SOMMARIO n. 1 gennaio - febbraio 2012 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme Editoriale Nuovo governo, tempi nuovi? di Fabrizio Festa Imprenditoria e cultura Confcommercio Ascom - Enrico Postacchini MICO - Musica Insieme COntemporanea Intorno a Schoenberg di Fabrizio Festa Musica Insieme in Ateneo Generazione di talenti di Elisabetta Collina Interviste Stefano Bollani di Fulvia de Colle Rté Vanbrugh Quartet - Pavel Haas Quartet di Cristina Fossati I Musici - Sergej Nakariakov di Alessandro Di Marco Il profilo Ottorino Respighi Kissin - Bashmet - Maisky - Zimerman I concerti gennaio / febbraio 2012 di Chiara Sirk Da ascoltare MI 20 22 24 26 di Bruno Borsari 30 56 Per leggere 10 16 35 Il calendario Made in Italy di qualità 14 28 di Lico Larvati MI ricordo Musica patriottica 13 di Carlo Vitali 58 In copertina Stefano Bollani (foto Paolo Soriani) MUSICA INSIEME EDITORIALE NUOVO GOVERNO TEMPI NUOVI? Ogniqualvolta cambia il ministro dei beni culturali si spera in un cambiamento di rotta. Che in Italia significherebbe qualcosa di molto semplice: prendere finalmente atto del valore del nostro patrimonio culturale. Patrimonio che, dagli scavi di Pompei alla Scala, si estende lungo tutto l’orizzonte delle arti umane. Cioè, sia che lo si guardi sotto il profilo museale e della conservazione dei beni (biblioteche e archivi inclusi), sia che lo si osservi dal punto di vista delle arti performative, e quindi del contributo in termini di tradizione e di innovazione, che la nostra storia nella musica, nella danza, nel cinema, e così via, ha dato e può dare. Peraltro, proprio la più che centenaria storia delle arti performative nel nostro Paese ha dato luogo a esiti rilevanti sotto entrambi i profili. Ad esempio, la costruzione e quindi l’uso di molti tra i maggiori teatri del mondo, quei “teatri storici” che tutti c’invidiano, ma che per alcuni sono solo un problema perché non sanno valorizzarli e non osano esprimere apertamente quello che pensano (cioè: «magari li avessero bombardati gli alleati!»). Il ministro Ornaghi si è appena insediato, e nel decreto Monti (a oggi, 8 dicembre 2011) leggiamo già una decisione importante, che potremmo sintetizzare come il “blocco della riforma Bondi”. Qualche segnale verso il rifinanziamento delle molte attività sotto il controllo del MIBAC è già arrivato. Si riparla (ottava volta) di detassazione delle sponsorizzazioni per la cultura. Staremo a vedere. Certo è che ci si attenderebbe prima di tutto una scelta di tipo filosofico: operare con energia e decisione per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Non solo rifinanziando un settore che è tra i pochi in attivo in Italia (ogni euro investito in attività culturali ne rende tre e sono migliaia coloro che lavorano, con riconosciute competenze e professionalità, nel settore), ma anche e soprattutto aggiornando le regole. Le risorse pubbliche dovrebbero essere investite seguendo una metodologia che sia adeguata al contesto attuale, e che quindi tenga conto di alcuni fattori, ignorati fino ad oggi. In primo luogo i risultati in termini di progettualità artistica e di consolidamento dell’attività. Il che significa valutare l’effettivo l’impegno di chi opera (istituzione o privato), il suo impatto nell’ambito in cui opera (per esempio, l’incidenza dell’attività di formazione rispetto al complesso del progetto artistico), ed ovviamente la correttezza della gestione. Si tratta di semplici indicatori, alcuni dei quali fino ad oggi sono stati considerati solo in maniera discrezionale, generando parecchie distorsioni del sistema. Tale rinnovamento dovrebbe riguardare tanto le regole che valgono per le istituzioni che lo Stato sostiene per intero (come di fatto le fondazioni lirico-sinfoniche), quanto quelle riferite ad attività che lo Stato (nelle sue diverse componenti) sostiene parzialmente (come stagioni, festival, eccetera). Un passaggio questo che potrebbe riequilibrare non solo le molte singolarità, che è facile trovare, per esempio, nella ripartizione del Fondo Unico per lo Spettacolo, ma anche, e soprattutto, costituire uno stimolo fondamentale a far meglio e a fare di più. Fabrizio Festa MI MUSICA INSIEME 13 IMPRENDITORIA E CULTURA Un commercio di qualità Enrico Postacchini, Presidente di Confcommercio Ascom Bologna, ci parla del ruolo della sua associazione a sostegno delle imprese del terziario, ma anche di accoglienza turistica, in una società dove cultura e commercio sono indissolubilmente legate D a anni Confcommercio Ascom Bologna interpreta, difende e tutela gli interessi delle forze imprenditoriali che operano nel commercio, nel turismo, nei servizi e nelle piccole e medie imprese e professioni, senza mai dimenticare il territorio in cui opera e le sue tradizioni. accoglienza che si predispongono e sono ovviamente ciò che fa sì che una città si distingua rispetto a un’altra, cioè la peculiarità, al di là del patrimonio artistico, che una città può offrire. L’enogastronomia, la cultura, la musica sono tutti fronti che costituiscono la peculiarità di una città, e appunto lì bisogna operare, creando dei simboli. Bologna Incoming è un’esperienza che oggi è appannaggio di Federalberghi e Ascom, un piccolo esempio di come, rischiando assolutamente in proprio perché di fatto è un’agenzia privata, si possa lavorare anche negli interessi del pubblico e quindi a favore del territorio, perché non ci si pone solo il problema di catturare clienti, ma di fare un’opera di promozione implicita del territorio di Bologna all’estero». Presidente Postacchini, come opera la sua associazione in una realtà come Bologna e quali sono le difficoltà maggiori che incontra nella sua azione? «Quella di Confcommercio è un’azione di supporto e affiancamento che viene attuata dalla nascita, dallo start up, fino allo sviluppo di tante piccole e medie aziende del terziario; oggi il mercato è complicato, quindi anche il ruolo delle associazioni di categoria è più complesso e deve rispondere ad esigenze sempre più sofisticate. Bologna naturalmente non è indenne da questo tipo di necessità». Sempre più spesso a Bologna si sente parlare di rilancio della città, rivitalizzazione delle zone di degrado, e sviluppo della promozione turistica. Le attività culturali, una realtà di forte impatto a Bologna, possono essere un traino per favorire la rinascita della città? «Questo sicuramente, perché la cultura è anche industria e quindi ricchezza, ed è un formidabile strumento di catalizzazione di tante città che hanno fatto questa scelta molto prima di noi. Bologna ha grandi risorse in questo senso, si tratta di metterle in qualche modo a regime, come già si sta cercando di fare, in un pacchetto accoglienza che veda anche la cultura come motivo di attuazione. Devo dire che Ascom Confcommercio Bologna, così come Confcommercio nel panorama nazionale, è una delle associazioni più attive in questo senso e si è sempre occupata anche del territorio in cui opera con interventi diretti, non soltanto sot14 MI MUSICA INSIEME Confcommercio rappresenta una realtà importante a Bologna come il mondo del commercio e dei servizi. In che modo cultura del consumo e consumo di cultura possono coesistere nella società del XXI secolo? Enrico Postacchini to il profilo della pulizia e del decoro ma anche della sicurezza, con azioni che vanno ben al di là di quelli che sarebbero i meri vincoli statutari, spinta da un puro senso di appartenenza e responsabilità». Proprio a riguardo del territorio, Confcommercio Bologna e Federalberghi Bologna hanno creato Bologna Incoming, struttura dedicata all’informazione ed all’accoglienza turistica in modo completo e articolato. Nell’epoca della globalizzazione, secondo lei, quanto investire sul territorio può rivelarsi una carta vincente e che ruolo gioca in questo processo la riscoperta delle tradizioni locali? «Le tradizioni diventano un segno distintivo dell’offerta e dei vari pacchetti di «Cultura del consumo e consumo di cultura possono e debbono coesistere, come dimostra l’esempio di tutte le nostre città. Anche la morfologia di Bologna, se pensiamo al quadrilatero, ci fa capire come e dove è nata la nostra città: nello stesso luogo sono cresciute infatti le attività mercantili e commerciali e il nucleo della città stessa, sono nate l’Università, la Camera di Commercio, i monumenti, le chiese, tutto è cresciuto intorno al mercato. Quindi proprio quando il nucleo si sviluppa e prolifera, la città, nel momento in cui cresce e fa affari, investe sul proprio territorio. Questo è un esempio che viene dalla storia e un punto fondamentale del quale non ci dobbiamo dimenticare: se la città cresce, investe in cultura, crea e si sviluppa, così come in passato ha creato CARTA D’IDENTITÀ CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA Presidente Enrico Postacchini Direttore Generale Giancarlo Tonelli Il Salone dei Carracci nella sede di Confcommercio Ascom Bologna chiese, torri, monumenti, proprio perché c’era anche un sano spirito di sfida e di concorrenza all’interno delle forze che nella città lavoravano, che costituiva la molla di questo processo. Ecco quindi che affari e cultura sono indissolubilmente legati». Con il periodo di crisi economica e sociale che stiamo vivendo, inevitabilmente a farne le spese sono i contributi alle attività culturali di ogni genere. Come pensa che operatori privati e istituzioni pubbliche possano collaborare in un ottica di sostegno della cultura? «È evidente che in momenti di crisi come questi, la cultura viene vista come un lusso in più, che molte aziende, anche per così dire sotto il profilo del mecenatismo, non possono più permettersi, o quanto meno, possono permettersi in misura molto ridotta rispetto a prima. È chiaro che oggi sempre più la cultura debba organizzarsi sotto forma di impresa e quindi trovare anche al proprio interno risorse ed energie, con una sana e oculata gestione che faccia sì che i conti vengano a quadrare anche all’interno delle stesse istituzioni culturali, proprio perché viene a mancare il sostegno pubblico e privato, essendoci altre esigenze primarie. In quest’ottica pensare a una cultura sostenuta da forze esterne sarà sempre più dif- ficile, e quindi dovrà venire dalle stesse fondazioni e istituzioni culturali la forza di reggersi anche da sole». Negli ultimi anni si è notato un proliferare nelle principali città italiane del fenomeno delle Notti Bianche, fenomeno che trova in Confcommercio un attivo sostenitore. A dispetto dell’incombere sempre più potente della cultura virtuale, questi fenomeni dimostrano che resistono ancora la fisicità e la compresenza nella fruizione culturale. Come pensa si possa spiegare? «Innanzitutto perché è molto forte il senso di riappropriarsi di alcuni luoghi della città, sposando un connubio di offerta commerciale e offerta anche culturale; ove possibile normalmente in queste serate gli esercizi commerciali rimangono aperti oltre l’orario di chiusura e lo stesso avviene per musei, basiliche, luoghi d’interesse culturali che fanno orari straordinari; questo già crea un momento unico di “condivisione di obiettivo” legato all’accoglienza. Bisogna inoltre dire che le Notti Bianche a Bologna hanno un taglio, per quanto riguarda l’iniziativa su strada, volutamente nazional-popolare, se pur di qualità, perché crediamo che per muovere grandi masse di gente occorra dare un taglio anche di quantità di per- Confcommercio Ascom Bologna è un’organizzazione di categoria, aderente al sistema della Confcommercio – Imprese per l’Italia, che rappresenta in via diretta ed esclusiva nella provincia di Bologna. Confcommercio Ascom Bologna rappresenta oltre 16.000 Aziende ed interpreta, difende, tutela gli interessi delle forze imprenditoriali che operano nel commercio, turismo, servizi e nelle piccole e medie imprese e professioni. Attraverso le società del gruppo, infatti, garantisce alle Imprese associate tutti i servizi di supporto nel campo politico-sindacale, amministrativo, pubblicitario, assicurativo, finanziario, formativo, delle relazioni sindacali e della contrattazione aziendale, legale e tributario ed in ogni altro settore tecnico ed economico connesso alla loro attività. sone, all’interno del quale poi è facile trovare i veri appassionati per i luoghi culturalmente meno raggiungibili durante il corso dell’anno. Si tratta quindi di aprire aree, piazze o luoghi a un pubblico che normalmente magari non è abituato a frequentarli o vederli. Quindi da parte nostra in queste esperienze c’è anche una ricerca, sempre con l’occhio alla qualità, anche alla quantità delle persone. Queste volutamente non sono esperienze di nicchia, altrimenti dovremmo chiamare artisti per così dire sperimentali, ma è una sorta di fiera che però assicura sicurezza, pulizia, ordine, proprio per aprire a un pubblico che di norma è più abituato a stare al di fuori dei centri storici sia dei paesi che delle città, perdendosi magari in luoghi esclusivamente commerciali più freddi e più asettici; l’idea è quindi proprio quella di fare conoscere la città e le sue attività commerciali come strumento unico di attrazione». MI MUSICA INSIEME 15 MICO - Musica Insieme COntemporanea 2012 Con il titolo Arnold Schoenberg. Frammenti per un ritratto, la settima edizione di MICO s’inserisce nel progetto The Schoenberg Experience di Fabrizio Festa D Intorno a Schoenberg a venticinque anni, l’impegno per la divulgazione e la promozione delle esperienze novecentesche e contemporanee è uno degli elementi costanti della programmazione di Musica Insieme. Anzi, potremmo affermare senza tema di essere smentiti che ne abbiamo fatto una delle architravi del nostro impegno, sia sotto il profilo della divulgazione di una parte essenziale della produzione musicale (la modernità, comunque venga declinata, non può essere negletta o relegata in Giulio Rovighi Silvia Donadoni 16 MI MUSICA INSIEME un canto per mere ragioni di carattere ideologico e/o estetico), sia in quella più articolata strategia che è orientata alla formazione del pubblico. Un pubblico formato e informato è un pubblico che riconosce il valore delle differenze, è consapevole della storia, e quindi ha coscienza delle trasformazioni. In altre parole, è un pubblico che non ha paura di confrontarsi col proprio presente, perché d’altro canto conosce bene il passato. Così sotto i nostri riflettori si sono alternati testimoni e testimonianze, certo molto diverse tra loro, del presente e del recente passato. Dal jazz (Gil Evans Orchestra, Uri Caine, solo per citare i primi che ci vengono alla mente) a chi già molti anni fa viveva al confine tra accademismo e non, come Friedrich Gulda. E poi, basterebbe qui rammentare i nomi di Luciano Berio o Giuseppe Sinopoli, ed ancora le straordinarie interpretazioni di Maurizio Pollini centrate su Luigi Nono o su Karlheinz Stockhausen, quest’ultimo a sua volta ospite delle nostre stagioni. Lunga sarebbe la lista, tanto più che ad essa andrebbero aggiunti tutti i contributi – come le serate speciali dedicate a Prokof ’ev e a Šostakovič, le tante esecuzioni in prima assoluta, o i numerosissimi inserimenti di pagine novecentesche (da Gershwin a Schnittke) che hanno caratterizzato e caratterizzano le nostre diverse programmazioni – che in qualche modo hanno arricchito e sostenuto le attività specificamente focalizzate sulla musica dei nostri giorni. Il tutto dimostrando ampiamente la debolezza di un assunto tutto italiano: cioè che la musica dei nostri giorni, accademica o meno, colta o jazz, etnica o minimal, sia sgradita al grande pubblico. Si tratta chiaramente di un errore prospettico, in gran parte addebitabile alle modalità in cui la musica del presente viene presentata. D’altronde, sarebbe bene sempre tenere a mente che la musica del presente (che fosse il presente di Bach, di Beethoven o di Puccini) non ha incontrato automaticamente il favore del pubblico. Al contrario, l’aneddotica dei fiaschi (anche eccellenti) è sterminata, così come ampia e variegata è la letteratura critica, cronachistica o musicologica. Fra stroncature e previsioni, poi rivelatesi errate, ecco che abbiamo una storia parallela della musica in Occidente musica insieme contemporanea CALENDARIO 25 gennaio 2012 mercoledì ore 20.30 Foyer Rossini del Teatro Comunale SILVIA DONADONI voce recitante ANTONELLA MORETTI MAURO RAVELLI pianoforte a 4 mani Musiche di Schoenberg, Galante 24 febbraio 2012 venerdì ore 20.30 Foyer Rossini del Teatro Comunale Walzerabend STRUMENTISTI DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA Musiche di J. Strauss, Schoenberg, Webern, Berg 1 marzo 2012 giovedì ore 20.30 Foyer Rossini del Teatro Comunale GIULIO ROVIGHI violino ANDREA REBAUDENGO pianoforte Musiche di Schoenberg, Debussy, Dallapiccola, Webern, Stravinskij FontanaMIX Ensemble fatta solo di ciò che poi si è rivelato sbagliato: d’insuccessi divenuti capolavori, di capolavori che son durati lo spazio di un mattino e son stati subito dimenticati. È in questo contesto – in un contesto cioè consapevole della mutevolezza dell’animo umano e della caducità del giudizio – che Musica In- sieme fin dai suoi primi passi ha deciso di dare spazio al recente passato e al presente, accogliendone con il dovuto rispetto i suoi multiformi ingegni ed inserendone le opere nelle proprie programmazioni nella maniera più opportuna. Con queste premesse, nel 2006 Musica Insieme ha creato la rassegna 8 marzo 2012 giovedì ore 20.30 Foyer Rossini del Teatro Comunale FONTANAMIX ENSEMBLE NICHOLAS ISHERWOOD voce