Il Romanticismo nei suoi caratteri generali

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Il Romanticismo nei suoi caratteri generali
Il Romanticismo come "problema"
Con il termine "Romanticismo", che in origine faceva riferimento al romanzo cavalleresco, ricco di avventure e di
amori, si indica il movimento filosofico, letterario, artistico ecc. che, nato in Germania negli ultimi anni del secolo
XVIII, ha poi trovato la sua massima fioritura in tutta Europa nei primi decenni dell’ Ottocento, improntando di se la
mentalità di gran parte del secolo.
La delucidazione critica del concetto di "Romanticismo" risulta ancor più complessa di quella relativa alle nozioni di
"Rinascimento" o di "Illuminismo" e sembra urtare contro ostacoli veramen-te insormontabili, che derivano
innanzitutto dalla difficoltà di definire adeguatamente l’ambito storiografico.
A questo proposito sono state elaborate due interpretazioni di fondo. Per una prima lettura, che risale in parte ai
romantici stessi, e che e stata codificata da Hegel, il Romanticismo sarebbe quell'indirizzo culturale che trova la sua
nota qualificante nell’ esaltazione del "sentimento" e che si concretizza nei rappresentanti del circolo tedesco di
Jena e in tutti i letterati europei segua-ci delle loro idee anti-classicistiche. £l indubbio che questo modo di considerare
il Romanticismo abbia avuto, sino ai giorni nostri, notevole fortuna, sedimentandosi anche nell’uso comune, dove il
termine "romantico" si identifica quasi sempre con gli aggettivi "sentimentale", "poetico" ecc.
Tuttavia, quest'accezione ristretta di Romanticismo, pur cogliendo un aspetto indubbiamente basilare del movimento,
con il tempo ha finito per apparire troppo angusta. Infatti il suo rischio oggettivo e di privilegiare esclusivamente
l’aspetto letterario e artistico del Romanticismo, metten-done in ombra le componenti filosofiche, oppure risolvendo
queste ultime negli scritti di F. Schlegel, Novalis o di qualche altro autore del cenacolo di Jena, di mentalismo e il
razionalismo ecc. Ma ciò non toglie, guardando più nel profondo, che tutti questi motivi, pur nella loro antitetica
natura, cadano in un medesimo orizzonte complessivo e siano espressione di un'"aria comune" che circola
simultaneamente in essi, caratterizzandoli in modo inequivocabilmente "romantico". Per cui, o si ha la coerenza di
espungere il concetto di Romanti-cismo dal dizionario culturale corrente, ritenendolo "un'invenzione degli storici", o si
deve per for-za ammettere che esso sottintende un fondato riferimento a taluni atteggiamenti ricorrenti, che caratterizzano i letterati e i filosofi della prima meta dell’Ottocento.
Ad esempio, l’esaltazione del sentimento da un lato, e la celebrazione idealistica e hegeliana della ragione dialettica
dall’altro, non sono due posizioni totalmente contrapposte, perchè scaturi-scono da un analogo atteggiamento, che
e tipico della cultura romantica: la polemica contro l'intelletto illuministico. Tant'e vero che tutti e due mirano
a risolvere il medesimo proble-ma, ovvero il ritrovamento di una via per l'Assoluto. Ora e soltanto sulla base della
constatazione di tali atteggiamenti similari che possiamo catalogare alcuni autori come "romantici", individualizzan-doli
nei confronti di quelli di altre età, e che possiamo dire, ad esempio, che mentre Voltaire e Diderot sono degli
"illuministi", Novalis, Schelling e Schleiermacher sono invece dei "romantici".
Di conseguenza, a nostro giudizio, 1'autentico e concreto problema storiografico circa il Roman-ticismo non e quello di
fornire una fotografia onnicomprensiva e definitiva di esso, o di limitarsi a denunciare sterilmente 1'impossibilita di
ogni discorso introduttivo; bensì quello di delineare uno schema tipico-ideale capace di "stringere" o di "raccogliere"
talune note ricorrenti della pluriforme e pluridirezionale Weltanschauung (visione del mondo) romantica. Ovviamente si
tratta di un'im-presa mai conclusa - sempre aperta a nuove acquisizioni, conferme, smentite, riformulazioni - ma su
cui ogni epoca e ogni storico non può fare a meno di cimentarsi.
Chiarito il concetto sintetico o "globale" di Romanticismo e legittimata la possibilità di un discorso "aperto" sui suoi
caratteri generali, nasce un altro problema: dove andranno cercati quei tratti che formano la "filosofia", o meglio,
la concezione romantica del mondo?
Nei filosofi in senso stretto e tecnico o anche nei letterati? Ovviamente, avendo interpretato il Romanticismo come
"atmosfera culturale", in cui circola una comune forma mentis, riteniamo che i tratti in que-stione andranno rintracciati
sia negli artisti, sia nei filosofi che li esprimono, gli uni in maniera piu disorganica, e gli altri in modo più sistematico.
Del resto, la stretta connessione fra poesia e filosofia e una caratteristica oggettiva del Romanticismo, esplicitamente
proclamata e teorizzata da Schlegel:
«Tutta la storia della poesia moderna e un continuo commento al breve testo della filosofia [...1 poesia e filosofia
debbono essere unite».
Siccome la Germania costituisce l'anima e il centro, soprattutto filosofico, del Romanticismo europeo, ci soffermeremo
in particolare sul Romanticismo tedesco.
II circolo di Jena
Storicamente il Romanticismo tedesco, cuore e centro propulsore del movimento, ha come luo-go di formazione la
città di Jena e trova i suoi animatori ed esponenti di punta in Friedrich von Schlegel (1772-1829), teorico della
corrente; in August Wilhelm von Schlegel (1767-1845), fratel-lo di Friedrich; in Karoline Michaelis (1769-1809), donna
di notevole fascino e personalita, moglie di W. Schlegel e, in seguito, di Schelling; in Friedrich von Hardenberg, detto
Novalis (1772-1801), una delle menti piu rappresentative di tutto il Romanticismo tedesco e poeta d'avanguardia del
circolo jenese. Nel 1797, nel corso di un'aspra polemica con Schiller, F. Schlegel si trasferisce a Berlino, dove fonda la
rivista "Athenaeum", edita fra il 1798 e il 1800, che rappresenta il primo stru-mento di diffusione delle nuove idee. A
Berlino F Schlegel entra il contatto, da un lato, con il filo-sofo Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834) e
dall’altro con la scuola d'arte rappre-sentata da Johann Ludwig Heck (1773-1853) e da Wilhelm Heinrich Wackenroder
(1773-1798). Rientra inoltre nell'atmosfera intellettuale del circolo, nonostante sia rimasto in disparte, il grande poeta
Friedrich Holderlin (1770-1843). Gli Schlegel furono in rapporto anche con Fichte, cono-sciuto a Jena nel 1796 e di cui
subirono l'influsso filosofico, attribuendogli la paternitè ideale dello stesso movimento romantico; nonchè con
Schelling, che a un certo punto parve la maggiore in-carnazione filosofica delle nuove idee. Hegel stesso, amico negli
anni giovanili di Holderlin e di Schelling, ebbe modo di conoscere le dottrine estetiche e filosofiche del cenacolo degli
Schlegel, che in seguito critico aspramente, pur essendo influenzato dal generale clima romantico. Nel 1801, alia
morte di Novalis, il gruppo si sciolse, ma le sue idee si diffusero rapidamente in altri centri del-la Germania (Monaco,
Dresda, Heidelberg ecc.) e all’estero.
