POLITECNICO DI MILANO II° Facoltà di Architettura di Milano Bovisa a.a.2004-05 TECNOLOGIA E PROGETTO DELL’ABITAZIONE NELL’EPOCA CONTEMPORANEA di Bianca Bottero Con contributi di: Anna Delera, Emilia Costa, Luca Maria Francesco Fabris, Gian Luca Brunetti Redazione di Paolo Carli 1 INDICE: Premessa…………………………………………………………………………………….pag. 3 0) Dal mondo della precisione all’universo del pressappoco (Bianca Bottero)…………………………………………………………………..pag. 4 1) Il problema della casa nella nuova società industriale. Domanda di massa, innovazione tecnologica, risposte progettuali. (Bianca Bottero).……………………………………………………………….…pag. 13 2) Il passaggio critico alla modernità. L’utopia del METODO. La posizioni decentrate di Bruno Taut. (Bianca Bottero)………………………………………………………………..…pag. 24 3) Aalto, Scharoun, Kiesler: la casa come “luogo dell’abitare” (Bianca Bottero)………………………………………………………………. …pag. 33 4) Innesti esemplari. Dall’America all’Europa e ritorno: Wright, Schindler, Gehry (Bianca Bottero)………………………………………………………………….pag. 51 ALLEGATO 1…… “Le case ecologiche di Frei Otto a Berlino” (Anna Delera)…………………………………………………………pag. 62 ALLEGATO 2…… “L’autocostruzione come strumento di progetto nel metodo Segal” (Luca Maria Francesco Fabris)……………………………………..pag. 67 ALLEGATO 4…… “L’abitazione ed il sole: la ricerca di G.W.Reinberg” (Gian Luca Brunetti).………………………………………………...pag. 68 Tutte le fotografie, ove non diversamente specificato, sono di Bianca Bottero. Le immagini 1,2 e 8 del paragrafo su Kiesler sono da Maria Bottero, L’Infinito come Progetto, edizioni Testo & Immagine, 1999. Le immagini 1,3,12,13 e14 del paragrafo su Aalto sono da Alvar Aalto, edizioni Zanichelli, 1989. In copertina: Frank o. Ghery, Biblioteca Regionale Frances, Hollywood, L.A. 1982 - 1986 2 PREMESSA: Questa dispensa, (poco più che degli appunti e frammenti di testi ricavati dalle lezioni) è stata redatta per fornire una guida all’esame del corso “Tecnologia e progetto dell’abitazione in epoca contemporanea” Si è trattato di un corso breve (30 ore) nel quale si è cercato di sondare, attraverso approfondimenti puntuali su specifici momenti culturali e su singole figure di progettisti, il percorso che nell’ultimo secolo ha seguito in Occidente l’evoluzione dello spazio abitativo, a fronte sia dei mutamenti sociali, sia delle innovazioni tecnologiche A partire dalla rivoluzione industriale, le urgenze quantitative hanno fortemente condizionato il problema delle abitazioni e inciso in modo determinante sulle scelte tecniche del suo progetto. Proprio in quanto tale, questo è dunque particolarmente significativo rispetto ai caratteri, evolutivi o involutivi, dell’architettura contemporanea, quasi rappresentandone il “banco di prova” rispetto alle scelte espressive via via assunte. Nel progetto della casa si scontrano infatti, con maggiore evidenza che in altri ambiti, due aspetti che sono peculiari della modernità: l’aspirazione al futuro, all’inedito, al progresso sociale e individuale che si esprime come rottura, anche traumatica, col passato da una parte; la resistenza, la memoria, la valorizzazione della materialità del corpo e del luogo come identificazione dall’altra. La tensione tra queste due opposte tendenze ha caratterizzato nell’ultimo secolo e fino ad oggi un bilanciamento/scontro di posizioni, una dialettica appassionante, ma spesso anche ambigua e priva di riconoscimenti teorici espliciti e disinteressati. Si pensi solo all’egemonia dell’interpretazione modernista fino oltre la metà del secolo ( egemonia che ha ogni volta oscurato o travisato posizioni divergenti o non perfettamente assimilabili) e di contro il succedersi vorticoso, negli ultimi decenni, di posizioni post-moderniste che, nella pur importante rivendicazione di una diversa significatività dell’architettura, hanno spesso esaltato di questa soprattutto gli aspetti linguistici e/o concettuali, di fatto oscurando quanto di socialmente complesso un progetto dell’abitare, se riletto nella sua intrinseca materialità, poteva e doveva ancora contenere. E’ questa complessità che ci interesserà invece cogliere in quei progetti abitativi nei quali l’istanza di razionalità, così forte nel periodo aureo della modernità, ha lasciato spazio a un atteggiamento più processuale, più aperto all’evento, alla modificazione, alla partecipazione dell’abitante, ai condizionamenti ambientali , ai materiali e alle risorse dei singoli luoghi. Seguendo questa impostazione, le pagine che seguono abbozzano la rilettura di alcune proposte e di alcune figure di artisti e architetti del secolo scorso nelle cui opere sono riconoscibili la volontà e la capacità di esprimere in un progetto coerente sia le potenzialità di progresso e di emancipazione implicite in una ricerca di nuove modalità e tecnologie costruttive, sia i valori irrinunciabili che l’abitare rappresenta per ogni individuo, in quanto azione primaria e fondante – come sostenuto da Heidegger- dell’esistenza stessa dell’uomo sulla terra. b.b. 3 CAPITOLO 0: “Dal mondo della precisione all’universo del pressappoco” (parafrasi del saggio di Alexandre Koirè: Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione). “Il mondo è totalmente connesso. Quale che sia la spiegazione che inventiamo a un momento dato, essa rappresenta una connessione parziale; l'efficacia del la spiegazione deriva dalla ricchezza delle connessioni che siamo stati capaci di stabilire.” (G. Bateson) "Noi sperimentiamo in ogni istante, mangiando, camminando, amando, pensando, che tutto ciò che facciamo è nello stesso tempo biologico, psicologico, sociale. Eppure, per un cinquantennio, l'antropologia ha potuto proclamare in maniera ridicolmente pedante, la disgiunzione assoluta tra l'uomo biologico e l’uomo sociale" (E. Morin) Queste affermazioni, fra le tante che si potrebbero riportare pronunciate da scienziati contemporanei, costituiscono un segnale chiaro di come sia mutato l'orizzonte culturale da quello entro il quale, in epoca moderna, si sono ritagliate e consolidate le diverse discipline, sia nel campo delle cosiddette scienze della natura, sia in quello delle scienze umane: sociologia, psicologia e urbanistica e possiamo aggiungere con qualche distinguo, architettura1. A queste ultime in particolare va ascritto, nei primi decenni di questo secolo, l'impegno a fondarsi con rigore di metodo pari a quello che, da Newton a Lagrange, aveva caratteriz-zato e favorito nell'800 progressi incredibili nel campo fisico e meccanico Analogamente, nel campo delle scienze sociali, tale fondazione pareva dover necessariamente prendere le mosse da una precisa delimitazione del campo d analisi e da una altrettanto precisa metodologia che coniugasse, in un quadro di certezze, l'analisi all'intervento. Nel campo degli studi urbani ciò comportò, come noto, una drastica semplificazione dell’oggetto città. Per sottrarla alla sua magmaticità, incontrollabilità, inconoscibilità (scientifica), la città fu ridotta ad alcuni parametri; si vedano le 4 funzioni propagandate da Le Corbusier ne La Carta d'Atene (1940): abitare, lavorare, svagarsi, circolare. Alla "strada dell'asino" degli urbanisti vecchio stile alla Camillo Sitte, che ancora si preoccupavano di studiare le forme delle città del passato per ricavarne indicazioni, fu contrapposta la strada diritta, simbolo della razionalità umana. "Le vostre strade tortuose" scrive Le Corbusier "i vostri tetti spioventi dimostrano pigrizia e sono una vera assurdità ... Tortuosa è la strada dell'asino, diritta quella dell'uomo. La strada a curve è un risultato arbitrario, frutto del caso, della noncuranza, di un fare puramente istintivo La strada rettilinea e una risposta a una sollecitazione, è frutto di un preciso intervento un atto di volontà, un risultato raggiunto con piena consapevolezza. E’ cosa utile e bella…Chi percorre la Francia in automobile può trarne una lezione edificante…Le grandi strade di comunicazione corrono diritte a perdita d’occhio: vanno diritte senza intralci da un punto ad un altro. Le dobbiamo in gran parte a Colbert. E anche a Napoleone. Ogni tanto si incontra un obelisco con la scritta: 1 Si vedano per un approfondimento della tematica, i seguenti testi: G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984; G. Bocchi e M. Ceruti (a. cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1987; B Bottero, La casa dopo il modello razionalista, Housing 1, Clup, Milano, 1987; B. Bottero, II progetto dello spazio collettivo, Hausing 2, Clup, Milano, 1988; J. Bronowski, Le origini della conoscenza e dell’immaginazione, Newton Compton, Milano, 1980; M. Chiappone, Ambiente, gestione e strategia, Feltrinelli, Milano, 1989; A Koirè, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Einaudi, Torino, 1964; C Norberg-SchuItz, L’abitare, Electa, Milano, 1985; M. Serres, Passaggio a nord-ovest, Pratiche Edizioni, MiÌano, 1985. 