POLITECNICO DI MILANO II° Facoltà di Architettura di

POLITECNICO DI MILANO
II° Facoltà di Architettura di Milano Bovisa a.a.2004-05
TECNOLOGIA E PROGETTO
DELL’ABITAZIONE NELL’EPOCA CONTEMPORANEA
di Bianca Bottero
Con contributi di:
Anna Delera, Emilia Costa, Luca Maria Francesco Fabris, Gian Luca Brunetti
Redazione di Paolo Carli
1
INDICE:
Premessa…………………………………………………………………………………….pag. 3
0)
Dal mondo della precisione all’universo del pressappoco
(Bianca Bottero)…………………………………………………………………..pag. 4
1)
Il problema della casa nella nuova società industriale.
Domanda di massa, innovazione tecnologica, risposte progettuali.
(Bianca Bottero).……………………………………………………………….…pag. 13
2)
Il passaggio critico alla modernità. L’utopia del METODO.
La posizioni decentrate di Bruno Taut.
(Bianca Bottero)………………………………………………………………..…pag. 24
3)
Aalto, Scharoun, Kiesler: la casa come “luogo dell’abitare”
(Bianca Bottero)………………………………………………………………. …pag. 33
4)
Innesti esemplari.
Dall’America all’Europa e ritorno: Wright, Schindler, Gehry
(Bianca Bottero)………………………………………………………………….pag. 51
ALLEGATO 1…… “Le case ecologiche di Frei Otto a Berlino”
(Anna Delera)…………………………………………………………pag. 62
ALLEGATO 2…… “L’autocostruzione come strumento di progetto nel metodo Segal”
(Luca Maria Francesco Fabris)……………………………………..pag. 67
ALLEGATO 4…… “L’abitazione ed il sole: la ricerca di G.W.Reinberg”
(Gian Luca Brunetti).………………………………………………...pag. 68
Tutte le fotografie, ove non diversamente specificato, sono di Bianca Bottero.
Le immagini 1,2 e 8 del paragrafo su Kiesler sono da
Maria Bottero, L’Infinito come Progetto, edizioni Testo & Immagine, 1999.
Le immagini 1,3,12,13 e14 del paragrafo su Aalto sono da
Alvar Aalto, edizioni Zanichelli, 1989.
In copertina: Frank o. Ghery, Biblioteca Regionale Frances, Hollywood, L.A. 1982 - 1986
2
PREMESSA:
Questa dispensa, (poco più che degli appunti e frammenti di testi ricavati dalle lezioni) è
stata redatta per fornire una guida
all’esame del corso “Tecnologia e progetto
dell’abitazione in epoca contemporanea”
Si è trattato di un corso breve (30 ore) nel quale si è cercato di sondare, attraverso
approfondimenti puntuali su specifici momenti culturali e su singole figure di progettisti, il
percorso che nell’ultimo secolo ha seguito in Occidente l’evoluzione dello spazio abitativo,
a fronte sia dei mutamenti sociali, sia delle innovazioni tecnologiche
A partire dalla rivoluzione industriale, le urgenze quantitative hanno fortemente
condizionato il problema delle abitazioni e inciso in modo determinante sulle scelte
tecniche del suo progetto. Proprio in quanto tale, questo è dunque particolarmente
significativo rispetto ai caratteri, evolutivi o involutivi, dell’architettura contemporanea,
quasi rappresentandone il “banco di prova” rispetto alle scelte espressive via via assunte.
Nel progetto della casa si scontrano infatti, con maggiore evidenza che in altri ambiti, due
aspetti che sono peculiari della modernità: l’aspirazione al futuro, all’inedito, al progresso
sociale e individuale che si esprime come rottura, anche traumatica, col passato da una
parte; la resistenza, la memoria, la valorizzazione della materialità del corpo e del luogo
come identificazione dall’altra. La tensione tra queste due opposte tendenze ha
caratterizzato nell’ultimo secolo e fino ad oggi un bilanciamento/scontro di posizioni, una
dialettica appassionante, ma spesso anche ambigua e priva di riconoscimenti teorici
espliciti e disinteressati. Si pensi solo all’egemonia dell’interpretazione modernista fino
oltre la metà del secolo ( egemonia che ha ogni volta oscurato o travisato posizioni
divergenti o non perfettamente assimilabili) e di contro il succedersi vorticoso, negli ultimi
decenni, di posizioni post-moderniste che, nella pur importante rivendicazione di una
diversa significatività dell’architettura, hanno spesso esaltato di questa soprattutto gli
aspetti linguistici e/o concettuali, di fatto oscurando quanto di socialmente complesso un
progetto dell’abitare, se riletto nella sua intrinseca materialità, poteva e doveva ancora
contenere.
E’ questa complessità che ci interesserà invece cogliere in quei progetti abitativi nei quali
l’istanza di razionalità, così forte nel periodo aureo della modernità, ha lasciato spazio a un
atteggiamento più processuale, più aperto all’evento, alla modificazione, alla
partecipazione dell’abitante, ai condizionamenti ambientali , ai materiali e alle risorse dei
singoli luoghi.
Seguendo questa impostazione, le pagine che seguono abbozzano la rilettura di alcune
proposte e di alcune figure di artisti e architetti del secolo scorso nelle cui opere sono
riconoscibili la volontà e la capacità di esprimere in un progetto coerente sia le potenzialità
di progresso e di emancipazione implicite in una ricerca di nuove modalità e tecnologie
costruttive, sia i valori irrinunciabili che l’abitare rappresenta per ogni individuo, in quanto
azione primaria e fondante – come sostenuto da Heidegger- dell’esistenza stessa
dell’uomo sulla terra.
b.b.
3
CAPITOLO 0:
“Dal mondo della precisione all’universo del pressappoco”
(parafrasi del saggio di Alexandre Koirè:
Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione).
“Il mondo è totalmente connesso. Quale che sia la
spiegazione che inventiamo a un momento dato, essa
rappresenta una connessione parziale; l'efficacia del la
spiegazione deriva dalla ricchezza delle connessioni che siamo
stati capaci di stabilire.” (G. Bateson)
"Noi sperimentiamo in ogni istante, mangiando, camminando,
amando, pensando, che tutto ciò che facciamo è nello stesso tempo
biologico, psicologico, sociale. Eppure, per un cinquantennio, l'antropologia
ha potuto proclamare in maniera ridicolmente pedante, la disgiunzione
assoluta tra l'uomo biologico e l’uomo sociale" (E. Morin)
Queste affermazioni, fra le tante che si potrebbero riportare pronunciate da scienziati
contemporanei, costituiscono un segnale chiaro di come sia mutato l'orizzonte culturale da
quello entro il quale, in epoca moderna, si sono ritagliate e consolidate le diverse
discipline, sia nel campo delle cosiddette scienze della natura, sia in quello delle scienze
umane: sociologia, psicologia e urbanistica e possiamo aggiungere con qualche distinguo,
architettura1. A queste ultime in particolare va ascritto, nei primi decenni di questo secolo,
l'impegno a fondarsi con rigore di metodo pari a quello che, da Newton a Lagrange, aveva
caratteriz-zato e favorito nell'800 progressi incredibili nel campo fisico e meccanico
Analogamente, nel campo delle scienze sociali, tale fondazione pareva dover
necessariamente prendere le mosse da una precisa delimitazione del campo d analisi e
da una altrettanto precisa metodologia che coniugasse, in un quadro di certezze, l'analisi
all'intervento.
Nel campo degli studi urbani ciò comportò, come noto, una drastica semplificazione
dell’oggetto città. Per sottrarla alla sua magmaticità, incontrollabilità, inconoscibilità
(scientifica), la città fu ridotta ad alcuni parametri; si vedano le 4 funzioni propagandate da
Le Corbusier ne La Carta d'Atene (1940): abitare, lavorare, svagarsi, circolare. Alla "strada
dell'asino" degli urbanisti vecchio stile alla Camillo Sitte, che ancora si preoccupavano di
studiare le forme delle città del passato per ricavarne indicazioni, fu contrapposta la strada
diritta, simbolo della razionalità umana. "Le vostre strade tortuose" scrive Le Corbusier "i
vostri tetti spioventi dimostrano pigrizia e sono una vera assurdità ... Tortuosa è la strada
dell'asino, diritta quella dell'uomo. La strada a curve è un risultato arbitrario, frutto del
caso, della noncuranza, di un fare puramente istintivo La strada rettilinea e una risposta a
una sollecitazione, è frutto di un preciso intervento un atto di volontà, un risultato raggiunto
con piena consapevolezza. E’ cosa utile e bella…Chi percorre la Francia in automobile
può trarne una lezione edificante…Le grandi strade di comunicazione corrono diritte a
perdita d’occhio: vanno diritte senza intralci da un punto ad un altro. Le dobbiamo in gran
parte a Colbert. E anche a Napoleone. Ogni tanto si incontra un obelisco con la scritta:
1
Si vedano per un approfondimento della tematica, i seguenti testi: G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984; G. Bocchi e M.
Ceruti (a. cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1987; B Bottero, La casa dopo il modello razionalista, Housing 1, Clup,
Milano, 1987; B. Bottero, II progetto dello spazio collettivo, Hausing 2, Clup, Milano, 1988; J. Bronowski, Le origini della conoscenza e
dell’immaginazione, Newton Compton, Milano, 1980; M. Chiappone, Ambiente, gestione e strategia, Feltrinelli, Milano, 1989; A Koirè,
Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Einaudi, Torino, 1964; C Norberg-SchuItz, L’abitare, Electa, Milano, 1985; M.
Serres, Passaggio a nord-ovest, Pratiche Edizioni, MiÌano, 1985.