Atteggiamenti caratteristici del Romanticismo tedesco
Sulla base delle norme metodologiche sopraccitate, analizziamo adesso alcuni tratti del Ro-manticismo tedesco, che
ricorrono, con verificabile frequenza, negli autori definiti "romantici" rap-presentando le coordinate di fondo deU'intero
movimento. Ovviamente, ed e bene precisarlo subi-to per evitare possibili equivoci, non e detto che i tratti
sottoelencati si trovino tutti, e contempo-raneamente, in tutti gli autori, poiché si tratta di motivi la cui presenza, in un
determinate scritto-re, autorizza a parlare di "aspetti" più o meno accentuatamente "romantici" della sua opera.
Un esempio illuminante può essere quello di Hegel. II fatto che tale filosofo abbia polemizzato contro il primato del
sentimento e contro determinate posizioni del circolo di Jena non implica che egli, come afferma qualche studioso, non
abbia più nulla a che fare con il Romanticismo. Infatti, pur non rientrando nella "scuola romantica" in senso stretto,
Hegel risulta profondamente partecipe del clima culturale romantico, del quale condivide soprattutto il tema
dell'infinito anche se ritiene che esso non possa venir colto tramite il sentimento o la fede, ma in virtù della "ragione
dialettica" (v. p. 814). Pertanto la sua contrapposizione ai romantici costituisce un capitolo del Romanticismo stesso.
Siccome l'unita culturale del periodo romantico, come si e puntualizzato, non esclude, ma presuppone, pur all’interno
di atteggiamenti e motivi comuni, un'ovvia molteplicità di interpretazioni
e di soluzioni, cercheremo di differenziare subito le alternative più importanti, rimandando alle
esposizioni dei singoli autori per la loro trattazione analitica.
II rifiuto della ragione illuministica e la ricerca di altre vie d'accesso alla realtà e all’assoluto
Si afferma talora, sulla scorta di una lunga consuetudine storiografica, che i romantici ripudia-no la ragione.
Poichè questo, come avremo modo di rilevare, non e sempre vero, per essere più pre-cisi e aderenti al movimento
nella sua globalità, si dovrebbe dire che i romantici, pur nella varietà delle loro posizioni, sono tutti d'accordo nel
respingere la ragione illuministica. Infatti, come si e vista, il Romanticismo, geneticamente e storicamente parlando,
nasce proprio con il ripudio di quel tipo di ragione della quale l'illuminismo aveva fatto la propria bandiera e il proprio
strumento interpretative del mondo. Gia incriminata del "bagno di sangue" della Rivoluzione e del militarismo
napoleonico, la ragione dei philosophes viene anche ritenuta incapace di comprendere la realtà profonda
dell’uomo, dell'universo e di Dio.
i conseguenza, messa da parte la ragione prevalentemente empiristico-scientifica dell'Illumi-nismo e del criticismo, che
aveva sbarrato le porte alla metafisica, i romantici cercano altre vie di accesso alla realtà e all'infinito. A questo
proposito, le strade percorse, pur all’interno del comune denominatore anti-illuministico, sono molteplici
L’esaltazione del sentimento e dell'arte
Da taluni, soprattutto dai poeti e dagli artisti, l'organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per penetrare
nell'essenza più riposta dell'universo viene rintracciato nel sentimento: una categoria spirituale che l’antichità classica
aveva per lo più ignorato o disprezzato, che il Settecento illuministico aveva cominciato a riconoscere nella sua forza e
che nel Romanticismo acquista valore predominante. Questo valore predominan-te e la principale eredita che il
Romanticismo riceve dallo Sturm und Drang, il quale aveva con-trapposto il sentimento alla ragione, ritenuta incapace,
nei limiti che a essa aveva prescritto Kant, di attingere la sostanza delle cose e le realtà superiori e divine.
Sebbene il sentimento di cui parlano i romantici sia qualcosa di più profondo e "intellettuale" del sentimento
comunemente inteso e risulti nutrito e potenziato di "riflessione" e di filosofia (tant'e vero che il geistiges Gefuhl di cui
parla Schlegel si può tradurre con "sentimento spirituale") , esso appare come un'ebbrezza indefinita di emozioni, in
cui palpita la vita stessa al di la delle strettoie della ragione, che nei suoi confronti scade a pallido riflesso:
«l1 pensiero e soltanto un sogno del sentimento» (Novalis).
Per queste sue caratteristiche, il sentimento viene ritenuto in grado di aprire a nuove dimensioni della psiche e di
risalire alle sorgenti primordiali dell'essere. Anzi, il sentimento appare talora come l’infinito stesso, o meglio
come l’infinito nella forma dell'indefinito. In ogni caso esso si configura come il valore supremo. Tant'è che
Goethe, partecipe, sotto questo aspetto, dell'atmosfera romantica, nel suo Faust (parte I, w. 3453-3457) scrive:
«Quando in cotesto sentire ti senti veramente felice,
chiamalo pure allora come vuoi:
chiamalo felicita, cuore, amore, Dio.
Per questo io non ho nome alcuno.
Sentimento e tutto!
La parola e soltanto suono e fumo».
E Holderlin, racchiudendo nel giro di una frase felice la vena antirazionalistica che serpeggia nel nascente movimento
romantico, neWIperione (1,1) esclama:
«Un Dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando pensa».
