa dalmata e quindi l'annessione di Trentino, Istria, Venezia Giulia e parte della
Dalmazia.
L’Italia
entrò,
quindi,
in
guerra
a
fianco
dell'Inghilterra, della Francia e della Russia contro
l'Austria e la Germania. Il 20 Maggio 1915 il
Parlamento si rassegnò a votare a favore dei crediti
di guerra. Intanto il piano
tedesco,
una
di
guerra
definito da 15 anni, prevedeva
grande
offensiva
che
sarebbe
Vignetta satirica interventista1915, cartolina.
stata
immediatamente
diretta
Belgio neutrale: l’offensiva avrebbe
contro la Francia, attraversando il territorio del
aggirato
a nord la linea delle fortificazioni
francesi e avrebbe potuto condurre ad una vittoria completa; poi, tutte le forze tedesche
sarebbero state riversate contro la Russia.
La Germania, quindi, invase il Lussemburgo ed il Belgio, con l'intenzione di occupare
rapidamente la Francia. I tedeschi furono però fermati sul fiume Marna, in una battaglia
che causò 500 mila morti (6-12-settembre 1914).
Il fallimento del piano di guerra tedesco aprì la prospettiva di una lunga guerra, che
esigeva da tutti i belligeranti uno sforzo totale.
Da quel momento, infatti le truppe federali tedesche e quelle franco-inglesi
si contrapposero lungo un fronte di 800 Km, il fronte occidentale, all'interno
di trincee.
La I Guerra Mondiale divenne, infatti, essenzialmente, una guerra di
posizione e di logoramento.
Dalla guerra di movimento prevista dai colpi degli eserciti, si era passati ad
una snervante guerra di posizione.
Fu un vero e proprio susseguirsi di attacchi da una trincea all'altra, con i fronti che si
spostavano di pochi Km a prezzo di migliaia di morti.
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Dall'altra parte dell'Europa, il fronte orientale era più lungo e mobile. Gli eserciti tedeschi e
austriaci dovettero combattere duramente contro quello russo che tentò di penetrare in
Germania. Nell’inverno 1914-1915, la lotta militare assunse forme nuove che si
discostavano dalle previsioni degli Stati Maggiori e che paralizzarono, in gran parte, i piani
strategici.
Per altri diciotto mesi le iniziative tedesche continuavano a dominare; a partire dal luglio
1916, gli eserciti dell’Intesa cercavano di recuperare il vantaggio. Ma nessuno degli
avversari riusciva ad assicurarsi una superiorità decisiva.
Dopo due anni e mezzo di guerra, le lunghe prove, i sacrifici sempre più duri, portarono i
popoli a chiedersi quale fosse il senso e l’efficacia di uno sforzo di cui nessuno era in
grado, a questo punto, di prevedere la fine.
Cominciavano, così, a delinearsi due correnti: gli uni manifestavano la propria impazienza
mettendo in discussione i metodi adottati dagli uomini di Stato nella direzione militare o
diplomatica della guerra; gli altri, una piccola parte, esprimevano dubbi sulla necessità di
questo immenso sforzo: ne contestavano, perfino, la ragione d’essere.
Negli ultimi mesi del 1916, l’Intesa continuò a riporre la propria fiducia nello sforzo militare,
mentre le Potenze Centrali, consapevoli che sulla terraferma il bilancio delle forze non
consentiva più loro di sperare nella vittoria, decisero di iniziare una nuova forma di guerra,
in cui la forza sottomarina fu chiamata a giocare un ruolo essenziale.
Tra il 16 marzo e il 2 aprile 1917, le previsioni fatte degli Stati impegnati sui due fronti
furono sconvolte da tre avvenimenti di importanza cruciale, del tutto indipendenti l’uno
dall’altro: la caduta del regime zarista e la successiva rivoluzione in Russia, che determinò
l’allontanamento di questa nazione dalla scena del conflitto; l’intervento degli Stati Uniti; e
il pieno manifestarsi di quella crisi economica che già aveva mostrato i primi segni negli
anni precedenti in tutti i Paesi coinvolti nella grande guerra.
In Russia l’esercito aveva pagato duramente, con milioni di vittime, l’impreparazione
tecnica e strategica degli alti comandanti militari, e il popolo, affamato e stanco, aveva già
espresso a più riprese, con scioperi e agitazioni, il proprio malcontento.
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Di fronte a questa situazione, la corte continuava a dare prova del proprio totale distacco
dalla realtà del Paese.
La goccia che fece traboccare il vaso fu una rivolta di operai e soldati scoppiata nel marzo
del 1917.
Essa provocò l’abdicazione dello zar Nicola II e la costituzione di un governo repubblicano
provvisorio.
