Prof. Bellocci 7 maggio Ore 8:00-11:00 (recupero del 30 aprile) Fibrillazione atriale Negli anziani sopra gli 80 anni, anke in maniera asintomatica si riscontra molto spesso fibrillazione atriale. Purtroppo non si tratta di un’aritmia benigna come prima si credeva per due motivi principali: il deterioramento emodinamico (le cui cause possibili sono la perdita della contrattilità atriale, della sincronizzazione atrio-ventricolare, l’irregolarità del ritmo ed la variazione della frequenza) e, soprattutto il rischio trombo-embolico. Il 15-20 % degli eventi ischemici a livello cerebrale soprattutto in età avanzata è correlato alla presenza della fibrillazione atriale, pertanto si tratta di un’aritmia che richiede un trattamento che è innanzitutto di tipo preventivo (tramite procedure farmacologiche e non) il quale naturalmente è in grado di ridurre l’incidenza di questi fenomeni di stroke cerebrale e di migliorare la sintomatologia legata all’insorgenza della fibrillazione stessa. In pazienti già sintomatici si può ripristinare il normale ritmo sinusale attraverso un approccio farmacologico (farmaci anti-aritmici) e/o elettrico tramite la “cardioversione sincronizzata”. Essa è differente da quella “asincrona” che si attua nel caso di arresto cardiaco tachiaritmico, la quale azzera l’impulso elettrico del nodo seno-atriale e permette immediatamente il ristabilirsi del ritmo sinusale. Nel caso della cardioversione in corso di fibrillazione atriale la scarica elettrica deve essere sincronizzata con l’attività elettrica ventricolare ed in particolare deve essere attuata nel periodo refrattario assoluto del QRS; qualora la scarica venisse fornita nel periodo di “vulnerabilità ventricolare” (in genere sulla parte discendente dell’onda T), si rischierebbe l’insorgenza di una fibrillazione ventricolare. In casi di pazienti refrattari al trattamento antiaritmico si può inoltre attuare un trattamento diverso, lasciando fibrillare il paziente e controllando la frequenza cardiaca media, cercando, poi, di ridurre i sintomi legati alla tachiaritmia mediante riduzione della sola frequenza cardiaca tramite farmaci che hanno un’azione di rallentamento della conduzione a livello del nodo atrio-ventricolare (come i Ca-antagonisti non diidropirimidinici, i βbloccanti e la digitale). Il ritmo, naturalmente, si mantiene irregolare, ma la frequenza cardiaca media diminuisce, raggiungendo valori simili a quelli di un cuore normale. In genere i farmaci efficaci per prevenire la ricomparsa di episodi di fibrillazione atriale sono gli antiaritmici appartenenti alla classe 1C, i quali sono bloccanti dei canali del Na che attuano una profonda depressione della fase 0 e rallentano la conduzione: Propafenone (nome commerciale: Rytmonorm) e Flecainide (nome commerciale: Almarytm) e quelli della classe 3, che aumentano la durata del potenziale d’azione prolungando la ripolarizzazione: Amiodarone (nome commerciale: Cordarone) e Sotalolo. Tuttavia questi farmaci non sono privi di effetti collaterali, tra i quali anche un paradossale effetto pro-aritmico soprattutto nei pazienti cardiopatici. I farmaci della classe 1A (rallentano la conduzione e prolungano la ripolarizzazione: Procainamide e Disopiramide) sono sempre meno usati perché hanno minore efficacia e più effetti collaterali. Come già detto, se il paziente per una serie di motivi (marcata dilatazione striale, cronicizzazione della fibrillazione striale,…) non è in grado di tornare al ritmo sinusale dopo cardioversione farmacologia e/o elettrica, allora ci possiamo proporre un obiettivo di minima, ossia il “rate control” (cioè il semplice controllo della frequenza cardiaca) per rendere il meno sintomatico possibile il paziente. Ovviamente la terapia farmacologia per la prevenzione della ricomparsa della fibrillazione atriale ha delle notevoli limitazioni: non esiste infatti un farmaco anti-aritmico ideale, ma tutti, anche quelli più efficaci, hanno in realtà un’efficacia limitata. I pazienti in trattamento con tali farmaci a distanza di un anno dall’inizio della terapia hanno una probabilità del 50 % di ripresentare episodi aritmici; a tal punto è utile una nuova cardioversione elettrica che deve essere effettuata preferenzialmente in anestesia generale. Bisogna ricordare inoltre che l’azione dei farmaci che riducono la frequenza cardiaca può essere facilmente reversibilizzata da qualsiasi fenomeno di iperstimolazione simpatica; in alcuni casi l’azione bradicardizzante di questi farmaci può essere eccessiva non