4 così ho voluto". E ancora: "Una città!. È l'affermazione dell'uomo sulla natura E’ una manifestazione della potenza umana contro la natura… L’uomo scalza la natura, la fa a pezzi, la contrasta, la combatte, vi s'insedia. Opera primordiale e magnifica!"2 In modo analogo, nel progetto dell'abitazione lo sforzo fu quello di espungere ogni elemento decorativo, personalizzante, in nome di una estetica della serie del grande numero della industrializzazione che ha il suo slogan nella machine à habiter, altra immagine propagandistica di Le Corbusier. Così la casa potrà essere progettata con certezza, secondo modelli basati su dati scientificamente accertati. Tali dati sono i bisogni dei futuri abitanti di queste case, bisogni che devono essere naturalmente oggettivi e quindi solo riferiti alle loro dimensioni fisiche e alle funzioni biologiche cui ci si aspetta la casa debba rispondere È cosi possibile prevedere una quantità specifica di metriquadri (il minimo vitale o exsistenz minimum) che i diversi locali e l'alloggio nel suo insieme dovranno assicurare, in modo del tutto omogeneo, ai futuri utenti. È noto come tali modelli originariamente giustificati dall'enorme fabbisogno di abitazioni a basso prezzo che si verificò tra le due guerre in tutte le realtà urbane europee facessero riferimento a una precisa realtà sociale: quella caratterizzata da famiglie operaie recentemente immigrate e giovani, cui le socialdemocrazie del tempo ritenevano di offrire così, in modo non troppo dispendioso e compatibile col modo di produzione industriale capitalistico, un mezzo di emancipazione dalla loro condizione di miseria e di sfruttamento. Cosa che in parte sicuramente fu anche se uno dei più sensibili architetti dell'epoca, Bruno Taut, già da allora rilevò l’insufficienza e il paternalismo impliciti in queste proposte che paragonò a una sorta di "tè di beneficenza dato ai poveri". L'approccio al problema della organizzazione dello spazio antropizzato che le proposte sopra segnalate implicavano aveva un carattere insieme utopico e razionale e in quanto tale - come ha notato Francoise Choay - divenne potente strumento di azione. E più potente lo diventerà dopo la seconda guerra mondiale, quando la colonizzazione capitalistica e l'uso speculativo del territorio raggiungeranno dimensioni e intensità mai verificatesi nel passato. Lo sforzo generosamente impostato negli anni '20 dal movimento moderno per una fondazione dell'urbanistica e dell'architettura secondo un paradigma scientifico basato sulla certezza dei dati empiricamente accertati e sulla previsione lineare del loro sviluppo ha qui un grave fallimento: il risultato è la non-ancora-città e la non-piùcampagna delle nostre periferie, la non-più-città dei nostri centri storici, così come l'uniformità omologante delle nostre abitazioni. Non solo, ma il mutamento sociale intervenuto nel frattempo, che ha investito la struttura della famiglia, modificato il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro, resi obsoleti gli schemi welfaristici di intervento capillare dello stato per regolare i rapporti interpersonali e le strutture microsociali più minute, ha messo in crisi anche il modello di riferimento, quella impalcatura di valori sociali su cui si basava l'ipotesi spaziale del razionalismo. Siamo dunque all'anno zero, a una crisi radicale del paradigma della modernità e della sua ipotesi di progresso e di benessere attraverso il controllo scientifico dei dati della realtà e la progressiva artificializzazione della natura? In verità, le frasi che ho riportato all'inizio non rinviano a uno scenario di crisi e neppure a una messa in discussione della scienza. Pronunciate da biologi, epistemologi, fanno piuttosto riferimento ad una prospettiva di lavoro in cui è lo scientismo tecnocraticomeccanicistico-produttivistico e non la scienza ad essere messa in discussione. Dice Michel Serres: "La determinazione di un certo stato di cose tra la molteplicità possibile degli stati stessi si valuta secondo un rapporto tanto vicino a zero da non poter essere chiamato che improbabilità. Per il fatto che inizialmente la scienza seleziona i suoi 2 Le Corbusier, Urbanistica, trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1966. 5 fenomeni, essa ha per correlato l'improbabile. Il suo oggetto, qui, in primo luogo, non è il generale, come spesso si dice, ma l'eccezionale. Ed è semplicemente per questo che essa è ricca di informazione"3 E’ dunque questa la prospettiva, per verità affascinante, che la scienza stessa ci delinea, ribaltando e negando quelli che sono stati fino a ieri i suoi stessi principi epistemologici, facendo della complessità, entropia, rischio, differenza i propri oggetti principali di studio. Non solo, ma attraverso il rispetto della finitezza e aleatorietà del punto di vista umano, la scienza si riappropria di una dimensione che apparentemente le era estranea: quella dell'immaginazione e dell'esperienza estetica. Scrive Bateson: "Questo libro è costruito sull'opinione che noi facciamo parte di un mondo vivente... Oggi una simile dichiarazione suscita nostalgia: la maggior parte di noi ha perso quel senso di unità di biosfera e umanità che ci legherebbe tutti in un'affermazione di bellezza... Abbiamo perduto il nocciolo del cristianesimo. Abbiamo perduto Shiva, il dio danzante dell'Olimpo induista, la cui danza è insieme creazione e distruzione, ma nella totalità e nella bellezza. Abbiamo perduto Abraxas, il dio bello e terribile del giorno e della notte dello gnosticismo. Abbiamo perduto il totemismo, il senso del parallelismo tra l'organizzazione dell'uomo e quella degli animali e delle piante. Abbiamo perduto persino il Dio che Muore... Io mi attengo al presupposto che l'avere noi perduto il senso dell'unità estetica sia stato, semplicemente, un errore epistemologico"4. In questo contesto culturale è mia opinione che l'operazione progettuale possa tornare ad acquisire una dimensione ricca di contenuti scientifici ed estetici, possa tornare ad essere, cioè, un luogo di ricerca e di esperienza reali che coinvolge contemporaneamente tecnico e utente secondo un concetto di partecipazione che ha ben più a vedere con quello elaborato molti anni fa in campo fisico da Heisenberg attraverso il principio di indeterminazione che non con quello burocratico-amministrativo propinatoci dalle nostre municipalità. Nel campo del progetto e, prima ancora, dell'idea dell'abitazione questo atteggiamento culturale può essere colto in alcuni sintomi che, in modo non sistematico, ma preciso e ricorrente, possiamo individuare nelle ricerche e nelle proposte progettuali degli anni più recenti. Notiamo in particolare: -- una minore rigidità degli schemi abitativi nella definizione degli spazi-funzione sia a livello tipologico che morfologico. L'alloggio non viene più pensato solo in relazione ai ruoli domestici, familiari o, come si dice, riproduttivi, ma in esso si ripresentano esigenze d'uso più complesse e intrecciate, di natura anche produttiva, legate al maggior tempo libero dal lavoro di fabbrica o di ufficio e alla tendenza ormai diffusa a spenderlo in attività che potrebbero essere definite di autoproduzione...Lo spazio dei locali tende a farsi più flessibile e polifunzionale. Si abbandonano le ingegnerie tipologiche, a incastri rigidi, così come le soluzioni formali enfatiche e definitorie in favore di un linguaggio più disteso e aperto, processuale, più adattabile alle esigenze degli utenti e alle configurazioni dei luoghi; — una minore rigidità tecnologica, con la sostituzione ai sistemi hard di sistemi soft, più facilmente modificabili, appropriabili dagli utenti (anche in forme di parziale autocostruzione), nell'applicazione dei quali l'azione del tecnico-architetto non si risolve una volta per tutte nel progetto, ma viene continuamente implicata nel processo costruttivo concreto: il progettista non è neutrale, ma partecipa all'esperimento (in analogia col principio fisico dell'indeterminazione): è cioè, disponibile a mettere in 3 4 M.Serres, Passaggio a nord-ovest, trad. it. Pratiche Edizioni, Milano, 1984. G Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1981, pp. 33-34. 