recitante FRANCESCO LA LICATA direttore Musiche di Cage, Rihm, Fedele, Schoenberg 29 marzo 2012 giovedì ore 20.30 Foyer Rossini del Teatro Comunale FONTANAMIX ENSEMBLE FRANCESCO LA LICATA direttore Musiche di Fedele, Boulez, Schoenberg, A. Clementi MICO, patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e specificamente dedicata alla musica contemporanea. Non stupisce che, date appunto le premesse di cui sopra, la nostra iniziativa sia divenuta ben presto una vetrina importante, nella quale esporre alcune delle più interessanti esperienze dell’oggi, con prime esecuzioni assolute e italiane affidate a specialisti riconosciuti quali Quartetto d’Archi del Teatro Comunale di Bologna MI MUSICA INSIEME 17 MICO - Musica Insieme COntemporanea 2012 Andrea Rebaudengo Giovanni Sollima, Monica Bacelli, Gianluca Cascioli, il Quartetto di Cremona, Pascal Gallois, o il già citato Pollini, con ciò dimostrando sempre particolare attenzione anche per gli artisti – interpreti e compositori – del nostro Paese. Ed è altrettanto naturale che MICO abbia trovato immediata collocazione nel contesto del progetto The Schoenberg Experience. Con il titolo Arnold Schoenberg. Frammenti per un ritratto, la settima edizione di MICO intende dare il proprio contributo a tale iniziativa. Un’iniziativa del resto che ci vede al fianco delle principali istituzioni musicali cittadine e che si configura come una delle maggiori mai dedicate sinora al compositore austriaco. Il programma di MICO 2012, realizzato con il contributo di Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna e Cassa di Risparmio di Bologna, e da quest’anno con la colla- borazione tecnica di SOS Graphics, si arricchisce quindi di un tributo a Schoenberg, omaggio realizzato attraverso una panoramica, mirata ad illuminare le infinite sfaccettature della sua opera. Tutti i concerti avranno luogo al Teatro Comunale (nel Foyer Rossini), a testimoniare un’altra ormai longeva collaborazione, quella con il teatro cittadino. Secondo un’altra consolidata consuetudine dei nostri cartelloni, le partiture del compositore viennese saranno inserite a loro volta entro una prospettiva storica, da un lato allo scopo di delineare i legami storico-musicali con le radici del suo linguaggio, dall’altro per cogliere le diramazioni future della sua eredità, lascito che, com’è noto, è stato fonte di fecondissima ispirazione. Nel concerto inaugurale, il 25 gennaio 2012, la parabola creativa del Viennese sarà quindi necessario preludio ad un recentissimo melologo di Carlo Galante, Storie di fan- tasmi, completato nel 2011, con la voce recitante di Silvia Donadoni e il pianoforte del duo formato da Antonella Moretti e Mauro Ravelli. All’originale percorso in musica lungo le più interessanti tipologie del “racconto di fantasmi” che approderà per la prima volta a Bologna per MICO, si accosteranno due pagine schoenberghiane destinate al pianoforte a quattro mani: rispettivamente i Sechs Stücke del 1896, ancora intrisi di sonorità tardoromantiche, ed il raro frammento della Fantasia del 1937, dove il linguaggio atonale ha già impresso alle note il proprio marchio di razionalità. Lo Schoenberg straordinario trascrittore di un altro grande viennese, qual è Johann Strauss, sarà invece al centro della successiva Walzerabend, il 24 febbraio, affidata al Quartetto d’Archi del Teatro Comunale di Bologna insieme ad alcune fra le prime parti dell’Orchestra cittadina, da Devis Mariotti (flauto) a Luca Milani (clarinetto). Il 1° marzo, il recital di Giulio Rovighi e Andrea Rebaudengo (l’uno già prima parte della Scala e di Santa Cecilia ed oggi primo violino del Quartetto Prometeo, l’altro accreditato interprete della contemporaneità, in duo con Cristina Zavalloni come nei Sentieri Selvaggi) affiancherà lo Schoenberg cameristico della Fantasia op. 47 alle originali esperienze novecentesche di Debussy, Dallapiccola e Webern. Infine, i due concerti affidati da Musica Insieme al FontanaMIX Ensemble, rispettivamente l’8 e il 29 marzo 2012, inseriti nel ritratto dedicato quest’anno alla figura di Ivan Fedele, coglieranno di Schoenberg altri due aspetti fondamentali: la scrittura per il cinema, con la Begleitmusik zu einer Lichtspielszene del 1930, e l’impegno politico, con l’Ode a Napoleone del 1942, potente messaggio contro ogni tirannide da parte di un grande esule dalla Germania nazista. ACQUISTO BIGLIETTI BIGLIETTERIA DEL TEATRO COMUNALE (Largo Respighi, 1) A partire da venerdì 20 gennaio 2012 negli orari di apertura (dal martedì al venerdì ore 12-18 / sabato ore 10,30-16). PREZZI: Posto unico € 10 Abbonati Musica Insieme e Teatro Comunale, studenti Università e Conservatorio € 7 18 MI MUSICA INSIEME MUSICA INSIEME IN ATENEO Generazione di talenti M Giunge alla sua XV edizione la rassegna organizzata dalla Fondazione Musica Insieme e dedicata agli studenti e al personale dell’Ateneo bolognese di Elisabetta Collina usica Insieme in Ateneo celebra quindici anni di concerti, un traguardo raggiunto anche grazie al fondamentale contributo di ASCOM Bologna, Cassa di Risparmio di Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fondazione del Monte e Unicredit, e con la preziosa partnership tecnica di SOS Graphics. Da tre lustri si rinnova quindi l’impegno di Musica Insieme per offrire al pubblico dei giovani un’occasione formativa che vada ben oltre il momento del concerto: ogni appuntamento del cartellone infatti è parte di un organico percorso didattico, che sia al contempo accattivante e stimolante, e che ci vede costruire un itinerario nella storia del repertorio e degli “strumenti della musica”. Ciò è possibile grazie alla Beatrice Magnani 20 MI MUSICA INSIEME Orchestra da Camera del Collegium Musicum scelta di programmi mirati, che Musica Insieme affida ad artisti forti della vittoria nelle principali competizioni internazionali. Come vedremo sfogliando brevemente il cartellone, straordinari sono i musicisti ospiti di questa quindicesima edizione, che si arricchisce quest’anno di un’ulteriore, importante collaborazione: quella con l’Accademia Pianistica “Incontri col Maestro” di Imola, dal 1989 eccezionale fucina di talenti diretta dal Maestro Franco Scala. La strategia di Musica Insieme in Ateneo è peraltro assai vicina a quella dell’Accademia imolese: non soltanto insegnare, ma favorire anche l’incontro e lo scambio fra docenti e studenti, prediligendo la pluralità delle letture e delle esperienze al tradizionale insegnamento autoritario e autoreferenziale. Al centro lo studente, quindi, che intorno a sé trova uno spazio aperto, stimolante, e ricco di ‘incontri’ nei quali matura insieme all’insegnante gli aspetti estetici, storici, tecnici dell’interpretazione. Nello stesso spirito sono concepiti gli appuntamenti di Musica Insieme in Ateneo, che attraverso conversazioni introduttive tenute dai docenti, sì, ma anche dagli stessi artisti sul palco, mira ad abbattere quella barriera che spesso si instaura fra pubblico e artista, avvicinando ancor più gli studenti a coloro che da quel palco desiderano soprattutto comunicare un messaggio, e comunicare la propria arte (e spesso la loro età anagrafica li fa sentire ancor più vicini al pubblico in sala, innescando un altrettanto importante processo di identificazione). Ad inaugurare la rassegna lo scorso 16 novembre, è stato dunque un duo pianistico formato da due brillanti allievi dell’Accademia di Imola, André Gallo e Alessandro Tardino, entrambi vincitori di numerosi concorsi internazionali ed ospiti dei più prestigiosi teatri, dalla Fenice di Venezia alla Konzerthaus di Berlino. Altro duo proveniente dall’Accademia di Imola, quello formato da Alberto Casadei al violoncello e Federico Colli al pianoforte, sarà sulla scena il 15 marzo 2012. Venendo agli appuntamenti di questo bimestre, ecco ancora due allieve dell’Accademia di Imola che si sono già ampiamente distinte in campo internazionale, come Anna Fedorova e Beatrice Magnani: la prima, che ascolteremo il 26 gennaio, è vincitrice di numerose competizioni pianistiche, tra cui il Premio al Concorso “Fryderyk Chopin” di Mosca; a soli vent’anni si è esibita nelle sale di tutta Europa, da Amsterdam a Parigi, a Francoforte, ed ha suonato in Argentina e CALENDARIO gennaio/febbraio 2012 2012 giovedì ore 20.30 26 gennaio Aula Absidale di Santa Lucia Anna Fedorova pianoforte Musiche di Scarlatti, Schubert, Liszt 2012 giovedì ore 20.30 2 febbraio Aula Absidale di Santa Lucia Orchestra da Camera del Collegium Musicum Almae Matris Caterina Centofante direttore Musiche di Wolf - Ferrari, Gounod, Britten, Bartók 2012 giovedì ore 20.30 9 febbraio Aula Absidale di Santa Lucia Beatrice Magnani pianoforte Musiche di Beethoven, Liszt Anna Fedorova Messico in tour con l’Orchestra Filarmonica di Buenos Aires e l’Orchestra Sinfonica Nazionale del Messico. Beatrice Magnani (sul palco il 9 febbraio) ha suonato alla Sala Čajkovskij di Mosca, alla Feng-Youang Music Hall di Taiwan, alla Sala Piccola della Filarmonica di San Pietroburgo ed è stata chiamata a partecipare a numerosi festival e stagioni concertistiche, oltre a collaborare con orchestre come la Sinfonica di Cernivci (Ucraina), la Filarmonica Morava di Olomuc (Repubblica Ceca) e la Mozart Chamber Orchestra di Padova. Si conferma inoltre anche per questa edizione il concerto del Collegium Musicum, attivo dagli anni Cinquanta e ormai realtà importante sia per l’Ateneo bolognese che per la città. Il 2 febbraio, l’Orchestra da Camera del Collegium Musicum sarà diretta da Caterina Cen- tofante, che ha debuttato nel 2002 alla testa dei Pomeriggi Musicali, e ha diretto orchestre quali Stuttgarter Philharmoniker, Orchestra della Toscana, Accademia del Maggio Fiorentino, Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, Florence Symphonietta e Junge Philharmonie Salzburg ed è stata maestro collaboratore per diversi enti nazionali e internazionali, come Nuovo Teatro di Bolzano, Pergine Spettacolo Aperto, Opera and Ballet Theatre Tbilisi. Come da tradizione, ricordiamo che il concerto conclusivo della rassegna, giovedì 19 aprile 2012, si realizzerà grazie alla collaborazione tra Fondazione Musica Insieme e Centro La Soffitta del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna. Protagonista sarà il Wiener Mozart Trio: attivo da vent’anni sulle scene di tutt’Europa e Asia, il Trio ha suonato nelle più rinomate sedi concertistiche, quali Sala Verdi di Milano e Wigmore Hall di Londra, Concertgebouw di Rotterdam e Wiener Konzerthaus, ed ancora, le sale da concerto di Shanghai e Beijing. Emblematici i repertori proposti, che mirano come sempre a fornire un quadro il più possibile esaustivo della grande letteratura musicale: dalle rarità per pianoforte a quattro mani proposte in apertura, ai capisaldi del trio con pianoforte che concluderanno la rassegna, i nomi di Beethoven, Brahms, Schubert, Schumann, Liszt e Chopin costituiranno le fondamenta più profonde e significative del repertorio maggiore, di fronte alle quali s’illumineranno con maggior forza – e nella necessaria prospettiva storica – le esperienze novecentesche di Bartók e di Britten, di Fauré come di Prokof ’ev. INFORMAZIONI PER IL RITIRO DEGLI INVITI L’ingresso a tutte le manifestazioni della rassegna è gratuito per gli studenti ed il personale docente e tecnico amministrativo dell’Università di Bologna; gli inviti possono essere ritirati presso la sede dell’URP in Largo Trombetti n. 1 la settimana precedente ciascun concerto (Lunedì, Martedì, Mercoledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30; Martedì e Giovedì dalle 14,30 alle16,30). Il giorno del concerto, tutti i cittadini potranno ritirare gli inviti ancora disponibili (sempre all’URP, dalle 14,30 alle 16,30). MI MUSICA INSIEME 21 L’INTERVISTA STEFANO BOLLANI S Elogio del presente Intrattiene come un concerto la parlata del pianista e performer milanese, capace di passare da Topolino a Ravel con la forza dell’improvvisazione di Fulvia de Colle tefano Bollani suona il jazz, ma anche i Concerti di Gershwin e Ravel con l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da Chailly. Suonando sa persino far ridere (e lo dimostrano i suoi ghignanti colleghi Riondino e Marcorè nel Dottor Djembè di Rai Radio 3) e di musica sa anche parlare (e lo dimostra la sua recente trasmissione Sostiene Bollani, questa volta sullo schermo televisivo della stessa rete). Per Bollani i generi si suddividono semplicemente in «musica bella e musica brutta. Jazz, rock e tutto il resto sono generi che abbiamo inventato noi per poter parlare di musica, però la musica è una sola». La diffusione via web, da Youtube alle pagine su Facebook e via dicendo, fa bene o male alla musica oggi? «Di Facebook non ne faccio molto uso, anzi vedo in giro un po’ di dipendenza… però è anche vero che forse sono troppo vecchio, perché invece vedo che i giovani ci si accostano con molta naturalezza; probabilmente è come per noi il personal computer, che ci ha tutti entusiasmati ed esaltati perché in un certo senso l’abbiamo visto nascere. Ad ogni modo il web fa bene alla comunicazione, oggi vedo che ci si scambiano informazioni, 22 MI MUSICA INSIEME ricordi, reperti tramite Youtube, del quale invece sono davvero addicted… Devo dire che Youtube è una grande trovata, pericolosa anche quella perché se ne può fare abuso, però è bellissimo avere a disposizione un archivio enorme di immagini, qualcosa che puoi richiamare in un attimo alla memoria». Quindi saprai bene che Youtube pullula di tuoi video… «Li ho visti, e consideriamo il lato positivo: mi rassegno al fatto che qualsiasi cosa io stia facendo, un concerto in una qualche parte del mondo, possa finire su Youtube; ma questo è di stimolo a tutti, perché non puoi fare passi falsi. Non puoi fare un brano brutto una sera da qualche parte, perché il giorno dopo magari è il video più cliccato, grazie a un titolo accattivante, o non so che altro... poi siccome i concerti jazz sono tutti diversi, specie quando uno improvvisa, se qualcuno si prende la briga di registrare e di condividere una serata è anche bello, tanto non sostituisce l’esperienza live di un concerto; semmai anzi invoglia qualcuno a venirci, ai concerti». Infatti: di recente qualcuno ha detto che andare al cinema è come andare a messa. Il momento della fruizione insieme ad altre persone rimane comunque un rito. «Esatto, c’è la contemporaneità che fa la differenza. La condivisione su Facebook cerca di sostituire proprio questo. Io ti mando un video e magari tu lo guardi cinque minuti dopo che te l’ho mandato, e quindi è un po’ come se lo stessimo guardando insieme, più o meno come l’idea di essere insieme al cinema. Poi, il teatro e il concerto dal vivo sono una cosa ancora diversa, perché c’è una persona vera che sta facendo qualcosa, non è stato semplicemente acceso un proiettore». A proposito del momento del concerto, sappiamo che non sapremo che cosa suonerai: Ravel, Prokof’ev, standard jazz o canzoni… come avviene la scelta, sempre che sia un processo descrivibile? «È molto semplice da descrivere: suono “ In Ravel c’è tutto: c’è la Francia, ma anche le sue origini basche, la sapienza dei cembalisti francesi e l’amore per la musica antica quello che mi viene in mente. Quando suono in gruppo è diverso, ma quando sono da solo non decido nulla, perché il bello è proprio poter improvvisare, entrare e uscire da un brano, e se un brano mi annoia lo chiudo prima, così un pezzo può durare tre minuti e un altro quindici. Prima di suonare sto semplicemente in relax, se posso, e non penso affatto al concerto. L’importante è pensare ad altro, così quando sali sul palco vivi il presente e sei completamente concentrato, così come un attimo prima eri concentrato a mangiare o a chiacchierare». Sarebbero validi consigli per la gestione dell’ansia. «Lo chiameremo Elogio del presente, un testo filosofico…». Dopo Gershwin, riuscitissima fusion di classica e jazz, con Chailly hai appena inciso il Concerto in sol di Ravel. Come mai hai scelto proprio Ravel? «Chailly ha proposto Ravel, pensavamo anche al Concerto per la mano sinistra, poi sono stato io a dirottarlo sul Concerto in sol perché ne sono innamorato, come sono innamorato di Ravel in generale, non c’è bisogno di dirlo. Ma la molla in più che mi ha spinto a pensare che forse in effetti lo avrei potuto avvicinare è il fatto che Ravel viveva in un’epoca in cui il jazz stava nascendo, ne sentiva il profumo e il sapore, e lo usava in mezzo a tante altre spezie. Perché poi in Ravel c’è tutto: c’è la Francia, ma anche le sue origini basche, la sapienza dei cembalisti francesi e l’amore per la musica antica. Quindi ho pensato che forse, specie in alcuni passaggi, ci fosse la possibilità di affrontare questo concerto da un’altra angolazione. Ciò detto, nessuno deve aspettarsi niente di rivoluzionario. È nei dettagli, nelle sfumature che abbiamo tentato di fare qualcosa di diverso, anche perché ci sono delle incisioni di questo concerto che sono inarrivabili: se qualcuno dovesse pensare a Martha Argerich o ad Arturo Benedetti Michelangeli, non lo suonerebbe più. Infatti bisogna semplicemente dimenticarsi anche di quello, come ti dimentichi la cena di un attimo prima. Con Chailly abbiamo un buon metodo, di solito ascoltiamo molto le incisioni altrui, ma io in particolare mi soffermo su quelle che non mi piacciono, perché è un modo per decidere cosa non fare, e così mi rimangono aperte le possibilità su cosa fare. Se invece ascolto quelle che mi piacciono è finita, perché poi si tende all’emulazione, e