solo in caso di eccessiva assunzione degli stessi. Proprio per i limiti opposti dalla terapia farmacologica oggi si cerca di sperimentare determinate procedure non farmacologiche: partendo da determinati presupposti eziopatogenetici alla base della fibrillazione atriale si è visto che in molti casi essa inizia con delle scariche ad alta frequenza provenienti da foci di tessuto miocardico insinuantisi a livello delle vene polmonari. Se noi riusciamo ad arrivare con la punta del catetere a livello di questi foci, dopo averli identificati, possiamo intervenire direttamente su di essi isolandoli dal rimanente tessuto atriale, prevenendo la ricomparsa di episodi di fibrillazione atriale. Tale approccio è utile anche in alcuni tipi di tachicardie atriali particolarmente frequenti in soggetti giovani (tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro dal nodo atrio-ventricolare, tachicardia parossistica da rientro atrioventricolare da via accessoria manifesta- sindrome di Wolff-Parkinson-White); in queste ultime la terapia di elezione non è, quindi, farmacologica, ma è ormai quella elettrica tramite, appunto, l’ablazione della via anomala all’origine del disturbo. Con tale approccio si ottiene una guarigione definitiva nel 95-98% dei casi di tachicardie atriali; nel trattamento delle fibrillazioni atriali l’efficacia è inferiore (80% di probabilità di successo) e si riduce ulteriormente in pazienti cardiopatici (<60%). Si tratta comunque di un ‘opzione terapeutica che in un prossimo futuro, tramite un perfezionamento delle tecniche, potrebbe anche divenire di prima istanza, tenendo conto anche del fatto che si tratta di una procedura curativa. Naturalmente tale intervento, oltre che per via percutanea tramite cateterismo, può essere effettuato con un approccio chirurgico. Domanda di Davide: “Per tachicardia sopraventricolare cosa si intende?” Risposta: “Le tachicardie sopraventricolari sono tutte quelle ad insorgenza nel nodo o nell’atrio; ad esempio la tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro del nodo atrio-ventricolare è dovuta ad uno sdoppiamento del nodo stesso in due branche a conduzione e refrattarietà differenziate. Questo fa sì che l’impulso possa scendere attraverso una branca e passare poi all’altra creando un circuito di rientro nel nodo alla base della tachicardia; si tratta di un’anomalia congenita. In questo caso la terapia è l’ablazione tramite cateterismo di una delle due branche. Nella maggior parte dei casi tali tachicardie sono benigne, nel senso che possono essere anche fortemente sintomatiche, ma non mettono mai a repentaglio la vita del paziente”. Sincope Si definisce sincope una transitoria perdita di coscienza, generalmente benigna, con incapacità a mantenere il tono posturale; in alcuni casi può essere, però, l’anticamera dell’arresto cardiaco. Fondamentale, quindi, è l’inquadramento della sincope nel contesto clinico. La forma più frequente di sincope benigna è quella vaso-vagale o neuromediata; in realtà viene considerata benigna perché generalmente non si associa a rischi per la vita del paziente, ma può non esserlo se, come accade in una minoranza di casi, si ripete frequentemente senza essere associata a sintomi prodromici (sudorazione fredda, offuscamento della vista,…) che permettono al paziente di prendere provvedimenti. Questo può infatti causare delle lesioni traumatiche e, se sono frequenti, naturalmente subentra anche il panico di svenire in determinate condizioni con conseguente peggioramento della qualità della vita. In caso di episodio sincopale è fondamentale fare un’anamnesi accurata per distinguere i diversi tipi di sincopi; ad esempio una sincope che interviene stando sdraiati non è certo di tipo benigno. Bisogna indagare bene anche l’eventuale sintomatologia che precede la sincope; nella sincope vasovagale i sintomi prodromici sono quelli classici, non si tratta mai di episodi che insorgono all’improvviso, come nel blocco A-V completo, nella fibrillazione ventricolare o nella tachicardia ventricolare, ma sono sempre preceduti da tali manifestazioni. Soprattutto nei casi di sincope di tipo vaso-vagale fondamentale è l’anamnesi, anche perché l’esame obiettivo risulta negativo non sussistendo patologie organiche di fondo ed è proprio l’assenza di queste che ci permette di elaborare tale sospetto diagnostico anche senza eseguire tutti gli esami strumentali prescrivibili (prova da sforzo, ecocardiogramma,…). I meccanismi eziopatogenetici non sono ancora ben conosciuti: sembrano esserci alla base una serie di fenomeni di disregolazione del sistema autonomico seguenti ad una riduzione del ritorno venoso cardiaco. Normalmente tale condizione è bilanciata da diversi meccanismi controregolatori, tra i quali soprattutto un’iperattivazione del sistema simpatico che determina vasocostrizione ed aumento della contrattilità e della frequenza cardiache (effetti inotropo e cronotropo positivo). Tali meccanismi nella sincope non risultano efficaci nel bilanciare il quadro di ipovolemia e si ha, quindi, un aumento dell’attività cardiaca che, però, si esercita a ventricoli sostanzialmente semivuoti; ciò conduce ad un’iperstimolazione dei meccanocettori cui segue attivazione del parasimpatico vagale ad effetto vasodilatante e bradicardizzante con peggioramento del quadro ipovolemico ed insorgenza della sincope. Per questo motivo, nel soggetto che ha avuto una sincope vaso-vagale, spesso si riscontra una diminuzione dei polsi periferici e ciò permette anche la diagnosi differenziale con sincopi di natura maligna nelle quali il polso è assente; inoltre in tal caso si può riscontrare una permanenza dei riflessi e della respirazione spontanea. Importante è ricordare che spesso questi soggetti sono bradicardici, nonostante ci si attenda il riscontro di una tachicardia compensatoria; questo avviene perché, come già detto, i meccanismi di compenso simpatico risultano inefficaci e vengono sovrastati da un’iperattivazione vagale. Per velocizzare il ripristino di una condizione di normovolemia e la ripresa di conoscenza del soggetto senza sequele è sufficiente mettere il soggetto disteso con le gambe sollevate per facilitare il ritorno venoso al cuore ed il ripristino di una condizione di normovolemia. Se il paziente non si riprende o lo fa mantenendo, però, uno stato confusionale e/o un’amnesia importante, si è sicuramente di fronte a qualcosa di diverso da una semplice sincope di natura vaso-vagale, molto più probabilmente si tratterà di una forma di sincope maligna. Per avere una conferma strumentale della genesi vaso-vagale di un episodio sincopale, possiamo effettuare il cosiddetto “Tilt-test”: si lega il paziente ad un tavolo rigido posizionando i piedi su un supporto fisso; poi lo si lascia fermo per parecchi minuti in posizione semiverticale. Naturalmente i soggetti con predisposizione a manifestare episodi sincopali vaso-vagali in un’elevata percentuale di casi presentano tale episodio. Durante questo esame viene monitorizzata di continuo la pressione arteriosa e si nota che, dopo qualche minuto, essa crolla raggiungendo valori prossimi allo 0 e determinando lo svenimento. Questo test è abbastanza sensibile e specifico per le sincopi ad origine vaso-vagale. Al tilt-test si possono avere due risposte distinte ,cardioinibitoria o vasoinibitoria, delle quali la seconda è più frequente; in tale caso si ha una marcata vasodilatazione ed un crollo pressorio senza che la frequenza cardiaca si abbassi in maniera significativa. La risposta cardioinibitoria è caratterizzata da una marcata diminuzione della frequenza cardiaca fino ad avere una asistolia anche prolungata. La differenza tra le due modalità può essere rilevata durante il tilt-test o durante un qualsiasi episodio sincopale che intervenga normalmente tramite registratore “holter”. In alcuni casi di sincopi recidivanti cardioinibitorie è stato proposto ed attuato l’impianto di un pace-maker; esso sembra essere efficace almeno in un piccolo gruppo di pazienti. Quando siamo certi che la sincope è vaso-vagale, ma non riusciamo a riprodurre i sintomi tramite il tilt-test, possiamo potenziarlo tramite la somministrazione di farmaci vasodilatanti (nitrati) che, quindi, ne aumentano la sensibilità. Se ci sono situazioni scatenanti l’episodio sincopale, la migliore terapia è di evitare tali condizioni; quando si vuole valutare eventuali interventi terapeutici intrapresi si procede anche alla esecuzione del tilt-test. Bisogna ricordare, però, che non esistono farmaci generalmente efficaci nel risolvere tale sintomatologia; tra quelli riscontrati vi sono anche paradossalmente i β-bloccanti importanti nell’impedire la risposta simpatica iniziale e, quindi, nell’innescare tutto il processo disregolatorio responsabile dell’insorgenza dell’episodio sincopale. Questo test è importante anche per tranquillizzare il paziente ed i suoi parenti, riproducendo il sintomo e dimostrando che esso è facilmente reversibilizzabile con una semplice manovra semeiologica (mettendolo disteso a