4
così ho voluto". E ancora: "Una città!. È l'affermazione dell'uomo sulla natura E’ una
manifestazione della potenza umana contro la natura… L’uomo scalza la natura, la fa a
pezzi, la contrasta, la combatte, vi s'insedia. Opera primordiale e magnifica!"2
In modo analogo, nel progetto dell'abitazione lo sforzo fu quello di espungere ogni
elemento decorativo, personalizzante, in nome di una estetica della serie del grande
numero della industrializzazione che ha il suo slogan nella machine à habiter, altra
immagine propagandistica di Le Corbusier. Così la casa potrà essere progettata con
certezza, secondo modelli basati su dati scientificamente accertati. Tali dati sono i bisogni
dei futuri abitanti di queste case, bisogni che devono essere naturalmente oggettivi e
quindi solo riferiti alle loro dimensioni fisiche e alle funzioni biologiche cui ci si aspetta la
casa debba rispondere È cosi possibile prevedere una quantità specifica di metriquadri (il
minimo vitale o exsistenz minimum) che i diversi locali e l'alloggio nel suo insieme
dovranno assicurare, in modo del tutto omogeneo, ai futuri utenti. È noto come tali modelli
originariamente giustificati dall'enorme fabbisogno di abitazioni a basso prezzo che si
verificò tra le due guerre in tutte le realtà urbane europee facessero riferimento a una
precisa realtà sociale: quella caratterizzata da famiglie operaie recentemente immigrate e
giovani, cui le socialdemocrazie del tempo ritenevano di offrire così, in modo non troppo
dispendioso e compatibile col modo di produzione industriale capitalistico, un mezzo di
emancipazione dalla loro condizione di miseria e di sfruttamento. Cosa che in parte
sicuramente fu anche se uno dei più sensibili architetti dell'epoca, Bruno Taut, già da
allora rilevò l’insufficienza e il paternalismo impliciti in queste proposte che paragonò a una
sorta di "tè di beneficenza dato ai poveri".
L'approccio al problema della organizzazione dello spazio antropizzato che le proposte
sopra segnalate implicavano aveva un carattere insieme utopico e razionale e in quanto
tale - come ha notato Francoise Choay - divenne potente strumento di azione. E più
potente lo diventerà dopo la seconda guerra mondiale, quando la colonizzazione
capitalistica e l'uso speculativo del territorio raggiungeranno dimensioni e intensità mai
verificatesi nel passato. Lo sforzo generosamente impostato negli anni '20 dal movimento
moderno per una fondazione dell'urbanistica e dell'architettura secondo un paradigma
scientifico basato sulla certezza dei dati empiricamente accertati e sulla previsione lineare
del loro sviluppo ha qui un grave fallimento: il risultato è la non-ancora-città e la non-piùcampagna delle nostre periferie, la non-più-città dei nostri centri storici, così come
l'uniformità omologante delle nostre abitazioni. Non solo, ma il mutamento sociale
intervenuto nel frattempo, che ha investito la struttura della famiglia, modificato il rapporto
tra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro, resi obsoleti gli schemi welfaristici di intervento
capillare dello stato per regolare i rapporti interpersonali e le strutture microsociali più
minute, ha messo in crisi anche il modello di riferimento, quella impalcatura di valori sociali
su cui si basava l'ipotesi spaziale del razionalismo.
Siamo dunque all'anno zero, a una crisi radicale del paradigma della modernità e della sua
ipotesi di progresso e di benessere attraverso il controllo scientifico dei dati della realtà e
la progressiva artificializzazione della natura?
In verità, le frasi che ho riportato all'inizio non rinviano a uno scenario di crisi e neppure a
una messa in discussione della scienza. Pronunciate da biologi, epistemologi, fanno
piuttosto riferimento ad una prospettiva di lavoro in cui è lo scientismo tecnocraticomeccanicistico-produttivistico e non la scienza ad essere messa in discussione. Dice
Michel Serres: "La determinazione di un certo stato di cose tra la molteplicità possibile
degli stati stessi si valuta secondo un rapporto tanto vicino a zero da non poter essere
chiamato che improbabilità. Per il fatto che inizialmente la scienza seleziona i suoi
2
Le Corbusier, Urbanistica, trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1966.
5
fenomeni, essa ha per correlato l'improbabile. Il suo oggetto, qui, in primo luogo, non è il
generale, come spesso si dice, ma l'eccezionale. Ed è semplicemente per questo che
essa è ricca di informazione"3
E’ dunque questa la prospettiva, per verità affascinante, che la scienza stessa ci delinea,
ribaltando e negando quelli che sono stati fino a ieri i suoi stessi principi epistemologici,
facendo della complessità, entropia, rischio, differenza i propri oggetti principali di studio.
Non solo, ma attraverso il rispetto della finitezza e aleatorietà del punto di vista umano, la
scienza si riappropria di una dimensione che apparentemente le era estranea: quella
dell'immaginazione e dell'esperienza estetica. Scrive Bateson: "Questo libro è costruito
sull'opinione che noi facciamo parte di un mondo vivente... Oggi una simile dichiarazione
suscita nostalgia: la maggior parte di noi ha perso quel senso di unità di biosfera e
umanità che ci legherebbe tutti in un'affermazione di bellezza... Abbiamo perduto il
nocciolo del cristianesimo. Abbiamo perduto Shiva, il dio danzante dell'Olimpo induista, la
cui danza è insieme creazione e distruzione, ma nella totalità e nella bellezza. Abbiamo
perduto Abraxas, il dio bello e terribile del giorno e della notte dello gnosticismo. Abbiamo
perduto il totemismo, il senso del parallelismo tra l'organizzazione dell'uomo e quella degli
animali e delle piante. Abbiamo perduto persino il Dio che Muore... Io mi attengo al
presupposto che l'avere noi perduto il senso dell'unità estetica sia stato, semplicemente,
un errore epistemologico"4.
In questo contesto culturale è mia opinione che l'operazione progettuale possa tornare ad
acquisire una dimensione ricca di contenuti scientifici ed estetici, possa tornare ad essere,
cioè, un luogo di ricerca e di esperienza reali che coinvolge contemporaneamente tecnico
e utente secondo un concetto di partecipazione che ha ben più a vedere con quello
elaborato molti anni fa in campo fisico da Heisenberg attraverso il principio di
indeterminazione che non con quello burocratico-amministrativo propinatoci dalle nostre
municipalità.
Nel campo del progetto e, prima ancora, dell'idea dell'abitazione questo atteggiamento
culturale può essere colto in alcuni sintomi che, in modo non sistematico, ma preciso e
ricorrente, possiamo individuare nelle ricerche e nelle proposte progettuali degli anni più
recenti. Notiamo in particolare:
--
una minore rigidità degli schemi abitativi nella definizione degli spazi-funzione sia a
livello tipologico che morfologico. L'alloggio non viene più pensato solo in relazione ai
ruoli domestici, familiari o, come si dice, riproduttivi, ma in esso si ripresentano
esigenze d'uso più complesse e intrecciate, di natura anche produttiva, legate al
maggior tempo libero dal lavoro di fabbrica o di ufficio e alla tendenza ormai diffusa a
spenderlo in attività che potrebbero essere definite di autoproduzione...Lo spazio dei
locali tende a farsi più flessibile e polifunzionale. Si abbandonano le ingegnerie
tipologiche, a incastri rigidi, così come le soluzioni formali enfatiche e definitorie in
favore di un linguaggio più disteso e aperto, processuale, più adattabile alle esigenze
degli utenti e alle configurazioni dei luoghi;
—
una minore rigidità tecnologica, con la sostituzione ai sistemi hard di sistemi soft,
più facilmente modificabili, appropriabili dagli utenti (anche in forme di parziale
autocostruzione), nell'applicazione dei quali l'azione del tecnico-architetto non si risolve
una volta per tutte nel progetto, ma viene continuamente implicata nel processo
costruttivo concreto: il progettista non è neutrale, ma partecipa all'esperimento (in
analogia col principio fisico dell'indeterminazione): è cioè, disponibile a mettere in
3
4
M.Serres, Passaggio a nord-ovest, trad. it. Pratiche Edizioni, Milano, 1984.
G Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1981, pp. 33-34.
6
discussione il suo sapere, sia in riferimento alla geometria degli spazi, sia in riferimento
alla conoscenza dei materiali e delle loro leggi di assemblaggio, struttura, dura-ta,
qualità di comfort ambientale e psicofisico: aspetti questi che la con-troinformazione
ecologica viene sottoponendo a verifiche sempre più attente e puntuali;
—
una minore rigidità nelle scelte localizzative. Il rapporto coi luoghi, la coscienza che
il territorio è una risorsa scarsa, l'interesse per il recupero e la rivitalizzazione dei nuclei
storici e delle aree urbane investite da processi di deindustrializzazione e di
obsolescenza, la nuova sensibilità ai problemi impiantistici entro il corpo urbano, legati
ai fabbisogni energetici, di smaltimento dei rifiuti, di approvvigionamento idrico: tutti
questi elementi si costituiscono come determinanti nelle decisioni di localizzazione
della residenza urbana, sia in quanto vincoli, sia in quanto in sé propositori di soluzioni
adattate, che deformano salutarmente i modelli insediativi precostituiti, tramandati dalla
disciplina.
