UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA IN DIRITTO DELL’INFORMATICA ASPETTI GIURIDICI DEL TELELAVORO Relatore: Chiar.mo Prof. Pasquale Costanzo Candidato: Dr. Enrico Ferrero Anno accademico: 2006/2007 Prefazione Proviamo ad immaginare la seguente situazione. Un consigliere reale all'inizio del ventesimo secolo viene ricevuto dal Re. Gli si avvicina e gli propone dei piani di investimento per un programma di potenziamento delle vie di comunicazione stradale. "Mi mostri le cifre” dice il Re, “Allora, quanti cavalli ci sono? Più di un milione. E quante automobili? Poche centinaia”. E la decisione che il Re avrebbe probabilmente preso sarebbe stata quella di sostituire il consigliere. Trent’anni dopo circolavano più di trenta milioni di automobili nel mondo. Ora immaginate una scena simile verso la fine del ventesimo secolo. Un consulente del primo ministro si presenta con piani ambiziosi che prevedono un massiccio investimento a sostegno del telelavoro. “Mi mostri i dati”, dice il primo ministro, “Quanti telelavoratori abbiamo, e quanti lavoratori tradizionali? Le cifre sarebbero state: alcune migliaia di telelavoratori in confronto ai molti milioni di lavoratori sul mercato. "Rinviamo la questione", avrebbe detto cortesemente il primo ministro. È arrivato il momento, per il primo ministro, di pensarci nuovamente. Ora, all'inizio del ventunesimo secolo (ed approssimativamente venticinque anni dopo che il concetto di telelavoro ha cominciato a circolare e a destare interesse), sappiamo che questo problema richiede una maggiore attenzione. Il numero di telelavoratori oggi può essere stimato in decine di milioni. Ciononostante le decisioni al riguardo vengono il più delle volte prese ancora come se il telelavoro fosse un fenomeno marginale, riguardante un futuro remoto e non il presente. Il rinvio è rimasta la regola. Assai più rilevante è il fatto che l'approccio al telelavoro è ancora in molti casi basato sugli stessi concetti e sulle stesse risposte del sistema che furono sviluppati più di un secolo fa al tempo della prima rivoluzione industriale, e che si sono dimostrati largamente inadeguati per il nostro tempo, così denso di cambiamenti rapidi e talvolta drammatici. (liberamente tratto da De Martino V. “The high road to teleworking”, International Labour Organization, Geneva, 2001) 1 CAPITOLO I DEFINIRE IL TELELAVORO. SOMMARIO: - 1. L’origine del fenomeno. – 2. L’origine del termine. – 3. Il Telelavoro nella lingua italiana - 4. Le possibili definizioni. – 5. Telework o Telecommuting? 1.1. L’ORIGINE DEL FENOMENO Sono numerose le fonti bibliografiche che attestano l’evoluzione del telelavoro negli ultimi vent’anni. Più rare ed incerte sono quelle che forniscono informazioni utili sui primi passi di questo fenomeno. Più di cento anni fa Jules Verne descrisse la collaborazione tra un editore di quotidiani di Universal-City ed i suoi giornalisti sparsi per il mondo nell’anno 2890. Essi comunicavano attraverso un apparecchio chiamato “specchio telefonico” (miroir téléphotique) e potevano scambiarsi informazioni scritte.1 Verne sbagliò solo i tempi, anziché mille anni ne furono sufficienti meno di cento. Tuttavia a metà del secolo scorso il telelavoro venne concepito solo come semplice utopia. La prevista, futura, disponibilità di grandi computer, di terminali e di reti di collegamento condusse alcuni futurologi americani (in particolare Martin, Norman e Webber) ad ipotizzare un futuro in cui fosse possibile lavorare da casa, in cui le megaindustrie avrebbero potuto coesistere con le più antiche industrie casalinghe, nelle quali il computer avrebbe preso il posto del telaio. 2 1 Cfr. VERNE, La journée d’un journaliste américain en 2890, Journal d’Amiens, 1891. Vedasi in: www.geocities.com/ResearchTriangle/Lab/7290/index.html l’interessante rassegna del G.S.T. (Gruppo di Studio sul Telelavoro). 2 2 Il concetto, ma non ancora il vocabolo, prese forma già nei primi anni ’50 del XX secolo negli Stati Uniti, grazie agli studi di Norbert Wiener (1894-1964) sulla cibernetica. Egli ipotizzò il caso di un architetto europeo che svolgesse la supervisione della costruzione di un immobile situato negli Stati Uniti senza dovervisi recare, grazie a dei mezzi di trasmissione dei dati e delle informazioni. 3 Benché si trattasse di considerazioni scientifiche ragionate, il loro impatto non fu molto diverso da quello provocato dalle visioni fantascientifiche di Verne. Le prime esperienze conosciute di telelavoro datano 1962, quando in Inghilterra alcune multinazionali cominciarono a delocalizzare a domicilio il lavoro dei loro programmatori, mentre fu nel 1969 che vide la luce il precursore di Internet, la rete ARPANET (Advanced Research Projects Agency Network).4 Solo a partire dagli anni '70 il telelavoro venne però concretamente concepito, soprattutto grazie allo sviluppo tecnologico ed alla necessità di imporre una riduzione dei consumi energetici a seguito della ben nota crisi petrolifera. Nel 1970 la AT&T, uno dei maggiori operatori telefonici americani, formulò e diffuse la previsione che nel 1990 la maggior parte dei cittadini statunitensi avrebbe lavorato a domicilio grazie all’evoluzione delle tecnologie della telecomunicazione, cominciando così a creare un clima di attesa nei confronti del telelavoro che oggi sappiamo essere stato eccessivo. L’idea di fondo era quella di sostituire gli spostamenti dei lavoratori con lo spostamento elettronico del lavoro, idea fatta propria da Jack Nilles, un consulente del Dipartimento statunitense dei Trasporti e pioniere del telelavoro. In quegli anni AT&T, Bell e altre compagnie telefoniche americane e canadesi iniziarono a sperimentare al loro interno il telelavoro, il più delle volte come test per una sua possibile utilizzazione su più vasta scala. 3 Cfr. in: http://www.teletravailenfrance.com/, sito sviluppato da Alcatel France per diffondere la cultura del telelavoro in Francia. 4 HAUBEN, History of ARPANET – behind the Net, in: http://www.dei.isep.ipp.pt/docs/arpa.html 3 Alcuni ricercatori, che si occupavano di previsioni sul futuro delle scienze, annunciarono nei primi anni ’70 la possibile eventualità di una nuova migrazione, inversa rispetto a quella tradizionale, dai centri industriali verso le abitazioni delle persone.5 Superata la crisi energetica, e quindi venuti meno i motivi principali che lo rendevano appetibile, il telelavoro rimase nei pensieri degli studiosi e delle aziende di informatica, ma cadde in una sorta di oblìo generale fino a quando, nel 1981, Steve Wozniak e Steve Jobs, fondatori della Apple Computers, realizzarono il primo personal computer del peso di 11 chilogrammi. Negli anni seguenti la progressiva diffusione dei personal computer accrebbe il numero delle persone, per lo più lavoratori autonomi, che erano potenzialmente interessate a trasferire parte del proprio lavoro a casa. Il successivo avvento di Internet, e nel 1983 la sua accessibilità a tutti, dischiuse infine le reti interne aziendali a chi voleva lavorare da casa durante o oltre l'orario d'ufficio. Inoltre Internet consentì un abbattimento dei costi del telelavoro mettendolo alla portata delle medie e piccole imprese. Fu essenzialmente per questi motivi che negli anni ’90 si assistette ad una vera e propria resurrezione del telelavoro. Alcuni eventi a carattere politico ne rappresentarono dei sintomi evidenti. Nel vecchio continente la Commissione Europea, con il Libro Bianco di Delors6, lanciò la sfida alla disoccupazione, ed il successivo Rapporto Bangemann7 individuò nel telelavoro una delle applicazioni chiave per lo sviluppo della società dell'informazione. Contemporaneamente negli Stati Uniti il vice Presidente Al Gore lanciò il progetto delle Information Superhighways, che tramite la National Information Infrastructure Initiative (NIII) avrebbe dovuto realizzare un ambizioso piano tecnologico per la creazione di una rete di computer ad altissima velocità, per l’appunto le autostrade dell’informazione. Purtroppo, secondo quanto 5 Uno per tutti: TOFFLER, Future shock, Bantam Books, New York, 1970, 430 pagg. Disponibile nel sito ufficiale dell’U.E. http://europa.eu.int/en/record/white/c93700/contents.html 7 Consultabile all’indirizzo web http://www.cyber-rights.org/documents/bangemann.htm 6 4 riferisce lo stesso Gore, la sua proposta non ricevette un'attenzione adeguata, se non da parte delle industrie produttrici di fibre ottiche.8 Aveva comunque preso il via una fase di sviluppo esponenziale delle esperienze telelavorative. In tutti i continenti cominciarono ad essere finanziati programmi di sostegno, si moltiplicarono gli studi e le sperimentazioni pratiche, videro la luce i primi telecentri ed i telelavoratori cominciarono a costituirsi in associazioni. Negli ultimi anni il telelavoro ha poi subito un tumultuoso evolversi, divenendo un vero e proprio fenomeno sociale su scala mondiale cui, come talvolta accade, il mondo del diritto non ha saputo tener dietro. Oggi siamo di fronte ad un nuovo modo di lavorare che coinvolge milioni di persone in tutto il pianeta, che riguarda rapporti professionali e commerciali transnazionali, che incide non poco sulla vita di chi lo esercita, e pur tuttavia risulta essere regolato da pochissime norme specifiche, da molte norme ad esso applicabili per analogia o ancora, in molti casi, privo di regole. Il giornalista indiano che oggi scambia continuamente informazioni con il suo editore di New York per mezzo del computer portatile e della tecnologia wireless è la materializzazione, con novecento anni di anticipo, delle previsioni di Jules Verne. 8 In proposito cfr. LAQUEY, The Internet Companion – A beginner’s guide to global networking, Addison-Wesley Publ. Copany, Mass., 1993. 5 1.2. L’ORIGINE DEL TERMINE L’origine recente del fenomeno e del vocabolo utilizzato per contraddistinguerlo, non ha ancora permesso il consolidarsi di una definizione univoca. Per analizzare il contenuto del vocabolo telelavoro occorre allora premettere alcune considerazioni sulla sua genesi. Pochi anni dopo il 1970 negli Stati Uniti vennero coniati, negli ambienti scientifici, i termini telework e telecommuting. Jack Nilles, conosciuto negli Stati Uniti come il padre del telelavoro, afferma di avere coniato il termine telework nel 1972, allorquando ne concepì l'idea e ne elaborò le prime forme presso l'Università della California del Sud. Nilles prima di cominciare a occuparsi di telelavoro era un esperto di missilistica, progettava veicoli spaziali per la NASA e per l'apparato militare degli Stati Uniti. Egli avrebbe voluto applicare alla vita quotidiana tutte le conoscenze tecnologiche di cui già si disponeva in campo militare, adattandole al mondo in cui si vive e si lavora. L’idea del telelavoro gli si parò di fronte il giorno in cui un esperto di urbanistica gli chiese: "Voi che mandate l'uomo sulla luna, non potete fare qualcosa per il traffico?". Fu così che cominciò a riflettere sul fatto che ci si comportava ancora come se si fosse stati in pieno periodo di rivoluzione industriale, cioè dovendo andare a lavorare in fabbrica ogni giorno. Ma sempre più spesso la fabbrica stava trasformandosi una fabbrica informatica, in cui venivano spostate informazioni anzichè oggetti fisici. Il lavoro consisteva quindi sempre più nel comunicare l'uno con l'altro, faccia a faccia o al telefono o, cosa nuova e marginale per quegli anni, con il computer.9 La domanda a quel punto sorgeva spontanea: "Perché si deve raggiungere un certo luogo per fare queste cose?". L’idea di fondo fu quindi quella di sostituire le strade con i fili del telefono. Questo principio con il tempo si dimostrò valido e funzionante. Dovendo trovare un nome per questo nuovo fenomeno, Nilles concepì due termini distinti. Il primo fu telecommuting, traducibile in italiano con lo scarsamente utilizzato telependolarismo, il 9 Per una maggior conoscenza del “padre del telelavoro”: http://www.jala.com/jnmbio.php 6 quale poneva l'accento sullo spostamento quotidiano necessario per recarsi al lavoro. Il secondo, telework, era un termine dal significato più ampio, tale da comprendere al suo interno il telecommuting e tutte quelle altre forme di lavoro svolto insieme a persone che non si trovano nello stesso luogo fisico, ma possono anche essere all'altro capo del globo terrestre. Il termine telelavoro, fin dalle sue origini vere o presunte, ha quindi espresso un concetto molto più ampio di telecommuting. La propagazione del fenomeno al di fuori degli Stati Uniti ha poi avuto come logica conseguenza la diffusione del vocabolo. In realtà vi è stata una mera traduzione del termine inglese work, mentre il prefisso di origine greca tele- è stato mantenuto invariato in quasi tutti gli idiomi. Così nella lingua italiana si parla di telelavoro, in quella francese di télétravail, in quella tedesca di telearbeit, nell’idioma castigliano di teletrabajo e così via. Ma oggi il termine telelavoro, a oltre vent’anni dalla sua origine, cosa sta a significare? L’unica cosa certa è che non vi è nulla di certo, per cui si può tranquillamente affermare che non esiste ancora una definizione universalmente condivisa, anche se le diverse definizioni concordano su molti punti. 7 1.3. IL TELELAVORO NELLA LINGUA ITALIANA Nella ricerca di una definizione univoca di telelavoro possono essere di aiuto le fonti linguistiche più comuni ed al tempo stesso più autorevoli, i vocabolari della lingua italiana. Il vocabolo telelavoro è, come già detto, un neologismo che in Italia è entrato nel linguaggio comune da non molti anni. Una prima definizione la si può trovare in un vocabolario di uso comune.10 In essa viene posto l’accento sulla duplice valenza del termine: da un lato indica l’attività lavorativa svolta a distanza, dall’altro l’organizzazione che ne deriva. Si tratta, in tutta evidenza, di una definizione approssimativa, che introduce il primo elemento essenziale del telelavoro, ovvero lo svolgimento a distanza. Ma a distanza da chi o da che cosa? Qui la definizione diventa più oscura. Cosa vuol dire “in un luogo diverso dalla sede in cui dovrebbe svolgersi”? Sembrerebbe sottintendere dalla sede in cui il lavoro si è svolto prima di diventare telelavoro. Ma così resterebbero fuori dalla definizione tutte le forme di telelavoro che sono nate come tali. Un altro elemento basilare cui la definizione fa cenno è la comunicazione del lavoro in tempo reale e tramite sistemi telematici. In questo modo si esclude che possano costituire telelavoro tutte quelle attività lavorative che prevedono una comunicazione non telematica del lavoro o una comunicazione telematica differita. Vedremo però in seguito che non sempre è così. Una diversa prospettiva viene offerta dagli Annali del Lessico Contemporaneo Italiano, che ricomprendono tra i neologismi originatisi nel periodo 1993-1996 i lemmi telelavorare e telelavoratore.11 10 Telelavoro, lemma, in http://www.garzantilinguistica.it/digita/digita.html: Sillabazione/Fonetica: [te-le-la-vò-ro]. Etimologia: Comp. di tele- (dal gr. têle 'lontano', in cui vale 'a distanza, da lontano') e lavoro (dal lat. labo¯re, impiego di energia volto a uno scopo determinato, in partic., attività umana diretta alla produzione di un bene, di un servizio o comunque a ottenere qualcosa di socialmente utile, oppure occupazione retribuita; esercizio di un mestiere, di una professione, di un'arte) Definizione: s. m. lavoro svolto a distanza, in un luogo diverso dalla sede in cui dovrebbe svolgersi, e comunicato a essa in tempo reale tramite sistemi telematici; l'organizzazione che ne deriva. 11 I lemmi sono disponibili alla pagina http://www.maldura.unipd.it/alci/public_html/ 8 Secondo gli Annali telelavorare è dal 1995 un nuovo vocabolo e significa “lavorare stando a casa, grazie a un collegamento telematico con il centro del quale si è dipendenti”, mentre all’anno successivo viene fatto risalire il neologismo telelavoratore, che sta per “lavoratore dipendente che svolge la propria attività a casa, grazie a un collegamento telematico con l’ufficio o l’azienda per cui opera”. Questa definizione pone l’accento sul fatto che chi telelavora sia per forza di cose un lavoratore dipendente, collegato telematicamente con il proprio ufficio o la propria azienda. Come vedremo in seguito, nella realtà vi sono tante e tali forme di telelavoro che prescindono da un rapporto di dipendenza, da far considerare senz’altro inesatta una simile definizione. Non fa invece cenno al rapporto di dipendenza del telelavoratore il vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, che invece introduce il concetto di attività lavorativa in sede decentrata, nel quale possono ben rientrare l’abitazione del lavoratore ma anche i centri satellite, i telecentri ed ogni altro luogo purché posto al di fuori del centro direzionale cui l’attività afferisce.12 Non offre ulteriori elementi importanti nemmeno la più articolata definizione fornita dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, secondo cui il telelavoro è “svolto essenzialmente mediante l'uso di un computer collegato alla rete di un'azienda tramite linea telefonica o altro tipo di sistema per il trasferimento di dati”.13 Piuttosto qui si evidenzia come il trasferimento dei dati possa avvenire anche in modo alternativo rispetto alle linee telefoniche, ma ancora una volta la definizione, pur molto succinta, esclude le forme di telelavoro svolte in assenza di uno stretto rapporto contrattuale con un’azienda. Decisamente nella scia di queste definizioni sono quelle reperibili in un altro dizionario14, che ha il merito di individuare nel 1991 l'anno di introduzione del neologismo, e in un’enciclopedia del diritto15. 12 Telelavoro, lemma, ne Il Nuovo Zingarelli Vocabolario della Lingua Italiana: [Comp. di tele- e lavoro] s.m. Attività lavorativa decentrata resa possibile dalle tecnologie telematiche che collegano unità produttive periferiche a centri direzionali. 13 Cfr. La Piccola Treccani, I suppl., pag. 618, Istituto della Enciclopedia Italiana Roma, Dicembre 2002. 14 Cfr. Dizionario Italiano Sabatini Coletti, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1997. 15 Cfr. Enciclopedia del diritto, Casa Editrice DeAgostini, Novara, 2002. 9 E’ quindi piuttosto evidente come il linguaggio comune abbia recepito solo una piccola parte del contenuto del termine, contenuto che d’altronde va mutando con il mutare della natura stessa del telelavoro. Le definizioni riportate rispecchiano infatti una visione fedele ad una rappresentazione del telelavoro ai suoi esordi, quando era concepito unicamente come alternativa al lavoro d’ufficio presso una grande impresa. Oggi invece sappiamo che il telelavoro rappresenta, nella sua poliedricità, una risorsa di primaria importanza nel mercato del lavoro globale. Si pensi solo alle nuove possibilità di accesso al lavoro per le persone che convivono con handicap motori, o ancora al trasferimento di attività lavorative in aree a scarsa densità abitativa dove sarebbe svantaggioso stabilire imprese lavorative tradizionali. 10 1.4. LE POSSIBILI DEFINIZIONI Il giorno in cui Nilles formulò la prima definizione di telelavoro lo fece riferendosi ad un concetto ancora in embrione. Con il tempo si è reso necessario descrivere in modo più circostanziato la realtà evolutiva del telelavoro. Una definizione attuale, che esprime in maniera sufficientemente completa quel che è oggi il telelavoro, lo rappresenta come “svolgimento a distanza di attività lavorative abitualmente svolte in un ufficio tradizionale, utilizzando le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni”.16 La proposizione contiene i tre elementi cardine del telelavoro. Innanzitutto l’utilizzo prevalente di strumenti informatici e telematici durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, utile a differenziare il telelavoro dalle altre attività tradizionali di lavoro a domicilio. Quindi la delocalizzazione dell’attività, rispetto alla sede tradizionale di lavoro, intesa nel senso più ampio del termine. Infine l’attività lavorativa contrattualmente definita. Su quest’ultimo punto si può dibattere, e lo si farà più avanti, sul fatto che vengano considerati telelavoratori solo i lavoratori dipendenti e non anche gli autonomi. La dottrina italiana più accorta in effetti sostituisce il requisito della contrattualizzazione dell’attività lavorativa a distanza con la sua semplice sistematicità.17 Molti altri autori hanno elaborato delle definizioni simili, pur con elementi diversificanti di poco conto, tanto che il grande sforzo definitorio è stato addirittura oggetto di una approfondita analisi da parte di uno dei maggiori studiosi del telelavoro, l’italiano De Nicola.18 Sono tuttavia riscontrabili altre definizioni che sfuggono a questo schema, anche se provenienti da settori scientifico-culturali diversi, quali la seguente: “Qualsiasi attività svolta a 16 Cfr. FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997 Cfr. BIAGI, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffré ed., Milano, pagg. 139-141, 2001: Per evitare, quindi, un mero esercizio definitorio, ai fini della identificazione empirica della fattispecie è sufficiente che siano presenti i seguenti elementi: a) presenza di una delocalizzazione dell’attività rispetto alla sede tradizionale di lavoro; b) utilizzo di strumenti informatici e telematici nello svolgimento del lavoro; c) sistematicità dell’attività di lavoro svolta a distanza. 18 Per una rassegna completa cfr. uno dei siti web creato da DI NICOLA, http://www.dinicola.it/telela/index.htm 17 11 distanza dalla sede dell'ufficio o dell'azienda per cui si lavora, quindi anche senza ricorrere a strumenti telematici”.19 E’ ovvio che una definizione simile sia molto più incentrata sul significato letterale del termine e non tenga conto della valenza, anche giuridica, concretamente assunta in questi anni dal vocabolo in questione. Parimenti non tiene conto dell’eccezionale evoluzione delle applicazioni pratiche derivanti dalle nuove tecnologie e dei loro riflessi sulle attività lavorative quotidiane. Inoltre in molti casi il telelavoro viene ancora identificato come il lavoro che viene svolto a casa usando computer e telefono, quindi senza il necessario uso di strumenti ultra-moderni. Questa visione trascura però l’evidenza di trent’anni di continui, enormi progressi tecnologici.20 Nella pratica attuale è sempre più difficile pensare di poter ricreare altrove l'ambiente tipico di un ufficio senza il supporto delle moderne tecnologie. D’altro canto sono anche molto frequenti le definizioni estremamente sintetiche, che hanno il pregio di non frapporre ostacoli alla successiva evoluzione contenutistica della parola. Paradigmatica è “Lavoro a distanza svolto con l'ausilio delle tecnologie telematiche”21, o la quasi identica “Distance working facilitated by information and communication technologies” formulata dai sindacati inglesi.22 In questo modo tutte le tecnologie telematiche innovative che consentano di intraprendere un’attività remota di nuovo tipo, possono originare forme di telelavoro che rientrano comunque nella definizione data. Così è stato con i telelavori resi possibili dalla diffusione di Internet e ancora prima del telefax, dei telefoni cellulari, ecc. Per fare ulteriore chiarezza sul contenuto della parola telelavoro può essere di valido aiuto passare in rassegna gli atti ufficiali emanati dagli organismi internazionali, dai singoli Stati, o dalle associazioni che se ne occupano. In essi non è raro trovare delle definizioni assai puntuali e precise. 19 Cfr. il sociologo DE MASI, Impiegati e operai lasciamoli tutti a casa, Telèma, n. 2, autunno 1995. Vedi in tal senso quanto riporta DI NICOLA nel capitolo "Introduzione. Il telelavoro realizzato", de Il Manuale del Telelavoro, Roma, Edizione SEAM, 1999. 21 Cfr. FEDI, Teniamone conto c’è un fattore, umano, Telèma, n. 2, autunno 1995. 22 Cfr. Trade Unions Congress, New information and communications technologies at work, Jan. 1998, cit. Da DI MARTINO, The High road to teleworking, I.L.O., Geneva, 2001. 20 12 Fin dal 1990 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.) ha proposto una definizione basata su due capisaldi: “Una forma di lavoro in cui (a) il lavoro viene svolto in un luogo distante rispetto all’ufficio centrale o ai mezzi di produzione, quindi con una separazione del lavoratore dai contatti personali con i colleghi ivi operanti; e (b) le nuove tecnologie consentono questa separazione attraverso strumenti di comunicazione”.23 Viene qui introdotto un nuovo elemento, la separazione fisica del telelavoratore dai colleghi che continuano ad esercitare il lavoro nelle sue forme tradizionali. Appare chiaro l’intento dell’O.I.L. di mettere in evidenza, a partire dalla definizione, quello che può rappresentare un aspetto negativo del telelavoro, la tendenza ad isolare gli individui dal contesto lavorativo. Un approccio simile lo si ritrova in uno studio condotto nel 1997 per conto dell’Unione Europea, secondo il quale il telelavoro è il “lavoro svolto da una persona (lavoratore dipendente, lavoratore autonomo, lavoratore a domicilio) principalmente, o in gran parte, presso un (dei) luogo (luoghi) diverso dal tradizionale posto di lavoro, per conto di un datore di lavoro o di un cliente, e che preveda, quale aspetto essenziale e centrale del lavoro, l’uso delle telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche avanzate”.24 Come si vede il discorso diventa molto più articolato e complesso. Si tratta di un tentativo di fotografare la situazione attuale, lasciando al contempo una certa elasticità alla definizione, permettendole così, entro certi limiti, di evolversi. I limiti sono sempre quelli della distanza e dell’utilizzo delle nuove tecnologie. Piuttosto in questo caso si prescinde dalla opinione fin qui ricorrente di riservare il telelavoro solo alla categoria dei lavoratori dipendenti, in favore di un concetto più allargato che non tiene conto del tipo di rapporto di lavoro sottostante. Tuttavia dall’ampio consenso su quelli che sono i principali aspetti caratterizzanti il telelavoro, non discende un analogo consenso in merito a quelle che sono le attività lavorative che possono rientrare nella definizione. Oggi esiste un gran numero di modi per telelavorare, sovente 23 Cfr. I.L.O., Conditions of Work Digest on Telework, vol. 9, 1, 1990, Geneva, cit. Da DI MARTINO, ibidem. Cfr. BLANPAIN, The legal and contractual situation on teleworkers in the European Union, Consolidated report, European Foundation for the improvement of living and working conditions, Dublin, 1997, cit. Da DI MARTINO, The High road to teleworking, I.L.O., Geneva, 2001. 24 13 molto differenziati tra loro, e le forme di telelavoro emergenti faticano talvolta ad identificarsi nelle definizioni che finora abbiamo visto. Per questo motivo sono sempre più apprezzate quelle definizioni che, pur sintetiche, presentano un alto grado di flessibilità. Martin Bangemann, Commissario Europeo per gli affari industriali, le tecnologie dell'informazione e le telecomunicazioni, coordinò un gruppo di studio sulla società dell’informazione, composto dai maggiori esperti mondiali (tra cui gli italiani Romano Prodi e Carlo De Benedetti), il cui rapporto finale rappresentò una pietra miliare per l’orientamento dei Paesi europei in materia. Tale rapporto denunciava lo stato critico dell’occupazione in Europa ed auspicava la nascita di nuove professioni e opportunità lavorative legate alle tecnologie informatiche. Ebbene, Bangemann ha concepito una definizione di telelavoro che è tra le più semplici ma efficaci in assoluto: “Telelavoro è qualsiasi attività alternativa di lavoro che faccia uso delle tecnologie della comunicazione non richiedendo la presenza del lavoratore nell'ambiente tradizionale dell'ufficio”.25 Spariscono così i riferimenti al lavoro dipendente ed all’abitazione del lavoratore. L’attenzione si sposta verso l’organizzazione del lavoro, che non è più vincolata ad un preciso luogo, e che non richiede, ma non esclude, la presenza di un ufficio tradizionale. Il termine telelavoro, pur avendo nelle tecnologie utilizzate un elemento fondante, più che una soluzione tecnica o tecnocratica rappresenta quindi oggi una particolare modalità organizzativa, capace di fornire soluzioni innovative a problematiche economiche e sociali di varia natura.26 A tale conclusione si è anche arrivati, nel 2002, redigendo il primo accordo europeo sul telelavoro. L’accordo definisce il telelavoro come "forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro, che usa le tecnologie dell’informazione, nel contesto di un contratto/rapporto di impiego, in cui il lavoro, che può anche essere svolto nei locali del datore di lavoro, viene intrapreso in modo 25 Cfr. il c.d. Rapporto Bangemann, redatto dall’High-level group on the information society su richiesta del Consiglio delle Comunità Europee nel 1994. 26 Cfr. Regione autonoma della Sardegna, “Strategia per lo sviluppo della società dell’informazione in Sardegna - fondi strutturali 2000-2006”, pp. 212, febbraio 2002. 14 regolare al di fuori di quei locali”.27 E questo può ben rappresentare l’attuale punto di approdo del percorso iniziato con le definizioni di Nilles nel 1973. Non va infine sottovalutata l’importanza pratica che le definizioni del telelavoro rivestono nell’ambito delle indagini statistiche. Come vedremo in seguito, i risultati delle inchieste variano di molto in funzione della definizione utilizzata per identificare il telelavoro o i telelavoratori. Per questo motivo negli ultimi anni si cerca di seguire, anche in questo campo, dei criteri il più possibile standardizzati, al fine di garantire una maggior veridicità e comparabilità dei dati raccolti. Tali problematiche sono state ben evidenziate in un recente studio sulla diffusione del telelavoro in Slovenia. La domanda posta agli intervistati era preceduta da una definizione fornita da un primario ente europeo di studi statistici sul telelavoro, l’Electronic Commerce and Telework Trends (E.Ca.T.T.): “Il telelavoro è il lavoro al computer che viene condotto al di fuori dell’ambiente d’ufficio tradizionale, normalmente a casa o in luoghi indipendenti. I risultati di tale lavoro vengono poi trasmessi per mezzo delle tecnologie delle telecomunicazioni come il telefax, internet o simili. Lei telelavora?”.28 In questa prospettiva la definizione che si ritiene più esaustiva è quella elaborata dalla Fondazione Europea di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, in cui si definisce il telelavoro come "ogni forma di lavoro svolta, per conto di un imprenditore o un cliente, da un lavoratore dipendente, autonomo o a domicilio, che è effettuata regolarmente, o per una quota consistente del tempo di lavoro, da una o più località diverse dal posto di lavoro tradizionale, utilizzando tecnologie informatiche e/o delle telecomunicazioni”.29 27 Cfr. Framework agreement on telework, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP), Bruxelles, 16 luglio 2002. 28 Cfr. NOVAK et al., Measuring information society in Slovenia: the case of telework, in: http://www.sigov.si/zrs/obvestil/raden02/r47.doc 29 Cfr. BLANPAIN, The legal and contractual situation on teleworkers in the European Union, Consolidated report, European Foundation for the improvement of living and working conditions, Dublin, 1997, cit. Da DI MARTINO, The High road to teleworking, I.L.O., Geneva, 2001. 15 In conclusione si può affermare che sui contenuti fondamentali del termine vi è sempre stato un accordo generale, sia da parte della letteratura che da parte delle istituzioni. Le differenti concezioni sono state in gran parte superate in favore di una visione più aperta e dinamica del fenomeno. Se sopravvivono dei punti di vista differenti, ciò accade solo in contesti geografici o scientifici più ristretti, nei quali si ha l’interesse ad enfatizzare alcuni aspetti del telelavoro trascurandone altri. Piuttosto ci si può chiedere se oggi sia ancora utile andare alla ricerca di una definizione di telelavoro che sia allo stesso tempo onnicomprensiva ed universalmente condivisibile. Tale ricerca rischia di trasformarsi in un esercizio logico fine a sé stesso. Forse sarebbe meglio badare ai contenuti essenziali del vocabolo e tracciarne i confini semantici solo se strettamente necessario, ad esempio come quando ci si debba occupare di rendere omogenei i dati statistici raccolti in situazioni politiche, culturali e sociali differenti. L'estrema flessibilità del telelavoro è pari a quella del termine che lo identifica. 16 1.5. TELEWORK O TELECOMMUTING? Trenta anni or sono, quando si incominciò a discutere di telelavoro, lo si fece riferendosi tout court alla possibilità di svolgere presso la propria abitazione un lavoro di tipo impiegatizio che, con l’utilizzo di collegamenti telefonici, evitasse di viaggiare ogni giorno verso e dall’ufficio. Questo assunto era tanto pacifico da far battezzare il fenomeno, nel 1973, con il nome di telecommuting, che significa letteralmente telependolarismo. Il significato di telecommuting altro non era che “Ogni forma di sostituzione degli spostamenti di lavoro con tecnologie dell'informazione”.30 Allo stesso anno viene fatta risalire anche la nascita del vocabolo telework, ossia telelavoro o lavoro a distanza. Ma mentre il telecommuting rappresentava la possibilità di portare il lavoro ai lavoratori piuttosto che i lavoratori al lavoro, era il telework a rappresentare più compiutamente la sostituzione degli spostamenti di lavoro mediante le tecnologie dell’informazione. Questa differenziazione, peraltro molto labile, non tardò ad entrare in crisi. Non appena la concezione del fenomeno, e la sua stessa rappresentazione concreta, iniziò ad evolversi, i confini tra telependolarismo e telelavoro divennero per certi versi sempre più sfumati, per altri sempre più netti. La figura centrale è sempre rimasta il telelavoro a domicilio, ma ad esso hanno fatto seguito altre forme di lavoro remoto. Alcune persone iniziarono a lavorare nei telecentri, mentre altre lo facevano quando viaggiavano in treno o in aereo. Altre lavoravano dalle stanze d’albergo, dalla propria automobile o ancora negli uffici della clientela. Il risultato più lampante di questo trentennale processo evolutivo è che oggi per il telelavoro non ha più senso parlare di luogo di lavoro. Semplicemente non esiste più “un” luogo per il telelavoro, in quanto ogni luogo può essere tale. Non ha quindi più molto significato parlare di 30 Cfr. NILLES, Non ho alcun dubbio, vivremo molto meglio, Telèma, n. 2, autunno 1995. 17 telependolarismo, dal momento che i telelavoratori possono benissimo svolgere la loro attività tipica proprio mentre si spostano da un luogo all’altro. O forse, a ben vedere, è proprio l’anima originale del telecommuting che è rimasta intatta, in quanto è sempre il lavoro che continua a spostarsi verso il lavoratore. Ci si può chiedere piuttosto se sia ancora necessario ed utile mantenere una netta distinzione tra telecommuting e telework. Anche se nella sostanza i loro significati si riferivano a due modalità operative completamente diverse, già ad una prima osservazione le due originarie definizioni di Nilles rimandavano ad un'immagine comune, quella del lavoro a distanza. Esprimendo la loro piccola differenza si è potuto affermare che "lavorare lontano non equivale di per sé a lavorare lontani".31 La differenza consiste quindi nel fatto che il telecommuting si riferisce, in termini allargati, a una mera delocalizzazione delle attività lavorative, in cui muta sicuramente il “dove si lavora” ma rimane del tutto inalterato il “come si svolge il lavoro”, mentre invece il telework non implica soltanto un lavorare a distanza dalla sede centrale, ma anche la modificazione delle modalità operative, dei modi di comunicare, delle relazioni tra risorse, funzioni e competenze presenti all'interno e all'esterno dell'azienda. Questa differenza, dunque, si realizza soltanto laddove l'uso degli strumenti informatici e telematici influisce effettivamente sulla situazione lavorativa ed anche sull'intera struttura del lavoro. E’ per questo motivo che apparve evidente, fin da subito, che il rapporto tra i due termini fosse di specie a genere, in quanto il telelavoro rappresentava un concetto più ampio all’interno del quale il telependolarismo poteva benissimo essere contenuto. Un ulteriore passo verso la completa sovrapposizione dei due termini si ha osservando come nel linguaggio comune, ed in quello specialistico, il loro uso alternativo sia diventato frequente, tanto da renderli l’un l’altro fungibili. 31 Cfr. CERI, Telelavorare è un’opportunità ma guardatene, se puoi: stanca, Telèma, n. 13, estate 1998. 18 É stato inoltre autorevolmente sostenuto che, anche se non perfettamente coincidenti e anche se telework si dimostri più idoneo a rappresentare il fenomeno nel suo complesso, i due vocaboli stanno diventando sinonimi.32 Questo almeno è quanto succede negli Stati Uniti, dove è più comune l’uso di telecommuting anche per indicare situazioni che fuoriescono dalla tradizionale visione alternativa al pendolarismo. Su questo argomento si sono confrontati per anni gli studiosi del settore, che hanno in gran parte convenuto sul fatto che una definizione corretta del fenomeno, comunque lo si voglia chiamare, dovrebbe fare riferimento sia al concetto di distanza dal posto di lavoro tradizionale sia all’uso delle nuove tecnologie informatiche per facilitare la comunicazione tra il telelavoratore e l’ufficio remoto. Come si vede, la conclusione raggiunta non ha potuto far altro che attingere ad entrambe le definizioni originarie dei due vocaboli. Oggi non costituisce più un problema qualificare una certa attività con uno dei due termini in questione. Piuttosto negli ultimi anni hanno visto la luce ulteriori neologismi, che altro non sono se non nuovi sinonimi di telelavoro. Può infatti succedere di imbattersi in termini, in genere di derivazione anglofona, quali eWork, home-based work e flexible work,33 i quali si riferiscono tutti a situazioni di telelavoro. In Italia vengono talvolta utilizzati altri sinonimi come telescambio, lavoro a distanza e lavoro fuori sede.34 Tra “telelavoro” e “lavoro a distanza” in Italia viene poi operata una distinzione ad opera di un testo legislativo,35 distinzione che per ora non conviene approfondire e che verrà affrontata più avanti. 32 Cfr. GORDON, Telecommuting vs. Telework: what’s the difference?, in: http://www.gilgordon.com/ In proposito NOVAK et al., Measuring information society in Slovenia: the case of telework, in: http://www.sigov.si/zrs/obvestil/raden02/r47.doc 34 Cfr. DI CERBO, I rapporti speciali di lavoro, CEDAM, Padova, pag. 81, 2000. 35 Cfr. il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70, Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191 (Gazzetta Ufficiale n. 70 del 25.03.1999), art. 2 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto s'intende: a) per "lavoro a distanza" l'attivita' di telelavoro svolta in conformita' alle disposizioni del presente decreto; b) per "telelavoro" la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce; c) per "sede di lavoro" quella dell'ufficio al quale il dipendente e' assegnato. 33 19 Pertanto, nel prosieguo, verranno utilizzati tutti questi termini in modo alternativo e fungibile, specificando, qualora si rendesse necessario, la scelta dell’uno in vece degli altri. “Life is too short to spend a lot of time and energy worrying about these fine points of terminology. As the Nike advertisements have always suggested, Just do it!”36 36 Cfr. GORDON, ibidem 20 CAPITOLO II I TELELAVORI. SOMMARIO: - 1. Le tipologie organizzative del Telelavoro. – 1.1. Il Telelavoro domiciliare. – 1.2. Il Telelavoro mobile. – 1.3. I centri di Telelavoro. – 1.4. L’impresa virtuale. – 2. Le tipologie tecniche del Telelavoro. – 2.1. Il Telelavoro tradizionale. – 2.2. Il Telelavoro in Internet. –2.3. Il Telelavoro wireless. – 2.4. La videoconferenza. – 3. Aspettative e conseguenze del Telelavoro. – 3.1. Gli aspetti positivi. –3.2. Gli aspetti negativi. 2.1. LE TIPOLOGIE ORGANIZZATIVE DEL TELELAVORO Aver definito il contenuto del vocabolo telelavoro, nel modo più analitico e attuale, consente di effettuare un secondo passo verso la comprensione del fenomeno, ossia l’esame delle varie forme in cui si sostanzia. Il primo elemento che caratterizza il telelavoro da ogni altro tipo di attività è l’elemento spaziale. Il telelavoro può essere svolto non solo presso la propria abitazione, come un comune lavoro a domicilio, ma in qualsiasi luogo, purché questo non corrisponda agli uffici della sede dell’impresa, o ad uno dei suoi uffici periferici, tradizionalmente intesi. In tal senso il telelavoro ha costituito, e costituisce tuttora, una vera e propria rivoluzione, in quanto rende possibile svolgere un gran numero di attività senza vincoli di spazio. La libertà in questo senso è duplice. Da un lato ogni luogo può risultare idoneo per una qualche attività telelavorativa, dall’altro si può telelavorare per imprese localizzate a grande distanza, addirittura in altri continenti. 21 Anche il secondo elemento della prestazione lavorativa, quello temporale, viene in parte modificato. Vi sono alcune modalità telelavorative tra i cui caratteri distintivi vi è proprio la mancanza di un vincolo temporale definito, ed in cui tale vincolo non sarebbe utilmente apponibile. Il telelavoro è, dunque, una soluzione che tende a ribaltare profondamente i canoni e i principi classici di organizzazione delle attività lavorative. A un sistema di lavoro dove l'azione si svolgeva con unità di tempo e di spazio, all'interno di una struttura stabile di relazioni e di comunicazioni tra il lavoratore e il sistema aziendale di riferimento (colleghi, collaboratori, superiori, clienti), il telelavoro contrappone un modello fondato sulla dislocazione fisica del soggetto rispetto alla struttura aziendale, rispetto al luogo dove, invece, si fruisce dei suoi risultati. Una modalità, dunque, che concepisce il lavoro in misura largamente indipendente dal luogo dove invece si trova il lavoratore.1 Nel telelavoro, infatti, il soggetto si trova ad operare all'interno di una cosiddetta "stazione di lavoro" attraverso la quale si va oltre i tradizionali limiti spazio-temporali propri del concetto di lavoro. Questa postazione necessita di una dotazione strumentale che consenta al lavoratore di aprirsi al mondo pur restando in un ambiente diverso da quello aziendale, potendo lavorare presso la propria abitazione o in molti altri luoghi. La strumentazione di base comprende naturalmente delle apparecchiature informatiche: personal computer o computer portatile, connessione telefonica a larga banda, programmi informatici che consentano lo svolgimento delle attività proprie del telelavoratore (archiviazione, posta elettronica, videoconferenza, ecc.). In virtù delle enormi potenzialità e della sua versatilità, il telelavoro tuttavia non è un fenomeno omogeneo, in quanto può presentarsi in una molteplicità di forme organizzative, secondo una scala di complessità molto estesa. Si va ad esempio dal telelavoro mobile, a forme di telelavoro domiciliare caratterizzate dal trattamento di informazioni anziché di beni materiali. 