L’esaltazione del sentimento procede parallelamente al culto dell'arte, vista come "sapienza del mondo" e "porta
aurorale" della conoscenza, ossia come ciò che precede e anticipa il discorso logi-co e nello stesso tempo lo completa,
giungendo la dove questo non può arrivare e configurandosi come ciò da cui nasce e a cui finisce sempre per ritornare
la filosofia (secondo una concezione che ai giorni nostri e stata ripresa da Heidegger, che infatti e venuto attribuendo
sempre piu importan-za ai poeti, soprattutto romantici). Al poeta si conferiscono delle doti quasi sovra-umane e
profeti-che, che fanno di lui un "esploratore dell'invisibile", con poteri di intuizione superiori a quelli degli uomini
comuni e della ragione logica. Tipiche, in questo senso, alcune affermazioni dei Frammenti di Novalis o di Schlegel:
«Soltanto un artista può indovinare il senso della vita» (Novalis).
«Il poeta comprende la natura meglio che lo scienziato» (Novalis).
«Il filosofo poeta, il poeta filosofo, e un profeta» (Schlegel).
«I1 senso per la poesia ha molto in comune col senso per il misticismo [...] Rappresenta l'irrappresentabile, vede
l’invisibile, sente il non sensibile» (Novalis).
Come vedremo, questo concetto dell'arte come meta-filosofica intuizione capace di attingere le profondità
originarie della vita e di possedere l’infinito, trova la sua più nota concettualizzazione in Schelling, che in essa
individua l'organo tramite cui avviene la rivelazione dell'Assoluto a se medesimo (v. cap. 3). In molti autori il
privilegiamento dell'arte comporta anche una preminenza del modello estetico, poiché essa, che rappresenta il
fulcro di tutte le esperienze romantiche, finisce per configurarsi come il modello ermeneutico per eccellenza, ossia
come la principale chiave di lettura della realtà, che infatti viene interpretata alla luce delle note qualificanti dell'attivita
artistica: creatività, liberta, organicità, consapevolezza-inconsapevolezza ecc. Per cui, quando Schelling arriva a dire
che l'universo e nient'altro che un'immensa opera d'arte generata da quel «poeta cosmico» che e l'Assoluto (di cui il
poeta umano e il riflesso), non fa che portare alla sua massima espressione metafisica un pensiero che circola sin
dall'inizio fra i romantici, i quali scoprono nell'arte gli attributi stessi di Dio: l'infinita e la creatività.
iato il principio di imitazione e le regole classicistiche, l'estetica romantica si configura infatti, nel modo più esplicito e
impegnato, come un'estetica della creazione, poiché se all'uomo morale si riconosce ancora la necessita di un
limite, di un ostacolo, al poeta e attribuita una liberta sconfinata e all'arte una spontaneità assoluta, che ne fa
un'attività in perenne "divenire", ossia do-tata di inesauribile dinamicità creativa:
«La poesia romantica e ancora in divenire [...] essa sola e infinita, come essa sola e libera, e riconosce come sua legge
prima questa: che l'arbitrio del poeta non soffre legge alcuna» (R Schlegel).
Questo primato dell'arte creativa implica anche un primato del linguaggio poetico e musicale, visto come "parola
magica" in cui si concretizza l'essenza stessa dell'arte. Per quanto concer-ne la musica, fra i piimi a celebrarne i
"miracoli" troviamo Wackenroder:
«La musica mi appare come l'araba fenice, che, leggera e ardita, s'innalza a volo [...] e con lo slan-cio delle ali rallegra
gli dei e gli uomini [...] ora l'arte dei suoni e per me proprio come il simbolo della nostra vita: una commovente breve
gioia, che s'alza e s'inabissa, non si sa perchè; un'isola piccola, lieta, verde, con splendore di sole, con canti e suoni».
E nei romantici successivi la musica diviene la "regina delle arti", anzi l'arte romantica per eccellenza, poiche
sprofondando l'ascoltatore in un flusso indeterminato di emozioni e di imma-gini gli fa vivere l'esperienza stessa
dell'infinito.
«La musica è la più romantica di tutte le arti, il suo tema e l’infinito, essa e il misterioso sanscrito della natura
espresso in suoni, che riempie di infinito desiderio il petto dell'uomo, il quale solo in essa intende il sublime canto degli
alberi, dei fiori, degli animali, delle pietre, delle acque!».
(E. T. A. Hoffmann)
«La musica e la più romantica di tutte le arti, si potrebbe quasi dire che essa sola e romantica, poiche solo l’infinito e il
suo tema» (E. T. A. Hoffmann).
«La musica di Beethoven [...] risveglia quel desiderio infinito che e l'essenza del romanticismo».
(E. T. A. Hoffmann)
Idee analoghe troviamo anche in Schopenhauer, il quale, come vedremo (v. vol. 3, PS 1), indivi-dua nella musica
l'autorivelazione della volontà di vivere: oppure in Leopardi, secondo cui, grazie alla musica:
«Per mar delizioso, arcano erra lo spirito umano ».
Strumento privilegiato di conoscenza, organo dell'infinito, modello di ogni realtà ed esperienza, libera creativita, parola
magica, per questo filone del Romanticismo (sostanzialmente rappresentato dal circolo di Jena e da Schelling) l'arte e
anche un modo per ergersi sopra la caoticità e dolorosità del mondo. Ciò risulta evidente da un passo poco noto, ma
estremamente significativo, di Wackenroder:
«Oh, questo interminabile monotono giro di migliaia di giorni e di notti [...1 tutta la vita dell'uomo, tutta la vita
dell’intero universo, non e altro che un interminabile giuoco di scacchi sui due campi: bianco e nero; giuoco nel quale
nessuno vince se non l'infausta morte [...] tutto questo po-trebbe in certe ore far perdere la testa! E invece ci si deve
sostenere con braccia coraggiose in mezzo al caos delle rovine, nel quale la nostra vita e sminuzzata, c attaccarci
fortemente all'arte, alla grande, alla duratura arte, che, al di sopra di ogni caos, attinge l'eternità - l'arte che dal cielo
ci por-ge una mano luminosa, cosi che noi stiamo sospesi in ardita posizione, sopra un abisso deserto, fra cielo e terra
» (Fantasie sull'arte).
Tuttavia, questa assolutizzazione conoscitiva ed esistenziale dell'arte, questo tentativo di evadere, in virtù di essa, dai
limiti del finito e della sofferenza, doveva rivelare inevitabilmente i suoi limiti. Da ciò una certa crisi, all'interno del
Romanticismo tedesco, di quel estetismo entusiastica-mente affermato nell’Iperione di Holderlin:
«0 voi che cercate il sommo bene nella profondità della scienza, nel tumulto dell'azione, nell'o-scurita del passato, nel
labirinto del futuro, nelle fosse e sopra le stelle, sapete voi il suo nome? II suo nome è bellezza!».
Estetismo che in Novalis si conclude con l’infinitizzazione dell’arte, definita «l’assoluto reale».