ovviamente non sarai mai al livello dell’originale». Fai queste premesse perché quando suoni tu ci si aspetta che incominci ad improvvisare all’improvviso? «Un po’ è così. Certo ormai credo s’immaginino tutti che non improvviseremo su Ravel, però si aspettano comunque un’esecuzione più jazzistica: non si sa bene cosa voglia dire, ma magari si aspettano una versione più ritmica, più veloce o con più accenti del solito. Invece non è detto che andremo in quella direzione; per esempio nel secondo tempo del Concerto abbiamo tentato di mantenere lo stesso metronomo dall’inizio alla fine, senza quei languori che possono scappare nei tempi lenti, specialmente a chi viene dal jazz. Invece ci sarebbe piaciuto, da interpreti, restituire un po’ di patina di glacialità a Ravel, che era un uomo del Novecento e non un romantico». In effetti all’“orologiaio svizzero”, come lo definiva Stravinskij, i languori avrebbero forse dato fastidio… «Sì, anche se è strano, perché per come siamo abituati ad ascoltare Ravel e ad immaginare la Francia ai primi del secolo scorso ci rappresentiamo un’altra cosa, un po’ languida, che invece sotto sotto nelle sue partiture non vorrebbe esserci. C’è piuttosto un riferimento se va bene alla musica antica e sennò all’orologio svizzero: come il Bolero, che è una cosa che parte con un tempo e va avanti fino in fondo in quel modo, dopo di che è languido il risultato, ma l’idea è molto secca… Credo che il Bolero fosse un “ esperimento che gli è riuscito talmente bene da sfuggirgli di mano: se si potesse scrivere una storia della musica vista dai compositori, sono convinto che ognuno sceglierebbe del proprio repertorio un altro brano rispetto a quello che poi è passato alla storia. Vale per i cantautori, figurarsi per autori come Stravinskij o Ravel. Forse solo Gershwin avrebbe scelto la Rapsodia, dal momento che per lui il successo equivaleva in un certo senso al valore dell’opera». Nel 2006 è uscito il tuo libro La Sindrome di Brontolo, e si è parlato di Queneau per l’improvvisazione e il continuo gioco con le parole e con le strutture narrative. Un po’ come fai quando suoni, smontando e rimontando le note come faceva Queneau con le parole? «Sì, il libro è visibilmente un omaggio a Queneau, anche se non voluto. Me ne sono accorto dopo; è un po’ come quando uno scrive un pezzo, si accorge che assomiglia a una canzone di Pino Daniele, e lo intitola Omaggio a Pino Daniele… Però effettivamente è così, perché è un libro con una struttura molto ferrea e precisa, e poi dentro i personaggi improvvisano, come cinque temi che si rincorrono. Mi ha dato una mano proprio quello che accade quando uno suona jazz: prende una struttura che il pubblico perlopiù non avverte, e ci improvvisa dentro». L’improvvisazione, insomma, non s’improvvisa: se non ci si dà qualche regola, non si rischia mai di perdersi? «Io tendo a darmele, me le do in corsa a volte, ma me le do, perché l’improvvisazione ‘senza rete’ oltre a essere più difficile può risultare anche meno interessante. A me piacciono quelle cose, anche in letteratura, dove il risultato sembra senza rete ma in realtà non lo è. Ma mi piacciono anche, all’opposto, quegli assoli che sembrano scritti e invece sono stati inventati sul momento. L’importante alla fine è sempre il risultato...». MI MUSICA INSIEME 23 INTERVISTA DOPPIA RTÉ VANBRUGH QUARTET - PAVEL HAAS QUARTET La musica dal Nord all’Est D Storia, passioni e progetti a confronto tra due dei più affermati quartetti d’archi oggi in attività, ospiti di Musica Insieme rispettivamente il 23 gennaio e il 20 febbraio ue formazioni molto diverse, ma legate da una profonda ammirazione per Beethoven. Il primo, Quartetto residente della Radio Televisione nazionale, festeggia proprio come la nostra Fondazione venticinque anni di concerti; il secondo è invece un quartetto giovane, ma già affermato internazionalmente dopo il trionfo al “Borciani” nel 2005. I due violoncellisti, Christopher Marwood per l’RTÉ Vanbrugh Quartet e Peter Jar u° šek per il Quartetto Pavel Haas, si fanno portavoce del gruppo nel raccontarci esperienze, passioni, motivi di soddisfazioni e progetti per il futuro. Il compositore preferito? RTÉ Vanbrugh Quartet: «I quartetti di Beethoven hanno una così grande varietà e profondità che sarebbe veramente difficile per i musicisti di un quartetto non di Cristina Fossati inserirli al top della lista. Ugualmente, sebbene il concetto di “preferito” sia difficile da intendere e la nostra preferenza cambi certamente in accordo con il mondo musicale nel quale stiamo vivendo in un particolare momento, possiamo dire che nel programma che suoneremo per Musica Insieme sono presenti tre dei nostri autori preferiti!». Pavel Haas Quartet: «Al di là di Pavel Haas, alla cui memoria abbiamo voluto intitolare il nostro quartetto, non è comunque facile, vista anche la vastità del repertorio per quartetto d’archi, indicare una predilezione. Dovessi fare una lista di nomi, ecco Schubert e Janáček. Certamente, però, e parlando in generale, il mio preferito resta Beethoven. Lo considero il musicista più importante in assoluto, anche al di là del suo pur rilevantissimo contributo alla musica per quartetto d’archi». C’è un particolare riferimento a cui guardate? RTÉ Vanbrugh Quartet 24 MI MUSICA INSIEME RTÉ: «Io vorrei rendere omaggio sia all’Amadeus Quartet che al Guarnieri: entrambi, in modi diversi, hanno avuto una grande influenza su di noi. Per il presente invece mi vengono in mente le fantastiche performances dei Quartetti Auryn e Casals, ma è davvero un esercizio impossibile estrarre nomi di singoli quartetti tra i tanti giovani ensembles di qualità che suonano oggi». PHQ: «Se pensiamo che siamo un quartetto formatosi a Praga, sarebbe quasi del tutto naturale guardare alla nostra grande tradizione quartettistica. Però noi ci siamo formati presso diverse scuole, a cominciare da quella di Fiesole. Dunque, abbiamo potuto in certo senso conoscere e approfondire modalità ed attitu- dini diverse nell’affrontare il repertorio quartettistico. Oltre alla fondamentale esperienza fiesolana, abbiamo studiato Beethoven con Norbert Brainin, o Smetana con Miloš Škampa dell’omonimo ensemble, o il repertorio russo con Valentin Berlinskij del leggendario Quartetto Borodin. Insomma, abbiamo cercato gli specialisti ogniqualvolta volevamo avvicinarci a specifiche sezioni del repertorio. Potremmo dire che abbiamo seguito sempre il medesimo percorso: ad ogni tassello del repertorio che abbiamo aggiunto corrisponde un musicista con cui lo abbiamo studiato». Quando e com’è nato il vostro Quartetto? RTÉ: «Il nostro Quartetto è nato alla Royal Academy of Music di Londra nel 1985; nei suoi 25 anni di storia ha visto solo un cambio di componente, Keith Pascoe, proveniente dal Quartetto Britten, che si è unito all’ensemble nel 1998». PHQ: «Veronika, il primo violino, che è anche mia moglie, ha fondato il Quartetto nel 2002 assieme a Pavel, la viola. Io mi sono unito a loro nel 2004, mentre Eva è arrivata tre anni fa. Quindi, sono tre anni all’incirca che suoniamo con questa formazione. Prima di entrare a far parte del Pavel Haas, io suonavo con il Quartetto Škampa. Veronika rimase affascinata dal lavoro che facevamo con quel Quartetto, e proprio sull’onda di quella fascinazione decise di fondarne uno suo». Quali sono stati i vostri più importanti maestri? RTÉ: «Ce ne sono sicuramente troppi tra cui scegliere, ma sicuramente Sidney Griller e i membri dei Quartetti Amadeus e Vermeer, Emanuel Hurwitz e William Pleeth». PHQ: «Al di là di quelli che ho citato, uno su tutti è stato il nostro vero mentore: Milan Škampa, la viola del Quartetto Smetana. Tra di noi si era creata una relazione che andava ben al di là della musica. D’altronde, quando lo abbiamo conosciuto eravamo giovani, ma non così giovani. Non c’era bisogno di dirci come suonare le note. Quello sapevamo già farlo. Così, oltre che discutere di musica, parlavamo di tutto ciò che concerneva la nostra attività, della vita stessa. Per noi è stato anche molto importante poterci confrontare con un musicista che era diventato famoso negli anni Cinquanta e Sessanta, e che in quegli anni era “on the road”. Anni completamente diversi dai nostri, anni dove c’era meno competizione, ma le cose erano anche più difficili». Il riconoscimento più importante? RTÉ: «Meno di un anno dopo aver iniziato a suonare insieme a Londra, ci siamo trasferiti in Irlanda per occupare la posizione di Quartetto residente della RTÉ. Due anni dopo abbiamo vinto la London International String Quartet Competition». PHQ: «Sicuramente il primo premio vinto nel 2005 al Concorso Borciani [e fu in quell’occasione che Musica Insieme ospitò per la prima volta a Bologna il Quartetto Pavel Haas, ndr]. Un anno davvero unico per noi quello. Per prepararci al Borciani avevamo deciso di partecipare al Concorso della Primavera di Praga. Dieci mesi passati a provare. Nel maggio di quell’anno affrontammo il concorso a Praga e lo vincemmo. È stato il passaggio fondamentale che ci ha portati poi al Borciani». Il più bel concerto? RTÉ: «Uno dei più bei momenti è stata certamente la nostra interpretazione, nel 2010, dei Quartetti di Beethoven alla Cadogan Hall di Londra. Una forte e profonda conoscenza dell’opera, unita all’approssimarsi del nostro venticinquesimo anniversario, ci ha evidentemente ispirato per un’esibizione speciale, di altissimo livello. È rimasta inoltre impressa nella mia mente la nostra splendida recente collaborazione con Barry Douglas nel Quintetto con pianoforte di Brahms. Pensando invece ad altri musicisti, non dimenticherò mai la straordi- Pavel Haas Quartet naria lettura dell’opera 127 di Beethoven eseguita dal Quartetto Guarnieri a Londra nel 1986». PHQ: «Rispondendo così, senza riflettere: Steven Isserlis che suona Bach». canto al brillante Quartetto n. 1 di Čajkovskij troviamo un capolavoro assoluto qual è quello di Debussy, e con Smetana proponiamo un tributo alla nostra grande tradizione ceca». Qual è il pezzo che più vi emoziona suonare insieme? C’è un brano o un autore che vi piacerebbe particolarmente approfondire in futuro? RTÉ: «Questa è una domanda davvero personale, alla quale posso rispondere per quanto riguarda me… tra i pezzi eseguiti insieme, ho un ricordo davvero emozionante del Quartetto n. 6 di Bartók e del n. 8 di Šostakovič: entrambi sono pezzi molto espliciti e forti nel loro contenuto emotivo». PHQ: «Al di là dei quartetti di Haas, non ho dubbi: il Secondo di Janáček. Nella sua musica c’è tutto. Si dispiega, cioè, l’intera gamma delle emozioni con una spontaneità e una naturalezza che non trovo neppure in Bach o in Mozart. È musica che parla direttamente della vita». Come avete scelto il programma per Bologna? RTÉ: «Abbiamo semplicemente voluto rappresentare tre importanti opere di tre fra i più grandi compositori di quartetti per archi». PHQ: «Abbiamo deciso di riunire tre brani che ci rappresentassero. Così, ac- RTÉ: «Abbiamo intenzione di metterci a lavorare sui Quartetti di Benjamin Britten per la prima volta, considerando che nel 2013 ricorrerà il centesimo anniversario della sua nascita». Il quartetto d’archi è insieme al pianoforte l’organico principe della cameristica, e certo l’Ottocento austrotedesco ha lasciato in questo genere moltissimi capolavori: quanto conta nel vostro Quartetto invece la tradizione musicale della vostra terra? RTÉ: «Non c’è tradizione di musica classica in Irlanda prima del ventesimo secolo (anche se Dublino ospitò la prima esecuzione del Messiah di Händel). Comunque negli ultimi 100 anni la musica classica è diventata una parte molto forte dell’arte e della cultura del nostro Paese, ed esplorare e presentare opere di compositori irlandesi costituisce una parte rilevante del nostro ruolo in patria». MI MUSICA INSIEME 25 INTERVISTA DOPPIA I MUSICI - SERGEJ NAKARIAKOV U Dal barocco al rock Il concerto del 6 febbraio inaugurerà una felice collaborazione: quella che unisce il più longevo complesso d’archi italiano e il novello “Paganini” della tromba Il repertorio ‘classico’ per tromba non è così vasto, ed è in gran parte costituito da trascrizioni, ma potrebbe dirci qual è il suo compositore preferito? Sergej Nakariakov: «Sì, è davvero una domanda cui non è facile rispondere, e principalmente proprio per la specificità del repertorio per tromba. I brani originali non sono molti. Possiamo citare i due Concerti di Haydn, qualche pagina nel barocco, ed altre, comunque non molte, moderne e novecentesche. Questa, del resto, è la ragione per la quale nei miei concerti eseguo molto spesso trascrizioni e/o rielaborazioni. Dovessi, però, indicare un nome, sicuramente sarebbe quello di Aleksandr Arutjunjan, il compositore armeno che ha composto una pagina importante, uno dei maggiori lavori per il mio strumento, il Concerto per tromba [del 1950, subito divenuto brano centrale del repertorio e inserito nei programmi accademici. Nakariakov lo ha eseguito più volte, ndr]. Altrimenti, amo eseguire opere del periodo classico e romanSergej Nakariakov 26 MI MUSICA INSIEME tico, in particolare Schumann e Brahms, naturalmente trascritte. Di recente sono stato invitato dal compositore tedesco Jörg Widmann a tenere a battesimo il suo Konzertstück per tromba e orchestra [dal titolo “Ad Absurdum”, composto nel 2002, ndr]. È stata una bellissima esperienza, e peraltro una delle pochissime da me fatte nell’ambito della musica dei nostri giorni. Infine, ci sono le pagine composte da musicisti come Arban, ovvero da grandi virtuosi della tromba, che hanno dato un contributo fondamentale all’evoluzione tecnica dello strumento, e che ovviamente amo suonare e fanno parte stabilmente del mio repertorio». Dal compositore, all’interprete. Sente di essersi ispirato a qualcuno dei grandi trombettisti del passato? Sergej Nakariakov: «In questo caso è più Foto Thierry Cohen n giovane virtuoso, il trombettista Sergej Nakariakov, salutato come il “Paganini” del suo strumento, va in scena assieme ai “Musici”, ovvero a un complesso che ha fatto la storia musicale italiana (e non solo), e che ha ormai superato i 60 anni di attività. Più che naturale, allora, un confronto tra due esperienze tanto diverse. A dargli voce lo stesso Nakariakov da un lato e Silvio Di Rocco dall’altro, viola e presidente de I Musici. Cominciamo con Sergej Nakariakov. di Alessandro Di Marco facile per me rispondere, e non ho dubbi. Per me il numero uno era e resta Timofei Dorkshitzer [celebrato solista, scomparso nel 2005 dopo una brillantissima carriera, passata anche dall’esser stato prima tromba presso il Bol’šoj e docente di tromba alla celebre Scuola Gnessin, ndr]. È stato il più grande trombettista dell’Unione Sovietica, certamente, ed anche un uomo molto popolare nel mio Paese. Lui è stato ed è la mia fonte d’ispirazione». E se dovesse guardarsi intorno oggi? Sergej Nakariakov: «Non saprei dire. Nutro un grande rispetto per tutti i miei colleghi e guardo anche con ammirazione, ad esempio, ai grandi virtuosi di tromba in ambito jazzistico. Tra di loro ci sono molti eccellenti musicisti». Quali sono stati i suoi maestri, quelli che più hanno contribuito alla sua formazione? Sergej Nakariakov: «Il mio vero insegnate è stato mio padre, Mikhail. Della tromba era un dilettante. Lui suonava il pianoforte, e lo insegnava. Eppure è stato lui a formarmi, a seguirmi giorno dopo giorno negli studi. Ed anche a organizzarmi un repertorio, scrivendo pezzi originali sia per tromba sia per flicorno, oppure rielaborando (ecco ad esempio il Concerto in re minore per violino di Mendelssohn che suonerò a Bologna) apposta per me pagine del repertorio solistico di altri strumenti». Restando in argomento e guardando alla lunga esperienza dei Musici: il vostro complesso ha raggiunto i sessant’anni di attività. Quali sono stati i vostri maestri storici, quelli che maggiormente hanno contribuito alla vostra formazione ed affermazione? Foto Tommy della Frana I Musici Silvio Di Rocco: «Durante i 60 anni trascorsi dal debutto del 30 marzo 1952 a Roma, I Musici ha avuto come componenti sempre strumentisti di altissimo livello. Li cito tutti: Franco Tamponi, Felix Ayo, Roberto Michelucci, Salvatore Accardo, Pina Carmirelli, Federico Agostini, Mariana Sirbu, Antonio Salvatore, Arnaldo Apostoli, Italo Colandrea, Anna Maria Cotogni, Walter Gallozzi, Luciano Vicari, Dino Asciolla, Aldo Bennici, Paolo Centurioni, Carmen Franco, Alfonso Ghedin, Bruno Giuranna, Enzo Altobelli, Mario Centurione, Francesco Strano, Lucio Buccarella, Maria Teresa Garatti». Qual è stato il concerto, o il riconoscimento, che ha contribuito maggiormente alla vostra carriera, o che ricordate con particolare emozione? Silvio Di Rocco: «Il riconoscimento più prestigioso lo ha sicuramente rappresentato il Disco di platino con diamante, ricevuto per i successi discografici derivati dalla lunga e felice collaborazione con la Philips. Il ricordo più commovente è quello di un concerto a favore di un gruppo di bambini focomelici, e i loro assordanti applausi silenziosi». Sergej Nakariakov: «Certamente l’emozione della prima volta che mi sono esibito assieme ad un’orchestra è ancora molto vivida. D’altronde ero un bambino. Poi c’è stata una prima svolta, la mia partecipazione al Festival di Korsholm in Finlandia, dove ho ottenuto il primo grande riconoscimento internazionale. Poi sono arrivati altri grandi festival, alcuni passaggi in televisione, dai quali sono nati altri inviti, e tra questi quello di Vladimir Spivakov, con il quale ho