6 discussione il suo sapere, sia in riferimento alla geometria degli spazi, sia in riferimento alla conoscenza dei materiali e delle loro leggi di assemblaggio, struttura, dura-ta, qualità di comfort ambientale e psicofisico: aspetti questi che la con-troinformazione ecologica viene sottoponendo a verifiche sempre più attente e puntuali; — una minore rigidità nelle scelte localizzative. Il rapporto coi luoghi, la coscienza che il territorio è una risorsa scarsa, l'interesse per il recupero e la rivitalizzazione dei nuclei storici e delle aree urbane investite da processi di deindustrializzazione e di obsolescenza, la nuova sensibilità ai problemi impiantistici entro il corpo urbano, legati ai fabbisogni energetici, di smaltimento dei rifiuti, di approvvigionamento idrico: tutti questi elementi si costituiscono come determinanti nelle decisioni di localizzazione della residenza urbana, sia in quanto vincoli, sia in quanto in sé propositori di soluzioni adattate, che deformano salutarmente i modelli insediativi precostituiti, tramandati dalla disciplina. E’ a partire da questa consapevolezza (che ha dato luogo anche a numerosi movimenti politici e che rappresenta ormai campo di ricerca privilegiato e fondamento all'impegno normativo e amministrativo di gran parte dei paesi nord-europei), che anche l'architettura apre un contraddittorio con se stessa e coi propri presupposti disciplinari. Ed ecco qui delinearsi un nuovo paradigma costruito a partire dal recupero di tecniche, modi costruttivi, materiali propri ai singoli luoghi: nell'ipotesi di tornare a una sorta di autosufficienza locale (sustainable environment) da intendersi non come chiusura autonomistica ma — contro la utopica pretesa razionalista di organizzare il territorio secondo un piano nel quale le diverse attività venivano isolate, articolate e specializzate nelle diverse 'zone funzionali' — come formazione di parti in sé portatrici della complessità (in modo analogo alle cellule che già contengono, come informazione genetica, tutte le qualità che comporranno l'organismo adulto) e connesse al tutto attra-verso una logica non giustappositiva, ma ciclica. È in riferimento alla 'organicità' implicita alla sua logica costruttiva, compositiva e ideativa che questo indirizzo di ricerca prende il nome di bio-architettura o architettura bio-logica. Il quale da minoritario (ricordiamo che esso è uno degli aspetti del complesso movimento controculturale americano degli anni '60-'70) ha acquistato nell'ultimo decennio nuove valenze e nuova autorevolezza col suo diffondersi, come si diceva, nell'area nordeuropea. Di qui anche il rafforzarsi e il diffondersi di una nuova estetica, fondata sulla organicità e materialità dei pro-cessi costruttivi anziché sulla loro mimetizzazione, artificializzazione e astrazione; sulla processualità dell'evento architettonico (lo spazio contenitore di tempo compresso, secondo la bella definizione di Gaston Bachelard) e sulla sua contaminazione da parte di chi ne fruisce anziché sulla perfezione del 'prodotto finito, chiavi in mano'. E il territorio, da piatto e bidimensionale come una foto-copia quale si presenta in genere sui tavoli degli urbanisti e degli architetti, torna a presentarsi come un luogo affascinante e misterioso, da conoscere nelle sue irre-golarità, nei suoi meandri e nella sua storia prima di azzardare un segno. Il costruire torna così ad essere una avventura quasi iniziatica, i soggetti tornano a caricare di valore gli oggetti e questi acquistano così un nuovo spessore semantico; gli oggetti stessi, in quanto materia ed energia istituiscono una relazione con i soggetti che li costruiscono e li abitano e di questi tra loro. Figure 1 – 4: Georg W.Reinberg, Edificio BIOTOP, Austria, 2003 7 1 2 8 3 . 4 9 Figura 5: tetti verdi a Berlino. Autocostruzione ed ecologia, 1988 5 Figura 6,7,8: Floride, Amsterdam 2003. Sperimentazioni di nuove ed antiche tecniche costruttive 10 6 7 11 8 Figura 9: Finlandia, 1992, casa sperimentale solare 9 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - Bianca Bottero, “ Dal mondo della precisione all’universo del pressappoco” in Progettare e costruire nella complessità , Liguori, Napoli,1993, 2002,pp39-50 Bianca Bottero, “ La bioecologia nel campo dell’architettura: proposte per un nuovo paradigma” ib , pp. 11-18 12 CAPITOLO 1: Il problema della casa nella nuova società industriale. Conflitti, dibattiti, proposte riformistiche. Domanda di massa, innovazione tecnologica, risposte progettuali. A partire dalla fine del secolo XIX , a seguito delle profonde trasformazioni dell’organizzazione produttiva, delle modalità di lavoro e della distribuzione spaziale delle popolazioni nell’occidente industrializzato, il tema della casa, e in particolare della casa urbana per i ceti sociali più modesti, viene per la prima volta assunto come momento importante di riflessione progettuale. Nel fare ciò la cultura tecnica e disciplinare interviene in un settore, o meglio, potremmo dire, in un ambito di esperienza estremamente delicato, fino ad allora espressione diretta, e diversificata, dei diversi modi di vita degli individui e dei gruppi sociali; nel quale, anche, le tecniche costruttive – e le conseguenti articolazioni spaziali e linguistiche- rispondevano a canoni fortemente condizionati e connotati dalle risorse economiche e produttive dei diversi contesti. Questo intervento è graduale. In una prima fase si limita a una razionalizzazione economico – produttiva, da parte soprattutto di imprenditori privati o igienico-edilizia da parte di associazioni filantropiche o statuali. Le innovazioni non introducono un cambiamento vistoso nelle forme edilizie e nel linguaggio tradizionale. Un esempio può essere fatto in relazione all’evoluzione del cottage nell’Inghilterra del secondo ‘800. Dai modi insediativi operai nella Londra della prima metà dell’’800 con le famigerate abitazioni back-to-back ( dorso a dorso) si passerà così a quelle fornite sul retro di una piccola corte a seguito dei vincoli imposti dalle prime leggi sanitarie inglesi (Health’s Acts).( 1,2,3) I riformatori più attenti intervengono sul progetto della casa sfruttando le nuove acquisizioni tecniche. L’architetto Henry Roberts mette a punto il “Cottage modello”,1950 (5,6,7) dove sono apportate importanti innovazioni costruttive, come i solai non più in legno, ma in ferro e laterizio e la concentrazione degli scarichi delle acque nere e grigie e dei rifiuti in una sorta di “vano tecnico” posto al centro dell’edificio, comune alle quattro abitazioni. L’arretramento creato dalla loggia e dalle scale aperte consente inoltre l’areazione dell’acquaio e del piccolissimo w.c. Questo è anche il primo esempio di divisione funzionale tra le diverse camere da letto: tra figli, maschi e femmine, e tra questi e i genitori. Anche il blocco edilizio in Streatham Street a Londra , sempre dovuto a H.Roberts, 1848-50 (8,9,10), presenta importanti innovazioni. Qui H.R., utilizzando la distribuzione a ballatoio degli alloggi (10 per piano su cinque piani) riesce a dare riscontro d’aria a tutti gli alloggi sfuggendo contemporaneamente alla “tassa sulle finestre”, balzello allora praticato su tutte le costruzioni, ma che risultava molto penalizzante ove si aveva( come nelle case economiche popolari) la necessità di molte aperture su strada data la piccolezza dei vani I vari interventi di riforma dello Stato hanno spesso anche caratteri altamente repressivi. A tale atteggiamento reagiscono scrittori e filantropi come H.Pugin che nei suoi Contrasts contrappone la vita pubblica nelle moderne città a quella propria alla antica civiltà medievale (10, 10a, 11,11a) Il progresso tecnico avanza e agisce anche in modi obliqui sul costume abitativo della popolazione. Mentre le case alto borghesi si arredano attraverso rinnovate modalità decorative ( qui l’interno di una casa della borghesia vittoriana con le tappezzerie su disegno di William Morris (12, 13) ) l’architetto John Claudius Loudon intuisce l’importanza commerciale crescente della “casa di massa”, accessibile a ceti economicamente modesti; 13 fornisce quindi attraverso un manuale, soluzioni standard copiabili secondo personali esigenze e gusto, in stile gotico, neoclassico, arabo, “castellato”…(15) Egli stesso inoltre, costruisce interessanti prototipi di case bifamiliari che riproducono il “decoro” del palazzetto signorile, quale la casa bifamiliare a Londra del 1838. L’edificio è tuttora esistente in Porchester Terrace, Bayswater (14). Vengono anche immaginate e pubblicate nuove proposte per ammobiliamenti economici nei quali non manchi il decoro…(16,17,18,19) Un episodio interessante è, tra il 1892 e il 1900, il risanamento da parte del London County Council ( la Municipalità di Londra allora retta da forze socialiste) del quartiere dell’Old Nichol, a Bethnal Green, reso famoso come covo di ladri e accattoni da un romanzo dell’epoca.(20). Abbattuti i tuguri che lo formavano ( e dai quali gli abitanti emigrarono per altri slum), furono ricostruiti grandi, dignitosi, un po’ cupi caseggiati in stile neoromantico, il cui particolare pregio fu l’avere creato uno spazio esterno, l’Arnold Circus, piazza pubblica di grande dignità urbana. ( 20, 21, 22, 23, 24) Figure 1 - 3: condizioni abitative nella Londra dell’Ottocento 1 2 3 14 Figura 4: interventi di riforma con prime progettazioni abitative per lavoratori soli 4 Figure 5,6,7: Henry Roberts, “Cottage modello”, 1850 15 5 6 7 16 Figure 8 e 9: Henry Roberts, blocco edilizio in Streatham Street, Londra 8 9 17 Figure 10 e 11: H. Pugin, “Contrasts”: l’aspetto repressivo delle istituzioni pubbliche dell’epoca viene paragonato con le forme dell’organizzazione sociale medievale. 