1 Su questi temi cfr. NILLES, Se corrono le informazioni chi lavora resta fermo, a casa, Telèma, 7, inverno 1996/7, pp. 29-36 22 L'ampio ventaglio di soluzioni organizzative dipende essenzialmente dalla combinazione di diversi fattori. Innanzitutto sono gli obiettivi degli attori coinvolti a determinare la soluzione telelavorativa più idonea alle esigenze produttive. Hanno poi la loro influenza la scelta delle esigenze da soddisfare, le soluzioni tecnico-operative adottate, la struttura tecnologica disponibile. Per questa serie di motivi risulta piuttosto arduo classificare in modo rigido le diverse tipologie organizzative del telelavoro. Ciò nonostante in letteratura sono rinvenibili di frequente dei tentativi classificatori, le cui finalità sono però essenzialmente didattiche e semplificative, al fine di ricondurre a pochi modelli di base la gran quantità di esempi concreti di telelavoro. Convenzionalmente il telelavoro viene classificato a seconda del posto dal quale viene svolto, anche se ciò appare, a prima vista, una tautologia incomprensibile. Se, come visto nel capitolo precedente, per telelavoro si intende un lavoro sganciato dalla normale geografia dell'azienda, perché mai occorrerebbe classificarlo basandosi sul posto fisico in cui viene svolto? Questa classificazione appartiene tuttavia alla tradizione del telelavoro, ed è comunque utile per definirne le direttrici di sviluppo. Per questo motivo, anche se oggi ha perso molto del suo significato originale, vale la pena di adottarla come base di partenza. Utilizzando un criterio sistematico che faccia riferimento al luogo in cui la prestazione lavorativa viene effettivamente resa, le possibilità offerte dal lavoro a distanza possono essere sintetizzate in questo modo. Innanzitutto va considerato il cosiddetto telelavoro casalingo o, secondo la terminologia anglosassone, tele-homeworking. La seconda opzione è rappresentata da un luogo di lavoro situato più vicino a casa rispetto al posto di lavoro tradizionale, come nel caso dei cosiddetti uffici satellite e dei telecentri (telecottages o neighbourhood centres nei Paesi di lingua inglese), i quali forniscono le attrezzature informatiche che vengono usate da più persone e appartengono alle comunità locali, a più imprese o a singoli imprenditori. Gli uffici satellite ed i telecentri sono tradizionalmente collocati in prossimità delle abitazioni dei lavoratori e possono essere utilizzati anche per scopi ulteriori, come la tele-educazione, il teleshopping o attività di svago. Mentre gli uffici satellite sono comunque una proiezione centrifuga dello spazio aziendale 23 che si avvicina ai lavoratori, i telecentri sono nati secondo una visione diametralmente opposta, quella di offrire alle aziende la possibilità di delocalizzare le proprie attività verso mercati del lavoro più attraenti. Una terza possibilità, a ben vedere la più innovativa, riguarda ogni luogo di lavoro alternativo in cui le telecomunicazioni rendano possibile e conveniente il telelavoro, come nel caso dei centri touchdown, ossia stazioni di lavoro temporaneo, in locali esterni alle imprese, che possono essere usati per tempi limitati, o ancora come nel caso dei lavoratori mobili e nomadi. Un'ulteriore tipologia organizzativa del telelavoro, oggi forse la più diffusa, viene svolta in luoghi dove gli operatori telefonici fanno o ricevono telefonate, usufruendo di sistemi automatizzati per la distribuzione delle chiamate e sovente anche di un’integrazione computer/telefono. I call centres possono offrire servizi differenziati, come il telemarketing ed il telebanking, oppure servizi alla clientela, inchieste e sondaggi, assistenza remota, biglietteria aerea, vendite, marketing, e servizi d’emergenza. In questo modo possono essere superate tutte le limitazioni spaziali tradizionali, permettendo di telelavorare da una nazione all'altra o addirittura tra i continenti, come nel caso del telelavoro transfrontaliero, che viene utilizzato in prevalenza nelle situazioni in cui fornitore e destinatario di un servizio sono situati in nazioni confinanti. Ancor più avanti in questa direzione si colloca il telelavoro offshore, termine che di norma si riferisce ad un tipo di telelavoro in cui, per motivi meramente economici, il lavoro viene trasferito verso luoghi in cui il costo del lavoro è più basso oppure il diritto del lavoro meno rigido ed articolato, luoghi che in genere sono molto più lontani geograficamente. L’inclusione di alcune delle precedenti categorie, particolarmente quella dei call centres, sotto il grande ombrello del telelavoro può essere controversa. C'è chi sostiene che i call centres rappresentino solo una nuova variante del modo tradizionale di lavorare, niente di più che un modo per continuare il processo di delocalizzazione messo in atto da alcune aziende. Tuttavia, contro questa visione superficiale del problema, si può argomentare che il contenuto tecnologico dei call 24 centres è di solito molto elevato, e che il loro sviluppo rappresenta un nuovo significativo aspetto di dislocazione organizzativa, sovente anche fisica, rispetto al tradizionale posto di lavoro ed al mercato di riferimento. Inoltre gli operatori dei call centres lavorano sempre più sovente per dei clienti lontani, che chiamano da zone remote rispetto a quella in cui il call centre è situato. A ben vedere può quindi realizzarsi una sovrapposizione tra le attività dei call centres ed il telelavoro transfrontaliero o offshore. Questa osservazione ci introduce ad un passo successivo del nostro discorso. Come detto in precedenza il tentativo di classificare le tipologie organizzative del telelavoro ha fondamentalmente solo uno scopo didattico. Nella pratica può succedere, e succede, che un singolo telelavoratore alterni tra di loro le diverse forme di telelavoro, svolgendo la propria attività al domicilio per alcuni giorni alla settimana, mentre negli altri può operare presso un call center o comportarsi da telelavoratore nomade. È bene sottolineare questo fatto, perché difficilmente si ritroveranno forme pure di telelavoro. Al contrario sarà più facile riscontrare modalità miste, in cui si combinano, integrandosi, diverse soluzioni organizzative, diversi luoghi in cui lavorare (ufficio centrale, clienti, domicilio, telecentro), scelti in base al tipo ed alle esigenze dell'attività da svolgersi e con il fine di perseguire vantaggi in termini economici e produttivi. Queste forme miste e non ben definite di telelavoro, come le combinazioni di telelavoro a domicilio e mobile, stanno emergendo in maniera prepotente. Il problema maggiore che ne deriva è che lo status giuridico del telelavoratore non è più definibile in modo chiaro, per lo meno secondo i canoni tradizionali del diritto del lavoro. Ciò che caratterizza le forme miste di telelavoro è il fatto che esse possano essere coperte da una pluralità di accordi collettivi di lavoro diversi, ed inoltre che esse tendano a modificarsi ripetutamente nel tempo, per andare incontro alle mutate esigenze del mercato. 25 La classificazione fin qui proposta è largamente condivisa, ma non è la sola. Diversi autori hanno fornito delle ipotesi alternative per classificare i differenti tipi di telelavoro. Già nel 1985, per fare chiarezza sulle possibili applicazioni delle tecnologie telematiche nelle forme di lavoro a distanza, il Tavistock Institute of Human Relations propose un modello classificatorio che in seguito divenne il più utilizzato.2 Questa classificazione distingueva tra lavoro a domicilio, lavoro mobile, uffici satellite, telelavoro Office-to-Office (la cosiddetta azienda virtuale), centri di telelavoro o edifici telematici condivisi, teleimprese. Come si vede si tratta di forme sostanzialmente molto diverse tra loro, per cui la delocalizzazione e l'impiego di tecnologie informatiche che le accomunano non configurano una forma di lavoro e di organizzazione omogenea. Per questo motivo c'è chi ha provato a rappresentare graficamente la sovrapposizione, ma anche le aree di netta diversificazione, tra il telelavoro genericamente inteso ed il lavoro a domicilio.3 Altri hanno invece adottato un approccio differente, che guarda a due elementi del telelavoro, il grado di gestione remota ed il grado di riduzione degli spostamenti. 4 Altri ancora hanno posto l'attenzione sul numero di telelavoratori che probabilmente è impiegato, per ciascun tipo di situazione telelavorativa.5 Tutte queste classificazioni sono certamente utili, ma sono basate su di una visione statica del telelavoro. Per comprendere tutte le sfumature del telelavoro, in quanto fenomeno in movimento, vanno analizzate attentamente le sue dinamiche. Le osservazioni sulle differenti forme di telelavoro devono quindi basarsi sul suo sviluppo, per stabilirne un processo evolutivo che abbia riguardo alle nuove e diverse tipologie. 2 Cfr. il progetto di studio e ricerca in materia di telelavoro, G.S.T. (Gruppo di Studio sul Telelavoro), in: www.geocities.com/ResearchTriangle/Lab/7290/index.html 3 Cfr. FORSEBÄCK, Twenty seconds to work: home-based telework (Swedish experiences from a European perspective, state of the art 1995), 1995, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 4 Cfr. MOKHTARIAN, Defining telecommuting, 1991, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 5 Cfr. BIRCHALL e LYONS, Creating tomorrow's organisations, 1995, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 26 Il telelavoro si è infatti evoluto, a partire dalla sua forma più semplice di telelavoro a domicilio, verso una serie di forme sempre più differenziate, procedendo di pari passo con l'evoluzione stessa del concetto di lavoro flessibile. Nel rispetto di questa tendenza, vanno tenuti in massimo conto il contenuto tecnologico e l’intensità del telelavoro. Lo sfruttamento delle tecnologie può variare, da un uso solo occasionale fino al punto in cui le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni vengono utilizzate in maniera permanente, come nel caso dei telelavoratori online. Analogamente può considerarsi il tempo dedicato al telelavoro, distinguendo tra telelavoro occasionale, telelavoro part time ed a tempo pieno. Vista la complessità della materia ed i suoi forti connotati di dinamicità, risulta altrettanto difficile arrivare ad una classificazione che si basi sulla qualificazione giuridica e che sia sufficientemente aderente alla realtà mutevole del fenomeno. La conclusione, per quanto generica e necessitante di ulteriori specificazioni, è che il telelavoro nel nostro ordinamento giuridico può essere prestato sotto forma di impresa, di lavoro autonomo, di lavoro subordinato e di lavoro parasubordinato.6 In tale contesto l'assenza di una definizione legale di telelavoro, che ne tracci i confini, non va vista negativamente, anzi permette al diritto vivente di adattarsi in modo ben più flessibile alle continue mutazioni che intervengono in questo settore. 6 Per una breve rassegna dei criteri classificatori cfr. SANTORO PASSARELLI G., Diritto del lavoro e della previdenza sociale: il lavoro privato e pubblico, Compendi giuridici, Collana di diritto privato diretta da Pietro Rescigno, 2ª ed., IPSOA editore, Milano, 1998. 27 2.1.1. IL TELELAVORO DOMICILIARE L'home based telework, tradotto in lingua italiana con telelavoro domiciliare, è la tipologia organizzativa più conosciuta e che forse più di ogni altra risulta essere accattivante ed innovativa.7 Si tratta in parole povere di lavorare a casa, avendo però accesso ai tipici strumenti dell’ufficio come schedari e pratiche (informatizzati e non), telefono, fax e computer, per cui "la casa diventa un ufficio inteso come posto di lavoro".8 Alcuni autori italiani preferiscono parlare di telelavoro ”a casa” anziché di telelavoro a domicilio, perché quest’ultima definizione si presta a possibili sovrapposizioni e confusioni con la più vasta fattispecie giuridica del lavoro a domicilio.9 E' comunque da tenere presente che, come vedremo appresso, il telelavoro a casa ed il lavoro a domicilio hanno molti punti di contatto. Questi profili comuni hanno fatto sì che, non solo in Italia, ci sia stato uno sforzo interpretativo, dottrinale e giurisprudenziale, teso ad estendere al telelavoro domiciliare la disciplina giuslavoristica propria del lavoro a domicilio. Va subito detto che il trasferimento di una parte delle attività d'ufficio presso le abitazioni dei lavoratori, consente alle aziende di ottenere dei risparmi di spesa per quanto riguarda la locazione degli immobili altrimenti indispensabili. Il lavoratore, dal canto suo, svolge il suo compito prevalentemente o interamente utilizzando un personal computer installato presso la propria abitazione e collegato alle vie telematiche. Visita saltuariamente il datore di lavoro o i clienti, oppure alterna il lavoro svolto regolarmente a domicilio con attività convenzionali presso l'azienda. Ci sono quindi lavoratori a domicilio che sono continuamente on-line, come ad esempio coloro che gestiscono le telefonate in entrata in modo simile al personale che lavora in call centres 7 Così in GAETA e PASCUCCI, Telelavoro e diritto, Giappichelli Editore, Torino, 1998. Questa definizione venne fornita dalla Commissione Europea in: Status Report on European Telework “Telework 1997” 9 Si veda in proposito PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. 8 28 centralizzati, e coloro che possono scegliere di telelavorare quando lo ritengono opportuno, come nel caso dei lavoratori qualificati che lavorano a casa e occasionalmente hanno accesso ai files della società o leggono la propria e-mail. Ovviamente l'attività del lavoratore on-line da casa è fortemente condizionata dalle esigenze della tecnologia, e lascia all'individuo meno flessibilità. L'interazione telematica con l'ufficio può essere su base costante, quando la postazione casalinga costituisce un nodo della rete aziendale, oppure saltuaria. In quest'ultimo caso si riceve, ad esempio tramite Internet, il lavoro da svolgere e si invia poi il risultato all'azienda o al committente.10 Questa forma di telelavoro può interessare una grande varietà di attività economiche, sia di basso che di alto contenuto professionale, di conseguenza ad essa può corrispondere una grande varietà di forme contrattuali e di condizioni operative.11 L'attività che più di ogni altra può giovarsi della delocalizzazione verso il domicilio del lavoratore è però quella dell'ufficio tradizionale. Si possono svolgere in questo modo un po' tutti i lavori di immissione dati, di segreteria, di contabilità, di traduzione, ecc. Il lavoro viene svolto solitamente da un singolo, anche se può interessare un intero nucleo familiare, ma in ogni caso ci si riferisce ad una postazione di lavoro casalinga. La maggior parte dei telelavoratori casalinghi è rappresentata da salariati, la cui posizione giuridica ha sempre posto numerosi problemi, soprattutto dal punto di vista delle tutele del lavoratore che tende a ritrovarsi da solo di fronte all'azienda datrice di lavoro. Abbiamo visto che in questa realtà organizzativa il lavoratore svolge l'attività prevalentemente presso la propria abitazione, utilizzando strumenti e supporti tecnologici in grado di garantire un'elevata autonomia di lavoro, seppure con una possibile costante comunicazione con i referenti dell'attività. Per questi motivi il telelavoro a casa può interessare anche i lavoratori autonomi o i liberi professionisti, esercitanti un'attività ad elevato contenuto professionale (es. giornalisti, consulenti, analisti di sistemi). Essi possono lavorare per una sola azienda oppure per 10 11 Cfr. DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. Cfr. LASSANDRO, Il telelavoro nella residenza e nel terziario, Gangemi editore, Roma. 29 clienti diversi e quindi, in questo caso, tendono a contrattare di volta in volta i contenuti, i tempi e i modi della loro prestazione. Una situazione analoga può anche riguardare i lavoratori dipendenti in possesso di qualifiche più o meno elevate, i quali, pur operando per una o più aziende, lavorano presso la propria abitazione. Sebbene il telelavoro a domicilio risulti la tipologia con il maggior grado di diffusione, le sue ripercussioni sul piano aziendale e individuale sono le più problematiche. Per l'azienda si fanno ardue le possibilità di supervisionare i lavoratori delocalizzati. Pertanto essa deve affrontare il problema del rapporto tra l'autonomia del lavoratore ed il suo allineamento agli obiettivi aziendali. Ciò rende necessario il passaggio a uno stile di gestione delle risorse umane orientato ai risultati raggiunti e arricchito dall'intensificazione dei processi comunicativi. Il lavoratore, invece, se da un lato beneficia di un radicale risparmio di tempo per la riduzione degli spostamenti casa-ufficio e acquista maggiore flessibilità nella programmazione temporale dell'attività, dall'altro perde numerose possibilità di interazione sociale diretta e corre il rischio del superlavoro, confondendo lavoro e vita, tempo produttivo e ricreativo.12 Si può in definitiva affermare, con un buon grado di certezza, che il telelavoro domiciliare é la tipologia che comporta la maggiore dispersione dei lavoratori, oltre ad essere quella che consente una pluralità di forme diverse, sia in merito alla forma contrattuale (lavoratori dipendenti, liberi professionisti), che alla modalità di collegamento con l'ufficio centrale (connessione in rete o meno), che ai contenuti del lavoro (basso o alto contenuto professionale), che alla totalità della presenza a casa (solo lavoro a domicilio o alternanza con la presenza in sede), che alla continuità/rigidità nel tempo (modalità reversibile o obbligo di continuità per periodi prestabiliti).13 Il fatto che in alcuni ordinamenti giuridici il telelavoro domiciliare sia sempre più assimilato al lavoro domiciliare tout court ha posto però dei seri problemi. A causa delle difficili condizioni 12 Cfr. BRACCHI e CAMPODALL'ORTO, Progettare il telelavoro, Manuale per l’utilizzo, Franco Angeli editore, Milano, 1997. 13 Cfr. il progetto di studio e ricerca in materia di telelavoro, G.S.T. (Gruppo di Studio sul Telelavoro), in: www.geocities.com/ResearchTriangle/Lab/7290/index.html 30 lavorative cui sono sottoposti i telelavoratori nelle tradizionali industrie, basate sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro, sono state espresse molte preoccupazioni relative al fatto che il telelavoro a domicilio possa rappresentare una pericolosa opportunità di sfruttamento. L'antidoto è forse rappresentato dagli accordi sul telelavoro negoziati tra datori di lavoro e organizzazioni sindacali rappresentative che, quando raggiunti, tendono generalmente a stabilire delle condizioni di impiego più favorevoli. 31 2.1.2. IL TELELAVORO MOBILE Il telelavoro mobile è quello che viene svolto senza che vi sia la necessità di un locale che funga da punto di riferimento imprescindibile. Caratteristica di questa forma di telelavoro è proprio il fatto che si svolga ora in luogo ora in un altro. Chi lo pratica si avvale di strumenti telematici portatili e di tecnologie cellulari, e viene definito con l’uso di termini differenti ma il cui contenuto è pressoché identico: telelavoratore mobile, nomade o, più suggestivamente, “argonauta”.14 Questi telelavoratori, di conseguenza, non hanno una singola sede in cui svolgere di preferenza le loro attività, né tra le molte sedi una che prevalga sulle altre. Armati di telefono cellulare e/o di computer portatile, il loro ufficio si trova sempre nelle vicinanze di un collegamento telefonico, o dappertutto se possiedono strumenti dotati di batterie autonome e utilizzabili senza l’ausilio di cavi. Il loro lavoro è quindi contraddistinto dalla massima indipendenza rispetto al fattore spaziale.15 In tal senso il concetto di telelavoro argonautico è quello che suscita più interesse, in quanto viene sovente associato alla possibilità di lavorare ovunque, anche dalla panchina di un parco o sotto l'ombrellone di una spiaggia.16 Più in concreto, almeno fino ad oggi, la soluzione del telelavoro mobile è solitamente scelta da quelle categorie professionali, come i venditori, gli agenti di commercio o i tecnici di assistenza, che necessitano di una relazione diretta con i clienti. La possibilità di ricevere e trasmettere informazioni alla sede aziendale da qualsiasi luogo, evitando di dover tornare in ufficio o a casa per scaricare dati e informazioni sul computer centrale, fa sì che queste operazioni avvengano per lo più dalle sedi dei clienti stessi. 14 Cfr. PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. Cfr. Commissione Europea, Status Report on European Telework “Telework 1997” 16 Cfr. GAETA e PASCUCCI, Telelavoro e diritto, Giappichelli Editore, Torino, 1998. 15 32 Va però sottolineato come il lavoro svolto in questo modo, cioè presso i clienti, si collochi al confine tra il telelavoro ed una situazione tipica di un'attività tradizionale, con in più il supporto di strumenti informatici e di telecomunicazione. Ed in effetti si sono sovente sollevate delle obiezioni circa la possibilità di definire tale tipo di attività come una forma di telelavoro, in quanto non esiste una vera e propria alternativa tra lavoro in sede e telelavoro. Il luogo in cui l'attività viene svolta, cioè la sede della clientela, non viene modificato, e l'utilizzo delle tecnologie telematiche vale unicamente come commodity per migliorare l'esecuzione del lavoro, già ampiamente e di fatto decentralizzato. Tuttavia l'impresa, in questo modo, può venirsi a trovare nella condizione di poter intervenire sulla propria struttura organizzativa, alleggerendola o chiudendo e/o riorganizzando filiali e/o uffici che non hanno più ragion d'essere senza la presenza quotidiana degli attuali telelavoratori. Ciò è quanto già avvenuto in numerose aziende, anche italiane, dove il lavoro mobile viene effettuato da venditori e tecnici per l'assistenza ai clienti.17 Lo sviluppo più recente delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni ha fatto sì che oggi l'attività di telelavoro mobile possa svolgersi con l'ausilio di una postazione di ingombro ridotto e facilmente trasportabile, tipicamente composta da un personal computer portatile, un faxmodem ed un telefono cellulare. Con questa attrezzatura il lavoratore si porta l'ufficio appresso, potendo così, oltre che recarsi dai clienti e da lì collegarsi con l'ufficio per inviare ordini, anche aggiornare quotazioni, fare teleconferenze con esperti e tecnici in sede. Più semplicemente, spine e adattatori permettendo, può lavorare da una stanza di albergo, durante uno spostamento.18 Si può allora parlare di ufficio mobile, o mobile office secondo la terminologia anglosassone, dal quale è possibile inviare files di dati, immagini, fax, brevi messaggi di testo, ma anche collegarsi con Internet e con il mondo intero da qualunque luogo. Da questo sistema elementare del tutto essenziale, trasportabile facilmente in una valigetta, si può passare a soluzioni più complesse fino ad 17 Tra le prime società che hanno operato in tal senso vi sono IBM Italia e Saritel, cfr. BRACCHI e CAMPODALL'ORTO, Progettare il telelavoro, Manuale per l’utilizzo, Franco Angeli editore, Milano, 1997. 18 Cfr. DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 33 arrivare ad automobili o camper predisposti e attrezzati per il telelavoro. Si può pensare per esempio ad un'auto che possa essere la redazione mobile di un giornale, perfettamente in grado di interfacciarsi con la sede, o addirittura ad un camper che preveda uno spazio organizzato e attrezzato per lo svolgimento di attività lavorative e per piccole riunioni.19 Il lavoro mobile è quindi ogni lavoro svolto in remoto che possa essere indipendente dal luogo fisico in cui può svolgersi. Questo, come visto, può quindi essere la sede di un cliente, ma anche un'automobile, un albergo, un aereo. Vi è un'ulteriore possibilità rappresentata dai cosiddetti chioschi telematici, apposite cabine dove è possibile collegare il proprio computer portatile o usufruire di una completa postazione di telelavoro. Quest'ultimo servizio viene già offerto nei paesi in via di sviluppo, nei quali è più difficile reperire collegamenti telefonici stabili o accedere alle strumentazioni informatiche. In modo del tutto analogo la disponibilità, gratuita o a pagamento, di connessioni telefoniche wireless, cioè senza fili, si va diffondendo soprattutto nei luoghi di grande passaggio di persone come stazioni, aeroporti, uffici pubblici.20 Il telelavoratore nomade è raramente puro, in quanto se si tratta di un dipendente potrà essere chiamato a recarsi presso l'azienda. Quest'ultima ha comunque il vantaggio di economizzare sulle spese di ufficio, riducendone le superfici, mentre la soppressione dei tempi morti permette di accrescere la produttività.21 Con questo sistema il telelavoratore nomade può infatti lavorare in maniera continuativa ed inoltre la risposta al cliente è immediata, rendendo meno frequente la necessità di rendergli visita, con il che si risparmia del tempo da dedicare alla ricerca di nuovi clienti. Questo sistema, ormai ampiamente diffuso tra gli agenti di commercio, permette loro di organizzare meglio il proprio tempo. Emerge però il rischio di lavorare ad ogni ora del giorno, 19 LASSANDRO, Il telelavoro nella residenza e nel terziario, Gangemi editore, Roma. Ibidem 21 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 20 34 essendo l'orario di lavoro assolutamente privo di limiti, sfumando così la barriera che lo divide dal tempo dedicato alle proprie attività private.22 Il lavoro mobile, richiedendo un elevato grado di mobilità e di flessibilità, é una forma di telelavoro già molto diffusa anche per altre categorie di persone quali consulenti o managers, visto che, come detto, non comporta una separazione definitiva e totale dalla sede centrale dell'ufficio, ma prevede visite e contatti periodici per attività che anche in precedenza richiedevano una bassa presenza nella sede centrale dell'ufficio.23 In Italia sono già numerosi i progetti di telelavoro mobile, e tra di essi merita di essere menzionato quello elaborato dall'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (I.N.P.S.). Tale progetto ha riguardato oltre mille ispettori di vigilanza, che furono dotati nel 1998 di una valigetta informatica costituita da strumentazione locale su cui caricare dati (personal computer portatile, scanner, stampante), collegamento in tempo reale con le banche dati centrali dell'Istituto, accesso ad Internet e alla rete Intranet aziendale, procedure automatizzate utilizzate per la compilazione dei verbali di ispezione.24 Nell'ambito del telelavoro mobile è quindi di particolare rilievo l'utilizzo di stazioni di lavoro debitamente equipaggiate, per fungere da punto mobile di servizio alla clientela anche in località di difficile accesso, e caratterizzate da dispersione territoriale dell'utenza (comunità delle aree montane, ospedali). Le valigette informatiche dell'I.N.P.S., ad esempio, si sono rivelate utili per portare i servizi dell'istituto nelle tendopoli dei terremotati di Umbria e Marche. E' tuttavia negli Stati Uniti che il telelavoro mobile ha conosciuto, e conosce, il massimo sviluppo. L'avvento di Internet ha rappresentato un forte impulso alla libertà di movimento di certe categorie di lavoratori. Vi sono casi documentati di redattori tecnici di società informatiche oppure di venditori on-line o ancora di amministratori di società che passano la loro vita spostandosi da una 22 Cfr. DUMÉNIL e ROUX, Le télétravail, City & York ed., Dublin, 1995, oppure FRANZA, Telework il futuro lavora a distanza, in www.libreriaeditriceurso.com/Scritti%20vari/Telelavoro.html 23 Cfr. il progetto di studio e ricerca in materia di telelavoro, G.S.T. (Gruppo di Studio sul Telelavoro), in: www.geocities.com/ResearchTriangle/Lab/7290/index.html 24 Cfr. TRIZZINO, Automazione e telelavoro all'INPS, Next strumenti per l'innovazione, n. 2, estate 1998. 35 nazione all'altra senza interrompere mai la loro attività, mantenendo rapporti elettronici giornalieri con le sedi centrali delle loro aziende. Sono i rappresentanti di una nuova categoria professionale che è stata indicata con il neologismo extreme telecommuter, cioè telelavoratori estremi, che hanno stabilito la residenza del loro ufficio per le strade del mondo. Ma non si tratta di free-lance, ossia di lavoratori autonomi che a fronte di una precarietà di stipendio possono godere di un quid di libertà in più negli spostamenti, bensì di persone assunte regolarmente, a tempo indeterminato, cui le proprie aziende hanno però concesso di scegliere la sede di lavoro che ritengono più consona, anche nel caso in cui questa sia in un altro continente.25 Ovviamente ci vuole una forte dose di flessibilità da parte dei datori di lavoro nel consentire un'autodeterminazione così radicale da parte dei dipendenti. Tuttavia è paradigmatico il caso di Michael Fuchs, amministratore delegato ad interim della MyTurn.com, che si occupa di commercio elettronico. Pur avendo un ufficio a New York, il più delle volte lavora altrove, in località non proprio vicine come il Brasile, la Nuova Guinea e, ogni febbraio, alle isole Hawaii.26 Al di là dei casi individuali, tuttavia, anche le grandi aziende da tempo guardano con interesse alla pratica della delocalizzazione della forza lavoro. La At&t, società leader nel campo delle telecomunicazioni, è una delle più disponibili: il 25 per cento dei suoi manager ha lavorato fuori dal proprio ufficio una o più volte alla settimana e il 10 per cento lavora regolarmente da uffici virtuali, da casa o da altri posti ancora. Più eloquente di ogni commento è quanto affermato dal supervisore del settore telelavoro di questa compagnia telefonica, il quale si stupisce dello stupore altrui: "Me ne frega qualcosa se un mio manager lavora da un cafè parigino? No, niente".27 25 Cfr. STAGLIANO’, Telelavoro estremo l'ufficio è il mondo - Sid Heaton ha mantenuto il posto cambiando 5 paesi diversi e il 10% dei manager At&t ha abbandonato la scrivania, La Repubblica, 23 agosto 2000. 26 ibidem 27 ibidem 36 2.1.3. I CENTRI DI TELELAVORO E' stato detto, utilizzando un paragone semplice ma molto efficace, che il centro di telelavoro sta al telelavoro domiciliare come l'industria sta all'artigianato.28 Stante la loro maggiore complessità, i centri di telelavoro vengono identificati con più nomi, per rendere evidenti le possibili varianti dal modello generale. Tuttavia, a prescindere dalla concreta realizzazione di questa forma di telelavoro, l'elemento caratterizzante è dato dal concentramento di più telelavoratori in un'unica sede, non coincidente con quella aziendale vera e propria. I centri di telelavoro, detti anche telecentri, sono in genere degli uffici dotati di strutture condivise, i quali forniscono una serie di servizi, sovente destinati ai dipendenti di più società. Si tratta quindi di agenzie di servizi in cui più soggetti, variamente associati tra loro, operano tramite gli indispensabili supporti telematici, offrendo servizi informatici a terzi ovvero ad una o più aziende determinate.29 Si tratta innanzitutto di un mezzo per realizzare forme di decentramento che consentano di abbattere i costi aziendali. Le società più importanti non hanno interesse a mantenere in vita i grandi uffici situati tradizionalmente nelle zone urbane centrali, quelle in cui gli affitti sono più cari. D'altra parte installando dei centri di telelavoro in zone periferiche o extraurbane si va incontro all'esigenza dei lavoratori di ridurre il tempo destinato agli spostamenti da casa verso l'ufficio e viceversa, contribuendo così anche a decongestionare il traffico cittadino. Secondo un criterio che tenga conto del grado di esternalizzazione delle attività svolte nei centri di telelavoro, si va da strutture che sono ancora collegate con le sedi centrali delle aziende, i cosiddetti centri satellite, fino ai telecentri situati all'altro capo del mondo e gestiti da soggetti terzi rispetto alle aziende stesse. 28 29 Cfr. DUMÉNIL e ROUX, Le télétravail, City & York ed., Dublin, 1995. Cfr. PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. 37 I centri satellite, chiamati anche centri di vicinanza, prevedono l'uso delle tecnologie per consentire il collegamento operativo tra la sede centrale dell'impresa, dove permangono le funzioni di controllo o anche di produzione dell’offerta, e le sedi decentrate. In questo caso il lavoratore, invece di recarsi in ufficio, si sposta presso un centro vicino alla sua abitazione attrezzato per il telelavoro. Da lì entra in contatto con la sua azienda, scambia dati, carica e scarica programmi e quant'altro gli sarà necessario per pianificare e svolgere il suo lavoro.30 Con l'apertura di un centro satellite, l’azienda colloca pertanto una certa fase “telematica” della sua attività in luogo distinto dalla sede principale, solitamente vicino alle abitazioni dei telelavoratori. Il tempo dedicato dai dipendenti agli spostamenti viene così ridotto significativamente. La scelta, da parte del datore di lavoro, di impiantare un ufficio satellite è giustificata quando si ha un gruppo di lavoratori residenti in un'area geografica ristretta, i cui compiti ben si prestano al telelavoro e la cui professionalità è estremamente importante per l'azienda. Da un certo punto di vista la creazione di un centro satellite va quindi considerata quasi una sorta di benefit concesso ai lavoratori.31 I telecentri satellite aziendali o degli enti comunicano con la sede principale e con gli altri centri satellite, per cui la stessa sede centrale deve trasformarsi in un telecentro attrezzato per soddisfare le esigenze di comunicazione telematica. La delocalizzazione può riguardare operazioni limitate (elaborazione di testi, promozioni pubblicitarie) oppure fasi produttive relativamente integrate (distribuzione, gestione del magazzino delle parti di ricambio). In questa categoria di telecentri rientrano i centri di servizio pluriaziendali, soluzione tipica delle piccole e medie aziende, che creano un centro di servizi comuni per svolgere attività e/o operazioni con strumentazioni telematiche (telemarketing, telecontabilità, teleconferenza, teleriunioni), il cui onere economico non potrebbe essere sostenuto singolarmente. In tal modo è 30 Cfr. CIACIA e DI NICOLA, Manuale sulle best practice del telelavoro, Progetto occupazione NOW "Tielledì Telelavoro un'opportunità per le donne", patrocinato da S.I.T., Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Fondo sociale europeo, 2000 31 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 38 possibile continuare a beneficiare della maggior flessibilità alle variazioni della domanda di mercato consentita dalla dimensione ridotta delle piccole unità produttive. Stabilite le caratteristiche principali di un centro satellite, il numero dei dipendenti che lo utilizzeranno sarà poi determinato secondo tre parametri: economia di scala nell'uso di equipaggiamenti e servizi; mantenimento di una struttura gerarchica sufficiente per un'adeguata gestione in loco; sufficiente interazione.32 E' piuttosto evidente come questa forma di telelavoro sia molto vicina alla tipologia tradizionale dell'ufficio di filiale, presente da tempo in molte società. La differenza però consiste proprio nel fatto che mentre gli uffici di filiale hanno la funzione di occuparsi dei bisogni dei clienti o dei mercati locali, oggi gli uffici satellite possono essere situati lontano dagli uffici centrali, ma comunque svolgere la propria attività per l'intera organizzazione, usando reti telefoniche ed informatiche.33 Abbiamo visto come la scelta di ubicazione degli uffici satellite si basi solitamente sulla vicinanza alle abitazioni dei dipendenti, ma altre volte essa tende a privilegiare la possibilità di attingere a mercati del lavoro vantaggiosi, anche se geograficamente lontani. L'esistenza di centri specializzati per l'elaborazione dei dati, integrati nella struttura societaria ma situati in destinazioni cosiddette offshore (come i Caraibi, le Filippine e la Cina), mette ben in evidenza le prospettive globali di questo tipo di telelavoro. Il termine telelavoro offshore pare sia stato coniato da Management Technology Associates nel corso di uno studio sul telelavoro commissionato dal Dipartimento del commercio Britannico per il biennio 1992-1993. Secondo la definizione primigenia esso rappresenta una variante allo schema dell’ufficio remoto per cui il processo produttivo viene spezzettato e distribuito, in parte o totalmente, attraverso più nazioni. I call centres ne rappresentano l'esempio più conosciuto.34 32 Cfr. BRACCHI e CAMPODALL'ORTO, Progettare il telelavoro, Manuale per l’utilizzo, Franco Angeli editore, Milano, 1997. 33 Cfr. il Gruppo di Studio sul Telelavoro (G.S.T.): progetto di studio e ricerca in materia di telelavoro, in: www.geocities.com/ResearchTriangle/Lab/7290/index.html 34 Per un'ampia disamina sul fenomeno dei telecottages cfr. Commissione Europea: Status Report on European Telework “Telework 1997”, consultabile all’indirizzo: http://www.eto.org.uk/twork/tw97eto/ 39 Oggi può succedere che i clienti di una società statunitense ignorino che le loro richieste di assistenza telefonica vengano dirottate in Canada. Allo stesso modo chi chiama dall’Europa continentale può ricevere risposta dai call centres irlandesi o scozzesi. Ma l'estrema flessibilità di questi telecentri permette la loro delocalizzazione in ogni luogo del globo terrestre. Ad esempio la compagnia aerea tedesca Lufthansa ha un call center operativo a Città del Capo in Sud Africa, il quale gestisce le chiamate in eccesso di un centro gemello situato a Kassel in Germania. I call centers situati in Marocco servono una clientela spagnola e francese sempre maggiore.35 Tuttavia, secondo le linee di un recente sviluppo, i call centres utilizzano anche degli staff di telelavoratori a domicilio, ciascuno connesso ad un sistema centrale di smistamento delle chiamate attraverso collegamenti in rete. Ciò permette di distribuire le chiamate usando tecnologie automatizzate, in modo più semplice che non in un call center tradizionale. Questa forma di impiego dei telelavoratori può offrire una maggior flessibilità del personale, particolarmente negli orari di punta, ed è stata descritta come call center virtuale.36 Da quanto visto finora la tipologia dei centri satellite può quindi essere estremamente polimorfa. Si parlerà allora di ufficio satellite in senso stretto quando un'azienda decide di delocalizzare sul territorio una parte del proprio processo produttivo e ne è responsabile. Si tratta di una soluzione adottata per lo più dalle amministrazioni pubbliche, sensibili al problema del congestionamento dei trasporti nelle aree metropolitane, più raramente dalle grandi imprese. Tra i casi più significativi sono da annoverare le esperienze della contea di Los Angeles ed il progetto del comune di Roma. In quest'ultimo caso l'amministrazione comunale ha avviato un progetto volto a favorire il decongestionamento del traffico cittadino, che prevede una fase di sperimentazione del telelavoro da parte di circa 50 dipendenti comunali. Per far ciò è stato aperto un apposito ufficio 35 Cfr. NAIDOO e BELGHAZI, Where in the world?, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, february 2001 36 Cfr. DI MARTINO, The high road to teleworking, cit. 40 decentrato, attrezzato con postazioni telematiche, a disposizione dei telelavoratori più prossimi a tale localizzazione rispetto agli uffici comunali nel centro della città.37 Si parlerà invece di centro satellite monoimpresa quando sarà di proprietà di una singola azienda, la quale lo utilizzerà esclusivamente per i suoi dipendenti, per esempio al fine di utilizzare specialisti in aree territoriali distanti rispetto alla sede centrale. Non sempre l'impresa sarà responsabile della struttura fisica, rimanendolo però per le infrastrutture tecnologiche. Un esempio di tale struttura organizzativa è quello di Caridata in Italia, dove i lavoratori si sono associati per acquisire un luogo comune presso il quale svolgere la propria attività.38 Il terzo tipo di centro satellite è quello condiviso. In esso i sistemi informatici e telematici vengono condivisi da più utenti appartenenti ad imprese differenti. Per supportare adeguatamente il telelavoratore, questi centri possono fornire altri servizi accessori quali mense, aule per corsi, strutture di accoglienza per l'infanzia. Questa forma di lavoro a distanza garantisce un certo livello di interazione sociale, mentre le strutture gerarchiche sono generalmente assenti e la supervisione è ancora svolta in modo remoto. Un'evoluzione dei centri satellite condivisi ha trovato ampia applicazione nei paesi scandinavi e nel Regno Unito, in particolare nelle zone più remote ed economicamente arretrate, originando il fenomeno dei cosiddetti telecottages.39 La caratteristica prevalente di tali strutture risiede nella possibilità di venire utilizzate da individui appartenenti a realtà lavorative e aziendali differenti, ma accomunati dal fatto di risiedere nei pressi del telecentro stesso. Da un lato esso mette a disposizione sistemi informatici e telematici per lo svolgimento del lavoro da parte di dipendenti di aziende diverse, di professionisti autonomi, ovvero di giovani imprenditori che non sono in grado di sostenere privatamente il costo degli impianti. Dall'altro lato esso offre una serie di servizi collettivi (sale riunioni o conferenze, accesso a Internet, accesso a sistemi di video-comunicazione, biblioteca specializzata, centro informazioni, 37 Cfr. BRACCHI, CAMPODALL'ORTO cit. ibidem 39 ibidem 38 41 punti di ristoro, asili nido, corsi di formazione etc.) che, costituendo lo spazio comunitario 40 del telecentro, favoriscono l'informazione, la familiarizzazione con le tecnologie avanzate e la socializzazione dei suoi utenti.41 I telecottages, così chiamati a causa della loro origine nei villaggi delle zone rurali, sono considerati una classe speciale di telecentri. I primi telecottages vennero creati in Scandinavia, per poi diffondersi anche in altri Paesi europei come Irlanda, Francia, Inghilterra, Galles e Scozia. I telecottages vennero ricavati all'inizio nelle abitazioni rurali, negli edifici agricoli abbandonati o in scuole chiuse in seguito allo spopolamento, mentre oggi sono più di frequente alloggiati in uffici convenzionali. I telecottages hanno ulteriori funzioni, una delle quali è l'offerta formativa nel campo delle tecnologie del telelavoro. La formazione di competenze specifiche di rilievo può servire ad attrarre il lavoro di quelle aziende che sfruttano queste competenze, andando ad incentivare indirettamente lo sviluppo economico locale. Essi forniscono anche, alle organizzazioni ed alle piccole e medie imprese locali, un accesso alle attrezzature tecnologiche più costose per l’ufficio.42 I telecottages e gli analoghi telecentri di quartiere (o neighbourhood offices secondo la terminologia anglosassone) fungono quindi da infrastrutture di supporto alla comunità in aree periferiche o economicamente svantaggiate, come mezzo per stimolarne lo sviluppo economico. Questi telecentri forniscono una valida alternativa al telelavoro domiciliare, e possono anche evitare alle aziende l'onere di dover installare dei propri uffici satellite, in quanto l'eventuale allestimento dell'ufficio satellite viene delegato al telecentro stesso. Anche la pubblica amministrazione che utilizzi un telecentro può ottenere dei ritorni in termini di incremento dell’efficienza interna e di servizio verso i cittadini. In ogni caso, l’utilizzo di queste strutture permette di dar vita ad uno spazio comunitario di lavoro, che rende disponibili 40 Cfr. CEPOLLARO, Soluzioni organizzative, cit. da DI NICOLA e ROSATI, Telelavoro e disabili, Roma, marzo 2000, 58 pp. 41 Cfr. DI NICOLA e BUZZONI, Telelavoro, telecentri, teledidattica, IFOA, Reggio Emilia, 1999. 