E’ a partire da questa consapevolezza (che ha dato luogo anche a numerosi movimenti
politici e che rappresenta ormai campo di ricerca privilegiato e fondamento all'impegno
normativo e amministrativo di gran parte dei paesi nord-europei), che anche l'architettura
apre un contraddittorio con se stessa e coi propri presupposti disciplinari. Ed ecco qui
delinearsi un nuovo paradigma costruito a partire dal recupero di tecniche, modi costruttivi,
materiali propri ai singoli luoghi: nell'ipotesi di tornare a una sorta di autosufficienza locale
(sustainable environment) da intendersi non come chiusura autonomistica ma — contro la
utopica pretesa razionalista di organizzare il territorio secondo un piano nel quale le
diverse attività venivano isolate, articolate e specializzate nelle diverse 'zone funzionali' —
come formazione di parti in sé portatrici della complessità (in modo analogo alle cellule
che già contengono, come informazione genetica, tutte le qualità che comporranno
l'organismo adulto) e connesse al tutto attra-verso una logica non giustappositiva, ma
ciclica.
È in riferimento alla 'organicità' implicita alla sua logica costruttiva, compositiva e ideativa
che questo indirizzo di ricerca prende il nome di bio-architettura o architettura bio-logica. Il
quale da minoritario (ricordiamo che esso è uno degli aspetti del complesso movimento
controculturale americano degli anni '60-'70) ha acquistato nell'ultimo decennio nuove
valenze e nuova autorevolezza col suo diffondersi, come si diceva, nell'area nordeuropea. Di qui anche il rafforzarsi e il diffondersi di una nuova estetica, fondata sulla
organicità e materialità dei pro-cessi costruttivi anziché sulla loro mimetizzazione,
artificializzazione e astrazione; sulla processualità dell'evento architettonico (lo spazio
contenitore di tempo compresso, secondo la bella definizione di Gaston Bachelard) e sulla
sua contaminazione da parte di chi ne fruisce anziché sulla perfezione del 'prodotto finito,
chiavi in mano'. E il territorio, da piatto e bidimensionale come una foto-copia quale si
presenta in genere sui tavoli degli urbanisti e degli architetti, torna a presentarsi come un
luogo affascinante e misterioso, da conoscere nelle sue irre-golarità, nei suoi meandri e
nella sua storia prima di azzardare un segno. Il costruire torna così ad essere una
avventura quasi iniziatica, i soggetti tornano a caricare di valore gli oggetti e questi
acquistano così un nuovo spessore semantico; gli oggetti stessi, in quanto materia ed
energia istituiscono una relazione con i soggetti che li costruiscono e li abitano e di questi
tra loro.
Figure 1 – 4: Georg W.Reinberg, Edificio BIOTOP, Austria, 2003
7
1
2
8
3
.
4
9
Figura 5: tetti verdi a Berlino. Autocostruzione ed ecologia, 1988
5
Figura 6,7,8: Floride, Amsterdam 2003. Sperimentazioni di nuove ed antiche tecniche costruttive
10
6
7
11
8
Figura 9: Finlandia, 1992, casa sperimentale solare
9
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
-
Bianca Bottero, “ Dal mondo della precisione all’universo del pressappoco” in
Progettare e costruire nella complessità , Liguori, Napoli,1993, 2002,pp39-50
Bianca Bottero, “ La bioecologia nel campo dell’architettura: proposte per un nuovo
paradigma” ib , pp. 11-18
12
CAPITOLO 1:
Il problema della casa nella nuova società industriale. Conflitti, dibattiti,
proposte riformistiche. Domanda di massa, innovazione tecnologica,
risposte progettuali.
A partire dalla fine del secolo XIX , a seguito delle profonde trasformazioni
dell’organizzazione produttiva, delle modalità di lavoro e della distribuzione spaziale delle
popolazioni nell’occidente industrializzato, il tema della casa, e in particolare della casa
urbana per i ceti sociali più modesti, viene per la prima volta assunto come momento
importante di riflessione progettuale.
Nel fare ciò la cultura tecnica e disciplinare interviene in un settore, o meglio, potremmo
dire, in un ambito di esperienza estremamente delicato, fino ad allora espressione diretta,
e diversificata, dei diversi modi di vita degli individui e dei gruppi sociali; nel quale, anche,
le tecniche costruttive – e le conseguenti articolazioni spaziali e linguistiche- rispondevano
a canoni fortemente condizionati e connotati dalle risorse economiche e produttive dei
diversi contesti.
Questo intervento è graduale. In una prima fase si limita a una razionalizzazione
economico – produttiva, da parte soprattutto di imprenditori privati o igienico-edilizia da
parte di associazioni filantropiche o statuali. Le innovazioni non introducono un
cambiamento vistoso nelle forme edilizie e nel linguaggio tradizionale.
Un esempio può essere fatto in relazione all’evoluzione del cottage nell’Inghilterra del
secondo ‘800.
Dai modi insediativi operai nella Londra della prima metà dell’’800 con le famigerate
abitazioni back-to-back ( dorso a dorso) si passerà così a quelle fornite sul retro di una
piccola corte a seguito dei vincoli imposti dalle prime leggi sanitarie inglesi (Health’s
Acts).( 1,2,3)
I riformatori più attenti intervengono sul progetto della casa sfruttando le nuove
acquisizioni tecniche. L’architetto Henry Roberts mette a punto il “Cottage modello”,1950
(5,6,7) dove sono apportate importanti innovazioni costruttive, come i solai non più in
legno, ma in ferro e laterizio e la concentrazione degli scarichi delle acque nere e grigie e
dei rifiuti in una sorta di “vano tecnico” posto al centro dell’edificio, comune alle quattro
abitazioni. L’arretramento creato dalla loggia e dalle scale aperte consente inoltre
l’areazione dell’acquaio e del piccolissimo w.c. Questo è anche il primo esempio di
divisione funzionale tra le diverse camere da letto: tra figli, maschi e femmine, e tra questi
e i genitori. Anche il blocco edilizio in Streatham Street a Londra , sempre dovuto a
H.Roberts, 1848-50 (8,9,10), presenta importanti innovazioni. Qui H.R., utilizzando la
distribuzione a ballatoio degli alloggi (10 per piano su cinque piani) riesce a dare riscontro
d’aria a tutti gli alloggi sfuggendo contemporaneamente alla “tassa sulle finestre”, balzello
allora praticato su tutte le costruzioni, ma che risultava molto penalizzante ove si aveva(
come nelle case economiche popolari) la necessità di molte aperture su strada data la
piccolezza dei vani
I vari interventi di riforma dello Stato hanno spesso anche caratteri altamente repressivi. A
tale atteggiamento reagiscono scrittori e filantropi come H.Pugin che nei suoi Contrasts
contrappone la vita pubblica nelle moderne città a quella propria alla antica civiltà
medievale (10, 10a, 11,11a)
Il progresso tecnico avanza e agisce anche in modi obliqui sul costume abitativo della
popolazione. Mentre le case alto borghesi si arredano attraverso rinnovate modalità
decorative ( qui l’interno di una casa della borghesia vittoriana con le tappezzerie su
disegno di William Morris (12, 13) ) l’architetto John Claudius Loudon intuisce l’importanza
commerciale crescente della “casa di massa”, accessibile a ceti economicamente modesti;
13
fornisce quindi attraverso un manuale, soluzioni standard copiabili secondo personali
esigenze e gusto, in stile gotico, neoclassico, arabo, “castellato”…(15) Egli stesso inoltre,
costruisce interessanti prototipi di case bifamiliari che riproducono il “decoro” del
palazzetto signorile, quale la casa bifamiliare a Londra del 1838. L’edificio è tuttora
esistente in Porchester Terrace, Bayswater (14). Vengono anche immaginate e pubblicate
nuove proposte per ammobiliamenti economici nei quali non manchi il
decoro…(16,17,18,19)
Un episodio interessante è, tra il 1892 e il 1900, il risanamento da parte del London
County Council ( la Municipalità di Londra allora retta da forze socialiste) del quartiere
dell’Old Nichol, a Bethnal Green, reso famoso come covo di ladri e accattoni da un
romanzo dell’epoca.(20). Abbattuti i tuguri che lo formavano ( e dai quali gli abitanti
emigrarono per altri slum), furono ricostruiti grandi, dignitosi, un po’ cupi caseggiati in stile
neoromantico, il cui particolare pregio fu l’avere creato uno spazio esterno, l’Arnold Circus,
piazza pubblica di grande dignità urbana. ( 20, 21, 22, 23, 24)
Figure 1 - 3: condizioni abitative nella Londra dell’Ottocento
1
2
3
14
Figura 4: interventi di riforma con prime progettazioni abitative per lavoratori soli
4
Figure 5,6,7: Henry Roberts, “Cottage modello”, 1850
15
5
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7
16
Figure 8 e 9: Henry Roberts, blocco edilizio in Streatham Street, Londra
8
9
17
Figure 10 e 11: H. Pugin, “Contrasts”: l’aspetto repressivo delle istituzioni pubbliche dell’epoca
viene paragonato con le forme dell’organizzazione sociale medievale.
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10 a
11
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Figure 12 e 13: William Morris, disegni di interni per case borghesi del periodo Vittoriano
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13
19
Figure 14: John Claudius Loudon, edificio in Porchester Terrace, Bayswater
Figure 15: John Claudius Loudon, stili edilizi presentati in manuali popolari
15
20
Figure 16– 19: proposte per ammobiliamenti pubblicate su giornali popolari
16
17
18
19
21
Figure 20 – 24: London County Council, intervento di risanamento di un slum a Londra,
20: lo slum old Nichol
21: il quartiere risanato attorno all’Arnold Circus
22
Figure 22– 24: London County Council, gli edifici del nuovo quartiere attorno all’Arnold Circus
22
23
24
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
-
Bianca Bottero, “La tecnologia nel progetto urbano e di architettura”, Dipartimento
3, dispensa n.107, aa.2.000/2001
Enzo Frateili, Andrea Cocito, Architettura e comfort. Il linguaggio architettonico
degli impianti, Clup, Città Studi, Milano, 1991
23
CAPITOLO 2:
Il passaggio critico alla modernità. L’utopia del metodo.