La celebrazione della fede religiosa e della "ragione dialettica".
Accanto all'arte e strettamente intrecciata con essa («artista può essere solo chi ha una sua religione, un'intuizione
originale dell’,infinito») afferma Schlegel) un'altra esperienza decisiva dei romantici e stata la religione, vista
anch'essa come via d'accesso privilegiata al reale e come un sapere immediato, che, andando oltre i confini
della ragione illuministico-kantiana, riesce a coglie-re il Tutto nelle parti, l’Assoluto nel relativo, il Necessario nel
contingente, l’Unita nella molteplicità, l’Eterno nel tempo ecc. (v. Schleiermacher). Tuttavia, mentre alcuni romantici,
in virtù della loro interpretazione panteistica dell'infinito (v. par. seguente), si sono mantenuti nell’ambito di una
religiosità meta-confessionale, altri si sono avvicinati alle religioni positive.
Infatti la polemica contro “l’astratta" e "impersonale" divinità dell'Illuminismo, il ri-fiuto di identificare Tuomo
con Dio, ossia con lo Spirito idealisticamente inteso, la crisi dell'esteti-smo, ha condotto taluni romantici non solo ad
accentuare il momento religioso delle loro teorie, ma a riavvicinarsi alle fedi storiche, dando luogo a una serie di
"conversioni" alle religioni tradizionali Tipico, in questo senso, il caso di F. Schlegel, che aderisce al cattolicesimo,
preferendolo al prote-stantesimo, anche in virtù del suo apparato esteriore (sfarzo cerimoniale, liturgia ecc.) e del suo
ba-gaglio storico-tradizionalistico.
La teoria del primato conoscitivo dell'arte o della fede, pur essendo la più caratteristica del mo-vimento romantico, non
e Tunica, poiché nel Romanticismo, inteso come epoca culturale, troviamo anche la posizione di quei filosofi che, pur
condividendo le critiche all'intelletto illuministico, riten-gono che solo un rinnovato eserci2io della ragione abbia la
possibilità di fornirci quelle spiegazioni dell'essere e dell'assoluto invano cercate attraverso l'intuizione estetica e il
rapimento mistico. Tale e il caso di Hegel, che giunge a prendere una drastica posizione polemica contro le varie filosofie del sentimento e della fede affermando che solo mediante la logica e la ragione, e non attraverso le nebulosità
del pensiero poetico o mistico, risulta possibile fare un discorso fondato sull'infinito.
Infatti, utilizzando la distinzione kantiana fra intelletto e ragione, Hegel tende ad addossare al primo tutti i difetti che i
romantici avevano attribuito alla scienza "analitica" ed empiristica dell’Illuminismo, e ad assegnare alla seconda, intesa
alla maniera "dialettica" (v. cap. 2), tutte le prerogative che i poeti avevano ascritto all’arte o alla fede, ossia:
a) la virtù di andare oltre la superficie del reale e di coglierne le strutture profonde;
b) l’idoneità a captare l’infinito e l’assoluto;
c) l'attitudine a pensare in modo sintetico e organico, ossia a spiegare le parti in relazione al tutto;
d) la predisposizione ad afferrare la dimensione processuale, cioè storica, della realtà.
Il senso dell’infinito
Contrariamente a Kant, che aveva costruito una filosofia del finito e aveva fatto valere in ogni campo il principio del
limite, i romantici cercano ovunque, dall'arte all'amore, l’oltre-limite, ovvero ciò che rifugge dai contorni definiti e si
sottrae alle leggi dell’ordine e della misura. Per cui l’anticlassicismo dei romantici, prima di essere un fatto
letterario e un criterio estetico, e una tendenza generate della loro sensibilità e del loro spirito. Infatti
l’ebbrezza dell'infinito" colora di se tutte le esperienze dei romantici, che sono, in genere, anime assetate di assoluto,
bramose di trascendere le barriere del finito, e di andare oltre lo spazio, il tempo, il dolore, la caducità, la morte ecc.
Tutto questo fa si che i romantici tendano, da un lato, a infinitizzare determinate esperienze umane, ad esempio la
poesia o l'amore, e dall’altro siano portati ad avvertire fortemente la presenza dell'infinito nel finito.
In ogni caso, 1'infinito si qualifica come il protagonista principale dell’universo cultu-rale romantico. Tutti
d'accordo nell'assegnare all'infinito questo ruolo primario, i romantici si dif-ferenziano invece per il diverso modo di
intendere l’infinito stesso e di concepirne i rapporti con il finito (l'uomo, la natura, la storia ecc). II modello più
caratteristico e maggiormente seguito dai poeti e dai filosofi tedeschi e quello panteistico (che si trova ad esempio nel
primo Fichte come nei Frammenti del primo Schlegel, in Schleiermacher come nel primo Schelling, in Holderlin come in
Hegel ecc). Infatti il sentimento della Einfuhlung (immedesimazione) fra infinito e finito e cosi forte da far si che i
romantici, almeno all’inizio, tendano a concepire il finito come la realizzazione vivente dell'infinito, sia esso inteso,
quest'ultimo, alla maniera di un panteismo naturalistico di stampo spinoziano-goethiano, che identifica l’infinito con
il ciclo eterno della natura, oppure di un panteismo idealistico che identifica l'infinito con lo Spirito, ossia con
l'umanità stessa e fa della natura un momento della sua realizzazione (v. cap. 2).
Sebbene prevalente, il modello panteistico non e, tuttavia, l'unico, poiché accanto a esso, nei ro-mantici, troviamo
anche un'altra concezione dei rapporti fra finito e infinito: una concezione per la quale l'infinito viene in qualche modo
a distinguersi dai finito, pur manifestandosi o rivelandosi in esso. In questo caso il finito (l'uomo e il mondo) non
appare più come la realtà stessa dell'infinito, ma come la sua manifestazione più o meno adeguata. Per cui, se il primo
modello, sostenendo l’identita tra finito e infinito, e una forma di immanentismo e di panteismo, il secondo modello,
af-fermando la distinzione tra finito e infinito, e una forma di trascendentismo e di teismo, che am-mette la
trascendenza dell'infinito rispetto al finito e considera l'infinito stesso come un Dio che e al di la delle sue
manifestazioni mondane.
Ovviamente, mentre il panteismo si accompagna a una religiosità cosmica, diversa dalle fedi positive, il
trascendentismo suole accompagnarsi, per lo più, all'accettazione di qualche religione storica, come succede
nel secondo Schlegel, in cui teismo e cristianesimo vanno di pari passo e si concretizzano in una conversione alia
Chiesa cattolica. Come vedremo, nel Roman-ticismo tedesco i vari autori esprimono la tendenza a passare dai modello
panteistico a quello trascendentistico.
