doc - Liceo Scientifico "LB Alberti"

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APPUNTI SUGLI ARGOMENTI DI TEORIA
IL SISTEMA MUSCOLARE
(Le basi tecnico-scientifiche dell’E.F.: pp 180-185; PraticaMente Sport pp 69-72)
I muscoli striati, o scheletrici, sono detti volontari, in quanto la loro azione è determinata da
specifici stimoli provenienti dal sistema nervoso.
Ogni singola fibra muscolare è avvolta dalla membrana cellulare (sarcolemma) a sua volta rivestita
da una membrana di tessuto connettivo (endomisio) per collegare saldamente le fibre tra loro e ai
tendini. Il sarcolemma racchiude un liquido viscoso (sarcoplasma) nel quale sono immerse particolari
strutture dette miofibrille.
Il liquido presente in questi sottili e lunghi contenitori è ricco di piccolissimi corpi (mitocondri),
minuscoli laboratori che trasformano l’energia chimica degli alimenti in energia meccanica, e di un
pigmento rosso chiamato mioglobina, che ha la particolarità di catturare l’ossigeno presente nel
sangue e di cederlo per le necessità energetiche della fibra muscolare.
Viste al microscopio elettronico le miofibrille si presentano formate a loro volta da tanti sottilissimi
filamenti proteici disposti con perfetta regolarità. Questi filamenti sono costituiti da due sostanze
proteiche, l’actina e la miosina: la prima ha filamenti più sottili e numerosi, la seconda ha filamenti
meno numerosi ma molto più voluminosi.
I filamenti di miosina sono collegati a quelli di actina da ponti mobili che formano una specie di
dentellatura, di fondamentale importanza per il movimento. Infatti, quando il muscolo deve compiere
un lavoro, i ponti che legano le due sostanze proteiche si staccano e vanno ad attaccarsi velocemente
in posizioni più avanzate. Questi ponti funzionano come denti di un ingranaggio e permettono ai
filamenti di incastrarsi più profondamente nel senso della lunghezza.
Uno stimolo nervoso di adeguata intensità innesca questo particolare processo, chiamato contrazione
muscolare, determinando un accorciamento e un ispessimento del tessuto muscolare.
Le fibre muscolari si differenziano in:
 fibre rosse (ST = Slow Twich) definite anche toniche o a contrazione lenta o di tipo I: hanno
un metabolismo prevalentemente aerobico, si contraggono più lentamente ma sono resistenti
alla fatica;
 fibre bianche (FT = Fast Twich), definite anche fasiche o a contrazione rapida o di tipo II: si
contraggono più rapidamente ma si esauriscono più in fretta rispetto alle fibre rosse e
privilegiano processi energetici di tipo anaerobico. Queste fibre sono ulteriormente suddivise in
fibre di tipo IIa e di tipo IIb, in quanto alcune fibre bianche (tipo IIa) comprendono
caratteristiche comuni aerobiche e anaerobiche, quindi di resistenza e velocità.
Le fibre risultano caratterizzate da alcune proprietà: eccitabilità, contrattilità, elasticità e tonicità.
Eccitabilità: è data dalla capacità di reagire a uno stimolo che arriva sotto forma di impulso
nervoso ed è in grado di attivare la contrazione muscolare. La stimolazione risulta efficace per ciascun
muscolo in relazione a precise caratteristiche di velocità, intensità e ripetitività. La differenza fa sì che
la stimolazione nervosa possa generare una risposta in alcuni muscoli e non in altri.
Contrattilità: è il tipo di risposta allo stimolo nervoso che avviene sotto forma di
accorciamento delle fibre per lo scorrimento di actina e miosina.
Elasticità: un corpo è definito elastico se al termine di una sollecitazione che lo deforma
ritorna subito allo stato iniziale. Dall’elasticità dipende anche il fatto che il muscolo, se viene
allungato nella fase che precede la contrazione, riesce a sviluppare più forza.
Tonicità: il tono muscolare è quel lieve stato di tensione che i muscoli presentano anche in
condizioni di riposo. La tonicità del muscolo non rientra, normalmente, sotto il controllo della
volontà. Il tono antigravitario consente il mantenimento posturale e la sua funzionalità dipende dai
propriocettori (per le informazioni che giungono da articolazioni, tendini, muscoli) e dalle
informazioni che giungono dal sistema vestibolare.
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L’insieme formato dalle fibre muscolari e dal motoneurone che le innerva prende il nome di unità
motoria (UM) e rappresenta l’unità neuromuscolare della contrazione muscolare.
L’unità motoria è formata da una fibra nervosa (motoneurone) che trasmette gli impulsi e dalle fibre
muscolari collegate, che rispondono allo stimolo nervoso con la loro contrazione.
Il punto di contatto del prolungamento nervoso con la fibra muscolare viene chiamato placca
motrice.
La quantità di fibre innervate da un motoneurone può variare da poche decine a centinaia.
Il numero di fibre che compongono l’unità motoria dipende dalla funzione a cui il muscolo è preposto.
Perciò avremo: poche fibre = grande precisione; molte fibre = maggiore forza.
MOTONEURONE:
è la cellula nervosa che costituisce i nervi motori, i nervi, cioè, che hanno il compito di
trasportare l’impulso nervoso ai muscoli scheletrici permettendo loro di contrarsi.
La risposta dell’unità motoria (UM) a un’eccitazione nervosa è regolata dal principio del tutto o
nulla; ciò significa che se lo stimolo raggiunge una certa intensità, indicata come soglia di stimolo,
l’UM risponde con una contrazione massimale delle sue fibre muscolari.
La variabilità del valore di soglia fa sì che, in seguito a una stimolazione nervosa, la forza della
contrazione muscolare risulti graduata dal numero di UM reclutate. Quando lo stimolo è di bassa
intensità rispondono le UM di piccole dimensioni; al crescere dell’intensità si aggiunge la contrazione
di altre UM di dimensioni sempre maggiori aumentando di conseguenza la forza espressa dai muscoli
coinvolti nel movimento. Le UM reclutate per prime sono le fibre lente di tipo I, quando è necessario
un più elevato livello di forza vengono reclutate anche le fibre bianche di tipo IIa e poi quelle di tipo
IIb capaci di sviluppare tensioni maggiori e in tempi più rapidi. Quando è richiesta una forza elevata
di tipo esplosivo vengono reclutate direttamente le fibre veloci.
Il numero di unità motorie attivate in un’esercitazione di forza può variare a seconda che si riferisca a
persone sedentarie o molto allenate; quindi la forza aumenta nelle persone allenate anche perché
aumenta la capacità di reclutare contemporaneamente un più elevato numero di unità motorie per
l’esecuzione di un movimento.
La contrazione muscolare e la forza
I muscoli esprimono forza grazie alla loro capacità contrazione consentendo così il movimento. La
contrazione può avvenire in condizioni diverse: o variando la lunghezza in relazione allo stimolo
(contrazione isotonica) o mantenendo costante la sua lunghezza (contrazione isometrica) o con una
rapida inversione del movimento che determina un passaggio da una condizioni di allungamento ad
una di accorciamento (contrazione pliometrica).
Contrazione
Definizione del tipo di contrazione
Caratteristiche
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concentrica o positiva o superante
o in accorciamento
CONCENTRICA
muscolo in condizione di
accorciamento
eccentrica o negativa o cedente
o in allungamento
ECCENTRICA
muscolo in condizione di
allungamento
ISOMETRICA
muscolo in condizione statica
Isometrica o statica
PLIOMETRICA
muscolo in condizione di
accorciamento preceduto da un rapido
allungamento
Pliometrica
Grazie alla contrazione le estremità del muscolo
si avvicinano; in genere il muscolo si può
accorciare di circa il 30% rispetto alla
situazione di riposo.
Durante la contrazione le estremità del muscolo
si allontanano per effetto del carico esterno; il
muscolo cede a velocità che può dipendere dal
carico stesso.
La distanza delle estremità del muscolo non
varia, il carico non viene vinto ma non si hanno
neanche dei cedimenti rispetto ad esso; la
tensione
muscolare
è
evidenziata
dall’indurimento del ventre muscolare.
Contrazione concentrica preceduta da un rapido,
intenso allungamento dei muscoli interessati;
sfrutta il riflesso miotatico e le capacità elastiche
dei muscoli consentendo di esprimere elevati
livelli di forza veloce; è tipica dei salti e della
corsa veloce.
IL CONSUMO ENERGETICO
I movimenti sono resi possibili, dal punto di vista energetico, grazie alla trasformazione, da parte dei
muscoli, dell’energia chimica in essi contenuta (derivante dai processi di trasformazione degli
alimenti) in energia meccanica, cioè in movimento.
L’energia necessaria perché possano compiersi e protrarsi nel tempo le contrazioni muscolari è ceduta
da una sostanza particolare chiamata ATP (AdenosinTriFosfato). L’ATP è presente in piccole
quantità nei muscoli - appena sufficienti per compiere poche contrazioni - ma può cedere
costantemente energia grazie al suo continuo riformarsi. L'ATP è formato da una molecola di
adenosina e da tre molecole di fosfato inorganico unite da legami altamente energetici; la scissione
di questi legami libera l'energia necessaria per la contrazione formando ADP (AdenosinDiFosfato) e
fosfato inorganico (Pi). Questa processo è reversibile: fornendo energia l'ADP si lega nuovamente al
fosfato perso per ridiventare ATP.
La trasformazione di ADP in ATP viene chiamata.
ATP < = > ADP + Pi + ENERGIA
Ma qual è la fonte di energia che consente di rigenerare l'ATP?
Esistono tre meccanismi fondamentali:
1. meccanismo anaerobico alattacido;
2. meccanismo anaerobico lattacido;
3. meccanismo aerobico.
Un elemento importante che caratterizza i tre sistemi è rappresentato dai diversi tempi di intervento:
sforzi intensi ma brevi sono a carico del sistema anaerobico alattacido, che viene progressivamente
integrato e poi sostituito dal sistema lattacido se lo sforzo viene prolungato . Il sistema aerobico è
quello che, utilizzando ossigeno per i processi di combustione, garantisce la continuità del lavoro
organico.
Ognuno di questi meccanismi è caratterizzato da una sua capacità e da una sua potenza.
 Capacità: quantità totale di energia disponibile;
 Potenza: quantità di energia erogata nell’unità di tempo.
Questi due elementi sono importanti per comprendere il funzionamento dei diversi meccanismi;
alcuni sono caratterizzati da grande capacità (quindi molta energia disponibile) ma poca potenza (cioè
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ne viene erogata una quantità limitata nell’unità di tempo), altri hanno una capacità ridotta, ma sono
molto potenti nella liberazione di energia consentendo di sostenere sforzi muscolari brevi ma intensi.