avuto l’onore di collaborare più volte». Come descrivereste il giovane trombettista Nakariakov, che ospiterete nel vostro concerto per Musica Insieme? Silvio Di Rocco: «Nakariakov è un autentico genio del suo strumento. Riesce ad unire il suono più bello e puro ad un virtuosismo spettacolare, tanto che è sempre il pubblico a rimanere “senza fiato”. Siamo veramente felici ed onorati di collaborare con lui». Torniamo ai Musici e al programma del concerto. Ai due brani per tromba solista che ne costituiscono il centro, fanno da cornice opere prevalentemente italiane, perfino “bolognesi” nel caso di Bossi e Respighi: da sempre siete riconosciuti come ambasciatori della musica italiana nel mondo. Quanto è importante per voi questa ‘missione’, soprattutto oggi? Silvio Di Rocco: «La musica italiana è sempre molto amata all’estero, e pensiamo che sia anche merito di tutti quegli artisti italiani che, a cominciare da Toscanini, hanno sempre promosso con tenacia e fervore gli autori italiani nel mondo, includendoli nel loro repertorio concertistico. Per esempio, abbiamo “scoperto” i tanto meravigliosi quanto sconosciuti Intermezzi Goldoniani di Marco Enrico Bossi proprio nei programmi che Toscanini (emiliano anch’egli) eseguiva in America. L’Aria per strumenti ad arco di Ottorino Respighi è ancora di rarissima esecuzione in Italia ma già più volte incisa in altri Paesi. All’estero, l’immagine che hanno dell’Italia attraverso la musica è decisamente positiva, tanto che soprattutto in Asia spesso riscontriamo, con piacere ed amarezza al tempo stesso, un rispetto per il nostro patrimonio musicale addirittura più profondo di quanto non lo si dimostri qui da noi. Oggi avvertiamo il bisogno di aiutare la musica anche in Italia; proprio perché la musica è uno dei nostri principali punti di forza, non può essere trascurata proprio dove nasce, come purtroppo sta avvenendo». Oltre all’“italianità”, spicca l’originalità della scelta dei brani in programma: nel caso di Rota e Bacalov, poi, si tratta di brani a voi espressamente dedicati. Secondo lei, quali caratteristiche colgono ed esaltano dei Musici questi due compositori? Silvio Di Rocco: «Principalmente, entrambi i brani mettono in risalto le qualità liriche, timbriche e virtuosistiche del nostro ensemble. Nel Concerto per archi scritto per I Musici nel 1965, pur non rinunciando al suo caratteristico stile satirico e malinconico, Nino Rota cerca la forma antica della suite. In particolar modo nel Largo centrale, non mancano citazioni bachiane. Luis Bacalov invece ci ha regalato per il nostro sessantesimo compleanno una nuova versione del suo famosissimo Concerto grosso originariamente scritto per i New Trolls nel 1971. Il brano è una vera e propria sfida fra i due stili, Barocco e Rock (Barock?). Nell’Adagio centrale poi risuona il nobile tema della celeberrima canzone Shadows in the dark, le cui parole, tratte da Shakespeare, recitavano: «To die, to sleep, maybe to dream». Nelle nostre recenti esecuzioni all’estero ci ha gradevolmente sorpreso che i vari temi del Concerto grosso siano stati riconosciuti persino dai giovanissimi, a testimonianza della grande popolarità della composizione». MI MUSICA INSIEME 27 IL PROFILO Precario in patria... Ottorino Respighi, ovvero un Bolognese nel mondo: dalla Russia agli Stati Uniti, il compositore riscuoterà un successo che l’Italia gli tributerà solo alle soglie della Grande Guerra. Il 6 febbraio I Musici ne proporranno un inedito del 1905 di Lico Larvati A nni di apprendistato, di viaggio, di magistero: per Ottorino Respighi le tre epoche del Wilhelm Meister s’intrecciano con qualche deviazione rispetto al canone. Allievo di composizione al Liceo musicale e violinista precario al Teatro Comunale della natia Bologna, dopo le ferie estive del 1900 parte in terza classe per la lontana Pietroburgo, scritturato per la stagione d’opera al Mariinskij. Un teatro dove le paghe sono ottime, il repertorio ricco, e si fa esperienza sotto due celebri direttori residenti: il boemo Eduard Nápravník e il padovano Riccardo Drigo. Gli ospiti non sono da meno: Mahler, Nikisch, Rachmaninov, Muck, Richter. In pochi mesi Ottorino, che in orchestra maneggia la viola, il violino e la viola d’amore, suonerà in opere di Verdi, Meyerbeer, Wagner, Čajkovskij e Rubin- Ottorino Respighi (Bologna, 1879 - Roma, 1936) 28 MI MUSICA INSIEME stein. Nel tempo libero fa pratica al piano, studia il russo e bussa alla porta di Rimskij-Korsakov, il direttore del Conservatorio che a 66 anni è già considerato un monumento vivente. Il raffinato strumentatore apprezza i saggi di composizione del giovanotto. Gli dà lezioni per cinque mesi, al termine dei quali Respighi torna a casa con quel Preludio, Corale e Fuga che gli varrà la risposta di Giuseppe Martucci a chi lo congratulava per la buona riuscita dell’allievo: «Respighi non è un alunno, Respighi è un maestro». La gloria di maestro e allievo si spande sulla scuola e sulla città, al punto che il corrispondente del Musical Courier newyorkese così conclude la recensione (23.9.1902) del suo primo Concerto per pianoforte: «Senza dubbio il Liceo Rossini è il focolare dell’arte musicale italiana e Bologna è l’Atene musicale d’Italia». Come non detto. Dopo un’altra stagione al Comunale, Respighi torna in Russia nell’inverno del 1902: prima viola a Pietroburgo, e poi al Bol’šoj moscovita. Da questo viaggio ritorna nell’agosto del 1903, affascinato dalle scenografie di Bakst e di Aleksandr Benois. Ma intanto il posto fisso a Bologna non si trova, e dal settembre 1908 al giugno 1909 Respighi è a Berlino come accompagnatore in una scuola di canto privata. Strumenta e fa eseguire antiche musiche italiane, frequenta Busoni e Max Bruch. Allgemeine Musikzeitung e Berliner Tageblatt portano alle stelle la sua orchestrazione del monteverdiano Lamento d’Arianna, cantato nel 1908 a Berlino da Julia Culp sotto la direzione di Artur Nikisch. Una rivelazione. Ottime critiche anche per l’opera Semirama, inscenata al Comunale bolognese nel 1910; ciononostante il trentenne Respighi resterà profeta all’estero e precario in casa finché il 15 gennaio 1913, vincitore di concorso, non metterà piede con trepidazione nel Conservatorio di Santa Cecilia quale professore di composizione. Cominciano gli anni di magistero; la fama verrà nel 1916 con Fontane di Roma. Tre anni dopo sposa la sua ex allieva Elsa Olivieri-Sangiacomo, discreta cantante che da quel momento ne amministrerà la vita, e più tardi la memoria. Nel 1923 è nominato direttore del Conservatorio, ma per poco. Il successo repentino dei Pini di Roma (1924) lo proietta per le vie del mondo: alla fine del ’25 parte per gli Stati Uniti, nel marzo del ’26 è in Olanda per un “Festival Respighi” interamente dedicato alle sue musiche. Anatolij Lunačarskij, l’enciclopedico russo suo amico fin dai tempi dell’esilio bolognese, è ora “commissario del popolo” all’istruzione nel governo sovietico. Insiste affinché Respighi si rechi in Unione Sovietica; però lui, poco interessato alla politica, sceglie gli Stati Uniti, dove tornerà a più riprese come direttore e pianista. Interpreta in prima mondiale alla Carnegie Hall la sua Toccata per pianoforte e orchestra, accompagnato dalla New York Philharmonic sotto la bacchetta di Mengelberg; un anno dopo Toscanini salirà sullo stesso podio per dirigere Feste Romane, l’attesa conclusione del trittico che ormai risuona nelle sale di tutto il mondo e ben presto, inciso dalla RCA, su ogni grammofono domestico. Fama, ricchezza e, nel 1932, la nomina ad Accademico d’Italia. Il volo è interrotto da un’infezione cardiaca che lo porta alla tomba all’età di 56 anni. Un anno dopo l’ingrata patria bolognese tumulava le sue spoglie al cimitero della Certosa (Campo Carducci, lato ovest, sarcofago 12/2). MI ricordo di Bruno Borsari EVGENIJ KISSIN Uno. Due. Aspetta, non andare, ne fa un altro. E poi un altro ancora. E un altro, e ancora un altro. Il pubblico non sa bene cosa fare. È la prima volta che Evgenij Kissin si esibisce a Bologna. La sala è quella del Bibiena. Qualcuno fa per uscire, ma l’insistenza dei più, entusiasti per la sua performance, e che hanno cominciato a capire, lo trattiene. Siamo al sesto, poi al settimo, ed ecco l’ottavo bis. A memoria nessuno rammenta una simile schiera di encores. Nove, dieci. La platea è sempre piena. Adesso siamo alla sfida: si fa a chi abbandonerà per primo. Undici, dodici. Kissin sfodera non solo un’invidiabile memoria, ma anche una resistenza davvero unica. Certo è giovane, già famosissimo. Eppure, questa serie di bis stupisce anche il più smaliziato degli aficionados. Anche perché Kissin tira fuori, un pezzo dopo l’altro, pagine di tutto il repertorio. E via quindici, sedici… sembra davvero non aver alcuna in- Foto Roberto Serra 11 APRILE 1994, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA tenzione di smettere. Di fatto, ha eseguito un altro concerto, dopo il primo, quello previsto, con un programma tutt’altro che leggero. A interrompere la sfi- da tra il pianista russo ed il pubblico ecco l’imperioso diktat dei vigili del fuoco. Basta, si deve chiudere: è una questione di sicurezza. YURI BASHMET E I SOLISTI DI MOSCA 27 OTTOBRE 1997, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA / 14 MARZO 2005, TEATRO MANZONI DI BOLOGNA 30 MI MUSICA INSIEME 20.30 di loro non c’è traccia alcuna. Inutili le telefonate in albergo, dove un concièrge alla fine irritato continua a ripetere: «Sono usciti tutti insieme alle sette». Primo annuncio al pubblico, perché ormai si sono fatte le 21.15. Siamo già pronti al peggio, quando d’improvviso, alle 21.30, si materializzano all’ingresso artisti Bashmet e orchestra. Alle 21.40 sono in scena. Il concerto fu magnifico. Foto Roberto Serra La bicicletta è un mezzo comune dalle nostre parti. Così, a naso, ci pare lo sia un po’ meno in Russia. Forse, a Rostov sul Don, dov’è nato Bashmet… chissà! Certo è che il grande violista e direttore d’orchestra – l’ultima volta che è stato nostro ospite – diede prova di grande destrezza, dopo il concerto e la cena, percorrendo via dell’Indipendenza in bicicletta sì, ma girato all’indietro. Abilità circense, gusto dello spettacolo, e soprattutto un mix di straordinaria vitalità. Qualche anno prima, tanta esuberanza aveva generato un momento di più che giustificato panico. Bashmet è nostro ospite coi suoi Solisti di Mosca. Il concerto è alle 21 (eravamo ancora al Comunale), la prova alle 19.30. In teatro aspettiamo fiduciosi solista e orchestra, tanto più che li sappiamo già tutti sistemati nel loro albergo, che si trova a qualche centinaio di metri dal luogo dello spettacolo. Passano i minuti, che diventano mezze ore. Alle 19 APRILE 2010, TEATRO MANZONI DI BOLOGNA Che un imprevisto possa sempre accadere è nell’ordine naturale delle cose, e chi organizza concerti è pronto a tutto. Ma che l’ordine naturale delle cose assuma l’aspet- to di una nube di cenere (di per sé, pur nella sua eccezionalità, naturalissima) è certo più improbabile. Qualcuno ricorderà il vulcano islandese che un paio d’anni fa de- cise di riprendere la sua attività, scatenandosi come non faceva da tempo. Risultato: i cieli europei oscurati dalla nube di cenere appunto, che dalla bocca di quel remoto vulcano il vento aveva portato sul continente. Mischa Maisky, musicista a suo modo vulcanico, è in aeroporto a Bruxelles, quando apprende che non potrà partire per Bologna. Con lui la figlia Lily. È domenica, sono le 12, il giorno dopo deve suonare a Bologna. Non gli resta allora che mettersi al volante. Primo tratto fino a Lugano. Poi, il lunedì mattina il resto del viaggio, compresa Via D’Azeglio contromano per raggiungere rapidamente l’albergo. Il pomeriggio sono entrambi al Manzoni. La sera in scena. Foto Maurizio Guermandi MISCHA E LILY MAISKY KRYSTIAN ZIMERMAN 26 SETTEMBRE 2006, TEATRO MANZONI DI BOLOGNA Ancora un ricordo legato alla guida. Questa volta al volante c’è Krystian Zimerman. Per chi conosca, anche superficialmente, il pianista polacco, non è immediato immaginarlo in quella pur comunissima attitudine, che è guidare un’auto. E tanto meno guidare un grosso furgone. E ancor meno assistere ad un singolarissimo rito. Sul furgone c’è lui solo. Arriva nei pressi del Manzoni. Parcheggia lato scarico. Scende. Apre il portellone posteriore. Tira fuori un carrellino a motore cingolato e da solo (avete letto bene: da solo!) fa scivolare il suo pianoforte sul pianale dell’attrezzo. Poi, lo avvia, e sempre da solo, rifiutando qualsiasi aiuto, lo conduce – il pianoforte di taglio appoggiato sul carrello – fino a sopra il palcosceni- co. Poi, lo lascia lì e se ne va. Torna, si fa aiutare per montare le gambe e la pedaliera, e quindi mette in posizione orizzontale lo strumento. A questo punto, da un grosso involucro tira fuori una grande tenda da campo, con la quale ingloba il pianoforte. Nascosto sotto la tenda registra le meccaniche e lo accorda. Toglierà la tenda solo qualche ora prima del concerto. Inutile dire che a riflettori spenti si è ripetuto, a rovescio, lo stesso rito. MI MUSICA INSIEME 31 Carta bianca a STEFANO BOLLANI................................... pianoforte Dalla classica al jazz. Due mondi si incontrano Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 23 gennaio 2012 TEATRO MANZONI ore 20.30 RTÉ VANBRUGH QUARTET Musiche di Haydn, Beethoven, Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 6 febbraio 2012 TEATRO MANZONI ore 20.30 I MUSICI SERGEJ NAKARIAKOV..........................tromba Musiche di Bossi, Respighi, Mendelssohn,Arban, Rota, Bacalov Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 13 febbraio 2012 TEATRO MANZONI ore 20.30 ALISA WEILERSTEIN..............................violoncello INON BARNATAN.........................................pianoforte Musiche di Brahms, Britten, Stravinskij, Chopin Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 20 febbraio 2012 TEATRO MANZONI ore 20.30 PAVEL HAAS QUARTET Musiche di Čajkovskij, Debussy, Smetana Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” ATTENZIONE - CAMBIO DATA IL RECITAL DI LANG LANG PREVISTO PER SABATO 14 APRILE 2012 AVRÀ LUOGO LUNEDÌ 25 GIUGNO 2012 AL TEATRO MANZONI ORE 20.30 Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 3 - 40124 Bologna tel. 051.271932 - Fax 051.279946 E-mail: [email protected] - Sito web: www.musicainsiemebologna.it I CONCERTI gennaio / febbraio 2012 Lunedì 16 gennaio 2012 TEATRO MANZONI ore 20.30 Note creative Foto Paolo Soriani Debutta nel nostro cartellone un pianista e performer capace di travalicare i confini di genere, nel nome della buona musica di Fabrizio Festa L Lunedì 16 gennaio 2012 e vicende del jazz in Italia meriterebbero uno studio approfondito. Quello italiano è un caso davvero particolare e in primo luogo per ragioni prettamente musicologiche. Ad esempio, l’esistenza di un retroterra “etnico”, a base regionale, basti pensare alla canzone napoletana, già pronto ad accogliere quanto sarebbe arrivato dall’altra costa dell’Atlantico. Poi, la vivacità di una scena teatrale d’intrattenimento, che aveva nell’operetta e nel varietà già coltivato generi molto vicini al musical; ed ancora l’innovazione armonica nell’opera italiana introdotta da Puccini, e che tanta influenza avrà sulla musica americana, già prima della pur fondamentale Fanciulla del West. E così via, nel sommarsi di una serie di suggestioni, che daranno vita ad un genere eclettico e variegato, che solo per mero amore di semplificazione definiamo “jazz”. A seguire, ci sono le ragioni della storia. L’Italia fascista, se da un lato ufficialmente rinnega il jazz (e tutto quanto veniva incluso anche impropriamente sotto quell’etichetta), dall’altro lo lascia vivere e prosperare sotto mentite spoglie. Del resto, è sufficiente una traduzione, spesso letterale o quasi (Armstrong = Fortebraccio, St. Louis Blues = Le tristezze di San Luigi), per superare indenni la censura. Accanto all’esemplare vicenda di Romano Mussolini, figlio del Benito, ma pianista di jazz per vocazione oltre che per mestiere, qui è sufficiente ricordare Gorni Kramer, la cui musica è chiaramente “jazz” (nel senso ampio, che va dalla classica alla canzonetta, col quale LUNEDÌ 16 GENNAIO 2012 TEATRO MANZONI ORE 20.30 Carta bianca a STEFANO BOLLANI pianoforte Dalla classica al jazz. Due mondi si incontrano usiamo tale termine per l’Italia), e si permette persino qualche non troppo velata critica al regime, come nella sua celebre Crapa pelada, cantata, su testo di Tata Giacobetti (poi Quartetto Cetra), da quell’Alberto Rabagliati che era finito a Hollywood dopo aver vinto il concorso come sosia di Rodolfo Valentino. La carriera nel cinema non la fece, ma fece in tempo ad imparare a cantare “all’americana”. Ecco allora lo scat italiano: Ba-babaciami piccina (1940), che in realtà andava ad aggiungersi ai successi di un altro che la traversata l’aveva fatta nei due sensi: Natalino Otto, il primo vero cantante di jazz italiano. Certo tra i due si mise di mezzo il fascismo, nel senso che Rabagliati, troppo famoso per poter essere censurato, continuò a cantare in radio appunto “all’americana”, mentre Otto (nonostante “Mister Paganini” fosse diventato “Maestro Paganini” e malvisto all’EIAR per il suo palese “americanismo” canoro) si affidò ai dischi, che vendette in misura da vera star. Kramer, Otto, Rabagliati, e D’Anzi, e Pippo Barzizza. Chiunque ascoltasse i programmi radiofonici di quegli anni (i Trenta e i Quaranta) non faticherebbe a comprendere come fosse già stata