La posizione decentrata di Bruno Taut
Attraverso lo zoning, cioè la divisione dello spazio in aree funzionali specializzate i
razionalisti tentarono di ridurre la complessità urbana in termini disciplinarmente
padroneggiabili e progettabili. Ogni zona funzionale, infatti, corrispondente ad una
specifica funzione poteva essere studiata e progettata in sé e solo successivamente
ricomposta nell'organismo urbano complessivo .A partire dal controllo dell’ espansione dei
centri urbani nella regione (1) si ha la separazione delle funzioni (2); il centro si separa dai
nuclei residenziali periferici (3-4); i nuovi quartieri (Siedlungen) vengono impostati secondo
la regola dell’asse eliotermico e si rendono autonomi dalla morfologia del tessuto (5-6)
Questo procedimento viene particolarmente approfondito per quanto riguarda la funzione
abitativa, ed è sicuramente in tale settore che si hanno i risultati più innovativi del metodo
razionalista oltre che le più consistenti sperimentazioni. Tra gli anni '20 e '3O (cioè tra la
fine della 1° guerra mondiale e negli.anni più duri del dopoguerra e la crisi economica del
'29) in tutti i paesi europei industrialmente avanzati si registra un progressivo crescente
impegno dello Stato e delle Municipalità nel settore dell'edilizia popolare. Spingono in
questa direzione non solo la maggiore forza contrattuale e politica dei lavoratori, ma gli
stessi interessi industriali, che non possono che auspicare un miglioramento delle
condizioni di vita della forza-lavoro.
Figure 1 – 2: le ipotesi per la razionalizzazione della città negli anni venti
1
2
Figure 3 – 4: il centro si separa dai nuclei residenziali periferici
3
4
24
E’ all’interno di questo compromesso (particolarmente perfezionato in Germania e nei
Paesi Bassi) che la metodologia razionalista avrà modo e materia per precisarsi e
sperimentarsi. E’ infatti nei grandi quartieri periferici (cui partecipano tutti i principali
giovani architetti della avanguardia razionalista) e non certo nelle nella progettazione di
piccole operazioni interne al contesto storico cittadino (dove sono necessari rigorosi
adattamenti alla morfologia del tessuto e i condizionamenti economico-speculative sono
violenti) che la programmazione e la produzione dell'alloggio, dell'edificio, del quartiere
possono avvenire in sequenze rigorose e controllate, con il massimo di libertà nella
ideazione degli assetti tipologici e spaziali; libertà naturalmente vincolata all’imperativo
economico e quindi orientata non solo alla definizione del progetto, quale era ancora
tradizionalmente inteso, ma del programma: programma di modi di vita, e programma di
modi produttivi e conseguentemente, delle tipologie degli alloggi e delle tipologie degli
edifici.
L’utopia del metodo
In sostanza il metodo prevede lo studio, tipologico e tecnologico di:
- la cellula abitativa, basata sulle funzioni riproduttive minime del nucleo familiare
(riposare, mangiare, riprodursi)
- l'edificio, come aggregazione razionale di cellule di diverse dimensioni;
il quartiere come insieme organico di edifici, più alcuni servizi comuni, quali asili,
lavanderie, etc.;
- la città come insieme di zone funzionali (centri direzionali residenza, verde, industrie e
laboratori artigianali) legate da un coerente sistema di circolazione.
Questo procedimento porta a una sorta di meccanizzazione del procedimento progettuale
che, da azione sintetica ( legata a figure e immagini emergenti anche da un bagaglio
storico e culturale) tende a diventare operazione analitica e additiva di parti singolarmente
studiate. "Ancora oggi", afferma Ernest May al Convegno di Francoforte nel '29, "per molti
architetti è straordinariamente difficile comprendere che, nel costruire abitazioni, non
devono essere assolutamente considerati come compiti principali l'aspetto esterno
dell'edificio e l'articolazione della facciata, ma che l'essenza del problema è costituita dalla
singola unità di abitazione.
Figure 5 e 6: i nuovi quartieri (Siedlungen) vengono impostati secondo la regola dell’asse
eliotermico e si rendono autonomi dalla morfologia del tessuto.
25
5
6
Nei quartieri operai di J.J.P.Oud a Rotterdam è evidente, per esempio, come, anche entro
una complessiva coerenza linguistica, si determini il passaggio da forme insediative
ancora chiuse a formare una corte, come nel quartiere Spangen, 1918-19 ( 7) o attente a
modalità costruttive tradizionali come in Oud Mathenesse, 1923 ( 8,9,10) a sistemi
insediativi più rigorosamente razionali come nell’ Hoek Van Holland, 1924-27 ( 11,12,13)
e soprattutto nel villaggio operaio Kiefhoek, 1925-30 (14, 15).
Figure 7 – 17: i quartieri operai di J.J.P.Oud a Rotterdam
7: quartiere Spangen (1918 – 1919)
8: quartiere Oud Mathenesse (1923)
9 e 10: quartiere Oud Mathenesse (1923)
26
11
11, 12 e 13: quartiere Hoek Van Holland, 1924-27
14 e 15: villaggio operaio Kiefhoek, 1925-30
27
La posizione decentrata di Bruno Taut
Se gli aspetti di metodo sono sicuramente quelli che più hanno determinato la sua
influenza sulla architettura e l'edilizia degli ultimi decenni il movimento razionalista
contiene, a volte occultato, anche un forte nocciolo espressivo che carica per esempio di
tensione le proposte per "un grattacielo di vetro" e il monumento a Karl Liebknecht" e
Rosa Luxemburg di Mies Van de Rohe, gli schizzi tracciati in trincea da Eric Mendhelson, i
quadri e i disegni di Franz Marc, le "architetture alpine" di Bruno Taut.
Nato a Konisberg nel 1880, Bruno Taut lavora dal 1900 al 1909 presso lo studio
professionale di Bruno Moring a Berlino e di Theodor Fisher a Stoccarda. La serie di
disegni "La dissoluzione delle città" costituisce una sorta di sintesi delle sue aspirazioni
giovanili ed insieme una anticipazione formale di quelli che ne saranno i successivi, più
controllati sviluppi. Dalle prime idee e schizzi (16) e interventi architettonici come la Casa
di vetro (17, 18) appare evidente la forte idealità e carica utopica, che porta T. a cercare,
nelle esperienze spaziali anche a grande scala le connotazioni organiche, le morfologie
naturali , le forme inclusive(19, 20).
Il periodo di più intensa attività di Taut come architetto ha inizio nel 1921, quando viene
chiamato a Magdeburgo dall'amministrazione socialista della città, come assessore
all'edilizia. Pieno di entusiasmo per le possibilità concrete di intervento che l’incarico gli
offre, Taut chiama a collaborare con lui molti noti artisti, urbanisti, architetti e pittori di
avanguardia. Sulla rivista Frülicht, da lui diretta negli anni precedenti e che riprende ora le
pubblicazioni, rende note alla Germania progressista il senso delle sue ricerche e delle
sue esperienze. Malgrado le difficoltà economiche gravi, legate alle conseguenze della
guerra e della sconfitta, Magdeburgo diviene così in questi anni un luogo di notevole
elaborazione teorica, più vivace ed importante della stessa Berlino. E' in questo periodo
che una serie di ipotesi espressive di Taut,prima avanzate in termini di puro spunto
formale, trovano modo di concretizzarsi assumendo, senza perdere la carica utopica,
precisi vincoli funzionali. Importante in questo senso è il Padiglione Stadt und Land (Città e
Campagna), da adibirsi a fiere e mostre ed anche a manifestazioni artistiche e sportive.
Qui la forma romboidale della pianta si ripropone (nel primo, più interessante progetto)
anche nell'andamento delle capriate nervate di copertura, che modulano lo spazio in
differenti altezze, consentendo l'immissione di luce lungo tutta la costruzione: la luce,
questo elemento così importante nell'architettura di Taut.
Ed ecco, infine, il periodo berlinese. Su indicazione di Martin Wagner, Taut viene chiamato
a dirigere la Compagnia Edile Economica per Case di Utilità Sociale (Gehag) e con questa
società e con altre Cooperative operaie (che resteranno sempre le sue dirette committenti)
Taut realizza in pochi anni più di 10.000 alloggi, una quantità che raramente è stata data a
un solo architetto da progettare(21, 22). Tra il 1925 e il 1933, Taut darà così il massimo di
sé nella costruzione di numerosi quartieri popolari nei quali, pur costretto a sistemi edilizi
economici (Taut non ricorrerà però mai, come invece fu un punto d’onore di Ernst May a
Francooforte, alla prefabbricazione, ma utilizzò ancora tecniche costruttive tradizionali,
appartenenti alle competenze delle cooperative operaie cui faceva riferimento) e alla
creazione di alloggi di serie, non rinuncerà mai a dare con la casa “qualcosa di più”,
perché l’offerta di alloggi economici non risultasse “un tè di beneficenza dato ai poveri”. Di
questa impostazione è esempio mirabile il grandioso insediamento Berlino-Britz, 1925-31
(1.000 alloggi, di cui 480 in case unifamiliari) di cui parte centrale, il famosissimo “ferro di
cavallo” costituisce il fulcro formale, la sintesi espressiva, ma contemporaneamente,
l’ipotesi sociale5. (23 - 32)
5
E’ interessante che nelle recenti esperienze dell’IBA berlinese negli anni ’80, pur con tutt’altro linguaggio il tema dello spazio
interno viene ripreso nell’uso alternativo delle corti.