1. MECCANISMO ANAEROBICO ALATTACIDO
 è un sistema che non utilizza ossigeno;
 non dà produzione di acido lattico;
 è il più rapido a intervenire, utilizza “accumulatori di energia”;
 dipende principalmente dalla presenza, nelle cellule, di fosfocreatina (CP), che cede il suo
fosfato disponibile per la ricarica; perciò avviene questa reazione:
CP + ADP = C + ATP;
 è un sistema limitato dalla scarsa quantità di CP e permette di sostenere sforzi di circa 6/8”
alla massima intensità (l’autonomia è inversamente proporzionale all’intensità dello sforzo);
 POTENZA: è il sistema più potente;
 CAPACITA’: è il sistema meno capace (sia per la limitata disponibilità dei substrati, sia perché
da una molecola di CP si genera una sola molecola di ATP).
2. MECCANISMO ANAEROBICO LATTACIDO
 è un sistema che utilizza l’energia liberata dalla demolizione di molecole di glucosio attraverso
la glicolisi (il glucosio si trova nel sangue e, soprattutto, sotto forma di glicogeno nelle fibre
muscolari e nel fegato);
 il prodotto terminale della glicolisi è l'acido lattico;
 il fattore limitante è l'accumulo di acido lattico nei muscoli che causa fatica e rende difficoltosa
la contrazione;
 POTENZA: è uguale al 45% del meccanismo alattacido;
GLICOGENO:
 CAPACITA’: circa 40" se utilizzato alla massima potenza (da 1 molecola composto organico
che si trova nel
di glucosio si ottengono 2 molecole di ATP).
fegato e nelle fibre
muscolari come
materiale
energetico di
riserva
3. MECCANISMO AEROBICO
 utilizza lipidi (acidi grassi) e glicidi (glucosio e glicogeno) in proporzioni variabili a seconda
dell’intensità dell’esercizio svolto;
 è il sistema più importante per sforzi di media o bassa intensità, di media e lunga durata;
 utilizza l’ossigeno come comburente; ha bisogno di maggiore tempo di attivazione rispetto agli
altri sistemi;
 POTENZA: ha la minore capacità di erogazione nell'unità di tempo (circa il 50% del
meccanismo lattacido); dipende dal cosiddetto VO2max (Massimo consumo di ossigeno);
 CAPACITA’: è il meccanismo che ha la più elevata capacità, minore con l'ossidazione dei
glicidi, maggiore con l'ossidazione dei lipidi.
 Fattori limitanti la capacità: disponibilità dei substrati (soprattutto dei carboidrati per intensità
di lavoro più elevate)
 Fattori limitanti la potenza: il tipo di fibra muscolare, il trasporto dell'ossigeno, l'attività degli
enzimi ossidativi.
L’ACIDO LATTICO E L’AFFATICAMENTO
Durante l’attività fisica la ventilazione polmonare ed il consumo di ossigeno aumentano proporzionalmente con
l’aumento del carico di lavoro. Se l’esercizio prosegue con un’intensità tale da coinvolgere il metabolismo
anaerobico, si determina un conseguente incremento della concentrazione di acido lattico nel sangue.
La conseguenza di tale incremento determina un livello di affaticamento che costringe ad una diminuzione
dell’intensità dello sforzo o, addirittura, a interromperlo perché, oltre ai disagi generali che esso può
provocare,influisce anche sulla capacità di contrazione e rilassamento di muscoli.
In fase di recupero l’acido lattico può essere riconvertito in acido piruvico ed essere così riutilizzato come
fonte energetica (ad esempio nel fegato viene trasformato in glicogeno).
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Le capacità condizionali
Sono le capacità che esprimono lo stato di condizione fisica di un individuo. Dipendono
dall’efficienza e dalla funzionalità di tutti gli apparati e sistemi del nostro organismo, in particolar
modo dalle potenzialità biochimiche, metaboliche ed energetiche.
Le capacità condizionali sono:
 la forza (è la capacità di un individuo di superare una resistenza o di opporsi ad essa)
 la velocità (è la capacità di compiere dei movimenti nel minor tempo possibile)
 la resistenza (è la capacità di svolgere un lavoro di lunga durata con un’ intensità
relativamente elevata e di opporsi alla fatica)
 la flessibilità e la mobilità articolare (La flessibilità è la capacità del muscolo di
allungarsi sensibilmente opponendo la minima resistenza. La mobilità articolare è la
capacità di eseguire dei movimenti con la massima ampiezza)
LA FORZA
La forza è la capacità dell’apparato neuro-muscolare di superare una resistenza o di opporsi ad essa.
(vedi il capitolo sull’allenamento della forza)
LA VELOCITA’
La velocità è la capacità di compiere dei movimenti nel minor tempo possibile.
La velocità può essere distinta in:
 velocità di reazione;
 velocità di accelerazione o di esecuzione;
 velocità di frequenza o di traslocazione.
Velocità di reazione
La velocità di reazione consente di dare l’avvio al movimento nel modo più rapido possibile, in
seguito a stimoli e segnali esterni.
A seconda del tipo di segnale possiamo distinguere in:
 reazione semplice: si verifica nelle situazioni in cui è già noto il tipo di segnale e anche il tipo
di risposta motoria da realizzare (è il caso, ad esempio, delle partenze nelle gare di velocità o di
nuoto).
 reazione complessa (o di scelta): si verifica quando il movimento da realizzare dipende dal
tipo di stimolo (ad esempio dalla traiettoria della palla o dalla posizione o spostamento di un
giocatore) e implica la scelta rapida della risposta, tra le tante possibili, più adeguata e più
efficace. È il tipo di reazione proprio degli sport di situazione come i giochi di squadra, gli
sport di combattimento, ecc.
Velocità di accelerazione o di esecuzione
Si evidenzia nell’esecuzione di un gesto o di un singolo movimento alla massima velocità, come
ad esempio l’esecuzione di una schiacciata, di un tiro in porta nella pallamano, nella pallanuoto o
nel calcio, o di un gesto come un getto del peso o un lancio del disco, ma anche nel singolo passo
in una corsa veloce.
Nella velocità di accelerazione o di esecuzione risulta determinante la velocità di contrazione dei
muscoli che dipende dalla quantità di fibre bianche che li compongono.
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Velocità di frequenza o di traslocazione
È rappresentata da tutte le forme di movimento in cui il gesto si ripete nel tempo in modo ciclico
successivamente alla fase di reazione e di accelerazione.
È il tipo di velocità che consente di percorrere una distanza nel minor tempo possibile (velocità =
spazio/tempo) ed è l’espressione che comprende le varie forme di attività, quali le gare di atletica
di 60 o 100 m o di nuoto nelle distanze brevi, che sono caratterizzate dalla reazione iniziale,
dall’accelerazione e dalla necessità di continuare a esprimere la massima rapidità di esecuzione
fino al loro termine.
OSSERVAZIONI SUI FATTORI CHE INFLUENZANO LA VELOCITA’
Analizzando quanto finora detto sulla velocità è possibile rendersi conto della complessa e stretta
interdipendenza delle diverse capacità condizionali e dell’importanza della coordinazione.
Nel percorrere distanze come 100, 200 o 400 metri in situazione di gara possiamo osservare diversi fattori che
concorrono alla sua migliore realizzazione: espressione di forza di tipo esplosivo al momento della partenza per
mettere rapidamente in movimento il corpo dell’atleta che sta fermo sui blocchi; espressione di forza veloce per
raggiungere la velocità massimale; espressione di coordinazione che consente una elevata frequenza dei
movimenti, una ottimale esecuzione tecnica dei singoli movimenti, una loro efficace e fluida successione e una
corretta alternanza delle fasi di contrazione e decontrazione muscolare; espressione di flessibilità e mobilità
articolare per consentire di ridurre le resistenze dei muscoli antagonisti e una maggiore ampiezza delle falcate;
espressione di resistenza alla velocità (vedi resistenza) necessaria al mantenimento di velocità elevate fino al
termine della gara e la cui importanza è direttamente proporzionale alla distanza da percorrere; in altri termini,
LA RESISTENZA
maggiore
è la distanza da percorrere, maggiore sarà, progressivamente, l’intervento della capacità di resistenza
alla velocità.
La resistenza è la capacità di svolgere un lavoro di lunga durata con un’ intensità relativamente
elevata e di opporsi alla fatica.
Si sviluppa con l’allenamento specifico che induce nell’organismo adattamenti che riguardano fattori
energetici e che mirano ad evitare la diminuzione del rendimento dovuto alla fatica muscolare e
psichica.
È possibile classificare la resistenza in generale e specifica.
 Resistenza generale (in inglese viene indicata con il termine endurance): indica prestazioni
mirate al miglioramento della funzionalità dell’apparato cardio-circolatorio e del metabolismo
relativo alla capacità aerobica.
 Resistenza specifica: è mirata al miglioramento delle prestazioni in specifiche attività sportive.
Sono evidenti le diverse caratteristiche della resistenza in attività quali il calcio o la
pallacanestro da altre, quali la maratona o le gare di mezzofondo.
 Resistenza alla forza: vedi il capitolo sull’allenamento.
 Resistenza alla velocità: vedi il capitolo sull’allenamento.
LA FLESSIBILITA’ E LA MOBILITA’ ARTICOLARE
La flessibilità è la capacità del muscolo di allungarsi sensibilmente opponendo la minima resistenza.
La mobilità articolare è la capacità di eseguire dei movimenti con la massima ampiezza.
Queste due capacità sono sotto un’unica voce perché fortemente interdipendenti, tali da rendere
puramente teorica la distinzione: non è pensabile, infatti, poter eseguire un movimento ampio se
questo viene contrastato da una muscolatura che oppone forti resistenze.
Con riguardo a quest’ultimo punto, notiamo subito che le articolazioni dei bambini sono molto più
flessibili rispetto a quelle degli adulti, sia per la elevata elasticità muscolare sia per la relativa lassità
dei legamenti.
La possibilità di un mantenimento, se non di un miglioramento, negli anni di questa capacità è data
da una costante e appropriata attività fisica.
Le capacità coordinative
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Le capacità coordinative possono essere definite come capacità di organizzare e regolare il
movimento.
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ALLENAMENTO
Concetto e definizione di allenamento (da pag 28 di E.F.)
Il prof. Carlo Vittori definisce così l’allenamento sportivo:
L’allenamento sportivo risulta dall’organizzazione dell’esercizio fisico ripetuto in quantità e
intensità tali da produrre sforzi progressivamente crescenti che stimolino i processi fisiologici di
adattamento dell’organismo e favoriscano l’aumento delle capacità fisiche, psichiche e tecniche
dell’atleta, al fine di consolidarne ed esaltarne il rendimento in gara.