intrapresa la via italiana al jazz: melodie accattivanti e ben ritmate, swing col drive giusto, e orchestrazioni che gli Americani del dopoguerra copieranno (d’altronde il capofila nel settore si chiama Respighi, l’autore italiano di musica sinfonica più eseguito negli USA), e sempre con quel tocco di classico che fa Vecchia Europa, ma non dispiace al pubblico. Canzoni sì, ma composte da professionisti (spesso con una solida formazione accademica alle spalle) aggiornati (altro che provincia!), pensate per grandi voci, presentate nella maggior parte dei casi in versioni che utilizzano un’orchestra ritmo-sinfonica a ranghi completi. I testi sono spesso un sagace mix di scat, giochi di parole, assonanze, ed ovviamente con una struttura prosodica fortemente swingante. Qualcosa di molto simile a quanto si poteva vedere nei musical o nei film musicali americani, in un Paese, l’Italia, in cui peraltro il film musicale nasceva in quei medesimi anni (con l’opera a dir la sua anche dal grande schermo). A guerra finita sarà del tutto naturale che – accanto a Gorni Kramer e al Quartetto Cetra (ascoltateli prima di stupirvi per i Manhattan Transfer e i loro emuli) – comincino ad emergere i coetanei Nicola Arigliano e Lelio Luttazzi (entrambi classe 1923), ai quali più tardi si aggiungerà un altro geniale musicista: Enrico Simonetti (classe 1924, ma attivo in Italia solo dal ’61). Con loro la nuova Napoli di Renato Carosone (che nel ’49 fonda il suo trio insieme al chitarrista olandese, poi astrologo, Peter van Wood) e il rinnovamento cantautoriale di Domenico Modugno, che nel ’58 trionferà a Sanremo con Nel blu dipinto di blu assieme a quel Johnny Dorelli che proprio Stefano Bollani Primo musicista europeo vincitore nel 2003 del “New Star Award”, premio conferito da Swing Journal, e nel 2007 del Premio come Miglior musicista europeo dell’anno, ha suonato sui palcoscenici più prestigiosi del mondo, dall’Umbria Jazz Festival al Festival di Montreal, alla Town Hall di New York. Fondamentale è la collaborazione iniziata nel 1996 – e mai interrotta – con Enrico Rava, al fianco del quale tiene centinaia di concerti e incide ben 15 dischi. Il referendum dei giornalisti della rivista americana Downbeat nel 2007 lo vede ottavo fra i nuovi talenti del jazz mondiale e terzo fra i giovani pianisti, mentre i critici della rivista Allaboutjazz di New York lo votano fra i 5 musicisti più importanti del 2007, accanto a Ornette Coleman e Sonny Rollins. La sua carriera è caratterizzata da innumerevoli collaborazioni, oltre a quella “storica” con Enrico Rava: Richard Galliano, Miroslav Vitous, Michel Portal, Phil Woods, Lee Konitz, Paolo Fresu. Grande showman e improvvisatore, oltre che pianista e compositore, anche conduttore televisivo (sui Rai 3 al fianco di Caterina Guzzanti) e radiofonico (su Radio Rai 3 con David Riondino e Mirko Guerrini), nel 2006 ha pubblicato il romanzo La sindrome di Brontolo. Molto stretto il suo legame con il Sudamerica; dopo aver realizzato il disco Carioca nel 2009, è stato il secondo nella storia del Brasile a suonare un piano a coda in una favela di Rio de Janeiro. MI MUSICA INSIEME 37 Lunedì 16 gennaio 2012 a New York aveva studiato canto e recitazione. Sono questi solo alcuni dei nomi di musicisti che, pur ciascuno a suo modo, reinterpretano il jazz all’italiana, nel mentre in Italia si affermano jazzisti (in senso stretto questa volta) eccellenti (uno per tutti, ricordiamo il nome di Franco Cerri), che portano nel nostro Paese (anche attraverso radio e televisione pubbliche) il jazz, quello nuovo per allora, il bop, l’hard-bop, seguendone poi l’evoluzione fino ai giorni nostri. Eppure, di quell’imprinting originario – sviluppato con sagacia dai Luttazzi, dai Simonetti, dai Carosone (e nel cinema da Piero Piccioni e Umberto Umiliani) – è rimasto molto di più che una traccia. Lo dimostra proprio la parte più recente della carriera di Stefano Bollani, che con sagacia e personalità s’inserisce in quel filone dove canzone e accademia, classica e jazz (in senso stretto), swing e opera, convivono felicemente. Ancora un flashback. TV in bianco e nero, un pianoforte, che sia Studio uno (Luttazzi, il quale in una puntata di quella trasmissione sintetizza un’epoca nella sua Canto, anche se son stonato, con un assolo scat da manuale) o Il signore ha suonato (Simonetti), lo schema è simile, e più che una semplice canzone si racconta una storia. Il pianista è un virtuoso. Conosce tutti gli stili e i trucchi del mestiere: da Bach a Mario Tessuto. Gioca su piani emotivi differenti. Diverte e commuove. Ti guarda negli occhi, e tu spettatore non sai se seguire quelle mani che volano su e giù per la tastiera, o stupirti perché tra uno sketch e l’altro di Gino Bramieri appare sullo schermo Marianne Faithfull, o si palesa al pianoforte Erroll Garner, o accanto a Totò e Mina trovi Louis Armstrong. Ma a condurre il gioco, a tirare le fila, è sempre quel pianista (elegante, come si usava allora), anche quando spinge il pianoforte fuori scena. Le sue mani volano, la voce incanta, e le sue storie fanno sorridere, è vero, ma il retrogusto è amaro. Bollani ne ha fatto uno stilema. È bene precisare DA ASCOLTARE Gran Visir del Sultanato dello Swing (fantomatica associazione nata, manco a dirlo, a Sanremo), e dottore honoris causa dell’Università di Boston; saggista, romanziere, autore teatrale, conduttore radiotelevisivo, produttore e arrangiatore, all’occasione vocalista. Sono solo alcune delle tante maschere indossate di volta in volta da questo milanese eroe del cross-over, il quale afferma di «prendere come criterio di riferimento la qualità senza appartenenza di genere». In ambito classico si esibisce come pianista con formazioni titolatissime quali il Gewandhaus di Lipsia, la Royal Liverpool Philharmonic, l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, la Filarmonica del Regio di Torino, la Verdi di Milano. A chi, del tutto comprensibilmente, nutrisse un pizzico di scetticismo sui risultati di tanti sconfinamenti e scavalcamenti possiamo consigliare due ascolti: Gershwin, Rhapsody in Blue e Concerto in Fa (Decca, con Riccardo Chailly e la Gewandhausorchester); New York Days (ECM), in quintetto con Enrico Rava, Mark Turner, Larry Grenadier e Paul Motian. Come il calabrone che coglie il nettare da tutti i fiori, Stefano Bollani è una sfida alle leggi dell’aerodinamica musicale: non dovrebbe esistere, eppure vola. (cv) che non è mero intrattenimento, per quanto realizzato da professionisti. L’elemento che fa la differenza è che il pianoforte bisogna saperlo suonare davvero (come Bollani appunto, e come Luttazzi, Carosone o Simonetti). Questo è un genere in cui non si può barare. È un genere cui, però, si può approdare partendo da porti diversi. Bollani non nasce autore di canzoni, non nasce in televisione, né comincia alla radio. Semmai su radio e tivù ci arriva dopo. Nato nel 1972, si forma in un contesto jazzistico che poco aveva a che spartire con il jazz italiano dei decenni Cinquanta e Sessanta. Enrico Rava, che è stato il suo mentore, fa parte di una generazione di jazzisti che prenderanno consapevolmente le distanze da quella matrice, per dirigersi verso un territorio tra improvvisazione libera e innovazione ritmico/melodica, che verrà attraversato per tutti gli anni Ottanta e Novanta. Così le registrazioni che vedono Bollani pubblicare per la prestigiosa ECM sono il frutto di un diverso ramo della storia del jazz nel nostro paese. Eppure, fin dal 1998, con l’Orchestra del Titanic, inizia anche un altro percorso, che s’intreccerà ovviamente con quello già citato. Un percorso che lo porterà ad incontrare Peppe Servillo prima, David Riondino poi. E culminerà appunto nel suo approdo prima in radio, poi in televisione. Se ai grandi musicisti già evocati aggiungiamo Paolo Conte (e qualcosa dell’Arbore dei primi anni), ecco che il quadro dei riferimenti bollaniani ad un tempo esplode e si completa. Esplode perché apparentemente Lelio Luttazzi e Paul Motian non stanno insieme. Eppure, una delle caratteristiche vincenti del jazz italiano è proprio la sua straordinaria capacità mimetica, che poi si traduce nell’invenzione di un nuovo inatteso e imprevedibile. Si tratta di un eclettismo non manieristico, di cui forse il più grande esponente è stato proprio Enrico Simonetti. Di questo stilema Bollani è l’alfiere più recente, oggi il più blasonato, anche perché la sua solida formazione accademica gli permette di passare, come fa nei suoi recital solistici, dalla canzone fino a Debussy, di giocare con le citazioni, di raccontare delle storie o di eseguire questo o quel brano del repertorio classico. Commedia all’italiana, e d’autore, dunque, ma non cinepanettoni. Dietro Arlecchino e Pulcinella stanno arte e pensiero. E ci vuole tecnica. In fondo, è la dimostrazione che per innovare bisogna conoscere la tradizione. Lo sapevate che... Stefano Bollani è apparso, con il nome di Paperefano Bolletta, in due storie a fumetti del settimanale Topolino, rivista di cui è stato ufficialmente nominato Ambasciatore 38 MI MUSICA INSIEME La Vienna del quartetto È Lunedì 23 gennaio 2012 Dopo 12 anni, torna a Musica Insieme il Quartetto irlandese, che come la nostra Fondazione festeggia la sua venticinquesima stagione concertistica di Maria Chiara Mazzi un vero e proprio “viaggio nella viennesità” quello proposto da questo importante gruppo cameristico, un viaggio là dove, tra gli ultimi dieci anni del Settecento e i primi trenta dell’Ottocento e proprio grazie agli autori proposti qui, la musica da camera e in particolare il quartetto d’archi, da genere ‘da casa’ è divenuto una struttura complessa (con Haydn), è passato progressivamente dai salotti nobiliari alle sale da concerto (con Beethoven) e si è trasformato (con Schubert) in una composizione lirico-intimistica in grado di esprimere le ansie e i tormenti interiori di un artista al punto quasi da non richiedere nemmeno un ascoltatore. Nonostante Haydn si sia espresso nell’ambito di quasi tutti i generi musicali, quello del quartetto (oltre ottanta composizioni) è il più ricco di capolavori, al punto che, a buona ragione, egli può essere indicato come vero e proprio creatore di un genere nuovo, del quale stabilisce una prassi e un modello di composizione che diventerà imprescindibile nell’epoca successiva. Dall’antica sonata barocca, dove esistevano una gerarchia tra gli strumenti e il basso continuo, e dalla forma galante e disimpegnata del divertimento, egli giunge alla parità espressiva tra gli interpreti e ad una nuova densità di scrittura ottenuta grazie alla dialettica della forma-sonata e all’approfondimento in senso contrappuntistico del dialogo tra i quattro strumenti, portando il genere a una formulazione definitiva e alla sua connota- zione ‘impegnata’. Il fatto stesso, poi, che tutti questi lavori siano stati pubblicati nel corso della sua vita dimostra non solo la naturale prolificità dell’autore, ma anche il gradimento del pubblico “dei conoscitori e dei dilettanti”, che vedeva in questi brani l’espressione di quella “civiltà della conversazione”, che è sicuramente il portato più autentico della cultura dell’Illuminismo. Il Quartetto op. 76 n. 2, detto “delle quinte”, appartiene all’ultima fase artistica di Haydn e vede la luce per Artaria (assieme agli altri 5 che compongono la raccolta) nel 1799. Il sottotitolo non è di fantasia, come spesso accadeva, ma è motivato dall’idea tematica principale dell’intera composizione, che nel suo incipit propone una successione di intervalli di quinta discendenti. I quattro tempi sono costruiti infatti sull’elaborazione di questo tema-intervallo che viene utilizzato sia come elemento tematico vero e proprio che come ‘mattone’ per un complesso edificio contrappuntistico. Saldezza e severità caratterizzano il primo movimento, nel quale tutto nasce da questo intervallo così fondamentale nella storia della musica occidentale (anche la Nona di Beethoven inizia con una successione di quinte discendenti nella tonalità di re minore, la stessa di questo quartetto…). La quinta discendente caratterizza sia l’Andante che il Minuetto, detto “delle streghe” per la sua vena sarcastica. La seriosità dell’elaborazione lascia un po’ spazio, nell’ultimo tempo, ad una vivace esplosione di ‘musica ungherese’: si tratta di un elemento di felice caratterizzazione popolaresca frequente in Haydn, e che LUNEDÌ 23 GENNAIO 2012 TEATRO MANZONI ORE 20.30 RTÉ VANBRUGH QUARTET GREGORY ELLIS violino KEITH PASCOE violino SIMON ASPELL viola CHRISTOPHER MARWOOD violoncello Franz Joseph Haydn Quartetto in re minore op. 76 n. 2 Delle quinte Ludwig van Beethoven Quartetto in do minore op. 18 n. 4 Franz Schubert Quartetto in re minore D 810 La Morte e la fanciulla Introduce il concerto Maria Chiara Mazzi. Docente al Conservatorio di Pesaro, è autrice di libri di educazione e storia musicale qui assume la funzione di una stabilizzazione stilistica, in una sorta di compensazione degli ardui procedimenti polifonici messi in atto da Haydn nei tre movimenti precedenti. Quando ancora Haydn sta preparando questi ultimi capolavori, ed è al culmine della popolarità (raggiunta proprio con l’opera 76), Beethoven inizia il suo straordinario percorso nel quartetto per archi; e il fatto che il giovane Tedesco si voglia cimentare proprio in questa forma è sicuramente dimostrazione di una acquisita competenza compositiva, oltre che un inevitabile omaggio ad un genere di grande tradizione. Quale fosse il peso di questa tradizione è dimostrato proprio dai Quartetti op. 18 che, pur preparati fra RTÉ Vanbrugh Quartet Vincitore del Concorso Internazionale per Quartetto d’Archi di Londra nel 1988, il Vanbrugh gode di una solidissima reputazione nel mondo della musica da camera. Per i rapporti artistici intrattenuti con la Radio Televisione Irlandese e con l’University College di Cork, gli è stato assegnato il premio “National Entertainment” per la musica classica. È stato ospite del Concertgebouw di Amsterdam, del Konzerthaus di Berlino, della Carnegie Hall di New York e del Kennedy Center di Washington, mentre in Italia le società di concerti più prestigiose lo hanno più volte ospitato sin dal 1994, anno della loro prima tournée. Oltre che per la Radio Televisione Irlandese, l’ensemble effettua spesso registrazioni per la BBC; nel dicembre 2000 un loro concerto trasmesso dalla European Broadcasting Union ha avuto circa quattro milioni di ascoltatori. Il Quartetto ha fondato nel 1996 il Festival di musica da camera di Cork, che è oggi uno dei maggiori eventi del calendario musicale europeo. MI MUSICA INSIEME 41 Lunedì 23 gennaio 2012 DA ASCOLTARE RTÉ è l’acronimo di Radio Telefis Éireann, la radiotelevisione pubblica irlandese con sede a Cork che offre al Vanbrugh Quartet la sua prima residenza; la seconda è presso lo University College della stessa città, dove fra l’altro esiste una tradizione musicologica di eccellenza nel campo degli studi vivaldiani. Nel 2005 questo capoluogo di contea è stato nominato dall’UNESCO Capitale europea della cultura. Bellezza di suono, chiaro profilo delle singole parti, rigore storico-stilistico dell’interpretazione, varietà di repertorio: ecco gl’ingredienti che nel corso di un quarto di secolo hanno proiettato il Vanbrugh Quartet nell’olimpo del camerismo internazionale con tournées in ogni parte del mondo. Catalogo discografico ancora ristretto ma curato con perfezionismo quasi maniacale; benché uscita nel 2003 e abbastanza costosa, la loro registrazione dei Quintetti di Boccherini resta edizione di riferimento: Luigi Boccherini, Cello Quintets, in due CD Hyperion con la partecipazione del violoncellista Richard Lester. (cv) il 1778 e il 1800 (il n. 4 è del 1799), furono pubblicati solo nel 1801, quando ormai la fama dell’autore era consolidata e questi brani erano già noti grazie a numerose esecuzioni private nei salotti dei principi Lichnowsky e Lobkowitz, dedicatario, quest’ultimo, dell’intera serie. Inoltre, forse, la ritardata pubblicazione della raccolta rispetto alla composizione e alla presentazione in pubblico dei singoli brani, fu motivata non solo dalla mancanza di serenità del musicista (con le prime avvisaglie di quell’incipiente sordità che avrebbe dettato, l’anno successivo, il cosiddetto Testamento di Heiligenstadt), ma anche dalla chiara consapevolezza che egli aveva del proprio nuovo modo di esprimersi. Se poi confrontiamo questi lavori con le originalissime sonate per pianoforte degli stessi anni, scopriamo come in questi quartetti Beethoven fosse tuttavia desideroso di mostrarsi non troppo iconoclasta nei confronti dei Maestri, proponendo un doveroso omaggio ai modelli (i Prussiani di Mozart e i quartetti centrali di Haydn), non modificando ancora radicalmente la scrittura e la struttura delle composizioni e raccogliendo una serie di sei lavori dello stesso tipo, come era consuetudine sin dall’epoca barocca, anche se il desiderio di libertà non tarda a mostrarsi nella varietà degli accenti e nella ricchezza degli intenti, ormai lontani dal gusto settecentesco. Esempio di questa posizione di svolta dello stile quartettistico beethoveniano è proprio il Quartetto n. 4, l’ultimo della serie ad essere composto, che nel suo stile ripropone una sorta di riassunto delle convenzioni di quegli anni, quali la preminenza del primo violino e le melodie simmetriche e prevalentemente accompagnate piuttosto che l’elaborazione paritaria tra le voci. Beethoven non amava affatto questo quartetto tra i