testa in giù o cmq con le gambe sollevate). In moltissimi soggetti sottoposti a tilt-test la sincope non si è più verificata perché hanno raggiunto una notevole capacità nel riconoscere il sintomo e limitarne la sua evoluzione. Il tilt-test risulta controindicato in presenza di una cardiopatia o una vasculopatia sottostante perché l’episodio di ipoperfusione cerebrale in tali soggetti può determinare anche conseguenze severe. Bisogna ricordare che un episodio sincopale sotto sforzo deve sempre mettere in allarme, perché può essere dovuta a diverse cause organiche quali cardiomiopatie aritmogene o ipertrofiche che possono essere anche cause di morte cardiaca improvvisa e di ictus cerebrale. Altre controindicazioni al tilt-test sono tutte le cause organiche che determinano ostruzione all’efflusso del sangue dal ventricolo sinistro in quanto responsabili di episodi sincopali “maligni”; tra queste figurano la stenosi aortica, la stenosi sotto-aortica, stenosi mitralica, mixoma atriale. Altra causa molto importante di sincope con causa organica è la displasia aritmogena del ventricolo destro; si tratta di un’anomalia congenita in cui si ha una sostituzione del tessuto miocardio con tessuto fibroadiposo. Essa può essere totalmente misconosciuta perché l’esame obiettivo può essere negativo, l’ECG e la funzionalità cardiaca normali in quanto si tratta di un’anomalia che, almeno nelle fasi iniziali, colpisce selettivamente il ventricolo destro. Solo in alcuni casi essa può essere alla base dell’insorgenza di episodi sincopali, tuttavia in Italia rappresenta la causa più frequente di sincope da sforzo e morte cardiaca improvvisa soprattutto negli atleti, perché le altre anomalie precludono la possibilità di praticare qualsiasi tipo di sport. Bisogna ricordare che l’ecocardiogramma del ventricolo destro non è molto sensibile nell’identificare tale anomalia poiché non permette di ben definire la struttura delle pareti e le pressioni all’interno delle camere del cuore di destra. Al contrario essa può essere riconosciuta indagando le vie di propagazione dell’impulso elettrico (tramite ECG) in quanto associata a blocco di branca sinistro e deviazione assiale sinistra; a livello elettrocardiografico si nota un’onda T negativa che va oltre V1-V2. Altre cause di sincope possono essere le stenosi coronariche; la stenosi carotidea è la causa più importante di ictus cerebrale, ma non determina mai un episodio sincopale. Essa può determinare episodi di TIA, oppure episodi di perdita improvvisa del tono posturale senza alterazione dello stato di coscienza; il trattamento di tali episodi è affidato al neurologo. Tachicardie sopraventricolari Si distinguono due tipi fondamentali di aritmie:da circuiti di rientro e focali. Naturalmente l’approccio terapeutico è profondamente diverso: nel primo caso si cerca di interrompere il circuito di rientro, nel secondo caso si procede all’ablazione del foco di origine previa identificazione dello stesso. Nell’ambito delle tachicardie da circuiti di rientro si distinguono due tipi fondamentali: la tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro dal nodo atrio-ventricolare e la tachicardia parossistica da rientro atrio-ventricolare da via accessoria manifesta (sindrome di WolffParkinson-White) altrimenti detta “Sindrome da pre-eccitazione ventricolare”. La prima è dovuta ad uno sdoppiamento del nodo atrio-ventricolare in due branche a conduzione e refrattarietà differenziate; questo fa sì che l’impulso possa scendere attraverso una branca e passare poi all’altra risalendo a livello del nodo e determinando l’insorgenza della tachicardia definita per tale motivo sopraventricolare. La seconda è caratterizzata dal rientro attraverso un fascio anomalo (fascio di Kent) che mette in comunicazione diretta l’atrio con il ventricolo bypassando il nodo atrio-ventricolare; quindi tramite essa l’impulso può ritornare direttamente agli atri, durante il periodo di refrattarietà del fascio normale, determinando anche in questo caso l’insorgenza di una tachicardia parossistica. Tali tipi di tachicardie, però, possono instaurarsi solo in determinate condizioni di impulso anterogrado rallentato (come avviene ad esempio nell’extrasistole poiché quando l’impulso parte la via normale è ancora refrattaria), perché solo in questo modo l’impulso può rientrare attraverso la branca anormale in quanto l’altra si troverà in condizione di refrattarietà. La tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro dal nodo atrio-ventricolare