10 11 10 a 11 18 Figure 12 e 13: William Morris, disegni di interni per case borghesi del periodo Vittoriano 12 13 19 Figure 14: John Claudius Loudon, edificio in Porchester Terrace, Bayswater Figure 15: John Claudius Loudon, stili edilizi presentati in manuali popolari 15 20 Figure 16– 19: proposte per ammobiliamenti pubblicate su giornali popolari 16 17 18 19 21 Figure 20 – 24: London County Council, intervento di risanamento di un slum a Londra, 20: lo slum old Nichol 21: il quartiere risanato attorno all’Arnold Circus 22 Figure 22– 24: London County Council, gli edifici del nuovo quartiere attorno all’Arnold Circus 22 23 24 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - Bianca Bottero, “La tecnologia nel progetto urbano e di architettura”, Dipartimento 3, dispensa n.107, aa.2.000/2001 Enzo Frateili, Andrea Cocito, Architettura e comfort. Il linguaggio architettonico degli impianti, Clup, Città Studi, Milano, 1991 23 CAPITOLO 2: Il passaggio critico alla modernità. L’utopia del metodo. La posizione decentrata di Bruno Taut Attraverso lo zoning, cioè la divisione dello spazio in aree funzionali specializzate i razionalisti tentarono di ridurre la complessità urbana in termini disciplinarmente padroneggiabili e progettabili. Ogni zona funzionale, infatti, corrispondente ad una specifica funzione poteva essere studiata e progettata in sé e solo successivamente ricomposta nell'organismo urbano complessivo .A partire dal controllo dell’ espansione dei centri urbani nella regione (1) si ha la separazione delle funzioni (2); il centro si separa dai nuclei residenziali periferici (3-4); i nuovi quartieri (Siedlungen) vengono impostati secondo la regola dell’asse eliotermico e si rendono autonomi dalla morfologia del tessuto (5-6) Questo procedimento viene particolarmente approfondito per quanto riguarda la funzione abitativa, ed è sicuramente in tale settore che si hanno i risultati più innovativi del metodo razionalista oltre che le più consistenti sperimentazioni. Tra gli anni '20 e '3O (cioè tra la fine della 1° guerra mondiale e negli.anni più duri del dopoguerra e la crisi economica del '29) in tutti i paesi europei industrialmente avanzati si registra un progressivo crescente impegno dello Stato e delle Municipalità nel settore dell'edilizia popolare. Spingono in questa direzione non solo la maggiore forza contrattuale e politica dei lavoratori, ma gli stessi interessi industriali, che non possono che auspicare un miglioramento delle condizioni di vita della forza-lavoro. Figure 1 – 2: le ipotesi per la razionalizzazione della città negli anni venti 1 2 Figure 3 – 4: il centro si separa dai nuclei residenziali periferici 3 4 24 E’ all’interno di questo compromesso (particolarmente perfezionato in Germania e nei Paesi Bassi) che la metodologia razionalista avrà modo e materia per precisarsi e sperimentarsi. E’ infatti nei grandi quartieri periferici (cui partecipano tutti i principali giovani architetti della avanguardia razionalista) e non certo nelle nella progettazione di piccole operazioni interne al contesto storico cittadino (dove sono necessari rigorosi adattamenti alla morfologia del tessuto e i condizionamenti economico-speculative sono violenti) che la programmazione e la produzione dell'alloggio, dell'edificio, del quartiere possono avvenire in sequenze rigorose e controllate, con il massimo di libertà nella ideazione degli assetti tipologici e spaziali; libertà naturalmente vincolata all’imperativo economico e quindi orientata non solo alla definizione del progetto, quale era ancora tradizionalmente inteso, ma del programma: programma di modi di vita, e programma di modi produttivi e conseguentemente, delle tipologie degli alloggi e delle tipologie degli edifici. L’utopia del metodo In sostanza il metodo prevede lo studio, tipologico e tecnologico di: - la cellula abitativa, basata sulle funzioni riproduttive minime del nucleo familiare (riposare, mangiare, riprodursi) - l'edificio, come aggregazione razionale di cellule di diverse dimensioni; il quartiere come insieme organico di edifici, più alcuni servizi comuni, quali asili, lavanderie, etc.; - la città come insieme di zone funzionali (centri direzionali residenza, verde, industrie e laboratori artigianali) legate da un coerente sistema di circolazione. Questo procedimento porta a una sorta di meccanizzazione del procedimento progettuale che, da azione sintetica ( legata a figure e immagini emergenti anche da un bagaglio storico e culturale) tende a diventare operazione analitica e additiva di parti singolarmente studiate. "Ancora oggi", afferma Ernest May al Convegno di Francoforte nel '29, "per molti architetti è straordinariamente difficile comprendere che, nel costruire abitazioni, non devono essere assolutamente considerati come compiti principali l'aspetto esterno dell'edificio e l'articolazione della facciata, ma che l'essenza del problema è costituita dalla singola unità di abitazione. Figure 5 e 6: i nuovi quartieri (Siedlungen) vengono impostati secondo la regola dell’asse eliotermico e si rendono autonomi dalla morfologia del tessuto. 25 5 6 Nei quartieri operai di J.J.P.Oud a Rotterdam è evidente, per esempio, come, anche entro una complessiva coerenza linguistica, si determini il passaggio da forme insediative ancora chiuse a formare una corte, come nel quartiere Spangen, 1918-19 ( 7) o attente a modalità costruttive tradizionali come in Oud Mathenesse, 1923 ( 8,9,10) a sistemi insediativi più rigorosamente razionali come nell’ Hoek Van Holland, 1924-27 ( 11,12,13) e soprattutto nel villaggio operaio Kiefhoek, 1925-30 (14, 15). Figure 7 – 17: i quartieri operai di J.J.P.Oud a Rotterdam 7: quartiere Spangen (1918 – 1919) 8: quartiere Oud Mathenesse (1923) 9 e 10: quartiere Oud Mathenesse (1923) 26 11 11, 12 e 13: quartiere Hoek Van Holland, 1924-27 14 e 15: villaggio operaio Kiefhoek, 1925-30 27 La posizione decentrata di Bruno Taut Se gli aspetti di metodo sono sicuramente quelli che più hanno determinato la sua influenza sulla architettura e l'edilizia degli ultimi decenni il movimento razionalista contiene, a volte occultato, anche un forte nocciolo espressivo che carica per esempio di tensione le proposte per "un grattacielo di vetro" e il monumento a Karl Liebknecht" e Rosa Luxemburg di Mies Van de Rohe, gli schizzi tracciati in trincea da Eric Mendhelson, i quadri e i disegni di Franz Marc, le "architetture alpine" di Bruno Taut. Nato a Konisberg nel 1880, Bruno Taut lavora dal 1900 al 1909 presso lo studio professionale di Bruno Moring a Berlino e di Theodor Fisher a Stoccarda. La serie di disegni "La dissoluzione delle città" costituisce una sorta di sintesi delle sue aspirazioni giovanili ed insieme una anticipazione formale di quelli che ne saranno i successivi, più controllati sviluppi. Dalle prime idee e schizzi (16) e interventi architettonici come la Casa di vetro (17, 18) appare evidente la forte idealità e carica utopica, che porta T. a cercare, nelle esperienze spaziali anche a grande scala le connotazioni organiche, le morfologie naturali , le forme inclusive(19, 20). Il periodo di più intensa attività di Taut come architetto ha inizio nel 1921, quando viene chiamato a Magdeburgo dall'amministrazione socialista della città, come assessore all'edilizia. Pieno di entusiasmo per le possibilità concrete di intervento che l’incarico gli offre, Taut chiama a collaborare con lui molti noti artisti, urbanisti, architetti e pittori di avanguardia. Sulla rivista Frülicht, da lui diretta negli anni precedenti e che riprende ora le pubblicazioni, rende note alla Germania progressista il senso delle sue ricerche e delle sue esperienze. Malgrado le difficoltà economiche gravi, legate alle conseguenze della guerra e della sconfitta, Magdeburgo diviene così in questi anni un luogo di notevole elaborazione teorica, più vivace ed importante della stessa Berlino. E' in questo periodo che una serie di ipotesi espressive di Taut,prima avanzate in termini di puro spunto formale, trovano modo di concretizzarsi assumendo, senza perdere la carica utopica, precisi vincoli funzionali. Importante in questo senso è il Padiglione Stadt und Land (Città e Campagna), da adibirsi a fiere e mostre ed anche a manifestazioni artistiche e sportive. Qui la forma romboidale della pianta si ripropone (nel primo, più interessante progetto) anche nell'andamento delle capriate nervate di copertura, che modulano lo spazio in differenti altezze, consentendo l'immissione di luce lungo tutta la costruzione: la luce, questo elemento così importante nell'architettura di Taut. Ed ecco, infine, il periodo berlinese. Su indicazione di Martin Wagner, Taut viene chiamato a dirigere la Compagnia Edile Economica per Case di Utilità Sociale (Gehag) e con questa società e con altre Cooperative operaie (che resteranno sempre le sue dirette committenti) Taut realizza in pochi anni più di 10.000 alloggi, una quantità che raramente è stata data a un solo architetto da progettare(21, 22). Tra il 1925 e il 1933, Taut darà così il massimo di sé nella costruzione di numerosi quartieri popolari nei quali, pur costretto a sistemi edilizi economici (Taut non ricorrerà però mai, come invece fu un punto d’onore di Ernst May a Francooforte, alla prefabbricazione, ma utilizzò ancora tecniche costruttive tradizionali, appartenenti alle competenze delle cooperative operaie cui faceva riferimento) e alla creazione di alloggi di serie, non rinuncerà mai a dare con la casa “qualcosa di più”, perché l’offerta di alloggi economici non risultasse “un tè di beneficenza dato ai poveri”. Di questa impostazione è esempio mirabile il grandioso insediamento Berlino-Britz, 1925-31 (1.000 alloggi, di cui 480 in case unifamiliari) di cui parte centrale, il famosissimo “ferro di cavallo” costituisce il fulcro formale, la sintesi espressiva, ma contemporaneamente, l’ipotesi sociale5. (23 - 32) 5 E’ interessante che nelle recenti esperienze dell’IBA berlinese negli anni ’80, pur con tutt’altro linguaggio il tema dello spazio interno viene ripreso nell’uso alternativo delle corti. 