La Sehnsucht, l’ironia e il titanismo
Un altro dei motivi ricorrenti della cultura romantica, presente nei poeti e nei filosofi, e la con-cezione della vita come
inquietudine, aspirazione, brama, sforzo incessante. I romantici ritengono infatti che l'uomo sia in preda a un "demone
dell'infinito", il quale fa si che egli - insofferente di ogni limite e mai pago della realtà cosi com'e - risulti in uno stato di
irrequietezza e di tensione peren-ne, che lo porta a voler sempre trascendere gli orizzonti del finito.
Due fra le più note esemplificazioni di questo modo di essere sono lo "spirito faustiano", delineate da Goethe, oppure
lo Streben (sforzo) teorizzato da Fichte, che vede l'io impegnato in un infinito superamento del finito,
coincidente con una battaglia mai conclusa per la conquista della propria umanità.
Di conseguenza, si può dire che l'intuizione romantica dell'uomo sia in funzione di quell'anelito all'infinito che è proprio
di tale corrente culturale. Infatti è solo in relazione alla "brama di infinito" che si comprendono alcuni dei più
emblematici "stati d'animo" romantici, che formano l'oggetto preferito delle rappresentazioni letterarie. t
Lespressione germanica Sehnsucht, che può essere tradotta in italiano con "desiderio", "aspirazione struggente",
"brama appassionata" ecc., costituisce forse, a detta del germanista Ladislao Mittner, «la più caratteristica parola del
Romanticismo tedesco», poiché sintetizza l'interpretazione dell'uomo come desiderio e mancanza, ossia come
desiderio frustrato verso qualcosa (l'infinito, la felicità...) che sempre sfugge. Infatti la romantica Sehnsucht si
identifica con quell'aspirazione verso "il più e l'oltre", che non trovando confini e mete precise si risolve inevitabilmente, come scrive un altro germanista, Sergio Lupi, in un «desiderio di avere l'impossibile, di conoscere il non
conoscibile, di sentire il soprasensibile». Tant'è vero che la Sehnsucht, la quale etimologicamente deriva dal verbo
sehnen, che vuol dire desiderare, e dal sostantivo Sucht, che significa esso pure desiderio, finisce per configurarsi
come «un desiderio innalzato alla seconda potenza, un desiderio del desiderio e quindi un desiderare che si esaurisce
in sé per il piacere del desideno».
Infatti Schlegel, nella Lucinde, dice del suo personaggio Giulio:
«Tutto poteva eccitarlo, niente poteva bastargli [...] Era come se volesse abbracciare il mondo e non potesse afferrare
niente» e nei Frammenti osserva: «Chi vuole qualcosa d'infinito non sa ciò che vuole».
Analogamente, No-valis, nel suo Heinrich von Ofterdingen, dipinge il proprio personaggio alla ricerca del «Fiore azzurro», simbolo, tra l'altro, di quel misterioso e irraggiungibile "non so che" il quale attrae perpetuamente l'animo
inquieto dell'uomo.
La situazione esistenziale implicita nella Sehnsucht o nello schlegeliano «Streben nach dem Unbedingten» (tensione
verso l'assoluto) si accompagna a quelle due tonalità psichiche e a quei a due atteggiamenti che sono l'ironia e il
titanismo. L'ironia consiste nella "superiore" coscienza del fatto che ogni realtà finita, e quindi ogni impresa
umana, grande o piccola, risulta impari di fronte all'infinito. Come tale, l'ironia è una conseguenza diretta del
principio romantico che l'infinito può avere infinite manifestazioni, senza che nessuna gli sia veramente essenziale.
L'ironia prende atto di ciò, poiché consiste nel non prendere "sul serio" e nel rifiutarsi di considerare, come cosa salda,
le manifestazioni particolari dell'infinito (la natura, le opere, l'io) in quanto queste non sono altro che provvisorie
espressioni di esso.
«La filosofia è la vera patria dell'ironia, che potrebbe venir definita bellezza logica» (Schlegel).
«La filosofia scioglie ogni cosa, relativizza l'universo. Come il sistema copernicano, essa scardina i punti fissi e rende
sospeso nel vuoto ciò che prima posava sul solido. Essa insegna la relatività di tutti i motivi e di tutte le qualità»
(Novalis).
«E la più libera [l'ironia] di tutte le licenze perché attraverso essa ci mettiamo al di sopra di noi medesimi; e nello
stesso tempo la più legittima» (Schlegel).
«L'ironia è chiara coscienza dell'agilità eterna, del caos infinitamente pieno» (Schlegel).
Se l'ironia palesa una sorta di filosofico humor, scaturente dalla coscienza dei limiti del finito in quanto tale, il
titanismo esprime invece un atteggiamento di sfida e di ribellione, proprio di chi si propone di combattere, pur
sapendo che alla fine risulterà perdente e incapace di superare le barriere del finito. Tant'è vero che il titanismo,
talora, mette capo al suicidio, visto come atto di sfida estrema verso il destino.
Il titanismo è detto anche "prometeismo" perché i romantici lo personificano nel mitico titano greco che, avendo rotto
l'ordine fatale del mondo per donare agli uomini l'uso del fuoco, viene condannato da Zeus ad avere perennemente il
fegato divorato da un'aquila. Mettendo tra parentesi i possibili significati umaxiistico-illuministici del mito, i romantici
tendono a vedere in Prometeo il simbolo della ribellione in quanto tale (cfr. la lirica Prometheus di Goethe e il dramma
Prometheus unbound di Shelley).
L’"evasione" e la ricerca dell' "armonia perduta
L’anelito verso l'infinito, che è proprio dell'anima romantica, genera anche un altro atteggiamento tipico del
movimento: la tendenza all'evasione e l'amore per l'eccezionale. Infatti i romantici, mal sopportando il finito e
disprezzando tutto ciò che è abitudinario e mediocre, aspirano a evadere dal quotidiano e a vivere esperienze fuori
della norma, capaci di produrre emozioni intense e travolgenti. Da ciò la predilezione romantica per tutto ciò che è
meraviglioso, atipico, irregolare, lontano, misterioso, magico, fiabesco, primitivo, notturno, lugubre, spettrale ecc. ossia per tutto ciò che essendo al di là del comune può offrire sensazioni diverse e sconosciute.