28
La figura e l’opera di Bruno Taut furono, fino agli anni ’60, molto sottovalutate dalla critica
architettonica internazionale: un loro pieno e importante apprezzamento si avrà solo, in
Italia, con gli studi di G.H. Konig, entro la generale rivalutazione dell’espressionismo
nell’ambito culturale fiorentino di quegli anni.
Figure 16 – 26: Bruno Taut, schizzi e progetti
17 e 18: Casa di vetro
16: schizzi per Architettura Alpina
29
19 e 20: il nucleo centrale come matrice morfologica dello spazio abitato
21
21 e 22: il quartiere Britz all’epoca della costruzione
30
23
24
23, 24, 25, 26, 27: viste interne del “ferro di cavallo”
27
28: la striscia colorata delle
scale dall’esterno
31
29
30
28, 29, 30, 31 e 32: viste esterne del quartiere Britz
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
-
Bianca Bottero, “La tecnologia nel progetto urbano e di architettura”, Dipartimento
3, dispensa n.107, aa.2.000/2001
Bianca Bottero, “L’abitazione dopo il modello razionalista” in Housing 1, Clup,
Milano, 1987, pp.151-190
Enzo Frateili, Andrea Cocito, Architettura e comfort. Il linguaggio architettonico
degli impianti, Clup, Città Studi, Milano, 1991
Bruno Taut, La corona delle città, introduzione di Ludovico Quaroni, Mazzotta,
Milano, 1973
32
CAPITOLO 3 :
Alvar Aalto, Hans Scharoun, Frederick Kiesler:
la casa come “luogo dell’abitare”
Ha scritto in un famoso saggio Martin Heidegger:
“…Noi cerchiamo di riflettere sull’essenza dell’abitare. Il passo successivo su
questa via dovrebbe essere: che ne è dell’abitare nella nostra epoca
preoccupante? Si parla dovunque e con ragione della crisi degli alloggi. Non
solo se ne parla; vi si pone mano per ovviarvi. Si cerca di vincere la crisi
attraverso la produzione di abitazioni, incoraggiando le costruzioni, pianificando
l’edilizia. Ma, per quanto dura e penosa, per quanto grave e pericolosa sia la
scarsità di abitazioni, l’autentica crisi dell’abitare non consiste nella mancanza
di abitazioni. La vera crisi degli alloggi è più vecchia delle guerre mondiali e
delle loro distruzioni….La vera crisi dell’abitare consiste nel fatto che i mortali
sono sempre ancora in cerca dell’essenza dell’abitare, che essi devono
anzitutto imparare ad abitare”
(“Costruire, abitare, pensare”, in Saggi e discorsi, 1950)
1. Alvar Aalto
Per la posizione geograficamente “ decentrata” in cui svolse la sua attività ( egli. non si
allontanò mai dalla sua natia Finlandia) Alvar Aalto poté svolgere nel panorama
dell’architettura moderna europea – cui pure aderì partecipando ai CIAM del 1929 a
Francoforte e del 1930 a Bruxelles - un ruolo in certo senso libero da “vincoli”
programmatici e più facilmente contaminabile da regole intrinseche a una tradizione
costruttiva locale. Pur non assumendo posizioni esplicitamente polemiche coi Maestri del
razionalismo europeo, dei quali era più giovane di circa dieci anni, Alvar Aalto. mostrò
chiaramente la sua diversa impostazione metodologica nell’affrontare il tema della casa e
in genere dei luoghi per l’abitare, come, per esempio, i numerosi edifici pubblici (scuole,
sale per conferenze, chiese) per i quali valeva per lui la stessa regola, la stessa strategia
progettuale che come per il progetto dell’abitazione, partiva dalla definizione ‘amichevole’
dello spazio interno. Alla ‘casa-macchina’ Aalto contrappone così ‘la casa-che-cresce’,
intrinsecamente organica ( vedremo che simile sarà la posizione di Schindler) e allo Stile
Internazionale antepone lo studio attento delle atmosfere, dei materiali e delle risorse dei
propri paesaggi. Citiamo solo: la Biblioteca a Viipuri del 1932, dove l’attenzione alla buona
distribuzione della luce e del suono diventa strategia formale (A.1-5); la residenza estiva a
Muuratsalo, del 1951, dove l’attenzione al luogo in senso proprio si esprime in una
inesausta sperimentazione sull’uso di materiali, dei rivestimenti, delle definizioni spaziali
(A.6,7,8,9,10,11,12).Ma, specificamente rispetto al progetto di abitazioni andrebbe citato
l’edificio multifamiliare al quartiere Hansa Viertel a Berlino, del ’57 (21), le case operaie a
Kauttua ( A.17 – 20)
33
1.1 Biblioteca a Viipuri (Concorso 1927. Costruzione 1930 – 1935)
Qui l’attenzione di Alvar Aalto per gli aspetti fruitivi, cioè l’abitabilità degli spazi anche non
di abitazione appare nella cura del controllo luminoso ed acustico delle sale oltre che nella
mirabile fluidità degli spazi.
Figure 1 – 5.
1: studio sulla captazione della luce
2
34
3: studio della riflessione acustica.
4
5
35
1.2 Residenza estiva dell’architetto a Muuratsalo ( 1951 )
L’attenzione di Alvar Aalto al luogo, in senso proprio, cioè per il colore, i materiali, la spiritualità, si potrebbe
dire: del luogo, uniti alle forme più domestiche e d’uso, appare in tutta evidenza nella costruzione della sua
residenza estiva a Muuratsalo (1951) che egli usò anche per sperimentazioni concrete sul valore decorativo
delle tessiture dei mattoni, della loro coloritura, etc.
Figure 6 – 11.
6
7 e 8: l’importanza della definizione di una corte nell’idea spaziale
9 e 10: la decorazione della tessitura
11: la sauna finlandese
36
1.3 Sanatorio antitubercolare a Paimio ( Concorso 1928. Costruzione 1929 - 1933 )
In questo splendido edificio, nel quale si esprime l’incondizionata adesione di Alvar Aalto ai canoni del
modernismo ed alle sue avventure tecnologiche [tetto piano, struttura in c.a. con grandi vetrate…], appare
comunque evidente l’attenzione amorosa al comfort per gli abitanti: i malati.
È noto che, per esempio, Aalto dipinse di colori vari i soffitti (rifiutando il “tutto bianco” del
modernismo) sostenendo che così si rallegrava la vista di chi per la maggior parte del suo
tempo si trovava in una posizione supina.
Figure 12 – 15.
12
37
13
38
14
15: atrio
16: lavelli nelle camere
39
1.4 Case per operai a Kauttua ( 1937 - 1940 )
Una tipica espressione della “casa che cresce” rispetto alla “macchina per abitare”
secondo il fortunato slogan di Le Corbusier.
Figura 17
17
18
19
40
20
1.5 Edificio residenziale per il quartiere Hansa, Berlino ( 1955 - 1957 )
La generale disposizione planimetrica consente un’eguale qualità delle opportunità fruitive
[ogni appartamento ha una loggia capace di ospitare un tavolo da pranzo; ogni alloggio
gode di una doppia esposizione] per i diversi alloggi in un’estrema economia degli spazi di
distribuzione: su otto alloggi per piano (di tagli diversi) solo due scale e due “pianerottoli”,
che in realtà, essendo illuminati e di superficie ampia, diventano quasi spazi di soggiorno
ai vari piani.
Figura 21
21
41
2. Hans Scharoun
Vive la sua lunga stagione artistica e professionale in piena simbiosi, si può dire, con le
drammatiche vicende tedesche e centro europee del secolo trascorso.
Nato a Brema nel 1893, si trasferisce presto a Berlino, dove risiederà e opererà fino alla
morte qui avvenuta nel 1972. Partecipa quindi, tra la fine degli anni ’10 e la metà degli anni
’20 alla ricerca etico-estetica delle avanguardie artistiche berlinesi del Nevembergruppe e
del Ring, da cui anche la sua affinità alla poetica del grande amico Hugo Haring. Sensibile
alle ricerche espressioniste delle quali la Torre Einstein ( Postdam, 1920-24) di Erich
Mendelsohn è una sorta di manifesto (S.1), S. partecipò all’esposizione internazionale Die
Weissenhof-siedlung organizzata da Mies van der Rohe a Stoccarda nel 1927 (S.2) con
un edificio (S.4) che mostrava la sua divaricazione dal linguaggio razionalista più
accertato, quale espresso dall’edificio di Le Corbusier (S.3). Sarà poi vicino agli architetti
del movimento razionalista coi quali collaborò , nel fervido decennio della repubblica di
Weimar , alla progettazione dei famosi quartieri operai (Siedlungen) che tanta influenza
ebbero sugli sviluppi dell’architettura moderna. Sua fu in particolare la soluzione
planimetrica adottata per il quartiere Siemensstadt, 1927-30, entro il quale S. costruì
anche una serie di edifici (S.5-10) ) nei quali si coglie la tensione dinamica che egli vuole
affidare ai suoi involucri edilizi. Nel secondo lotto, realizzato negli anni ’50 (S.11-14), la
concitazione della facciata, data dal nervoso andamento delle logge, nega qualsiasi
appagamento compositivo statico. Durante il nazismo S. non si allontanerà dalla
Germania, a differenza di quasi tutti gli altri architetti e artisti d’avanguardia, invisi al
regime in quanto sospettati di bolscevismo e inoltre, molto spesso, ebrei. Privato però di
commesse pubbliche, lavorerà appartato, producendo d’altronde una serie di bellissime
ville per amici nei dintorni di Berlino, nelle quale mette a punto, in forma quasi
sperimentale, la sua idea dello ”spazio connettivo” che lega in forma organica le varie parti
funzionali dell’edificio. Nel dopoguerra, fu in un primo periodo nominato Stadtbaurat di
Berlino e fece numerosi progetti per la ricostruzione della città, nei quali si ritrova, ad altra
scala, il suo concetto di “spazio connettivo”, fluido elemento verde sul quale si agganciano
i diversi, monumentali edifici . Dopo la costruzione del Muro nel 1957, si limitò a svolgere,
nella Berlino ovest, la propria attività professionale il cui culmine artistico sarà
rappresentato dalla Filarmonia (1957-1963). Per S. non esiste “la facciata”: nella
Filarmonia, per esempio, ci si trova di fronte a un oggetto di aspetto quasi improbabile,
una sorta di nave galleggiante sulla piastra del Kultur Forum berlinese, ormeggiata
accanto all’impeccabile, terso volume del Museo per l’Arte Contemporanea di Mies van
der Rohe (S.13, 14). Il volume della Filarmonia è invece tutt’altro che impeccabile, sembra
definito da piani quasi accatastati in modo provvisorio, a contenere la fluida ricchezza
spaziale, luminosa e sonora degli spazi interni (S.15-18).