sei, ritenendolo troppo ‘commerciale’. Eppure anche in esso serpeggia già tutto il vero spirito del musicista: nella scelta tonale, quel do minore che tanto sarà importante per lui e che già qui fa sentire a tratti una certa qual gravità, nell’alternanza tra severità e trasalimenti che caratterizza i bruschi cambiamenti d’umore del primo tempo e nell’andamento quasi eroico del Minuetto che segue il tradizionale Andante… anche se poi tutto ritorna nei ranghi della normalità nel conclusivo, tradizionale, Rondò. Nel ventennio che segue i Quartetti op. 18, Beethoven porterà il genere definitivamente nella sala da concerto, aumentandone la monumentalità, lo spessore sonoro e la densità costruttiva. Ma negli stessi anni dei suoi ultimi capolavori, anche Schubert compone gli ultimi suoi tre quartetti, nei quali invece sottolinea e privilegia l’aspetto lirico-intimistico, e dove la saldezza costruttiva viene mascherata da una vena musicale ricchissima e all’apparenza spon- tanea. La diversità di queste composizioni dalle analoghe contemporanee beethoveniane ne spiega il rifiuto da parte degli editori dell’epoca (il Quartetto D 810 La Morte e la fanciulla è del 1824 ma sarà pubblicato postumo da Czerny solo nel 1831), che preferivano il senso abissale e quasi esoterico del grande di Bonn alle inquietudini e al senso di rassegnazione veicolati da questi stupendi capolavori. Come avviene per altre composizioni strumentali, qui Schubert utilizza il tema di un Lied (da cui il sottotitolo), tuttavia, a differenza di quanto accade in altri casi, il Lied non viene utilizzato solo come tema per l’Andante con Variazioni, ma rappresenta il vero e proprio cuore emotivo ed ideale di tutta la composizione. «Nel Lied – scrive Alfred Einstein – Schubert aveva soltanto potuto suggerire quello che qui trova un’espressione totale, in una sfera musicale più ricca, più libera. Egli non scrive musica ‘a programma’, e non è neppure necessario che noi conosciamo il Lied per sentire nel valore simbolico di questa musica l’ineluttabilità del destino e la consolazione dell’anima». La scansione ritmica dattilico-spondaica non segna solo il tema dell’Andante, ma aleggia opportunamente trasformata nella struttura di ciascun movimento del quartetto. Cellula base del primo tempo, viene adeguata al clima dello Scherzo e infine si trasforma nella parossistica pulsazione di un Finale che viene definito, sempre da Einstein, una “tarantella della morte”. In ogni caso, il cuore espressivo di tutto è la trasfigurazione che il tema subisce nelle variazioni che con grande intensità spirituale ne trascendono lo spirito di partenza, rielaborandolo attraverso un modello costruttivo germinativo. Un quartetto che è dimostrazione delle capacità costruttive schubertiane e della coerenza interna delle sue ultime grandi composizioni. E che indica quale fosse la sua scelta nella ricerca dell’espressione cameristica romantica, raggiungendo una sfera musicale così alta da non sentire più la necessità, pur in una composizione derivata dal canto, dell’aiuto delle parole. Lo sapevate che... Gli ensemble più rappresentativi d’Irlanda sono tutti riuniti sotto la Radio TV nazionale: oltre al Quartetto, l’Orchestra Sinfonica Nazionale, la Concert Orchestra e due cori 42 MI MUSICA INSIEME Foto Thierry Cohen Sergej Nakariakov. Già invitato da Martha Argerich come da Evgenij Kissin, debutta a Bologna il prodigioso trombettista russo 44 MI MUSICA INSIEME Lunedì 6 febbraio 2012 60 anni di Musici L Un programma che omaggia Bologna per I Musici, complesso di riferimento per la musica italiana nel mondo, e protagonista nel 1988 della prima stagione di Musica Insieme di Alessandro Taverna e sue Memorie Carlo Goldoni le scrisse in francese come in francese ha scritto le proprie Giacomo Casanova. Veneziani tutti e due, il commediografo e il libertino hanno ricapitolato la loro esistenza votata ad una passione predominante, passione coltivata con un lucido accanimento, e si potrebbe arrivare a scambiare i titoli delle commedie scritte da Goldoni e i nomi delle donne amate da Casanova per accorgersi che la passione resta uguale, fino all’ultimo giorno. Goldoni ha scritto a Parigi i Mémoires, pubblicandoli appena prima che scoppiasse la Rivoluzione Francese, che lo priverà della pensione sprofondandolo nella miseria che accompagnerà gli ultimi mesi della sua vita. Quando muore è segnata anche la sorte di Luigi XVI, a cui aveva dedicato la sua fatica letteraria. «Sono nato a Venezia nel 1707 in una grande e bella casa situata tra il ponte dei Tomboli e quella della Donna Onesta». Nell’infanzia e nell’adolescenza goldoniana evocata nei primi cinque capitoli c’è, ancor più importante dell’apprendistato teatrale, la chiamata alla scena. Non basta aver scritto a nove anni la prima commedia; non basta aver riconosciuto nel padre che gli fa il regalo di uno spettacolo allestito in un teatrino di palazzo il primo impresario della sua vita; prima dei quattordici anni Goldoni fa in tempo a fuggire con una compagnia di comici. C’è abbastanza per capire che il teatro non abbandonerà più il ragazzo. Come le donne non abbandoneranno Casanova. E sia Casanova che Goldoni con la mente non abbandoneranno mai Venezia, dove l’acqua è il riflesso della musica. Neppure c’è da stupirsi che Venezia sia sempre stata allagata di musica. Proprio qui, dove il suono galleggia sull’acqua, il melodramma è nato nel Seicento una seconda volta per non morire mai più, tenace come il contagio del morbo più pernicioso. Ed è un fenomeno LUNEDÌ 6 FEBBRAIO 2012 TEATRO MANZONI ORE 20.30 I MUSICI SERGEJ NAKARIAKOV tromba Marco Enrico Bossi Tre Intermezzi Goldoniani op. 127 Ottorino Respighi Aria per strumenti ad arco (composizione inedita del 1905) Felix Mendelssohn Concerto per violino e archi in re minore MWV O 3 (trascrizione per tromba di Mikhail Nakariakov) Jean-Baptiste Arban Il Carnevale di Venezia per tromba e archi Nino Rota Concerto per archi (dedicato ai Musici) Luis Bacalov Concerto grosso per archi (nuova versione cameristica, dedicata ai Musici) Introduce il concerto Silvio Di Rocco, violista e presidente dei Musici naturale che nella città lagunare si sia investiti dalla musica perfino quando essa all’apparenza sembra tacere, come sulle tele dei grandi maestri veneti del Cinquecento. Perfino in questi dipinti un viaggiatore accorto come Hippolyte Taine risentì l’armonia «che scaturisce dai colori ben distribuiti, opposti, e ricomposti come un concerto che riempie le orecchie». Concerto. Anzi: Concerto grosso. «Quarant’anni fa – spiega Luis Bacalov – mi chiesero di fare la colonna sonora per un film dove il protagonista era un giovane veneziano decadente. Mi venne l’idea di contaminare gli stilemi della musica vival- Sergej Nakariakov Definito il “Paganini della tromba" ha suonato con Martha Argerich, Evgenij Kissin, Tatyana Nikolayeva, e con le più prestigiose compagini, come English Chamber Orchestra, Orchestra da Camera di Praga, St. Paul Chamber Orchestra, London Philharmonic Orchestra e sotto la direzione di musicisti del calibro di Bender, Bashmet, Ashkenazy. Nel 1991, a soli 14 anni, partecipa al Festival di Ivo Pogorelich di Bad Wörishofen, dove viene acclamato come “Il giovane stregone della tromba”. Nell’agosto dello stesso anno debutta al Festival di Salisburgo ed un anno più tardi è ospite allo Schleswig-Holstein Musikfestival dove viene premiato con il Grand Prix Davidoff. MI MUSICA INSIEME 45 Lunedì 6 febbraio 2012 I Musici leggera, semileggera, colta. Musica per film o altra musica, vi metto sempre lo stesso impegno. Diverso è soltanto il territorio tecnico in cui mi muovo». Preludio, Gagliarda, Serenatina, Burlesca, Coprifuoco. Non sono nomi che d’istinto portano a evocare il nome di Goldoni. Nome peraltro costantemente evocato dai viaggiatori del Grand Tour che si affacciano a Venezia e sono subito investiti da un orizzonte da commedia. Del resto, di intermedi o intermezzi non ne ammettono le commedie goldoniane. Autore controvoglia di libretti d’opera (per Baldassarre Galuppi), Goldoni è restato un autore di testi refrattari alle infiltrazioni di qualsiasi musica. Sorte ben diversa toccherà alle creazioni teatrali di un altro veneziano. Tanto distanti dal realismo dei dialoghi goldoniani, le fiabe teatrali di Gasparo Gozzi saranno pronte ad invadere l’Europa musicale, con la Donna Serpente o con Turandot. Eppure si chiamano Intermezzi goldoniani le pagine per archi apprestate da Marco Enrico Bossi, e tenute a battesimo al Teatro Comunale di Bologna nel 1905 dalla bacchetta di Arturo Toscanini. Più che Goldoni, quel che si respira è aria di Venezia. Si stenta comunque a riconoscere la città lagunare pre- Nati nel 1951, sono il più antico gruppo da camera in attività; hanno aperto la strada nel mondo intero alla musica italiana del Settecento e hanno inciso per la prima volta Le Quattro Stagioni di Vivaldi, vendendone la cifra record di oltre 25 milioni di copie. Regolarmente ospiti dei più importanti festivals internazionali, hanno suonato nelle sale più prestigiose, quali il Teatro Colon di Buenos Aires, la Carnegie Hall e il Lincoln Center di New York, l’Opera di Tokyo, la Philharmonie di Berlino, il Palau de la Musica di Barcellona, l’Arts Center di Seul, la Boston Symphony Hall. Giunti al sessantesimo anniversario dalla loro fondazione, negli anni sono stati dedicatari di importanti composizioni da parte di autori quali Rota, Bacalov, Morricone, Bucchi, Sakamoto. 46 MI MUSICA INSIEME Foto Tommy della Frana diana con il rock progressive». Assolo e ripieno: la dialettica innescata dal concerto barocco fu fatta rivivere dal compositore argentino in una forma contaminata e la formula del Concerto grosso di Bacalov è sopravvissuta alla fortuna della pellicola per cui era originariamente destinata, e sull’onda del favore del pubblico ha ritrovato gli archi, la fonte d’ispirazione. «Per me gli steccati tra i generi, i muri dentro alla musica non esistono, sono tutti artificiali. Nel mio paese, in Argentina, d’altronde, ai miei tempi era normale che i musicisti classici suonassero per guadagnarsi da vivere, magari nei locali jazz. Certo qualche mio maestro ha storto il naso quando ho iniziato a frequentare la musica popolare, ma io non ci ho mai fatto caso». Si potrebbero confondere le parole di Bacalov, autore di tanti arrangiamenti musicali concepiti per il grande schermo, con certe dichiarazioni di Nino Rota, che agli stessi archi aveva destinato nel 1964 un Concerto chiaramente scandito in quattro mosse – Preludio, Scherzo, Aria e Finale – dove riannodarsi alla tradizione e alla lezione dei classici non sembra costare il superamento di nessun ostacolo. «Non credo a differenze di rango nella musica. Non esiste per me differenza tra la musica scelta sei anni dopo dallo scrittore Thomas Mann per mandarvi a morire Gustav von Aschenbach – e nello stesso anno il compositore Franz Schreker a Venezia fa approdare il protagonista della sua opera lirica, Der Ferne Klang, esponendolo ad un contagio di mascheramenti e abiezioni. Niente di infetto nella Venezia del compositore italiano che al nome di Goldoni ascrive una suite di danze dove si respira aria d’antico e dove gli esercizi di contrappunto sono di fattura squisita. Nulla di vivaldiano nella città lagunare, non ancora finita nell’orbita della musica del Prete Rosso: dovranno passare ancora degli anni prima della clamorosa riscoperta, alle Settimane Musicali Senesi, del nome di Antonio Vivaldi, tanto a lungo dimenticato fin dai tempi delle querelles settecentesche fra musicisti italiani e stranieri e assente fino a Novecento inoltrato dalle pur innumerevoli evocazioni del paesaggio sonoro veneziano. Tanto di goldoniano piuttosto, in questa Venezia denotata negli Intermezzi. Goldoni è l’idea della musica antica, che ai tempi si connota benissimo nella soffice coltre di uno stuolo di archi primo Novecento. Di archi si servirà un giorno non troppo lontano Igor Stravinskij imboccando la strada del neoclassico in Apollon Musagète, e di archi si era già valso Ottorino Respighi, innalzando un piccolo gioiello tutto intessuto di nostalgia con la sua Aria. Niente tracce vivaldiane nemmeno nel Carnevale di Venezia del compositore francese Jean-Baptiste Arban. Troppo presto per accorgersi di un compositore sfuggito all’occhio e all’orecchio e che pure sembra appartenere quanto Tintoretto o Tiepolo alla fonosfera veneziana. Altro evocherà la città a turisti stanziali o di passaggio come saranno nel primo Ottocento Lord Byron o Felix Mendelssohn-Bartholdy. Quest’ultimo vi approda negli anni di una maturità precoce quanto lo era stata l’infanzia prodigiosa, che porta a traguardi di inquietante facilità, in tutti i campi. L’Ottetto in mi bemolle maggiore è stato scritto a sedici anni da un enfant prodige che era pronto a tradurre in versi tedeschi una commedia di Terenzio, mentre era impegnato nelle stesse settimane in esercizi di equitazione. In tutta la propria opera Mendelssohn evidenzia un carattere fantastico rivelatosi subito per uno dei tratti più riconoscibili e connaturati della sua scrittura, che trascolora anche in quel precocissimo Concerto per violino e dove riaffiora quella cifra inconfondibile del compositore, che riecheggia l’ironia romantica di Ludwig Tieck o la paradossale leggerezza di Jean Paul. Le sue memorie, Felix Mendelssohn non le ha mai scritte, ma le sue parole rivivono in un ritratto affidato a Johann Christian Lobe e pubblicato nei Fliegende Blätter für die Musik nel 1855. L’autore era troppo cauto per definirla come sarebbe oggi, un’intervista. Eccone un brano, che suona esattamente come la vivace trascrizione di un nastro registrato – a farsi sentire per prima è la voce di Felix Mendelssohn: «Io DA ASCOLTARE Dopo i fasti del periodo barocco, quella che era stata la tromba regale, sacra e guerriera conobbe perfezionamenti costruttivi che ne facilitarono molto il maneggio ma ne involgarirono il repertorio. Fra coloro che cercarono di opporsi alla china discendente brillano i nomi di alcuni francesi, in particolare quel Jean-Baptiste Arban (18251899) che con le sue variazioni su temi celebri in chiave di virtuosismo trascendentale (Il Carnevale di Venezia, La Norma) meritò il soprannome di “Paganini della tromba”. Lo stesso appellativo circola a proposito di Sergej Nakariakov, ex fanciullo prodigio di Gor’kij ed oggi divo globale poco più che trentenne. L’incontro con I Musici di Roma, che di anni ne compiono giusto sessanta, propizia fra l’altro la ricomparsa in appositi arrangiamenti di brani dedicati al prestigioso complesso cameristico da alcuni musicisti come Rota e Bacalov, suoi storici fiancheggiatori. La tendenza ad appropriarsi di repertorii disparati per epoca e veste originale Nakariakov l’aveva manifestata fin dal 2000 con le mirabolanti Variazioni su un tema rococò di Čajkovskij (cd No Limit). Per emulare il violoncello, il funambolico russo si serve qui di uno speciale flicorno soprano a quattro pistoni capace di scendere un’ottava sotto quello ordinario. (cv) sono dell’opinione che nulla dies sine linea. Non faccio passare giornata senza comporre qualcosa. Ma quale artista gode ogni giorno del favore delle muse? Nessuno, ma io ugualmente posso sempre comporre qualcosa e questo qualcosa lo faccio per restare in forma. Allo stesso modo in cui un virtuoso perde sicurezza se abbandona il suo strumento anche solo per un breve lasso di tempo, così succede per la mente che perde di freschezza e agilità se certi esercizi sono trascurati. Per restare in esercizio, compongo sempre, ma lo spirito non è sempre con me. Tante volte mi sono accorto di aver creato composizioni che mi hanno recato poco piacere e che non mi sono sembrate niente di speciale...». «Ho sempre pensato alla sorte dell’artista che è obbligato a creare per guadagnarsi da vivere». «Ma ci sono altre ragioni per un artista». «Sarei curioso di conoscerle». «Il mondo si dimentica facilmente di noi – notò Mendelssohn – e l’artista una volta apparso in pubblico, deve cercare di contrastare questa tendenza all’oblio attraverso frequenti pubblicazioni di nuove opere. Non deve restare assente da nessun catalogo. Ci sono tanti e tanti compositori. Sparisci da un catalogo di musica per qualche anno e sei perduto perché ti hanno già dimenticato». Lo sapevate che... Nakariakov inizia all’età di 9 anni gli studi di pianoforte, ma nel 1984 subisce un incidente che gli lesiona la colonna vertebrale e gli impedisce di stare seduto a lungo; inizia così a studiare la tromba, incoraggiato dal padre, suonatore dilettante dello strumento MI MUSICA INSIEME 47 L’apogeo della sonata Foto Christian Steiner Lunedì 13 febbraio 2012 L Debutta a Bologna la straordinaria violoncellista americana, già diretta da Barenboim, Mehta e Temirkanov, e protagonista nel 2009 del concerto per il primo anniversario della presidenza Obama di Margherita Scherpiani a nascita del violoncello può essere fatta risalire agli inizi del XVII secolo, quando lo strumento iniziò ad assumere una forma e una struttura stabili, differenziandosi sempre più dagli altri componenti di quella che veniva genericamente definita la famiglia dei “bassi di viola da braccio”. Già in epoca barocca autori come Bach, Geminiani e Vivaldi utilizzarono il violoncello in numerosi lavori, sia come basso continuo che in veste di strumento solista, mentre tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo furono soprattutto Haydn e Beethoven a dare al violoncello un ruolo primario