Quest’ultimo sperò di poter proseguire lo sforzo bellico cercando di ottenere l’adesione dei
soldati, quasi tutti contadini, con la promessa di distribuire loro dei terreni alla fine del
conflitto.
Il presidente del governo provvisorio, Kerenskij, lanciò alcune offensive che si conclusero,
però, con un totale fallimento. I soldati russi, infatti, fraternizzarono con gli austriaci e i
tedeschi e tornarono alle loro case. Era il segno decisivo dell’uscita della Russia dalle
operazioni belliche.
Le forze dell’Intesa perdettero, quindi, l’apporto della Russia, ma, quasi a bilanciare gli
effetti di questa perdita, si trovarono ben presto a fianco un nuovo potente alleato, gli Stati
Uniti d’America.
L’entrata in guerra degli Stati Uniti fornì ai Paesi dell’Intesa un appoggio che, a lungo
termine, divenne decisivo.
Il 19 marzo avvenne l’”azione palese” contro gli Stati Uniti: il siluramento del Vigilantia,
sottomarino americano, il cui equipaggio perì interamente. Il 20, il Presidente Wilson
convocò una sessione straordinaria del Congresso, dichiarandosi deciso alla guerra.
Il 2 aprile, il Congresso approvò a maggioranza il messaggio che annunciava questa
decisione.
Il 15 dicembre dello stesso anno, dopo rapide trattative, entrò in vigore, tra la Russia e le
Potenze Centrali, l’accordo d’armistizio: la Russia non poteva più, per gravi ragioni interne,
proseguire nella guerra.
Appariva chiaro, a questo punto, che la fine del conflitto sarebbe stato determinato
dall'esaurimento complessivo delle risorse di uno dei due contendenti, più che dall'esito
della battaglia.
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Nel 1917 gli imperi centrali si
prepararono
offensivo
all’ultimo
prima
che
sforzo
le
truppe
statunitensi sbarcassero in Europa.
Praticamente smobilitato il fronte
russo che aveva consentito agli
Austro-Tedeschi
di
numerose
truppe
occidentale
e
eserciti
spostare
sul
fronte
meridionale,
austriaco
e
gli
tedesco
sferrarono un nuovo massiccio attacco sul fronte italiano.
L’esercito italiano non resse all’urto. Oltre alla stanchezza dei soldati furono decisivi alcuni
errori strategici del supremo comando e la defezione di qualche corpo d’armata. Tutte
queste furono le cause dell' improvviso crollo italiano a Caporetto.
Caporetto era un piccolo villaggio della valle d'Isonzo. In questo luogo il 24 ottobre 1917
una scelta armata austro-tedesca lanciò l'offensiva, nata come battaglia di alleggerimento,
ma subito trasformatasi in successo strategico per la
scarsa resistenza italiana. I generali Cadorna e Cappello,
comandanti della seconda armata travolta a Caporetto,
avevano sottovalutato le forze nemiche. L'offensiva li
sorprese con le truppe logore e schierate su posizioni poco
curate ma, soprattutto, senza riserve riposate e ben
dislocate con le quali fosse possibile bloccare l'avanzata
austro-tedesca.
La ritirata di Caporetto
La disfatta italiana di Caporetto fu un importante successo degli imperi centrali, cui si
aggiunsero i vantaggi derivati dalle paci separate concluse con la Russia e la Romania.
Il trattato di pace (Brest-Litovsk, 3 marzo 1918) fu particolarmente duro per la Russia:
essa, infatti, si impegnava a cedere la Polonia, l’Estonia, la Lituania e la Lettonia e a
riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina.
Intanto, l’offensiva degli imperi centrali doveva
assolutamente battere l’intesa prima dello sbarco
statunitense.
Tuttavia gli alleati, sotto la guida di un unico
comando affidato al maresciallo francese Ferdinand
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Foch, riuscirono a resistere e a passare alla controffensiva, forti, anche, dell’arrivo delle
truppe americane.
Le armate austro-tedesche, a loro volta, avanzarono rapidamente nella pianura friulanoveneta facendo prospettare il pericolo di una disfatta totale. Un'impennata di orgoglio
nazionale consentì invece all'Italia di reagire con efficacia e di affrontare una nuova linea
difensiva sul Piave. I soldati italiani rinvigoriti nel morale grazie alle promesse di adeguati
compensi a guerra finita, resistettero ai tentativi di sfondamento dei nemici che furono,
definitivamente, sbaragliati a Vittorio Veneto.
Per gli imperi centrali era finita!
Nel giro di poco più di un mese, tra la fine di settembre e i primi di novembre, si
susseguirono la resa della Turchia e l’armistizio dell’Austria con l’Italia, firmato a Villa
Giusti, presso Padova (4 novembre 1918).