42 Cfr. Commissione Europea: Status Report on European Telework “Telework 1997”, cit. 42 anche servizi collettivi e che, quindi, rappresenta un punto di riferimento e un luogo di socializzazione per i telelavoratori.43 Cosa differenzia allora un telecentro da un telecottage? Non esiste una definizione ufficiale che stabilisca il significato di queste due parole, le quali sono anzi utilizzate sovente in modo alternativo e fungibile, pur indicando fenomeni non del tutto uguali. Un telecottage è di solito una struttura a base comunitaria, che serve a promuovere la formazione e l'accesso al lavoro per la comunità locale. Il termine telecentro individua invece una struttura più orientata a fini commerciali specifici, che rende disponibili delle postazioni di telelavoro alle persone che lavorano a tempo pieno ma vogliono farlo lontano dai loro uffici tradizionali senza per questo diventare telelavoratori domiciliari. In questo senso un telecentro è una sorta di centro di servizi ma con in più il necessario per accedere alle tecnologie informatiche e di rete. Il termine telecottage tende per contro ad enfatizzare il supporto sociale offerto ai suoi utenti, pochi dei quali lavoreranno a tempo pieno nel telecottage, mentre la maggioranza non usufruirà di tutte le attrezzature ma seguirà dei corsi di formazione oppure sarà connessa al telecottage da casa, dove può avere la sua base di lavoro.44 Dall'estensione del concetto di telecottage si è poi arrivati ai cosiddetti televillages. Il televillage altro non è che un’intera comunità di piccole dimensioni, estremamente integrata nel lavoro e in uno stile di vita innovativo. Tutto il paese è cablato, per cui ogni abitazione è completamente equipaggiata con una rete interna connessa alla rete del paese e, attraverso sistemi di comunicazione a larga banda, a tutto il mondo o, secondo un ricorrente neologismo, al villaggio globale.45 Nei telecentri propriamente detti il telelavoratore svolge invece la sua attività affittando, per un certo periodo di tempo, una postazione di lavoro dotata di sistemi telematici, sia essa in open space o in un ufficio singolo. Gli utenti possono essere dipendenti di aziende diverse, professionisti 43 Cfr. CIACIA e DI NICOLA, cit. Cfr. SIMMINS, What is the difference between a "Telecottage" and a "Telecentre"?, in: http://www.eto.org.uk 45 Cfr. Commissione Europea: Status Report on European Telework “Telework 1997”, cit. 44 43 indipendenti o piccoli imprenditori e possono utilizzare le attrezzature del centro temporaneamente o secondo turnazioni o tempi prestabiliti.46 I vantaggi offerti dai telecentri consistono principalmente nella ripartizione dei costi tra le imprese e nell'opportunità di sviluppo di zone periferiche o rurali. Tuttavia il loro sviluppo è ancora molto ridotto a causa degli elevati investimenti iniziali necessari e dei rischi ad essi associati. Telecentri di una certa importanza si trovano per lo più in Giappone e, in misura minore, negli Stati Uniti, dove sono disponibili appositi finanziamenti governativi.47 Tali strutture si trovano in genere nelle periferie delle città, in posti facilmente raggiungibili senza immettersi nel traffico cittadino e permettono un'ampia flessibilità di orario, per cui possono essere, al limite, aperti anche 24 ore su 24.48 46 Cfr. LASSANDRO, Il telelavoro nella residenza e nel terziario, Gangemi editore, Roma. Cfr. Gruppo di Studio sul Telelavoro (G.S.T.): progetto di studio e ricerca in materia di telelavoro, cit. 48 Cfr. FRANZA, Telework il futuro lavora a distanza, in: www.libreriaeditriceurso.com/Scritti%20vari/Telelavoro.html 47 44 2.1.4. L’IMPRESA VIRTUALE La necessità di ridurre i costi aziendali ha subito negli ultimi anni una brusca accelerazione, sia per questioni squisitamente economiche, sia perché l’uso delle nuove tecnologie ha permesso di realizzare a basso costo degli schemi lavorativi che in precedenza erano impossibili o si presentavano insostenibili in quanto troppo onerosi. Il modello rappresentato dall’azienda virtuale si configura in tal senso come la soluzione più adeguata ad organizzare l'offerta di beni e servizi sulla base delle tecnologie dell'informazione. La produzione e la fornitura di prodotti avviene mediante una rete di comunicazione che mette in contatto funzioni aziendali e persone che non necessariamente hanno la stessa sede e, il più delle volte, questa non è stabile. A queste condizioni l'impresa assume un vantaggio innegabile sui concorrenti. I costi fissi si riducono, l'organizzazione è più flessibile. L'azienda virtuale, infatti, permette di accedere ad un mercato più vasto superando i limiti della localizzazione fisica, e, inoltre, favorisce lo sviluppo dell'occupazione in aree geografiche depresse o isolate, nonché l'integrazione nel mondo del lavoro di soggetti portatori di handicap fisici.49 Si tratta quindi di un sistema produttivo distribuito, nel quale diverse piccole unità disseminate sul territorio svolgono le varie fasi del lavoro, comunicando telematicamente tra di loro.50 L’impresa virtuale esalta la figura del telelavoro, in quanto solo con la comunicazione a distanza delle varie unità produttive può trovare concreta applicazione. L'adozione del telelavoro permette alle imprese di disporre di una forza lavoro potenziale, per cui diventa possibile riunire rapidamente delle équipes per il raggiungimento di obiettivi specifici e puntuali, potenzialmente composte da lavoratori altamente qualificati e geograficamente dispersi. La costituzione di queste 49 50 Cfr. DI NICOLA e ROSATI, Telelavoro e disabili, versione elettronica di Claudio Cecchini, Roma, marzo 2000. Cfr. PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. 45 équipes con il ricorso ad una rete di telelavoro, potrà sfociare in costi molto inferiori rispetto a quelli derivanti dalla concentrazione geografica e temporale propria del modello di lavoro tradizionale. Il telelavoro potrà anche rendere possibile, per certe aziende, un recupero più pronto di quelle situazioni ostative legate all’utilizzo delle installazioni abituali, come nel caso di disastri naturali, condizioni climatiche avverse, scioperi nel settore dei trasporti, ecc. D’altro canto un’impresa di telelavoro a livello internazionale potrà superare più agevolmente i problemi dovuti ai differenti fusi orari e ai diversi orari e abitudini di lavoro, aumentando così ulteriormente la produttività.51 Vi sono molti esempi di aziende virtuali, anche di dimensioni rilevanti, come nel caso del Virtual office program sviluppato dalla società Boeing per la progettazione e costruzione di aeromobili.52 Questa tipologia di telelavoro viene indicata con una pluralità di espressioni. Si parla ad esempio anche di telelavoro office-to-office per indicare che si può rimanere tranquillamente seduti ad una scrivania posta in un ufficio tradizionale, ma allo stesso tempo far parte di un team disseminato per il mondo che lavora utilizzando tecniche di groupware o tramite Internet.53 Già oggi molti dei programmi informatici immessi in commercio, dai gestionali ai videogiochi, vengono prodotti secondo questo schema lavorativo. Gli analisti, i programmatori e gli esperti che collaborano con essi non sono quasi mai presenti fisicamente nella stessa sede, ma collaborano pur trovandosi in continenti diversi. Anche i grandi progetti di ricerca vengono sempre più svolti da scienziati che lavorano in laboratori posti a migliaia di chilometri di distanza, ma che tuttavia, grazie alle nuove tecnologie, formano comunque un gruppo coeso. E' il cosiddetto gruppo virtuale, che altro non è se non una modalità di telelavoro di tipo collettivo in cui i lavoratori condividono una spazio virtuale.54 51 Cfr. MISSAO PARA A SOCIEDADE DA INFORMAÇAO, Livro verde para a sociedade da informaçao em Portugal, 1997 52 Cfr. DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, february 2001 53 Cfr. DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 54 ibidem 46 Un'altra tipologia di impresa virtuale è rappresentata dai cosiddetti sistemi distribuiti d'ufficio (Distributed Business Systems), costituiti da più unità ubicate in località differenti ma collegate tra loro per mezzo di apparecchiature telematiche. Ogni unità realizza una fase differente del processo produttivo, andando a costituire il tassello di un sistema globale di produzione. In tal modo è possibile ottenere per alcune funzioni, come ad esempio la contabilità, economie di scala usualmente possibili solo in grandi impianti, e al tempo stesso beneficiare della maggior flessibilità consentita dalle piccole unità. Il collegamento delle diverse unità tramite canali di comunicazione ad elevata capacità consente di ottenere un sistema estremamente efficiente, capace di adattarsi in tempi ristretti alle variazioni della domanda del mercato, soprattutto quando questa è strutturalmente instabile. Nel caso in cui le unità siano piccole aziende indipendenti, esse possono lavorare separatamente oppure comporsi insieme a formare sistemi aziendali distribuiti, eventualmente diversi di volta in volta, a seconda delle condizioni di mercato.55 Una forma ancor più radicale di organizzazione decentrata del lavoro è l'ufficio virtuale. Questo termine descrive un'organizzazione in cui tutto il personale di una società lavora a distanza, comunicando attraverso tecnologie informatiche e telecomunicative. In tal modo la società non ha più la necessità di dotarsi di un ufficio centrale nel senso fisico del termine. Le aziende virtuali possono collegare tra loro lavoratori di nazioni diverse e diventare così delle vere e proprie teleimprese, cioè imprese che erogano servizi da una base remota rispetto ai clienti, ai quali sono collegati tramite reti telematiche.56 L’azienda virtuale è quindi un’azienda che esiste soltanto in rete, che non occupa uno spazio fisico delimitato, bensì spazi virtuali nella World Wide Web. La sua offerta può riguardare la fornitura di prodotti e/o l’erogazione di servizi, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi. 55 Cfr. CAMPODALL’ORTO e GORI, Conoscere il telelavoro: caratteristiche, esperienze, guida all’utilizzo, FrancoAngeli editore Milano, 2000, pp. 224. 56 Cfr. il progetto di studio e ricerca in materia di telelavoro, G.S.T. (Gruppo di Studio sul Telelavoro), in: www.geocities.com/ResearchTriangle/Lab/7290/index.html 47 I vantaggi di questo tipo di struttura, completamente basata sull’utilizzo delle nuove tecnologie, sono immediatamente evidenti: azzeramento dei costi fissi, accesso a un mercato illimitato, massima flessibilità organizzativa. In questo modo può poi venire facilitata la collaborazione tra più professionalità, senza la limitazione derivante da vincoli geografici.57 57 Cfr. CIACIA e DI NICOLA, Manuale sulle best practice del telelavoro, Progetto occupazione NOW "Tielledì Telelavoro un'opportunità per le donne", patrocinato da S.I.T., Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Fondo sociale europeo, 2000 48 2.2. LE TIPOLOGIE TECNICHE DEL TELELAVORO Negli ultimi venti anni le tecnologie dell'informazione hanno impresso un profondo mutamento sia alle nostre abitudini quotidiane che al mondo economico. La registrazione, l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni hanno subito un drastico abbassamento dei costi e dei tempi di memorizzazione. Tutto ciò ha influito sul modo di organizzare la produzione e la distribuzione di beni e servizi, comportando una ristrutturazione del lavoro in termini di competenze e di organizzazione delle imprese. Le classiche mansioni basate sulle funzioni, sulle tecniche e sui modelli tradizionali diventano inadeguate, soprattutto laddove è richiesta sia ai lavoratori che ai dirigenti una nuova cultura d'impresa, caratterizzata da flessibilità, impegno e capacità di prevedere e guidare le trasformazioni. Il processo di riorganizzazione delle imprese, in cui la flessibilità rappresenta un elemento cardine, si basa principalmente su procedimenti e sempre meno su funzioni specializzate, in cui i lavoratori svolgono sempre le stesse mansioni. Le imprese tendono così a trasformarsi da organizzazioni gerarchiche e complesse, con mansioni semplici, in organizzazioni meno gerarchiche, più decentrate e strutturate a rete, ma con mansioni più complesse. L'impresa moderna è stata descritta dall'Unione Europea con un paragone semplice ma efficace: il nuovo modello di azienda viene definito come "una flotta di piccoli battelli che compiono lo stesso percorso, piuttosto che come una petroliera guidata da un punto centrale".58 L'introduzione delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni nell’organizzazione del lavoro, comporta la necessità di una loro corretta integrazione all'interno dell'impresa, proprio al fine di ottenere una giusta combinazione di produttività, prestazioni e qualità. 58 Cfr. Commissione Europea, Vivere e lavorare nella società dell’informazione: priorità alla dimensione umana, Libro Verde, supplemento al Bollettino dell’Unione Europea, n. 3/96. 49 In tale contesto sono le piccole e medie imprese a poter trarre i maggiori vantaggi, poiché il nuovo tipo di realtà aziendale tende a favorire le piccole unità, decentrate e basate sul lavoro di gruppo, e come tali in grado di adeguarsi rapidamente alle esigenze del mercato.59 Tutto ciò è stato reso possibile dal progresso tecnologico, che ha introdotto nuove forme di flessibilità ed ha rivoluzionato il concetto tradizionale di sede di lavoro. Abbiamo già osservato in maniera dettagliata come il lavoro a distanza, grazie agli strumenti informatici, possa assumere varie forme in dipendenza del luogo in cui viene fornita la prestazione lavorativa. Si può infatti operare presso la propria abitazione, oppure in ambiente appartenente al datore di lavoro, o ancora, tramite un computer portatile, in qualsiasi luogo. Tuttavia anche le modalità tecniche con cui in pratica viene svolta l’attività telelavorativa sono molteplici ed in costante evoluzione. Da un lato vi sono le forme tradizionali di telelavoro, basate su di una postazione fissa, collegata tramite le linee telefoniche ad una sede aziendale centrale. Dall’altro vi sono forme di telelavoro più avanzate che sfruttano al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, in primis la rete Internet, i collegamenti senza fili (wireless) e le connessioni veloci tramite fibra ottica e ADSL (acronimo che sta per Asymmetric Digital Subscriber Line). Benché da un punto di vista strettamente giuridico le differenti tecnologie utilizzate non abbiano una grande rilevanza, appare lo stesso utile darne conto, anche in rapporto ai possibili riflessi sulla qualità del rapporto di lavoro che l’evoluzione delle tecnologie informatiche e telecomunicative sicuramente avranno negli anni a venire. In quest’ottica ci si limiterà quindi a descrivere succintamente le principali tipologie tecniche del telelavoro, rappresentate dal telelavoro tradizionale, dal telelavoro in Internet, dal telelavoro wireless e dalla videoconferenza. 59 Cfr. FELICI M.L., Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. 50 2.2.1. IL TELELAVORO TRADIZIONALE Le prime forme di lavoro remotizzato non consentivano un’interazione tra il computer del telelavoratore e l’apparato informatico dell’azienda per cui lavorava. Non era possibile uno scambio di informazioni contemporaneo nei due sensi, tra la sede e la postazione di lavoro remota. Il telelavoro inizialmente consisteva nel trasmettere dei dati alla sede dell'impresa attraverso l'utilizzazione di strumenti informatici come fax, e-mail, o anche un videoterminale. La definizione che ne viene data è di telelavoro one way, inteso come unidirezionale, oppure di telelavoro off-line, quando il collegamento si limita al momento della trasmissione delle informazioni elaborate in precedenza. In entrambi i casi il prestatore di lavoro, che pure svolge la sua prestazione al videoterminale, si limita quindi ad inviare, per via telematica o in altra forma, i dati elaborati alla sede dell'azienda madre. Questa tipologia di svolgimento della prestazione lavorativa a distanza costituisce un ostacolo, per il datore di lavoro, alle normali attività di controllo consentite dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori.60 In alcuni casi il controllo non è nemmeno concepibile, ad esempio quando il lavoratore si limiti ad inviare il prodotto della propria prestazione lavorativa resa al videoterminale alla sede aziendale, senza che si verifichi altro contatto tra quest'ultima ed il lavoratore. La direzione aziendale infatti si limiterebbe ad effettuare un controllo sul solo risultato prodotto dalla 60 Cfr. il cd “Statuto dei lavoratori”, Legge 20 maggio 1970, n. 300, Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento; Art. 4. (Impianti audiovisivi) “E' vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti.Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti. Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale. 51 prestazione lavorativa. Diversa rilevanza assume in tal senso l'ipotesi in cui il telelavoratore svolga la sua prestazione attraverso l'uso di un videoterminale che consenta però una comunicazione costante tra quest'ultimo e la sede dell'impresa. In quest'ultima evenienza, infatti, il rapporto che collega il telelavoratore (o meglio, il computer sul e con il quale egli opera) con il computer situato nei locali della direzione aziendale, non è un rapporto a senso unico, ma bidirezionale, nel senso cioè che abilita il datore di lavoro ad impartire direttive o ad effettuare controlli in tempo reale, interagendo cioè con il prestatore di lavoro. Nel telelavoro tradizionale quindi il telelavoratore potrebbe addirittura svolgere la sua prestazione senza alcun collegamento elettronico con l'azienda, semplicemente ottemperando ad istruzioni ricevute preventivamente da parte dei suoi superiori (o comunque in coordinamento con essi), con un controllo successivo rispetto al momento in cui vi è la prestazione d'opera. Il telelavoratore in questi casi potrà utilizzare software più o meno sofisticati a supporto della sua prestazione, ma la fase finale del trasferimento dei dati alla casa madre avviene in maniera molto artigianale per posta, attraverso la consegna di dischi di memoria (floppy, compact, dvd) o inviando files via modem. E’ il cosiddetto telelavoro off-line, privo di un’interazione virtuale tra lavoratore e datore di lavoro.61 Stante il continuo progresso delle tecnologie dell’informatica e delle telecomunicazioni, che negli ultimi anni hanno permesso una sensibile diminuzione dei costi, questa forma di telelavoro sta via via lasciando il passo a forme più evolute, come il telelavoro in Internet o quello wireless. Resta tuttavia uno strumento utilizzabile per tutte quelle attività che richiedono un basso livello di qualificazione professionale e per le quali non è strettamente necessario dialogare con altri computer, sia aziendali che esterni all’azienda. Si pensi ad esempio all’immissione di grandi quantità di informazioni nelle banche dati, per cui sta sempre più prendendo piede un processo di esternalizzazione da parte delle imprese, al fine di ridurre i relativi costi. 61 Cfr. VALLARELLI, Il telelavoro, in: Il lavoro flessibile, Giuffré ed., Milano, 2002, pp. 37-105. 52 2.2.2. IL TELELAVORO IN INTERNET Le reti informatiche sono oggi alla base della maggior parte delle attività economiche in tutto il pianeta. Un numero enorme, sempre maggiore, di aziende lavora utilizzando sistemi informatici costituiti da computer e reti di comunicazione, al centro delle quali si trova Internet. Prima di esaminare quale importanza ha avuto, e potrà avere, Internet nello sviluppo del telelavoro, occorre però spiegarne concisamente l’origine e la natura. La storia di Internet inizia nel 1969, quando il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti decise di innovare e potenziare il sistema di comunicazioni militari, realizzando una rete di collegamenti che sfruttavano le tecnologie più avanzate nel campo delle telecomunicazioni. Successivamente venne creata la rete Arpanet, la quale ambiva a collegare i computer di numerose Università americane. Nel 1972, utilizzando Arpanet, l'Università dello Utah riuscì ad allestire un sistema informatico per controllare un computer a distanza, rendendo possibile trasferire file da un computer all'altro della rete per mezzo del protocollo ftp (File Transfer Protocol). Quel che ancora rimaneva da dimostrare era se i dati sarebbero potuti fluire tra due macchine di tipo diverso, utilizzando i tipi più disparati di collegamento (incluso l'etere). L'esperimento chiave in questo senso fu condotto nel 1978: un computer che viaggiava a bordo di un autocarro su un'autostrada californiana inviò dati a un altro computer che si trovava a Londra. L'autocarro era collegato via radio con un terzo computer in California, il quale inoltrava le informazioni sulla rete, queste attraversavano l'intero continente nordamericano su linee terrestri e infine superavano l'Atlantico per mezzo di una connessione satellitare. Già nel 1980 Arpanet era divenuto uno strumento vitale per le università e per i centri di ricerca statunitensi, che avevano un bisogno sempre maggiore di scambiare informazioni e di coordinare le proprie attività. Nacque così la posta elettronica che si affiancava al semplice 53 trasferimento di files. La primitiva posta elettronica degli esordi ha consentito a persone distanti tra loro di lavorare assieme con successo, realizzando i primi veri fenomeni di lavoro a distanza.62 Nel 1983 Internet divenne a tutti gli effetti la rete delle reti, utilizzando Arpanet come dorsale, cioè come rete ad alta velocità che unisce tra loro le altre reti locali. Oggi, dopo l'avvento delle interfacce grafiche che ne facilitano la navigazione, Internet è diventato uno strumento di massa, aperto alla divulgazione di notizie e alla vendita di prodotti e servizi, anche se questo tipo di attività è ancora proibito in molte delle sue aree. Secondo stime recenti gli utenti Internet nel mondo sono già più di un miliardo e le proiezioni fanno pensare ad una crescita tale da raggiungere entro il 2011 la quota di due miliardi di persone collegate alle Rete.63 Le stesse fonti collocano l’Italia all’8° posto nel mondo come numero di utilizzatori della Rete, con oltre 28 milioni di persone. E’ evidente che la diffusione di Internet ha riguardato prevalentemente le nazioni più industrializzate, tuttavia tra i primi 15 Paesi al mondo, quanto a numero di connessioni, si trovano la Cina, l’India, l'Indonesia, il Brasile ed il Messico. L’ampia diffusione di Internet lo rende uno strumento del tutto accessibile per poter telelavorare, in quanto consente un facile collegamento tra il computer che si trova nell’abitazione del telelavoratore ed il sistema informatico dell’azienda per cui lavora. E’ sufficiente disporre di una connessione, cioè di una linea telefonica che unisca i due luoghi e trasporti le informazioni. Per questo motivo è importantissimo scegliere attentamente il tipo di linea che si decide di utilizzare. E’ possibile optare per la linea commutata analogica tradizionale, per la tecnologia ADSL e, ove possibile, per le fibre ottiche. La linea commutata è la normale linea telefonica tradizionale, per cui è sufficiente possedere un computer dotato di modem per connettersi alla Rete. Il problema è che la linea commutata è relativamente disturbata e non consente una velocità elevata nella trasmissione dei dati. Tale velocità si misura in bit per secondo (b/s), e di norma non raggiunge i 100 Kb/s, rendendo possibile 62 Per alcuni dettagli sugli esordi di Internet e sugli scopi militari della prima Rete cfr. CAVALLINI A., Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 63 Per un elenco completo, nazione per nazione, degli utilizzatori di Internet cfr. il sito della Computer Industry Almanac Inc., società statunitense fondata nel 1986 che effettua ricerche di mercato nel settore industriale informatico: http://www.c-i-a.com/pr0904.htm 54 la trasmissione di documenti di testo e della posta elettronica, ma non il trasferimento di file di dimensioni superiori, come ad esempio immagini fotografiche, grafici, disegni, ecc. La linea ADSL sfrutta invece una tecnologia che consente, senza interventi strutturali, di trasformare le normali linee analogiche in linee digitali, per fornire elevate velocità di accesso ad Internet. In questo modo è possibile supportare contemporaneamente i servizi di fonìa e di trasmissione dati. La linea è definita "asimmetrica" in quanto consente due capacità diverse per la trasmissione e la ricezione. Per questo motivo quando vengono descritte le caratteristiche di una linea ADSL si indicano due velocità potenziali, una in entrata (download) e una in uscita (upload). Le velocità massime raggiungibili in questo modo sono oggi 40 Mb/s in download e 512 Kb/s in upload, diventa così agevole trasmettere documenti piuttosto complessi e gestire software per le videoconferenze. L’ADSL fornisce quindi molti vantaggi, tra i quali va segnalata la possibilità di avere a tutti gli effetti una linea completamente dedicata, con accesso ad alta velocità ad Internet, lasciando immutata la disponibilità dei servizi di telefonia. Ancora più veloce è la trasmissione dei dati su fibra ottica, servizio che per ora non ha ancora una grande diffusione restando riservato ai grandi centri urbani e ad alcune città minori. La velocità di trasmissione può raggiungere i 4 Gb/s, ossia 100 volte più che con l’ADSL e quasi 40.000 volte la linea telefonica analogica tradizionale. L’uso delle fibre ottiche può ottimizzare l’utilizzo di tutte quelle applicazioni informatiche che necessitano dello scambio di grandi quantità di informazioni in tempi brevissimi e con un livello di sicurezza e di precisione superiore. Oltre alla scelta della connessione è anche importante la scelta delle apparecchiature informatiche. Oggi sono disponibili, ad un prezzo contenuto rispetto al passato, strumenti anche piuttosto complessi. La dotazione minima comprende comunque un personal computer dotato di modem, un monitor, una stampante ed uno scanner. Per quel che riguarda i programmi che il telelavoratore utilizzerà, è evidente che essi varieranno a seconda del tipo di attività che viene richiesta. Un giornalista userà dei software di scrittura e pubblicazione dei testi, un grafico dei programmi di grafica e così via. Forse l’unico 55 programma che tutti i telelavoratori utilizzano è quello relativo al ricevimento ed all’invio della posta elettronica. Le aziende che forniscono prodotti informatici sovente ricorrono al termine groupware per indicare un insieme di programmi che consentono genericamente di lavorare a distanza. Essi comprendono in genere la posta elettronica ed un’agenda informatizzata con la quale è possibile organizzare incontri controllando le singole agende dei colleghi e stabilendo una data ed un’ora soddisfacente per tutti. Alcuni groupware consentono di scrivere testi, articoli e libri a più mani, evitando sovrascritture e sincronizzando le versioni e revisioni dei vari autori. Un altro esempio, riferito di solito a progettisti e creativi, è rappresentato dalle cosiddette “lavagne virtuali” comuni, su cui è possibile disegnare con il mouse in modo che ciò che viene tracciato da uno sia visibile da tutti gli altri.64 Una volta che il telelavoratore disponga di un accesso a Internet e delle strumentazioni hardware e software adeguate, diventa possibile operare a distanza per mezzo della Rete. Rimane però aperto un problema di importanza primaria, quello della sicurezza delle informazioni e della loro protezione da possibili attacchi esterni (virus, trojan, hacker, ecc.). Per quest’ultimo aspetto è evidente che spetta al datore di lavoro dotare la postazione di telelavoro di tutte le protezioni sufficienti e necessarie a prevenire eventuali attacchi. Per quanto riguarda invece la sicurezza delle informazioni trasmesse e la genuinità della loro provenienza, oggi sono disponibili numerosi programmi che permettono di accedere a determinati siti solo grazie alla cosiddetta firma digitale, per la quale vale pena di approfondire il discorso. La firma digitale può essere definita l'equivalente elettronico di una tradizionale firma apposta su carta, assumendone lo stesso valore legale. Essa è associata stabilmente al documento informatico e lo arricchisce di informazioni che attestano con certezza l'integrità, l'autenticità e la non ripudiabilità dello stesso. 64 Cfr. CAVALLINI A., cit. 56 Dal punto di vista del telelavoratore, pur essendo fondamentale trasmettere dati in sicurezza, è inoltre importante ricevere e conservare le prove informatiche delle operazioni effettuate. La firma digitale si basa su certificati elettronici rilasciati da soggetti definiti "certificatori", i quali hanno il compito e la responsabilità di garantire l'associazione tra firma digitale e titolare, pubblicare sul proprio sito l'elenco dei certificati delle chiavi pubbliche dei titolari che si sono avvalsi dei loro servizi di certificazione, mantenere aggiornato l'elenco pubblico dei certificati sospesi o revocati. L'Italia è stata tra i primi paesi dell'Unione Europea a dare piena validità giuridica alla firma digitale attraverso vari interventi normativi, anche di contenuto tecnico, tra i quali il più significativo è il cosiddetto Testo Unico sulla documentazione amministrativa65, seguito dal D.Lgs. n. 10 del 15 febbraio 2002 il quale ha dato attuazione ad una specifica direttiva comunitaria.66 Il D.Lgs. n. 10 del 2002 attribuisce al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, detta anche “forte” perché basata su un certificato qualificato e creata con dispositivo sicuro, l'efficacia probatoria del documento sottoscritto e riconosciuto, per cui il titolare, per disconoscere il documento redatto con tale strumento, dovrà attivare il complesso procedimento della querela di falso. Alla sottoscrizione con firma digitale “forte” viene perciò data la medesima validità giuridica di una firma autografa autenticata da un pubblico ufficiale. A tutte le altre tipologie di firme elettroniche, cioè quelle cui mancano una o più delle caratteristiche delle firme “forti”, viene esplicitamente conferito valore probatorio. In un procedimento legale tali firme elettroniche dovranno essere di volta in volta prese in esame dal giudice, il quale deciderà, presumibilmente con l’ausilio di un perito, se ammetterle quali prove in giudizio.67 65 Si tratta del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2001 – Supplemento Ordinario n. 30 66 Direttiva n. 1999/93/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 1999, relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche, Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L13 del 19.01.2000, pagg. 12-20 67 Per un approfondimento sul tema cfr. CENTRO NAZIONALE PER L’INFORMATICA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (C.N.I.P.A.), Linee guida per l’utilizzo della firma digitale, versione 1.1, maggio 2004. 57 La parificazione della firma digitale alla firma autografa autenticata, almeno nel nostro ordinamento, apre la porta ad ulteriori possibilità di sfruttamento del lavoro remoto. Oggi è infatti possibile compiere atti, inviare documenti e certificare a distanza, senza doversi recare per forza negli uffici pubblici. E’ quindi da prevedere nel prossimo futuro un grande sviluppo delle attività telelavorabili per le quali la necessità di certificare la firma su di un documento costituiva fino a poco tempo fa un ostacolo insormontabile. Un’altra caratteristica del telelavoro in Internet, altrimenti detto telelavoro on-line, è quella di consentire al datore di lavoro di intervenire in qualsiasi momento dell'esecuzione della prestazione lavorativa, instaurando con il prestatore di lavoro un rapporto di dialogo diretto, quasi annullando la distanza che invece intercorre tra la sede dell'impresa ed il luogo ove viene svolta la prestazione lavorativa. Questa situazione pone dei problemi da un punto di vista giuslavoristico, a causa di una possibile collisione con l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Da più parti infatti è stato sottolineato come potrebbe dubitarsi della stessa ammissibilità giuridica del telelavoro on-line, rappresentando esso una modalità di esecuzione della prestazione in radicale ed insanabile contrasto con tale disposizione. Potrebbe invero osservarsi, almeno secondo una valutazione più attenta alla sostanza che alla forma, che la possibilità di una siffatta collisione possa in realtà escludersi, in considerazione del fatto che tutte le esperienze di telelavoro prese in esame si sono basate sul consenso del prestatore di lavoro. Il telelavoro viene instaurato quasi sempre su base volontaria e non è mai frutto di un'imposizione unilaterale del datore di lavoro. Così argomentando potrebbe concludersi che il lavoratore che accetti di svolgere la sua prestazione di lavoro tramite Internet, si assoggetti anche ai necessari controlli, o comunque accetti la interattività che connota la prestazione di lavoro on-line. In questo modo eventuali possibilità di controllo da parte del datore di lavoro, scaturenti dalle stesse modalità di svolgimento della prestazione, non potrebbero mai considerarsi assimilabili a dei 58 controlli occulti o svolti in maniera subdola, non integrando la fattispecie di controllo vietata dal primo comma dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori.68 68 Su quest’ultimo aspetto della prestazione di lavoro in Internet cfr. le acute osservazioni di GAETA e PASCUCCI, Telelavoro e diritto, Giappichelli Editore, Torino, 1998. 59 2.2.3. IL TELELAVORO WIRELESS Due fenomeni concomitanti stanno rendendo più semplice la diffusione del telelavoro nelle imprese. Si tratta delle comunicazioni senza cavo (o wireless secondo la terminologia anglosassone) e delle nuove tecnologie disponibili per i computer portatili. Grazie alla diffusione di questi strumenti è diventato veramente possibile lavorare in ogni luogo e soprattutto si può ampliare a dismisura il ventaglio delle attività telelavorabili. Il sistema wireless si basa su un apparato composto da trasmettitori e ricevitori che sfruttano le onde radio per trasferire i dati. I sistemi senza cavo possono funzionare in due modi differenti: con collegamenti punto-punto, tramite parabole o antenne direzionali collegate al computer, che permettono velocità altissime nel trasferimento dati (oltre 100 Mb/s), oppure con collegamenti multipli tramite il protocollo WTP (Wireless Transport Protocol), l'analogo del protocollo TCP/IP in Internet. I terminali possono essere rappresentati da telefoni cellulari, apparecchi dedicati, minibrowsers, clients di posta eletronica, i quali sono collegati con tecnologia wireless ad un ingresso controllato (gateway) che consente il collegamento alla rete. Lo sviluppo della tecnologia wireless ha offerto nuove opportunità lavorative a tutti coloro i quali hanno necessità di spostarsi e di avere al tempo stesso la possibilità di accedere e di scambiare grandi quantità di dati e informazioni. L’esempio tipico è rappresentato dagli agenti di commercio, i quali possono trovarsi nella condizione di consultare delle voci fuori catalogo per dare una risposta immediata al cliente quando si trovano presso la sede di quest’ultimo. Può essere ancora il caso degli imprenditori, dei giornalisti e dei ricercatori che operano all'estero, magari in luoghi privi di infrastrutture telefoniche, e di tutti coloro che possono avere necessità di navigare in Internet pur non avendo a disposizione un personal computer ed un collegamento via cavo ad un provider. 60 Quando si parla di Wireless Broadband, ossia di larga banda con servizi senza filo, solitamente si fa riferimento a due specifiche tecnologie chiamate L.M.D.S. (Local Multipoint Distribution Services) e M.M.D.S. (Multichannel Multipoint Distribution System). L.M.D.S. è un sistema di distribuzione in cui il segnale parte da un trasmettitore e raggiunge fino a 4.000 diversi ricevitori con velocità che potranno presto arrivare a più Gb/s. Tuttavia le attuali apparecchiature riceventi non possono essere collocate a più di cinque chilometri da quelle trasmittenti e, soprattutto, non devono esserci ostacoli frapposti tra di loro come palazzi o alberi. Anche M.M.D.S. è un sistema punto-multipunto, ma il segnale può propagarsi per distanze maggiori e non soffre di particolari problemi dovuti alle interferenze di ostacoli fisici. La velocità è però inferiore, raggiungendo al massimo i 20-30 Mb/s) e, anche a causa dei costi minori, trova la sua applicazione ideale nel mercato dell’home office. Va poi tenuto presente che l’assenza di cavi può permettere a chi telelavora presso il proprio domicilio di svincolarsi dalla postazione fissa del telelavoro tradizionale, per cui ogni locale dell’abitazione può fungere da ufficio così come anche i giardini o i terrazzi durante la bella stagione. Benché in Europa l'arrivo di queste nuove tecnologie sia piuttosto recente, le nazioni più accorte, tra le quali non figura l'Italia, hanno già provveduto ad emanare dei regolamenti per la concessione delle licenze (tramite aste o concessioni dirette da parte dello Stato). In Italia ci si è limitati ad avviare nel 1999 una "Consultazione pubblica per un'indagine conoscitiva sulla diffusione dei sistemi punto-multipunto a larga banda (wireless local loop)".69 Da allora si attende la pubblicazione del bando di gara, probabilmente sotto forma di asta, con cui verrà anche stabilito il numero di concessioni disponibili, sia a livello nazionale che regionale. 69 All’indirizzo Internet http://www.agcom.it/provv/sintesi_wll.htm#01 sono disponibili le risultanze della consultazione condotta nel 1999 dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. 61 2.2.4. LA VIDEOCONFERENZA Con lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la disponibilità di connessioni telefoniche capaci di trasmettere grandi quantità di dati per unità di tempo, è diventato possibile comunicare non più soltanto in voce ma anche in immagine. Ci si può avvalere del videotelefono, con il quale però la comunicazione per il momento è limitata a due soggetti, oppure direttamente tramite il personal computer che, con una semplice videocamera ed appositi software, consente di comunicare contemporaneamente con molteplici interlocutori. Il miroir téléphotique che Jules Verne descrisse un secolo fa in un racconto di fantascienza è diventato realtà e si chiama videoconferenza.70 La videoconferenza consente a due o più persone di colloquiare ed interagire vedendosi reciprocamente tramite computer. Oltre ad aver bisogno di una linea veloce e relativo modem, la videoconferenza necessita di un personal computer dalle elevate prestazioni, dotato di una apposita scheda che permetta di collegare telecamera e microfono. Fino a pochi anni fa sussistevano dei problemi tecnici quando si cercava di utilizzare prodotti hardware e software di produttori diversi, in quanto la compatibilità reciproca non era mai garantita, nonostante esistessero già degli standard riconosciuti. Ciò poteva comportare delle difficoltà impreviste come quando, nel novembre 1996, la Telecommunications Managers' Association (l’associazione di chi si occupa professionalmente di telecomunicazioni in Gran Bretagna) organizzò una videoconferenza tra i suoi membri che, per l'occasione, si trovavano in parte a Glasgow e in parte a Brighton. Questa videoconferenza non funzionò neppure per un minuto, sebbene lo scopo di quell’incontro fosse proprio la dimostrazione dei progressi più recenti nelle tecnologie applicabili alla videoconferenza.71 70 71 Cfr. § 1.1 L’origine del fenomeno. Episodio descritto da CAVALLINI., Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 62 In Italia è stata la società Telecom ad organizzare per prima uno specifico servizio di videoconferenza. Nelle principali città italiane sono state allestite, con tariffe relativamente convenienti, delle attrezzatissime sale per videoconferenza, con l’assistenza di personale appositamente formato. In questo modo un’azienda che abbia più sedi disseminate sul territorio nazionale può organizzare regolarmente delle videoconferenze, come alternativa più conveniente allo spostamento di decine di persone dalle sedi periferiche alla sede centrale. Se poi il collegamento è intercontinentale, il risparmio è ovviamente ancora maggiore. In Italia, secondo le stime di Telecom, sono oltre seicento le aziende che utilizzano quasi quotidianamente la videoconferenza come strumento di lavoro, mentre le sofisticate sale di videoconferenza, sia pubbliche sia private, sono circa duemila. Ma, al di là dei saltuari incontri aziendali, quanto può essere utile la videoconferenza per un telelavoratore? Considerando che oggi i costi non sono più proibitivi come in passato, la videoconferenza sta diventando uno strumento di lavoro comune, utilizzabile in tutte quelle situazioni in cui può essere di qualche utilità avere una visione delle persone o dell’ambiente ad esse circostante. Non va dimenticato infatti che i normali programmi che consentono di effettuare una videoconferenza, permettono anche di scambiare contestualmente dei documenti, di lavorare sulle cosiddette “lavagne virtuali”, di interagire come se ci si trovasse a tutti gli effetti a condividere lo stesso spazio fisico. Una particolare applicazione della videoconferenza riguarda la partecipazione alle riunioni degli organi societari, stante la possibilità tecnica di presenziare a tutti gli effetti anche se non fisicamente. E’ noto che nel nostro ordinamento spetta ai soci stabilire le norme sul funzionamento delle società e ciò può avvenire solo nel rispetto delle norme inderogabili fissate dal legislatore e a condizione che venga predisposta una disciplina tale da consentire il regolare funzionamento degli organi sociali. Con riferimento a questa premessa ci si può domandare se sia lecito tenere riunioni del consiglio di amministrazione e dell'assemblea dei soci in videoconferenza. E’ evidente che un siffatto svolgimento delle adunanze societarie evita la necessità che i soggetti che vi devono 63 partecipare si trovino materialmente nel luogo in cui si svolge l'assemblea, potendosi invece trovare in quel momento in qualsiasi altro luogo. Si pensi ad esempio ai vantaggi che possono trarne i consigli di amministrazione delle multinazionali, i cui membri normalmente siedono in più consigli di varie società con sedi in nazioni diverse. Per l'organo amministrativo, inoltre, lo svolgimento delle riunioni in videoconferenza assume un'importanza particolare in considerazione del divieto di intervento per delega. Sotto un altro profilo introdurre nello statuto delle società la possibilità di svolgere le riunioni in videoconferenza, potrebbe contribuire a ridurre il fenomeno, assai diffuso nella pratica, delle adunanze del consiglio di amministrazione tenute solo sulla carta. Con riferimento all'assemblea dei soci, il diffondersi dell'introduzione di clausole statutarie che ne rendano possibile lo svolgimento in videoconferenza, potrebbe agevolare la partecipazione delle minoranze, attraverso riunioni contestuali che si tengano presso le varie filiali della società o magari in ogni capoluogo di regione. Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione è innanzitutto da osservare che il nostro codice civile detta una disciplina per il suo funzionamento assai scarna. Tuttavia in alcuni statuti sono state inserite delle clausole che prevedono la possibilità che il consiglio di amministrazione si svolga anche tramite videoconferenza. È da ritenere che, nella sostanza, siano rispettate le condizioni poste dalla legge per lo svolgimento delle riunioni una volta che sia consentito al presidente del consiglio di accertare l'identità degli intervenuti, di regolare lo svolgimento dell'adunanza e di constatare e proclamare i risultati della votazione. Deve inoltre essere consentito agli intervenuti di partecipare alla discussione e alla votazione simultanea sugli argomenti all'ordine del giorno. Infine va identificato con certezza il luogo in cui si tiene virtualmente la riunione, garantendo a ciascuno dei partecipanti la possibilità di ricevere e/o trasmettere documenti. Va sottolineato come il terzo comma dell'art. 2388 c.c., che prevede che il voto non possa essere dato per rappresentanza, non osta alla realizzazione in videoconferenza del consiglio di amministrazione. In effetti la ratio della norma consiste nel fatto che il voto rappresenta un ufficio 64 personalissimo per cui chi ne è investito non può farsi sostituire né rappresentare e, d'altra parte, la discussione che deve precedere la deliberazione di quest'organo deve considerarsi come un elemento essenziale del funzionamento collegiale del consiglio. Sotto questi profili la partecipazione in videoconferenza e la manifestazione del voto non incide sulla natura personalissima dell'ufficio. Risulta però fondamentale che il presidente dell'assemblea possa verificare l'identità dei partecipanti almeno attraverso la proiezione dell'immagine animata del volto, se non con strumenti di verifica elettronica dell’identità o attraverso la cosiddetta firma digitale.72 In definitiva si può affermare che la videoconferenza rappresenta una risorsa tecnicamente avanzata per l’integrazione e lo sviluppo delle varie forme di lavoro a distanza. Abbiamo visto in breve sintesi come possa incidere nel diritto societario, ma nel concreto può trovare applicazione in molti altri settori, basti pensare alla possibilità di organizzare meeting e di condividere documenti all’interno di gruppi di lavoro, con un deciso miglioramento nell’efficienza delle attività di cooperazione. Vanno comunque tenuti in considerazione anche i possibili riflessi psicologici, per cui l’utilizzo della videocomunicazione può servire a mitigare il senso di isolamento cui certe categorie di telelavoratori rischiano di essere soggette. L’importanza della videoconferenza, quanto meno in prospettiva, emerge anche dalla lettura di un progetto di legge presentato al Senato della Repubblica. 73 In un suo articolo si prevede che siano predisposti dal datore di lavoro strumenti idonei per la partecipazione dei telelavoratori, in via telematica, alle assemblee sindacali di cui all’articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, oppure che vengano poste in essere altre misure idonee a garantire che la distanza tra il luogo della prestazione lavorativa e quello della riunione non impedisca la partecipazione all’assemblea. 72 Per una disamina completa sull’uso della videoconferenza in ambito societario cfr. GUIDOTTI, Riflessioni sull’ammissibilità della partecipazione virtuale alle riunioni degli organi societari (anche con riferimento alla riforma delle società non quotate), Ciberspazio e diritto, n. ¾, 2002, pp. 345-359. 73 SENATO DELLA REPUBBLICA, XIV LEGISLATURA, disegno di legge n. 17, Norme per la tutela e la promozione del telelavoro, d’iniziativa del senatore Pizzinato, presentato in data 30 maggio 2001. 65 L'idea è interessante ma, al momento, di difficile concretizzazione, a causa delle difficoltà intrinseche. Infatti, perché l'assemblea sia regolare, dovremmo immaginare un locale dell’azienda sufficientemente ampio, come una sala mensa, dotato per l'occasione di monitor e telecamere, tramite le quali i telelavoratori in videoconferenza possano seguire (essendo a loro volta visti dai colleghi) la riunione, intervenire e infine votare. Che il processo sia troppo difficile e costoso se ne è reso conto anche il relatore del disegno di legge prevedendo che possano concordarsi tra le parti delle misure alternative per garantire la partecipazione anche ai lavoratori distanti e, inoltre, che la contrattazione possa differire o escludere tale diritto per determinati settori produttivi, aziende o territori. Questo articolo avrebbe però una sua importanza, in quanto lascerebbe lo spazio per sperimentare, anche da parte del sindacato, sistemi nuovi per la partecipazione, come l'assemblea telematica, che sarebbe sin d'oggi utilizzabile in molte aziende. 66 2.3. ASPETTATIVE E CONSEGUENZE DEL TELELAVORO Un'azienda che intenda avviare forme di telelavoro al suo interno, non può basare il proprio funzionamento su di un'organizzazione tradizionale, tayloristica del lavoro. E' necessaria, al contrario, una struttura organizzata per processi, fondata su principi di decentramento e flessibilità, in cui il fulcro della produzione si sposti dalla lavorazione di materie e dalla realizzazione di beni materiali al trattamento e alla diffusione dell'informazione e della conoscenza. Si tratta insomma di dar vita ad un nuovo ambiente interno, caratterizzato dal passaggio da strutture di tipo meccanico, incentrate su rapporti gerarchici, su stili burocratici e di chiusura rispetto all'esterno, a strutture più organiche, aperte al mercato e fondate su ruoli orientati all'individuazione e alla soluzione di problemi, che presuppongono cooperazione e comunicazione, dentro e fuori l'azienda, incentrate sull'autonomia e sugli impegni reciproci dei soggetti coinvolti.74 In tale contesto il ruolo del lavoratore muta profondamente, non è più colui che obbedisce e realizza un prodotto concreto, ma è chiamato a comprendere, coordinare, programmare e, perché no, inventare. Fulcro dell'attività diviene il lavoro creativo e ideativo. Esso è sempre più caratterizzato da compiti di controllo e di regolazione di eventi, da processi informativi e decisionali, che si fondano sull'elevata conoscenza dei processi stessi e sulla responsabilità. Tutto ciò comporta un processo irreversibile, che si identifica nella gestione innovativa e flessibile delle risorse umane. Il sistema di gestione deve adattarsi non solo alle esigenze del sistema produttivo ma anche e soprattutto a quelle degli individui che vi operano. È chiaro pertanto che l'utilizzo del telelavoro può avere profonde implicazioni sia sul sistema organizzativo che lo implementa sia sui singoli individui coinvolti e che le stesse implicazioni possono assumere una valenza positiva o negativa a seconda della specificità delle situazioni che caratterizzano gli attori interessati. 74 Cfr. TRABUCCHI, L'impresa-comunicazione fra politica e mercato, Milano, Franco Angeli, 1993, cit. da Di Nicola (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 67 Come tutte le innovazioni, sia che se ne esamini la natura squisitamente tecnologica oppure se ne osservino le conseguenze sociali, il telelavoro presenta quindi molte sfaccettature. Secondo la maggior parte degli studiosi i polimorfi aspetti con cui si presenta il telelavoro possono essere classificati o come positivi o come negativi, ed in effetti quasi tutti i libri che trattano di telelavoro hanno un capitolo dedicato a vantaggi e svantaggi di questo modo di lavorare. Talvolta questa summa divisio non convince del tutto, in quanto vi sono dei settori per così dire grigi, in cui non è sempre facile stabilire se una certa situazione sia del tutto positiva o al contrario negativa. Nella nostra esposizione cercheremo quindi di essere il più possibile neutri di fronte a quanto proposto dalle diverse fonti, le quali sono ovviamente influenzate dal punto di vista prospettico dal quale il fenomeno viene osservato. Per chiarire il concetto può essere utile ricorrere ad un semplice esempio: quando due coniugi stanno separandosi, telelavorare a domicilio è da considerarsi un vantaggio o uno svantaggio? E’ poi probabile che un aspetto che per il telelavoratore presenta connotati di negatività potrebbe non essere tale per il datore di lavoro. Le aziende, private o pubbliche, grandi o piccole, vedranno con favore il telelavoro quale strumento idoneo ad incrementare produttività e flessibilità risparmiando sui costi. Al contrario i lavoratori dipendenti saranno attratti dalla possibilità di accordi di lavoro più flessibili che consentano di lavorare presso il proprio domicilio. Vi sono poi dei benefici che interessano potenzialmente tutta la collettività, come la riduzione della congestione del traffico, dei livelli di inquinamento e dei consumi energetici.75 Volendo esaminare per primi gli aspetti tendenzialmente positivi, una buona base di partenza può essere rappresentata dai molti sondaggi che in questi anni sono stati condotti sul tema. Secondo il 67,3% dei cittadini europei il telelavoro può aumentare la produttività, soprattutto per chi abita nei nuovi Länder tedeschi (94.6%), in Portogallo (86.3%), in Grecia (86.1%), nel 75 Per una sintesi cfr. Rapporto su “L’Europa e la Società dell’Informazione globale – Raccomandazioni al Consiglio Europeo”, presentato al Consiglio d’Europa il 26 maggio 1994 a Bruxelles, e meglio conosciuto come “Rapporto Bangemann” dal nome del coordinatore di un gruppo di venti personalità tra cui gli italiani Carlo De Benedetti e Romano Prodi. 68 Regno Unito (84.2%) ed in Irlanda. In tal senso sono principalmente orientati i giovani tra i 25 ed i 39 anni (70.9%) rispetto alle altre categorie di età, soprattutto gli ultracinquantacinquenni (40.9%). Per il 46.3% dei lavoratori europei il telelavoro rappresenta invece una risorsa per coniugare meglio la vita privata con quella professionale. Quest’idea è ampiamente condivisa dai Danesi (77%), dagli Austriaci (69.8%), dagli Olandesi (61.5%) e dagli abitanti dei Länder occidentali (63.7% contro il 43% dei Länder orientali). Le donne si dimostrano più sensibili verso questo aspetto (52.3% contro il 43.3% degli uomini). Il telelavoro può incrementare il senso di autonomia sul lavoro per il 42.8% delle persone interrogate, con picchi del 68.4% in Francia e del 60.3% in Grecia. Sono principalmente gli uomini a condividere questo punto di vista (48.6% contro solo il 31% delle donne). Le fasce d’età intermedie sono quelle più sensibili al bisogno di autonomia quando pensano al telelavoro, così come lo sono i lavoratori meno specializzati. Infine il 41.9% pensa che il telelavoro possa ridurre la necessità degli spostamenti casalavoro, soprattutto nelle nazioni del nord Europa come l’Olanda (61.8%), il Belgio (61.6%) e la Danimarca (54.4%). Anche sui possibili aspetti negativi le risposte sono differenziate. Basti pensare al fatto che mentre solo il 29.1% degli europei ritiene che il telelavoro possa diminuire la frequenza dei rapporti sociali, in Danimarca questo sia un aspetto vissuto in modo molto più intenso, tanto che preoccupa il 53.2% delle persone.76 Ciò che conta, in definitiva, è che di volta in volta venga fatto in concreto un bilanciamento tra le voci positive e quelle negative. Il lavoratore a distanza dovrà valutare se i benefici superano gli svantaggi tenendo conto del proprio stile di vita. Il datore di lavoro, pur avendo ben presenti i propri interessi, dovrà invece preoccuparsi di prevenire i disagi a cui andranno incontro i lavoratori a distanza, per fronteggiare possibili malesseri ed insoddisfazioni.77 76 Per tutti i dati che precedono e per ulteriori informazioni cfr. Commissione delle Comunità Europee, Eurobarometro 54.0, Les Europeens et les technologies de l’information et de la communication dans le cadre de l’emploi, autunno 2000. 77 Per un dettagliato esame di queste problematiche cfr. CAVALLINI A., Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 69 2.3.1. GLI ASPETTI POSITIVI L’introduzione del telelavoro, come forma di lavoro innovativa, ha sempre un forte impatto sia sul versante imprenditoriale sia su quello del singolo lavoratore. Ovviamente nel preventivo bilanciamento tra le possibili conseguenze favorevoli e quelle sfavorevoli, dovranno sempre essere le prime a prevalere. Per questo motivo si cominceranno ad analizzare gli aspetti positivi dal punto di vista del datore di lavoro, al quale spetterà decidere se introdurre o meno il telelavoro all’interno della propria organizzazione imprenditoriale. I vantaggi più rilevanti, per un datore di lavoro, sono rappresentati soprattutto dal possibile decentramento produttivo, da una maggior snellezza e flessibilità dell’organizzazione e quindi dalla probabile riduzione dei costi. La maggior flessibilità deriva da una miglior capacità di utilizzo delle capacità di lavoro disponibili, in quanto è possibile far fronte ai picchi di lavoro senza dover sostenere spese addizionali, così come quando la domanda è debole è più semplice ridurre la produzione. In questo senso il telelavoro si dimostra uno strumento ideale per quelle imprese che devono far fronte ad una domanda strutturalmente instabile.78 Per quanto riguarda invece il risparmio che il telelavoro può consentire, attraverso una riduzione dei costi, occorre prendere in considerazione più aspetti. A fronte delle spese sostenute per organizzare una rete telematica efficiente, si ha la possibilità di pianificare in modo strategico l’organizzazione del lavoro, attuando politiche di decentramento produttivo. Innanzitutto va considerato che i minori tempi morti durante il lavoro portano ad una maggiore efficienza e produttività, con conseguente riduzione del costo di lavoro per unità 78 Sull’impatto del telelavoro a livello di impresa cfr. CAMPODALL’ORTO e GORI, Conoscere il telelavoro: caratteristiche, esperienze, guida all’utilizzo, FrancoAngeli editore Milano, 2000, pp. 224. 70 lavorativa. Inoltre il telelavoro favorisce un’organizzazione del lavoro per obiettivi, facilmente verificabili con gli strumenti informatici, ed ai quali potrà essere rapportata la retribuzione. L’impresa potrà inoltre ottenere cospicui risparmi dalla sua delocalizzazione. Non saranno più necessari edifici di grandi dimensioni per ospitare i dipendenti, i quali potranno telelavorare da casa o da centri satellite posti in zone periferiche o rurali, dove i costi di acquisto degli immobili o le spese di locazione sono sensibilmente inferiori. I servizi addizionali come le mense ed i parcheggi diventeranno per lo più superflui, con un ulteriore risparmio. Sarà infine possibile un'ottimizzazione delle dimensioni spaziali delle aziende, con una riduzione del costo per occupato, ed un aumento della produttività individuale derivante dalla maggiore libertà del lavoratore. Dal punto di vista di quest’ultimo il telelavoro, se opportunamente pianificato e gestito, può apportare degli indubbi vantaggi, sia in termini economici che socio-psicologici. La possibilità di lavorare presso il proprio domicilio o in centri di telelavoro riduce del tutto o in parte gli spostamenti, aumentando il tempo libero a disposizione per i propri interessi, la famiglia o gli amici. Nel caso del telelavoro mobile o di quello offshore questo aspetto può essere ancora più accentuato, arrivando a permettere di scegliere liberamente il luogo in cui vivere. Ciò comporta come diretta conseguenza l’ottimizzazione dei tempi, l’abbattimento delle spese di viaggio e la riduzione degli stress individuali legati al fenomeno del pendolarismo. Responsabilità, autonomia gestionale e massima flessibilità (di orari, tempi e luoghi) evidenziano la maggior valorizzazione del lavoratore, che egli stesso può ben percepire.79 Con il telelavoro aumenta la capacità analitica, cioè quella rivolta alla soluzione dei problemi, connessa con la possibilità di concentrarsi su un obiettivo all’interno di un ambiente di lavoro sereno e tranquillo. Allo stesso tempo però diminuisce la capacità di produrre nuove idee, che di solito consegue ai contatti umani ed al confronto delle esperienze. Per esaltare questi due tipi di capacità occorrerebbe allora alternare il telelavoro con l’attività tradizionale in ufficio.80 79 Cfr. BOLZONI e MEJNARDI, Telelavoro: knowledge “remota” per l’impresa a rete, Amministrazione & finanza oro, n.1, vol. XIV, 2003, pp. 107-121. 80 Su questo tema cfr. LASSANDRO, Il telelavoro nella residenza e nel terziario, Gangemi editore, Roma, 1999. 71 La possibilità di prestare attività lavorativa in tempi e luoghi scelti dal lavoratore, compatibilmente con le scadenze pattuite con il datore di lavoro, può poi permettere di avvicinare al mondo del lavoro i soggetti svantaggiati. Diverse esperienze di telelavoro si sono sviluppate per cercare di recuperare o agevolare l’attività lavorativa di soggetti portatori di handicap, in particolar modo coloro che presentavano deficit motori o problemi di possibili contagi dovuti al contatto con altri individui. In tali situazioni la tipologia di telelavoro adottata è sempre stata quella domiciliare, in quanto si presta meglio di altre allo scopo. I risultati sembrano essere incoraggianti, sia per i risultati produttivi conseguiti che per il recupero da un punto di vista lavorativo e sociale delle persone altrimenti escluse per problemi fisici. Un particolarissimo ambito d’applicazione del telelavoro a fini sociali, si sta dimostrando quello della popolazione carceraria che, per ovvi motivi, non ha la possibilità di raggiungere la sede di lavoro di ditte o società che potrebbero servirsi delle loro prestazioni. In molti casi poi, quando si è trattato di applicare il telelavoro, lo si è fatto come un utile strumento per ridurre le possibili discriminazioni di carattere sessista. Tramite il telelavoro, le donne avrebbero, infatti, la possibilità di rivendicare, a parità di prestazione lavorativa, gli stessi tipi d’incarichi dei loro colleghi uomini. In altre parole, la natura stessa del telelavoro eliminerebbe quelle discriminazioni, basate sulle presunte incombenze domestiche o familiari, che troppo spesso in passato sono state usate per escludere le lavoratrici da tipologie d’incarichi di particolare impegno, finendo per relegarle a lavorazioni non core business o, peggio, marginali. Tuttavia, se ciò può essere condiviso in linea di massima, occorre fare degli opportuni distinguo. Non bisogna pensare che per le donne la possibilità di lavorare a casa sia sempre una liberazione e uno strumento per rivendicare maggiori opportunità d’impiego. Al contrario, la necessità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa finisce sovente per diventare un ulteriore onere. 72 Non sono infine da sottovalutare i possibili benefici che possono derivare dalla diffusione del telelavoro per il sistema sociale nel suo complesso. Innanzitutto la riduzione del traffico e dell'inquinamento legati alla diminuzione del numero di persone che quotidianamente si spostano per raggiungere il posto di lavoro, nonché una migliore gestione degli spazi urbani e la riqualificazione delle città. La delocalizzazione consentita dal telelavoro può contribuire allo sviluppo delle aree depresse, in cui l’inadeguatezza dello sviluppo economico, accompagnata dalla mancanza di infrastrutture e di un contesto socio-economico favorevole, ha reso il territorio poco attraente per l’insediamento delle attività economiche. Il telelavoro offre una nuova opportunità a queste aree, in quanto senza la costruzione di nuovi e costosi insediamenti produttivi, ma con la sola acquisizione degli opportuni strumenti telematici, si può favorire l’attività imprenditoriale ed ottenere importanti sviluppi sul fronte occupazionale.81 81 Un esempio paradigmatico è rappresentato dalle Isole Ebridi in Gran Bretagna, di cui si parlerà più avanti nel § 3.5 73 2.3.2. GLI ASPETTI NEGATIVI Ogni medaglia ha il suo rovescio, così a fronte di un considerevole numero di aspetti positivi, il telelavoro può talvolta costituire fonte di preoccupazione e di disagio. Si tratta in genere di situazioni che riguardano gli addetti al telelavoro i quali a seconda del tipo di attività svolta possono risentire di una o più di queste situazioni. Generalmente si percepiscono come aspetti negativi il possibile senso di isolamento rispetto all’ambiente tradizionale di lavoro, la scarsità dei contatti con i colleghi, il conseguente timore di rimanere emarginati nella propria professione, la paura di venire penalizzati economicamente e di perdere lo status precedentemente posseduto all’interno dell’azienda con i relativi diritti sindacali e non. Come per gli aspetti positivi anche per quelli negativi occorre però distinguere tra le varie forme di telelavoro, viste le notevoli differenze che intercorrono tra loro.82 Per quanto riguarda il telelavoro domiciliare il rischio principale è rappresentato dall’isolamento, con una sensazione che qualcuno ha efficacemente sintetizzato nell’espressione “Dov’è la macchinetta del caffè?”.83 Lavorare presso la propria abitazione vuol dire infatti rimanere da soli con le attrezzature necessarie per telelavorare. Occorre perciò averlo ben presente ed essere adeguatamente preparati a farlo. La capacità di relazionarsi con i colleghi è di fondamentale importanza nell’organizzazione tradizionale del lavoro in quanto permette, tra l’altro, di trovare più facilmente la soluzione a molti problemi. Per chi è abituato a lavorare in squadra la scelta del telelavoro domiciliare può quindi costituire un serio problema. In questi casi sarebbe meglio limitare i giorni di lavoro a distanza. 82 Un’attenta analisi dei benefici e degli svantaggi si può trovare in DUMÉNIL e ROUX, Le télétravail, City & York ed., Dublin, 1995. 83 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pag. 21. 74 Più in generale l’isolamento viene vissuto da tutti i telelavoratori a domicilio in maniera piuttosto traumatica. Passata l’iniziale euforia dovuta al fatto di non doversi più recare quotidianamente in ufficio, può subentrare una sensazione di emarginazione dal resto dell’azienda. Tuttavia oggi ci sono strumenti che consentono di alleviare questa sensazione di isolamento, quali la posta elettronica, il videotelefono, i software per videoconferenza, ecc. In ogni caso è sempre utile prevedere dei periodici rientri in azienda, allo scopo di mantenere vivo il senso di appartenenza nei telelavoratori a domicilio. Sarebbe opportuno incentivare le possibilità di incontro, reali e virtuali, tra i vari telelavoratori, in quanto vengono meno tutta una serie di comunicazioni informali, che a volte si dimostrano più importanti di quelle formalizzate. E’ fondamentale che i rapporti tra lavoratori interni e telelavoratori siano frequenti e collaborativi, in modo da sviluppare un ambiente integrato, anche se fisicamente disgregato in diverse realtà territoriali. Negli Stati Uniti, nel tentativo di superare questo problema, si sta addirittura sperimentando l’introduzione di telecamere nei corridoi o al bar della sede centrale, per permettere incontri casuali per via telematica.84 Un simile rischio comunque non è escluso nemmeno per quei telelavoratori pendolari che dividono la propria attività tra casa e azienda. Occorre fare in modo che non si sentano emarginati dalle attività aziendali o da quelle sindacali, che non si sentano insomma dipendenti di categoria inferiore. Tuttavia il senso di isolamento è sentito maggiormente come problema dai telelavoratori urbani, mentre i telelavoratori delle aree rurali, vivendo comunque già in condizioni di isolamento, ne risultano meno colpiti.85 Un'altra situazione sfavorevole derivante dal lavorare a domicilio, ma a ben vedere riguardante tutte le forme di telelavoro, può essere la limitazione della progressione di carriera. E’ piuttosto radicata la convinzione che telelavorare sia un po’ come essere estromessi dall’azienda, anche quando così non è. Ciò che in realtà si realizza, in molti casi, è piuttosto un'effettiva diminuzione del potere contrattuale nei confronti dell’azienda. 84 85 Cfr. LASSANDRO, Il telelavoro nella residenza e nel terziario, Gangemi editore, Roma, 1999. Cfr. HUNTER, Will Teleworking revitalise rural and regional Australia?, in: http://abc.net.au/future/telework.htm 75 Una situazione completamente diversa è quella dei telelavoratori nomadi. Potendo lavorare un po’ dappertutto potrebbero finire per lavorare senza limiti di orario, addirittura per tutta la giornata. Il confine tra lavoro e sfera privata tende quindi a sfumare sempre di più. Occorre pertanto stabilire dei limiti orari, sia a livello contrattuale, ove possibile, sia in termini di autocontrollo del telelavoratore stesso. Con il telelavoro il tempo libero, per chi non è capace di autoorganizzarsi, può diminuire anziché aumentare. Non tutti i lavoratori dipendenti, infatti, sono pronti a telelavorare, in quanto sono richieste delle particolari caratteristiche psico-sociali come un forte senso di autonomia, di autodisciplina e di responsabilità, una spiccata capacità decisionale e di autogestione, una buona flessibilità operativa. La distanza fisica dall’organizzazione aziendale comporta una maggior responsabilizzazione del telelavoratore stesso, che per produrre il risultato corrispondente alla prestazione lavorativa concordata deve sapersi autogestire. In tal senso molte persone possono vivere in modo negativo la riduzione o la mancanza di una guida o di un aiuto sul lavoro. Per questi motivi le aziende che utilizzano il telelavoro si sono talvolta sentite in dovere di avvertire i propri dipendenti sui possibili rischi cui vanno incontro. La Bell canadese, ad esempio, nella sua guida pratica al telelavoro, consiglia di non avviare al telelavoro casalingo chi ha la cosiddetta sindrome del workaholic, cioè chi tende ad ubriacarsi di lavoro perdendo la distinzione tra attività produttiva e tempo libero. Telecom Italia, in un fascicolo in cui spiegava ai dipendenti le conseguenze di un accordo sul telelavoro siglato con il sindacato nell'agosto del 1995, affermava che "Telelavorare significa più autonomia, ma sicuramente più responsabilità; meno tempo sprecato nel traffico, ma anche la ricerca di un equilibrio fisico e psicologico tra vita domestica e attività professionale". In riferimento alle lavoratrici madri il contratto nazionale di telelavoro, approvato in Australia dall'Industrial Relations Commission nel maggio del 1994, recita "il telelavoro non è un sostituto 76 della cura dei figli o di altre forme di cura. Il telelavoratore non potrà prendere impegni di carattere domestico o familiare durante le ore in cui è in servizio solo perché tanto sta a casa”.86 Nel telelavoro può quindi emergere un fenomeno di autosfruttamento, che porta a lavorare più del dovuto, come conferma anche una ricerca dell'Ecatt, la quale riferisce che il 78% dei telelavoratori lavorano più dell'orario contrattuale, mentre tra i non telelavoratori questa percentuale è del 48%.87 Lo svolgimento del telelavoro in ambito domestico può inoltre comportare uno stravolgimento delle abitudini e dei ruoli svolti dai diversi componenti del nucleo familiare. L’introduzione in questo spazio fisico di strumenti ed attività lavorativi, può produrre una drastica modifica delle normali attività domestiche, sia in termini di spazio che di tempo, e tale modifica non è detto che sia sempre in senso positivo. Un altro aspetto negativo, dal punto di vista del telelavoratore, può essere rappresentato da una diminuzione degli emolumenti, quale conseguenza dell’introduzione di sistemi retributivi che si agganciano ai risultati raggiunti e di strumenti di controllo e di valutazione della produttività più puntuali. Dal bilanciamento degli aspetti positivi e negativi emerge in genere un saldo favorevole per le tipologie di lavoratori ad alto livello di professionalità e specializzazione. In questi casi la maggior flessibilità, l’ampliamento delle occasioni di lavoro, il miglior sfruttamento delle competenze, possono controbilanciare adeguatamente l’isolamento e la rarefazione dei contatti fisici. Al contrario i telelavoratori a basso livello di professionalità, adibiti a compiti semplici e ripetitivi, possono facilmente presentare un saldo negativo dalle conseguenze dell’introduzione del telelavoro. Ciò è particolarmente vero per le telelavoratrici, a causa dell’accumularsi in ambito domestico delle attività lavorative aziendali e casalinghe. 86 Alcuni degli accordi citati sono stati tradotti liberamente dall’inglese, ma tutti sono riportati da DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 87 Cfr. il sito dell’E.C.a.T.T. (Electronic Commerce and Telework Trends): progetto di ricerca pan-Europeo sul numero dei telelavoratori, sullo sviluppo del commercio elettronico e sulle nuove forme di lavoro, in: www.ecatt.com 77 Anche per le imprese il telelavoro può presentare dei lati oscuri. In genere si tratta di una certa difficoltà nel gestire il telelavoro e di integrarlo con le altre attività tradizionali svolte in azienda. In secondo luogo viene avvertito il problema della mancanza di controllo fisico sul telelavoratore, per cui si tende ad ipotizzare un minor impegno nel lavoro. La ridotta identificazione del telelavoratore con l’azienda che lo impiega può avere degli effetti indesiderati non solo sulla sua produttività, ma anche sulla sua fedeltà. Il telelavoratore potrebbe, in ipotesi, sfruttare le sue capacità professionali per sottoscrivere accordi più vantaggiosi con altre aziende. Secondo alcuni esisterebbe poi il rischio concreto di un rafforzamento, o della rinascita, di forme corporative su base locale o professionale, in sostituzione del sindacalismo tradizionale.88 Oltre agli effetti che il telelavoro può avere nei confronti delle parti del contratto di lavoro, non ne vanno sottaciuti di ulteriori, che operano ad un livello superiore, ossia direttamente sul sistema sociale. Il telelavoro rischia in effetti di causare una perdita di competitività per quei Paesi non adeguatamente sviluppati sul fronte delle nuove tecnologie. Tuttavia una perdita di competitività, in senso diametralmente opposto, si sta avendo nei Paesi maggiormente industrializzati, nei quali il costo del lavoro raggiunge i suoi massimi. Il tutto a favore dei cosiddetti Paesi emergenti, come l’India e la Cina89, in cui a fronte di un'imponente crescita economica fa da contraltare un costo del lavoro di molto inferiore rispetto ai Paesi occidentali.90 88 Cfr. CAMPODALL’ORTO e GORI, Conoscere il telelavoro: caratteristiche, esperienze, guida all’utilizzo, FrancoAngeli editore Milano, 2000, pp. 224. 89 Cfr. § 3.13 e § 3.14 90 Sul tema della delocalizzazione in India e in Cina cfr. RAMPINI, L'impero di Cindia, A.Mondadori editore, Milano, 2006. 78 CAPITOLO III IL TELELAVORO NELLE ESPERIENZE NAZIONALI ED INTERNAZIONALI. SOMMARIO: - 1. Introduzione. – 2. Il ruolo dell’Unione Europea.- 3. Il Ruolo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. - 4. Il telelavoro in Francia. - 5. Il telelavoro nel Regno Unito. – 6. Il telelavoro in Spagna e Portogallo. - 7. I nuovi Stati membri dell'Unione Europea. - 8. Gli altri Paesi membri dell'Unione Europea. – 9. Gli Stati Uniti e il Canada. - 10. La situazione africana. – 11. Australia e Nuova Zelanda. – 12. Il Giappone. – 13. La Cina. – 14. L’India. – 15. Il resto dell’Asia. – 16. Messico e Sudamerica. – 17. Conclusioni. 3.1. INTRODUZIONE L’unico punto su cui tutti gli osservatori del telelavoro sono pienamente d’accordo è che si tratta di un fenomeno in pieno sviluppo in tutto il pianeta. Già alla fine del 1994 il numero di telelavoratori si contava in decine di milioni, anche se, a seconda della definizione adottata, i dati potevano differire sensibilmente. Considerando come telelavoratori tutti i lavoratori che eseguivano anche minima parte del loro lavoro a domicilio, con l’ausilio delle tecnologie informatiche, il numero totale stimato era di circa 23 milioni. Se invece il termine telelavoratore era riferito ad un lavoratore dipendente che svolgeva la maggior parte del suo lavoro presso la propria abitazione, la stima si riduceva a 11 milioni.1 La diffusione del telelavoro su scala mondiale non è ovviamente uniforme. Essa dipende da una molteplicità di fattori condizionanti. Tra questi gioca un ruolo primario l’effettiva diffusione delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni all’interno dei singoli contesti spaziali, 1 Cfr. DUMÉNIL e ROUX, Le télétravail, City & York ed., Dublin, 1995. 79 siano essi transnazionali, nazionali o locali. In secondo luogo occorre vedere fino a che punto queste tecnologie siano alla portata dei singoli soggetti, in particolare sul posto di lavoro. Infine, ed è ciò che maggiormente interessa ai fini del nostro discorso, influisce in modo determinante la regolamentazione del fenomeno (o la sua assenza), indice delle scelte strategiche del mondo politico, sovente indotte dai settori produttivi interessati alle nuove forme di lavoro flessibile. Secondo questo punto di vista la situazione e le prospettive sono assai differenti da un area geografica all’altra. Di primo acchito può sembrare paradossale il fatto che il telelavoro, per sua natura difficilmente confinabile all’interno di aree geografiche e politiche ben delimitate, ed anzi sempre più a carattere transnazionale (si pensi ai call centers ed al cosiddetto telelavoro offshore), possa diventare oggetto di normazione, nazionale o locale. In realtà non è così. Come vedremo ci sono degli aspetti del telelavoro che non possono sfuggire al controllo dei singoli legislatori, o più in generale dei formanti del diritto tipici di ogni ordinamento giuridico, pur nel rispetto di superiori principi dettati da organismi sopranazionali. Per questo motivo è particolarmente utile, oltre che indubbiamente interessante, effettuare una panoramica sulla situazione attuale del telelavoro nelle diverse aree geografiche del globo terrestre. Dall’ampia bibliografia rinvenuta sono stati estratti i dati relativi alla diffusione dei vari tipi di telelavoro. L’attenzione si è poi focalizzata sulle iniziative intraprese in ogni Paese per cercare di regolare il fenomeno in tutti i suoi diversi aspetti. Si è osservato con attenzione come in alcuni casi ci si sia limitati a prevedere attività di supporto al telelavoro, come la concessione di agevolazioni alle imprese o programmi di sostegno alla diffusione delle nuove tecnologie applicate al lavoro. In altre situazioni invece i formanti del diritto sono intervenuti in modo più incisivo per adattare il diritto del lavoro vigente alle nuove forme di lavoro a distanza nel loro dinamico, talvolta tumultuoso, sviluppo. Certo è che un po’ dappertutto nel mondo ci si chiede se, per regolare il telelavoro, siano sufficienti le norme esistenti o sia piuttosto necessario elaborarne delle nuove per far fronte alla sue 80 specificità. E poiché il telelavoro sta assumendo via via una crescente importanza a livello internazionale, la risposta a tale quesito diventa sempre più necessaria e pressante. Si può già anticipare che fino ad oggi l’approccio al problema nella maggioranza dei Paesi è stato tendenzialmente uno solo, ossia quello di “tirare la coperta” per coprire le situazioni nuove con gli strumenti normativi preesistenti. Se questo approccio si è finora dimostrato efficace lo vedremo in seguito. Se si dimostrerà efficace sul lungo periodo è invece difficile da prevedere, tuttavia sembra che presenti già dei limiti e che questi limiti diventino ogni giorno più evidenti. La nostra indagine comincia con l’esaminare la posizione degli organismi sopranazionali che in questi anni hanno dimostrato una particolare attenzione verso il mondo del telelavoro. In primis si vedrà l'orientamento dell’Unione Europea, che da anni si interessa al problema sia promuovendo iniziative di grande respiro, sia tentando una prima regolamentazione su scala continentale. Successivamente si riassumerà brevemente l’attività dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.), la quale ha dettato una vasta serie di principi destinati in gran parte alla tutela dei telelavoratori. Quindi l’analisi si concentrerà su quanto i singoli Stati, o le loro articolazioni interne, hanno fatto finora in materia di telelavoro. Lo studio verrà affrontato per aree geografiche distinte, principalmente continentali, in quanto le soluzioni adottate appaiono più omogenee e più facilmente comparabili tra Paesi limitrofi e con tradizioni socio-economiche, nonché giuridiche, simili se non comuni. 81 3.2. IL RUOLO DELL’UNIONE EUROPEA Nell’autunno del 1973 la Direzione Generale Stampa e Comunicazione della Commissione Europea iniziò a condurre dei sondaggi semestrali su campioni significativi di cittadini degli Stati membri delle Comunità Europee. Questi sondaggi vengono da allora pubblicati sul cosiddetto Eurobarometro. Ebbene, nel 2000 un intero capitolo di questa rivista è stato dedicato al telelavoro, al fine di valutarne la diffusione e di scoprirne i principali riflessi sulla vita dei cittadini europei.2 La prima domanda del sondaggio sul telelavoro era di tipo diretto: “Attualmente lei telelavora o no? Se sì, regolarmente o occasionalmente?” L’analisi delle risposte alla prima domanda lasciava intendere che il 12,2% del campione praticava il telelavoro, il 5,6% in maniera regolare ed il 6,6% in modo occasionale. Gli uomini ne erano più coinvolti rispetto alle donne (13,7% contro 9,9%) mentre i quadri (18,6%) ed i lavoratori autonomi (17,1%) erano le categorie più rappresentate. Secondo una nuova indagine pubblicata dalla Bonn Empirica, società di ricerche nel settore delle comunicazioni e della tecnologia, il numero dei telelavoratori in Europa è raddoppiato tra il 1999 ed il 2002, arrivando a 22 milioni. Più di un decimo dei lavoratori telelavoravano per almeno un giorno alla settimana, ma solo il 2% di tutta la forza lavoro telelavorava da casa tutti i giorni. La Germania si metteva in evidenza con un numero di telelavoratori occasionali che era triplicato dai 2 milioni del 1999 ai 6 milioni del 2002. Secondo il rapporto l’enorme crescita nel numero di telelavoratori non si doveva allo sviluppo del telelavoro domiciliare, bensì all’aumento dei lavoratori autonomi impegnati in piccole attività commerciali e degli impiegati che tendevano a portarsi il lavoro a casa.3 L’ascesa del telelavoro è stata senza dubbio favorita dalla diffusione di Internet, dal crescente uso della posta elettronica e dalla diminuzione dei prezzi dei personal computer e dei computer 2 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, Eurobarometro 54.0, Les Europeens et les technologies de l’information et de la communication dans le cadre de l’emploi, autunno 2000. Il testo completo è consultabile all’indirizzo: http://europa.eu.int/comm/public_opinion/archives/ebs/ebs_144_fr.pdf 3 Cfr. FIUTAK, Teleworking booms in Europe, 9/10/2002 in: http://news.zdnet.co.uk 82 portatili. Sono poi cambiate alcune abitudini lavorative per cui oggi la prospettiva di avere un lavoro flessibile è per lo più accettata. Tuttavia, secondo i ricercatori dell'Eurobarometro, l'Europa in questo settore sta ancora su posizioni arretrate rispetto agli Stati Uniti. Negli USA la percentuale di telelavoratori sulla popolazione totale è ancora circa il doppio rispetto all’Unione Europea, anche se la forbice tende a chiudersi. Dopo la Germania anche il Regno Unito ha sperimentato un alto tasso di crescita nel numero di persone che telelavorano. Italia e Irlanda non sono molto lontane, mentre Francia, Spagna, Lussemburgo e Portogallo, per vari motivi, sono agli ultimi posti quanto a numero di posti di telelavoro per abitante. L’Unione Europea vede di buon occhio la diffusione del telelavoro, in quanto ne ha riconosciuto fin dall’origine i possibili effetti benefici nei confronti dell’economia, dei lavoratori e delle collettività. Per questo motivo da molti anni svolge un ruolo fondamentale, proponendo progetti, stilando delle linee guida ed organizzando eventi culturali. Un esempio rilevante è rappresentato dalla Carta Europea del telelavoro, documento che ha raccolto e sintetizzato le idee, le opinioni ed i suggerimenti di duemila autorevoli personaggi del mondo economico, politico e sociale europeo, con lo scopo di tracciare una strada verso cui indirizzare i successivi sforzi della Comunità. Le attività tese a realizzare la Carta Europea del telelavoro sono state condotte nei singoli stati membri da un organismo comunitario, l’European Community Telework/Telematica Forum (E.C.T.F), attraverso il progetto Diplomat. La Carta venne poi presentata ufficialmente in occasione della conferenza sul telelavoro Telework ‘97 tenutasi a Stoccolma nel settembre del 1997.4 La Carta Europea del telelavoro, detta anche Statuto del telelavoro, stabilisce il principio secondo cui “il telelavoro, come nuovo modo di gestire ed organizzare il lavoro, ha le potenzialità per contribuire sostanzialmente al miglioramento della qualità della vita, a pratiche di lavoro sostenibile e ad una partecipazione uguale dei cittadini a tutti i livelli”. 4 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 83 La Carta è strutturata secondo sei aree-chiave: impiego, vita lavorativa, qualità della vita, organizzazione delle attività economiche e delle pubbliche amministrazioni, democrazia e politica, ambiente e sviluppo sostenibile. Vediamo allora come la Carta considera ciascuno di questi punti cardine. Generando nuove forme di lavoro e nuovi tipi di servizi, il telelavoro ha il potenziale per far crescere l’occupazione, in particolare all’interno delle categorie di lavoratori svantaggiati, il numero dei lavoratori autonomi e lo sviluppo delle piccole imprese. Il telelavoro ha d’altronde le caratteristiche necessarie per introdurre una maggior flessibilità nel rapporto di lavoro subordinato, consentendo di coordinare meglio la vita lavorativa con gli altri obblighi ed attività, e liberando del tempo che potrà essere destinato alla vita privata o familiare o per l’aggiornamento professionale. Quanto alla qualità della vita il telelavoro può stimolare nuovi modelli di coesione sociale, servizi pubblici e vita culturale, particolarmente nelle aree svantaggiate e nelle regioni remote, permettendo alle persone di rimanere nelle loro comunità senza essere obbligate a cercare lavoro altrove. In questo modo può anche essere promosso o rilanciato lo sviluppo socio-economico di alcune regioni, anche perché una nuova organizzazione delle attività economiche e dell’amministrazione pubblica può incrementare la produttività, aumentando così competitività ed efficienza. Secondo la Carta il telelavoro può anche contribuire, all’interno del mondo politico, a creare nuove opportunità di interazione tra i cittadini ed i loro rappresentanti, a prescindere dalla distanza geografica che li divide. Grazie al miglior uso delle nuove tecnologie il processo democratico può quindi espandersi e divenire più interattivo. Un ultimo tema affrontato dallo Statuto riprende le considerazioni che negli anni ’70 del XX secolo avevano portato per la prima volta alla ribalta l’idea di lavorare a distanza. Telelavoro vuol dire portare il lavoro all’individuo, non l’individuo al lavoro, per cui possono trarne vantaggio sia i lavoratori sia i datori di lavoro, risparmiando su tempi e spese di spostamento e riducendo i costi di gestione dell’ufficio. Tuttavia anche la collettività potrebbe beneficiare di questi risparmi, in quanto 84 il ricorso massiccio al telelavoro potrebbe ridurre considerevolmente la congestione del traffico e l’inquinamento atmosferico, contribuendo ad un’effettiva sostenibilità dello sviluppo economico.5 Il telelavoro del resto è sempre stato in evidenza nell’agenda dei lavori dell’Unione Europea. Dichiarazioni politiche, programmi di sostegno, campagne informative e aiuti economici ai progetti innovativi, si sono moltiplicati negli ultimi anni. Ciò nonostante il telelavoro è ancora vissuto in modo estremamente difforme all’interno dei ventisette Stati membri dell’U.E. Mentre nei Paesi nordici è già una realtà consolidata, ed in quelli dell’Europa centrosettentrionale si stanno facendo grandi progressi verso la medesima direzione, l’Europa centrale e quella mediterranea hanno visto il moltiplicarsi di sperimentazioni interessanti i cui risultati devono tuttavia ancora essere valutati appieno. Per meglio conoscere l’impatto del telelavoro sull’economia, sul mondo del lavoro e sul diritto, la Commissione europea ha condotto numerose e rilevanti ricerche. Le relative problematiche sono state affrontate talvolta come argomento specifico, talaltra nel contesto di indagini più generiche, come ad esempio nel corso degli studi sulla società informatica.6 Già nel settembre del 1994 la divisione generale V della Commissione Europea, che si occupa di forza lavoro, mise in evidenza la crescente diffusione del telelavoro e la conseguente necessità di approfondirne la conoscenza da un punto di vista sociale ed economico, anche al fine di neutralizzarne i possibili effetti negativi. A partire dal 1997 la Commissione Europea ha dedicato al telelavoro anche un’apposita relazione annuale. In questa serie di relazioni sono stati identificati, per ogni Paese membro, dei fattori che ne possono influenzare lo sviluppo. Essi sono rappresentati da: condizioni geografiche (distanze, densità di popolazione); fattori demografici (distribuzione delle classi di età della popolazione, flussi migratori, grado di istruzione, strutture familiari e sociali, etc.); presenza di 5 Cfr. HOCHGERNER e LACINA, Work and employment in the information society, The European Charter for Telework, Centre for Social Innovation, Vienna, 1998, citato da DIMARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, february 2001 6 Per un excursus sulle attività iniziali della Commissione Europea in materia di telelavoro cfr. Commissione Europea DG XIII, New ways to work in the virtual European company - legal, organisational and management issues in telework, 1996. 