Espressione di questo desiderio di fuga e di eccezionalità è l'evasione in mondi remoti nel tempo e nello spazio, che si
concretizza ad esempio nel culto dell'Ellade, nella riscoperta del Medioevo e nell'esotismo. Da Hòlderlin, che
dipinge «il paradiso sereno» della Grecia, a Novalis, che vagheggia il Medioevo cristiano e tedesco, da Chateaubriand,
che descrive le verdi foreste dell'America, a Byron, che canta l'azzurro del Mediterraneo, da Humboldt, che va alla
scoperta del misterioso popolo dei Baschi di Spagna, ai fratelli Schlegel, che studiano il sanscrito e attirano l'attenzione sulla cultura dell'India e dell'Oriente, i romantici sono andati costantemente alla ricerca di mondi "diversi",
capaci di eccitare la fantasia e di garantire una fuga dal presente e dall'abituale. Ma l'evasione più significativa i
romantici l'hanno compiuta nei mondi del sogno e dell'arte, ossia nello spazio senza limite dell'immaginazione
e della rèverie.
« Sicuri, come il fiore vive di luce, cosi vivono della bella immagine, paghi, sognando e felici, e di null'altro ricchi, i
poeti » (Hòlderlin).
E infatti molta parte dell'arte romantica si muove in un'atmosfera rarefatta e quasi trans-materiale, più simile al
sogno che alla veglia: «la realtà di Hòlderlin - scrive ad esempio L. Mittner - è tutta poetica perché tutta immersa in un
bagno di luce, tutta vivificata dall'etere, che rende translucide, nitide insieme ed immateriali, le cose concrete, creando
intorno ad esse un'atmosfera rarefatta che non sembra di questa terra perché tutta vibrante di luce...»1. Ovviamente,
la dimensione del sogno può anche assumere le tinte del macabro, come accade ad esempio nel cosiddetto
Romanticismo nero, che popola le sue fantasie di cadaveri, scheletri ecc.
Nell'ambito della letteratura inglese, una delle manifestazioni più emblematiche dell'evasione nello "strano" è Kubla
Khan di Coleridge (1798). In questo componimento, che sembra essere stato scritto o ideato sotto l'effetto dell'oppio,
il poeta, trasfigurando i dati del reale in una dimensione visionaria e allucinatoria, immagina un misterioso paese dove
uno sconosciuto personaggio fa edificare un fantastico palazzo (simbolo, forse, del mondo dell'arte) con giardini,
abissi, caverne di ghiaccio ecc. su cui risuona il canto inebriante di una vergine nera.
Collegata al motivo dell'evasione è anche la figura romantica del "viandante" (Wanderer), che in fondo è un'altra
manifestazione della Sehnsucht. Differenziandosi dal "viaggiare" cosmopolitico e pratico-interessato degli illuministi,
curiosi dei costumi stranieri e delle loro istituzioni politiche, l'"errare" romantico assume infatti la fisionomia di un
vagare inquieto e morboso verso un "non so che" di irraggiungibile e di inevitabilmente illusorio.
Un altro tema caratteristico del Romanticismo tedesco, che costituisce argomento di importanti rappresentazioni
artistiche (come lo Heinrich von Ofierdingen e i Discepoli di Sais di No-valis) è quello dell'immediatezza felice e
dell'armonia perduta, che scaturisce dal diffuso convincimento, di lontana ascendenza rousseauiana, secondo cui la
civiltà e l'intelletto avrebbero sradicato l'uomo da una situazione di primitiva spontaneità e simbiosi con la
natura - nella quale corpo e spirito non erano in lotta e la ragione non si opponeva all'istinto - rendendo l'individuo
schiavo della società e delle sue convenzioni alienanti.
«Il poeta 0 è natura o la cercherà» (Schiller, Poesia ingenua e poesia sentimentale, 1796).
Questa teoria implica dunque che la storia del mondo proceda da un'armonia perduta a un'armonia ritrovata, secondo
uno schema triadico comprendente:
1) un'armonia iniziale;
2) una scissione intermedia;
3) la ricostruzione di un'armonia futura basata sul recupero del passato.
Come si può notare, questa posizione, che anticipa in parte gli schemi della dialettica hegeliana (v. PS 7), comporta
una concezione della storia come regresso e come progresso al tempo stesso, anche se l'accento batte
piuttosto sulla dimensione del futuro che del passato. Ciò avviene esplicitamente in Schiller, il quale mostra di ritenere
che l'uomo, attraverso la cultura, che gli ha permesso di dispiegare le sue potenzialità, sia superiore rispetto allo stato
di partenza.
Nei romantici troviamo invece una decisa mitizzazione del "passato felice", che Hòlderlin, come si è visto, pone nella
Grecia, descritto come «terra visitata dagli dèi». Questo non esclude che lo sguardo romantico finisca anch'esso per
essere rivolto più verso ciò che sarà che verso ciò che è stato, come risulta evidente dalle suggestive metafore di
Hòlderlin sulla notte e sul mattino, nonché sul poeta come «messaggero degli dèi». La nostra epoca, che egli chiama
«durftige Zeit», ossia «tempo di povertà», corrisponde al momento culminante della scissione, poiché gli dei sono
scomparsi e il giorno è tramontato (allusione alla perdita, di un autentico rapporto con la natura, Dio, Tessere, il
principio ecc.). Ma il poeta, diversamente dagli altri uomini, ormai avvolti nell'oblio dell'autentico e dell'originario,
continua a vegliare, aspettando, «nella mezzanotte del mondo», le prime luci dell'alba, preludio di un nuovo
splendente meriggio, in cui si avrà il recupero dell'originario e il ritorno del divino.
Infinità e creatività dell'uomo
I tratti che abbiamo delineato nel paragrafo precedente sono tipici, anche se non esclusivi, del Romanticismo
letterario. Dalla filosofia, e precisamente dall'idealismo postkantiano, scaturisce invece la nozione dell'uomo come
"spirito".
Con il termine "spirito" gli idealisti intendono sostanzialmente l'uomo, inteso: 1) come attività infinita e
inesauribile, che si autocostituisce o autocrea liberamente, superando di continuo i propri ostacoli; 2), come
soggetto in funzione di cui esiste e trova un senso l'oggetto, e quindi la natura. Questa teoria dell'uomo come attività
incessante e ragion d'essere di ogni cosa, che mette capo all'equazione Io = Dio, si trova per la prima volta nella
Dottrina della scienza (1794) di Fichte, che scopre il concetto romantico dell'infinito e dello spirito. Tant'è vero
che Schlegel lo proclama esplicitamente l'iniziatore del Romanticismo tedesco. Tuttavia, l'infinito fichtiano è ancora
un'attività che presuppone un limite e che si esercita soltanto attraverso un infinito superamento del finito (v. cap. 2).