1: Osservatorio Einstein a Postdam di Mendelson
42
2: manifesto di Karl Straub del Weissenhof Siedlung di Scharoun.
3: Weissenhof, edificio di Le Corbusier
4: Weissenhof, edificio di Scharoun
43
5, 6, 7, 8 e 9: Siedlung Siemensstadt 1 (1928 – 30)
7
8
9
44
10, 11 e 12: Siedlung Siemensstadt 2
12
45
13 e 14: Mies Van der Rohe, Galleria Nazionale, Berlino
15 e 16: Filarmonica di Berlino, il volume esterno
17 e 18: Filarmonica di Berlino, l’atrio.
46
3. Frederick Kiesler
E’ un prezioso dono della Mittel Europa agli Stati Uniti d’America. Nato in Romania nel
1890, svilupperà negli anni venti a Vienna ( 1923-125) le sue prime, fondative ricerche
artistiche con le esperienze di “spazi infiniti” ( la Endless House a forma di sferoide,
l’Endless Theatre, City in Space). Trasferitosi nel 1925 a New York sarà qui, a contatto
con i più avanzati ambienti artistici nuovayorkesi (pittori, musicisti, scenografi) che K.
svilupperà appieno la propria ricerca con le successive versioni della Endless House,
1923, 1950, 1960 .(K.1,2,3,4,) attraverso le quali, e con la teoria espressa nel suo
Manifesto del Correalismo, 1949, espliciterà la sua critica al funzionalismo, alla sua
astratta elaborazione tipologica per la casa, alle sue rigide geometrie, alle sue meccaniche
scansioni temporali. La dimensione utopica della ricerca di Kiesler lo escluse dalle
commesse professionali come architetto e anche da una collocazione e valutazione
adeguate nel panorama critico contemporaneo. Sua unica opera è lo Shrine of the Book
costruita a Gerusalemme tra il 1957 e il 1965 per ospitare i rotoli del Mar Morto, che erano
stati scoperti di recente (K.5,6,7,8,9,10) .Questo edificio è una mirabile espressione della
visione dell’architettura di K, intesa come plastica, protettiva, sensibile membrana tesa tra
i corpi e lo spazio, ambasciatrice tra la profondità delle materia terrestre e il cosmo. La
cupola, rivestita in ceramica, è resa luminescente dal velo d’acqua che la avvolge (K.11)
mentre la scala che conduce alle sale ipogee del museo sottolinea il suo rapporto con gli
strati profondi della terra , lungo l’asse del tempo (K.12)
A questa visione – e in genere a tutta l’esperienza artistica kiesleriana ) fa riferimento come dimostra anche la recente esposizione alla Biennale veneziana ( Metamorphosis,
2004) - un ampio settore dell’architettura contemporanea.
1, 2 e 3: studi per la Endless House
47
2
(da Maria Bottero, L’Infinito come progetto, cit.)
48
4, 5, 6, 7 e 8: Shrine of the Book, Gerusalemme
6
7
8
49
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
-
AA.VV., “Organico-inorganico” in Housing 9 , ETASLIBRI, 1998 , pp.2-32.
Virginia Gangemi ( a cura di),Tecnologia e ambiente. Metodologia di ricerca
progettuale Università degli studi di Napoli, 1972-73
AA.VV., ”Omaggio a Scharoun” in Housing 6 ,ETASLIBRI, 1994 , pp.82-125
Maria Bottero, ”Endless House: il paradosso della casa infinita in Frederick Kiesler”, in
Housing 7/8, ETASLIBRI,
Milano, 1997, pp.152-15.
Maria Bottero, Frederick Kiesler: l’infinito come progetto, Universale di architettura,
Testo e immagine,
n.61, 1999
50
CAPITOLO 4:
Innesti esemplari. Dall’America all’Europa e ritorno:
Wright, Schindler, Gehry.
<< All'abitare, così sembra, perveniamo solo attraverso il
costruire... ma le abitazioni hanno già in sé stesse la garanzia che un abitare
sia davvero possibile? D'altra parte, le costruzioni che non sono abitazioni
rimangono pur sempre anch'esse determinate in riferimento all'abitare, nella
misura in cui sono al servizio dell'abitare dell'uomo. L'abitare sarebbe quindi
in ogni caso il fine che sta alla base di ogni costruire. Abitare e costruire
stanno tra loro nella relazione del fine al mezzo. Ma finché noi vediamo la
cosa entro i limiti di questa prospettiva, assumiamo l'abitare e il costruire
come due attività separate, e in questo c'è senz'altro qualcosa di giusto.
Tuttavia, attraverso lo schema fine-mezzo noi nello stesso tempo ci
precludiamo l'accesso ai rapporti essenziali. Il costruire, cioè, non è soltanto
mezzo e via per l'abitare, il costruire è già in se stesso un abitare.>>
(“Costruire, abitare, pensare”, in Saggi e discorsi, 1950)
1 Frank Lloyd Wright
Già nei primi decenni del ‘900, le opere di Frank Lloyd Wright (le famose Usonian
Houses) e la loro concezione progettuale costituivano una radicale revisione rispetto alle
ancora imperanti convenzioni disciplinari accademiche, ma anche rappresentavano una
critica implicita agli orientamenti del Modernismo quale si andava allora affermando in
Europa. Per questo i disegni delle costruzioni del Maestro americano pubblicati in quegli
anni - dai quali prorompeva l’enorme carica inventiva che sorreggeva ogni edificio, a
partire dalla spazio continuo interno-esterno (W 1,2,3,4,5,6), dalla qualificazione della luce,
dell’acqua, del paesaggio, dalla rivalutazione delle risorse naturali locali e dalla parallela
inesausta curiosità verso le nuove tecniche e i nuovi materiali - costituirono per gli
architetti più sensibili (o quantomeno più inquieti rispetto alle formule accademiche, ma
anche rispetto ai dogmatici assiomi del Movimento razionalista) una vera e propria
rivelazione. Tale fu, per esempio, l’effetto sul giovane Schindler, ancora rispettoso
studente viennese ( ma inflenzato da Loos più che dal suo maestro Otto Wagner) che, in
evidente ricerca di libertà intellettuale, partirà per Chicago (1914) dove lavorerà per
Wright (1917) seguendo per lui diverse costruzioni a Los Angeles (W 7,8,9,10) città nella
quale si inserirà infine ( 1921) restandovi incessantemente fino alla morte ( 1953) quasi
come in un suo naturale oikos.
1 e 2: Robie House, Chicago (1908 – 1910)
51
3, 4, 5 e 6: costruzione a Los Angeles (19xx)
5
6
7, 8, 9 e 10: Hollyhock House detta “la Miniatura” (1920)
9
10
52
2 Rudolph M. Schindler
Rudolph Michael Schindler rappresenta uno dei più vistosi “errori giudiziari” della critica
architettonica. Nella prefazione al testo di David Gebhard, H.R.Hitchcock, il grande
mentore del modernismo, lo ammette esplicitamente, seppure a denti stretti.