La spiegazione fondamentale degli effetti dell’allenamento (quali ad esempio l’aumento delle capacità
di forza o di resistenza) sta nella capacità di adattamento dell’organismo umano alle sollecitazioni
rappresentate dagli stimoli e dai carichi di allenamento che tendono a modificare il suo equilibrio
interno.
Nel processo di allenamento, gli stimoli portano a una modificazione dell’equilibrio funzionale con
l’obiettivo di innalzarne sempre più i limiti (pur sempre nei limiti di tipo biologico).
Ma come e in base a quali processi fisiologici avvengono i fenomeni di adattamento e quindi di
incremento delle capacità di prestazione? Uno dei fenomeni che stanno alla base di questi processi è
quello cosiddetto della supercompensazione (vedi paragrafo successivo).
Concetto di adattamento e di supercompensazione (da pag 28 di E.F.)
Il nostro organismo è caratterizzato dalla capacità di adattarsi a stimoli esterni o interni che alterino le
sue condizioni di equilibrio.
In questo caso l’organismo reagisce attivando meccanismi di regolazione che consentono di arrivare a
un nuovo stato di equilibrio che, ovviamente, potrà essere diverso dal precedente.
L’adattamento avviene in relazione al tipo di stimolo o di stress che ha provocato l’alterazione
dell’omeostasi e si riferisce alla funzionalità dell’organismo nella sua interezza.
OMEOSTASI:
situazione di equilibrio di
Possiamo cioè parlare di specificità degli adattamenti, per cui in relazione al
i processi che
tipo di stimolo, e quindi ai differenti processi attivati, potremo avere adattamenti tutti
regolano la funzionalità
dell’organismo
di natura biochimica, muscolare, ma che interessano anche l’area psicologica.
La possibilità di uno stimolo a indurre l’organismo a reagire innescando un processo di adattamento, è
data dal livello di intensità dello stimolo: stimoli troppo deboli sono inefficaci e non provocano
reazioni adattive, mentre stimoli troppo intensi possono al contrario essere deleteri per l’organismo.
Gli stimoli allenanti risultano caratterizzati dagli elementi del carico: quantità, intensità, densità.
Un’adeguata miscela di questi elementi consente di modulare il carico allenante per stimolare in modo
mirato i diversi apparati, le relative funzioni e le specifiche capacità
.
CARICO
È il complesso degli esercizi e delle attività fisiche che vengono svolte in una seduta di allenamento o in una lezione di educazione fisica.
Ad esempio, per quel che riguarda le capacità condizionali:
 stimoli molto intensi e di breve durata (velocità) comportano l’adattamento delle capacità
metaboliche anaerobiche alattacide;
 stimoli intensi e prolungati (resistenza alla velocità) comportano l’adattamento delle capacità
metaboliche anaerobiche lattacide;
 stimoli intensi e di lunga durata (resistenza-endurance) comportano l’adattamento delle
riserve intra-muscolari di glicogeno e acidi grassi e del loro metabolismo.
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Secondo il principio della supercompensazione l’organismo, dopo aver effettuato degli sforzi, non
solo provvede a reintegrare la quantità di energia utilizzata (e quindi tornare alla capacità iniziale di
prestazione), ma, durante la fase di recupero, reagisce con una produzione maggiore di quanto è stato
effettivamente speso. E’ come se l’organismo si premunisse organizzandosi con adeguate difese nei
confronti di un eventuale ulteriore “attacco” al proprio equilibrio.
Questo rende successivamente possibile un aumento delle capacità di prestazione, dovuto proprio alla
maggiore disponibilità di energia rispetto alla situazione precedente. Il progressivo sovrapporsi degli
stimoli allenanti e degli effetti della supercompensazione comporta, di fatto, un innalzamento del
livello di equilibrio funzionale.
L’effetto della supercompensazione si perde con il passare del tempo, perciò oltre all’intensità, sono
fondamentali anche la frequenza degli stimoli e la durata dei recuperi.
Nella pratica dell’allenamento, tutto ciò non è facile da determinare, in quanto i tempi dipenderanno
dal tipo di stimolo, dall’intensità, dalla durata, dal tipo di reazione individuale ai carichi di
allenamento.
Indicativamente il tempo di recupero entro cui si verifica la condizione di maggior disponibilità delle
riserve è di due-tre giorni al massimo, dopo i quali si ha un progressivo calo e infine il ritorno alla
situazione di equilibrio iniziale.
Le fasi del cambiamento della capacità di
prestazione dell’organismo durante il carico
e il recupero
Carico
Volume e intensità
degli esercizi
Effetto
dell’allenamento
Nella prima fase, con il crescente dispendio
energetico, la capacità di prestazione
diminuisce e si produce affaticamento.
Nella seconda fase, di recupero, le energie
consumate vengono ristabilite e ritornano al
livello iniziale.
LIVELLO INIZIALE
Nella terza fase, se il carico è ottimale, si
dovrebbe verificare l’aumento del potenziale
energetico, detto fase di supercompensazione.
Successivamente, se l’organismo non riceve
nuovi stimoli in tempo utile, la capacità di
prestazione ridiscende al livello iniziale.
Dispendio
Recupero
Supercompensazione
Concetto di carico allenante
Per carico allenante si intendono tutte le attività che, comportando un’alterazione dello stato di
equilibrio individuale, siano in grado di sollecitare e stimolare adattamenti tali da portare a una
maggiore funzionalità dell’organismo.
Un individuo sedentario che a un certo punto decide di correre quotidianamente per cinque minuti
percorrendo la distanza di un chilometro, osserverà che nel volgere di pochi giorni riuscirà a svolgere
lo stesso lavoro con una fatica progressivamente inferiore: al termine della corsa avrà un minore
affanno, la frequenza cardiaca scenderà dalle 170/180 pulsazioni al minuto a 140/150, sarà meno
sudato, saranno scomparsi i dolori muscolari dei primi giorni e il senso di fatica generale sarà appena
percettibile. Questo significa che il carico è stato allenante e ha stimolato adattamenti che hanno
portato ad una migliore funzionalità degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio consentendo al
soggetto in questione di eseguire lo stesso sforzo con minore fatica.
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Continuando a correre sempre la stessa distanza, sempre alla stessa velocità e nelle medesime
condizioni, dopo un primo adattamento non vi saranno ulteriori incrementi e tale attività non
rappresenterà più un carico allenante ma, al massimo un carico di mantenimento.
Per ottenere ulteriori miglioramenti diventa necessario aumentare il carico o con un incremento della
distanza percorsa (quantità) o con un incremento della velocità di esecuzione (intensità).
Gli effetti del carico non coinvolgono solo il sistema muscolare o l’apparato cardiocircolatorio, ma
riguardano tutti quei fattori che caratterizzano la prestazione motoria come per esempio l’aspetto
psicologico: la fatica non è soltanto un fenomeno muscolare ma è fortemente condizionata dalla
motivazione e dall’interesse con cui si pratica un’attività.
Ne consegue che si potrà parlare di:
 carico esterno: rappresentato dagli esercizi , dalle attività svolte, ecc. e dalle modalità
esecutive (quantità, velocità, durata delle pause, ecc.);
 carico interno: rappresentato dalla reazione individuale ai carichi esterni di allenamento, si
manifesta con variazioni e mutamenti di tipo fisiologico, biochimico, morfologico
dell’organismo, oltre a reazioni di tipo psicologico. Tali effetti si manifestano con un aumento
del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, sudorazione, ecc.
Come già detto più volte, il carico costituisce l’elemento che stimola gli adattamenti.
Nell’allenamento questo comporta una serie di problemi, in quanto alcuni carichi potranno rivelarsi
inefficaci o, al contrario, troppo elevati con conseguenze negative sull’allenamento stesso.
Gli allenatori , quindi, devono analizzare in modo preciso il tipo di carico e per questo devono
considerare diversi fattori, in modo da definire quali livelli risultino allenanti e quali siano gli effetti
del carico sui singoli individui.
Se il carico è eccessivo o ripetuto senza dare la possibilità di un corretto recupero all’organismo, si
verificherà, protraendo nel tempo una simile situazione, il fenomeno del cosiddetto
superallenamento. In questo caso l’organismo subisce effetti negativi a livello fisiologico con
stanchezza costante, difficoltà di recupero, insonnia, sia psicologico con diminuzione dei livelli di
coordinazione e dei tempi di reazione, difficoltà di attenzione e concentrazione.
Il concetto fondamentale è che l’effetto dell’allenamento e del carico si pone anche in relazione a
fattori individuali, quindi lo stesso carico non dà lo stesso risultato con tutti.
CARICO INEFFICACE
CARICO DI
MANTENIMENTO
CARICO ALLENANTE
CARICO ECCESSIVO
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(a)
(b)
LE CONDIZIONI PER OTTENERE
UN EFFETTO ALLENANTE
(a) Se la ripetizione del carico
avviene quando le tracce del
precedente sono scomparse, non si
hanno cambiamenti nel livello
funzionale;
(b) se la ripetizione dl carico
avviene quando il recupero è
incompleto, si ha una diminuzione
del livello funzionale, cioè della
capacità di prestazione;
(c) se la ripetizione del carico
avviene nella fase di
suprcompensazione, e il livello
aumenta gradualmente, aumentano
le possibilità funzionali
dell’organismo, cioè aumenta la
capacità di prestazione.
CARICO
(c)
Da quanto detto finora è emerso che vi sono degli elementi che caratterizzano il carico e di cui
bisogna tener conto per il dosaggio del carico nel tempo e per definirne l’influenza sui processi biofisiologici. Vediamoli nello schema sottostante.
1 – ELEMENTI DI
QUANTITA’ O VOLUME
Esempi:
aumento del numero delle
ripetizioni degli esercizi ( da 10
ripetizioni a 15, 20, ecc.);
aumento del numero di chilometri
percorsi (da 3 Km al giorno a 5, 10
Km al giorno).
Tipo di adattamenti: in genere stimolano
adattamenti a lungo termine.
2 – ELEMENTI DI
INTENSITA’
3 – ELEMENTI DI
DENSITA’
Esempi:
aumento del numero delle
ripetizioni nell’unità di tempo (da 10
ripetizioni in 15” a 15 rip. in 15”);
diminuzione dei tempi di esecuzione
(da 10 ripetizioni in 15” a 10 rip. in
12” oppure da 10 Km in 60’ a 10 Km
in 50’);
aumento delle richieste di qualità
nell’esecuzione (esercizi tecnici in
condizioni stabili nel numero di
ripetizioni e nei tempi esecutivi ma con
richieste di precisione da raggiungere:
numero di canestri, bersagli, ecc.);
aumento dello sforzo attentivo o
psico- fisico (richieste di precisione in
condizioni di stanchezza o di
incremento degli elementi di disturbo,
ecc.).