nelle loro composizioni. Fu soltanto a partire da metà Ottocento, tuttavia, che lo strumento ricevette la sua definitiva consacrazione, grazie soprattutto alla progressiva affermazione della sonata per violoncello e pianoforte. Molti fra i più grandi compositori del XIX secolo si cimentarono in questo genere musicale, che a partire da allora, e fino ai giorni nostri, si è progressivamente arricchito di un repertorio vasto e composito, di cui l’impaginato di questo concerto intende restituire un significativo spaccato. La Sonata in si minore op. 65, scritta nel 1847, fu uno dei pochissimi lavori chopiniani a contemplare la presenza di un altro strumento accanto al pianoforte, e l’ultimo ad essere pubblicato quando l’autore era ancora in vita. Dedicatario dell’opera era ‸ il celebre violoncellista Auguste Franchomme, che la eseguì per la prima volta nel 1848, alla Salle Pleyel di Parigi, insieme allo stesso Chopin. Il lavoro di composizione, interrotto da continui ripensamenti, riprese e abbandoni, si protrasse per quasi due anni, rivelandosi assai impegnativo sia sul piano strettamente intellettuale che su quello della traduzione formale e strumentale delle idee musicali. Ma il risultato di questo travagliato processo creativo fu una delle pagine cameristiche più potenti del Maestro polacco, che contribuì in maniera determinante a consacrarne l’immagine di romantico visionario e appassionato. Il turbamento che ha accompagnato la genesi dell’opera emerge chiaramente dalla struttura compositiva, dall’inquieto snodarsi delle linee melodiche e dall’impetuosa dinamicità dell’elaborazione tematica, soprattutto nell’ultimo movimento, Allegro, e nel primo, un Allegro moderato che supera in durata l’insieme dei tre seguenti. Di segno meno sperimentale sono invece i due movimenti centrali, lo Scherzo, che esibisce nel Trio una melodia calda e appassionata, e il Largo, dall’atmosfera distesa e sognante. Da ogni singola nota di questa partitura emerge prepotente la grandezza dello Chopin maturo, capace di ottenere effetti d’ineguagliabile in- LUNEDÌ 13 FEBBRAIO 2012 TEATRO MANZONI ORE 20.30 ALISA WEILERSTEIN violoncello INON BARNATAN pianoforte Johannes Brahms Sonata in mi minore op. 38 Benjamin Britten Sonata in do maggiore op. 65 Igor Stravinskij Suite Italienne Fryderyk Chopin Sonata in sol minore op. 65 Introduce il concerto Giordano Montecchi. Saggista e critico musicale per quotidiani e riviste,insegna Storia della musica e Musicologia sistematica al Conservatorio di Parma tensità espressiva con una scrittura elegante e cristallina, che non lascia spazio a sterili esercizi di stile. La Sonata in mi minore op. 38 fu ultimata da Brahms nell’estate del 1865 ed eseguita per la prima volta a Lipsia nel 1871. Il compositore dedicò l’opera all’amico Joseph Gänsbacher, per ringraziarlo del sostegno accordatogli qualche tempo prima nella nomina a direttore della Singakademie di Vienna. Avvolta da un’atmosfera plumbea e drammatica, che in tanti hanno interpretato come un cenno autobiografico dell’autore alla recente scomparsa della madre, questa partitura rivela in realtà un’innegabile felicità inventiva, proba- Alisa Weilerstein Dalla sua prima esibizione pubblica a soli 12 anni con la Cleveland Orchestra ad oggi, la carriera di Alisa Weilerstein è stata in netta ascesa e l’ha portata a suonare nelle sale più prestigiose, dalla Carnegie Hall di New York alla Salle Pleyel di Parigi, al Barbican Center di Londra; ospite abituale delle più famose orchestre, quali New York Philharmonic Orchestra, Berliner Philharmoniker, Filarmonica di San Pietroburgo e Orchestra Simón Bolívar, è stata diretta da Maestri come Maazel, Mehta, Barenboim, Temirkanov, Dudamel. Ospite di festival internazionali quali l’Aspen Music Festival e il Verbier Festival, è stata protagonista nel 2007 di una tournée del ciclo “Gil Shaham & Friends”. Nel novembre 2009 ha avuto l’onore di esibirsi alla Casa Bianca in occasione del concerto per il primo anniversario della presidenza Obama. MI MUSICA INSIEME 49 bilmente collegata al momento di grande appagamento esistenziale che il trentaduenne Brahms stava vivendo. Nell’incantevole cornice naturale della cittadina di Baden-Baden, ritemprato da una lunga vacanza e circondato dall’affetto di amici artisti, intellettuali e musicisti, il compositore si trovava infatti nel pieno di un periodo di Inon Barnatan fervido estro creativo e intensi stimoli intellettuali, il cui esito più immediato fu appunto la creazione di uno dei suoi più noti capolavori. La Sonata è composta da tre movimenti ed è priva del tradizionale movimento lento centrale, anche se pare che Brahms avesse abbozzato un Adagio, poi soppresso, e verosimilmente riutilizzato a distanza di vent’anni nella composizione dell’Adagio della Seconda Sonata op. 99. Il materiale melodico da cui si sviluppa il processo compositivo Foto Marco Borggreve Nato a Tel Aviv, e trasferitosi a Londra per studiare alla Royal Academy, nel 2009 vince l’Avery Fischer Career Grant e viene premiato come “Young Artist” dell’anno dalla Classical Recording Foundation di New York. Si è esibito nei più famosi centri musicali, quali Carnegie Hall e Lincoln Center di New York, Concertgebouw di Amsterdam, Wigmore Hall di Londra, Salle Gaveau di Parigi, Teatro dell’Arte di Shanghai. Ha suonato con compagini quali l’Orchestra Filarmonica d’Israele, l’Orchestra Sinfonica di Shanghai, la London Soloists Chamber Orchestra, la New Europe Orchestra, e si è esibito all’interno del prestigioso ciclo “Rising Stars” di Bruxelles. Fondatore del Fidelio Piano Quartet, ha collaborato, tra gli altri, con il Jerusalem String Quartet e la violinista Liza Ferschtman. viene quindi interamente esposto nel primo movimento, l’Allegro non troppo, che costituisce un brillante esempio di forma-sonata a tre temi – anziché a due, come nella tradizionale sonata classica. A un primo tema in modo minore, di carattere intimamente cantabile ed espressivo, ne segue un secondo, ancora in modo minore, costruito su un gioco d’incastri che ricorda gli incipit di alcuni canoni settecenteschi, arricchiti però da un’emotività appassionata tipi- Lunedì 13 febbraio 2012 camente brahmsiana. Subentra poi un terzo tema, stavolta in modo maggiore, percorso da un’inflessibile pulsazione ritmica al basso, che lascia trasparire ancora una volta un tentativo di recupero del barocco. Tale tentativo viene del resto reso esplicito nel Finale, che è difficile non interpretare come una vera e propria citazione del Bach dell’Arte della fuga. La Suite Italienne di Igor Stravinskij, originariamente scritta per violino e pianoforte, nacque come arrangiamento di alcuni brani del balletto Pulcinella, composto nel 1919 dallo stesso Stravinskij a partire dall’elaborazione di materiali tematici tratti dal primo Settecento strumentale italiano, in particolare dal repertorio di Giovanni Battista Pergolesi. La scelta di attingere a modelli così lontani nel tempo, dopo che l’autore aveva firmato alcuni dei più significativi capolavori dell’avanguardia novecentesca, fu accolta dalla critica coeva con un certo scetticismo e tanto bastò, in un’epoca particolarmente turbolenta per le vicende estetiche della musica colta occidentale, ad attirare su Stravinskij l’accusa di aver abbandonato la sua vocazione sperimentale in favore di un neoclassicismo patinato e di maniera. All’ascoltatore contemporaneo, tuttavia, le riletture stravinskiane appaiono dotate di una prospettiva totalmente autonoma, quasi eversiva nella metodica opera di scomposizione e raccostamento dei diversi piani armonici, melodici e timbrici. La trascrizione per pianoforte e violoncello, realizzata nel 1932 con la collaborazione di Gregor Piatigorskij, conserva della Suite originaria quasi tutti i movimenti, soprattutto quelli esterni con la loro prorompente carica espressiva, ovvero la brillante Introduzione e lo sfarzoso Minuetto che, con un graduale crescendo, sfocia in un Finale brioso e spumeggiante. La Sonata in do maggiore op. 65 è la prima di una serie di cinque DA ASCOLTARE Del 2009 è il dvd Euro Arts che vede Alisa Weilerstein eseguire il Concerto op. 85 di Elgar accanto ai Berliner Philharmoniker diretti da Daniel Barenboim. Ma ricordiamo anche rimpatriate familiari di altissimo livello sotto l’etichetta del Weilerstein Trio di Boston: il padre Donald al violino, la madre Vivian al pianoforte e lei stessa al violoncello, ad esempio per i Trii di Dvořák (Koch Records, 2006), o di Schumann (E1 Music, 2009). L’altro fratello Joshua, minore di cinque anni, ha scelto invece la carriera direttoriale. Non disperiamo di ascoltarli riuniti un giorno o l’altro nel Triplo Concerto op. 56 di Beethoven, una pagina che parrebbe fatta apposta per loro. Intanto la riccioluta Alisa continua in giro per i continenti una carriera solistica cominciata a soli 13 anni, quando debuttò con la Cleveland Orchestra nelle Variazioni su un tema rococò di Čajkovskij. Nel frattempo, chissà come, ha pure trovato il tempo di laurearsi alla Columbia University di New York con una tesi in storia della Russia. Del suo accompagnatore Inon Barnatan, nato a Tel Aviv nel 1979, ci piace ricordare la parentela spirituale con l’Italia: allievo a Londra di Maria Curcio. Non risulta al momento alcuna registrazione comune del nostro duo; attendiamo speranzosi. (cv) composizioni che Benjamin Britten dedicò al violoncello. All’origine di quest’opera vi è l’incontro con il violoncellista Mstislav Rostropovič, la cui tecnica prodigiosa affascinò il compositore inglese a tal punto da suscitare in lui la curiosità e il desiderio di misurarsi con le possibilità espressive di questo strumento. Fu Dmitrij Šostakovič a presentare i due musicisti, nel 1960, in occasione della prima londinese del suo Primo Concerto per violoncello, eseguito proprio da Rostropovič. Al termine dello spettacolo Britten espresse al solista la propria sincera ammirazione e quest’ultimo gli chiese di scrivere un pezzo per lui, proposta che il compositore accettò di buon grado, a patto di poter essere egli stesso ad affiancarlo al pianoforte nella prima esecuzione pubblica dell’opera. Terminata pochi mesi dopo, la Sonata debuttò nel luglio del 1961 al celebre Festival di Aldeburgh e, oltre a ricevere consensi entusiastici da parte del pubblico, fu salutata dalla critica come uno dei lavori più interessanti del decennio. Nonostante ciò rimase sempre una delle pagine meno eseguite dell’au- tore inglese, a causa delle enormi difficoltà tecniche insite nella partitura. Il brano, nella brevità dei suoi cinque tempi, riesce a coniugare con straordinaria efficacia la tradizione della sonata classica e la prorompente vocazione narrativa di Britten, esponendo già nel quieto movimento d’apertura, Dialogo, tutto il materiale musicale che diverrà oggetto delle successive elaborazioni. Il secondo movimento, uno Scherzo-pizzicato, offre infatti una rilettura in chiave percussiva delle progressioni armoniche già presenti nel Dialogo, mentre le terze parallele del primo movimento ritornano, cromaticamente alterate, nella successiva Elegia. Segue una Marcia dal carattere grottescamente bitonale, il cui andamento scalare ricalca la stessa alternanza di toni e semitoni già ascoltata in apertura, mentre il finale, l’acceso Moto Perpetuo, sembra racchiudere in un’astratta forma di rondò le guizzanti articolazioni melodiche del violoncello e gli arditi cromatismi del pianoforte, finché la tonalità di do maggiore non ritorna, come un’attesa benedizione, a suggellare la chiusura del cerchio. Lo sapevate che... Dal 2008 Alisa Weilerstein è portavoce della Fondazione per la ricerca sul diabete giovanile, del quale è affetta. Il suo impegno di concertista mira a sensibilizzare il mondo su questa grave malattia, e a dimostrare che il diabete non deve impedire di perseguire i propri sogni MI MUSICA INSIEME 51 Lunedì 20 febbraio 2012 Il pluripremiato quartetto di Praga, presentato a Bologna da Musica Insieme dopo la vittoria al Concorso Borciani 2005, reca un omaggio a Debussy nel 150° anniversario della nascita di Sara Bacchini Geografia del quartetto I l quartetto per archi, affermatosi come genere autonomo nella seconda metà del XVIII secolo ad opera di Haydn, Mozart e Beethoven, sin da allora si è conquistato il ruolo di genere strumentale più rappresentativo della scuola austro-tedesca. È facile quindi intuire come dovesse risultare problematico scrivere un quartetto per i compositori delle nuove scuole nazionali – russa, francese, moldava, ungherese… – rappresentanti di Paesi musicalmente giovani ma che, nella seconda metà del XIX secolo, stavano cercando un proprio posto e una propria fisionoLUNEDÌ 20 FEBBRAIO 2012 TEATRO MANZONI ORE 20.30 PAVEL HAAS QUARTET ° violino VERONIKA JARUŠKOVÁ EVA KAROVÁ violino PAVEL NIKL viola ° violoncello PETER JARUŠEK ˇ Pëtr Il’icˇ Cajkovskij Primo Quartetto in re maggiore op.11 Claude Debussy Quartetto in sol minore op. 10 ˇ Bedrich Smetana Primo Quartetto in mi minore Dalla mia vita Introduce il concerto Alessandro Taverna. Da più di vent’anni si occupa di cronache musicali su riviste e quotidiani, fra cui le pagine bolognesi del Corriere della Sera 52 MI MUSICA INSIEME mia, e per far ciò dovevano svincolarsi dalla predominante cultura austro-tedesca. In Russia, Pëtr Il’ič Čajkovskij era, a differenza di altri suoi contemporanei, un artista aperto agli influssi della grande tradizione musicale europea, i cui alti esiti avrebbero potuto arricchire la stessa musica russa, e sarebbe stato quindi insensato, secondo la sua prospettiva, rifiutarli. Altri, al contrario, ritenevano che i musicisti russi dovessero respingere ogni inquinamento proveniente dall’Occidente e attingere esclusivamente alle tradizioni nazionali, per poter esprimere lo spirito autentico del proprio popolo. Čajkovskij però, nonostante le tendenze occidentalizzanti e l’ammirazione per i classici, non riusciva a farsi piacere sino in fondo la sonorità del quartetto per archi e non condivideva il severo spi- rito architettonico di questo genere musicale; cercò quindi di trasformarlo in una specie di diario dell’anima, travasandovi melodie e ritmi tradizionali della propria terra. Il suo Quartetto per archi n. 1 (in re maggiore, op. 11), composto nel 1871, fu anche uno dei suoi primi successi. Opera ricca di emotività, nel cui pathos controllato si sente la voce dell’anima segreta d’un artista raffinato e sensibile, essa si esprime in una lingua familiare e tenera, che richiama leggerezze mendelssohniane, tra intime flessioni malinconiche ed echi di vita popolare. Il romantico primo movimento (Moderato e semplice – Allegro giusto) sembrerebbe guardare a Schubert, ma i temi che lo contraddistinguono hanno una reminescenza e una tenerezza tipicamente slave, che emergono anche nell’Andante can- Pavel Haas Quartet Impostosi all’attenzione di critica e pubblico con la vittoria al Concorso Rimbotti nel 2004, ed al Festival Primavera di Praga nonché al Concorso Borciani nel 2005, il praghese Quartetto Pavel Haas ha da allora suonato nelle più prestigiose sale, dalla Carnegie Hall di New York al Konzerthaus di Vienna, dal Mariinskij di San Pietroburgo alla Royal Concert Hall di Glasgow. Invitato regolare di manifestazioni come le Schubertiadi di Schwarzenberg, il Festival di Edimburgo, il Festival Dvořák di Praga, ha tenuto tournées in Australia, negli Stati Uniti e in Giappone, dove ha registrato un programma su Janáček e Haas per la TV nazionale NHK. Nel 2007 la Filarmonica di Colonia ha scelto il Quartetto Pavel Haas per il ciclo ECHO Rising Stars, mentre nel 2009 il Quartetto ha preso parte al ciclo BBC Generation Artists; l’anno successivo, sempre la BBC ha ospitato il Pavel Haas come Quartetto in Residenza per un ciclo di quattro concerti. Nel 2010 il Pavel Haas ha ottenuto la prestigiosa borsa di studio assegnata dalla Fondazione BorlettiBuitoni, istituzione nata per promuovere i giovani talenti musicali. tabile, dove una melodia popolare si alterna a un tema dal carattere più mondano, ma egualmente molto espressivo. Il terzo movimento, Scherzo – Allegro non tanto, è una robusta danza contadina russa, la cui allegria popolare prosegue nel Finale, in cui s’alternano un esuberante tema di danza e un secondo tema cantabile e profondamente espressivo. Anche in Francia la storia del quartetto è breve e alquanto discontinua: non risulta infatti nessun capolavoro prima degli ultimi anni dell’Ottocento e pochi, ma significativi, lavori a partire dal 1889, anno in cui il Quatuor di César Franck (belga di nascita, ma attivo sulla scena musicale francese) riscosse grande e inatteso successo. Ad esso seguiranno poi i Quartetti di Gabriel Fauré (1876, 1885), il Quartetto di Vincent d’Indy (1890) e i due lavori di Debussy e Ravel. Claude Debussy compose il Quartetto per archi in sol minore op. 10 fra l’estate del 1892 e il febbraio del 1893, in un periodo dominato da lavori di marca simbolista (Prélude à l’après-midi d’un faune, Nocturnes) ma ancora sensibile agli influssi franckiani, soprattutto nella forma ciclica che permea la struttura dell’opera, unita qui alla forma della variazione. I quattro movimenti dell’op. 10 sono caratterizzati infatti da un unico tema in continua trasformazione e sostenuto da un’armonia dai colori sempre cangianti, oltre che da micro-variazioni che interessano tanto l’aspetto ritmico quanto quello coloristico-modale e si alternano a riesposizioni del tema fondamentale, in un variegato e coloratissimo mosaico