85 infrastrutture industriali e di telecomunicazione; dimensioni e numero delle aziende; tradizioni culturali e sistemi scolastici; alfabetizzazione informatica; numero degli accessi ad Internet; presenza di associazioni aventi come finalità il telelavoro e progetti europei a supporto del lavoro a distanza; iniziative imprenditoriali nel settore delle telecomunicazioni e dell'informatica; modelli di telelavoro già adottati; altri fattori come livello di disoccupazione, supporto ad opera delle istituzioni governative; uso dell'inglese come seconda lingua e disponibilità di servizi nella lingua locale.7 Sulla base di questi parametri sono ovviamente riscontrabili delle differenze non soltanto tra i diversi Stati membri dell'Unione Europea, ma anche all'interno dei singoli Stati, per esempio tra zone urbanizzate e aree rurali, tra regioni economicamente più avanzate e regioni depresse. I rapporti della Commissione europea hanno individuato anche una serie di fattori che tendono a limitare la diffusione del lavoro a distanza, quali: la mancanza di una regolamentazione giuridica; le resistenze da parte del management, che teme di perdere il controllo sui lavoratori e sulle funzioni conferite; le resistenze da parte delle organizzazioni sindacali e dei dipendenti, che considerano il telelavoro come un elemento destabilizzante del mercato del lavoro, associandolo spesso al lavoro part-time, ai contratti a tempo determinato ed all'esternalizzazione di mansioni precedentemente svolte all'interno dell'azienda (outsourcing); lo scarso sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione in alcuni paesi europei, soprattutto in quelli appartenenti alla zona meridionale e a quella orientale; la mancanza di affidabilità dei necessari servizi ed attrezzature.8 Ciò nonostante la crescita esponenziale di Internet, il graduale aumento delle connessioni a banda larga e lo sviluppo del commercio elettronico, hanno prodotto e produrranno significativi mutamenti nel campo lavorativo, incentivando ulteriormente il ricorso al lavoro a distanza. Ma quali sono gli obiettivi dell'Unione Europea per il telelavoro? L'Europa da anni sta perseguendo una propria visione della Società dell'informazione, per cui occorre raggiungere il 7 Cfr. Commissione Europea: Status Report on New Ways to Work in the Information Society “eWork 2000”, consultabile all’indirizzo: http://www.eto.org.uk/twork/tw00/index.htm 8 ibidem 86 necessario equilibrio tra necessità ed opportunità economiche da una parte, e bisogni sociali e potenziali benefici dall'altra. Del resto l'Unione Europea ha sempre considerato il telelavoro come uno strumento basilare per migliorare la qualità della vita, considerata nella sua interezza (riduzione dell'inquinamento veicolare, flessibilità degli orari, aumento del tempo a disposizione per sé e per la propria famiglia, ecc.) e pertanto ha cercato di incentivare il mondo imprenditoriale ad adottare sempre più le varie tipologie di lavoro a distanza. In tal senso il Rapporto del gruppo di lavoro coordinato dal Commissario per le Politiche Industriali, Martin Bangemann, pubblicato nel 1994, poneva degli obiettivi ben precisi, tra cui: - la creazione, entro il 1995, di venti centri di telelavoro in altrettante città europee per un totale di ventimila telelavoratori regolarmente inseriti in programmi riconosciuti; - la conversione del 2% dei lavoratori in telelavoratori entro il 1996; - la presenza di dieci milioni di telelavoratori europei entro il 2000.9 Questi obiettivi si sono rivelati ben presto eccessivamente ottimisti in rapporto alla effettiva possibilità di trasformare i precedenti rapporti di impiego in forme di lavoro remote, e anche rispetto alla creazione di nuovi posti di telelavoro in così poco tempo. Nel gennaio 1996, infatti, il rapporto intermedio del gruppo di lavoro coordinato dal Commissario per 1'Occupazione e gli Affari Sociali, Padrayg Flynn, osservava che non era particolarmente utile porre obiettivi quantitativi, così come indicato nel Rapporto Bangemann, evidenziando in questo modo la coesistenza di visioni contrastanti circa i futuri sviluppi quantitativi del fenomeno. Proprio in virtù del suo impegno nella diffusione del telelavoro, 1'Unione Europea ha avviato una serie di progetti rivolti alle piccole e medie imprese, che comprendono sia l'avvio di progetti specifici che coinvolgano aziende presenti nei diversi Paesi europei, sia 1'organizzazione di periodiche conferenze di presentazione dei risultati ottenuti. 9 RICCI, Bangemann: l’Europa accetta la grande sfida – intervista con Martin Bangemann, Telèma, n. 2, autunno 1995. 87 Poiché l’Unione Europea ha avviato un gran numero di progetti, alcuni già conclusi, altri ancora in corso di svolgimento, ne esamineremo solo alcuni che, per le loro caratteristiche, risultano essere più significativi. Nell’ormai lontano 1994 1'Unione Europea condusse un sondaggio per valutare la propensione al telelavoro dei cittadini di cinque stati, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia e la Spagna. Il sondaggio, condotto tramite interviste ad un campione di quasi seimila impiegati e duemilacinquecento dirigenti, ha riguardato la conoscenza del fenomeno, appurando che i più informati erano i francesi (60%), seguiti da britannici (56%), tedeschi e italiani (35%) e spagnoli (23%). Comparando i dati ottenuti con quelli di un precedente sondaggio effettuato nel 1985 in solo quattro dei cinque paesi europei considerati (Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia) è emerso che 1'interesse dei lavoratori per il telelavoro è aumentato notevolmente nell'arco di nove anni. Con il conforto di questi dati l’Unione Europea ha avviato nel biennio 1994-1995 un progetto denominato Teleurba (Telework and Urban and Inter-Urban Traffic Decongestion), allo scopo di studiare l'impatto del telelavoro sulla riduzione del traffico veicolare. Lo studio è stato condotto in quattro aree urbane di rilevante importanza in Francia (Ile de France), Paesi Bassi (le città di Amsterdam, L’Aia e Utrecht), Spagna (Madrid), Gran Bretagna (regione sud orientale dell'Inghilterra). I coordinatori del progetto hanno anche monitorato un certo numero di progetti pilota finlandesi mirati alla risoluzione della congestione veicolare nell'area di Helsinki.10 Uno dei principali obiettivi di Teleurba era di sviluppare una comune metodologia di ricerca, le cui fasi di pianificazione, implementazione, monitoraggio e valutazione sono durate soltanto diciotto mesi, dal gennaio 1994 a fine agosto 1995. L'Ile de France ha fornito un interessante esempio di sviluppo del telelavoro, tant'è vero che è stata prevista l'apertura di ben ottanta centri di telelavoro in tutta 1'area. Grazie al progetto alcune aziende come La Poste e S.N.C.F. hanno introdotto forme di telelavoro interno, mentre altre 10 Cfr. FIUTAK cit. per una completa disamina dei progetti avviati dall’Unione Europea 88 imprese hanno ritenuto più opportuno appaltare all'esterno alcune funzioni aziendali. Altre aziende come IBM, Digital e Intel hanno invece incoraggiato il loro staff a lavorare più frequentemente in remoto, mantenendosi in contatto per mezzo dei diversi sistemi di telecomunicazione. Tutto ciò ha permesso ai diversi gruppi di lavoro di essere più vicini alle esigenze dei clienti, ottenendo, nello stesso tempo, una maggiore produttività e risparmi sulle spese di trasferta. Un altro progetto di notevole rilevanza fu chiamato MIRTI (Models of Industrial Relations in Telework Innovation), che venne approvato dalla Commissione dell'Unione Europea nell'ambito del programma Applicazioni Telematiche, e fu condotto nel periodo aprile 1996 - aprile 1998. L’obiettivo del progetto MIRTI era instaurare un sistema stabile di relazioni industriali, allo scopo di definire una serie di schemi di contratti di telelavoro utilizzabili su scala europea. Al progetto hanno collaborato aziende, amministrazioni pubbliche (tra cui il Comune di Roma), fornitori di tecnologie, istituti di ricerca, organizzazioni sindacali di sei paesi dell’Unione Europea (Italia, Austria, Germania, Francia, Belgio, Gran Bretagna). Il principale merito del progetto MIRTI è stato quello di definire le direttrici su cui successivamente ci si è mossi per la definizione del primo accordo quadro europeo sul telelavoro, di cui ci si occuperà più avanti.11 Vi è stata poi tutta una serie di progetti che, in un modo o nell’altro, hanno teso alla valorizzazione del lavoro a distanza. Tra questi possiamo citare OFFNET (European Networked Neighbourhood Offices), concepito per incentivare le aziende medio-grandi ad utilizzare i telecentri come sede di lavoro principale per i loro dipendenti e consulenti. Oppure Experts Unlimited teso a fornire un servizio di consulenza telefonica specializzata mediante esperti di vari settori. O ancora RECITE (Remote Electronic Construction Industry Telematica Experiments) creato per aiutare le piccole imprese edili ad introdurre forme di telelavoro per le attività amministrative. Meritano poi una menzione particolare ulteriori tre progetti supportati dalla Commissione Europea. Nel quadro di una più generale deregulation e di una flessibilizzazione del mercato del 11 Cfr. Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 sul telelavoro, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP). 89 lavoro, molti Paesi membri incontravano delle serie difficoltà ad estendere ai telelavoratori l’efficacia delle disposizioni interne poste a tutela degli altri lavoratori. Ciò era particolarmente importante per alcuni aspetti specifici del rapporto di lavoro come l’orario, la tutela della salute e della sicurezza, i livelli salariali minimi, ecc. Il contesto normativo avrebbe dovuto quindi modificarsi per assicurare un’adeguata protezione dei telelavoratori, senza però creare delle situazioni di rigidità, le quali avrebbero reso più difficile operare con la dovuta flessibilità all’interno dell’attuale mercato del lavoro. Su queste basi nel 1996 vennero affrontati per la prima volta, a livello continentale, i problemi legali ed organizzativi del telelavoro, dando vita a tre distinti progetti. Questi progetti vennero indicati con tre sigle: C.O.B.R.A. (Constraints and Opportunities in Business Restructuring - an Analysis), Practice (Code of Practice for Telework in Europe) e ATTICA (Analysis of Constraints to Transborder Telework in the European Community and the European Economic Area). Il progetto C.O.B.R.A. aveva come finalità la raccolta e l'analisi di una serie di informazioni riguardanti i processi di ristrutturazione economica, visti quale momento adatto per la possibile introduzione del telelavoro in imprese operanti in più Stati. Il progetto Practice aveva invece come fine ultimo lo sviluppo di un codice di buone pratiche, riguardante sia aspetti giuridici sia tecnici, il quale fosse concretamente applicabile in tutti i Paesi membri dell’U.E. Il progetto ATTICA, quello che più ci interessa, si prefiggeva infine di analizzare la legislazione vigente nei paesi dell’area europea e negli USA, alla ricerca di eventuali atti rilevanti in materia di telelavoro. In realtà il progetto ATTICA si limitò a confrontare un numero limitato di ordinamenti giuridici (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Portogallo), finendo con il formulare delle raccomandazioni per l’armonizzazione ed il mutuo riconoscimento delle norme interne. Tuttavia i tre progetti appena descritti fecero emergere una serie di tematiche comuni. Innanzitutto si dimostrò oltre ogni ragionevole dubbio che il telelavoro può concorrere 90 all’introduzione di nuove forme di flessibilità all’interno del mercato del lavoro. La rimozione degli ostacoli che limitano l’espandersi del telelavoro è quindi essenziale per la creazione della cosiddetta “economia virtuale”, attraverso lo sviluppo di attività pienamente integrate, anche se distribuite su più sedi all’interno dello spazio economico europeo. Tuttavia, da un punto di vista strettamente giuridico, il telelavoro poneva un problema piuttosto serio, in quanto non era rinvenibile un indirizzo legislativo comune all’interno degli Stati membri. Un po’ in tutte le nazioni europee il diritto del lavoro è sempre stato piuttosto complesso, in questo modo lo status giuridico dei telelavoratori era sovente di difficile definizione, disomogeneo, poco chiaro e non vi erano garanzie adeguate che venissero rispettati i loro diritti. Il telelavoro mal si adattava alle norme esistenti, per lo più basate sui concetti tipici dell’età industriale. Per questi motivi il progetto ATTICA finì con il suggerire per il telelavoro l’adozione di un quadro normativo proprio, in attesa del quale la legislazione esistente avrebbe dovuto essere interpretata in modo da adattarsi alle esigenze scaturite dallo sviluppo delle nuove forme di lavoro. In precedenza anche la Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, con sede a Dublino, condusse delle ricerche su questi temi, ponendo particolare attenzione ai problemi della tutela della salute e della sicurezza nel telelavoro, dello status giuridico e contrattuale dei telelavoratori e della previdenza sociale. Sui temi della salute e della sicurezza la Fondazione elaborò un'interessante relazione, da cui si rilevava la totale assenza di una legislazione ad hoc in tutti i Paesi europei. La scelta per il futuro gravitava attorno ad una questione di fondo, ossia se considerare il telelavoro come nuova forma di lavoro (e di conseguenza i telelavoratori come nuova categoria di lavoratori), nel qual caso sarebbe stato necessario legiferare ab ovo, o se trattarlo semplicemente come una nuova forma di organizzazione del lavoro, ed allora la disciplina si sarebbe ricavata da un’interpretazione estensiva del diritto del lavoro esistente. In alcuni Paesi membri dell’U.E., ad esempio, esistono delle norme 91 emanate per disciplinare il lavoro a domicilio che possono trovare applicazione anche nei confronti dei telelavoratori.12 Nella stessa direzione va la tendenza ad allargare il campo di applicazione delle norme giuslavoristiche ai telelavoratori autonomi o che presentino comunque dei connotati di autonomia superiori a quelli di un lavoratore dipendente tradizionale.13 A tal proposito la Commissione Europea, durante la consultazioni con le parti sociali nell’anno 2000, ha identificato nei telelavoratori una classe di soggetti che non è, o non può essere, in grado di corrispondere alla nozione tradizionale di lavoratore dipendente, ma tuttavia si trova quasi sempre ad essere economicamente dipendente da una singola fonte di lavoro.14 Nel corso delle consultazioni con le parti sociali la Commissione identificò una serie di temi che avrebbero dovuto essere oggetto di discussione e negoziazione. Tra questi meritano di essere menzionati: la necessità di definire una volta per tutte il concetto giuridico di telelavoro, i criteri generali per la stesura di progetti per l’introduzione del telelavoro nelle aziende, l’idoneità dei diversi lavori ad essere svolti a distanza, le regole e le procedure per le comunicazioni tra azienda e telelavoratori e tra telelavoratori, i fabbisogni formativi, le politiche di sicurezza all’interno dell’impresa, i termini e le condizioni del rapporto di lavoro (orari, stipendi e trattamento accessorio, diritti sindacali), le forme di monitoraggio e revisione del telelavoro. La Commissione mise anche in evidenza il fatto che le basi della futura normativa sul telelavoro avrebbero dovuto essere stabilite a livello comunitario, per poi essere trasposte nel diritto interno di ogni Stato membro. In rappresentanza dei lavoratori, nel corso di queste consultazioni, venne designata la Confederazione Europea dei Sindacati (European Trade Unions Confederation, E.T.U.C.) che nel corso degli anni ha prodotto numerosi documenti sul telelavoro. L’approccio complessivo 12 Cfr. sempre Commissione Europea DG XIII, New ways to work in the virtual European company - legal, organisational and management issues in telework, 1996. 13 Di questo tema si è occupata la Commissione Europea creando un gruppo di studio ad alto livello sotto la guida del Prof Alain Supiot cfr. SUPIOT Au-delà de l’emploi, rapporto pour la Commission européenne, Flammarion, Paris, 1999, citato da DIMARTINO, cit. 14 Cfr. Commissione delle Comunità Europee DG impiego e affari sociali, First stage consultation of socialpartners on modernising andimproving emplyment relations, Brussels, 2000 92 dell’E.T.U.C. nei confronti del telelavoro può riassumersi in un passo della relazione finale del suo congresso di Helsinki del 1999, secondo la quale il telelavoro non dovrebbe essere né condannato né glorificato, ma piuttosto ci si dovrebbe chiedere come organizzarlo. Questo documento dell’E.T.U.C. sottolinea poi alcuni aspetti di notevole portata giuslavoristica. Si sostiene infatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione devono essere utilizzate per promuovere effettivamente un’organizzazione del lavoro in forme partecipative, i telelavoratori devono avere il diritto di usare le reti della società per comunicare con i sindacati ed i rappresentanti dei lavoratori. L’E.T.U.C. lamenta la mancanza generalizzata di tutele nei confronti dei telelavoratori, per cui ha richiesto che vengano equiparati ai lavoratori dipendenti, e le eccezioni a questa regola siano sempre essere specificate nei contratti di lavoro. Inoltre la decisione di iniziare a telelavorare deve essere volontaria e reversibile, la corresponsione degli emolumenti e le relazioni sindacali non devono essere influenzati negativamente dalla scelta di telelavorare e devono continuare ad essere garantiti tutti i diritti in materia di protezione sociale e di salute. Un ultimo aspetto che l’E.T.U.C. considera altrettanto importante riguarda la protezione dei dati e della riservatezza, per cui devono essere stabilite delle regole chiare. In tal senso deve essere prevista la possibilità, anzi il diritto, per i telelavoratori, di scollegarsi dalla rete aziendale.15 Questi principi di ordine generale hanno rappresentato una svolta, a livello europeo, nel dialogo sociale sul telelavoro. Prima di allora si era sempre proceduto settorialmente, limitandosi a raggiungere singoli accordi. Due di questi accordi meritano di essere ricordati, anche perché contenevano delle linee guida per una successiva regolamentazione su base volontaria a livello nazionale ed aziendale, rispettivamente nel settore delle telecomunicazioni e del commercio. Soprattutto le guidelines definite nel settore delle telecomunicazioni, attraverso l’accordo raggiunto il 7 febbraio 2001 15 Cfr. E.T.U.C., Proposals concerning industrial relations in the information society, Brussels, 1999, citato da DIMARTINO, The high road to teleworking, cit. 93 nell’ambito dell’apposito Comitato di dialogo sociale settoriale, appaiono significative per la loro ampiezza.16 Tuttavia il limite di accordi del genere sta evidentemente nel loro carattere puramente volontario. Ciò nondimeno essi sono sempre stati visti con favore dalla Commissione Europea, quale primo passo verso un’intesa più ampia, da assumere quale base per una futura direttiva comunitaria.17 Precorrendo in parte la formulazione dei principi generali contenuti in queste linee guida, nel 1998 fu avviato un programma pilota all’interno alla Commissione Europea, come parte di un impegno più generale della Commissione per promuovere lo sviluppo dell’uso degli strumenti informatici in Europa. Il progetto pilota coinvolgeva inizialmente quaranta membri dello staff, appartenenti a due diversi dipartimenti, poi saliti a circa centoventi. Gli obiettivi che ci si prefiggeva erano: incrementare l’efficienza della Commissione attraverso una strutturazione più efficace e razionale degli orari di lavoro del personale; aumentare il benessere del personale assistendolo nel conciliare la vita privata con quella lavorativa, riducendo i tempi di spostamento e lo stress; stabilire buone pratiche nell’applicazione del telelavoro nella pubblica amministrazione; contribuire al miglioramento della qualità ambientale nei Paesi che ospitano gli uffici della Commissione. In seguito a valutazioni interne ed esterne questo progetto pilota fu considerato positivamente, in quanto gli obiettivi prefissati furono raggiunti, anche se il contributo offerto dal punto di vista della qualità ambientale fu solo marginale.18 Oggi il punto di arrivo di tutto questo lavorìo in seno all’Unione Europea è ben rappresentato dall’Accordo quadro europeo sul telelavoro, siglato il 16 luglio 2002 dalle rappresentanze europee dei lavoratori e dei datori di lavoro di cui, come già detto, ci si occuperà in dettaglio più avanti.19 16 Sia l’accordo per il settore delle telecomunicazioni, sia quello stipulato il 26 aprile 2001 fra Eurocommerce e UniEuropa, si riferiscono al telelavoro svolto in forma subordinata. 17 Cfr. ROCCELLA e TREU, Diritto del lavoro della Comunità europea, 3ª ed., CEDAM, Padova, 2002. 18 Le relazioni finali furono affidate a gruppi di esperti interni ed esterni alla Commissione, che elaborarono due distinti documenti: GUTH et al., Internal evaluation of the telework pilot in the information society and employment DGs of the European Commission, second report, September 2000; AA.VV., Telework pilot project in the European Commission – External evaluation panel report, august 2000 19 Cfr. § 4.4.1. 94 In conclusione si può affermare che, se le fortune dei telelavoratori comunitari dipendessero dalla frequenza con la quale il termine telelavoro ricorre nei documenti prodotti o promossi in Europa negli ultimi anni, all’Unione Europea spetterebbe la palma di soggetto istituzionale maggiormente sensibile rispetto all’esigenza di collocare la fattispecie del telelavoro entro un quadro giuridico certo o quantomeno sufficientemente delineato. Tuttavia la realtà è leggermente diversa. I documenti comunitari sul telelavoro, di cui abbiamo dato ampio conto, possono essere ricondotti, in massima parte, a quella peculiare categoria dell’azione regolativa cui viene attribuito l’evocativo termine di soft law. Con tale espressione viene efficacemente indicata un’articolata tipologia di atti i quali, pur avendo origine istituzionale, “non hanno, in linea di principio, nessuna vincolatività giuridica, anche se è possibile che essi sortiscano un qualche effetto sul piano pratico”.20 20 Cfr. SNYDER, The effectiveness of European Community Law: Institutions, Processes, Tools and Techniques, MLR, 1993, vol. 56, n.1, p. 32 citato da GAETA e PASCUCCI, Telelavoro e diritto, Giappichelli Editore, Torino, 1998. 95 3.3. IL RUOLO DELL’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO (O.I.L.) L’O.I.L. ha da tempo evidenziato i problemi che possono nascere da un’insufficiente tutela nei confronti dei diritti dei telelavoratori.21 Questa carenza è probabilmente originata da atteggiamenti reticenti ed ambigui da parte dei datori di lavoro e talvolta delle stesse autorità, che portano sovente alla totale o parziale disapplicazione della legislazione sul lavoro, con risvolti negativi anche a livello sociale. In tali casi gli standard minimi che si suppone proteggano il lavoratore, non trovano applicazione, con la giustificazione che il telelavoratore non è un dipendente e se lo è comunque non è un “loro” dipendente. Questo problema è stato affrontato in un rapporto pubblicato dall’O.I.L. e riguardante i contratti di lavoro.22 In molti casi i contratti individuali di telelavoro vengono stipulati in modo informale, per cui il soggetto non deve ritenersi obbligato da un accordo non stabilito e concluso nelle forme appropriate. In secondo luogo l’unico servizio offerto all’impresa è sovente il lavoro puro e semplice, senza un contributo significativo in termini finanziari, di risorse, di materiali o di 21 Cfr. I.L.O., meeting of Experts on workers in situations needing protection – The employment relationship: scope, Geneva, 15-19 May 2000: “Concealment and ambiguity are likely to lead to a real lack of protection of workers, by totally or partially preventing the application of labour legislation, with adverse effects also for the society as a whole. In such cases, the standard which is supposed to protect the worker is not applied because the employer considers that the worker is not an employee, or is not his/her employee. When workers attempt to have the standard applied, they find that the concept of the employer dissolves into a number of different parties, some of whom are very distant from one another”. 22 Cfr. I.L.O., Contract Labour Report VI (1), 1997, p. 12: “First, in many instances, individual subcontracting is carried out on an informal basis and the individual concerned may not be deemed to be a properly established and formally recognized business. Second, the only service offered to the user enterprises is often the worker’s labour, with no significant contribution of finances, resources, materials or tools. Third, having no assets other than their labour capacity, such workers do not bear any economic risk for the business to which they contribute, or such a risk is confined to their fee. Lastly, such individual workers may perform work for or provide services to a single user enterprise on a permanent or periodical basis and, in important respects, be dependent on it. Such dependency becomes especially apparent when the user enterprise exercises control and supervision over the performance of the work or services performed for them by these individual workers. In spite of their frequent formal independence, the latter actually tend to become dependent on the former and are thus in fact in a relationship that is very close to that of a traditional employer-employee relationship. As a result, such workers may be regarded neither as established individual self-employment businesses nor as employees, and thus may not receive the protection of labour and social security laws”. 96 attrezzature da parte del lavoratore. Inoltre, non mettendo a disposizione altre risorse al di fuori della loro capacità lavorativa, questi lavoratori non si fanno carico di alcun rischio economico per l’affare a cui contribuiscono, o tale rischio è limitato al pagamento delle imposte. Infine questi telelavoratori individuali possono lavorare per (o fornire servizi a) una singola impresa su base permanente o periodica e, cosa importante, esserne dipendenti. Secondo l’O.I.L., questo rapporto di dipendenza diviene ben evidente quando l’impresa esercita un controllo ed una supervisione sulle attività lavorative o sui servizi forniti dal telelavoratore. Quindi, nonostante la loro frequente indipendenza formale, i telelavoratori oggi tendono sempre più ad essere dipendenti da un datore di lavoro, secondo un rapporto che è ancora più stretto di quello che potrebbero avere in un ufficio tradizionale. Ne consegue che, per l’O.I.L., questi lavoratori non possono essere considerati alla stregua di imprenditori individuali né di lavoratori autonomi. Non avendo tuttavia un riconoscimento formale del loro status di lavoratori dipendenti, non possono nemmeno ricevere la protezione offerta dalle leggi in materia di lavoro e sicurezza sociale. I Governi, dal canto loro, hanno tutto l’interesse ad evitare la proliferazione di falsi lavoratori autonomi, sia per le conseguenze che ne derivano al gettito fiscale, sia per motivi di carattere sociale. In tal senso molti Paesi, tra i quali la Germania, la Grecia, il Belgio e l’Italia, recentemente hanno mosso i primi passi in questa direzione.23 In molte nazioni, nel campo del telelavoro, è ancora prevalente la figura giuridica della subordinazione. Nondimeno, alla ricerca di una risposta al problema dei falsi lavoratori autonomi, il concetto legale di lavoratore subordinato è stato progressivamente ampliato dalle legislazioni più lungimiranti e talvolta anche dalla giurisprudenza. Per quel che riguarda la produzione normativa, nel 1996 l’O.I.L. ha adottato una Convenzione, la numero 17724, ed una Raccomandazione, la numero 184, relative al lavoro a 23 Cfr. OECD EmploymentOutlook, Paris, 2000, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 24 Il testo completo della Convenzione O.I.L. n. 177 del 1996 (in lingua inglese) si trova all’indirizzo Internet http://www.itcilo.it/english/actrav/telearn/global/ilo/law/iloc177.htm, la convenzione peraltro non è stata ancora ratificata dall’Italia. 97 domicilio. Questi strumenti non menzionano espressamente il telelavoro, tuttavia forniscono una definizione di lavoro a domicilio che sembra ricomprendere anche numerose tipologie di telelavoro casalingo. La definizione di lavoro a domicilio contenuta nella Convenzione è chiara, si tratta di “lavoro eseguito da una persona, presso la sua abitazione o in altri locali a sua scelta, diversi dal luogo di lavoro dell’impresa; remunerato; che ha come risultato un prodotto o un servizio secondo quanto specificato dal datore di lavoro, senza preoccuparsi di sapere a chi tocca fornire le attrezzature, i materiali o quant’altro, a meno che questa persona abbia un grado di autonomia e di indipendenza economica necessario per essere considerato come lavoratore autonomo secondo le leggi nazionali, i regolamenti o le decisioni giurisprudenziali”. A prescindere dalla ratifica o meno di questi strumenti dell’O.I.L., la loro applicabilità al telelavoro è però ben lungi dall’essere stata accettata unanimemente. Mentre alcuni hanno sostenuto che il telelavoro dovrebbe essere trattato all’interno del quadro normativo esistente, come anche indicato da questa Convenzione, altri hanno argomentato che il lavoro a domicilio ed il telelavoro hanno sì dei punti in comune, ma non c’è nessuna distinzione meno chiara di quella basata sul fatto che nel telelavoro ci si connette elettronicamente con il datore di lavoro, mentre nel lavoro a domicilio no.25 Sia la Convenzione che la Raccomandazione possono però tornare utili per trovare delle risposte flessibili ai problemi posti dal telelavoro. La Convenzione non fornisce una regolamentazione dettagliata del lavoro a domicilio, ma stabilisce che ogni nazione che proceda alla ratifica possa adottare, implementare e revisionare periodicamente una politica nazionale sul lavoro a domicilio destinata a migliorare la condizione dei lavoratori. Il fine di tali politiche può identificarsi nella promozione dell’uguaglianza di trattamento tra lavoratori a domicilio e lavoratori dipendenti in 25 Cfr. gli interventi dei rappresentanti dei Governi francese e britannico al Simposio sulla Convergenza Multimediale organizzato dall’O.I.L. a Ginevra dal 27 al 29 gennaio 1997, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 98 generale. La raccomandazione (essa stessa strumento flessibile), che integra le previsioni della Convenzione senza imporre ulteriori obblighi, prevede l’adozione di una ulteriore serie di misure. Il combinato disposto dei due documenti impone innanzitutto agli Stati di designare un’autorità nazionale cui affidare la formulazione e l’implementazione delle politiche sul lavoro a domicilio. Quindi prevede: l’affermazione del diritto dei lavoratori a domicilio di essere informati sulle loro condizioni specifiche di impiego, l’iscrizione in un apposito registro delle imprese che utilizzano lavoratori a domicilio e di tutti gli intermediari che operano in questo settore, l’applicazione ai lavoratori a domicilio delle leggi nazionali e dei regolamenti concernenti l’età minima per l’ammissione al lavoro, il diritto dei lavoratori a domicilio di organizzarsi e contrattare collettivamente, la fissazione di un ammontare minimo dei salari dei lavoratori a domicilio, la tutela della salute e della sicurezza occupazionali, l’orario di lavoro, i periodi di ferie e di permesso, la sicurezza sociale e la protezione della maternità, la protezione in caso di licenziamento, l’assistenza per la formazione ed altri programmi specificamente destinati ai lavoratori a domicilio. Parte di questi temi sono stati affrontati dai singoli Stati, ma in modo non omogeneo e talvolta con risultati discordanti. La scelta di legiferare solo su alcuni dei tanti punti elencati è sovente dettata da fattori contingenti locali o, peggio, da interessi particolari di gruppi economici o sociali. L’adozione degli strumenti normativi dell’O.I.L. potrebbe pertanto servire, anche in questo caso, ad indirizzare correttamente le politiche nazionali in tema di lavoro a domicilio e, in modo riflesso, di telelavoro. In tal senso è utile evidenziare che anche l'Unione Europea, sebbene in riferimento al lavoro a domicilio in generale, ha rivolto agli Stati membri un invito a ratificare la Convenzione n. 177.26 26 Questo invito è contenuto nella Raccomandazione della Commissione del 27.05.1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L165 del 10.06.1998: La Commissione delle Comunità europee – omissis – raccomanda: che gli Stati membri che non vi hanno ancora provveduto ratifichino la convenzione OIL sul lavoro a domicilio, adottata il 20 giugno 1996. 99 3.4. IL TELELAVORO IN FRANCIA Pur avendo vissuto esperienze sperimentali fin dagli ultimi anni settanta e nei primi anni ottanta del XX secolo, il telelavoro in Francia ha incominciato a diffondersi rapidamente solo nell’ultimo decennio. Fino a pochi anni fa infatti non godeva di una particolare attenzione, incontrando ostacoli culturali e organizzativi ed essendo ritenuto socialmente inaccettabile da quadri e impiegati. Nonostante un certo numero di iniziative private, specialmente da parte di imprese operanti nel settore bancario e assicurativo, l’interesse del governo verso il telelavoro ha avuto un'origine piuttosto recente. Solo nel 1992 sono stati avviati un buon numero di progetti pilota grazie alla stretta collaborazione tra l’agenzia governativa Datar (Delegation à l'Aménagement du Territoire et à l'Action Régionale) e di France Telecom.27 L'interesse francese verso il telelavoro è tradizionalmente da ricercare nel bisogno di un riequilibrio territoriale della forza lavoro, per creare occupazione a livello regionale pur mantenendo la competitività a livello internazionale delle imprese. Si stima infatti che nei prossimi anni, in assenza di provvedimenti governativi volti a modificare il trend attuale, il 90% dei francesi abiterà solo il 10% del territorio nazionale, per la maggior parte concentrato nell'area metropolitana parigina.28 Con 1'adozione del telelavoro sarà invece possibile ridurre il fenomeno della concentrazione delle attività economiche, cui potranno conseguire una miglior salvaguardia dell’ambiente sociale e paesaggistico e, più in generale, un livello superiore nella qualità della vita dei cittadini. II telelavoro è stato quindi giudicato dal governo francese come un efficace strumento, forse ormai indispensabile, per lo sviluppo sia delle zone rurali sia dei quartieri degradati delle metropoli. La localizzazione delle attività produttive in tali zone decentrate porta con sé un duplice effetto: da 27 Cfr.: FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997 Cfr.: BRACCHI e CAMPODALL’ORTO, Progettare il telelavoro, Manuale per l’utilizzo, Franco Angeli editore, Milano, 1997, pag. 178 e segg. 28 100 un lato permette alle imprese e alle amministrazioni di andare incontro alle professionalità qualificate a costi più contenuti e di realizzare così economie di costo e guadagni di produttività; dall'altro rappresenta un'occasione per creare nuove opportunità di lavoro in zone che per tradizione sono economicamente deboli, caratterizzate in passato da imponenti flussi migratori verso le grandi città e oggi da un progressivo invecchiamento della popolazione, dando così nuova linfa vitale ai centri minori. Sulla base di queste considerazioni, la somma messa a disposizione dal governo francese e da France Telecom nel 1992 è stata di circa diciotto milioni di franchi, pari al 25% della cifra globale investita per le sperimentazioni nel campo del lavoro. I progetti di telelavoro, distribuiti geograficamente su tutto il territorio nazionale ed anche nei possedimenti d'oltre mare, hanno interessato i più svariati settori della realtà industriale francese (dal settore pubblico alle imprese manifatturiere, al settore dell'editoria) e hanno coinvolto circa quattrocento lavoratori. L'orientamento è stato quello di promuovere le forme di telelavoro home office, piuttosto che i telecentri o gli uffici satellite. Sull'onda del successo della prima iniziativa, alla fine del 1993 Datar e France Telecom hanno avviato un secondo progetto, mettendo a disposizione ben quaranta milioni di franchi. I progetti, per poter fruire delle sovvenzioni, dovevano essere indirizzati in modo particolare verso l'incentivazione dello sviluppo delle zone rurali e dei quartieri urbani degradati e, più in generale, verso un miglioramento della qualità della vita dei lavoratori e una maggior efficienza nel lavoro. Questi progetti pilota hanno coinvolto numerosi partners sia a livello istituzionale, governativo e locale, sia a livello di imprenditoria privata. Numerosi sono gli esempi. A Marsiglia, Marne la Vallee, Roubaix e Nizza vennero creati dei teleporti, ovvero strutture ospitate in edifici o interi distretti urbani, e dotati delle più avanzate tecnologie della comunicazione, allo scopo di fornire servizi avanzati alle imprese. La SNCF (Societé Nationale des Chemins de Fer) che gestisce le ferrovie francesi, realizzò, nella regione del Pas-de-Calais, vicino al confine con il Belgio un centro, chiamato CRTV (Centro Ricerche 101 Telefoniche Passeggeri), per la prenotazione e la vendita a distanza dei biglietti ferroviari. France Telecom e Deutsche Telekom misero a punto Translatel, un servizio di traduzione simultanea durante le normali conversazioni telefoniche.29 II servizio si basa su una rete di trecentoquaranta traduttori sparsi in tutto il mondo, che annunciano ogni sette giorni la loro disponibilità settimanale ad un ufficio centrale e telelavorano in funzione della domanda. Da un punto di vista tecnologico, la Francia è una nazione di forti contrasti. Agli alti livelli di ricerca e di innovazione tecnologica fa da contraltare uno dei più bassi livelli di diffusione di personal computer in Europa. Ciò nonostante, i francesi hanno una buona confidenza con i servizi on-line offerti da Minitel, il sistema videotex operativo fin dai primi anni ottanta, e con i servizi di banca e finanza elettronica. Per questo motivo all’iniziale diffidenza verso il telelavoro ha poi fatto seguito un più razionale approccio operativo. Già nel 1993, attraverso il cosiddetto “rapporto Breton”, si fece una prima conta dei telelavoratori, intesi nel senso più ristretto del termine, che risultarono essere compresi tra i diecimila ed i ventimila.30 Nel 1995 una valutazione, condotta secondo una definizione di telelavoro più generica, stabilì in 400.000 il numero delle persone impegnate nel lavoro a distanza nella sola Regione dell’Ile de France. Lo stesso studio evidenziò come, in questa Regione, su 5,6 milioni di lavoratori solo il 27% (1,5 milioni) lavoravano in prossimità della loro abitazione, mentre i rimanenti dovevano viaggiare per recarsi al lavoro. Fu calcolato che il traffico congestionato dell’area parigina provocava quotidianamente una perdita complessiva di 7 milioni e mezzo di ore, ossia l’equivalente delle ore lavorate in un giorno nell’intero agglomerato urbano di Lione.31 Dati più recenti sono stati forniti dall’Eurobarometro della Commissione Europea nell’autunno del 2000. La percentuale di lavoratori francesi che telelavorano regolarmente è già del 6,1%. A questo va aggiunto un altro 7,4% di telelavoratori occasionali, per un totale del 13,5% della 29 Cfr.: BLASCO e LOUBET, Le télétravail, Les Editions d’Organisations, Paris, 1995. Cfr.: DUMÉNIL e ROUX, Le télétravail, City & York ed., Dublin, 1995. 31 Cfr.: GAUTHIER e DORIN, Le guide pratique du télétravail, Les Editions d’Organisations, Paris, 1996, pag. 15 30 102 forza lavoro totale. Il 68,4% dei francesi intervistati, una percentuale assai superiore alla media europea (42,8%), pensa che il telelavoro aumenti il proprio senso di autonomia .32 Fatte queste doverose premesse di carattere generale, va detto che in Francia il telelavoro è stato oggetto di un acceso dibattito in campo giuslavoristico. In una guida al telelavoro, pubblicata nel 1996 a cura dell’Agenzia Regionale per la Pianificazione del Tempo (CATRAL), veniva dedicato un capitolo specifico alle problematiche giuridiche destate in Francia dal telelavoro. In esso si premetteva che il telelavoro, in quanto forma di organizzazione del lavoro e non tipo specifico di lavoro, non richiedeva la predisposizione di uno status giuridico proprio. Quindi occorreva stabilire, caso per caso, quale fosse lo status giuridico esistente da applicare.33 Due sono le situazioni possibili, quella di lavoratore dipendente e quella di lavoratore autonomo, anche se la prima è numericamente preponderante. Il lavoratore autonomo è libero di contrattare con i suoi clienti per fornire loro dei servizi, ma deve farsi carico dei rischi connessi all’attività da svolgere. In Francia lo status di lavoratore autonomo scaturisce dalla registrazione di questi al registro del commercio e delle società (se è un commerciante) oppure al registro degli artigiani o ancora al registro degli agenti di commercio. In altre parole è la registrazione stessa che fa nascere una presunzione di lavoro autonomo. Si tratta però di una presunzione semplice, ossia può essere superata se viene provata l’esistenza di un rapporto di subordinazione tra le due parti del contratto, come peraltro specifica chiaramente l’articolo L120-3 del codice del lavoro francese.34 32 Reperibile all’indirizzo Internet http://europa.eu.int/comm/public_opinion/index.htm Cfr.: GAUTHIER e DORIN, Le guide pratique du télétravail, Les Editions d’Organisations, Paris, 1996, pag. 22 segg. 34 Code du Travail, article L120-3 “Les personnes physiques immatriculées au registre du commerce et des sociétés, au répertoire des métiers, au registre des agents commerciaux ou auprès des unions de recouvrement des cotisations de sécurité sociale et d'allocations familiales pour le recouvrement des cotisations d'allocations familiales, ainsi que les dirigeants des personnes morales immatriculées au registre du commerce et des sociétés et leurs salariés sont présumés ne pas être liés avec le donneur d'ouvrage par un contrat de travail dans l'exécution de l'activité donnant lieu à cette immatriculation. Toutefois, l'existence d'un contrat de travail peut être établie lorsque les personnes citées au premier alinéa fournissent directement ou par une personne interposée des prestations à un donneur d'ouvrage dans des conditions qui les placent dans un lien de subordination juridique permanente à l'égard de celui-ci. Dans un tel cas, il n'y a dissimulation d'emploi salarié que s'il est établi que le donneur d'ouvrage s'est soustrait intentionnellement à l'accomplissement de l'une des formalités prévues aux articles L. 143-3 et L. 320“. 