Caratterizzano le singole lezioni o
allenamenti; sono costituiti dalla durata e
dalle forme di recupero (parziale o
totale) fra una ripetizione e l’altra, fra
diversi esercizi, fra serie di esercizi.
È il rapporto tra il tempo totale di lavoro
e il tempo totale di recupero (numero di
esercizi effettuati, tempo totale di gioco,
tempo di pausa tra le serie di esercizi, ecc.).
Tipo di adattamenti: in genere stimolano
rapidi incrementi del rendimento.
11
Il rapporto tra quantità e intensità è inversamente proporzionale: ad un aumento dell’intensità
corrisponde una diminuzione della quantità. Ad esempio, nella corsa più aumenta la velocità, minore
sarà la durata.
Principi generali per l’impostazione del carico allenante
(o princìpi dell’allenamento)
Dalla definizione data di allenamento sportivo si può osservare come l’elevazione delle capacità
prestative è possibile se il lavoro è organizzato secondo criteri che si fondano sulla conoscenza e sul
rispetto di precisi concetti di fisiologia, biologia, biomeccanica, tecnica, tattica e psicologia (in
particolare per gli aspetti relativi all’apprendimento).
L’organizzazione dell’allenamento deve essere programmata in funzione degli obiettivi prefissati
tenendo conto della persona cui tale programmazione è destinata (e quindi dei tempi individuali
necessari per un adeguato adattamento), nel rispetto dei principi fondamentali dell’allenamento.
Qui sotto sono esaminati alcuni di questi principi.
1. Principio della progressività del carico
Per stimolare adattamenti successivi e quindi miglioramenti nelle capacità personali di
prestazione, il carico deve essere aumentato progressivamente. Infatti, il processo di
adattamento dell’organismo tende a stabilizzarsi se non viene aumentato adeguatamente il
carico in funzione del nuovo, più elevato livello di prestazione raggiunto.
Ciò avviene perché l’efficacia di un carico costante tende a diminuire sempre più e porta
rapidamente solo al mantenimento di un livello stazionario. E’ un processo regolare che
costringe all’incremento sistematico del carico esterno.
La progressione può essere a breve o a lungo periodo, inoltre può essere basata su elementi di
quantità o di intensità.
2. Principio dell’unita tra carico e recupero
L’adattamento dell’organismo al carico è il risultato di una corretta alternanza tra carico
fisico e recupero. Questi cambiamenti strutturali e funzionali si producono in tempi diversi
soprattutto nella fase di recupero: ristabilimento del livello iniziale più supercompensazione.
C’è dunque una stretta relazione fra il carico e il tipo di recupero tra un carico e l’altro. Per
recupero si può intendere il tempo che passa tra un allenamento e l’altro o, all’interno di
uno stesso allenamento, il tempo che passa tra un esercizio e l’altro.
3. Principio della frequenza e della continuità del carico
Questo principio è strettamente correlato con quello precedente della progressività del carico.
Come già visto l’effetto allenante ottenuto con una seduta di allenamento si affievolisce, fino
ad annullarsi completamente, se non viene seguita da un altro carico entro termini di tempo
adeguati. Inoltre, per poter elevare le prestazioni sportive, è necessario sottoporre il nostro
organismo a lunghi periodi di attività senza interruzioni. Ciò comporta la programmazione
degli allenamenti su base annuale e pluriennale.
Quindi, affinché ci sia un progressivo e costante aumento delle capacità è necessario garantire
una adeguata frequenza delle sedute di allenamento evitando che intervalli di tempo troppo
lunghi possano compromettere i vantaggi precedentemente raggiunti.
Perciò: l’ideale sarebbe allenarsi tutti i giorni, bene quattro giorni la settimana, sufficiente
tre, mentre con due si riesce appena a mantenere una condizione di livello non troppo elevato.
4. Principio della variazione del carico (o della corretta successione dei carichi)
La successione dei vari esercizi in una seduta di allenamento, che preveda lo sviluppo di
diverse capacità, deve essere attuata secondo precisi criteri. Questo potrebbe un esempio:
1. esercizi di velocità o di coordinazione;
2. esercizi di forza veloce;
3. esercizi di resistenza alla forza ed esercizi di resistenza aerobica alla fine.
12
La ragione di questa suddivisione è tutto sommato semplice. All’inizio ci sono sempre quegli
esercizi la cui esecuzione richiede freschezza sia dal punto di vista fisico che psichico e pause
di recupero quanto più complete possibile. La forza veloce si migliora con esercizi
caratterizzati da carichi medio-bassi ed esecuzioni alla massima velocità che richiedono
discreta freschezza fisica e recuperi completi. La resistenza alla forza e la resistenza aerobica
si migliorano con esercizi continuativi o con pause incomplete che affaticano profondamente i
muscoli perché esauriscono le riserve energetiche. Se la successione degli esercizi si inverte,
si provocano effetti solo sulla resistenza.
Spesso, all’inizio della seduta, si prolunga troppo il periodo di corsa lenta come mezzo di
riscaldamento e si provocano così effetti negativi sugli altri esercizi.
Dal punto di vista organizzativo e funzionale le sedute di allenamento più efficaci sono quelle
che si limitano a 1-2 gruppi di esercizi con finalità diverse.
5. Principio della motivazione
La motivazione può essere definita come l’insieme dei fattori e dei fenomeni interni della
persona che concorrono a finalizzare e a indirizzare il suo comportamento e le sue azioni.
La motivazione può essere distinta in estrinseca ed intrinseca.
La motivazione estrinseca si basa su stimoli di tipo esterno che portano ad agire e ad
impegnarsi in un compito; tali stimoli possono essere ad esempio di tipo economico (un
premio in denaro), ricompense, punizioni, approvazione sociale, e tutti quei riconoscimenti che
aumentano il livello di autostima (cioè il livello di considerazione positiva che la persona ha di
se stessa). Anche la possibilità di conseguenze negative rappresenta uno stimolo di tipo esterno
(ad esempio un brutto voto, una multa, una punizione).
La motivazione intrinseca è in stretta relazione con le caratteristiche della personalità; nasce
dalla necessità di soddisfare un bisogno interiore che spinge l’individuo ad agire rapportandosi
con il proprio ambiente.
La motivazione è uno dei fattori principali che stanno alla base dell’apprendimento in quanto
ne costituisce forza propulsiva che consente di convogliare l’attenzione e le energie per
raggiungere un obiettivo considerato importante per la realizzazione personale e per il
soddisfacimento dei propri bisogni.
6. Principio della consapevolezza
Questo principio, unitamente al precedente, costituisce uno dei pilastri dell’allenamento e
dell’apprendimento più in generale. Partendo dal presupposto che l’efficacia
dell’apprendimento è tanto più elevata quanto maggiore è il coinvolgimento in termini di
interesse e motivazione da parte di svolge l’attività motoria e sportiva, non possiamo
trascurare l’importanza che riveste la conoscenza e la consapevolezza del perché si fa una
certa cosa e del come va fatto, allo scopo di definire in modo cosciente gli obiettivi personali
da raggiungere.
Solo attraverso una gestione consapevole e motivata delle esperienze di tipo motorio (ma non
solo motorio!) il ragazzo sarà in grado di:
 mantenere un elevato livello di attenzione;
 comprendere il compito assegnato;
 sviluppare la capacità di analizzare il movimento;
 capire le cause degli errori commessi;
 sviluppare la capacità di autovalutarsi e autocorreggersi;
 rendersi protagonisti nella programmazione del proprio lavoro.
13
Conoscere la forza (vedi anche i capitoli nella parte introduttiva)
La forza si esprime in relazione a diversi fattori: biologici, fisiologici, psicologici.
Abbiamo già visto in altri capitoli le caratteristiche dei muscoli e della forza; riprendiamo alcuni
concetti fondamentali per poi approfondire quelle conoscenze necessarie a capire come può essere
allenata la forza.
Nella tabella seguente sono sintetizzate le caratteristiche delle fibre muscolari:
LE CARATTERISTICHE DELLE FIBRE MUSCOLARI
Tipo di fibre
Abbreviazione
Tipo di tensione sviluppata
-
ST (Slow Twich)
FIBRE LENTE
-
Fibre Rosse
Fibre Tipo I
FT (Fast Twich)
producono tensioni non
elevate ma di lunga durata
sono attive nella maggior
parte dei movimenti in cui
non vi sia richiesta di forza
elevata
Caratteristiche
-
-
FIBRE VELOCI Fibre Bianche
sviluppano tensioni molto
elevate in breve tempo ma
che hanno durata limitata
-
Fibre Tipo II b
-
FIBRE
INTERMEDIE
-
FTR
Fibre Tipo II a
sviluppano tensioni con
caratteristiche intermedie fra
le FT e le ST
-
diametro piccolo
metabolismo di tipo aerobico
reclutate a bassa frequenza di
stimoli nervosi
velocità di contrazione lenta
(70/80 millisecondi)
scarsa affaticabilità
diametro grande
metabolismo di tipo
anaerobico
reclutate ad alta frequenza di
stimoli nervosi
velocità di contrazione elevata
(30/40 millisecondi)
producono tensioni ad una
velocità di circa 1/3 rispetto
alle ST
sviluppano maggiore forza
rispetto alle ST
elevata affaticabilità
diametro grande
metabolismo misto
aerobico/anaerobico
reclutate ad alta frequenza di
stimoli nervosi
media affaticabilità
I MECCANISMI DELLA FORZA
La possibilità per un atleta di sviluppare una forza elevata dipende da diversi fattori. Essi sono di tre
ordini:
1. strutturali: si riferiscono alla composizione stessa del muscolo
2. nervosi: riguardano l’utilizzazione delle unità motrici (UM)
3. in rapporto con lo stiramento: questo potenzia la contrazione.
1. I fattori strutturali
a) L’ipertrofia (aumento della massa muscolare) - dipende da 4 cause principali:
- aumento del numero di miofibrille
- aumento delle dimensioni delle miofibrille dovuto all’aumento delle proteine
contrattili (actina e miosina)
- sviluppo degli involucri muscolari (tessuto connettivo)
- aumento della vascolarizzazione
14
2. La funzionalità del sistema nervoso
- Ogni fibra muscolare è innervata da placche motrici che, grazie alla
trasmissione dell’impulso nervoso, determinano la contrazione.
- Ogni muscolo è formato da centinaia di fibre, ma nei movimenti, in genere,
solo una parte di esse viene reclutata; maggiore è il numero di fibre che
vengono sollecitate, e quindi che partecipano alla contrazione, maggiore è la
forza che viene messa in atto.