“…Confesso che il caso Schindler non lo capisco. C’è certamente una immensa
vitalità…ma questa vitalità porta in genere a effetti arbitrari e brutali. Anche nei suoi ultimi
lavori il riferimento è all’ultimo espressionismo e al neo-Plasticismo degli anni
venti…Questo scrivevo nel ’40….Difficilmente mi esprimerei così adesso: per esempio il
termine’Brutalismo’ ha da allora assunto uno specifico significato nell’ambito della critica
sulla nuova architettura e non si applica a Schindler….Ma, in generale con il cambiamento
dell’atteggiamento verso l’architettura moderna che ha avuto luogo nell’ultima
generazione, la rigidità, il purismo che erano prima considerati e apprezzati in questa
negli anni trenta hanno dato luogo a un atteggiamento più rilassato (!)….il riferimento
all’Espressionismo…peggiorativi negli anni ’40 esprimono abbastanza bene oggi alcune
delle direzioni seguite dall’architettura moderna dopo la fine dell’ ultima guerra…Di questo
movimento il lavoro di S., già dagli inizi alla metà degli anni venti fu , attraverso la sua
varietà, premonitore.”6
Si potrebbe e dovrebbe dire di più da parte di un “grande” critico. Ma certo Schindler dei
critici non si curava e, quanto allo Stile Internazionale e ai suoi numi scriveva nel 1934:
”…Nell’estate del 1911, ero in Stiria in una delle case massive tradizionali … ed ebbi
l’intuizione subitanea di che cosa era lo spazio per me…L’architettura del passato,
egiziana, romana, non aveva fatto che impilare materiali massicci e sostenerli per
permettere di ricavare gli spazi interni, che erano totalmente condizionati dalle forme
esterne…La stanza stessa non era che prodotto secondario: la volta non era infatti
pensata per dare una sua forma alla stanza, ma per reggere il peso della massa
materiale…Le pareti venivano poi decorate…Uscii e guardai l’ampio orizzonte del cielo
assolato e qui trovai il vero medium dell’architettura: LO SPAZIO! ( nota: questa intuizione
fu immediatamente espressa nel MANIFESTO, pubblicato da S. A Vienna nel
1912)…..Oggi la nostra vittoria attraverso la matematica sugli sforzi strutturali7 ci permette
di eliminarli come sorgenti di forme artistiche…. Gli edifici di scuola modernista ,
risciacquatura di diversi movimenti artistici europei (cubismo, futurismo, ecc.) cercano di
dare un nuovo carattere alla città con un gioco altamente convenzionale di forme
contrastanti…ma l’architettura in quanto scultura è morta….I funzionalisti lo intuiscono
vagamente e quindi ci chiedono di abbandonare l’architettura come arte. Vogliono
costruire come gli ingegneri, producendo ‘tipi’ che non hanno altro significato che la
funzione…Dimenticano che l’architettura in quanto arte può avere il significato molto più
importante di servire come agente culturale, in grado di aiutare l’estensione e la
consapevolezza su noi stessi…Per peggiorare le cose, e attirare l’attenzione su di sé, un
gruppo di funzionalisti si è battezzato con un nome: Stile Internazionale…L’ideale di
perfezione di questi nuovi sloganisti è la macchina, senza considerare che la macchina è
bidimensionale, è una semplice collazione di pezzi e non ha niente di organico, mentre la
casa è in diretta relazione con le nostre vite, deve essere organica,
quadridimensionale…L’architettura moderna non potrà essere sviluppata cambiando gli
slogan. Non può essere affidata alle mani degli ingegneri, degli esperti in efficiente
organizzazione, del macchinista o dell’economista. Si potrà solo sviluppare nella mente di
6
Dalla “Prefazione” al testo di David Gebhard, Schindler, prima edizione Thames and Hudson Limited, London, 1971
Va ricordato che S., nato a Vienna nel 1887, prima di diplomarsi nel 1913 presso la Scuola d’arte diretta da Otto
Wagner, si era laureato nel 1911 in ingegneria strutturale presso l’Università Tecnica di Vienna.
7
53
quegli artisti che capiscono che lo spazio e le forme dello spazio sono il nuovo medium per
l’espressione umana…”8
Schindler, il viennese immigrato interpreta questa istanza – che è di vita prima che di
architettura – nei termini della più squisita eleganza. Un’eleganza che, sotto l’apparente
trascuratezza cela gli echi deco e rielabora le disconnessioni delle superfici e degli spazi
introdotte da Rietveld e da Mondrian introducendoci, fastosamente, nell’anticamera della
decostruzione.
Ma, possiamo osservare, a differenza delle ricerche decostruzioniste attuali, S. include
sempre, come elementi inscindibili dell’ideazione progettuale, componenti e risorse
naturali, come la luce, l’acqua senza che la sua curiosità per le strutture ardite o
innovative ( che egli, ingegnere, era perfettamente in grado di padroneggiare),
prevaricassero dalla dimensione di semplici ‘strumenti’ al servizio dello spazio. Nella casa
Schindler-Chace, il primo dei suoi edifici autonomi, costruito per la sua famiglia e per
quella dell’amico Chace – che in seguito lascerà il posto ad altri amici, primo Richard
Neutra appena emigrato come Schindler da Vienna ( S.1-10) vi è tuttavia l’uso di blocchi di
calcestruzzo lasciati a vista, ( analogamente a Wright per ‘La Miniatura’). Mentre, nella
Lovell House, 1925-26 sono in c.a., unico caso, le strutture portanti. Come suggerito da
Ester Mc Coy, la scelta di S. di usare sempre strutture in legno anche nelle costruzioni più
apparentemente rifinite, come nella Buck House a Los Angeles, del 1934, dove sono
espliciti i richiami alle ricerche neoplastiche europee (S.11-16) pare dovuta alla sua
volontà che esigenze di monumentalità e di eccessiva magniloquenza strutturale non
prevaricassero la leggerezza e la confortevole, economica costruibilità, alle quali Schindler
affidava i suoi edifici quasi desiderando imprimere loro una sorta di fragile precarietà
(S.11-16)
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8; Scindler - ChaceHouse, West Hollywood, L.A. (1922)
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Cfr.D.Gebhard, cit, pp.147-150. (Traduzione e libera citazione mia)
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9, 10, 11, 12, 13 e 14; Buck House, Los Angeles (1934)
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3 Frank Gehry
Nel progetto a Santa Monica dell’edificio per una azienda produttrice di materiali ottici
pose –in accordo e complicità con lo scultore Oldenburg -un binocolo gigante a segnalare
l’atrio di ingresso e a sottolineare una frattura, una soluzione di continuità tra il primo tratto
dell’edificio e il secondo, caratterizzati anche con rivestimenti e colori diversi e funzioni
differenti.( G.1-7)
Siamo qui di fronte a una strategia progettuale che è tipica di G. e che consiste nel
rendere i suoi edifici sempre degli insiemi dialoganti, generatori di spazi attraverso proprie
successive frammentazioni, rigenerazioni e solo parziali ricomposizioni..Come,
spettacolarmente, nel complesso Edgemar che, poco lontano dal Binocolo, sempre a
Santa Monica, costituisce un minuto “gruppo di famiglia”, con bar, negozi, un cinema e
diverse piccole piazze interconnesse. (G.8-16)
La stessa strategia che si ritrova, anche se in forme più razionali, nella biblioteca rionale di
Los Angeles (G.17-22) ed è già a mio parere presente anche nel progetto della sua
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propria casa a Santa Monica che costituì una vera e propria pietra miliare nella ricerca
architettonica contemporanea. (G.23-28).)
Qui sono i diversi ambienti che dialogano tra loro, che si disarticolano, si rispondono, in
una polifonia di note, colori, materiali. C’è molto di Kahn in questa strategia (dicevaK:
“…l’edificio ha un limite, un bordo vero l’esterno…ma talvolta l’interno pare volersi
muovere, rompere le pareti e uscirsene fuori…Una casa è un edificio molto sensibile ai
bisogni interni”).
Ma c’è molto anche di Wright ( il vettore espansivo, vitale, orientato dal dentro al fuori) e di
Schindler: la sperimentazione dei materiali, l’uso poetico, ma rigoroso di strutture leggere,
di rivestimenti apparentemente poveri, ma capaci di inedite vibrazioni, la qualità coloristica
e materica delle superfici, gli spazi interni amichevoli e disponibili, ecologici ante litteram.”
Eppure, la distanza tra queste diverse poetiche resta grandissima: Wright e poi Kahn
cercheranno comunque di controllare gli inquieti spazi, oggetto del loro studio, secondo
forme autorevoli e ricomposte. Gerhy seguirà invece la sua disinibita ricerca formale,
autoironica (come nel pazzo edificio di Praga, Ginger e Fred) ma, contemporaneamente,
tesa a dilatare lo spazio dell’edificio verso l’ambiente esterno, costruendo dei fulcri
energetici, dei gorghi, nel paesaggio.
1 – 7: edificio Chiat/Day Building, Main Street, Venice, L.A. (1985 – 91)
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8 - 16: complesso Edgemar, Santa Monica, L.A. (1984 – 88)
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17 – 22: Biblioteca regionale Frances, Hollywood, L.A. 1982 - 1986
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23 – 28: Casa Ghery, Santa Monica, L.A., 1977 – 78, 1991 – 94
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
-
AA.VV. “R.M.Schindler, 10 houses” in 2G,rivista internazionale di architettura, n.7,
1998/III
Mara De Benedetti, Rudolf .Schindler, Universale di architettura, Testo e immagine,
n.73, 2003
David Gebhard, Schindler, prima edizione Thames and Hudson Limited, London, 1971
Antonino Saggio, Frank O. Gehry, Universale di architettura, Testo e immagine, n.23,
1998
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ALLEGATO 1
LE “CASE-ALBERO” DI FREI OTTO
Di Anna Delera
Nel giugno del 1980 J .P .Kleihues, direttore del settore della nuova edificazione dell'IBA,
prese i primi contatti con Frei Otto per proporgli la costruzione di un blocco di abitazioni
sulla base dei principi dell'architettura naturale, principi che tornavano in tutti i suoi progetti
ormai da diversi decenni. In quanto al terreno, gli lasciava sperare in un'area non
ricostruita dopo la guerra, collocata vicino a Piazza d' Ascania di fronte alla vecchia
Anhalter Bahnhof di Berlino distrutta dalle bombe e infine demolita. Dopo un breve periodo
di riflessione Frei Otto si dichiaro pronto a studiare una "città giardino tridimensionale" con
uso privato del verde pubblico, parti in "autocostruzione" ed eventualmente, con
l'autorizzazione dell'IBA, una densità più bassa di quella prevista. L 'idea, sintetizzata dallo
stesso progettista ne1l'immagine di "un grosso albero con gli appartamenti posti sui rami",
voleva rappresentare un'alternativa significativa ed esclusiva all'abitare tradizionale.