Infatti l'io di Fichte è fondamentalmente compito morale, e la moralità (secondo il concetto kantiano) implica uno
sforzo e perciò la presenza del limite.
Invece la scuola romantica (Schlegel, Novalis, Tieck ecc.), trasferendo il principio dell'attività infinita dal piano etico a
quello estetico, fa sparire il limite, poiché inteso come principio della creazione estetica l'infinito non esige, anzi
esclude e rende impossibile ogni limite o resistenza alle manifestazioni della sua attività. Per cui, mentre lo spirito
infinito, in Fichte, è costretto a obbedire a un'intrinseca necessità razionale, che prevede l'ostacolo, lo spirito infinito,
nei poeti, appare libero dalle sue determinazioni limitateci, e viene posto non più nella forma della ragione, ma in
quella del sentimento.
In altre parole, se Fichte esalta la potenza infinita dell'azione, che tuttavia implica strutturalmente il limite e l'ostacolo,
gli artisti esaltano la potenza assoluta del sentimento e del sogno. L'affermazione di Novalis, secondo cui
«Tutto è fiaba» esprime in modo emblematico il passaggio dall'idealismo etico di Fichte a quell'idealismo "magico" fondato sulla sovranità dell'io sul mondo - di cui è teorico Novalis.
L’amore come anelito di fusione totale e cifra dell'infinito
L'amore costituisce un altro dei temi prediletti del Romanticismo tedesco, su cui si sono soffermati poeti e filosofi: da
F. Schlegel a Fichte, da Hòlderlin a Schleiermacher, da Novalis a Hegel ecc. L'esaltazione romantica dell'amore
discende soprattutto dal privilegiamento del sentimento e dalla ricerca di un'evasione dal grigiore del quotidiano.
Infatti l'amore appare ai romantici come il sentimento più forte e come l'estasi suprema, ovvero come la vita della vita
stessa.
«Vita e amore significano la stessa cosa [...] C'è tutto nell'amore: amicizia, cordialità, sensualità e anche passione
[..,] e l'un elemento lenisce e rinforza, anima ed accresce l'altro, viviamo ed amiamo fiino all'annientamento. Soltanto
l'amore ci rende uomini veri e perfetti, esso solo è la vita della vita» (Schlegel).
«La vera vita è amore: come amore ha e possiede la cosa che ama, l'abbraccia, la penetra, è unità e fusa in essa»
(Fichte).
«Per noi, o Amore, tu sei l'alfa e l'omega» (Schleiermacher).
«Dobbiamo immaginarci l'età dell'oro come quella in cui amore e genio erano universalmente diffusi» (Schlegel).
«l'amore è lo scopo finale della storia del mondo, l'amen dell'universo» (Novalis).
La prima, caratteristica dell'amore romanticamente inteso è la globalità, ovvero la ricerca di una sintesi fra anima
e corpo, spirito e istinto, sentimento e sensualità: «Tutto è anima nell'amore, quando l'amore è tale che anima e
corpo vi hanno eguale e reciproca partecipazione. Il desiderio verso l'unità è appagato: Tatto d'amore, pur rimanendo
integro, pur non arrestandosi di fronte a nessuna audacia del godimento, non turba, le pure regioni dello spirito, ma
sale ad esse e non è dallo spirito disgiunto. Non sta a sé, ma è un simbolo di quanto avviene nell'interiore degli individui; l'amplesso dei corpi esprime quello delle anime»'. Intatti nella Lucinde, in cui l'amore romantico trova una
delle manifestazioni più radicali, ma più espressive, F. Schlegel afferma l’unità inscindibile dei due elementi dell'amore
uomo-donna, contrapponendo all'idea neoplatonico-cristiana della sessualità come "vergogna" l'idea greca della
sessualità come innocenza e gioco naturale.
Nello stesso tempo Schlegel vagheggia l'idea di vana donna che, abbandonati falsi pudori ed emancipata dal
paradigma matrimoniale tradizionale (che il poeta J. J. W. Heinse sosteneva dover essere lasciato solo a un'umanità
inferiore), sappia personificare, come la greca Diotima, esaltata, nel Convito platonico, il modello di una donna nuova e
superiore, capace di amare con la pienezza del proprio essere, senza altri freni alla passione all'infuori della sua
«fedeltà interiore». Tant'è che Giulio, rivolgendosi a Lucinde, le dice:
«Attraverso tutti gli scalini dell'umanità tu vai con me dalla sensualità più sfrenata alla più spirituale spiritualità, e solo
in te io vidi vera superbia e vera femminile umiltà».
Ovviamente a questo tipo di donna viene riconosciuta parità di diritti con l'uomo, nella vita come nella cultura. E
in questo senso, il Romanticismo - che fu rappresentato anche da donne come Carolina Schlegel, Bettina Brentano,
Dorotea Veit, Carolina di Gunderode ecc. e, a livello europeo, da Madame de Stael - si configura come una tappa
ulteriore della rivendicazione moderna della dignità femminile.
Tuttavia, come nel campo politico si assiste, nel Romanticismo tedesco, al passaggio da una fase individualisticoliberaleggiante a una statalistico-conservatrice, così, per ciò che riguarda l'amore e la donna, si assiste al passaggio da
una fase estetizzante a una moraleggiante. Infatti, mentre nella Lucinde e negli altri scritti romantici, l'amore, non
senza un evidente influsso di Rousseau, viene esaltato come strumento di emancipazione femminile e libera scelta, al
di sopra e al di là di tutte le convenzioni sociali, in un secondo tempo viene ricondotto a elemento di conservazione
delle strutture della tradizione. Ad esempio Hegel, rispecchiando posizioni che si trovano anche nell'ultimo Schlegel,
afferma, nei Lineamenti di filosofia del diritto del 1821, che «il destino della fanciulla sta, essenzialmente, soltanto nel
matrimonio», e che l'amore è un momento «soggettivo», che esige di essere inquadrato e disciplinato nelle istituzioni
giuridiche e «oggettive» della società.
La seconda caratteristica dell'amore romantico risiede nella ricerca dell'unità assoluta degli amanti, ossia della
completa fusione delle anime e dei corpi, in modo tale che «ciò che è due possa diventare uno». Presente nei
poeti e negli artisti in generale, quest'aspetto dell'idealizzazione romantica dell'amore è stato espresso da Hegel con le
formule più rigorose e significative. Negli scritti giovanili, ad esempio, il «vero» amore viene identificato con la «vera
unificazione», che supera ogni molteplicità e antitesi, armonizzando il diverso e l'opposto. E nelle opere della maturità,
ad esempio nelle Lezioni di estetica, Hegel scrive:
«L'amore è identificazione del soggetto con un'altra persona [...] il sentimento per cui due esseri non esistono che in
un'unità perfetta e pongono in questa identità tutta la loro anima e il mondo intero. [...] Questa rinuncia a se stesso
per identificarsi con un altro, quest'abbandono nel quale il soggetto ritrova tuttavia la pienezza del suo essere,
costituisce il carattere infinito dell'amore».