33 103 In questo senso la giurisprudenza si è sempre attenuta alla valutazione delle condizioni di fatto con le quali viene esercitata l’attività, per poter stabilire se sussiste o meno un rapporto di subordinazione.35 Per quanto riguarda invece i lavoratori dipendenti in Francia è stata operata una successiva distinzione tra lavoratori a domicilio, a cui vanno applicate norme giuslavoristiche specifiche, e lavoratori salariati detti de droit commune. Il telelavoro di diritto comune rappresenta la situazione numericamente più frequente, cioè l’esecuzione di un lavoro salariato sotto forma di telelavoro. Il luogo di lavoro potrà essere indifferentemente un ufficio satellite, un telecentro, il domicilio del lavoratore, ecc. In questo caso, anche nell’ipotesi di lavoro svolto al proprio domicilio, il lavoratore resta comunque legato all’impresa, ed è questa la ragione per cui ad esso viene applicato lo status di lavoratore di diritto comune. Il telelavoratore di diritto comune ha gli stessi diritti individuali e collettivi, e gli stessi obblighi, dei dipendenti che lavorano nella sede centrale dell’impresa. Il lavoratore a domicilio vede invece il suo telelavoro sottoposto al regime giuridico dettato dagli articoli L 721-1 e seguenti del codice del lavoro.36 Si tratta in effetti di un lavoratore salariato 35 Cfr.: GAUTHIER e DORIN, cit. Code du Travail, Article L721-1 «Sont considérés comme travailleurs à domicile ceux qui satisfont aux conditions suivantes : 1. Exécuter, moyennant une rémunération forfaitaire, pour le compte d'un ou plusieurs établissements industriels, artisanaux ou non, commerciaux ou agricoles, de quelque nature que soient les établissements, qu'ils soient publics ou privés, laïques ou religieux, même s'ils ont un caractère d'enseignement professionnel ou de bienfaisance, un travail qui leur est confié soit directement, soit par un intermédiaire; 2. Travailler soit seuls, soit avec leur conjoint ou avec leurs enfants à charge au sens fixé par l'article 285 du code de la sécurité sociale, ou avec un auxiliaire. Il n'y a pas lieu de rechercher: - s'il existe entre eux et le donneur d'ouvrage un lien de subordination juridique sous réserve de l'application des dispositions de l'article L. 120-3; - s'ils travaillent sous la surveillance immédiate et habituelle du donneur d'ouvrage; - si le local où ils travaillent et le matériel qu'ils emploient, quelle qu'en soit l'importance leur appartiennent; - s'ils se procurent eux-mêmes les fournitures accessoires; - ni quel est le nombre d'heures effectuées. Les dispositions du premier chapitre sont applicables aux salariés des offices publics ou ministériels, des professions libérales, des sociétés civiles, des syndicats professionnels et associations de quelque nature que ce soit». Article L721-2 «Conservent la qualité de travailleur à domicile ceux qui, en même temps que le travail, fournissent tout ou partie des matières premières mises en oeuvre, lorsque ces matières premières leur sont vendues par un donneur d'ouvrage qui acquiert ensuite l'objet fabriqué ou par un fournisseur indiqué par le donneur d'ouvrage et auquel les travailleurs sont tenus de s'adresser». Article L721-3 «Sauf dans le cas prévu au paragraphe 2e de l'article L. 721-1 , la réunion des travailleurs à domicile dans un même local, pour exécuter des tâches complémentaires les unes des autres, confère à ces travailleurs la qualité d'ouvriers en atelier». Article L721-4 « soumis aux dispositions du présent chapitre tout chef d'établissement industriel, artisanal ou non, commercial ou agricole, de quelque nature que soit l'établissement intéressé, qu'il soit public ou privé, laïc ou religieux, même s'il a un caractère d'enseignement professionnel ou de bienfaisance, qui occupe régulièrement ou non, habituellement ou non, un ou plusieurs travailleurs à domicile. Ce chef d'établissement, dit donneur d'ouvrage, est responsable de l'application de l'ensemble des dispositions législatives et réglementaires applicables aux salariés, même s'il utilise un intermédiaire». 36 104 che però beneficia di uno status autonomo, le cui caratteristiche sono le seguenti: egli esegue il lavoro per conto di un datore di lavoro, sia esso un'impresa industriale, commerciale, artigianale, ecc; svolge il lavoro presso il proprio domicilio, e comunque al di fuori dello stabilimento del datore di lavoro; svolge il lavoro da solo, o con l’aiuto dei suoi famigliari o di un ausiliario; svolge questo lavoro in cambio di una remunerazione forfettaria (secondo tariffari stabiliti in anticipo, in genere a prescindere dal numero di ore di lavoro effettivamente prestate). A ben vedere è proprio quest’ultimo il criterio che permette una netta distinzione tra il telelavoratore a domicilio ed il telelavoratore di diritto comune, il quale viene retribuito di norma con uno stipendio mensile. Il criterio che tiene conto del luogo di lavoro non è quindi decisivo, in quanto un telelavoratore di diritto comune può benissimo svolgere il proprio lavoro a domicilio. Un’altra problematica connessa allo sviluppo del telelavoro riguarda le particolari clausole contrattuali che di norma vengono apposte in questi nuovi tipi di contratti. Poiché il telelavoratore ha gli stessi diritti dei colleghi che lavorano nei locali dell’impresa, la remunerazione dovrà essere la stessa. Inoltre nel contratto dovrà essere indicata espressamente la sede in cui il lavoro viene svolto. Nell’ipotesi in cui il telelavoratore eserciti la sua attività in parte a domicilio ed in parte nei locali dell’impresa, il contratto dovrà farne menzione espressa in una clausola specifica. Quanto all’orario di lavoro il telelavoratore deve rispettarlo secondo le prescrizioni del contratto, tuttavia possono prevedersi delle modalità particolari di strutturazione dell’orario stesso. Il datore di lavoro avrà poi tutto l’interesse a costituire contrattualmente degli obblighi in capo al telelavoratore in materia di fedeltà, riservatezza e non concorrenza, al fine di proteggere le informazioni di proprietà dell’impresa. Un'altra clausola che può essere introdotta nel contratto del telelavoratore riguarda l’obbligo, per il datore di lavoro, di fornire, installare e curare la manutenzione di tutto il materiale occorrente, mentre per il lavoratore può solo sussistere un obbligo di restituzione al termine Article L721-5 «Le travailleur à domicile qui utilise le concours d'un auxiliaire est responsable de l'application à celui-ci de l'ensemble des dispositions législatives et réglementaires applicables aux salariés, sous réserve de l'application de l'article L. 125-2». Article L721-6 «Les travailleurs à domicile bénéficient des dispositions législatives et réglementaires applicables aux salariés. Ils bénéficient des dispositions conventionnelles liant le donneur d'ouvrage, sauf stipulations contraires, dans les conventions ou accords collectifs de travail en cause». 105 dell’utilizzo. In quest’ottica è anche possibile che il datore di lavoro si faccia carico delle spese di riscaldamento, dei consumi di elettricità, delle spese telefoniche o addirittura dell’affitto dell’abitazione del telelavoratore.37 Per quanto riguarda i contratti collettivi di lavoro, i telelavoratori francesi, sia a domicilio che di diritto comune, si vedono applicati quelli sottoscritti all’interno dell’impresa per cui lavorano, salvo che in essi non sia disposto diversamente, in tal caso i telelavoratori potrebbero venirne esclusi, in tutto o solo in parte. Negli ultimi anni la contrattazione collettiva si è più volte occupata del telelavoro. Ad esempio il contratto collettivo nazionale dei lavoratori del settore delle telecomunicazioni, siglato il 26 aprile 2000, contiene un articolo dedicato specificamente al lavoro a domicilio ed al telelavoro. 38 In esso viene stabilito che, per evitare l’isolamento dei telelavoratori, l’impresa si farà parte attiva per organizzare dei colloqui periodici con la dirigenza e degli incontri con gli altri lavoratori. In assenza di una contrattazione aziendale specifica, il telelavoro deve inoltre fondarsi su di una scelta volontaria di entrambe le parti, e da entrambe le parti revocabile unilateralmente. Il contratto di telelavoro, redatto in duplice copia, dovrà poi precisare le modalità remunerative e del computo della durata del lavoro, le fasce orarie in cui il dipendente dovrà essere reperibile, le modalità di rimborso delle spese sostenute dal dipendente per l’utilizzo del domicilio come luogo di lavoro, ecc. Questo contratto collettivo, utilizzato successivamente come modello per altri settori produttivi, stabilisce anche che i telelavoratori sono soggetti alla legislazione in materia di incidenti sul lavoro (e durante il tragitto casa-impresa) ed hanno gli stessi diritti degli altri dipendenti dell’impresa. Il datore di lavoro deve anche assicurarsi che i locali utilizzati rispondano alle norme igieniche, di sicurezza e sulle condizioni di lavoro. Se sono necessari dei lavori di messa in conformità, le spese saranno sempre a carico del datore di lavoro. 37 Cfr.: GAUTHIER e DORIN, cit. Convention Collective Nationale des télécommunications, Etendue par arrêté du 12 octobre 2000, J.O.R.F. du 18 octobre 2000. 38 106 Un altro argomento su cui in Francia si è assai discusso riguarda la possibilità di far convivere lo status giuridico di telelavoratore con le norme di diritto che tutelano il domicilio delle persone, perché in questa materia trovano applicazione anche norme di diritto fiscale, sociale ed urbanistico. Nel telelavoro il domicilio del telelavoratore diventa il suo luogo di lavoro, per cui sono possibili due situazioni differenti. Se una parte del domicilio subisce una trasformazione per cui diventa un locale ad uso professionale, occorre richiedere un’apposita autorizzazione amministrativa secondo quanto stabilisce l’art. 631-7 del codice della costruzione e dell’abitazione.39 Altrimenti il domicilio conserva il suo status iniziale. In quest’ultimo caso, che è il più frequente, il telelavoratore avrà il diritto di esercitare la sua attività al suo domicilio privato, salvo disposizioni contrarie contenute nel contratto d’affitto. Per contro non avrà la possibilità di ricevere i clienti o il pubblico, in quanto ciò sarebbe incompatibile con il carattere abitativo del contratto di affitto. Il contratto di affitto dell’abitazione può poi incidere anche sulle attrezzature e sull’equipaggiamento necessario all’attività di telelavoro. Il telelavoratore infatti deve assicurarsi che le disposizioni del contratto di affitto non ostino all’installazione delle attrezzature di cui lui 39 Code de la construction et de la habitation, Article L631-7 «Dans les communes définies à l'article 10-7 de la loi nº 48-1360 du 1er septembre 1948 modifiée: 1º Les locaux à usage d'habitation ne peuvent être, ni affectés à un autre usage, ni transformés en meublés, hôtels, pensions de famille ou autres établissements similaires dont l'exploitant exerce la profession de loueur en meublé au sens du premier alinéa de l'article 2 de la loi nº 49-458 du 2 avril 1949 modifiée, accordant le bénéfice du maintien dans les lieux à certains clients des hôtels, pensions de famille et meublés ; les présentes dispositions n'étant pas applicables aux locations en meublé mentionnées au deuxième alinéa dudit article 2; 2º Les locaux à usage professionnel ou administratif ainsi que les meublés, hôtels, pensions de famille ou établissements similaires ne peuvent, s'ils ne conservent pas leur destination primitive, être affectés à un usage autre que l'habitation; 3º Les garages et remises mentionnés à l'article 2 de la loi nº 48-1360 du 1er septembre 1948 précitée ne peuvent être affectés à un usage commercial, industriel ou artisanal. Il ne peut être dérogé à ces interdictions que par autorisation administrative préalable et motivée, après avis du maire et, à Paris, Marseille et Lyon, aprés avis du maire d'arrondissement. Le représentant de l'Etat dans le département peut autoriser l'exercice, sous certaines conditions, dans une partie d'un local d'habitation, d'une profession qui ne puisse à aucun moment revêtir un caractère commercial si ce local constitue en même temps la résidence du demandeur. Ces dérogations et autorisations sont accordées à titre personnel. Cependant, les bénéficiaires membres d'une profession libérale réglementée, qui rendent à l'habitation le local qui était devenu totalement ou partiellement professionnel, peuvent être autorisés à transformer un autre local d'habitation en local professionnel pour une surface équivalente. La dérogation et l'autorisation cessent de produire effet lorsqu'il est mis fin, à titre définitif, pour quelque raison que ce soit, à l'exercice professionnel du bénéficiaire. Sont nuls de plein droit, tous accords ou conventions conclus en violation du présent article. Toutefois le locataire ou occupant d'un local d'habitation irrégulièrement transformé en meublé et réaffecté à la location nue bénéficie de plein droit, quelle que soit la date de son entrée dans les lieux, du maintien dans les lieux dans les conditions prévues aux chapitres Ier et II du titre Ier de la loi précitée du 1er septembre 1948». 107 necessita. Inoltre deve rispettare tutte le norme di sicurezza connesse all’uso delle apparecchiature informatiche. Un altro problema riguarda gli eventuali incidenti che possano arrecare danno al telelavoratore ed alle attrezzature. Se il lavoratore dipendente ha un incidente durante l’esecuzione del suo lavoro (art. L 411-1 del codice della sicurezza sociale)40, verrà applicata la normativa prevista per gli incidenti sul lavoro. Spetterà in ogni caso al telelavoratore stabilire un nesso di causalità tra il lavoro e l’incidente. Per quel che riguarda i danni al materiale sopravvenuti presso il domicilio, saranno le assicurazioni stipulate dal datore di lavoro a coprire il sinistro, eventualmente in concorso con le assicurazioni stipulate dal telelavoratore. Come ovvio, nel telelavoro il datore di lavoro si trova nell’impossibilità fisica di sorvegliare l’esecuzione dell’attività da parte del proprio dipendente, a causa della distanza che li separa e per il fatto che il luogo di lavoro può essere un luogo di privata dimora. Per questo motivo, secondo le leggi francesi, il datore di lavoro non può accedere al domicilio del telelavoratore senza che questi abbia fornito il proprio consenso. Vi sono poi ancora dei problemi di natura fiscale, in quanto l’attuale legislazione francese non permette una chiara classificazione dei telelavoratori. Chi si è occupato del problema suggerisce di rivolgersi direttamente ai centri delle imposte, con una lettera del datore di lavoro che specifichi la situazione del singolo telelavoratore, per avere delle informazioni più precise.41 In questo settore è intervenuta un’ordinanza del Ministro della salute42 per affermare che le spese sostenute dal telelavoratore per l’acquisto e la gestione delle attrezzature, sono oneri deducibili ai fini dell’imposizione fiscale, a condizione che vengano giustificate. 40 Code de la securité sociale, Article L411-1 «Est considéré comme accident du travail, quelle qu'en soit la cause, l'accident survenu par le fait ou à l'occasion du travail à toute personne salariée ou travaillant, à quelque titre ou en quelque lieu que ce soit, pour un ou plusieurs employeurs ou chefs d'entreprise». 41 GAUTHIER e DORIN, cit. 42 Ministère de la santé, de la famille et des personnes handicapées, Arrêté du 20 décembre 2002 relatif aux frais professionnels déductibles pour le calcul des cotisations de sécurité sociale, J.O.R.F. n° 301 du 27 décembre 2002, page 21758, Article 6 «Les frais engagés par le travailleur salarié ou assimilé en situation de télétravail, régie par le contrat de travail ou par convention ou accord collectif, sont considérés comme des charges de caractère spécial inhérentes à la fonction ou à l'emploi, sous réserve que les remboursements effectués par l'employeur soient justifiés par la réalité des dépenses professionnelles supportées par le travailleur salarié ou assimilé». 108 Da quanto esposto risulta evidente che in Francia il telelavoro, da un punto di vista giuridico, abbia essenzialmente posto dei problemi di natura contrattuale e sindacale. Prova ne è che non esiste una legislazione specifica, analoga a quella italiana o di altre nazioni europee come la Gran Bretagna. Una ricerca testuale ha permesso di riscontrare in due sole leggi, entrambe del 1995, la parola télétravail. La prima, una legge di programma relativa alla giustizia, cita il telelavoro come strumento per ripartire equamente il carico di lavoro tra le cancellerie dei tribunali.43 La seconda riguarda la pianificazione e lo sviluppo del territorio e prevede che, tra le molte altre cose, si tenga genericamente conto delle possibilità offerte dal telelavoro.44 Si può infine segnalare come il telelavoro abbia fatto una fuggevole comparsa anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione, pur se in modo riflesso. Il 13 marzo 2002 la suprema corte rigettò un ricorso presentato da tal Terrier Jean-Claude, il quale fu condannato per truffa dalla corte d’appello di Aix-en-Provence, poiché aveva raggirato un cospicuo numero di persone facendo credere loro di aver creato una società di telelavoro risultata poi fittizia.45 43 Loi de programme n. 95-9 du 6 janvier 1995 relative à la justice, J.O.R.F. n° 7 du 8 janvier 1995, page 381. Loi n. 95-115 du 4 février 1995 d’orientation pour l’aménagement et le développement du territoire, J.O.R.F. n° 31 du 5 février 1995, page 1973. 45 Cour de Cassation, Chambre criminelle, Audience publique du 13 mars 2002, N° de pourvoi : 01-81136, Inédit, Président: M. COTTE. 44 109 3.5. IL TELELAVORO NEL REGNO UNITO In Europa il Regno Unito è sempre stato tra le nazioni guida nel campo del telelavoro. Una prima ragione può forse identificarsi nella tariffazione telefonica, tradizionalmente economica. La precoce liberalizzazione del comparto delle telecomunicazioni, risalente al 1984, ha poi favorito lo sviluppo di un mercato competitivo. Tuttora c’è una forte crescita nel campo della telefonia mobile e dei servizi Internet, anche se la diffusione delle linee veloci e superveloci è stata più lenta rispetto alla media degli altri Paesi europei.46 Un altro motore dello sviluppo del telelavoro in Gran Bretagna è stata la necessità di porre un argine allo spopolamento delle zone più periferiche, che ha dato origine al particolare fenomeno dei telecottages, la cui tradizione è ormai consolidata. I telecottages sono una sorta di telecentri che consentono attività differenziate (commerciali, benefiche, di volontariato), e capaci di offrire agli utenti un’ampia gamma di servizi (servizi di stampa, commerciali, agenzie di collocamento, ecc.).47 La metà circa dei telecottages sono finanziati dalle autorità pubbliche, mentre un quarto appartiene a privati imprenditori ed un quarto a cooperative. La rete britannica dei telecottages e dei telecentri si sviluppò nei primi anni ’90, innanzitutto nelle città di piccole dimensioni e nelle zone rurali. Nel 1997 ce n’erano già circa centocinquanta, ma solo una piccola parte venivano utilizzati in modo prevalente per telelavorare. Le Isole Ebridi, un arcipelago a nord ovest della costa scozzese, sono una delle zone più isolate del Regno Unito. Per contrastare il calo demografico dovuto all’esodo della popolazione verso i centri urbani del centro e del sud, furono avviati diversi progetti. L’obiettivo era trovare il modo di rendere queste isole più attraenti per i giovani, in modo da farli rimanere o, se possibile, ritornare. Si iniziò nel 1994 con un censimento delle competenze informatiche dei residenti, e la 46 Per una visione d’insieme sulla diffusione del telelavoro nel Regno Unito cfr. HOTOPP U., Teleworking in the UK, Labour market trends, June 2002, pp. 311-318, oppure AA.VV., Working anywhere – exploring telework for individuals and organisations, UK Online for business, 2nd ed., 2000. 47 Cfr. FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. 110 successiva realizzazione di un registro delle competenze stesse. Il registro è stato costantemente aggiornato e attualmente contiene i profili individuali di oltre cinquecento persone, le cui specifiche professionalità vengono offerte sul mercato del telelavoro da una società che si occupa di gestire i rapporti con aziende e organizzazioni di tutto il mondo. Nel 1997 questo tipo di organizzazione aveva già permesso la creazione di settanta nuovi posti di telelavoro. Questo ed altri programmi analoghi, con il parallelo sviluppo della “Highlands and Islands University”, hanno permesso di raggiungere l’obiettivo di frenare l’emorragia di giovani dalle Isole Ebridi.48 Anche British Telecom, nel 1995, avviò un progetto di telelavoro, questa volta domiciliare, riguardante i servizi di vendita e di supporto tecnico alla clientela. 49 Le abitazioni di dodici dipendenti furono attrezzate, a spese di British Telecom, con una linea telefonica dedicata, personal computer e accesso ISDN, in modo da consentire un accesso in tempo reale alle banche dati dei principali clienti dell'azienda. I telelavoratori venivano contattati quotidianamente per verificare i dati relativi all’andamento delle vendite del giorno precedente. Erano comunque previsti dei rientri periodici in azienda per degli incontri con i responsabili del progetto.50 Anche le autorità britanniche mostrarono un precoce interesse per il telelavoro, soprattutto per i possibili effetti positivi sull’ambiente derivanti dalla diminuzione degli spostamenti. Uno studio del Dipartimento dell’Ambiente, dei Trasporti e delle Regioni (D.E.T.R.) ha analizzato in maniera dettagliata l’impatto del telelavoro sugli spostamenti dei lavoratori del Cambridgeshire County Council, nella città di Cambridge. Lo studio ha ipotizzato una possibile riduzione del traffico compresa tra il 4% e l’8%, con una diminuzione dei picchi di congestione del traffico che potrebbe arrivare anche al 30%. La riduzione delle emissioni così ottenibile è stata stimata in un range di 10.700-26.200 kg di monossido di carbonio, 131.000-323.000 kg di anidride carbonica e 2.000-4.500 kg di ossidi d’azoto all’anno.51 48 Cfr. FELICI cit. Il cosiddetto progetto “152” a Southampton. 50 Cfr. FELICI cit. 51 Cfr.HOP, Assessing the impact of advanced telecommunications on work-related travel, 1997, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 49 111 Prendendo atto del crescente interesse verso il telelavoro, l’Ufficio Nazionale di Statistica (Office for National Statistics, O.N.S.) ritenne quindi utile incominciare a raccogliere dei dati precisi sul numero dei telelavoratori. Quando nella primavera del 2000 furono resi pubblici i primi dati così raccolti, in Gran Bretagna risultavano esservi 1.593.000 telelavoratori, il 5,8% della forza lavoro totale, considerando come tale l’insieme dei lavoratori dipendenti e autonomi. Su dieci telelavoratori ben sette erano donne. La categoria più rappresentata era quella dei telelavoratori che lavorano in più posti diversi ma utilizzando la loro abitazione come base (805.000 persone), seguita da quella dei telelavoratori occasionali (477.000), cioè coloro che pur non lavorando regolarmente a casa, né utilizzandola come base, tuttavia vi lavorano almeno un giorno alla settimana. Infine vi era la categoria dei telelavoratori a domicilio, cioè le persone che lavorano in modo regolare e continuo dalla propria abitazione (312.000).52 Uno studio successivo, svoltosi nella primavera del 2001, ha fissato in 2,2 milioni (7,4% della forza lavoro) il numero di telelavoratori britannici. L’incremento nel quadriennio 1997-2001 è quindi stato del 65-70%. I tre quarti circa dei telelavoratori così censiti risultavano impiegati nel settore privato, per lo più con incarichi dirigenziali o professionali.53 Di tutt’altro tenore erano i dati forniti dall’Eurobarometro nell’autunno 2000, secondo cui il Regno Unito, con il 19,7% di telelavoratori sul totale della forza lavoro, era al terzo posto dell’U.E. La palese discordanza delle cifre altro non è che una conferma dell’enorme importanza rivestita dalla scelta di una definizione di telelavoro piuttosto che un’altra.54 La Gran Bretagna è stato il primo Paese in Europa a raccogliere regolarmente i dati statistici sul telelavoro, ed il lavoro dell’O.N.S. si è rivelato prezioso. Esso ha consentito di evidenziare lo sviluppo estremamente rapido di queste nuove forme di lavoro tra il 1998 ed il 2000, anni in cui il numero totale di telelavoratori in Gran Bretagna è aumentato del 39%. Per il 2003 era stata stimata una crescita più moderata, pari a circa il 12%, con un incremento più sensibile tra i telelavoratori 52 Cfr. UK Office for National Statistics, Labour Force Survey (Spring 2000) in: http://www.statistics.gov.uk/ Cfr. HOTOPP, Teleworking in the UK, LABOUR Market trends, June 2002, pp. 311-318. 54 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, Eurobarometro 54.0, Gli Europei e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel quadro dell’impiego, autunno 2000. 53 112 che utilizzano la loro casa come ufficio di base. Tutte queste statistiche sono raccolte annualmente nel Labour Force Survey, realizzato dall’O.N.S. nel primo quadrimestre di ogni anno su di un campione di oltre sessantottomila nuclei familiari. Meno concordi sono invece le ricerche riguardanti il numero delle persone che telelavorano nei call centers britannici. Alla fine del 1999, secondo Datamonitor 55 erano 390.000, mentre per l’Institute of personnel and development (I.P.D.) erano solo 300.000.56 Quello dei call centers è un settore che, soprattutto in Scozia, ha un’importanza strategica. I call centers britannici sono destinati ad operare non solo per le aziende di tutto il Regno Unito ma anche per quelle d’oltre Manica. Un gran numero di importanti società di informatica, come IBM e Compaq, dispongono oggi, nei pressi di Glagow, di call centers per le attività di assistenza ai clienti. Da tempo i call centers vengono considerati strumenti importanti per rivitalizzare l’economia scozzese e per combattere gli alti livelli di disoccupazione, basti pensare che già nel 1999 occupavano circa trentamila persone, e sono ancora in fase di forte espansione.57 Quali che siano le cifre esatte del fenomeno telelavoro nel Regno Unito, i margini per un ulteriore sviluppo ci sono comunque e sono ampi, come conferma uno studio dell’Institute of Employment Studies il quale indica nel 22,6% la percentuale di lavoratori dipendenti britannici che oggi potrebbero già telelavorare.58 Tuttavia, a fronte di un continuo incremento nel numero dei telelavoratori, resta in gran parte da definire il contesto normativo. In un Paese in cui molti percorsi professionali sono già definibili come telework careers, gli e-workers hanno ancora diritti e doveri molto simili a quelli dei lavoratori della old economy, il che vuol dire uno status economico e giuridico legato ad una contrattazione decentrata in cui il lavoratore, per forza di cose, gioca un ruolo molto debole. 55 Cfr. Datamonitor UK, Information provided to the ILO on March 1, 2000, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 56 Cfr. Il sito dell’I.P.D. www.ipd.co.uk 57 Cfr. BUXTON, Glaswegians find accent on success: Call centres, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 58 Cfr. HUWS et al., Where the butterfly alights, The global location of e-work, Institute of Emplyment Studies, Report 378, 2001. 113 Anche in Gran Bretagna, come accade un po’ dappertutto, le regole stanno per essere scritte in un contesto già ben sviluppato. I telelavoratori sono molti ma ancora poco strutturati, a differenza della vicina Irlanda in cui le parti sociali hanno già varato di comune accordo un codice di autoregolamentazione che punta a fissare diritti e doveri dei lavoratori dell’information technology. Nel Regno Unito sono stati inizialmente introdotti alcuni incentivi di natura fiscale. Ad esempio quando l’equipaggiamento informatico viene noleggiato, le prime cinquemila sterline sono esentasse e solo la parte eccedente è sottoposta ad imposizione fiscale. Sempre in tema di dotazione tecnica vige inoltre il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto per i costi sostenuti dai lavoratori e rimborsati dal datore di lavoro. Tra i costi recuperabili vi sono anche le spese telefoniche. Si tratta di agevolazioni di non poco conto, visto che nella vicina Irlanda questo tipo di sconti è entrato a far parte di un pacchetto di richieste avanzate al governo per incentivare il ricorso all’e-working.59 E’ stata poi recentemente chiarita dal governo britannico un’anomalia impositiva che riguardava i telelavoratori domiciliari, in quanto soggetti ad un aggravio di spese derivante dal maggior consumo di elettricità e di combustibile per riscaldamento. In un primo momento se un datore di lavoro assumeva su di sé questi costi, era assoggettato all’imposta sul reddito, oggi non più. La nuova esenzione, in vigore dal 6 aprile 2003, permette ai datori di lavoro di eseguire tali pagamenti per conto dei lavoratori che lavorano regolarmente da casa, purché tra di loro esista un accordo consensuale riguardante una forma di lavoro flessibile.60 Le nuove norme ministeriali che regolano il lavoro flessibile stabiliscono inoltre che, per ridurre al minimo gli obblighi di conservazione della documentazione a fini fiscali, i datori di lavoro avranno la possibilità di pagare fino a due sterline a settimana senza dover provare l’effettiva esistenza dei costi per il dipendente. Nel caso in cui il datore di lavoro superi il tetto delle 104 sterline annuali, l’esenzione sarà ancora applicabile, ma spetterà al datore di lavoro stesso l’onere di 59 Cfr. La via inglese per l’e-work, in www.ilsole24ore.com del 17.02.2003. Vengono di seguito commentate le principali disposizioni contenute in: Minister of State for Employment Relations, Industry and the Regions, Department of Trade and Industry, The Flexible Working (Procedural Requirements) Regulations 2002, pubblicato il 20.12.2002, entrato in vigore il 06.04.2003. 60 114 provare che i pagamenti effettuati riguardino in modo esclusivo le spese addizionali sostenute dal lavoratore nello svolgimento del suo lavoro a domicilio.61 Oltre a questi incentivi fiscali, riguardanti però il settore delle nuove tecnologie nel suo complesso, nel Regno Unito non sono state emanate leggi specifiche sul telelavoro, né è reperibile una qualche definizione legislativa del telelavoro stesso. Tuttavia il National Minimum Wage Act del 1998 contiene una definizione di lavoratore sufficientemente ampia da ricomprendervi anche la maggior parte dei telelavoratori: ....Un individuo che è parte di, o lavora sotto, un contratto di lavoro o qualsiasi altro contratto, sia esso espresso o tacito, e (se espresso) sia in forma orale o scritta, dal quale nasce per l’individuo l’obbligo di fare o eseguire personalmente un lavoro o un servizio per l’altra parte del contratto... 62 Anche le flexible working regulations del 2002 possono rappresentare l’occasione per estendere al telelavoro alcune norme più generali, riguardanti le cosiddette forme flessibili di lavoro. Su questa base potrebbe trovare fondamento il diritto, per il lavoratore ordinario, a poter telelavorare quando si verifichino alcuni particolari presupposti. E’ stato infatti introdotto l’obbligo, per le aziende, di tener conto delle necessità dei genitori di bambini in età prescolare, consentendo loro di modificare l’orario di lavoro o, in alternativa, di lavorare da casa. Le nuove norme rientrano in un più vasto intervento governativo volto a migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori britannici, i cui orari lavorativi sono i più lunghi in Europa. Il governo ha calcolato che oltre tre milioni e mezzo di genitori avranno la possibilità di modificare i loro contratti di lavoro qualora se ne presenti la necessità. 61 Cfr. il sito dell’associazione Equal Telework: http://content.equaltelework.org Traduzione non ufficiale dal National Minimum Wage Act (c. 39), Section 54 (3): “In this Act "worker" (except in the phrases "agency worker" and "home worker") means an individual who has entered into or works under (or, where the employment has ceased, worked under)(a) a contract of employment; or (b) any other contract, whether express or implied and (if it is express) whether oral or in writing, whereby the individual undertakes to do or perform personally any work or services for another party to the contract whose status is not by virtue of the contract that of a client or customer of any profession or business undertaking carried on by the individual; and any reference to a worker's contract shall be construed accordingly”. 62 115 Non a caso le prime aziende ad adottare questi nuovi schemi lavorativi sono state quelle che producono attrezzature per il telelavoro. Ad esempio la Avaya, che sviluppa prodotti software destinati ai telelavoratori, è andata oltre le previsioni della nuova norma, sviluppando una politica di lavoro flessibile per tutti i suoi novecento dipendenti del Regno Unito, non solo quindi per quelli che hanno a casa dei bambini in età prescolare. Ogni lavoratore viene fornito dall’azienda di una connessione a banda larga e di un contributo una tantum per l’acquisto delle attrezzature necessarie. In questo modo un manager dell’Avaya, Audrey Campbell, dirige un gruppo di centoventi persone dalla sua casa nel Bedfordshire, evitando ogni giorno di viaggiare per quattro ore verso e dall’ufficio situato a Guildford. Le telefonate tra dipendenti vengono effettuate via personal computer, tramite la telefonia IP, utilizzando networks privati virtuali (VPNs). In questo modo l’Avaya ha stimato un risparmio annuale di quasi settecentomila sterline solo per le spese telefoniche.63 Per quanto riguarda la contrattazione collettiva, già nel 1996 le organizzazioni degli imprenditori hanno elaborato una guida per il telelavoro, così come anche i sindacati britannici hanno redatto dei rapporti e delle specifiche linee guida. Il documento più importante in tal senso è però rappresentato dalla guida al telelavoro pubblicata dal Dipartimento del commercio e dell’industria (D.T.I.) nell’agosto 2003.64 La guida è stata approvata e sottoscritta anche dalle principali associazioni imprenditoriali e confederazioni sindacali. Essa affronta tutte le problematiche connesse all’introduzione del telelavoro nel contesto aziendale, ed è quindi destinata a costituire il testo base per la redazione di ogni accordo. In essa viene inoltre spiegato come adattare alla realtà britannica l’accordo intervenuto a livello europeo tra le parti sociali, ponendo così la Gran Bretagna tra le prime nazioni a dare una concreta attuazione all’accordo stesso. 63 Cfr. SWINTON, New law could boost teleworking, 27.03.2003, in: http://www.silicon.com/ Cfr. Department for Trade and Industry, Guidance on Teleworking –As agreed by TUC, CBI and CEEP UK, agosto 2003 in: www.dti.gov.uk/ 64 116 Presentata nel settembre 2003, durante la settimana del Work-Life Balance, la guida sul telelavoro tratta dei seguenti argomenti: salute e sicurezza dei telelavoratori, permessi, imposizione fiscale, ripartizione delle spese, risorse umane, assunzioni, formazione e progressione di carriera, supporto alla persona, tutela della riservatezza. In sede di presentazione della guida, il Ministro del Lavoro Gerry Sutcliffe ha detto: “Le nuove tecnologie stanno cambiando il modo di lavorare in Gran Bretagna. Il telelavoro, che sfrutta la tecnologia per poter lavorare al di fuori del tradizionale ambiente dell’ufficio, ha le potenzialità per procurare un gran numero di benefici sia agli imprenditori che ai lavoratori ed è importante che questi benefici siano pienamente realizzati e sfruttati”.65 La nuova guida fornisce le necessarie coordinate giuridiche per orientarsi in materia, nonché degli esempi riguardanti le principali esperienze britanniche. Tra i principi enunciati dalla guida vi è innanzitutto la volontarietà della scelta di telelavorare, sia che si tratti di un nuovo posto di lavoro, sia che si tratti di modificare un rapporto di lavoro ordinario preesistente. Nel primo caso, ovviamente, la libertà contrattuale si manifesta nella scelta di accettare o meno quel posto di telelavoro, mentre nella seconda ipotesi è necessario il consenso di entrambe le parti del contratto di lavoro. In tutti e due i casi è comunque previsto che il datore di lavoro fornisca al telelavoratore adeguate informazioni scritte circa la descrizione esatta del lavoro da svolgere e le norme contenute negli accordi collettivi applicabili. Un altro principio dettato dalla guida è quello della reversibilità della scelta di telelavorare, naturalmente limitata a quei lavoratori che hanno optato per il telelavoro in un momento successivo alla loro assunzione. La reversibilità può essere richiesta non solo dal telelavoratore, ma anche dal datore di lavoro per esigenze produttive. Per quanto riguarda lo status giuridico dei telelavoratori, la guida impone che essi godano degli stessi diritti previsti dalle leggi e dai contratti collettivi per i lavoratori tradizionali dello stesso 65 Cfr. l’introduzione alla Guidance on Teleworking, cit.: Modern information and communication technologies are changing the way UK business works. Telework, using technology to work away from the traditional office environment, has the potential to bring a wide range of benefits to both employers and employees and it is important that these benefits are realised and exploited fully. 117 livello e della stessa qualifica. Tuttavia, tenuto conto delle peculiarità del telelavoro, possono rendersi necessari degli accordi complementari, sia collettivi sia individuali. Un capitolo importante della guida è dedicato alla tutela della riservatezza dei telelavoratori. Il datore di lavoro deve rispettare la privacy del telelavoratore, il quale deve essere in grado di separare la propria attività lavorativa dal resto della propria vita domestica. Deve perciò essere definito preventivamente quando il telelavoratore potrà essere contattato per motivi di lavoro e quando non potrà esserlo. Allo stesso modo andrà stabilito quando saranno possibili le visite del datore di lavoro, o dei suoi rappresentanti, al domicilio del telelavoratore. Se poi venisse attivato un qualsiasi dispositivo di controllo, esso dovrà essere commisurato con l’obiettivo da perseguire e dovrà altresì rispondere ai requisiti stabiliti dalla direttiva europea 90/270 sull’utilizzo delle attrezzature munite di videoterminali. Questa direttiva vieta espressamente che possano installarsi, all’insaputa dei lavoratori, dei dispositivi di controllo quantitativo o qualitativo.66 Per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza dei telelavoratori, la guida attribuisce al datore di lavoro ogni responsabilità, anche nel rispetto di quanto stabilisce la direttiva comunitaria 89/391, pienamente recepita nell’ordinamento giuridico britannico.67 I datori di lavoro del Regno Unito hanno peraltro, nei confronti dei lavoratori e dei terzi, un dovere generalizzato di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Tale dovere deriva dall’Health and Safety at Work Act del 1974 e dalle altre norme da esso originate.68 Le norme contenute nell’Health and Safety at Work Act sono applicabili sia a chi lavora in un ufficio tradizionale sia a chi lavora da una postazione remota. Tuttavia questo dovere generalizzato è in 66 Cfr. Direttiva n. 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L156 del 21.06.1990, pagg. 14-18 67 Cfr. Direttiva n. 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L183 del 29.06.1989 pag. 1-8 68 Cfr. Health and Safety at Work Act 1974: art. 2 General duties of employers to their employees (1) It shall be the duty of every employer to ensure, so far as is reasonably practicable, the health, safety and welfare at work of all his employees. – omissis; art. 3 General duties of employers and self-employed to persons other than their employees (1) It shall be the duty of every employer to conduct his undertaking in such a way as to ensure, so far as is reasonably practicable, that persons not in his employment who may be affected thereby are not thereby exposed to risks to their health or safety. - omissis 118 parte mitigato dal principio per cui la tutela deve essere ragionevolmente apprestabile, ed in parte dal dovere del lavoratore di prendersi esso stesso cura della propria salute e sicurezza, cooperando così con il datore di lavoro. Un ulteriore aspetto definito dal D.T.I. nella guida sul telelavoro è quello dei diritti collettivi dei telelavoratori. Tali diritti sono gli stessi di cui godono i lavoratori dipendenti che prestano lavoro nei locali dell’azienda. Poiché non deve esserci alcun ostacolo alle attività sindacali, va definita preventivamente la sede a cui il telelavoratore deve fare riferimento al fine di poter esercitare i suoi diritti collettivi. In definitiva si deve affermare che, pur in assenza di specifiche previsioni legislative, il telelavoro in Gran Bretagna è regolamentato in modo piuttosto dettagliato. I pilastri di questa regolamentazione sono costituiti da un lato dall’adeguamento del diritto del lavoro preesistente alle caratteristiche particolari del telelavoro, dall’altro dalla creazione di un insieme di norme di natura contrattuale che ha finito per essere largamente condiviso, tanto da trovare una consacrazione nella citata guida del D.T.I. Va infine ricordato che il Regno Unito è un Paese di common law, per cui parte del diritto del lavoro è stato plasmato dai giudici nel corso del tempo. Quando ci si è trovati di fronte a delle fattispecie riguardanti il telelavoro, sono state applicate le norme dettate per il lavoro domiciliare, in quanto compatibili, anche se non è facile reperire pronunce di merito su questi temi.69 Vi sono poi degli istituti tipici del common law che possono andare ad innestarsi sulla disciplina del contratto di telelavoro. E’ ad esempio il caso del trust, ossia dal rapporto fiduciario che può intercorrere tra datore di lavoro e telelavoratore.70 69 Cfr. GILMAN, The extent and nature http://www.eiro.eurofound.eu.int/1998/11/word/uk9809149s.doc 70 of teleworking in the UK, Cfr. LEEDS B. e LEEDS O., Trusting teleworkers, e-work 2001 Conference, the 8th European Assembly on New Ways to Work, 12-14 September 2001, Helsinki, Finland, in: http://www.telework2001.fi 119 3.6. IL TELELAVORO NELLA PENISOLA IBERICA La Spagna rappresenta bene quelle nazioni in cui negli ultimi anni, in assenza di norme specifiche, si sta tentando di adattare il diritto del lavoro vigente alle nuove problematiche comportate dal telelavoro. Lo sviluppo del telelavoro in Spagna è stato piuttosto lento fino alla metà degli anni ’90, quando ricevette un decisivo impulso su iniziativa delle multinazionali. Il telelavoro, fin dalle origini, fu visto soprattutto come strumento di flessibilità del lavoro, in quanto consentiva di lavorare a qualunque ora ed in qualunque luogo.71 Diverse imprese hanno proposto dei programmi pilota di telelavoro. L’IBM, per esempio, fin dal 1995 conta su più di un migliaio di dipendenti che lavorano da casa, o mentre viaggiano, o ancora presso gli uffici della clientela. La compagnia di assicurazioni Mapfre Life ha attrezzato cinquecento dipendenti per telelavorare mentre sono operativi sul territorio, e cento tra di loro possono anche concludere polizze di assicurazione on-line. Società come Bull, Olivetti, Telefónica ed Airtel hanno pianificato iniziative analoghe. Gli ultimi dati forniti nel settembre 1999 dalla European telework development, agenzia patrocinata dalla Commissione europea, sullo stato di diffusione del telelavoro in Europa e nel Mondo indicano però che in Europa la Spagna è all’ultimo posto con solo il 2,81% della forza lavoro, ed un tasso di crescita, nel quinquennio 1994-1999, superiore nell’Unione Europea alla sola Francia.72 Per dare nuovo impulso al settore, negli ultimi anni del XX secolo, sono stati varati più di cinquanta progetti che hanno coinvolto circa duemila lavoratori. Una parte dei progetti riguardava la 71 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pag. 79. Cfr. http://www.inps.it/Doc/Professionista/Telelavoro/0104.htm per un prospetto comparativo dei dati dell’European telework development. 