- Un altro fattore che influenza l’espressione della forza è la frequenza con cui
gli impulsi nervosi arrivano dal cervello (SNC) ai muscoli e che determina
l’azione differenziata del tipo e della quantità di unità motorie che intervengono
nel movimento. In pratica lo stimolo che proviene dal sistema nervoso può
essere di diversa intensità: a bassa intensità vengono eccitate le fibre lente (ST),
mentre le fibre veloci (che sviluppano tensioni maggiori) vengono attivate da
stimoli di intensità più elevata.
L’allenamento stimola adattamenti specifici, fra cui:
- aumento della velocità di reclutamento delle fibre muscolari, che comporta un intervento
precoce delle fibre a contrazione rapida. La possibilità di aumentare il reclutamento delle unità
motorie è una delle conseguenze più importanti dell’allenamento: a parità di massa muscolare, la
forza può arrivare a raddoppiare (da 4-5 Kg per cm2 a 8-9 Kg per cm2);
- aumento del numero di fibre che intervengono nel movimento, con un conseguente aumento
dell’espressione di forza.
Aumenti notevoli della forza hanno quindi origine dagli adattamenti di tipo nervoso.
Gli aspetti coordinativi
Anche gli aspetti coordinativi influenzano in modo determinante l’espressione della forza, soprattutto
quella di tipo rapido ed esplosivo. In modo più specifico possiamo individuare due aspetti della
coordinazione:
- coordinazione intermuscolare (intervento coordinato dei vari gruppi muscolari che partecipano a
un dato movimento);
- coordinazione intramuscolare (aumento delle unità motorie attivate contemporaneamente e nella
loro sincronizzazione).
Le caratteristiche della massa muscolare
La capacità di forza è anche in relazione alla massa muscolare, cioè al diametro delle fibre
muscolari. Nell’allenamento, l’aumento del diametro delle fibre muscolari (ipertrofia) può essere
ricercato attraverso metodologie specifiche e l’utilizzo di sovraccarichi (ad esempio con carichi
elevati ed esecuzioni lente per circa 10 ripetizioni).
Allenamento della forza
Per migliorare le nostre capacità di forza è necessario stimolare specifici adattamenti che riguardano il
sistema muscolare e legamentoso (adattamento strutturale), i sistemi di produzione di energia
(adattamento biochimico) e i processi nervosi (adattamento nervoso).
Per stimolare gli adattamenti, gli stimoli devono essere tali da attivare i processi bio-fisiologici che
portano a un innalzamento delle capacità di prestazione.
Questo significa che gli stimoli, rappresentati dagli esercizi e da tutte le attività che possono
determinare un carico allenante, devono essere progressivamente più elevati e adeguati alle
caratteristiche del soggetto (livelli iniziali, attività svolte e loro frequenza, età, sesso, obiettivi da
raggiungere, ecc.).
L’aumento del carico di lavoro, che rappresenta lo stimolo allenante, può essere ottenuto in diversi
modi: ad esempio aumentando la quantità, oppure l’intensità, o la densità (rapporto fra tempi di lavoro
e pause di recupero) delle esercitazioni. Il carico può variare di molto, anche in relazione alle modalità
con cui si effettua il recupero (recupero attivo e passivo) e ai tempi di recupero fra le esercitazioni.
Quest’ultimo fattore risulta spesso essenziale nel determinare metodi ed effetti dell’allenamento.
15
Come già visto sinteticamente nel capitolo dedicato alla forza ( LE CAPACITA’ CONDIZIONALI pag. 9) , è
necessario distinguere le tre forme fondamentali della forza: forza massimale, forza veloce,resistenza
alla forza.
La forza massimale è la forza più elevata che il sistema neuromuscolare è in grado di esprimere con
una contrazione muscolare volontaria. È determinante in quei tipi di sport e di discipline in cui
debbono essere vinte resistenze considerevoli, per esempio nel sollevamento pesi, nella ginnastica
maschile, nella lotta. In collegamento con una elevata capacità di contrazione o con esigenze di
resistenza è necessaria per esempio anche nel lancio del martello, nel getto del peso, nella canoa e nel
canottaggio. L’importanza della forza massimale è tanto minore quanto più piccole sono le resistenze
da superare e quanto più dominano la rapidità della contrazione muscolare o le capacità di resistenza
(soprattutto resistenza di media e lunga durata). Così la forza massimale ha una influenza
sensibilmente maggiore sulla prestazione dello sprint nell’atletica leggera che non sul risultato in una
corsa su lunga distanza.
La forza veloce è la capacità del sistema neuromuscolare di superare delle resistenze con una
elevata rapidità di contrazione. È una componente essenziale nella prestazione di molti movimenti
aciclici, per esempio nei lanci dell’atletica leggera, nei salti in alto e in lungo e nei giochi sportivi,
cioè quelle discipline in cui la prestazione dipende in modo decisivo dalla rapidità della spinta, del
lancio, della forza di stacco. È determinante anche in alcuni movimenti ciclici, per esempio per la
velocità dello scattista nell’atletica leggera, dello “sprinteur” nel ciclismo, per la rapidità nel mettersi
in azione o per cambiare direzione nel calciatore.
La resistenza alla forza è la capacità dell’organismo di opporsi alla fatica durante prestazioni di
forza di lunga durata. È quindi caratterizzata da una relativamente elevata capacità di forza collegata
con una notevole possibilità di resistenza. È determinante nella prestazione di alcune discipline di
durata nelle quali considerevoli resistenze devono essere vinte per lunghi periodi di tempo come per
esempio nel canottaggio, nella canoa, nel nuoto, nello sci alpino (soprattutto discesa libera), nella
ginnastica, nella lotta e nella maggior parte dei giochi sportivi.
Prima di procedere ad una analisi dettagliata di ciascuna espressione di forza, vediamo sinteticamente
i fattori che intervengono nella definizione dei carichi di allenamento.
Obiettivo
Tipo di carico
Velocità esecutiva
Numero ripetizioni
Serie
Recupero
Forza veloce
40% - 60% max
Max velocità
10 - 20
4-6
2’ – 3’
Resistenza alla forza
40% - 80% max
Medio-bassa
20 - 100
3-4
1’ – 3’
Forza massimale
80% - 100% max
Bassa o in relazione a quanto
consentito dal carico
1 - 10
4-6
3’ – 5’
Allenamento della forza massimale
Contenuti:
si basano sull’utilizzo di carichi tali per cui, in genere, la resistenza da superare consenta al massimo
10 ripetizioni (tra l’80% e il 100% della personale forza massima) e sull’utilizzo di contrazioni di tipo
isometrico contro resistenze che richiedano sforzi di tipo massimale.
Metodi:
Tra i metodi più noti con l’utilizzo dei sovraccarichi ricordiamo:
- metodo piramidale: aumento progressivo del carico nella stessa seduta, fino ad arrivare al proprio
massimale (bisogna considerare che, per effetto dell’accumulo di fatica dovuto alle ripetizioni
precedenti, il massimale non può essere raggiunto se non in termini di carico interno);
16
-
metodo delle ripetizioni: poche ripetizioni di intensità massimale.
(b)
95%
2X
3X
90%
85%
4X
5X
80%
4X
6X
75%
5X
(a)
70%
65%
7X
8X
60%
allenamento a piramide normale (a)
allenamento a piramide tronca (b)
Numero di ripetizioni massime (RM)
che si possono eseguire in una serie
1 RM
2 RM
3 RM
4 RM
5 RM
6 RM
7 RM
8 RM
9 RM
10 RM
11 RM
12 RM
Percentuale del carico massimo
100 %
95 (+/-2) %
90 (+/-3) %
86 (+/-4) %
82 (+/-5) %
78 (+/-6) %
74 (+/-7) %
70 (+/-8) %
65 (+/-9) %
61 (+/-10) %
57 (+/-11) %
53 (+/-12) %
I valori corrispondenti alla percentuale sono espressi in funzione del numero di ripetizioni che possono essere realizzate
con quel carico.
Il numero delle ripetizioni in ogni serie deve essere sempre relativamente basso per evitare un precoce affaticamento sia
generale che locale con la conseguenza che il carico assumerà carattere di allenamento alla resistenza.
Per mantenere una elevata capacità di lavoro a intensità adeguate, il recupero tra le serie deve garantire un sufficiente
rilassamento locale: il tempo mediamente è compreso fra i 3 e i 5 minuti. La durata delle pause dipende dal tipo di
carico (esercizio che interessa pochi distretti muscolari oppure grandi e numerosi gruppi muscolari, intensità massimale o
sub-massimale degli stimoli), ma molto dipende anche dalle caratteristiche individuali che presentano differenze anche
notevoli di capacità di recupero.
L’intervallo fra due sedute di allenamento orientate prevalentemente allo sviluppo della forza massimale deve essere di
circa 48 ore affinché il sistema neuro muscolare possa adattarsi agli stimoli imposti.
17
Allenamento della forza veloce
Contenuti:
- esercitazioni e carichi che risultino leggermente inferiori o superiori alle normali condizioni di
espressione della forza (ad esempio piccoli sovraccarichi per l’azione di salto o attrezzi
leggermente più leggeri o più pesanti per i lanci);
- carichi simili alle condizioni di gara di specifiche attività sportive.
Metodi:
- esercizi che consentono l’espressione rapida della forza, evitando il lavoro effettuato in condizioni
di stanchezza o nelle fasi finali dell’allenamento;
- basati su carichi di intensità massimale o sub-massimale, con un limitato numero di ripetizioni e
ampi tempi di recupero;
- tipo di carico: naturale o con sovraccarichi medio-bassi, tra il 40% e il 60% del massimale.
Allenamento della resistenza alla forza
Significa:
- sviluppo della capacità di prolungare l’espressione della forza anche in condizioni di
affaticamento e/o di prolungato dispendio energetico.
Contenuti:
- sovraccarichi fra il 40% e il 70% del massimale;
- sovraccarichi con meno del 40% del massimale ma con un maggiore volume di lavoro.
Metodi:
- basati sull’utilizzo di carichi medio-elevati in condizioni di espressione prolungata della forza (ad
esempio situazione di gara protratta nel tempo o elevato numero di ripetizioni di un esercizio
specifico);
- basati sulle caratteristiche di durata, intensità e recuperi e sul tipo di dispendio energetico delle
attività sportive svolte (ad esempio prolungare esecuzioni di salto nella pallavolo).
Allenare la resistenza
L’allenamento della resistenza si basa prevalentemente sullo sviluppo della funzionalità dei
meccanismi energetici.