La terza caratteristica dell'amore romantico è la sua tendenza a caricarsi di significati simbolici e metafisici. Infatti i
romantici pensano che l'amore, pur rivolgendosi a cose e creature finite, scorga in esse manifestazioni o cifre
dell'assoluto, sia inteso panteisticamente nella forma dell'Uno-Tutto, sia interpretato trascendentisticamente nella
forma di un Dio creatore. Infatti nell'amplesso degli innamorati, espressione del misterioso fondersi di due creature
diverse, essi vedono il mistero stesso della vita e il simbolo dell'universale armonia, ovvero della congiunzione uomonatura, finito-infinito ecc. Il maggior teorico di questa concezione è Schleiermacher, che difendendo l'amico F. Schlegel
dai fulmini del clero protestante, a motivo delle tesi "audaci" sostenute nella Lucinde, così scrive:
«Nell'anima degli amanti dev'esservi la divinità, che essi nel loro amplesso realmente sentono di stringere tra le loro
braccia e che poi sempre invocano. Nell'amore non ammetto nessuna voluttà senza questo entusiasmo e senza
l'elemento mistico (dasMystische) che ne deriva».
Tutto ciò significa che nell'amore, l'assoluto, più che cercato, è almeno in parte già trovato e posseduto.
Tant'è che Giacinto, il protagonista dei Discepoli di Sais, partito alla ricerca della misteriosa divinità Isis, finisce per
trovare, sotto il velo della dea, Fiorellin di rosa, cioè la fanciulla amata, che egli aveva lasciato per muovere alla ricerca
della dea sconosciuta. E Fichte, nella Introduzione alla vita beata, rifacendosi al cristianesimo afferma:
«Non è un'audace metafora, ma la pura verità quel che dice lo stesso Giovanni: "Chi rimane nell'amore, rimane in Dio,
e Dio in lui"».
La nuova concezione della storia
Un altro degli aspetti caratterizzanti del Romanticismo tedesco è l'interesse e il culto per la storia, che fin dall'inizio
tende a prendere le forme di uno storicismo antitetico all'"antistoricismo" illuministico. In realtà, anche l'Illuminismo si
era esplicitamente occupato del mondo storico e aveva elaborato una specifica concezione di esso.
Tuttavia, fin dal suo nascere, la cultura romantica procede alla teorizzazione di una nuova filosofia generale della
storia, che, pur affondando le sue radici nel tardo Illuminismo tedesco, finisce per presentare dei caratteri
oggettivamente antitetici a quella professata nell'età dei lumi. Infatti, mentre per l’illuminismo il soggetto della
storia è l'uomo, per il Romanticismo risulta essere la provvidenza.
L’esito fallimentare della Rivoluzione francese e dell'impresa napoleonica aveva contribuito a generare l'idea che a
"tirare le fila" della storia non fosse l'uomo, ovvero l'insieme degli individui sociali, bensì una potenza extra-umana e
sovra-individuale, concepita (v. il tema dell'infinito) come forza immanente o trascendente.
Per cui, sia che venisse riportata all'idea dell'Umanità di Herder, all'Io trascendentale di Fichte, al Dio cattolicamente
inteso del secondo Schlegel o all'hegeliano Spirito del mondo o ad altro ancora, la storia appariva, in ogni caso, come il
prodotto di un soggetto provvidenziale assoluto, che si viene progressivamente rivelando o realizzando nella
molteplicità degli avvenimenti, dei quali costituisce il momento unificatore e totalizzante. Guardata da questo punto di
vista, la storia prende le sembianze di un processo globalmente positivo, in cui non vi è nulla di irrazionale o di
inutile e nel quale ogni regresso è soltanto apparente. Infatti la storia o è un progresso necessario e incessante, nel
quale il momento successivo supera il precedente in perfezione e razionalità, o è una totalità perfetta, in cui tutti i
momenti sono egualmente razionali e perfetti (Hegel).
Ovviamente, sulla base di questa serie di postulati "storicistici", o meglio, di questa specifica interpretazione della
storicità umana in termini provvidenzialistici, l'Illuminismo, agli occhi dei romantici, appare decisamente anti-storicista.
Infatti la pretesa dei philosophes di "giudicare" la storia, rifiutandone alcuni momenti, è romanticamente insostenibile.
In primo luogo, perché voler giudicare la storia equivale a intentare un "processo a Dio", che nella storia si manifesta o
si realizza. In secondo luogo, perché ogni momento della storia costituisce l'anello necessario di una catena
processuale complessivamente positiva. In terzo luogo, perché giudicare il passato alla luce dei valori del presente
(che per gli illuministi erano i valori stessi dell'uomo: pace, benessere, pubblica felicità, libertà ecc.) significa
misconoscere l'individualità e l'autonomia delle singole epoche, che hanno ognuna una specifica ragion d'essere in
relazione alla totalità della storia, e che perciò si sottraggono a ogni giudizio critico e comparativo nei loro confronti.
Tutto ciò spiega perché lo storicismo romantico si accompagni, per lo più, a una forma di tradizionalismo, che non solo
giustifica, ma in qualche modo "santifica" il passato, ritenendolo espressione del corso di Dio nella storia e linfa vitale
del presente e del futuro. Anche su questo punto, la spaccatura fra Illuminismo francese e Romanticismo tedesco è
netta e radicale. L'Illuminismo, che guardava al mondo storico in maniera umanistica e problematicistica, era stato una
filosofia critica e riformatrice, che voleva liberarsi del passato poiché in esso scorgeva quasi esclusivamente errori,
pregiudizi, violenze ecc. Il Romanticismo, che guarda alla storia secondo schemi provvidenzialistici e necessitaristici,
si configura invece come una filosofia giustificazionistica e tradizionalistica, che carica di un valore assoluto le
istituzioni basilari del passato: la famiglia, i ceti sociali, la monarchia, lo Stato, la Chiesa ecc. Inoltre esso
trasforma il Medioevo - che per gli illuministi era l'età della fame, dell'ignoranza, dei soprusi, della superstizione
popolare - in un'epoca di fede, di unità spirituale, di fantasia e di imprese cavalleresche, in cui si forgiano le energie
che daranno origine alle nazionalità moderne.
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