28 La figura e l’opera di Bruno Taut furono, fino agli anni ’60, molto sottovalutate dalla critica architettonica internazionale: un loro pieno e importante apprezzamento si avrà solo, in Italia, con gli studi di G.H. Konig, entro la generale rivalutazione dell’espressionismo nell’ambito culturale fiorentino di quegli anni. Figure 16 – 26: Bruno Taut, schizzi e progetti 17 e 18: Casa di vetro 16: schizzi per Architettura Alpina 29 19 e 20: il nucleo centrale come matrice morfologica dello spazio abitato 21 21 e 22: il quartiere Britz all’epoca della costruzione 30 23 24 23, 24, 25, 26, 27: viste interne del “ferro di cavallo” 27 28: la striscia colorata delle scale dall’esterno 31 29 30 28, 29, 30, 31 e 32: viste esterne del quartiere Britz BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - Bianca Bottero, “La tecnologia nel progetto urbano e di architettura”, Dipartimento 3, dispensa n.107, aa.2.000/2001 Bianca Bottero, “L’abitazione dopo il modello razionalista” in Housing 1, Clup, Milano, 1987, pp.151-190 Enzo Frateili, Andrea Cocito, Architettura e comfort. Il linguaggio architettonico degli impianti, Clup, Città Studi, Milano, 1991 Bruno Taut, La corona delle città, introduzione di Ludovico Quaroni, Mazzotta, Milano, 1973 32 CAPITOLO 3 : Alvar Aalto, Hans Scharoun, Frederick Kiesler: la casa come “luogo dell’abitare” Ha scritto in un famoso saggio Martin Heidegger: “…Noi cerchiamo di riflettere sull’essenza dell’abitare. Il passo successivo su questa via dovrebbe essere: che ne è dell’abitare nella nostra epoca preoccupante? Si parla dovunque e con ragione della crisi degli alloggi. Non solo se ne parla; vi si pone mano per ovviarvi. Si cerca di vincere la crisi attraverso la produzione di abitazioni, incoraggiando le costruzioni, pianificando l’edilizia. Ma, per quanto dura e penosa, per quanto grave e pericolosa sia la scarsità di abitazioni, l’autentica crisi dell’abitare non consiste nella mancanza di abitazioni. La vera crisi degli alloggi è più vecchia delle guerre mondiali e delle loro distruzioni….La vera crisi dell’abitare consiste nel fatto che i mortali sono sempre ancora in cerca dell’essenza dell’abitare, che essi devono anzitutto imparare ad abitare” (“Costruire, abitare, pensare”, in Saggi e discorsi, 1950) 1. Alvar Aalto Per la posizione geograficamente “ decentrata” in cui svolse la sua attività ( egli. non si allontanò mai dalla sua natia Finlandia) Alvar Aalto poté svolgere nel panorama dell’architettura moderna europea – cui pure aderì partecipando ai CIAM del 1929 a Francoforte e del 1930 a Bruxelles - un ruolo in certo senso libero da “vincoli” programmatici e più facilmente contaminabile da regole intrinseche a una tradizione costruttiva locale. Pur non assumendo posizioni esplicitamente polemiche coi Maestri del razionalismo europeo, dei quali era più giovane di circa dieci anni, Alvar Aalto. mostrò chiaramente la sua diversa impostazione metodologica nell’affrontare il tema della casa e in genere dei luoghi per l’abitare, come, per esempio, i numerosi edifici pubblici (scuole, sale per conferenze, chiese) per i quali valeva per lui la stessa regola, la stessa strategia progettuale che come per il progetto dell’abitazione, partiva dalla definizione ‘amichevole’ dello spazio interno. Alla ‘casa-macchina’ Aalto contrappone così ‘la casa-che-cresce’, intrinsecamente organica ( vedremo che simile sarà la posizione di Schindler) e allo Stile Internazionale antepone lo studio attento delle atmosfere, dei materiali e delle risorse dei propri paesaggi. Citiamo solo: la Biblioteca a Viipuri del 1932, dove l’attenzione alla buona distribuzione della luce e del suono diventa strategia formale (A.1-5); la residenza estiva a Muuratsalo, del 1951, dove l’attenzione al luogo in senso proprio si esprime in una inesausta sperimentazione sull’uso di materiali, dei rivestimenti, delle definizioni spaziali (A.6,7,8,9,10,11,12).Ma, specificamente rispetto al progetto di abitazioni andrebbe citato l’edificio multifamiliare al quartiere Hansa Viertel a Berlino, del ’57 (21), le case operaie a Kauttua ( A.17 – 20) 33 1.1 Biblioteca a Viipuri (Concorso 1927. Costruzione 1930 – 1935) Qui l’attenzione di Alvar Aalto per gli aspetti fruitivi, cioè l’abitabilità degli spazi anche non di abitazione appare nella cura del controllo luminoso ed acustico delle sale oltre che nella mirabile fluidità degli spazi. Figure 1 – 5. 1: studio sulla captazione della luce 2 34 3: studio della riflessione acustica. 4 5 35 1.2 Residenza estiva dell’architetto a Muuratsalo ( 1951 ) L’attenzione di Alvar Aalto al luogo, in senso proprio, cioè per il colore, i materiali, la spiritualità, si potrebbe dire: del luogo, uniti alle forme più domestiche e d’uso, appare in tutta evidenza nella costruzione della sua residenza estiva a Muuratsalo (1951) che egli usò anche per sperimentazioni concrete sul valore decorativo delle tessiture dei mattoni, della loro coloritura, etc. Figure 6 – 11. 6 7 e 8: l’importanza della definizione di una corte nell’idea spaziale 9 e 10: la decorazione della tessitura 11: la sauna finlandese 36 1.3 Sanatorio antitubercolare a Paimio ( Concorso 1928. Costruzione 1929 - 1933 ) In questo splendido edificio, nel quale si esprime l’incondizionata adesione di Alvar Aalto ai canoni del modernismo ed alle sue avventure tecnologiche [tetto piano, struttura in c.a. con grandi vetrate…], appare comunque evidente l’attenzione amorosa al comfort per gli abitanti: i malati. È noto che, per esempio, Aalto dipinse di colori vari i soffitti (rifiutando il “tutto bianco” del modernismo) sostenendo che così si rallegrava la vista di chi per la maggior parte del suo tempo si trovava in una posizione supina. Figure 12 – 15. 12 37 13 38 14 15: atrio 16: lavelli nelle camere 39 1.4 Case per operai a Kauttua ( 1937 - 1940 ) Una tipica espressione della “casa che cresce” rispetto alla “macchina per abitare” secondo il fortunato slogan di Le Corbusier. Figura 17 17 18 19 40 20 1.5 Edificio residenziale per il quartiere Hansa, Berlino ( 1955 - 1957 ) La generale disposizione planimetrica consente un’eguale qualità delle opportunità fruitive [ogni appartamento ha una loggia capace di ospitare un tavolo da pranzo; ogni alloggio gode di una doppia esposizione] per i diversi alloggi in un’estrema economia degli spazi di distribuzione: su otto alloggi per piano (di tagli diversi) solo due scale e due “pianerottoli”, che in realtà, essendo illuminati e di superficie ampia, diventano quasi spazi di soggiorno ai vari piani. Figura 21 21 41 2. Hans Scharoun Vive la sua lunga stagione artistica e professionale in piena simbiosi, si può dire, con le drammatiche vicende tedesche e centro europee del secolo trascorso. Nato a Brema nel 1893, si trasferisce presto a Berlino, dove risiederà e opererà fino alla morte qui avvenuta nel 1972. Partecipa quindi, tra la fine degli anni ’10 e la metà degli anni ’20 alla ricerca etico-estetica delle avanguardie artistiche berlinesi del Nevembergruppe e del Ring, da cui anche la sua affinità alla poetica del grande amico Hugo Haring. Sensibile alle ricerche espressioniste delle quali la Torre Einstein ( Postdam, 1920-24) di Erich Mendelsohn è una sorta di manifesto (S.1), S. partecipò all’esposizione internazionale Die Weissenhof-siedlung organizzata da Mies van der Rohe a Stoccarda nel 1927 (S.2) con un edificio (S.4) che mostrava la sua divaricazione dal linguaggio razionalista più accertato, quale espresso dall’edificio di Le Corbusier (S.3). Sarà poi vicino agli architetti del movimento razionalista coi quali collaborò , nel fervido decennio della repubblica di Weimar , alla progettazione dei famosi quartieri operai (Siedlungen) che tanta influenza ebbero sugli sviluppi dell’architettura moderna. Sua fu in particolare la soluzione planimetrica adottata per il quartiere Siemensstadt, 1927-30, entro il quale S. costruì anche una serie di edifici (S.5-10) ) nei quali si coglie la tensione dinamica che egli vuole affidare ai suoi involucri edilizi. Nel secondo lotto, realizzato negli anni ’50 (S.11-14), la