Il primo progetto in piazza d'Ascania
Nel 1981, dopo una serie di contatti con i responsabili dell’IBA, il gruppo di lavoro costituito
da Frei Otto elaborò la proposta, suI terreno di circa 6000 mq. individuato, di edificare due
ossature "adattabili" rispettivamente di 35 e 60 mt. di altezza con parce1le costruibili ai
diversi piani per complessivi 9000 mq . di superficie legate tra loro ai piani bassi. I futuri
abitanti, consigliati da eco-architetti, giardinieri paesaggisti ed ingegneri specialisti in
energie sperimentali, avrebbero dovuto potere concepire e realizzare autonomamente,
secondo le direttive de1le case a carattere sociale, circa 50 a1loggi di uno o due piani e
determinare così i prospetti degli edifici.
La "citta giardino verticale" proposta, prevedeva de1le superfici costruite per iL 50%. La
rimanente superficie doveva essere lasciata libera per essere destinata a verde privato - il
30% circa – e a giardino comune.
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Primo progetto in piazza d'Ascania. Sezione schematica della “città giardino verticale” e
studi sull'ingresso naturale di sole e luce nelle singole unità abitative e sulla opportunità di
una loro eventuale schermatura.
Nel suo insieme, la " struttura arborescente " -come la definiva Frei Otto -doveva colmare
il vuoto esistente tra la villa unifamiliare tradizionale, che occupa una grande parte di
suolo, e il blocco d'abitazioni a più piani o "ville urbane", un concetto che, anche se è stato
profondamente modificato nella forma fortemente ridotto nelle parti a verde, è stato poi
realizzato nel 1988 restando praticamente immutato.
Ma l'originale concezione progettuale che lasciava all'autodeterrninazione dei futuri
abitanti la definizione compositiva dei fronti, bloccò la realizzabilità del progetto nel luogo
assegnato. L' opera infatti, non poteva adattarsi al piano generale già concepito per quel
sito da Oswald Mathias Ungers e caratterizzato da blocchi perfettamente definiti e con la
stessa altezza di gronda.
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Il secondo progetto a sud del giardino zoologico
Dopo che il primo progetto venne respinto, fu messo a disposizione dal Senato di Berlino
un nuovo sito, precedentemente occupato dall'Ambasciata Vaticana, posto nel
centralissimo parco del Tiergarten lungo il Landwehrkanal.
Frei Otto nel 1982 elaborò un a1tro progetto con Hermann Kendel e Rolf Gutbrod come
consulenti e con un gruppo di collaboratori che nel frattempo si era molto infoltito.
Sul nuovo terreno, sicuramente più adatto per la realizzazione delle case immaginate da
Frei Otto ma fortemente ridotto nelle dimensioni9, il progetto doveva confrontarsi con una
serie di vincoli: il parco con la sua 'ricca e in alcuni casi "rara" vegetazione, il limite di
altezza edificabile fissato dal regolamento edilizio per tutti gli edifici della zona in 15 mt. e
la preesistenza di un rifugio antiaereo con muri di c.a. di 4 mt. di altezza e 2 mt. di
spessore la cui demolizione sarebbe stata troppo onerosa.
Il progetto prevedeva dunque la realizzazione di tre palazzine che, per forma e per
disposizione sul terreno, si adattavano alla presenza degli alberi con tronco superiore ai 26 cm. di
diametro. Ogni palazzina poi, così come nel progetto precedente, era stata pensata solo nella
sua struttura primaria per lasciare ad ogni utente la possibilità di auto-determinare la propria
unità abitativa.
La struttura prevista era composta da due solai in calcestruzzo armato, rispettivamente posti a
6 e 12 mt. da terra, con una luce di 7,50 mt. ridotta a 3 mt. per le parti a sbalzo. In una prima fase
ogni solaio era stato concepito come una "vasca"10 impermeabilizzata nella quale poteva
essere coltivata vegetazione o potevano essere creati bacini d'acqua. Nella parte riservata alle
abitazioni, invece, questo spessore doveva essere riempito con granulato di pomice e su
questo sarebbero stati posati dei pavimenti "flottanti" realizzati in pannelli e rivestiti in parquet.
Questa soluzione avrebbe permesso un ottimo isolamento termico, la distribuzione regolare
dei carichi del pavimento e la libertà nel posizionamento dei condotti di scarico a partire dai punti
fissi di raccordo.
Per ragioni di costi - e soprattutto per aumentare l'angolo di incidenza solare ai diversi livelli si sono invece realizzati dei solai piani in e.a. di spessore ridotto a 10 cm.11 Ogni solaio di circa
250 mq., è stato pensato suddividibile in 4 parcelle di suolo poste alle due diverse altezze,
ognuna delle quali avrebbe dato luogo ad alloggi duplex di circa 120 mq. di superficie.
Ogni "struttura arborescente", dunque, è stata pensata per contenere 8 alloggi in duplex - 4
al piano terra e 4 a 6 mt. di altezza - e un alloggio singolo all'ultimo piano situato a 12 mt. di
altezza.
I due livelli d'ingresso agli alloggi sono raggiungibili attraverso corpi scala chiusi collocati sul
lato nord. A sud, invece, le indicazioni di Frei Otto ai futuri abitanti erano quelle di
approfittare dell'esposizione favorevole per collocare serre o Wintergarten e sfruttare
passivamente l'energia solare. A progetto concluso trascorsero ancora molti anni e molte
furono le polemiche e i problemi prima di potere iniziare i lavori lasciando inalterate le
caratteristiche generali della concezione progettuale di Frei Otto.
All'inizio del 1987 si iniziano a cercare i possibili acquirenti per le diverse parcelle e, mentre per
i due edifici meglio esposti, quelli con l'ingresso sulla Corneliusstrasse prospiciente il
Landwehrkanal, le richieste di acquisto furono immediatamente molte12, per l'edificio posto sul
lato nord si presentarono alcuni problemi. La posizione sfavorevole e l'ombra creata dalla ricca
alberatura, rendevano la struttura chiusa e buia e dunque non particolarmente apprezzata per
l'acquisto. Fu allora deciso che, su progetto complessivo di Hermann Kendel, un'unica impresa
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Si tratta di un terreno di soli 4.000 mq. e con un valore di mercato. data la posizione prestigiosa, stimato in circa 866 DM/mq. Si tenga
presente che all'epoca i1 Marco tedesco valeva circa Lit. 1.800.
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II progetto dell'infrastruttura, studiato dagli ingegneri Geletzke, Wegener e Tschepe, prevedeva una vasca di 45 cm. di profondità tra il solaio di 25
cm. di spessore e le travi di 70 cm. di altezza appoggiate su pilastri a sezione rettangolare di 50 x 100 cm.
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Questa soluzione, che ha sicuramente permesso di abbassare il costo della struttura generale, ha però creato non poche polemiche in merito
ai costi supplementari, stimati in 70.000 DM per ogni unità abitativa, che sono stati sostenuti per isolare e prevenire i ponti termici.
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Più di 1.400 le richieste d'acquisto pervenute che costrinsero a laboriose consultazioni per selezionare i candidati.
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avrebbe realizzato 8 appartamenti, con l'ingresso dalla Rauchstrasse, con superfici variabili
dagli 80 ai 140 mq. da destinare all'affitto.13 Nella primavera del 1988 si iniziarono i lavori per
la realizzazione di tutte e tre le "strutture ad albero" e nel luglio del 1989, dopo soli sei mesi di
lavori nella "casa-albero" destinata all'affitto, gli inquilini poterono abitare i loro alloggi.
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(Tutte le immagini e fotografie dell’allegato sono di Anna Delera)
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Questi appartamenti furono finanziati con i fondi riservati ad alloggi sociali per fasce ad alto reddito e affittati a 20 DM al mq.
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ALLEGATO 2
L’AUTOCOSTRUZIONE COME STRUMENTO DI PROGETTO NEL
METODO SEGAL
Di Luca Maria Francesco Fabris
Ideato da Walter Segal (1907/1985), il metodo che ne prende il nome diviene noto nel
1963 quando realizza la Temporary House a Londra, una casa temporanea assemblata a
secco, costituita da semplici telai in legno dolce e da tamponamenti formati con materiali
edilizi reperibili sul mercato. Questo edificio, pensato per essere smantellato dopo un uso
momentaneo, fu realizzato in due settimane con un costo complessivo di 835 sterline
d’allora: un costo veramente basso per i sui 65 mq. di superficie. Con gli anni Segal
migliorò il suo metodo costruttivo rendendolo perfetto per l’autocostruzione. Le case
autocostruite a Lewisham (Londra, 1977-1987) hanno dato una vasta popolarità al metodo
e sul loro successo, fattivo e sociale, è nato, dopo la morte di Segal, il Walter Segal Self
Build Trust. La semplicità progettuale e costruttiva rende il Metodo unico.
La Temporary House in una foto del 1964.
Una sezione disegnata a mano da W. Segal
per Lewisham 1
Una casa autocostruita a Lewisham 1
(Segal + Broome)
Il Mill Lane Garden Project di S.
Yauner/GreenArchitecture
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Bibliografia:
Luca M.F. Fabris, Metodo Segal, Libreria Clup, Milano, 2001( che contiene tutta la
bibliografia reperibile su Segal e il suo Metodo);
Luca M.F. Fabris, ‘Architettura verde in Inghilterra’, in Costruire, n. 245, ottobre 2003;
Jon Broome, Brian Richardson, The self-built book, Green Eath Books, 1995, ISBN 1900322-00-5;
AA.VV., ‘Special issue on Walter Segal’, in Architects’ Journal, 4/5, 1988;
AA.VV., ‘Walter Segal 1907-1985’, in Architects’ Journal, 6/11, 1985.
Iternet: www.segalselfbuild.co.uk e www.architype.co.uk
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