Sia l’offensiva tedesca, sconfitta in Francia, sia quella austriaca, in Italia, erano state
respinte. Questi eventi comportarono gravi conseguenze politiche all’interno dei due
imperi.
L’Intesa pose, così, fine alla guerra: il 4 novembre l'impero Austro-Ungarico chiese
l'armistizio, l'11 novembre la Germania.
Alla fine del 1918 l’Austria-Ungheria non esisteva più. La Germania, la Bulgaria, la Turchia
sottoscrissero, firmando gli armistizi, delle clausole militari che li misero in condizioni di
non poter riprendere la lotta.
L’Europa era, ormai, allo stremo.
Nel gennaio del 1919, a Parigi, si aprì la conferenza di pace. Vi parteciparono soltanto i
vincitori; i vinti ne furono esclusi e vennero convocati solo per firmare i trattati di pace.
Durante la conferenza si manifestarono gravi contrasti tra l’indirizzo tradizionale della
diplomazia europea e le tendenze del presidente statunitense Wilson.
Gli europei intendevano risolvere i problemi nati dal crollo di quattro imperi (austriaco,
tedesco, turco, russo) mediante una politica di annessioni territoriali.
Gli Stati Uniti, invece, erano favorevoli al principio dell’autodeterminazione dei popoli: ogni
nazione doveva avere il suo territorio e decidere che governo darsi.
Prevalse il principio di formare stati nazionali in cui vivessero cittadini appartenenti allo
stesso popolo, ma questo principio, che dette origine a numerosi nuovi stati, non venne
quasi mai applicato alla lettera.
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Inoltre, le potenze europee e la Francia in particolare miravano a utilizzare i trattati di pace
per annientare la Germania, piuttosto che ridisegnare, in maniera equilibrata e rispettosa
della volontà dei singoli popoli la carta geografica del continente.
Dei tre grandi imperi che esistevano sul continente nel 1914, uno scomparve; gli altri due
persero una parte importante dei loro territori.
La Germania, divenuta una repubblica, venne riconosciuta colpevole della guerra e
costretta a pagare un'enorme indennità ; la sua flotta militare venne confiscata, ma si
autoaffondò; alcune regioni furono smilitarizzate e l’Alsazia e la Lorena tornarono alla
Francia.
Dovette cedere, anche, le province prussiane di popolazione polacca, lo
Schleswig del Nord, la cui popolazione era di lingua danese, i piccoli territori di Eupen e
Malmedy, rivendicati dal Belgio.
Sul territorio che era stato, prima della guerra, quello dei tre Imperi, nove Stati nuovi
iniziavano ad organizzare la propria esistenza: la Polonia, la Finlandia, la Lettonia, la
Lituania, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, la Repubblica austriaca e l’Ungheria.
Austria e Ungheria divennero, infatti, due piccole repubbliche e persero gran parte del loro
territorio a vantaggio della Romania, dell'Italia o dei nuovi stati Polonia, Cecoslovacchia,
Jugoslavia.
Dai territori ex russi nacquero Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania. La Polonia rinacque
dopo circa centotrenta anni con territori già austriaci, tedeschi e russi. La Cecoslovacchia
comprendeva territori ex austroungarici. La Jugoslavia fu formata con gli ex regni di Serbia
e Montenegro e territori ex austroungarici ed ex turchi.
Questo spezzettamento si conformava al principio delle nazionalità e al diritto di
“autodeterminazione dei popoli” dettati dal Presidente Wilson nei “Quattordici punti”.
Il trattato di Versailles ebbe però tristi conseguenze per l'Italia: non le furono assegnati
mandati sulle ex-colonie tedesche; nonostante gli abitanti di Fiume, in nome del principio
dell'autodeterminazione dei popoli, avessero affermato di sentirsi Italiani e di volere
l'annessione all'Italia, questi territori furono assegnati alla neonata Jugoslavia.
Nel quadro mondiale, i risultati essenziali della guerra sono stati, da una parte, il declino
dell’Europa occidentale e centrale, dall’altra, l’ascesa della potenza degli Stati Uniti.
E così, mentre iniziavano a manifestarsi segni di declino dell’Europa, gli Stati Uniti, con il
ruolo di fornitori degli Stati belligeranti che ebbero per due anni e mezzo, aumentarono, a
ritmo veloce, la propria produzione industriale; quadruplicarono il tonnellaggio della flotta
mercantile; in quattro anni raggiunsero, nella propria bilancia commerciale, un surplus pari
a quello che era stato realizzato tra il 1787 e il 1914.
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Le iniziative degli Stati Uniti e l’influenza della Russia comunista divennero, alla fine, dei
fattori essenziali nella vita del mondo.
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