musicale. Il primo movimento, Animé et très decidé, è in forma-sonata e si apre con l’esposizione del tema principale proposto dai quattro strumenti con energica fermezza: il profilo tagliente e il disegno ritmico ben definito permettono all’ascoltatore di percepirlo immediatamente come cardine dell’intera composizione, facilitandone il riconoscimento nelle successive riapparizioni. Seguono lo sviluppo, che si apre enfaticamente con una ripresa del tema principale che infittisce il tessuto strumentale fino a raggiungere l’apice e a frantumarsi in varie schegge motiviche, e una ripresa priva di qualunque analogia con l’esposizione. Il secondo movimento, Assez vif et bien rythmé, in forma di scherzo, si apre con un virtuosistico pizzicato dei quattro strumenti, ed è attraversato da un ostinato che sembra essere un ricordo della fortissima impressione che esercitò su Debussy l’orchestra giavanese all’Esposizione Universale parigina del 1889. MI MUSICA INSIEME 53 Lunedì 20 febbraio 2012 L’Andantino (Doucement expressif ), sempre in forma tripartita, presenta nelle due sezioni estreme una sonorità rarefatta e impalpabile, che crea forte contrasto con l’episodio centrale più mosso: nella prima parte i quattro archi usano la sordina, creando un’atmosfera sonora dolce e delicata, mentre la sezione centrale – aperta dal recitativo della viola – ripropone una variazione del tema seguita da un progressivo animando delle quattro voci che raggiungono un intenso apice dinamico per poi ricadere nel suono ovattato della sordina. La ripresa abbreviata conduce all’ultimo movimento (Très moderé – Très mouvementé et avec passion), che prende l’avvio da una introduzione lenta ed elabora il tema principale in arabeschi melodici dalle sonorità misteriose. Nel successivo episodio, le quattro voci strumentali entrano in successione quasi a canone, creando un’incalzante progressione ascendente che si dissolve nel pianissimo. A seguito di cromatismi, variazioni tematiche e dinamiche, nel finale Très vif ritorna trionfale, in virtù di una sapiente trama contrappuntistica, il tema fondante l’intera composizione, che chiude il quartetto. A differenza della scuola russa e francese, la musica di ceppo boemo si diffuse in Europa nel Settecento e si intrecciò strettamente alla tradizione austro-tedesca. Con i moti del 1848 e con le relative concessioni politiche alle etnie che formavano l’Impero, la musica locale assunse una propria individualità, e il primo musicista in cui la nazione boema si riconobbe fu Smetana, anche se l’identità nazionale non fu, almeno dal punto di vista musicale, una scoperta autonoma ma avvenne già in anni precedenti per merito di Franz Liszt. La produzione strumentale cameristica di Smetana, nonostante sia quantitativamente limitata, offre al suo interno esempi di rara intensità, come il Primo Quartetto per archi (1876), non a caso divenuto molto popolare. Del resto, DA ASCOLTARE Prima di scomparire nella diabolica fornace di Auschwitz, Pavel Haas, un ebreo moravo pupillo di Janáček, fece in tempo a comporre tre quartetti per archi che il giovane complesso a lui intitolato ha da poco inciso per l’etichetta Supraphon. Tira aria di famiglia: dopo varie scissioni e rimpasti, i coniugi Jarůšek (la fondatrice Veronika al primo violino e Peter al violoncello) restano padroni del campo. La viola Pavel Nikl, in ballo fin dal debutto, e il secondo violino Eva Karová, ultima arrivata, completano questa formazione la cui età media supera di pochissimo la trentina. In Italia i quattro ragazzi cechi sono già di casa, avendo vinto i premi Rimbotti e Borciani nonché una borsa di studio della Fondazione Borletti-Buitoni. Il loro suono è maturo e classicamente composto, le scelte di programma si orientano in primo luogo sul ricchissimo repertorio nazionale di quella Boemia che già Charles Burney definiva “il gran seminario musicale d’Europa”. Ma anche Haydn e Mozart, Beethoven e Schubert, Ravel e Prokof’ev sono al centro delle loro attenzioni interpretative. Di certo il loro volo è appena all’inizio. Consigli per l’ascolto: i Quartetti di Dvořák op. 96 e 106, sempre per la gloriosa etichetta Supraphon risorta dalle ceneri.(cv) Smetana scelse coscientemente di seguire una via personalissima che non contemplasse imitazioni o consumo acritico di materiali popolari, per ripensare invece con spontaneità e freschezza il romanticismo tedesco. Ed è proprio l’aspetto sentimentale che nel Quartetto in mi minore acquista proporzioni perfette a rappresentare la sua qualità più convincente. In quest’opera, cui il compositore stesso volle dare il sottotitolo Dalla mia vita, si contemperano due esigenze: quella di conservare l’architettura cameristica di provenienza tedesca e quella di osservare l’estetica progressista, teorizzata da Liszt, di conferire un “contenuto”, un “programma”, alla musica. La connessione dà un risultato molto suggestivo grazie all’equilibrio fra la struttura formale e il mélos boemo: la vita, per Smetana, si rispecchia in una serie di rimembranze musicali rese ancor più struggenti dal fatto che il musicista era ormai completamente sordo, quando compose il Quartetto, nel 1876. Una lettera di Smetana all’amico Debrnov costituisce il “programma” del brano: «A proposito del quartetto, ne lascio giudicare lo stile ad altri e non mi irrito se non piace o se viene considerato contrario allo ‘stile quartettistico’ […]. La forma di ogni composizione, per quanto mi riguarda, è dettata dal suo soggetto […]. Mia intenzione era di descrivere con la musica la mia vita. Il primo movimento descrive il giovanile accostarmi all’arte, lo spirito del romanticismo, l’indicibile tenerezza suscitata in me da qualcosa che non posso esprimere né definire, e un presagio della sventura. La lunga ed insistente nota nel finale la rievoca. Essa simboleggia il fatale echeggiare, nei miei orecchi, delle note acute che, nel 1874, annunciarono l’inizio della mia sordità. Il secondo movimento, quasi-polka, riporta alla mia mente i giorni felici della gioventù, quando componevo musiche di danza ed ero conosciuto dappertutto come un appassionato ballerino. Il terzo movimento (quello che, secondo i signori esecutori, sarebbe ineseguibile) mi ricorda la felicità del primo amore, la ragazza che in seguito diventò la mia prima moglie. Il quarto movimento descrive la scoperta di poter inserire elementi nazionali nella musica, la mia gioia di poter seguire questa via fino a quando non venni colpito dalla catastrofe della sordità, la prospettiva di un terribile futuro, le esili speranze di riprendermi, infine, un sentimento di penoso rammarico, ricordando tutte le promesse iniziali della mia carriera». Lo sapevate che... Il Quartetto prende il nome dal geniale compositore ceco Pavel Haas (1899–1944), allievo di Janáček, deportato a Theresienstadt nel 1941 e morto ad Auschwitz tre anni dopo 54 MI MUSICA INSIEME PER LEGGERE Eric Siblin Le Suites per violoncello (Il Saggiatore, 2011) Il libro di Eric Siblin Le Suites per violoncello. Da Johann Sebastian Bach a Pablo Casals: storia e misteri di un capolavoro barocco, edito da Il Saggiatore (310 pagine), è piacevole da leggere e ricco di curiosità. L’autore è un critico di musica pop “pentito”. Hanno contribuito al suo ravvedimento la pessima qualità di tanta musica che era costretto ad ascoltare per lavoro, ma, soprattutto, la scoperta delle Suites di Bach. Il volume racconta storia, aneddoti e curiosità relativi a questo capolavoro. Siblin spazia dalla storia all’interpretazione, dedicando un omaggio a un’opera rimasta nascosta per due secoli e poi impostasi all’attenzione degli ascoltatori con un successo sbalorditivo. Del resto, le Suites stesse non sono forse una continua sorpresa? Scrive Siblin: «Se ho seguito il cammino di questa musica per così tanto tempo, è perché nelle Suites per violoncello c’è davvero tanto da ascoltare. Il genere può essere barocco, ma ci sono personalità multiple e cambi di atmosfera. Io sento pittoresche melodie contadine e minimalismo postmoderno, balli medievali e colonne sonore di film di spionaggio». Natalie Bauer-Lechner Mahleriana. Diario di un’amicizia (Il Saggiatore, 2011) Nel 1890 Natalie BauerLechner, viola del celebre quartetto femminile Soldat-Ròger, conosce Gustav Mahler e fino al 1902 mantiene con lui un sodalizio intenso e costante. Mahleriana. Diario di un’amicizia, edito da Il Saggiatore (301 pagine), riporta i suoi ricordi in un libro ricco di testimonianze sul musicista e sulla vita musicale dell’epoca, ma non mancano toccanti aspetti umani. Sono gli anni in cui Mahler si afferma come direttore d’orchestra, dalla direzione dell’Opera di Amburgo alle gloriose stagioni al Teatro di Corte di Vienna. Natalie, che gli è sempre accanto, ne registra i pensieri e le riflessioni su Bach, Brahms, Beethoven, Liszt, Berlioz e Wagner. Lo vede comprenderne la grandezza e trasmetterla ai musicisti, ai cantanti e infine al pubblico, grazie al suo genio interpretativo. Assiste alla genesi delle prime sinfonie mahleriane, dei Lieder di “Des Knaben Wunderhorn” e ai tormenti creativi del musicista. Partecipa alle difficoltà di Mahler col pubblico che, se da un lato lo esalta come direttore d’orchestra, dall’altro stenta ad accogliere le sue composizioni, per poi amarle sempre di più. 56 MI MUSICA INSIEME di Chiara Sirk MUSICA PATRIOTTICA Dal melodramma agli inni popolari, dai libretti alla censura: i complessi rapporti fra musica e Risorgimento in un saggio ampio e ben documentato Per i tipi dell’editore Dalai, esce O mia patria. Storia musicale del Risorgimento, tra inni, eroi e melodrammi, curato da Giovanni Gavazzeni, Armando Torno e Carlo Vitali. Prefazione di Philip Gossett. Nell’anno del 150° dell’Unità non è certo mancata l’attenzione alla musica e al suo ruolo nel periodo risorgimentale. Sono stati pubblicati parecchi libri, con vari esiti. Questo ci sembra il più ampio (336 pagine), ben documentato, pieno di connessioni fra storia, filosofia, letteratura, pronto ad offrire un quadro dei rapporti fra musica, storia e politica, sempre esistiti, ma forse mai come in questo caso evidenti e forti. Tutti conoscono il ruolo di Verdi: si studia a scuola, se n’è scritto abbondantemente, ma i rapporti fra musica e Risorgimento non si esauriscono qui. Il maggior pregio del volume è di rendere conto di un variegato mondo della musica in senso lato, che non si esaurisce nel melodramma e nei suoi maggiori protagonisti: da Verdi padre musicale della Patria, a Rossini super partes, a Donizetti osteggiato dalla censura suo malgrado. Accanto ai musicisti sono interessanti, per capire il clima dell’epoca, i rapporti tra librettisti e censori, più tolleranti prima del 1848, spietati dopo, una volta compresa l’enorme influenza dell’opera sugli animi. Del resto, quando “Si ridesti il leon di Castiglia” dall’Ernani di Verdi diventava “Leon di San Marco” (si era ovviamente a Venezia, nel 1848) è facilmente intuibile quanto s’infiammassero i cuori e quanto le già severe autorità ancora più s’indisponessero. Ma la lotta allo straniero, spiega il libro, si consumava nei teatri in molti modi e registrava piccoli episodi di eroismo finiti dimenticati: come i casi di celebri cantanti incarcerati per aver inserito la parola “libertà” in un’aria o che sostenevano esuli indigenti. Anche il cinema, con Senso di Visconti, ci ricorda come nel 1866, in una Venezia ancora occupata, l’invito di Manrico a prendere le armi nella famosa “Pira” del Trovatore scatenasse il pubblico della Fenice in una dimostrazione contro gli Austriaci, coperti di volantini e fiori tricolori, al grido di “Viva l’Italia!”. Ma al di là della mitologia risorgimentale, costruita e imposta nel periodo post-unitario, esiste anche un corpus di inni popolari cancellati dalla storia che si vanno riscoprendo, e di cui ci offre un profilo la prefazione di Philip Gossett. Versi per cui i nostri antenati s’immolavano. La musica, dunque, è stata il grande veicolo degli ideali patriottici, costituendo una vera storia non scritta del Risorgimento. Giovanni Gavazzeni, Armando Torno, Carlo Vitali O mia patria, Dalai, 2011 DA ASCOLTARE di Carlo Vitali MADE IN ITALY DI QUALITÀ Dal violoncello virtuoso di Nino Rota ai Concerti per archi del Prete Rosso: nella scelta discografica di questo numero, autori e interpreti italiani la fanno da padroni Véronique Gens, soprano Les Talens Lyriques, Christophe Rousset dir. “Tragediennes 3: Les Héroïnes Romantiques” Virgin Classics 50999 0709272 25 DDD 67:49 Terza dispensa di un’antologia storica sull’opera seria francese, che era partita con Lully ed oggi procede di un altro secolo, più o meno dalla Bastiglia a Sedan, senza trascurare lungo il percorso quelle migrazioni del gusto che videro Sacchini e Piccinni, Salieri, Cherubini e Verdi cimentarsi in generi come la tragédie lyrique e il grand opéra. Si vorrebbe forse obbiettare all’equilibrio delle scelte: al posto di un Mermet del 1864 o di un Saint-Saëns del 1883 si poteva dare più spazio ad un capolavoro proto-romantico come Les Danaïdes di Salieri, qui campionato solo da una risaputa ouverture, per di più diretta da Christophe Rousset ad un tempo precipitoso che ne frantuma l’articolazione interna. Ma questo è l’unico neo imputabile al maestro transalpino e ai suoi Talens Lyriques, come sempre ammirevoli per suono cristallino, ampia tavolozza coloristica e preziosi vibrati d’arco. Ben sostenuta da sì lussuoso accompagnamento, Véronique Gens sale in cattedra quale forte chanteuse addetta ai ruoli di eroina tragica: Iphigénie di Gluck, Didon di Berlioz, Hérodiade di Massenet – e perfino un’imprevista Andromaque di Kreutzer (sì, proprio quello della Sonata a...). Diverse prime esecuzioni moderne rendono imperdibile la presente registrazione per gli appassionati della materia. I Musici “Antonio Vivaldi: Concerti per archi e continuo” fonè CD085 DDD 57:06 Nasceva nel 1951 e debuttava un anno dopo, salutato dalla benedizione di Toscanini, quel gruppo di dodici neodiplomati di Santa Cecilia che con la ragione sociale “I Musici” scelse Vivaldi quale autore di riferimento o italica griffe da esportazione. Adeguandosi con cautela alle novità e rinnovando i ranghi da cima a fondo, sono ancora qui: col sound terso e il ritmo alacre che privilegia i tempi forti poco concedendo all’improvvisazione. Classici o neoclassici? Godibile l’audio digitale hi-tech. La formazione di Nino Rota era avvenuta in seno a un’Italia musicale del primo Novecento impegnata a corteggiare la forma semplice e quella “smodata spontaneità” di cui parla Giovanni Morelli. Nel secondo dopoguerra la musica italiana aveva poi riagganciato il passo radicale delle avanguardie europee, pur senza riuscire a spegnere la vitalità di uno stile nazionalpopolare. Ma di ciò basti; perché poetica, fonti e parentele stilistiche del Rota compositore “serio” sono analizzate da Giovanni Gavazzeni nelle note di copertina con un mix di dottrina e affabile sobrietà quali oggi è sempre più raro trovare in tal genere di letteratura. Due composizioni nell’immodesto formato del concerto classico per strumento solista e orchestra, scritte nel biennio 1972-73. Sono gli anni delle Olimpiadi di Monaco e della visita di Nixon in URSS. Ecco: forse solo nella Russia brežneviana di quel tempo, mentre si stava spegnendo la corrosiva ironia di Šostakovič contro l’imperativo ideologico “realismo socialista più romanticismo rivoluzionario”, Rota avrebbe potuto trovare – come di fatto trovò – qualche apprezzamento per il suo modo di comporre. Tutto il contrario qui da noi. “Immediatezza”, “ingenue certezze del sentimento”, “malinconia stranamente felice” sono i valori riconosciuti al suo dettato dai pochi estimatori di allora, ma rovesciati di segno dalla critica militante in nome dell’obbligo alle Tre D: disagio, distacco, denuncia. Se fosse ancora tra noi nel centenario della sua nascita, il Maestro potrebbe godersi lo sdoganamento che gli offre il violoncello virtuoso di Silvia Chiesa: severo nelle introduzioni in grande stile di forma-sonata, vibrante di pathos nei cantabili, spumeggiante di grazia neoclassica nelle variazioni, soggiogante nei finali. E soggiogata appare difatti, forse un po’ oltre il dovere, l’Orchestra RAI sotto la guida di Corrado Rovaris. Silvia Chiesa, violoncello - Corrado Rovaris dir. Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI N. ROTA, Cello Concertos N.os 1 & 2 Sony Classical 88697 924102 DDD 49:44 58 MI MUSICA INSIEME Editore Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 3 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 Direttore responsabile Fabrizio Festa In redazione Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier, Cristina Fossati, Roberto Massacesi Hanno collaborato Sara Bacchini, Elisabetta Collina, Alessandro di Marco, Lico Larvati, Maria Chiara Mazzi, Margherita Scherpiani, Chiara Sirk, Alessandro Taverna, Carlo Vitali Grafica e impaginazione Kore Edizioni - Bologna Stampa Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: AEROPORTO G. MARCONI DI BOLOGNA, ASCOM BOLOGNA, BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, COOP ADRIATICA, COOPERATIVA EDIFICATRICE ANSALONI, COSWELL, COTABO, CSR CONGRESSI, EMILBANCA, FATRO, FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, GUERMANDI.IT, MAX INFORMATION, M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT, UNICREDIT BANCA, UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNA PROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA 62 MI MUSICA INSIEME