presenta l’onda P negativa nelle derivazioni normali perché gli atri si attivano dal basso verso l’alto e questo è un suo segno caratteristico; negli altri tipi di tachicardie, infatti, le onde P sono normali o, al massimo, ad andamento variabile come avviene nelle tachicardie focali (perché l’impulso può originarsi da qualsiasi punto). Nella sindrome di Wolff-Parkinson-White il ventricolo può essere attivato sia dal normale fascio di His, sia dal fascio accessorio di Kent; naturalmente la conduzione attraverso quest’ultimo è molto più rapida perché bypassa il nodo atrio-ventricolare. Quando l’attivazione ventricolare avviene anche attraverso il fascio di Kent si realizza una pre-eccitazione ventricolare (da cui la denominazione alternativa dell’anomalia) con un conseguente accorciamento dell’intervallo P-Q (tempo di conduzione atrio-ventricolare) e anomalie del QRS. Tali anomalie consistono nella presenza di un impastamento iniziale del complesso (onda Delta di pre-eccitazione ventricolare) e in uno slargamento dello stesso; inoltre a tali anomalie si associa anche un’onda T negativa in quanto una depolarizzazione anomala è sempre seguita da una ripolarizzazione anomala. Bisogna ricordare che tutti gli impulsi ad insorgenza ventricolare (extrasistoli, tachicardie,…) hanno una morfologia anomala; inoltre quando il complesso QRS è accorciato la depolarizzazione avviene sempre a livello sopraventricolare, quando il QRS è slargato la depolarizzazione può avvenire a livello ventricolare, sopraventricolare o realizzarsi in casi di conduzione anomala (blocchi di branca). Flutter atriale Si tratta di un’aritmia da rientro a livello atriale; si riscontra a tutte le età, ma è più frequente in soggetti con cardiopatia associata ed età avanzata. È un circuito di rientro stabile, a differenza dei circuiti di rientro della fibrillazione atriale che variano di continuo, con una frequenza di stimolazione atriale compresa tra i 200 e i 300 bpm. Ovviamente il nodo atrio-ventricolare esercita un controllo sulla frequenza cardiaca e, quindi, non permette di condurre impulsi a frequenze così elevate a livello ventricolare. Per questo motivo le onde di flutter striale vengono trasmesse ai ventricoli non in maniera continuativa, ma con ad intervalli più o meno variabili; di norma viene trasmesso un impulso ogni 3-4 che insorgono a livello atriale. I farmaci utilizzati per diminuire non tanto il flutter atriale quanto la conduzione dell’impulso accelerato ai ventricoli per tramite del nodo atrio-ventricolare sono tutti i farmaci cronotropo negativi, quali β-bloccanti e Ca-antagonisti. In genere il circuito del flutter “gira” intorno all’ostacolo anatomico della cava inferiore; questo permette di comprendere come la procedura ablativa di tale circuito sia molto semplice da un punto di vista procedurale perché basta, attraverso cateterismo venoso percorrere la cava inferiore e, una volta nell’atrio destro, ledere la porzione di miocardio compresa tra lo sbocco della cava stessa e il seno coronario (poiché questa è la sede di più frequente localizzazione di tale circuito). La percentuale di successo di tale procedura è superiore al 90%. Il flutter, tuttavia, comportando questa pulsazione ritmica ad alta frequenza dell’atrio, può determinare alla lunga una dilatazione dello stesso; sono stati anche segnalati dei casi sempre più frequenti di trombosi intra-atriale soprattutto nei casi in cui il flutter semplice degenera in fibrillazione atriale; in questi casi è buona regola somministrare una terapia con anticoagulanti per scongiurare un possibile evento embolico (si seguono linee guida di classe 2A, cioè fortemente indicate ma non obbligatorie). Nonostante si tratti di un’aritmia ad elevata frequenza di scarica il QRS è perfettamente normale sebbene più stretto perché comunque si ha una frequenza più elevata anche a livello ventricolare. Nei casi di flutter atriale in cui vi è la concomitante presenza di una via anomala, gli impulsi possono giungere direttamente dall’atrio al ventricolo by-passando il nodo atrio-ventricolare e questo può determinare l’insorgenza di fibrillazione ventricolare, mettendo a forte rischio la vita del paziente. Due ringraziamenti essenziali…A Serenella per avermi registrato la lezione e alla sua gentilezza nel non mandarmi a quel paese per non averlo fatto io… Inoltre un grazie infinito a tutti quelli ke si stanno impegnando a conoscermi meglio e ogni giorno mi dicono: “Non sei quello ke sembravi”…No, sono molto peggio… Rino