concitazione della facciata, data dal nervoso andamento delle logge, nega qualsiasi appagamento compositivo statico. Durante il nazismo S. non si allontanerà dalla Germania, a differenza di quasi tutti gli altri architetti e artisti d’avanguardia, invisi al regime in quanto sospettati di bolscevismo e inoltre, molto spesso, ebrei. Privato però di commesse pubbliche, lavorerà appartato, producendo d’altronde una serie di bellissime ville per amici nei dintorni di Berlino, nelle quale mette a punto, in forma quasi sperimentale, la sua idea dello ”spazio connettivo” che lega in forma organica le varie parti funzionali dell’edificio. Nel dopoguerra, fu in un primo periodo nominato Stadtbaurat di Berlino e fece numerosi progetti per la ricostruzione della città, nei quali si ritrova, ad altra scala, il suo concetto di “spazio connettivo”, fluido elemento verde sul quale si agganciano i diversi, monumentali edifici . Dopo la costruzione del Muro nel 1957, si limitò a svolgere, nella Berlino ovest, la propria attività professionale il cui culmine artistico sarà rappresentato dalla Filarmonia (1957-1963). Per S. non esiste “la facciata”: nella Filarmonia, per esempio, ci si trova di fronte a un oggetto di aspetto quasi improbabile, una sorta di nave galleggiante sulla piastra del Kultur Forum berlinese, ormeggiata accanto all’impeccabile, terso volume del Museo per l’Arte Contemporanea di Mies van der Rohe (S.13, 14). Il volume della Filarmonia è invece tutt’altro che impeccabile, sembra definito da piani quasi accatastati in modo provvisorio, a contenere la fluida ricchezza spaziale, luminosa e sonora degli spazi interni (S.15-18). 1: Osservatorio Einstein a Postdam di Mendelson 42 2: manifesto di Karl Straub del Weissenhof Siedlung di Scharoun. 3: Weissenhof, edificio di Le Corbusier 4: Weissenhof, edificio di Scharoun 43 5, 6, 7, 8 e 9: Siedlung Siemensstadt 1 (1928 – 30) 7 8 9 44 10, 11 e 12: Siedlung Siemensstadt 2 12 45 13 e 14: Mies Van der Rohe, Galleria Nazionale, Berlino 15 e 16: Filarmonica di Berlino, il volume esterno 17 e 18: Filarmonica di Berlino, l’atrio. 46 3. Frederick Kiesler E’ un prezioso dono della Mittel Europa agli Stati Uniti d’America. Nato in Romania nel 1890, svilupperà negli anni venti a Vienna ( 1923-125) le sue prime, fondative ricerche artistiche con le esperienze di “spazi infiniti” ( la Endless House a forma di sferoide, l’Endless Theatre, City in Space). Trasferitosi nel 1925 a New York sarà qui, a contatto con i più avanzati ambienti artistici nuovayorkesi (pittori, musicisti, scenografi) che K. svilupperà appieno la propria ricerca con le successive versioni della Endless House, 1923, 1950, 1960 .(K.1,2,3,4,) attraverso le quali, e con la teoria espressa nel suo Manifesto del Correalismo, 1949, espliciterà la sua critica al funzionalismo, alla sua astratta elaborazione tipologica per la casa, alle sue rigide geometrie, alle sue meccaniche scansioni temporali. La dimensione utopica della ricerca di Kiesler lo escluse dalle commesse professionali come architetto e anche da una collocazione e valutazione adeguate nel panorama critico contemporaneo. Sua unica opera è lo Shrine of the Book costruita a Gerusalemme tra il 1957 e il 1965 per ospitare i rotoli del Mar Morto, che erano stati scoperti di recente (K.5,6,7,8,9,10) .Questo edificio è una mirabile espressione della visione dell’architettura di K, intesa come plastica, protettiva, sensibile membrana tesa tra i corpi e lo spazio, ambasciatrice tra la profondità delle materia terrestre e il cosmo. La cupola, rivestita in ceramica, è resa luminescente dal velo d’acqua che la avvolge (K.11) mentre la scala che conduce alle sale ipogee del museo sottolinea il suo rapporto con gli strati profondi della terra , lungo l’asse del tempo (K.12) A questa visione – e in genere a tutta l’esperienza artistica kiesleriana ) fa riferimento come dimostra anche la recente esposizione alla Biennale veneziana ( Metamorphosis, 2004) - un ampio settore dell’architettura contemporanea. 1, 2 e 3: studi per la Endless House 47 2 (da Maria Bottero, L’Infinito come progetto, cit.) 48 4, 5, 6, 7 e 8: Shrine of the Book, Gerusalemme 6 7 8 49 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - AA.VV., “Organico-inorganico” in Housing 9 , ETASLIBRI, 1998 , pp.2-32. Virginia Gangemi ( a cura di),Tecnologia e ambiente. Metodologia di ricerca progettuale Università degli studi di Napoli, 1972-73 AA.VV., ”Omaggio a Scharoun” in Housing 6 ,ETASLIBRI, 1994 , pp.82-125 Maria Bottero, ”Endless House: il paradosso della casa infinita in Frederick Kiesler”, in Housing 7/8, ETASLIBRI, Milano, 1997, pp.152-15. Maria Bottero, Frederick Kiesler: l’infinito come progetto, Universale di architettura, Testo e immagine, n.61, 1999 50 CAPITOLO 4: Innesti esemplari. Dall’America all’Europa e ritorno: Wright, Schindler, Gehry. << All'abitare, così sembra, perveniamo solo attraverso il costruire... ma le abitazioni hanno già in sé stesse la garanzia che un abitare sia davvero possibile? D'altra parte, le costruzioni che non sono abitazioni rimangono pur sempre anch'esse determinate in riferimento all'abitare, nella misura in cui sono al servizio dell'abitare dell'uomo. L'abitare sarebbe quindi in ogni caso il fine che sta alla base di ogni costruire. Abitare e costruire stanno tra loro nella relazione del fine al mezzo. Ma finché noi vediamo la cosa entro i limiti di questa prospettiva, assumiamo l'abitare e il costruire come due attività separate, e in questo c'è senz'altro qualcosa di giusto. Tuttavia, attraverso lo schema fine-mezzo noi nello stesso tempo ci precludiamo l'accesso ai rapporti essenziali. Il costruire, cioè, non è soltanto mezzo e via per l'abitare, il costruire è già in se stesso un abitare.>> (“Costruire, abitare, pensare”, in Saggi e discorsi, 1950) 1 Frank Lloyd Wright Già nei primi decenni del ‘900, le opere di Frank Lloyd Wright (le famose Usonian Houses) e la loro concezione progettuale costituivano una radicale revisione rispetto alle ancora imperanti convenzioni disciplinari accademiche, ma anche rappresentavano una critica implicita agli orientamenti del Modernismo quale si andava allora affermando in Europa. Per questo i disegni delle costruzioni del Maestro americano pubblicati in quegli anni - dai quali prorompeva l’enorme carica inventiva che sorreggeva ogni edificio, a partire dalla spazio continuo interno-esterno (W 1,2,3,4,5,6), dalla qualificazione della luce, dell’acqua, del paesaggio, dalla rivalutazione delle risorse naturali locali e dalla parallela inesausta curiosità verso le nuove tecniche e i nuovi materiali - costituirono per gli architetti più sensibili (o quantomeno più inquieti rispetto alle formule accademiche, ma anche rispetto ai dogmatici assiomi del Movimento razionalista) una vera e propria rivelazione. Tale fu, per esempio, l’effetto sul giovane Schindler, ancora rispettoso studente viennese ( ma inflenzato da Loos più che dal suo maestro Otto Wagner) che, in evidente ricerca di libertà intellettuale, partirà per Chicago (1914) dove lavorerà per Wright (1917) seguendo per lui diverse costruzioni a Los Angeles (W 7,8,9,10) città nella quale si inserirà infine ( 1921) restandovi incessantemente fino alla morte ( 1953) quasi come in un suo naturale oikos. 1 e 2: Robie House, Chicago (1908 – 1910) 51 3, 4, 5 e 6: costruzione a Los Angeles (19xx) 5 6 7, 8, 9 e 10: Hollyhock House detta “la Miniatura” (1920) 9 10 52 2 Rudolph M. Schindler Rudolph Michael Schindler rappresenta uno dei più vistosi “errori giudiziari” della critica architettonica. Nella prefazione al testo di David Gebhard, H.R.Hitchcock, il grande mentore del modernismo, lo ammette esplicitamente, seppure a denti stretti. “…Confesso che il caso Schindler non lo capisco. C’è certamente una immensa vitalità…ma questa vitalità porta in genere a effetti arbitrari e brutali. Anche nei suoi ultimi lavori il riferimento è all’ultimo espressionismo e al neo-Plasticismo degli anni venti…Questo scrivevo nel ’40….Difficilmente mi esprimerei così adesso: per esempio il termine’Brutalismo’ ha da allora assunto uno specifico significato nell’ambito della critica sulla nuova architettura e non si applica a Schindler….Ma, in generale con il cambiamento dell’atteggiamento verso l’architettura moderna che ha avuto luogo nell’ultima generazione, la rigidità, il purismo che erano prima considerati e apprezzati in questa negli anni trenta hanno dato luogo a un atteggiamento più rilassato (!)