72 120 creazione di telecentri, un’altra parte lo sviluppo del lavoro mobile, ed i restanti il telelavoro a domicilio.73 Ciò nonostante vi è chi sostiene che in Spagna le esperienze concrete di telelavoro siano ancora pressoché inesistenti, che i sindacati non si siano ancora formati un’opinione in merito e che il legislatore non vi presti la benché minima attenzione. Viene fatto notare come, a differenza di altri Paesi con percentuali analoghe di telelavoratori, né la dottrina giuridica né le parti sociali si siano occupate del problema.74 Anche se a tutt’oggi in Spagna non esiste ancora una definizione legale dei termini teletrabajo e teletrabajador, questa visione pessimistica non sembra però del tutto condivisibile. Il Governo infatti, nel febbraio 2000, ha pubblicato il Libro blanco para la mejora de los servicios pùblicos, in cui ha descritto le strategie da seguire per la gestione del settore pubblico in Spagna nel ventunesimo secolo. In esso il telelavoro viene considerato come uno degli strumenti più adatti per migliorare la qualità dei servizi, per le sue caratteristiche di flessibilità e mobilità.75 La competizione tra settore pubblico e privato sta producendo profondi cambiamenti all’interno della Pubblica Amministrazione spagnola, la quale sta mutuando dai privati i modelli organizzativi e manageriali. La struttura gerarchica di tipo piramidale della Pubblica Amministrazione sarà quindi sostituita da una struttura interconnessa più agile, aperta e flessibile. Per questo motivo alcuni obiettivi posti dal libro blanco riguardano la formazione, la semplificazione, l’uso delle nuove tecnologie, la modernizzazione ed il ricorso al telelavoro.76 E non è nemmeno vero, o almeno non più oggi, che i sindacati si disinteressino del problema. La mancanza di una regolamentazione specifica è vista come un ostacolo di non poco conto, 73 Cfr. CAVALLINI, cit. Cfr. SERRANO, Teletrabajo y relaciones laborales en España : ni pràcticas, ni estudios, nel sito dell’European Industrial Relations Observatory http://www.eiro.eurofound.eu.int/1998/11/word/es9809281s.doc 75 Testualmente: Las posibilidades que se abren con la integración de las Administraciones Públicas en la Sociedad de la Información y del Conocimiento aconsejan emprender experiencias piloto sobre los efectos que podrían derivarse, para la mejora de la prestación de los servicios, del empleo del telos servicios, del empleo del telentajas de flexibilidad, adaptabilidad y movilidad de tareas que facilita esta nueva opción organizativa del empleo, dal Libro blanco para la mejora de los servicios pùblicos, Ministerio de Administraciones Publicas, Madrid, 4 de febrero de 2000. 76 Cfr. Per maggiori dettagli cfr. il sito del progetto di ricerca sul telelavoro della Commissione UE (MIRTI) all’indirizzo http://www.telework-mirti.org/spa.htm 74 121 insieme al rischio che in questo modo si aprano le porte ad una crescita del telelavoro autonomo, privo delle tutele proprie dello status giuridico di lavoratore dipendente. Queste preoccupazioni sono state ben evidenziate in uno studio condotto nella regione della Castiglia e León. Si è osservato come la mancanza di regole certe comporti dei seri problemi per coloro che scelgono di entrare nel mondo del telelavoro. In particolare si verificano una maggior responsabilizzazione del lavoratore per ciò che riguarda il prodotto finale, una perdita di prospettive di carriera ed un isolamento progressivo, un disinteresse del datore di lavoro verso la formazione continua di questi lavoratori ed infine una generalizzata precarietà delle condizioni economiche e dell’ambiente di lavoro. Per questi motivi i sindacati spagnoli stanno avanzando delle precise richieste affinché si arrivi ad una regolamentazione del fenomeno, ed in particolare perché vengano affermati dei principi generali per quanto riguarda la protezione sociale dei telelavoratori, vero punto dolente della situazione attuale. L’obiettivo minimo è quindi quello di arrivare a stabilire un codice di buona pratica, in attesa che la protezione dei telelavoratori divenga oggetto di norme comunitarie a cui i sindacati dovranno fornire un adeguato contributo.77 Queste problematiche sono particolarmente sentite con riguardo ai lavoratori degli oltre mille call centers spagnoli. In essi lavorano per lo più studenti universitari o neolaureati, oppure donne che desiderano rientrare nel mercato del lavoro. Le condizioni di lavoro sono piuttosto precarie, con salari bassi, orari estremamente flessibili e contratti a breve termine o a tempo parziale. Un primo passo verso il miglioramento delle condizioni di questi lavoratori è stato compiuto nel 1998, con la firma dell’accordo collettivo sulle televendite tra le società del comparto ed i sindacati. In questo contesto le televendite sono rappresentate da ogni attività svolta tramite telefono o tramite mezzi telematici, in cui rientrano la promozione, la diffusione e la vendita di ogni tipo di 77 "Tenía que ser la legislación la que marcara, la que definiera lo que es el teletrabajo y la que definiera las relaciones del teletrabajador con la empresa. "... el vacío legislativo es muy grande, y tiene que ser el gobierno, el poder legislativo, el que tome la iniciativa precisamente para evitar esta tendencia natural", da: Proyecto Ciborg “Estudio sobre la evolución del teletrabajo en Castilla y León. Incidencia en las competencias profesionales y los itinerarios formativos de las mujeres teletrabajadoras de la región”, consultabile in: http://www.teleworkmirti.org/dbdocs/draftrep.doc 122 prodotti e servizi, interviste personali, gestione di chiamate esterne e assistenza alla clientela. I call centers vengono naturalmente ricompresi all’interno di questo accordo.78 L’accordo regola l’organizzazione del lavoro, le modalità di assunzione, l’orario di lavoro ed il lavoro straordinario, i congedi, le retribuzioni, le qualifiche e la formazione, la salute e la sicurezza, le pari opportunità ed i diritti collettivi dei lavoratori. In esso vengono distinte due categorie: il personale amministrativo, di solito a libro paga ed assunto a tempo indeterminato ed il personale operativo, assunto per attività definite, per lo più a tempo parziale e per brevi periodi. Se invece le imprese decidono di dotarsi di un proprio call center interno, si hanno due possibilità. Può trovare applicazione l’accordo collettivo sulle televendite, con condizioni specifiche in riferimento alla organizzazione preesistente all’interno della società. Altrimenti si può ricorrere ad accordi aziendali, che possono utilizzare l’accordo collettivo come riferimento normativo.79 Una notevole evoluzione del diritto del lavoro vigente si è avuta negli ultimi anni ad opera della dottrina, per garantire anche ai telelavoratori una tutela minima. Come già detto in Spagna non ci sono leggi o proposte di legge che regolino in modo specifico il telelavoro, per cui trovano applicazione le norme generali sul lavoro se si è in presenza di un contratto di telelavoro dipendente, oppure le norme del diritto commerciale se si tratta di un’attività autonoma. In altre parole le norme giuridiche applicabili al rapporto di telelavoro dipendono dalla relazione intercorrente tra il datore di lavoro ed il lavoratore. Se il telelavoratore è un dipendente viene applicato lo statuto dei lavoratori, se invece lavora per conto proprio, diventa lavoratore autonomo e l’attività viene svolta in base alle leggi sul commercio.80 La definizione di lavoratore dipendente è contenuta nell’art. 1.1 dell'Estatuto de lo Trabajadores (E.T.).81 Se il telelavoratore lavora in condizioni di subordinazione per un datore di 78 Cfr. in proposito il sito del Mirti, progetto di ricerca sul telelavoro finanziato dall’Unione Europea, all’indirizzo http://www.telework-mirti.org/dbdocs/regulati.doc 79 Su questi temi è disponibile uno studio riguardante la situazione attuale dei call center in Spagna all’indirizzo web http://www.telework-mirti.org/dbdocs/callcent.doc 80 Cfr. SERRANO, cit. 81 Cfr. Real Decreto Legislativo 1/1995, de 24 de marzo, Texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, art. 1 Ámbito de aplicación, 1. La presente Ley será de aplicación a los trabajadores que voluntariamente presten sus servicios retribuidos por cuenta ajena y dentro del ámbito de organización y dirección de otra persona, física o jurídica, denominada empleador o empresario. 123 lavoro sarà considerato come dipendente ed il suo rapporto sarà di conseguenza regolato dalle leggi sul lavoro, principalmente dall'E.T. e dai contratti collettivi. Una condizione che per certi versi si colloca tra lavoro dipendente e lavoro autonomo è quella del lavoratore a domicilio. Anche il lavoro a domicilio è però regolamentato da norme datate e non sempre applicabili al telelavoro. La definizione di lavoro a domicilio è nell’articolo 13 dell’E.T.82, il quale esige che il lavoro venga eseguito a casa del lavoratore o comunque in un luogo da lui scelto, e che non sia sotto il controllo diretto del datore di lavoro. Appare evidente come, da questo punto di vista, i telelavoratori on-line, che possono essere assoggettati ad un controllo ancor più incisivo di quello subìto in azienda, non rientrerebbero nei termini di questa definizione. L’art. 13 dell’E.T. contiene poi alcune regole speciali destinate alla tutela del lavoratore a domicilio. Per il contratto di lavoro è innanzitutto richiesta la forma scritta, ed una copia deve essere registrata presso l’ufficio pubblico per l’impiego. Il datore di lavoro è inoltre obbligato a consegnare al lavoratore un documento di controllo dell’attività lavorativa realizzata, il quale deve contenere il nome del lavoratore, il genere di lavoro richiesto, la quantità di materie prime consegnate, i criteri adottati per la definizione del salario, le condizioni di consegna dei prodotti lavorati. Nel contratto va poi specificato il luogo in cui il lavoro deve essere svolto, in modo da rendere possibili i controlli destinati alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza del lavoratore. Infine i 82 Cfr. Real Decreto Legislativo 1/1995, de 24 de marzo, Texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, art. 13 Contrato de trabajo a domicilio, 1. Tendrá la consideración de contrato de trabajo a domicilio aquél en que la prestación de la actividad laboral se realice en el domicilio del trabajador o en el lugar libremente elegido por éste y sin vigilancia del empresario. 2. El contrato se formalizará por escrito con el visado de la Oficina de Empleo, donde quedará depositado un ejemplar, en el que conste el lugar en el que se realice la prestación laboral, a fin de que puedan exigirse las necesarias medidas de higiene y seguridad que se determinen. 3. El salario, cualquiera que sea la forma de su fijación, será, como mínimo, igual al de un trabajador de categoría profesional equivalente en el sector económico de que se trate. 4. Todo empresario que ocupe trabajadores a domicilio deberá poner a disposición de éstos un documento de control de la actividad laboral que realicen, en el que debe consignarse el nombre del trabajador, la clase y cantidad de trabajo, cantidad de materias primas entregadas, tarifas acordadas para la fijación del salario, entrega y recepción de objetos elaborados y cuantos otros aspectos de la relación laboral interesen a las partes. 5. Los trabajadores a domicilio podrán ejercer los derechos de representación colectiva conforme a lo previsto en la presente Ley, salvo que se trate de un grupo familiar. 124 lavoratori a domicilio hanno gli stessi diritti di rappresentanza collettiva nell’impresa degli altri dipendenti. In alcuni casi, quindi, il telelavoratore potrebbe ben essere considerato un lavoratore a domicilio. Vi sono però situazioni in cui il telelavoratore lavora con l’ausilio di strumenti tecnici che lo collegano direttamente al suo datore di lavoro, in modo tale che quest’ultimo ha, o può avere, un controllo diretto su quando e come il lavoro viene svolto e su quale sia l’oggetto attuale del lavoro. In altri casi ancora il telelavoratore svolge la sua attività spostandosi in diversi posti, per cui appare difficile, in queste situazioni, parlare ancora di lavoro a domicilio. Pertanto, in presenza di siffatte attività telelavorabili, il diritto spagnolo consente in pratica la sola alternativa tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Nasce allora il problema della tutela giuridica e sociale dei telelavoratori autonomi, in quanto i lavoratori autonomi, in Spagna come altrove, godono di un sistema di tutele minimo se non insufficiente. Da questo punto di vista essi si trovano in una situazione di generale inferiorità rispetto agli altri lavoratori. Non a caso recentemente c’è stato un aumento dei lavoratori autonomi tra i telelavoratori, originando il fenomeno del cosiddetto falso lavoro autonomo. Molte volte è accaduto che dei telelavoratori dipendenti siano stati quasi costretti dal datore di lavoro a cambiare il loro status giuridico, diventando telelavoratori autonomi. In questo modo molte delle clausole contrattuali tipiche degli accordi collettivi vengono eluse, in quanto i rapporti di lavoro dei telelavoratori autonomi sono regolati dal codice civile o da quello commerciale, e non dalle leggi sul lavoro. Per prevenire tale rischio si è proposto di ampliare la definizione di lavoro a domicilio fino ad includervi ogni tipo di telelavoro, soprattutto per garantire i principi di uguale trattamento e di volontarietà, e proprio su quest'ultimo vale la pena soffermarsi.83 Se in Spagna un datore di lavoro vuole assumere una persona come telelavoratore, seguirà le regole generali sui contratti di lavoro, e in questo caso non c’è nessun problema particolare. Ma nel 83 Cfr. http://www.telework-mirti.org/dbdocs/regulati.doc cit. 125 caso in cui un lavoratore dipendente, che lavora nella sede della società, debba diventare un telelavoratore, sono possibili due diverse soluzioni. La prima si ha quando il datore di lavoro ed il lavoratore si accordano su questa modifica del contratto di impiego, ed anche in questo caso non ci sono problemi, perché il diritto del lavoro spagnolo permette ogni modifica del contratto di lavoro se fondata sul consenso delle parti, fatto salvo il rispetto delle leggi e delle regole concordate collettivamente. La seconda soluzione, ossia la decisione unilaterale del datore di lavoro di imporre il telelavoro, è meno semplice. L’art. 41 dell’E.T. regola le modifiche sostanziali delle condizioni di lavoro: orari, salario, tipologia del lavoro da svolgere, ecc.84 Per proporre queste modifiche il datore di lavoro deve provare l’esistenza di ragioni economiche, tecniche, organizzative o produttive. Tali modifiche possono essere individuali o collettive. Se individuali il datore di lavoro deve notificare la decisione al lavoratore ed ai rappresentanti sindacali trenta giorni prima che le modifiche siano operative. Se il lavoratore ritiene pregiudizievoli le modifiche può rescindere il contratto e ricevere un’indennità o, in alternativa, ricorrere all’autorità giudiziaria competente. Se a venir modificate sono invece le condizioni di lavoro contenute negli accordi collettivi la legge prevede un procedimento speciale, con un periodo di consultazione tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali. 84 Cfr. Real Decreto Legislativo 1/1995, de 24 de marzo, Texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, art. Art. 41, Modificaciones substanciales de las condiciones de trabajo, 1. La dirección de la empresa, cuando existan probadas razones económicas, técnicas, organizativas o de producción, podrá acordar modificaciones substanciales de las condiciones de trabajo. Tendrán la consideración de modificaciones substanciales de las condiciones de trabajo, entre otras, las que afecten a las siguientes materias: Jornada de trabajo, Horario, Régimen de trabajo a turnos, Sistema de remuneración, Sistema de trabajo y rendimiento, Funciones, cuando excedan de los límites que para la movilidad funcional prevé el artículo 39 de esta Ley. 2. Las modificaciones substanciales de las condiciones de trabajo podrán ser de carácter individual o colectivo. Se considera de carácter individual la modificación de aquellas condiciones de trabajo de que disfrutan los trabajadores a título individual. Se considera de carácter colectivo la modificación de aquellas condiciones reconocidas a los trabajadores en virtud de acuerdo o pacto colectivo o disfrutadas por éstos en virtud de una decisión unilateral del empresario de efectos colectivos. – omissis - 3. La decisión de modificación sustancial de condiciones de trabajo de carácter individual deberá ser notificada por el empresario al trabajador afectado y a sus representantes legales con una antelación mínima de treinta días a la fecha de su efectividad. En los supuestos previstos en los párrafos a, b y c del apartado 1 de este artículo, y sin perjuicio de lo dispuesto en el artículo 50, apartado 1.a, si el trabajador resultase perjudicado por la modificación sustancial tendrá derecho a rescindir su contrato y percibir una indemnización de veinte días de salario por año de servicio prorrateándose por meses los períodos inferiores a un año y con un máximo de nueve meses. Sin perjuicio de la ejecutividad de la modificación en el plazo de efectividad anteriormente citado, el trabajador que no habiendo optado por la rescisión de su contrato se muestre disconforme con la decisión empresarial podrá impugnarla ante la jurisdicción competente. La sentencia declarará la modificación justificada o injustificada y, en este último caso, reconocerá el derecho del trabajador a ser repuesto en sus anteriores condiciones. – omissis – 126 In aggiunta l’articolo 33 della legge sulla prevenzione dei rischi sul lavoro (L.P.R.L.) stabilisce per il datore di lavoro un obbligo di consultazione dei lavoratori, con adeguato preavviso, prima di prendere decisioni riguardanti l’organizzazione del lavoro e l’introduzione di nuove tecnologie, le quali potrebbero incidere sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori.85 Sempre in tema di salute e sicurezza viene in luce un'ulteriore problematica sollevata dal telelavoro in Spagna, quella dell’accesso al luogo in cui viene eseguita la prestazione lavorativa quando questo luogo è rappresentato dall’abitazione del lavoratore. In tal caso vanno conciliati due diritti del lavoratore confliggenti tra loro: il diritto all’inviolabilità del domicilio ed il diritto alla salute ed alla sicurezza sul lavoro. Il primo è un diritto di rango costituzionale, per cui non possono esservi accessi né registrazioni presso il domicilio del telelavoratore senza il suo consenso o, in alternativa, senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Inoltre la Costituzione spagnola si caratterizza per la sua modernità laddove prevede che l’uso dell’informatica debba essere limitato dalla legge, per garantire l’onore e la riservatezza, personale e famigliare, dei cittadini.86 Il secondo invece è un diritto, speculare rispetto ad un obbligo di contenuto identico del datore di lavoro, che trova il suo fondamento nella L.P.R.L.87 85 Cfr. LEY 31/1995, de 8 de noviembre de 1995, de Prevención de Riesgos Laborales, art 33. Consulta de los trabajadores, 1. El empresario deberá consultar a los trabajadores, con la debida antelación, la adopción de las decisiones relativas a: a) La planificación y la organización del trabajo en la empresa y la introducción de nuevas tecnologías, en todo lo relacionado con las consecuencias que éstas pudieran tener para la seguridad y la salud de los trabajadores, derivadas de la elección de los equipos, la determinación y la adecuación de las condiciones de trabajo y el impacto de los factores ambientales en el trabajo. b) La organización y desarrollo de las actividades de protección de la salud y prevención de los riesgos profesionales en la empresa, incluida la designación de los trabajadores encargados de dichas actividades o el recurso a un servicio de prevención externo. c) La designación de los trabajadores encargados de las medidas de emergencia. d) Los procedimientos de información y documentación a que se refieren los artículos 18, apartado 1, y 23, apartado 1, de la presente Ley. e) El proyecto y la organización de la formación en materia preventiva. f) Cualquier otra acción que pueda tener efectos sustanciales sobre la seguridad y la salud de los trabajadores. – omissis 86 Cfr. la Constitución Española, sancionada por S.M. el Rey ante las Cortes el 27 de Diciembre de 1978, art. 18, 1. Se garantiza el derecho al honor, a la intimidad personal y familiar y a la propia imagen. 2. El domicilio es inviolable. Ninguna entrada o registro podrá hacerse en él sin consentimiento del titular o resolución judicial, salvo en caso de flagrante delito. 3. Se garantiza el secreto de las comunicaciones y, en especial, de las postales, telegráficas y telefónicas, salvo resolución judicial. 4. La ley limitará el uso de la informática para garantizar el honor y la intimidad personal y familiar de los ciudadanos y el pleno ejercicio de sus derechos. 87 Cfr. LEY 31/1995, cit., art. 14, Derecho a la protección frente a los riesgos laborales 1. Los trabajadores tienen derecho a una protección eficaz en materia de seguridad y salud en el trabajo. El citado derecho supone la existencia de un correlativo deber del empresario de protección de los trabajadores frente a los riesgos laborales. Este deber de protección constituye, igualmente, un deber de las Administraciones públicas respecto del personal a su servicio. Los derechos de información, consulta y participación, formación en materia preventiva, paralización de la actividad en caso de riesgo grave e inminente y vigilancia de su estado de salud, en los términos previstos en la presente Ley, 127 Nel campo del telelavoro a domicilio occorre pertanto sviluppare un protocollo che rispetti entrambi i diritti, armonizzando le ispezioni da effettuarsi con il consenso del lavoratore ed alla presenza dei rappresentanti dei lavoratori e dell’impresa. Di fronte a tutte queste lacune legislative sul telelavoro ci si aspetterebbe che la contrattazione collettiva svolgesse un ruolo formante di primaria importanza. Purtroppo in Spagna ciò non accade. La contrattazione collettiva gioca un ruolo quasi nullo, essa non si è occupata di collocare il telelavoro in nessuna delle figure giuridiche preesistenti, né lo ha definito ex novo, né lo promuove. Solo in pochi accordi aziendali, specialmente nelle industrie informatiche, vengono inserite alcune clausole che riguardano le peculiarità del telelavoro e le sue specifiche condizioni di lavoro. Per questo motivo la regolamentazione di origine contrattuale non è uniforme, i sindacati si trovano sovente di fronte a dirigenti riluttanti ad introdurre clausole contrattuali sul telelavoro, le quali pongono un limite al loro potere negoziale. Queste clausole non vengono poi riprodotte ai livelli di contrattazione superiore, per i quali il telelavoro sembra semplicemente non esistere. Costituiscono un’eccezione alcuni accordi locali o regionali, inseriti in piani di sviluppo economico o lavorativo, che si propongono la costruzione di telecentri. In questi casi le parti sociali sono attivamente coinvolte, anche se lo scopo principale non è quello di regolare i rapporti di lavoro.88 I sindacati spagnoli puntano ad introdurre le previsioni contenute nei documenti dell’O.I.L.89, sottolineando come gli accordi collettivi siano lo strumento essenziale per definire delle condizioni di lavoro minime per i telelavoratori, soprattutto quelli a domicilio che sono i meno tutelati. I sindacati propongono anche la creazione di una rappresentanza sindacale specifica per questi lavoratori all’interno dei comitati aziendali. Per tutti questi motivi viene affermata l’arretratezza delle leggi spagnole rispetto al fenomeno del telelavoro. Questo settore può rappresentare una sfida importante per il diritto del lavoro forman parte del derecho de los trabajadores a una protección eficaz en materia de seguridad y salud en el trabajo. – omissis 88 Cfr. SERRANO, cit. 89 Cfr. al § 3.3 la Convenzione n. 177 del 1996 e la raccomandazione n. 184 del 1996, entrambe sul lavoro a domicilio. 128 spagnolo, chiamato a ridefinire, alla luce delle nuove tecnologie, i concetti cardine di lavoratore e datore di lavoro, al pari dei concetti di lavoratore autonomo e di lavoratore a domicilio. In tale direzione potrebbe anche essere utile un intervento giurisprudenziale teso ad adeguare o ridefinire i parametri utili a qualificare un lavoro come dipendente o meno.90 Le lacune normative esistenti riguardo le specificità del telelavoro, siano esse legislative, giurisprudenziali o contrattuali, non sono tuttavia un fenomeno isolato. Sembra infatti che situazioni analoghe vivano un po’ tutti i settori che abbiano a che fare con le innovazioni tecnologiche e con le strategie di decentralizzazione produttiva. Quindi, piuttosto che di lacune, si potrebbe parlare più correttamente di obsolescenza legislativa, la quale lascia spazio ad un’ampia discrezionalità da parte delle imprese. La situazione lusitana non differisce molto da quella spagnola, anche se in Portogallo c’è stato recentemente un vivace dibattito pubblico sul tema della liberalizzazione e della privatizzazione del settore delle telecomunicazioni. Pur se in regime di monopolio, il Portogallo ha sempre avuto tariffe telefoniche tra le più basse in Europa, così l’U.E. concesse la possibilità di procrastinare la completa liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni fino alla fine del 2003. Con queste premesse lavorare a distanza non ha mai comportato costi di collegamento eccessivi, ed in effetti le prime esperienze di telelavoro risalgono addirittura agli anni ’70 del XX secolo. Esse interessarono essenzialmente dei programmatori, i quali lavoravano a distanza sulle macchine dei loro clienti, in modo da poter assistere più clienti da un solo sito. Il Portogallo è poi una delle prime nazioni europee ad aver reso operativi dei servizi di informazione on-line per i cittadini, con la creazione di chioschi informativi a Lisbona nel 1993. Successivamente ha preso corpo il programma InfoCid, con circa quattrocento chioschi collegati a Internet e diffusi in tutto il Portogallo. Inoltre dall’anno 2000 tutte le scuole sono connesse alla rete, ed in ogni classe è presente un computer collegato on-line.91 90 91 Cfr. SERRANO, cit. Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Status Report on European Telework “New Methods of Work 1999”. 129 Ma, nonostante un buon numero di sperimentazioni, solo alla fine degli anni ’90 si è instaurato un serio dibattito sul telelavoro, che oggi rappresenta un argomento di notevole interesse per molte aziende. Il numero dei telelavoratori è in lenta crescita, particolarmente nelle piccole e medie imprese, soprattutto grazie alla diffusione di Internet. Questo sviluppo rallentato è forse dovuto al fatto che c’è una forte resistenza, come in Spagna, ad adottare forme di lavoro flessibili. I sindacati non dispongono di dati statistici né di stime sul numero di telelavoratori, visto che al momento dell’iscrizione il lavoratore non si iscrive in quanto telelavoratore, ma sceglie tra altre categorie professionali. Non è comunque facile calcolare il numero dei telelavoratori portoghesi. Il progetto TELDET (Telework Developments and Trends) portato avanti dalla Commissione Europea nel biennio 1994-1995 li aveva stimati in circa venticinquemila, pari allo 0,32% della popolazione attiva. Nel 1997 uno studio del Fund for the Development of Education in Engineering, Electrotechnical Technology, Electronics and Computer Science (FUNDETEC) forniva un dato approssimativo di dodicimila telelavoratori dipendenti. Secondo l’Associazione portoghese per lo sviluppo del telelavoro (Associação Portuguesa para o Desenvolvimento do Teletrabalho, A.P.D.T.) erano invece quasi centomila le persone che nel 1998 lavoravano in qualche modo da casa, e molte di loro erano lavoratori autonomi che operavano nel campo delle tecnologie informatiche.92 Si tratta di numeri piuttosto contenuti, confermati dalla Commissione Europea, secondo la quale alla fine del 1997 solo tremila lavoratori portoghesi avevano concluso formalmente dei contratti che prevedessero in modo specifico lo svolgimento di lavoro a distanza.93 I telelavoratori sono rappresentati per lo più da lavoratori dipendenti ma senza un contratto specifico di telelavoro, oppure da lavoratori autonomi, dato che in Portogallo non ci sono leggi che disciplinino la materia e vista la tradizionale ostilità verso i cambiamenti da parte di chi amministra 92 Cfr. CRISTOVAM e CASINHAS, Análise comparativa sobre o teletrabalho e as re relações profissionais, in www.eiro.eurofound.eu.int/1998/11/word/pt9809197s.doc 93 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, cit. 130 e controlla il mondo del lavoro. Per questi motivi il telelavoro è per lo più svolto su basi contrattuali informali, in modo sporadico e nella forma mobile, e riguarda in prevalenza attività a carattere informatico (38.6%), commerciale (10%), amministrativo (8,6%) e contabile (8.6%).94 Sono poche le imprese che abbiano già sviluppato schemi organizzativi che prevedano il ricorso sistematico al telelavoro in forma contrattualizzata. La norma è rappresentata da soluzioni provvisorie, che vedono il ricorso informale al telelavoro su piccola scala e per necessità contingenti. Lo stesso concetto di telelavoro non è stato ancora definito dalle fonti del diritto portoghese. Tuttavia dal 1997 è possibile reperirne una definizione ufficiale nel cosiddetto libro verde della società dell’informazione. Secondo il libro verde il telelavoro è un modo flessibile di lavorare, che può riguardare diverse attività, in cui lo svolgimento di almeno una parte del lavoro avviene a distanza dall’azienda, sia a casa, sia in un altro luogo di lavoro come un telecentro.95 Resta il fatto che in Portogallo non c’è ancora una benché minima norma che tratti in modo specifico di telelavoro. Il suo inquadramento giuridico dipende quindi dal tipo di attività effettivamente svolta, da cui ne discende o meno, per il lavoratore, la possibilità di godere delle tutele apprestate dal diritto portoghese in materia di diritto del lavoro e previdenza sociale. Un telelavoratore che lavori da casa o da un telecentro può essere considerato, dal diritto portoghese, o come lavoratore dipendente o come autonomo. La distinzione viene operata in base alla natura legale ed a quella economica del rapporto di lavoro. E’ lavoratore dipendente chi si trova in una situazione di subordinazione prevista da un apposito contratto di lavoro, in base al quale vi è una responsabilità legale ed economica del datore di lavoro. In questo caso la legge prevede tutta una serie di diritti e tutele in capo al lavoratore. Se invece il contratto tra lavoratore e impresa è un 94 Cfr. CRISTOVAM e CASINHAS, cit. Questa la definizione di telelavoro contenuta nel “Livro verde para a sociedade da informaçao em Portugal”, O teletrabalho poderá ser entendido como um modo flexível de trabalho, cobrindo várias áreas de actividade, em que os trabalhadores podem desempenhar as suas funções remotamente a partir de casa ou de um local de trabalho (telecentro), numa determinada percentagem dos seus horários de trabalho 95 131 contratto di servizio non vi sarà dipendenza legale, ma solo una certa dipendenza economica. In questo caso si rientra nell’ipotesi del lavoratore autonomo.96 In tale contesto viene in luce anche la norma cardine sul lavoro a domicilio, ossia il decreto legge n. 440 del 1991. La protezione accordata ai lavoratori riguarda i contratti che hanno ad oggetto una prestazione di lavoro a domicilio, per i quali si realizza una dipendenza economica del lavoratore verso il datore di lavoro, ma non una subordinazione giuridica. Sembrerebbe quindi trattarsi di una norma applicabile non tanto ai telelavoratori dipendenti quanto a quelli autonomi. Tuttavia l’art. 1.5 esclude esplicitamente dall’applicazione del decreto legge quei lavoratori il cui contratto ha per oggetto la prestazione di un lavoro a carattere intellettuale. In questo modo viene esclusa a priori la maggior parte dei telelavoratori, in quanto ben difficilmente può essere dimostrato che essi non svolgano un lavoro di siffatta natura. Pertanto non solo questa norma lascia senza tutele i telelavoratori a domicilio, ma addirittura li escluderebbe in modo esplicito. 97 Non mancano tuttavia altre fonti, sebbene di natura contrattuale, in cui si parla di telelavoro. Ad esempio il Patto Strategico Sociale per il triennio 1996-1999, siglato per il governo dalla Commissione Permanente di concertazione sociale (Comissão Permanente de Concertação Social) nonché dalle associazioni imprenditoriali e dalla confederazione sindacale U.G.T. (União Geral de Trabalhadores). Nelle premesse all’accordo si affermava che il telelavoro poteva essere causa di instabilità se non si fossero prese delle misure per promuovere la sicurezza del posto di lavoro. Veniva inoltre sottolineato che il telelavoro offre indubbi risvolti positivi ma, per evitare ogni impatto negativo che possa derivare da un suo uso indiscriminato, occorreva procedere ad una sua 96 Cfr. CRISTOVAM e CASINHAS, cit. Cfr. Decreto-Lei nº 440/91, de 14 de Novembre 1991, Artigo 1º (Âmbito), 1. O presente diploma aplica-se aos contratos que tenham por objecto a prestação de trabalho realizado, sem subordinação jurídica, no domicílio do trabalhador, bem como aos contratos em que este compre as matérias-primas e forneça por certo preço ao vendedor delas o processo acabado, sempre que, num ou noutro caso o trabalhador deva considerar-se na dependência económica do dador de trabalho. 2. Compreende-se no número anterior a situação que, para um mesmo dador de trabalho, vários trabalhadores, sem subordinação entre si, até limite de quatro, executam as respectivas incumbências no domicílio ou em instalações de um deles. 3. Sempre que razões de segurança ou saúde relativas ao trabalhador ou ao agregado familiar o justifiquem, a actividade prevista nos números anteriores pode ser executada em instalações não compreendidas no domicílio do trabalhador. 4. É vedada ao trabalhador no domicílio a utilização de ajudantes, salvo tratando-se de membros do seu agregado familiar. 5. Ficam excluídos da aplicação deste diploma contratos que tenham por objecto a prestação trabalho intelectual. 97 132 precisa regolamentazione. Il Governo si era perciò impegnato a promuovere un’adeguata proposta legislativa, da attuarsi dopo attenta consultazione con le parti sociali. L’accordo sottolineava anche l’intenzione del governo di introdurre il telelavoro nei servizi pubblici, in quanto la Pubblica Amministrazione portoghese è sempre stata piuttosto refrattaria ai cambiamenti.98 Successivamente al Patto Strategico Sociale non vi sono stati altri riferimenti al telelavoro negli accordi collettivi portoghesi, nonostante il fatto che i sindacati abbiano più volte affermato che, nel silenzio del legislatore, questi sarebbero stati il veicolo ideale per iniziare ad indirizzare la materia. Le confederazioni sindacali (U.G.T. e C.G.T.P.) hanno riconosciuto la crescente importanza del telelavoro in Portogallo, ma hanno anche denunciato i possibili pericoli che ne possono derivare, cominciando dalla precarizzazione del lavoro e dall’isolamento dei lavoratori. Un problema che andrà affrontato a breve è ad esempio quello della trasformazione dei lavoratori dipendenti in telelavoratori autonomi a domicilio. I sindacati sono anche dell’opinione che non sia ancora disponibile un’adeguata formazione del personale e che quindi molti lavoratori, in quanto poco qualificati, siano soggetti a situazioni di lavoro instabili. Essi sostengono inoltre che il telelavoro dovrebbe essere solo volontario e reversibile, in modo che i lavoratori possano avere il diritto di scegliere se continuare a lavorare in seno all'impresa tradizionale.99 Alcuni sindacati rivendicano infine la necessità di adeguarsi agli standards comunitari europei per quanto riguarda il diritto alla formazione, alla salute sul posto di lavoro, alle procedure di ispezione ed alla protezione dei dati. In sostanza viene in luce la necessità di uno statuto dei telelavoratori. In ogni caso, secondo le confederazioni sindacali, in assenza di una legislazione specifica che governi il telelavoro dovrebbe trovare applicazione la legislazione generale sul lavoro, in modo da garantire ai telelavoratori un trattamento parificato a quello dei lavoratori che operano in un contesto più tradizionale.100 98 Cfr. CRISTOVAM e CASINHAS, cit. Missão para a sociedade da informação, Livro verde para a sociedade da informaçao em Portugal, 1997 100 Cfr. CRISTOVAM e CASINHAS, cit. 99 133 In conclusione si può affermare che nella penisola iberica il telelavoro può risultare uno strumento importante per lo sviluppo delle aree rurali e per il miglioramento delle condizioni di vita nelle aree metropolitane. Tuttavia i governi non hanno ancora messo mano alla regolamentazione della materia che, solo sporadicamente, è stata oggetto di negoziazione tra le parti sociali. E’ comunque prevedibile un forte sviluppo del telelavoro nei prossimi anni, anche grazie al fatto che lo spagnolo ed il portoghese sono lingue diffusissime nel mondo. Per questo motivo il settore che si candida come trainante è quello dei call centers. Per il resto le applicazioni mirate del telelavoro, come la telemedicina e l’e-learning, in quanto adatte a sostenere lo sviluppo del lavoro e dell’economia nelle aree rurali, sembrano essere prioritarie, soprattutto in Portogallo, rispetto allo sviluppo del telelavoro a domicilio. 134 3.7. I NUOVI STATI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA Nel resto d'Europa la situazione è eterogenea, ma con chiari segnali di attenzione verso il fenomeno. Nei paesi dell’Est il telelavoro si sta rapidamente diffondendo, ad esempio in Slovenia i telelavoratori a domicilio rappresentano già il 5% della forza lavoro. In altre nazioni come Ungheria, Russia, Lituania, Ucraina e Romania il telelavoro a domicilio costituisce sempre più una risorsa occupazionale sul mercato del lavoro internazionale per i giovani specialisti disoccupati.101 I molti dipendenti stranieri che oggi telelavorano per le aziende dei Paesi a reddito più alto possono considerarsi dei veri e propri emigranti elettronici, con tutta una serie di problemi legali, di concorrenza, di equità e sindacali che ne possono derivare.102 Ciò nonostante l’interesse per le opportunità di sviluppo offerte dal telelavoro è grande anche, e soprattutto, nelle nazioni che non fanno parte dell’Unione Europea o che vi hanno da poco aderito. Per questo motivo vale la pena di rendere brevemente conto di alcuni aspetti di natura giuridica che hanno riguardato il telelavoro in Ungheria, Polonia, Slovenia e Lettonia. Una parentesi a parte merita poi la Norvegia, la quale benché al di fuori dell’U.E. vanta, come le altre nazioni scandinave, una già lunga tradizione in questo campo. In Ungheria i leader politici ed i rappresentanti delle categorie produttive stanno interessandosi attivamente. Il tavmunka (telelavoro in lingua ungherese) è ampiamente conosciuto anche se ancora poco praticato. Finora solo un numero esiguo di società ha avviato dei progetti di telelavoro, e per pochi dipendenti, per cui la percentuale di telelavoratori, sul totale della forza lavoro, nel 2001 arrivava a malapena all’1%.103 101 Cfr. WEISSBACH, Euro-telework – Report on telework regulation and social dialogue, Relazione patrocinata dalla Direzione Generale sull’impiego e gli affari sociali della Commissione Europea, 2000, in http://www.euro-telework.org 102 Cfr. VACCA, Così potremo dire lavorare non stanca, Telèma, n. 2, autunno 1995. 