Facciamo un rapido ripasso dei due meccanismi che hanno attinenza con l’allenamento della
resistenza:
meccanismo aerobico: caratterizzato dall’apporto di ossigeno che arriva ai muscoli impegnati
nello sforzo. Dipende dall’apparato cardiocircolatorio, dalla capacità di trasporto dell’ossigeno
da parte del sangue, dalla distribuzione ottimale dell’ossigeno alle fibre, dal numero di
capillari, dal contenuto di mioglobina nelle fibre e dall’attività enzimatica;
meccanismo anaerobico lattacido: dipende dalla capacità di continuare il lavoro nonostante
l’accumulo del lattato e l’aumento dell’acidità muscolare, dagli adattamenti che in modo
specifico riguardano le fibre muscolari, dall’attività enzimatica responsabile della velocità di
eliminazione del lattato dal muscolo che lo ha prodotto.
18
Metodi di allenamento
Derivano dalla scelta di carichi finalizzati a stimolare in modo specifico gli adattamenti di tipo
metabolico, cardiocircolatorio, muscolare e tecnico-coordinativo relativi alle diverse discipline.
I metodi principali per allenare la resistenza sono:
a) metodo del lavoro prolungato a velocità costante;
b) metodo del lavoro prolungato con variazioni di velocità;
c) metodo a intervalli;
d) metodo della ripetizione;
a) metodo del lavoro prolungato (o di durata)
Consiste nel percorrere distanze determinate nel tempo stabilito; per esempio percorrere 15
Km in 1 ora (velocità = 15 Km/h = 4 min/Km). I diversi parametri (distanza, tempo, velocità)
danno origine all’intensità del carico allenante.
Questo metodo trova la sua applicazione più frequente in tutte le discipline di resistenza di
media e lunga durata o per lo sviluppo della resistenza generale.
Il controllo effettuato attraverso la frequenza cardiaca per la misurazione precisa dell’intensità
del carico consente di mantenere il carico entro i limiti voluti.
b) metodo del lavoro prolungato con variazioni di velocità
Consiste nel percorrere senza interruzioni distanze determinate inserendo dei tratti a velocità
più sostenuta. Il numero, l’intensità, la durata di queste variazioni, che possono essere
prestabilite o, in atleti più evoluti, decisi al momento, dipendono dalle capacità del soggetto e
dagli effetti allenanti che si vogliono ottenere. Si possono perciò sviluppare sia la potenza
aerobica che la capacità anaerobica lattacida introducendo variazioni adeguatamente lunghe e
intense per indurre sia la produzione che l’accumulo di acido lattico nei muscoli e nel sangue.
Il più conosciuto di questi metodi è il fartlek (giochi di velocità), nato in Svezia e
particolarmente adatto ad essere utilizzato in ambienti naturali come boschi e prati, dove è
possibile sfruttare anche le variazioni di pendenza, e quindi di sforzo per superarle. Questo
metodo, opportunamente regolamentato per adattarlo ad altre situazioni ambientali, si è poi
diffuso in tutto il mondo.
c) metodo a intervalli
L’allenamento intervallato ha come scopo il miglioramento della capacità anaerobica e
l’aumento delle prestazioni di resistenza alla velocità su distanze brevi e medie.
L’allenamento a intervalli è una combinazione tra fasi di carico e fasi di recupero
(incompleto).
Per tutti i metodi a intervalli all’inizio si devono stabilire:
3. la lunghezza della distanza;
4. la velocità con la quale devono essere percorse le distanze (durata e intensità del carico);
5. il numero delle ripetizioni e delle serie (volume del carico);
6. la lunghezza e l’impostazione delle pause (densità del carico).
Un esempio di questo metodo, noto anche col nome di interval-training, può essere il seguente:
7. durata del carico: da 15” a 60” (sufficienti a percorrere distanze dai 100 ai 400 metri);
8. durata del recupero: da 45” a 90”;
9. intensità dello sforzo: al termine dell’esercitazione il battito cardiaco non dovrebbe superare le
180 pulsazioni al minuto; la pausa, che dovrebbe avere caratteristiche di lavoro attivo anche se
leggero, deve consentire un recupero solo parziale (per esempio si ricomincia con il battito a
120 al minuto);
10. ripetizioni: a seconda del periodo, del livello di allenamento e dell’effetto voluto. Si può dare
un’indicazione generale di 10-15 ripetizioni, ma il numero può essere anche più elevato; la
pratica di campo suggerisce: velocità media = numerose ripetizioni, velocità più elevata =
minor numero di ripetizioni.
19
L’interval-training può essere usato sia nei programmi di resistenza sia in quelli di velocità e si pone
tra gli obiettivi l’aumento della funzionalità dell’apparato cardio-circolatorio.
d) metodo della ripetizione
Questo metodo prevede la ripetizione di distanze a velocità (o intensità) simili a quelle di gara ma,
ovviamente, su distanze inferiori. I recuperi sono più ampi rispetto al metodo a intervalli.
20
Tabella sintetica sulla suddivisione in gruppi
degli esercizi di allenamento a seconda della finalità
COMPONENTI DEL CARICO
Finalità
del carico
Anaerobico
alattacida
(forza rapida)
Anaerobico
lattacida
(resistenza alla
velocità)
Durata
dell’esercizio
Intensità
dell’esercizio
da 1,5 a 2 min.
tra gli esercizi;
da 3 a 5 min.
tra le serie
Numero
delle ripetizioni
fino a 6 secondi
massima
(a) da 20 sec.
a 3 min. in una
sola prova
submassimale
(b) da 20 sec. a 2
min. nel lavoro
ripetuto
submassimale
da 3 a 5 min.
tra gli esercizi;
da 6 a 10 min. tra
le serie
2-3 ripetizioni
fino a 4 serie
(a) 15-20 sec.
submassimale
da 15 a 30 sec. tra
gli esercizi; fino a
3 min. tra le serie
2-4 ripetizioni in
5-6 serie
(b) da 30 a 90 sec.
submassimale
da 30 sec. a 1,5
min.
10 ripetizioni e
oltre in una unica
serie; 5-6
ripetizioni in 2-4
serie
(c) da 3 a 10 min.
submassimale
illimitato fino al
2-6 ripetizioni
recupero completo
(d) 30 min.
da media a
massima
alternativamente
(a) da 1 a 3 min.
media
(b) da 3 a 10 min.
media
(c) 30 min. e oltre
da scarsa a grande
-
Aerobico
anaerobica
(tutti i tipi di
capacità
condizionale)
Aerobica
(resistenza
generale)
Tempo
di recupero
-
6-7 ripetizioni in
5-6 serie
-
-
da 30 sec. a 1,5
min.
10 ripetizioni e
oltre in 5-6 serie
illimitato, lavoro di
ripetizione secondo
la forma fisica
6-8 ripetizioni
-
-
21
Allenare la velocità
Le possibilità di sviluppo e le modalità di allenamento sono strettamente dipendenti dai diversi fattori
che caratterizzano la velocità. Ciò significa, ad esempio, che l’allenamento per la velocità di reazione
avrà caratteristiche diverse da quello per la velocità frequenza e che il miglioramento degli aspetti
coordinativi, regolatori dell’azione reciproca di muscoli agonisti e antagonisti, e della fluidità del
gesto risulterà fondamentale nella preparazione sia generale che specifica.
L’automatizzazione del movimento rappresenta quindi uno dei presupposti per perseguire in modo
efficace lo sviluppo della velocità.
Tutto ciò si traduce nell’utilizzo di esercitazioni specifiche e ripetute che, nel caso elle singole attività
sportive, si basano sulle caratteristiche tecniche da utilizzare in gara, allo scopo di conseguire
un’abilità tecnica tale da rendere sempre più fine la coordinazione.
L’esigenza di effettuare sforzi molto intensi e condizioni di affaticamento locale dei muscoli deve far
considerare l’importanza di un riscaldamento adeguato, sia per favorire la successiva prestazione
grazie all’attivazione neuromuscolare sia per prevenire i possibili traumi.
Le esercitazioni per lo sviluppo della velocità non devono essere effettuate in condizioni di stanchezza
o esaurimento, in quanto si tratterebbe di stimoli maggiormente mirati ad allenare la resistenza alla
velocità più che la rapidità esecutiva o reattiva.
Allenare la velocità di reazione
Caratterizzato dalla velocità di trasmissione ed elaborazione degli stimoli, il tempo di reazione
dipende anche dal tipo di segnale, semplice o complesso.
I tempi di reazione semplici sono quantificabili nell’ordine di 10-20 centesimi di secondo, mentre per
le “reazioni di scelta” il tempo minimo è stimabile in 20-40 centesimi di secondo.
Tutto ciò risulta essenziale per un allenamento finalizzato; nelle reazioni semplici la tecnica si ripete
sempre uguale, mentre nelle situazioni complesse, oltre alla tecnica, deve essere allenata anche la
capacità di osservazione e di attenzione alle diverse situazioni, allo scopo di ampliare quel bagaglio di
esperienze che possa portare alla selezione anticipata di un programma efficace.
Ad esempio, nella situazione del portiere che para un rigore, i tempi di reazione possono rivelarsi del
tutto insufficienti a elaborare lo stimolo dato dal pallone che parte (direzione, forza, traiettoria) e a
produrre un movimento di risposta. In questo caso, più che per il tempo di reazione, la risposta
motoria avviene in base all’elaborazione di informazioni che il portiere può effettuare per cercare di
“anticipare” quale sarà il risultato finale del tiro. Qui diventa importante l’esperienza del portiere, cioè
la conoscenza che il giocatore ha della situazione, dell’avversario, delle modalità con cui questi
prende la rincorsa o posiziona il piede, in definitiva anche delle abitudini del tiratore, che si ripetono
con una certa frequenza nella situazione del tiro di rigore.
L’allenamento, in sostanza, si basa anche e soprattutto sullo sviluppo delle capacità di anticipazione.
Allenare la capacità di accelerazione
La capacità di accelerazione si sviluppa in relazione alla forza massima e alla forza veloce e dipende
da diversi fattori, tra i quali la grandezza della resistenza esterna e la velocità da raggiungere al
termine dell’accelerazione stessa.
L’accelerazione è data dal tempo impiegato a raggiungere la velocità massimale. La velocità del
movimento accelerato risulta diversa a seconda delle esigenze che caratterizzano i vari sport, perciò
l’allenamento dovrà basarsi prevalentemente sulle situazioni tecniche specifiche ( ad esempio lo sprint
per la gara di velocità e lo scatto per raggiungere la palla nella difesa della pallavolo avranno
un’accelerazione di durata e distanze diverse).
Allenare la velocità di frequenza
Prolungare una prestazione ad alta velocità significa anche porre attenzione ai processi energetici che
caratterizzano la prestazione. L’allenamento dovrà quindi tener conto del tipo di meccanismo di
resintesi dell’ATP che, nel caso delle gare tipiche di velocità, si esprime prevalentemente in
condizioni anaerobiche-alattacide.