….il riferimento all’Espressionismo…peggiorativi negli anni ’40 esprimono abbastanza bene oggi alcune delle direzioni seguite dall’architettura moderna dopo la fine dell’ ultima guerra…Di questo movimento il lavoro di S., già dagli inizi alla metà degli anni venti fu , attraverso la sua varietà, premonitore.”6 Si potrebbe e dovrebbe dire di più da parte di un “grande” critico. Ma certo Schindler dei critici non si curava e, quanto allo Stile Internazionale e ai suoi numi scriveva nel 1934: ”…Nell’estate del 1911, ero in Stiria in una delle case massive tradizionali … ed ebbi l’intuizione subitanea di che cosa era lo spazio per me…L’architettura del passato, egiziana, romana, non aveva fatto che impilare materiali massicci e sostenerli per permettere di ricavare gli spazi interni, che erano totalmente condizionati dalle forme esterne…La stanza stessa non era che prodotto secondario: la volta non era infatti pensata per dare una sua forma alla stanza, ma per reggere il peso della massa materiale…Le pareti venivano poi decorate…Uscii e guardai l’ampio orizzonte del cielo assolato e qui trovai il vero medium dell’architettura: LO SPAZIO! ( nota: questa intuizione fu immediatamente espressa nel MANIFESTO, pubblicato da S. A Vienna nel 1912)…..Oggi la nostra vittoria attraverso la matematica sugli sforzi strutturali7 ci permette di eliminarli come sorgenti di forme artistiche…. Gli edifici di scuola modernista , risciacquatura di diversi movimenti artistici europei (cubismo, futurismo, ecc.) cercano di dare un nuovo carattere alla città con un gioco altamente convenzionale di forme contrastanti…ma l’architettura in quanto scultura è morta….I funzionalisti lo intuiscono vagamente e quindi ci chiedono di abbandonare l’architettura come arte. Vogliono costruire come gli ingegneri, producendo ‘tipi’ che non hanno altro significato che la funzione…Dimenticano che l’architettura in quanto arte può avere il significato molto più importante di servire come agente culturale, in grado di aiutare l’estensione e la consapevolezza su noi stessi…Per peggiorare le cose, e attirare l’attenzione su di sé, un gruppo di funzionalisti si è battezzato con un nome: Stile Internazionale…L’ideale di perfezione di questi nuovi sloganisti è la macchina, senza considerare che la macchina è bidimensionale, è una semplice collazione di pezzi e non ha niente di organico, mentre la casa è in diretta relazione con le nostre vite, deve essere organica, quadridimensionale…L’architettura moderna non potrà essere sviluppata cambiando gli slogan. Non può essere affidata alle mani degli ingegneri, degli esperti in efficiente organizzazione, del macchinista o dell’economista. Si potrà solo sviluppare nella mente di 6 Dalla “Prefazione” al testo di David Gebhard, Schindler, prima edizione Thames and Hudson Limited, London, 1971 Va ricordato che S., nato a Vienna nel 1887, prima di diplomarsi nel 1913 presso la Scuola d’arte diretta da Otto Wagner, si era laureato nel 1911 in ingegneria strutturale presso l’Università Tecnica di Vienna. 7 53 quegli artisti che capiscono che lo spazio e le forme dello spazio sono il nuovo medium per l’espressione umana…”8 Schindler, il viennese immigrato interpreta questa istanza – che è di vita prima che di architettura – nei termini della più squisita eleganza. Un’eleganza che, sotto l’apparente trascuratezza cela gli echi deco e rielabora le disconnessioni delle superfici e degli spazi introdotte da Rietveld e da Mondrian introducendoci, fastosamente, nell’anticamera della decostruzione. Ma, possiamo osservare, a differenza delle ricerche decostruzioniste attuali, S. include sempre, come elementi inscindibili dell’ideazione progettuale, componenti e risorse naturali, come la luce, l’acqua senza che la sua curiosità per le strutture ardite o innovative ( che egli, ingegnere, era perfettamente in grado di padroneggiare), prevaricassero dalla dimensione di semplici ‘strumenti’ al servizio dello spazio. Nella casa Schindler-Chace, il primo dei suoi edifici autonomi, costruito per la sua famiglia e per quella dell’amico Chace – che in seguito lascerà il posto ad altri amici, primo Richard Neutra appena emigrato come Schindler da Vienna ( S.1-10) vi è tuttavia l’uso di blocchi di calcestruzzo lasciati a vista, ( analogamente a Wright per ‘La Miniatura’). Mentre, nella Lovell House, 1925-26 sono in c.a., unico caso, le strutture portanti. Come suggerito da Ester Mc Coy, la scelta di S. di usare sempre strutture in legno anche nelle costruzioni più apparentemente rifinite, come nella Buck House a Los Angeles, del 1934, dove sono espliciti i richiami alle ricerche neoplastiche europee (S.11-16) pare dovuta alla sua volontà che esigenze di monumentalità e di eccessiva magniloquenza strutturale non prevaricassero la leggerezza e la confortevole, economica costruibilità, alle quali Schindler affidava i suoi edifici quasi desiderando imprimere loro una sorta di fragile precarietà (S.11-16) 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8; Scindler - ChaceHouse, West Hollywood, L.A. (1922) 3 8 4 Cfr.D.Gebhard, cit, pp.147-150. (Traduzione e libera citazione mia) 54 5 6 7 8 9, 10, 11, 12, 13 e 14; Buck House, Los Angeles (1934) 55 11 12 13 14 3 Frank Gehry Nel progetto a Santa Monica dell’edificio per una azienda produttrice di materiali ottici pose –in accordo e complicità con lo scultore Oldenburg -un binocolo gigante a segnalare l’atrio di ingresso e a sottolineare una frattura, una soluzione di continuità tra il primo tratto dell’edificio e il secondo, caratterizzati anche con rivestimenti e colori diversi e funzioni differenti.( G.1-7) Siamo qui di fronte a una strategia progettuale che è tipica di G. e che consiste nel rendere i suoi edifici sempre degli insiemi dialoganti, generatori di spazi attraverso proprie successive frammentazioni, rigenerazioni e solo parziali ricomposizioni..Come, spettacolarmente, nel complesso Edgemar che, poco lontano dal Binocolo, sempre a Santa Monica, costituisce un minuto “gruppo di famiglia”, con bar, negozi, un cinema e diverse piccole piazze interconnesse. (G.8-16) La stessa strategia che si ritrova, anche se in forme più razionali, nella biblioteca rionale di Los Angeles (G.17-22) ed è già a mio parere presente anche nel progetto della sua 56 propria casa a Santa Monica che costituì una vera e propria pietra miliare nella ricerca architettonica contemporanea. (G.23-28).) Qui sono i diversi ambienti che dialogano tra loro, che si disarticolano, si rispondono, in una polifonia di note, colori, materiali. C’è molto di Kahn in questa strategia (dicevaK: “…l’edificio ha un limite, un bordo vero l’esterno…ma talvolta l’interno pare volersi muovere, rompere le pareti e uscirsene fuori…Una casa è un edificio molto sensibile ai bisogni interni”). Ma c’è molto anche di Wright ( il vettore espansivo, vitale, orientato dal dentro al fuori) e di Schindler: la sperimentazione dei materiali, l’uso poetico, ma rigoroso di strutture leggere, di rivestimenti apparentemente poveri, ma capaci di inedite vibrazioni, la qualità coloristica e materica delle superfici, gli spazi interni amichevoli e disponibili, ecologici ante litteram.” Eppure, la distanza tra queste diverse poetiche resta grandissima: Wright e poi Kahn cercheranno comunque di controllare gli inquieti spazi, oggetto del loro studio, secondo forme autorevoli e ricomposte. Gerhy seguirà invece la sua disinibita ricerca formale, autoironica (come nel pazzo edificio di Praga, Ginger e Fred) ma, contemporaneamente, tesa a dilatare lo spazio dell’edificio verso l’ambiente esterno, costruendo dei fulcri energetici, dei gorghi, nel paesaggio. 1 – 7: edificio Chiat/Day Building, Main Street, Venice, L.A. (1985 – 91) 4 5 57 6 7 8 - 16: complesso Edgemar, Santa Monica, L.A. (1984 – 88) 58 9 11 14 10 12 13 15 59 16 17 – 22: Biblioteca regionale Frances, Hollywood, L.A. 1982 - 1986 20 21 22 60 23 – 28: Casa Ghery, Santa Monica, L.A., 1977 – 78, 1991 – 94 25 26 27 28 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: - AA.VV. “R.M.Schindler, 10 houses” in 2G,rivista internazionale di architettura, n.7, 1998/III Mara De Benedetti, Rudolf .Schindler, Universale di architettura, Testo e immagine, n.73, 2003 David Gebhard, Schindler, prima edizione Thames and Hudson Limited, London, 1971 Antonino Saggio, Frank O. Gehry, Universale di architettura, Testo e immagine, n.23, 1998 61 ALLEGATO 1 LE “CASE-ALBERO” DI FREI OTTO Di Anna Delera Nel giugno del 1980 J .P .Kleihues, direttore del settore della nuova edificazione dell'IBA, prese i primi contatti con Frei Otto per proporgli la costruzione di un blocco di abitazioni sulla base dei principi dell'architettura naturale, principi che tornavano in tutti i suoi progetti ormai da diversi decenni. In quanto al terreno, gli lasciava sperare in un'area non ricostruita dopo la guerra, collocata vicino a Piazza d' Ascania di fronte alla vecchia Anhalter Bahnhof di Berlino distrutta dalle bombe e infine demolita. Dopo un breve periodo di riflessione Frei Otto si dichiaro pronto a studiare una "città giardino tridimensionale" con uso privato del verde pubblico, parti in "autocostruzione" ed eventualmente, con l'autorizzazione dell'IBA, una densità più bassa di quella prevista. L 'idea, sintetizzata dallo stesso progettista ne1l'immagine di "un grosso albero con gli appartamenti posti sui rami", voleva rappresentare un'alternativa significativa ed esclusiva all'abitare tradizionale. Il primo progetto in piazza d'Ascania Nel 1981, dopo una serie di contatti con i responsabili dell’IBA, il gruppo di lavoro costituito da Frei Otto elaborò la proposta, suI terreno di circa 6000 mq. individuato, di edificare due ossature "adattabili" rispettivamente di 35 e 60 mt. di altezza con parce1le costruibili ai diversi piani per complessivi 9000 mq . di superficie legate tra loro ai piani bassi. I futuri abitanti, consigliati da eco-architetti, giardinieri paesaggisti ed ingegneri specialisti in energie sperimentali, avrebbero dovuto potere concepire e realizzare autonomamente, secondo le direttive de1le case a carattere sociale, circa 50 a1loggi di uno o due piani e determinare così i prospetti degli edifici. La "citta giardino verticale" proposta, prevedeva de1le superfici costruite per iL 50%. La rimanente superficie doveva essere lasciata libera per essere destinata a verde privato - il 30% circa – e a giardino comune. 