La ripetizione dei gesti ciclici deve essere effettuata a velocità elevata, per una durata di 7”-8” e alla
massima intensità. Le ripetizioni si susseguono dopo un recupero completo allo scopo di mantenere le
caratteristiche alattacide dello sforzo e per evitare che l’affaticamento neuromuscolare determini una
riduzione del tempo di trasmissione degli impulsi (recupero di 3’-4’).
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Questo è uno dei motivi per cui l’allenamento della velocità va effettuato, in genere, nella fase iniziale
dell’allenamento, dopo un adeguato riscaldamento, e non al termine dell’allenamento stesso, in
condizioni di stanchezza e, quindi, di ridotta capacità di reazione neuromuscolare.
Allenare la resistenza alla velocità (VEDI IL CAPITOLO SULLE CAPACITà CONDIZIONALI – LA VELOCITA’)
La resistenza alla velocità è la capacità di resistere alla stanchezza anche con carichi di intensità
massimale o submassimale ed in prevalenza con impegno energetico anaerobico. Nelle esercitazioni
cicliche ciò significa che la raggiunta velocità non deve essere diminuita in modo significativo da
manifestazioni di affaticamento. Nelle esercitazioni acicliche, come i giochi sportivi, il pugilato, la
lotta o la ginnastica ciò significa che nonostante la durata relativamente lunga della gara, i movimenti
debbono essere eseguiti sempre a velocità elevate.
I mezzi per lo sviluppo di questa specifica capacità si possono facilmente desumere da quanto detto
sulla resistenza (vedi in particolare la tabella di sintesi).
2. La flessibilità e la mobilità articolare (VEDI
ANCHE “LE CAPACITA’ CONDIZIONALI”)
Approfondiamo la conoscenza
La mobilità che può realizzarsi a livello articolare, come abbiamo visto, dipende da fattori diversi,
ognuno dei quali può anche rappresentare un limite all’escursione articolare di massima ampiezza.
Pur avendo inserito questa capacità tra quelle condizionali, dall’analisi di questi fattori, sarebbe più
appropriato classificarla come situazione ibrida, cioè con caratteristiche sia di tipo condizionale sia
coordinativo.
Per l’interazione dei suddetti fattori è preferibile utilizzare il termine flessibilità, a superare il limite di
una definizione (mobilità articolare) che sembra riferirsi alla sola struttura articolare.
Per via delle caratteristiche delle strutture deputate alla mobilità o flessibilità, la condizione
indispensabile per il mantenimento di un’ampiezza normale di movimento è data da una costante
attività motoria che ne stimoli i limiti di escursione.
Anche in questo caso il corpo segue il principio dell’adattamento:se stiamo seduti per dieci ore al
giorno e non sollecitiamo con movimenti adeguati la capacità elastica delle strutture, queste si
riducono progressivamente, con conseguenze anche serie sul mantenimento della salute.
Per quel che riguarda l’allenamento, bisogna evidenziare che una buona mobilità articolare è
essenziale non solo per gli sport che ne sono fortemente caratterizzati (ad esempio la ginnastica
artistica), ma per lo sviluppo delle tecniche sportive in generale, soprattutto se sono basate
sull’espressione della forza veloce. Una buona flessibilità consente infatti un miglior controllo dei
movimenti e una maggiore precisione esecutiva, oltre a rappresentare un elemento importante di
prevenzione dei traumi muscolari e articolari. È per questo che gli esercizi per la mobilità fanno
sempre parte di un adeguato riscaldamento pre-gara o pre-allenamento.
Metodi di allenamento della mobilità articolare
Le tecniche si possono basare su esercizi che stimolano in modo dinamico l’ampiezza massima di
movimento delle singole articolazioni o su esercizi che, in modo statico, stimolano l’elasticità e
l’allungamento muscolare.
Gli esercizi dinamici possono essere effettuati con movimenti ampi, di andata e ritorno dalla
situazione di partenza alla massima escursione articolare (esempio slanci alternati delle braccia per
l’articolazione scapolo-omerale).
In passato l’esecuzione di questi esercizi era caratterizzata da un movimento di “rimbalzo” nella fase
di maggior escursione, allo scopo di sollecitare al massimo grado la struttura articolare. Questa
metodica viene oggi poco utilizzata, in quanto lo stimolo elevato che viene determinato dal brusco
allungamento delle fibre comporta un’attivazione dei fusi neuromuscolari che, con un’azione riflessa
a difesa dell’integrità de fibre stesse, determina la loro contrazione e, quindi, un risultato opposto a
quello ricercato. Attualmente le metodiche maggiormente in uso sono quelle basate sull’allungamento
passivo o stretching.
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LO STRETCHING
Origini e significato
Le radici dello stretching, che in italiano si traduce con il termine allungamento, pare possano essere fatte risalire
all’oriente e alle metodiche dello yoga indiano.Pur non escludendo che alcune posizioni possano in qualche misura
risultare analoghe, lo stretching trae origine dalle conoscenze neurofisiologiche che hanno contribuito a definire i
meccanismi posti alla base della contrazione e del rilasciamento muscolare.
Perché lo stretching
Lo stretching in genere viene impiegato per conservare o aumentare l’escursione articolare, escursione che viene
notevolmente condizionata dall’elasticità fasciale dei muscoli, dei legamenti e dei tendini. Il muscolo perde questa
elasticità sia per via di malattie sia per un naturale processo di invecchiamento o anche per una ricercata, esasperata
ipertrofia (come nel caso dei culturisti).
La ridotta elasticità muscolare, oltre che influenzare negativamente la prestazione sportiva diminuendo la mobilità
articolare, predispone alle lesioni muscolo-tendinee da eccessivo stiramento.
In un movimento articolare, il nostro sistema muscolare è organizzato in modo tale che, se alcuni muscoli si contraggono
(muscoli agonisti), altri (muscoli antagonisti) devono rilassarsi e allungarsi per non creare inutili resistenze. Se un
muscolo perde elasticità, creerà invece un sovraccarico inutile e dispendioso per il muscolo agonista che dovrà vincere
una resistenza supplementare. Inoltre le tensioni a cui gli agonisti sottopongono gli antagonisti non elastici possono
portare all’insorgenza di patologie tendinee e muscolari. Nel caso di un salto verso l’alto, il quadricipite, contraendosi
concentricamente, funzionerà da motore, mentre gli ischiocrurali (tra cui il bicipite femorale), contraendosi
eccentricamente, dovranno comunque sopportare tensioni dinamiche. Ne consegue che una rigidità dei muscoli posteriori
della coscia può rappresentare un freno nelle prestazioni di salto.
Basi fisiologiche dello stretching
La comprensione delle modalità di una corretta esecuzione dello stretching non può prescindere dalla conoscenza di
alcune nozioni di fisiologia del sistema neuromuscolare .
Come già accennato nel paragrafo precedente, i muscoli del nostro corpo sono protetti da meccanismi fisiologici
particolari che hanno la scopo di opporsi ad un allungamento eccessivo che potrebbe danneggiarli.
Il primo di questi meccanismi è chiamato riflesso di tensione: si manifesta sotto forma di una contrazione di intensità
proporzionata alla violenza dello stiramento cui si oppone.
Il secondo, chiamato inibizione autogena o reazione di allungamento, contrasta invece l’allungamento eccessivo mediante
il rilasciamento muscolare.
Attivati entrambi come dispositivi di sicurezza, intervengono in fasi successive. A un brusco stiramento, infatti, il muscolo
reagisce con una contrazione cui, rivelandosi essa insufficiente a limitare il danno, fa seguito il secondo meccanismo che,
provocando il rilasciamento del muscolo, ne consente l’allungamento. Questo fenomeno spiega in pratica la possibilità di
allungare ulteriormente un muscolo dopo averlo mantenuto per un certo periodo di tempo a una considerevole tensione.
Come si esegue lo stretching
La tecnica dell’allungamento codificata da Bob Anderson e diffusasi negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70 è oggi la più
largamente conosciuta e diffusa. Tale tecnica consiste nel portare lentamente al limite delle possibilità di movimento il
segmento corporeo da far lavorare; una volta raggiunto il limite, che dovrà provocare una tensione anche molto elevata
ma senza mai oltrepassare la soglia del dolore, si mantiene la posizione per circa 30 secondi concentrandosi sui muscoli
interessati e sulla sensazione di allungamento, mantenendo al contempo una respirazione regolare.
Vediamo più in dettaglio le modalità esecutive: ogni posizione deve iniziare con una tensione molto lenta (tensione facile)
e va mantenuta per almeno 10”, al fine di consentire nel tessuto connettivo, nel complesso muscolo-tendineo e nella
capsula articolare le trasformazioni che si esplicheranno con un aumento dell’elasticità; successivamente è necessario
allungare ancora i muscoli per circa 30” provocando così un ulteriore aumento della tensione (tensione di sviluppo).
TENSIONE FACILE*
(da mantenere per 10”-20”)
ALLUNGAMENTO (TENSIONE DI SVILUPPO)**
ovvero parte sviluppante dell’allungamento
(da mantenersi per circa 30”)
TENSIONE DRASTICA
(non allungarsi ulteriormente in questa fase)
* La tensione facile riduce l’opposizione muscolare allo stiramento e prepara i tessuti alla fase successiva (tensione di sviluppo.
** La tensione di sviluppo diffonde la sensazione di benessere muscolare e incrementa la sensibilità.
Lo stretching si basa sulla plasticità della struttura connettivale di adattarsi alle modifiche di tensionamento: se la
tensione è bassa la struttura connettivale si accorcia, se la tensione aumenta, tende ad allungarsi. Ovviamente particolare
attenzione va rivolta alla velocità con cui viene portato in tensione il muscolo: un movimento brusco attiverà il
motoneurone del muscolo stirato troppo rapidamente, determinando una contrazione in accorciamento (riflesso di
tensione), cioè l’esatto opposto di ciò che si desidera ottenere.
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Riscaldamento e defaticamento
Il riscaldamento consiste in una serie di esercitazioni e attività che precedono l’allenamento o la
gara allo scopo di preparare l’organismo a sostenere con la massima efficacia le attività che
seguiranno e di prevenire possibili infortuni.
Il riscaldamento si prefigge diverse finalità, che possono essere così sintetizzate:
 adattare l’organismo agli sforzi intensi che vengono richiesti in situazione sia di gara sia di
allenamento;
 facilitare gli scambi gassosi e i processi biochimici a livello muscolare;
 aumentare l’irrorazione sanguigna;
 diminuire il grado di viscosità e gli attriti interni di organi e apparati;
 evitare infortuni di carattere muscolare (ad esempio stiramenti, contratture, strappi);
 evitare infortuni di carattere articolare (ad esempio microtraumi, distorsioni legamentose);
 preparare psicologicamente alla gara o alla seduta di allenamento.
Un riscaldamento adeguatamente condotto, consente di ottenere i seguenti effetti:
 aumento della temperatura corporea che:
 contribuisce alla riduzione degli attriti articolari;
 riduce la viscosità all’interno del muscolo rendendolo più disponibile all’allungamento;
 riduce la viscosità del sangue che può circolare più facilmente anche per l’aumentata
vasodilatazione;
 facilita le reazioni biochimiche che stanno alla base del lavoro muscolare aumentando la
rapidità di contrazione e di rilassamento e migliorandone il rendimento sotto il profilo
energetico;
 aumento della frequenza cardiaca e respiratoria che fa aumentare il volume di aria inspirata e la
circolazione sanguigna;
 aumento dell’assorbimento di ossigeno, poiché all’inizio dell’attività la quantità di ossigeno
che viene assorbita a livello polmonare e muscolare è relativamente bassa, mentre con un
aumento dell’attività raggiunge, dopo qualche minuto, il valore massimo.
Caratteristiche del riscaldamento
Nella conduzione del riscaldamento bisogna tener conto di diversi fattori per ottenere il massimo
beneficio:
 l’atleta esperto ed evoluto adotterà un riscaldamento molto personalizzato, mentre quello di un
principiante sarà più generico;
 la durata può variare in relazione alle condizioni ambientali (per esempio la temperatura
esterna) e al grado di allenamento; un principiante si riscalderà per un tempo più breve rispetto
ad un atleta esperto;
 il tipo di gara o di allenamento che si dovrà affrontare (ad esempio un lavoro prevalentemente
di tipo fisico o prettamente tecnico);
 il lavoro deve risultare progressivamente più intenso;
 la fase introduttiva dovrà comprendere esercitazioni a carattere generale, quali corsa lenta e le
eventuali varianti, esercizi che impegnino in maniera più mirata alcuni gruppi muscolari,
esercizi di mobilità articolare e di stretching;
 la fase specifica che invece comprenderà esercitazioni e attività proprie della specialità: ad
esempio per i giochi sportivi verranno utilizzate esercitazioni con la palla in situazioni che
anticipano il compito successivo, per l’atletica forme di rincorsa o altro a seconda della
specialità.
Bisogna sottolineare che se l’obiettivo fondamentale dl riscaldamento è quello di predisporre
l’organismo alla prestazione successiva, non bisogna dimenticare questa dipenderà dai livelli di
motivazione, attenzione e concentrazione. Dunque la fase di riscaldamento avrà, dovrà avere,
effetti sulle capacità di concentrazione e di controllo delle emozioni.
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Il defaticamento
Al termine di un allenamento sostenuto o di una gara è da considerare con attenzione anche il
ritorno alla condizione di normalità e di rilassamento. A questo proposito si parla di defaticamento,
che ha lo scopo principale di favorire i processi di recupero e di ridurre ed eliminare le tensioni
muscolari e mentali. Si deve ricordare che il debito di ossigeno, soprattutto lattacido, viene smaltito
più rapidamente se ci si mantiene in movimento.
Il defaticamento si basa su esercizi e attività simili a quelle utilizzate nel riscaldamento di tipo
generale, quindi su corsa lenta, esercizi di mobilità articolare e posture rilassanti, stretching,
esercizi respiratori.
I meccanismi termoregolatori nel lavoro muscolare
MECCANISMI PER LA DISPERSIONE DEL CALORE
Anche in condizioni di riposo il nostro organismo produce calore, contribuendo così a mantenere una
temperatura intorno ai 37° C, necessaria per il buon funzionamento delle attività vitali.
Tra il nostro corpo e l’ambiente circostante c’è un continuo scambio di calore che tende verso un
equilibrio termico all’interno del sistema.
Se la temperatura ambientale è compresa tra i 20° e i 25° C, con tassi di umidità relativa adeguati, in
assenza di vento, in condizioni di riposo o di moderata intensità (p.e. camminata lenta in piano), noi
percepiamo un senso di benessere termico perché la dispersione di calore all’esterno del nostro corpo
è compensata dal calore prodotto dal metabolismo cellulare.
In caso di basse temperature ambientali il problema si pone evidentemente nei termini di una
riduzione della dispersione del calore che dovrà essere compensata da un aumento dell’attività fisica,
da un adeguato abbigliamento o da apporto di calore da fonti esterne; ma in questo contesto ci
interessano piuttosto tutti quei fenomeni fisici e fisiologici che consentono al nostro organismo di
mantenere una temperatura ottimale attraverso la dispersione di calore all’esterno del corpo.
I muscoli sono costituiti da cellule che per contrarsi consumano molta energia, producendo anche
calore in quantità proporzionali all’intensità e alla durata del lavoro svolto; dunque i normali
meccanismi di dispersione del calore possono non essere più sufficienti al mantenimento della
temperatura ottimale.
È bene chiarire che i nostri muscoli e tutti i sistemi deputati al movimento funzionano meglio se la
temperatura interna sale di qualche grado rispetto al normale , ma che deve essere comunque contenuta
entro i 40° gradi circa; oltre questo limite si possono creare condizioni di danno anche grave per il
nostro organismo (IL COLPO DI CALORE), perciò è necessario fare in modo che l’eccesso di calore venga
disperso all’esterno dell’organismo.
Ma quali sono i meccanismi che ci consentono di disperdere il calore?
1. Irraggiamento
Ogni corpo caldo emana energia sotto forma di raggi infrarossi, invisibili all’occhio umano; questi
raggi si propagano nello spazio fino a raggiungere altri corpi che li assorbono. È il fenomeno
fisico grazie al quale i sole scalda il nostro pianeta, o possiamo percepire a distanza il calore del
fuoco o di un radiatore. Anche il nostro corpo è soggetto a questo fenomeno.
2. Conduzione
È la propagazione di calore che avviene nei e tra corpi solidi e liquidi; un’asta metallica con la
punta nel fuoco si riscalderà rapidamente per tutta la sua lunghezza, i nostri piedi nudi su un
pavimento in marmo si raffredderanno perché cederanno calore a un corpo con temperatura più
bassa.
Tra tutti i meccanismi è quello che ha minore importanza nell’attività sportiva fatta eccezione per
il nuoto in cui il calore prodotto dall’atleta si disperde per contatto con l’acqua.
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3. Convezione
Lo strato d’aria a contatto con la nostra pelle sottrae calore al nostro corpo, riscaldandosi diventa
più leggera e sale lasciando il posto ad altra aria più fresca che a sua volta si riscalda e comincia a
salire.
I moti convettivi avvengono anche in condizioni di aria stagnante e potremo allora parlare di
convezione naturale; in caso di correnti d’aria, vento, o del corpo che si sposta (di corsa o in
bicicletta) parleremo di convezione forzata.
Questo è uno dei meccanismi più efficienti nella dispersione del calore in particolare quando la
convezione è forzata.
4. Respirazione
Anche attraverso la respirazione polmonare eliminiamo grandi quantità di calore perché,
escludendo condizioni climatiche particolari, inspiriamo aria relativamente fresca e la espiriamo a
una temperatura più elevata; il calore in più è stato sottratto al nostro corpo per il contatto con le
mucose dell’apparato respiratorio e con i polmoni.
In caso di attività fisica di media o elevata intensità, quando aumentano sia la frequenza
respiratoria sia il volume d’aria di ciascun atto respiratorio, la quantità di calore evacuato con
questo meccanismo può assumere un’importanza anche molto elevata.
5. Traspirazione
La nostra pelle, per mantenersi idratata, trasporta in superficie costantemente delle piccole quantità
d’acqua (in relazione alle condizioni di temperatura e umidità ambientali) che evapora
immediatamente sottraendo calore all’organismo. Questo fenomeno spesso passa inosservato (da
qui il termine scientifico di perspiratio insensibilis) perché la caratteristica è il mancato accumulo
di liquidi sulla superficie cutanea.
In certe condizioni climatiche (p.e. caldo secco) questo meccanismo riveste una notevole
importanza.
6. Sudorazione
In condizioni climatiche normali, un individuo in buona salute, a riposo o che svolga una blanda
attività fisica, i meccanismi prima descritti sono di solito sufficienti per mantenere la temperatura
del suo corpo intorno ai valori ottimali. Ma quando la temperatura esterna sale e/o l’attività fisica
si fa più intensa il nostro organismo utilizza un meccanismo che potremo definire di “emergenza”:
la sudorazione. Le ghiandole sudoripare secernono un liquido (costituito per il 99% da acqua e
poco meno dell’1% da sali minerali) che attraverso i pori arriva alla superficie cutanea da dove
evapora sottraendo calore.
È il meccanismo di gran lunga più efficiente, ma anch’esso ha dei limiti di cui bisogna tener conto
per svolgere una sana attività fisica.
Quando le condizioni climatiche sono particolarmente sfavorevoli il sudore, pur prodotto in grandi
quantità può non riuscire ad abbassare la temperatura corporea; e il caso di ambienti poco o nulla
ventilati, con alte temperature e, soprattutto, elevati tassi di umidità relativa. In questi casi il
sudore ha difficoltà a evaporare (perché l’aria è quasi satura d’acqua), perciò la pelle, nel tentativo
di controllare la temperatura, continua a produrre altro sudore che gocciolerà sottraendo solo
piccole quantità di calore in eccesso. È il caso di palestre particolarmente affollate, senza adeguati
sistemi di ventilazione e ricambio d’aria, ma può accadere anche all’esterno in certe giornate
calde, umide e senza vento come spesso capita nei nostri climi.
Il rischio, in questi casi, è che la temperatura salga oltre certi limiti e che l’organismo vada anche
incontro a colpi di calore, a fenomeni di disidratazione per l’eccessiva sudorazione o a crampi e
altri problemi muscolari per la perdita di sali minerali.
È perciò importante, se possibile, rinunciare ad attività intense in condizioni così sfavorevoli e, se
proprio non se ne può fare a meno, è necessario reintegrare prontamente, ancor prima che
intervenga lo stimolo della sete, i liquidi perduti con semplice acqua, ma può essere opportuno
assumere bevande che reintegrino anche perduti con la sudorazione.
La quantità di sudore prodotta da ciascuno è in funzione non solo dei fattori climatici e
dell’intensità del lavoro svolto ma anche delle caratteristiche individuali; l’allenamento non
modifica sostanzialmente l’aspetto quantitativo del sudore ma piuttosto l’aspetto qualitativo: si
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può affermare che un individuo ben allenato suda “meglio” di uno non allenato. Il sudore di un
atleta è infatti più povero di sali, per cui, purché ci sia un adeguato apporto di acqua, questo avrà
meno probabilità di incorrere in tutti quegli inconvenienti dovuti alla carenza di sali minerali
(sodio e potassio in particolare).
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