62 1 2 63 64 Primo progetto in piazza d'Ascania. Sezione schematica della “città giardino verticale” e studi sull'ingresso naturale di sole e luce nelle singole unità abitative e sulla opportunità di una loro eventuale schermatura. Nel suo insieme, la " struttura arborescente " -come la definiva Frei Otto -doveva colmare il vuoto esistente tra la villa unifamiliare tradizionale, che occupa una grande parte di suolo, e il blocco d'abitazioni a più piani o "ville urbane", un concetto che, anche se è stato profondamente modificato nella forma fortemente ridotto nelle parti a verde, è stato poi realizzato nel 1988 restando praticamente immutato. Ma l'originale concezione progettuale che lasciava all'autodeterrninazione dei futuri abitanti la definizione compositiva dei fronti, bloccò la realizzabilità del progetto nel luogo assegnato. L' opera infatti, non poteva adattarsi al piano generale già concepito per quel sito da Oswald Mathias Ungers e caratterizzato da blocchi perfettamente definiti e con la stessa altezza di gronda. 65 Il secondo progetto a sud del giardino zoologico Dopo che il primo progetto venne respinto, fu messo a disposizione dal Senato di Berlino un nuovo sito, precedentemente occupato dall'Ambasciata Vaticana, posto nel centralissimo parco del Tiergarten lungo il Landwehrkanal. Frei Otto nel 1982 elaborò un a1tro progetto con Hermann Kendel e Rolf Gutbrod come consulenti e con un gruppo di collaboratori che nel frattempo si era molto infoltito. Sul nuovo terreno, sicuramente più adatto per la realizzazione delle case immaginate da Frei Otto ma fortemente ridotto nelle dimensioni9, il progetto doveva confrontarsi con una serie di vincoli: il parco con la sua 'ricca e in alcuni casi "rara" vegetazione, il limite di altezza edificabile fissato dal regolamento edilizio per tutti gli edifici della zona in 15 mt. e la preesistenza di un rifugio antiaereo con muri di c.a. di 4 mt. di altezza e 2 mt. di spessore la cui demolizione sarebbe stata troppo onerosa. Il progetto prevedeva dunque la realizzazione di tre palazzine che, per forma e per disposizione sul terreno, si adattavano alla presenza degli alberi con tronco superiore ai 26 cm. di diametro. Ogni palazzina poi, così come nel progetto precedente, era stata pensata solo nella sua struttura primaria per lasciare ad ogni utente la possibilità di auto-determinare la propria unità abitativa. La struttura prevista era composta da due solai in calcestruzzo armato, rispettivamente posti a 6 e 12 mt. da terra, con una luce di 7,50 mt. ridotta a 3 mt. per le parti a sbalzo. In una prima fase ogni solaio era stato concepito come una "vasca"10 impermeabilizzata nella quale poteva essere coltivata vegetazione o potevano essere creati bacini d'acqua. Nella parte riservata alle abitazioni, invece, questo spessore doveva essere riempito con granulato di pomice e su questo sarebbero stati posati dei pavimenti "flottanti" realizzati in pannelli e rivestiti in parquet. Questa soluzione avrebbe permesso un ottimo isolamento termico, la distribuzione regolare dei carichi del pavimento e la libertà nel posizionamento dei condotti di scarico a partire dai punti fissi di raccordo. Per ragioni di costi - e soprattutto per aumentare l'angolo di incidenza solare ai diversi livelli si sono invece realizzati dei solai piani in e.a. di spessore ridotto a 10 cm.11 Ogni solaio di circa 250 mq., è stato pensato suddividibile in 4 parcelle di suolo poste alle due diverse altezze, ognuna delle quali avrebbe dato luogo ad alloggi duplex di circa 120 mq. di superficie. Ogni "struttura arborescente", dunque, è stata pensata per contenere 8 alloggi in duplex - 4 al piano terra e 4 a 6 mt. di altezza - e un alloggio singolo all'ultimo piano situato a 12 mt. di altezza. I due livelli d'ingresso agli alloggi sono raggiungibili attraverso corpi scala chiusi collocati sul lato nord. A sud, invece, le indicazioni di Frei Otto ai futuri abitanti erano quelle di approfittare dell'esposizione favorevole per collocare serre o Wintergarten e sfruttare passivamente l'energia solare. A progetto concluso trascorsero ancora molti anni e molte furono le polemiche e i problemi prima di potere iniziare i lavori lasciando inalterate le caratteristiche generali della concezione progettuale di Frei Otto. All'inizio del 1987 si iniziano a cercare i possibili acquirenti per le diverse parcelle e, mentre per i due edifici meglio esposti, quelli con l'ingresso sulla Corneliusstrasse prospiciente il Landwehrkanal, le richieste di acquisto furono immediatamente molte12, per l'edificio posto sul lato nord si presentarono alcuni problemi. La posizione sfavorevole e l'ombra creata dalla ricca alberatura, rendevano la struttura chiusa e buia e dunque non particolarmente apprezzata per l'acquisto. Fu allora deciso che, su progetto complessivo di Hermann Kendel, un'unica impresa 9 Si tratta di un terreno di soli 4.000 mq. e con un valore di mercato. data la posizione prestigiosa, stimato in circa 866 DM/mq. Si tenga presente che all'epoca i1 Marco tedesco valeva circa Lit. 1.800. 10 4 II progetto dell'infrastruttura, studiato dagli ingegneri Geletzke, Wegener e Tschepe, prevedeva una vasca di 45 cm. di profondità tra il solaio di 25 cm. di spessore e le travi di 70 cm. di altezza appoggiate su pilastri a sezione rettangolare di 50 x 100 cm. 11 Questa soluzione, che ha sicuramente permesso di abbassare il costo della struttura generale, ha però creato non poche polemiche in merito ai costi supplementari, stimati in 70.000 DM per ogni unità abitativa, che sono stati sostenuti per isolare e prevenire i ponti termici. 12 Più di 1.400 le richieste d'acquisto pervenute che costrinsero a laboriose consultazioni per selezionare i candidati. 66 avrebbe realizzato 8 appartamenti, con l'ingresso dalla Rauchstrasse, con superfici variabili dagli 80 ai 140 mq. da destinare all'affitto.13 Nella primavera del 1988 si iniziarono i lavori per la realizzazione di tutte e tre le "strutture ad albero" e nel luglio del 1989, dopo soli sei mesi di lavori nella "casa-albero" destinata all'affitto, gli inquilini poterono abitare i loro alloggi. 3 4 5 6 (Tutte le immagini e fotografie dell’allegato sono di Anna Delera) 13 Questi appartamenti furono finanziati con i fondi riservati ad alloggi sociali per fasce ad alto reddito e affittati a 20 DM al mq. 67 ALLEGATO 2 L’AUTOCOSTRUZIONE COME STRUMENTO DI PROGETTO NEL METODO SEGAL Di Luca Maria Francesco Fabris Ideato da Walter Segal (1907/1985), il metodo che ne prende il nome diviene noto nel 1963 quando realizza la Temporary House a Londra, una casa temporanea assemblata a secco, costituita da semplici telai in legno dolce e da tamponamenti formati con materiali edilizi reperibili sul mercato. Questo edificio, pensato per essere smantellato dopo un uso momentaneo, fu realizzato in due settimane con un costo complessivo di 835 sterline d’allora: un costo veramente basso per i sui 65 mq. di superficie. Con gli anni Segal migliorò il suo metodo costruttivo rendendolo perfetto per l’autocostruzione. Le case autocostruite a Lewisham (Londra, 1977-1987) hanno dato una vasta popolarità al metodo e sul loro successo, fattivo e sociale, è nato, dopo la morte di Segal, il Walter Segal Self Build Trust. La semplicità progettuale e costruttiva rende il Metodo unico. La Temporary House in una foto del 1964. Una sezione disegnata a mano da W. Segal per Lewisham 1 Una casa autocostruita a Lewisham 1 (Segal + Broome) Il Mill Lane Garden Project di S. Yauner/GreenArchitecture 68 Bibliografia: Luca M.F. Fabris, Metodo Segal, Libreria Clup, Milano, 2001( che contiene tutta la bibliografia reperibile su Segal e il suo Metodo); Luca M.F. Fabris, ‘Architettura verde in Inghilterra’, in Costruire, n. 245, ottobre 2003; Jon Broome, Brian Richardson, The self-built book, Green Eath Books, 1995, ISBN 1900322-00-5; AA.VV., ‘Special issue on Walter Segal’, in Architects’ Journal, 4/5, 1988; AA.VV., ‘Walter Segal 1907-1985’, in Architects’ Journal, 6/11, 1985. Iternet: www.segalselfbuild.co.uk e www.architype.co.uk 69