103 Cfr. WESSELENYI, The present and future of telework in Hungary, e-work 2001 Conference, the 8th European Assembly on New Ways to Work, 12-14 September 2001, Helsinki, Finland, in: http://www.telework2001.fi 135 Tuttavia più di un terzo delle aziende di medie e grandi dimensioni si dichiarava favorevole ad implementare delle forme di telelavoro e pensava di farlo entro tre anni. Nel 2001 la Matáv e la MOL, rispettivamente la maggior compagnia di telecomunicazioni e la maggior compagnia petrolifera ungheresi, hanno avviato dei progetti di telelavoro per i loro dipendenti. La Matáv aveva previsto che duecentocinquanta suoi dipendenti potessero lavorare da casa due giorni su cinque, mentre gli altri tre il lavoro sarebbe stato svolto presso la sede dell’azienda. Dopo sei mesi avevano accettato solo ottanta dei suoi 14.380 dipendenti, i quali vennero dotati di una postazione casalinga per il telelavoro a spese della Matáv. Essi rimasero dipendenti a tutti gli effetti, con l’unica differenza che il loro nuovo contratto prevedeva un nuovo luogo di lavoro ed un nuovo orario. Secondo l’ufficio nazionale di statistica ungherese un terzo dei lavoratori dipendenti utilizza il computer per lavoro, lavoro che potrebbe essere svolto anche a distanza. Ma ci sono ostacoli concreti alla diffusione del telelavoro. Molte persone vivono in appartamenti di piccole dimensioni, poco adatti ad ospitare una postazione di lavoro a distanza. La diffusione dei personal computer è ancora limitata ed i costi delle telecomunicazioni sono relativamente alti. Sopravvive poi un diffuso atteggiamento conservatore all’interno della classe dirigente, per cui molti manager hanno il timore di perdere il controllo (ed il loro potere) sui lavoratori che operano a distanza dall’ufficio.104 Nel 1998 il governo stanziò quattrocentomila fiorini (circa un milione e mezzo di euro) per creare dei posti di lavoro a distanza per i disabili e per le giovani lavoratrici madri. Il progetto naufragò, i nuovi posti di lavoro creati furono pochi e, una volta esauriti i fondi, non più sostenibili. L’insuccesso fu spiegato in parte con il fatto che gli imprenditori, in genere, sono poco propensi a creare nuovi posti di lavoro per le categorie interessate dal progetto. Da più parti ci si aspetta che il governo si impegni maggiormente nella promozione del telelavoro, sia con l’offerta di contributi che con sgravi fiscali per le imprese. Per ora sta solo promuovendo l’apertura di telecottages nelle zone periferiche del Paese.105 104 105 ibidem ibidem 136 Anche in Polonia il telelavoro (telepraca) ha iniziato a svilupparsi solo in anni recenti, con lo sviluppo parallelo delle tecnologie informatiche. Nel marzo 2001 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a Varsavia, si è tenuto un importante seminario sul tema della possibile implementazione del telelavoro nelle imprese polacche. Nell’occasione sono stati presentati i risultati di un primo studio statistico, condotto nel 2000 presso più di duecento imprese.106 L’11% delle imprese risultava già attivo nel campo del telelavoro, mentre un ulteriore 14% si dimostrava interessato ad un suo possibile uso. Oggetto di maggior interesse per gli imprenditori è la dimensione economica del telelavoro, ossia la possibilità che offre di ridurre i costi della produzione (72,5% degli intervistati). Anche le dimensioni etica (possibilità di lavoro per i disabili) ed ecologica (riduzione dell’inquinamento atmosferico) del telelavoro suscitano interesse, pur se in misura minore (39%). È tuttavia ancora difficile stimare il numero dei telelavoratori in Polonia. Purtroppo la carenza di specifiche norme di legge sembra costituire un ostacolo alla diffusione del fenomeno telelavorativo.107 Ben diversa è la situazione in Slovenia. Già nel 1996 fu varato un progetto per raccogliere annualmente i dati relativi ad Internet ed alla diffusione delle nuove tecnologie. Dai risultati ottenuti è stato possibile tracciare un quadro della situazione attuale del telelavoro. L’aumento della diffusione di Internet nelle famiglie slovene è passato da una su cento nel 1996 a 37 su cento nel settembre 2002. Ciò ha costituito una robusta base di partenza per rendere il telelavoro accessibile alla popolazione e non più solo un’attività destinata a gruppi ristretti di persone come nei primi anni ’90. Tuttavia il telelavoro in Slovenia è ancora in gran parte attuato su basi informali, mancano riconoscimenti da parte delle fonti giuridiche, così come mancano accordi generali tra le parti sociali.108 L’indagine statistica annuale, per la parte riguardante il telelavoro (teledela in lingua slovena), dal 2001 ha utilizzato un approccio indiretto, nel senso che agli intervistati non è stata fornita una 106 Cfr. KIETYKA e SMOLG, The models of implementation telework process in the Polish conditions, e-work 2001 Conference, the 8th European Assembly on New Ways to Work, 12-14 September 2001, Helsinki, Finland. 107 Ibidem 108 Cfr. NOVAK et al., Measuring information society in Slovenia: the case of telework, in: http://www.sigov.si/zrs/obvestil/raden02/r47.doc 137 previa definizione del telelavoro e dei suoi diversi modelli, ma sono state poste delle domande ben precise sul luogo di lavoro, sull’uso delle diverse tecnologie, ecc. La costruzione delle categorie di appartenenza dei telelavoratori è stata effettuata successivamente.109 Ancora una volta è stato osservato come la definizione del telelavoro rappresenti un momento cruciale, da cui dipende la qualità dei risultati ottenuti e la possibilità di procedere alla comparazione dei dati con studi precedenti o condotti in altri contesti geografici. Questionari che presentano piccole differenze possono infatti portare a risultati completamente diversi. Ad esempio il progetto europeo EcaTT110 e l’Eurobarometro della Commissione Europea,111 che in passato hanno prodotto e comparato le stime sul telelavoro nei Paesi membri dell’UE, hanno fornito dei dati sulla diffusione del telelavoro assolutamente incongruenti (6% per l’EcaTT, 12% per l’Eurobarometro). L’indagine pilota condotta in Slovenia nel 2001 su trecento soggetti ha dimostrato una grande diversità nei risultati in funzione della definizione più o meno ampia che veniva data del telelavoro. A seconda dei casi la popolazione di telelavoratori poteva essere stimata in soli ventimila individui o raggiungere addirittura i duecentonovantamila. Per questo motivo la successiva indagine del 2002, con un campione di 1181 interviste, ha adottato la definizione dell’EcaTT per cui “Il telelavoro è il lavoro al computer che viene condotto al di fuori dell’ambiente d’ufficio tradizionale, normalmente a casa o in luoghi indipendenti. I risultati di tale lavoro vengono poi trasmessi per mezzo delle tecnologie delle telecomunicazioni come il telefax, internet o simili”. In base alle risposte sono state poi costruite due categorie di telelavoratori: quelli regolari, cioè che telelavorano per un giorno intero o più a settimana, e quelli che telelavorano meno di un giorno completo a settimana. I risultati dell’indagine hanno permesso di osservare che in Slovenia il 4,7% della forza lavoro totale è rappresentato da telelavoratori. Di questi il 3,1% sono regolari, l’1,6% no. Vi è poi 109 Cfr NOVAK et al., ibidem E.C.a.T.T. (Electronic Commerce and Telework Trends), in www.ecatt.com 111 Commissione delle Comunità Europee, Eurobarometro 54.0, Gli Europei e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel quadro dell’impiego, autunno 2000. 110 138 un 1,4% della forza lavoro che è rappresentata da telelavoratori autonomi e da imprese individuali.112 Tra le repubbliche baltiche va segnalato il caso della Lettonia, in cui è stato elaborato un ambizioso piano di sviluppo sostenibile, con scelte strategiche di tipo economico, politico e sociale, che dovrà condurre entro un ventennio ad un livello di vita pari a quello dei Paesi maggiormente sviluppati. In quest’ottica il telelavoro viene visto come una risorsa che va sfruttata a fondo per stimolare lo sviluppo locale e per offrire nuove opportunità di lavoro ai singoli. Il Ministero dell’economia ritiene che il compito principale dello Stato sia creare le condizioni necessarie allo sviluppo del telelavoro. Così la digitalizzazione delle reti di telecomunicazione è terminata nel 2002, mentre altre iniziative infrastrutturali sono incorso di realizzazione. Parallelamente si stanno collegando in rete tutte le istituzioni ed i centri culturali (università, biblioteche, ecc.).113 Particolare importanza viene data alla comunicazione, quale strumento per preparare il campo a scelte consapevoli di telelavoro.114 Il telelavoro veniva inoltre visto come una possibile arma per combattere il fenomeno della “fuga di cervelli”, fuga che, con la libera circolazione dei cittadini, si temeva potesse avverarsi con l'ingresso della Lettonia nell’Unione Europea. Un cenno merita anche la Norvegia che, pur non facendo parte dell’Unione Europea, è tuttavia la nazione in cui da più tempo sono portati avanti degli studi sul telelavoro, le cui conclusioni sono affatto originali. Contrariamente alle esperienze maturate altrove, il numero di telelavoratori casalinghi è rimasto stabile tra il 1997 ed il 1998, mentre nello stesso periodo il numero di telelavoratori mobili ha subito una flessione, annullando la crescita avutasi nel biennio precedente. 112 Cfr NOVAK et al., ibidem Cfr. KARNITIS, Telework an opportunity for regional development, e-work 2001 Conference, the 8th European Assembly on New Ways to Work, 12-14 September 2001, Helsinki, Finland, in: http://www.telework2001.fi 114 ibidem “In order to successful, development strategy must be understandable and acceptable for all society, awareness must be created that this strategy benefits everybody, that an opportunity to participate in the process is provided to everyone, to each enterprise in every region. Exactly this is the essence of the Socio-economic Programme eLatvia approved by the government”. 113 139 Indagini statistiche vennero svolte negli anni compresi tra il 1995 ed il 1998, sulla base di circa duemila interviste telefoniche a capifamiglia. Il campione era rappresentativo di tutta la popolazione norvegese di età compresa tra i sedici ed i settantanove anni. L’indagine dimostrava che centomila norvegesi, ossia il 4,5% della forza lavoro, lavoravano a casa facendo uso, in qualsiasi modo, delle tecnologie informatiche e della comunicazione. Il numero dei lavoratori mobili, definiti come quelli che passano più di cinque ore di lavoro pagato a settimana al di fuori dell’ufficio e di casa, era ancora maggiore, superando il 16%. Queste percentuali ovviamente includevano anche quei lavoratori per i quali l’uso delle tecnologie non era indispensabile. Tuttavia, poiché la metà di questi lavoratori mobili usava la posta elettronica per mantenersi in contatto con il datore di lavoro, il numero totale di telelavoratori in Norvegia in quegli anni era da stimarsi almeno nel 10% della forza lavoro totale.115 In prospettiva uno studio dell’Istituto per l’Economia dei Trasporti ha esaminato i probabili effetti del telelavoro sulla riduzione degli spostamenti in automobile nelle aree di Oslo e Bergen fino al 2010. Lo studio ha concluso che il telelavoro potrebbe ridurre gli spostamenti in entrambe le regioni. Sebbene numericamente non considerevole (è previsto un calo del 3-6%), tale riduzione dovrebbe comunque limitare la congestione del traffico ed il conseguente inquinamento atmosferico.116 Come in altre nazioni, anche in Norvegia è in corso un processo di trasformazione per cui i tradizionali lavoratori a domicilio ed i lavoratori mobili usano sempre più le tecnologie informatiche e delle comunicazioni, diventando telelavoratori nel senso più stretto del termine. Così nel 1998 la Confederazione degli industriali e dei commercianti (Næringslivets Hovedorganisasjon, N.H.O.) e la Confederazione dei sindacati (L.O.) introdussero per la prima volta nella storia dei loro accordi di base triennali una dichiarazione congiunta sul telelavoro. La dichiarazione conteneva un riconoscimento dei problemi specifici di tale attività lavorativa ed un 115 Cfr. JULSRUD, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 116 Cfr. INSTITUTE FOR TRANSPORT ECONOMICS, Telework and potential reduction in work travel, sintesi in “Can telework reduce traffic congestion?”, in http://www.eto.org.uk/faq/faqtpt1.htm 140 impegno comune per monitorarne da vicino i futuri sviluppi attraverso studi ed incontri. Venne istituito un comitato congiunto per studiare i vari aspetti del telelavoro e per proporre modifiche al sistema normativo esistente così come ai contratti collettivi.117 L’argomento è stato relativamente assente anche a livello di relazioni industriali. Oggi come oggi il telelavoro viene instaurato senza accordi scritti o altri riconoscimenti formali. L’eccezione a questa regola è offerta dall’Unione dei Grafici Norvegesi (Norsk Grafisk Forbund, N.G.F.), la quale ha sempre introdotto nei suoi contratti una clausola che vieta il telelavoro. Questo divieto è finalizzato alla tutela professionale della categoria ed alla protezione dei singoli membri in assenza di un sistema di regole appropriate. Diverse federazioni sindacali, tra cui l’Unione norvegese dei lavoratori del commercio e degli uffici (Handel og Kontor i Norge, H.K.), hanno in mente di elaborare delle strategie e dei piani negoziali per incorporare il telelavoro negli accordi che verranno man mano rinnovati. Le attuali previsioni normative norvegesi, così come gli attuali accordi collettivi, sono ritenute insufficienti per gestire il fenomeno telelavoro, in particolare nella forma domiciliare, la quale sembra essere priva di ogni forma di regolamentazione. I rapporti tra lavoratori ed imprese sono dettagliatamente regolati all’interno del sistema giuslavoristico norvegese, grazie ad un complesso di leggi e regolamenti, tra cui spicca come importanza la legge sulla protezione del lavoratore e sull’ambiente di lavoro del 1977.118 L’opinione prevalente è che l’applicazione della legge del 1977 possa estendersi anche alle attività telelavorative, o alle attività svolte comunque al di fuori del posto di lavoro tradizionale. Ne deriverebbe di conseguenza che i telelavoratori hanno gli stessi diritti e le stesse protezioni offerte dalla legge del 1977 a tutti i lavoratori ordinari. Tuttavia c’è chi sostiene che l’attività lavorativa svolta al domicilio del lavoratore dipendente non possa essere assimilabile all’attività lavorativa ordinaria, in virtù della clausola di esclusione contenuta nella Sezione 2 n. 6 della legge del 1977, 117 Cfr. NERGAARD, Fjernarbeidog arbeidslivsrelasjoner i Norge, in: http://www.eiro.eurofound.ie/1998/11/word/no9809187s.doc 118 Cfr. Legge 4 febbraio 1977 n. 004, Lov om arbeidervern og arbeidsmiljø m.v., il cui testo (in norvegese) è consultabile all’indirizzo web http://www.lovdata.no/all/nl-19770204-004.html 141 secondo la quale “Il re determinerà se e in che misura questa legge dovrà applicarsi al lavoro svolto nella casa del lavoratore dipendente”.119 Per quanto riguarda più in generale il lavoro industriale a domicilio, vigeva una legge ad hoc del 1918. Questa legge con il tempo venne disapplicata ed infine abrogata nel 1995, originando così una lacuna legislativa. La clausola di esclusione vista in precedenza potrebbe quindi servire a colmare questa lacuna. Tuttavia non c’è consenso nemmeno sul fatto che un decreto reale possa rendere applicabile la legge del 1977 al telelavoro domiciliare, sebbene la maggior parte della dottrina concordi sul fatto che sarebbe il modo più facile per risolvere la controversia. Allo stato dei fatti sembra quindi che le previsioni della legge del 1977 non possano essere estese al telelavoro domiciliare, a meno di possibili, successivi, ampliamenti della legge stessa, come sostenuto da più parti ed in ultimo anche dal Ministro per il Governo locale e lo sviluppo Regionale.120 Tutte queste problematiche sono state oggetto di approfondito dibattito in Norvegia, soprattutto quando si è trattato di avviare delle iniziative, sia private sia pubbliche, per la promozione del telelavoro. Una di tali iniziative derivava da un progetto di ricerca chiamato National Information Networks (N.I.N.), al cui interno vi erano dei gruppi di studio sul telelavoro. Il gruppo di studio su “Telelavoro e diritto del lavoro”, guidato da Henning Jakhelln, docente di diritto pubblico, ha prodotto nel 1996 un rapporto sugli aspetti legali del telelavoro in Norvegia, e una delle proposte che vi venivano avanzate riguardava proprio l’applicazione della legge del 1977 al telelavoro casalingo.121 Nello stesso senso il Ministero per il Governo locale e lo sviluppo regionale, in un documento inviato alle parti sociali, proponeva di estendere al telelavoro domiciliare tutte le previsioni della legge del 1977. Per rientrare nel campo di applicazione della legge i telelavoratori dipendenti avrebbero dovuto lavorare a casa per almeno quindici ore a settimana, mentre i lavoratori autonomi 119 Traduzione non ufficiale dal norvegese. Nel testo originale : ”Kongen avgjør om, og i hvilken utstrekning, loven skal gjøres gjeldende for arbeid som utføres i arbeidstakerens hjem”. 120 Cfr. LISMOEN, Telework on the Norwegian social partners' agenda, 1998, in: http://www.eiro.eurofound.ie/ 121 Cfr. JAKHELLN e BAKKE, Fjernarbeid og Arbeidsrett, Scientific Report TF- Rapport 33/96, cit. da NERGAARD cit. 142 ne sarebbero stati comunque esclusi. In particolare i telelavoratori a domicilio avrebbero potuto richiedere lo stesso ambiente di lavoro dei dipendenti ordinari, con le relative spese a carico del datore di lavoro.122 122 Cfr. NERGAARD, cit. 143 3.8. GLI ALTRI PAESI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA Un’attenta analisi delle norme interne dei singoli Stati dell’Unione Europea, non permette di rilevare la presenza di leggi specifiche sul telelavoro o riguardanti in modo esclusivo i telelavoratori. Tuttavia in quasi tutti i Paesi è in corso un dibattito, diretto o indiretto, su questi argomenti, che in taluni casi sta già sfociando in iniziative legislative. D’altro canto un po’ dovunque si è cercato di far fronte alle problematiche sollevate da questa nuova forma di esecuzione della prestazione lavorativa, ricorrendo all’analogia legis, per estendere la portata del diritto del lavoro vigente. Ci sono inoltre un gran numero di iniziative, su scala nazionale, destinate a promuovere ed incentivare lo sviluppo del telelavoro, le quali non richiedono necessariamente dei mutamenti legislativi. Si tratta, da un lato, di processi finalizzati all’introduzione del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, dall’altro di interventi a sostegno dei programmi di telelavoro avviati dall’imprenditoria privata. Questi strumenti danno ai Governi l’opportunità di sviluppare ed indirizzare le loro politiche attive nella regolamentazione del telelavoro. Tra i Paesi membri dell’Unione Europea il Belgio si contraddistingue per avere emanato, già nel 1996, una legge sul lavoro a domicilio riguardante anche il telelavoro, sebbene non sia destinata in modo specifico ad esso. In essa viene delineato un primo nucleo minimo di obblighi per i datori di lavoro; viene, ad esempio, richiesta la forma scritta per i contratti tra lavoratore ed impresa, ed è previsto che sia il datore di lavoro a fornire le attrezzature necessarie per telelavorare.123 123 Ministère de l'emploi et du travail, Loi 6 dècembre 1996 relative au travail à domicile, art.4. «Il est inséré dans la même loi un Titre VI nouveau rédigé comme suit: - omissis - Art.119.3. Par dérogation à l'article 20, l'employeur est tenu à l'égard du travailleur à domicile de: 1° mettre à la disposition du travailleur, s'il y a lieu et sauf stipulation contraire, l'aide, les instruments et les matières nécessaires à l'exécution du travail; 2° payer la rémunération aux conditions, au temps et au lieu convenus». 144 La legge è applicabile a quei contratti in cui il lavoro domiciliare è prevalente oppure occupa tutta la giornata lavorativa, ma non copre le altre forme di telelavoro altrettanto comuni, quali il part-time ed il telelavoro non formalizzato. Nel biennio 1995-1996 il telelavoro è entrato a pieno titolo nel dibattito pubblico sul lavoro in Belgio. Prima di allora numerose imprese avevano già sperimentato le varie tipologie di telelavoro, specialmente in relazione ai lavoratori mobili come gli agenti di vendita. Il telelavoro iniziò a riscuotere maggiori attenzioni anche grazie ad una più vasta copertura da parte dei media. Il primo telecentro del Belgio divenne operativo nella città di Geel, presso la società Innotek, con quindici postazioni di lavoro per lavoratori dipendenti o autonomi. Nel 1996 Belgacom aprì un primo ufficio satellite a Gand, utilizzando novanta dipendenti della sede centrale di Bruxelles. I quadri intermedi disponevano di linea ISDN e di personal computer a casa. L’associazione belga del telelavoro (BTA), fondata alla fine del 1994, due anni dopo contava già centodieci membri, tra i quali vi erano importanti società come Alcatel, Bell, Belgacom, Bull, Canon, Digital, IBM, Philips e Unisys, nonché istituzioni universitarie come la Libera Università di Bruxelles. La BTA ha costituito cinque gruppi di interesse riguardanti la sicurezza, la formazione, la gestione del personale, il lavoro autonomo e Internet/Intranet, i quali hanno svolto e svolgono tuttora un'azione di stimolo verso il legislatore, con proposte e pareri. Differente è la situazione tedesca. In Germania il telelavoro ha avuto uno sviluppo più lento che in altri Paesi, anche se alcune aziende hanno precocemente sperimentato significative esperienze nel settore. Uno studio condotto su 272 aziende presenti nello Stato del NordrheinlandWestfalia indicava che prima del 1997 il 20% di esse aveva già avviato dei progetti di telelavoro, per lo più nella forma domiciliare, mentre le aziende di minori dimensioni utilizzavano prevalentemente degli uffici satellite.124 IBM Deutschland nel 1987 fu promotrice di uno dei primissimi progetti pilota europei per il telelavoro. Il progetto riguardava il servizio di chiamate d’emergenza, ossia un servizio di supporto 124 Cfr. Commissione Europea: Status Report on European Telework “Telework 1997” 145 tecnico svolto dai sistemisti dell’azienda e rivolto sia ai sistemi di elaborazione interni che a quelli installati presso i clienti. Il servizio, attivo ventiquattro ore su ventiquattro, presupponeva la massima disponibilità dei sistemisti ad essere reperibili in qualsiasi orario diurno, notturno o festivo e, se necessario, in casi di gravi malfunzionamenti, anche a recarsi personalmente presso le aziende richiedenti il servizio. L’adozione del telelavoro rese possibile il raggiungimento di un duplice obiettivo: evitare ai sistemisti il disagio di dover raggiungere l’ufficio al di fuori del normale orario di lavoro e al tempo stesso garantire al cliente un intervento immediato. Il progetto vide la luce con dieci sistemisti, tutti volontari, e proseguiva ancora otto anni dopo con ottantacinque unità in grado di svolgere il servizio direttamente da casa. Nel 1994 oltre ai sistemisti svolgevano attività di telelavoro anche centotrentuno dirigenti che si collegavano da casa per gestire gli appuntamenti e la corrispondenza, centoquindici dipendenti di varie aree (programmatori, addetti alla manutenzione dei sistemi, ecc.),duecentocinquanta venditori dotati di personal computer portatile che svolgevano telelavoro mobile e altri 1174 dipendenti che si collegavano al sistema centrale al di fuori dell’orario di lavoro tramite propri mezzi ed a proprie spese.125 Un altro progetto interessante fu quello della Wurttembergische Versicherungs AG, società di assicurazioni, la quale per fronteggiare il calo di personale femminile qualificato, dovuto agli impegni famigliari derivanti dalla nascita di un figlio, adottò fin dal 1990 la soluzione del telelavoro domiciliare. L’orario di lavoro, a tempo parziale, era di diciannove ore settimanali e poteva essere svolto dal lunedì al venerdì, nell’arco di tempo compreso tra le sette del mattino e le sette di sera. Lo stipendio era la metà di quello normale, ma ad esso si aggiungeva un'indennità di centocinquanta marchi mensili come rimborso per il maggior consumo di corrente elettrica e per l’incremento dei costi telefonici. Restavano a carico dell’azienda le spese sostenute per creare le postazioni di lavoro ed i costi di trasmissione dei dati, pari a circa circa seicento marchi mensili per telelavoratore.126 Anche la Deutsche Telekom concluse nel 1995 un accordo sindacale per la sperimentazione del telelavoro, cui fece seguito nel 1998 un vero e proprio accordo collettivo sul telelavoro che 125 126 Cfr. FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. Ibidem 146 divenne operativo dal primo gennaio 1999. Questo accordo regola in maniera differente il telelavoro alternato casa-ufficio dal telelavoro mobile, ed è l’accordo più importante raggiunto finora in Germania, e forse in Europa, in quanto interessa potenzialmente oltre duecentomila dipendenti. In Germania il diritto del lavoro è assai preciso nel regolare i rapporti di lavoro nel settore privato. Esso si occupa delle condizioni di lavoro, della formazione del personale, dell’assunzione e della retribuzione, e viene di solito esteso, in via interpretativa, anche al telelavoro. Una situazione analoga è determinata da una legge federale riguardante il settore pubblico. Non sembra tuttavia applicabile al telelavoro una risalente legge tedesca riguardante il lavoro a domicilio tradizionale (Heimarbeitsgesetz). Al contrario una recente legge sul lavoro autonomo, approvata nel 1999, interessa indirettamente il lavoro a distanza in quanto pone dei limiti alla possibilità che un telelavoratore agisca come subappaltatore di una sola impresa. Questa opportunità veniva sfruttata in passato dai datori di lavoro per instaurare con i propri dipendenti un rapporto di lavoro autonomo, evitando di conseguenza il versamento degli oneri sociali ed assicurativi127. Vale ancora la pena ricordare che i sindacati tedeschi delle poste e telecomunicazioni hanno essi stessi raggiunto un accordo collettivo sul telelavoro con i propri dipendenti, primo esempio di sindacato che firma un accordo di telelavoro come datore di lavoro.128 In altre nazioni invece, come ad esempio la Grecia, le tecnologie informatiche e della comunicazione hanno ancora un utilizzo limitato nell’industria, di conseguenza sono estremamente scarse le informazioni sulla diffusione del telelavoro. La Grecia infatti ha, tra i Paesi comunitari, il più alto livello di occupazione in agricoltura, è penultima come prodotto interno lordo pro capite ed ha il più basso indice di lavoratori informatici. La società dell’informazione presenta quindi aspetti ed implicazioni ben differenti rispetto alla Germania o alla Danimarca. Con una percentuale di lavoratori del settore terziario che non arriva al 55%, la più bassa in Europa, il telelavoro inteso nel senso comune del termine, ossia come lavoro svolto a (o vicino a) casa invece che in ufficio, non 127 Cfr. WEISSBACH, Euro-telework - Reportn telework regulation and social dialogue, Relazione patrocinata dalla Direzione Generale sull’impiego e gli affari sociali della Commissione Europea, nov. 2000, in http://www.eurotelework.org 128 ibidem 147 rappresenta un argomento prioritario in campo economico. Viceversa il telelavoro offshore e le applicazioni da esso rese possibili, come il telecommercio e la telecooperazione, potrebbero costituire delle ottime opportunità per ampliare gli scambi commerciali internazionali. Anche se la Grecia ha investito molto poco nelle nuove tecnologie, ha tuttavia compiuto alcuni passi per lo sviluppo di strutture di supporto al telelavoro. In particolare sono stati incentivati l’acquisto di personal computer e gli accessi ad Internet, per promuovere l’idea stessa di telelavoro ed accelerarne la conoscenza da parte dell’opinione pubblica. Resta il fatto che il reddito pro capite ed il potere d’acquisto dei cittadini greci, piuttosto bassi, fanno apparire molto onerosi i costi per l’acquisto di personal computer e per connettersi ad Internet, fino al doppio rispetto a quanto lo siano per un cittadino statunitense o danese. Come già detto il peso del settore terziario è il più basso in Europa e comprende essenzialmente un settore pubblico molto sviluppato a cui si affianca una fiorente industria del turismo. Come conseguenza dei preminenti ruoli economici giocati dall’agricoltura e dal turismo, la Grecia presenta le più alte percentuali europee di lavoratori dipendenti da piccole aziende e di lavoratori autonomi, nonché la più bassa percentuale di lavoratori nel settore dell’informatica.129 Ne deriva che la maggior parte degli attuali telelavoratori è costituita da lavoratori autonomi o comunque senza un formale riconoscimento contrattuale specifico. Sebbene il telelavoro emerga come nuovo fenomeno lavorativo e sociale, non è ancora possibile tracciare un quadro preciso del suo sviluppo attuale. Né il servizio nazionale di statistica, o altri enti pubblici e privati, si sono preoccupati di monitorare il fenomeno. Dati riferibili al 1997 ed al 1998 indicavano in venti-trentamila il numero dei telelavoratori greci, una percentuale minima (0,46%), se non irrisoria, della forza lavoro totale. Tale numero appariva però in forte crescita.130 Per incentivare l’uso delle tecnologie informatiche all’interno delle pubbliche amministrazioni nel 1997 è stato creato un apposito comitato governativo. Il comitato ha promosso, tra l’altro, un 129 Tutte le informazioni riportate derivano dallo studio della Commissione Europea, Status Report on European Telework “New Methods of Work 1999” 130 Cfr. Commissione Europea, Status Report on European Telework “Telework 1997” e Status Report on European Telework “Telework 1998” 148 progetto ambizioso chiamato TAXIS, costituito da un insieme di sistemi informatici integrati per la tassazione, ed oggi utilizzato da tutti gli uffici delle imposte greci. Nel 1999 è stata poi condotta una campagna informativa su tutti i media per diffondere la conoscenza del telelavoro come forma di lavoro alternativa. Sfruttando la propria vocazione turistica la Grecia ha poi dato alla luce in Europa ai cosiddetti Resort Offices, il primo dei quali è stato installato nell’isola di Creta. Si tratta di strutture per il telelavoro, dotate di servizi tecnici e di segreteria, situate in un contesto turistico e destinate a uomini di affari e turisti. Il nuovo concetto dei Resort Offices deriva dalla volontà di abbinare il telelavoro al turismo, o comunque ad una migliore qualità della vita, con ovvi vantaggi per i telelavoratori. Per le imprese può invece derivarne una maggior flessibilità e produttività dei dipendenti delle più alte qualifiche dirigenziali, con soddisfazione anche dei clienti. I Resort Offices rappresentano qualcosa di più che una nuova opportunità commerciale o un processo di riorganizzazione aziendale. Essi introducono un concetto integrato di lavoro e relax in un ambiente che stimola la creatività ed offre ampie opportunità di approccio alle nuove tecnologie. I potenziali fruitori di questo tipo di attività sono rappresentati da cittadini stranieri che hanno intenzione di stabilirsi in Grecia temporaneamente o per sempre, pur mantenendo i loro dipendenti e/o clienti altrove.131 Tornando ad occuparci del telelavoro nel suo complesso, va segnalato che in Grecia esiste da alcuni anni una norma riguardante il rapporto di lavoro dei telelavoratori. Si tratta della legge n. 2639 del 7 agosto 1998 "Disciplina delle relazioni industriali, formazione di un corpo ispettivo ed altre previsioni”. Questa legge introduce la presunzione che vi sia un rapporto di lavoro dipendente in tutti quei contratti che prevedono la prestazione di servizi o di lavoro, fintanto che tali accordi non vengano messi per iscritto e comunicati entro quindici giorni all’Ispettorato del lavoro competente. La legge prevede anche l’obbligo, per le aziende, di comunicare agli ispettorati del lavoro una lista completa dei telelavoratori che risultano essere alle loro dipendenze.132 131 132 Cfr. Commissione Europea, Status Report on European Telework “New Methods of Work 1999” Cfr. SOUMELI, Telework and labour relations, in: http://www.eiro.eurofound.eu.int/1998/11/word/gr9809193s.doc 149 L’approvazione della legge n. 2639 del 1998 ha segnato l’inizio di una nuova era per il telelavoro in Grecia. Esso è stato pubblicamente riconosciuto come forma alternativa di lavoro e di conseguenza si è stabilito un sistema di regole le quali descrivono diritti e doveri di telelavoratori e datori di (tele)lavoro.133 Va notato che, sebbene il telelavoro rientri nell’ambito applicativo di questa legge al pari di tutte le forme atipiche di impiego, non viene fornita una sua definizione, né viene classificato nelle sue varie forme. Tuttavia, in sede di dialogo sociale, è stato posto l’accento sulla necessità di una più ampia base legislativa per regolare ulteriori rilevanti materie, come la sicurezza sociale e le condizioni di lavoro. Infatti in Grecia non esistono ancora degli accordi collettivi sul telelavoro, né tantomeno ci sono archivi, ufficiali o meno, che riguardino questi accordi. Tale carenza è un riflesso dell’attuale posizione delle parti sociali, infatti né le organizzazioni degli imprenditori né i sindacati hanno assunto iniziative al riguardo.134 La citata presunzione di lavoro dipendente contenuta nell’art. 1 della legge n. 2639 si accompagna ad un’altra analoga presunzione: quando un lavoratore fornisce le sue prestazioni principalmente o esclusivamente per un solo datore di lavoro, si presume l’esistenza di un rapporto di subordinazione tra i due. Queste previsioni normative sono dirette ad estendere l’applicabilità del diritto del lavoro a più ampie e nuove categorie di lavoratori, tuttavia la loro efficacia è limitata, in quanto in Grecia l’ispettorato del lavoro non svolge con efficacia i suoi compiti di controllo.135 A differenza della Grecia, l’Olanda ha una lunga tradizione nel campo del telelavoro, posto che le prime esperienze risalgono agli anni ’80, quando alcune società, soprattutto del settore delle telecomunicazioni, avviarono dei programmi pilota. Fin dal 1989 il Ministero dei trasporti olandese ha manifestato il proprio interesse per il telelavoro redigendo un documento riguardante la politica dei trasporti, il cosiddetto schema 133 Cfr. Commissione Europea, Status Report on European Telework “New Methods of Work 1999” Cfr. SOUMELI cit. 135 ibidem 134 150 strutturale dei trasporti e del traffico. Lo schema ministeriale tracciava i piani futuri per indirizzare le necessità emergenti e le aspettative sociali in questo settore. Il primo progetto pilota approvato sulla base dello schema ministeriale fu avviato all’interno del Ministero stesso, per studiare il possibile impatto sul traffico, l’efficacia dell’organizzazione e gli effetti sulla qualità della vita dei dipendenti. Al progetto parteciparono sessanta volontari di diverse qualifiche ed appartenenti alle due direzioni del Ministero. Il primo effetto riscontrato fu la riduzione degli spostamenti dei dipendenti, ma ciò che sorprese di più fu l’impatto molto positivo sulla produttività, sul rispetto delle scadenze e sul miglioramento delle comunicazioni all’interno dell’organizzazione. A seguito di questi risultati il Ministero decise di rendere il telelavoro un’opzione di lavoro accessibile a tutti i dipendenti, tanto che nel 1997 più di seicento impiegati ministeriali avevano già optato per esso.136 La filiale olandese della Digital Equipment fu la prima, tra le filiali internazionali di questa multinazionale, ad introdurre il telelavoro. Quando nel 1988 fu varato un progetto pilota riguardante l’ufficio vendite, i dipendenti utilizzavano già la posta elettronica ed i collegamenti in rete intra aziendali. Il risultato sorprendente fu che il telelavoro incrementò la produttività del 25%, grazie ad una miglior pianificazione del lavoro, ad un sistema di comunicazioni più efficace, alla limitazione degli spostamenti ed alla possibilità di ridurre della metà gli spazi destinati ad uso ufficio. In seguito al successo di questo progetto pilota la Digital Equipment adottò nel 1993 il telelavoro come forma di lavoro ordinaria, per cui oggi ogni dipendente olandese di questa società ha la possibilità di telelavorare. Il primo censimento delle attività potenzialmente telelavorabili, venne eseguito in Olanda nel 1995. Si stabilì in questo modo che almeno il 37% dei lavoratori avrebbe potuto telelavorare per almeno un quinto dell’orario.137 136 137 DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, february 2001. Cfr. GAUTHIER e DORIN, Le guide pratique du télétravail, Les éditions d’organisation Paris, 1996, pp. 103. 151 L’Olanda inoltre è al primo posto in Europa per percentuale di lavoratori impiegati nel settore terziario, ed è ai primi posti quanto ad investimenti in nuove tecnologie ed utilizzo dei personal computer da parte della popolazione e dei lavoratori.138 Nonostante queste premesse favorevoli il numero attuale dei telelavoratori olandesi è piuttosto limitato. A seconda dell’ampiezza della definizione che si utilizza, ci sarebbero tra gli ottantamila ed i cinquecentomila telelavoratori, vale a dire tra l’1,5% e l'8% della forza lavoro totale.139 In Olanda non esiste legislazione specifica in materia di telelavoro, né ci sono iniziative in tal senso. Si può tutt’al più ricordare che nel 1994 l’ambito applicativo della legge sulle condizioni di lavoro (Arbeidsomstandighedenwet) è stato esteso anche al lavoro domiciliare. La definizione di lavoro domiciliare contenuta in questa legge è sufficientemente ampia da potervi ricondurre anche il telelavoro a domicilio. Tuttavia le disposizioni riguardanti il lavoro a domicilio dovranno essere viste ed interpretate singolarmente per poter essere applicate ai telelavoratori.140 Se, in ragione della subordinazione, della corresponsione di un salario, della personalità della prestazione e della durata il rapporto di lavoro di un telelavoratore olandese può essere qualificato come dipendente, ad esso potrà applicarsi, in linea di principio, tutto l’insieme del diritto del lavoro vigente. In assenza di un contratto di lavoro dipendente il diritto del lavoro non troverà applicazione, ma attraverso l’interpretazione estensiva di alcune leggi si possono in parte regolare i rapporti di lavoro particolari quali quelli di semi-autonomia. In questo modo è stato esteso l’ambito applicativo di alcune garanzie contenute nella legge sul minimo salariale (Wet minimumloon), nella legge sulle condizioni di lavoro (Arbeidsomstandighedenwet) e nella legislazione in materia di sicurezza sociale.141 Più recentemente la legge sulla flessibilità e sulla sicurezza nel lavoro (Wet Flexibiliteit en Zekerheid), entrata in vigore nel gennaio del 1999, ha introdotto una presunzione legale che può 138 Cfr. Commissione Europea, Status Report on European Telework “New Methods of Work 1999” Cfr GAUTHIER cit. 140 Cfr. DE VRIES, Comparative study on teleworking and industrial relations – The Netherlands, in: http://www.eiro.eurofound.ie/ 141 ibidem 139 152 avere una certa importanza per il telelavoro. Per rafforzare lo status giuridico dei lavoratori impiegati in forme di lavoro flessibile, la legge presume l’esistenza di un contratto di lavoro dipendente quando una persona fisica abbia lavorato per uno stesso datore di lavoro in modo continuo e regolare per un periodo di almeno tre mesi142. Sebbene siano stati previsti degli incentivi per far decollare il telelavoro, non ci sono ancora stati dei programmi generali del governo olandese in tal senso, anche perché le attuali norme fiscali non sono particolarmente vantaggiose per i telelavoratori, non prevedendo la deducibilità delle spese sostenute per lavorare da casa.143 Per quanto riguarda invece le relazioni sindacali, il telelavoro è stato incluso nell’agenda delle contrattazioni collettive olandesi già nel 1993, anche se gli accordi raggiunti sono stati piuttosto limitati quanto a numero di aziende e di lavoratori coinvolti. Il telelavoro è molto più diffuso in Irlanda dove, secondo l’ufficio centrale di statistica, nel 2003 c’erano già quarantamila telelavoratori. Il 10% delle persone impiegate nei settori diversi dall’agricoltura lavorano da casa in qualche misura e quasi sessantamila usano un computer con un collegamento alla rete telefonica.144 Un indagine attitudinale sul telelavoro condotta nel 1995 tra la popolazione irlandese indicava che il 39% del campione pensava che sarebbe stata una cosa positiva il fatto che in futuro molte persone avrebbero potuto svolgere tutto o parte del loro lavoro da casa usando il computer. Il 56% credeva che i datori di lavoro avrebbero dovuto permettere al loro personale di telelavorare per tutto o parte dell’orario. Il 34% dei lavoratori si dichiarava disposto a telelavorare.145 Anche in Irlanda, come in Gran Bretagna, sono stati attivati dei telecottages nelle regioni rurali, nei piccoli villaggi o nelle piccole città dell’entroterra. Per incentivarli sono intervenuti congiuntamente l’Agenzia Governativa Irlandese (I.D.A.) e la Telecom Eireann che è il gestore pubblico delle telecomunicazioni. Tramite essi sono stati raggiunti dei particolari accordi con 142 Cfr. VAN HET KAAR, Flexicurity Act makes major changes to labour http://www.eiro.eurofound.eu.int/1999/01/FEATURE/NL9901117F.HTML 143 Cfr. DI MARTINO cit. 144 Cfr. Central Statistics Office of Ireland, Teleworking takes off in Ireland, 21/02/2003 in: www.nua.ie 145 Cfr. DI MARTINO cit. 153 law, in: aziende europee e statunitensi, potendo contare su tariffe telefoniche particolarmente vantaggiose e competitive e sul fatto che in Irlanda il costo del lavoro è tra i più bassi d’Europa. Sono nati così numerosi call centers a cui ad esempio affluiscono richieste di assistenza tecnica e di prenotazioni alberghiere. Gli operatori dei call centers che servono l’Europa continentale e gli Stati Uniti sono poliglotti, in quanto sono rappresentati sia da lavoratori irlandesi con buone conoscenze linguistiche, sia da soggetti di diverse madrelingue che vivono a Dublino.146 Come altri Paesi membri dell’U.E., l’Irlanda ha sviluppato un piano operativo per guidare il suo percorso all’interno della società dell’informazione. In termini di telelavoro l’Irlanda ha tratto profitto dall’attività del National Advisory Council on Teleworking. Quest’organismo consultivo, al cui interno sono rappresentati gli imprenditori, i sindacati, il governo ed il mondo accademico, fu istituito nel 1998 su iniziativa del Ministro della scienza, della tecnologia e del commercio. Esso pubblicò il suo primo rapporto nel giugno del 1999.147 Il rapporto conteneva una serie di raccomandazioni in tema di scelta consapevole, di opportunità di lavoro, di formazione, e di misure fiscali. Il National Advisory Council on Teleworking si vide anche attribuito il compito di sviluppare un codice nazionale di buone pratiche di telelavoro, recentemente rinominato codice delle buone pratiche dell’e-Working, il quale è stato sottoscritto dall’associazione imprenditoriale I.B.E.C. e dal congresso delle rappresentanze sindacali irlandesi. Il codice promuove l’introduzione, nelle aziende e nelle organizzazioni, di politiche formali per il telelavoro quale mezzo per neutralizzare i potenziali problemi che possono derivare dall’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro. A tale scopo viene anche fornito un modello base di contratto di telelavoro. 146 Cfr. FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. NATIONAL ADVISORY COUNCIL ON TELEWORKING, Code of practice for teleworking in Ireland, http://www.telework.ie/nact/index.html 147 154 In Irlanda opera inoltre un’associazione professionale volontaria per i telelavoratori, Telework Ireland, che riceve fondi statali finalizzati alla promozione dei progetti di sviluppo delle comunità locali. L’obiettivo di Telework Ireland è quindi quello di supportare soprattutto le micro-imprese. L’approccio del governo irlandese alla tematica del telelavoro ha portato alla pubblicazione nella primavera del 1997 di un rapporto sulla Società dell’Informazione in Irlanda. La compagnia telefonica di Stato Telecom Eireann, che faceva parte della ricerca, lanciò una gara per stabilire quale fosse la città irlandese ideale nell’era dell’informatica. La città che vinse questo particolare concorso ricevette in premio la cablatura del territorio con reti ISDN ed un numero di connessioni Internet pari ad un valore di circa quindici milioni di sterline irlandesi. Ma più ancora che in Irlanda il telelavoro ha trovato terreno fertile per il suo sviluppo nelle nazioni scandinave. Come numero di telelavoratori sul totale della forza lavoro, la Danimarca e la Finlandia sono ai primi due posti in Europa, con percentuali che superano il 20%.148 Le premesse di questo primato sono sicuramente l’alta percentuale di persone che utilizzano i computer, sia sul lavoro che a casa, e le moderne reti di telecomunicazione. Del resto gli stessi governi hanno più volte dichiarato esplicitamente che la società dell’informazione deve essere finalizzata al miglioramento delle condizioni sociali e di vita. L’elevato interesse per il telelavoro risale agli anni ’80, quando vennero condotti i primi esperimenti finalizzati allo sfruttamento delle nuove tecnologie per sostenere le comunità locali e le loro economie. Lo Stato danese incentivò questi esperimenti, creando una sessantina di telecottages. Questi telecottages sono oggi scomparsi, ma da quell’esperienza hanno tratto origine dei progetti formativi nel campo delle nuove tecnologie, destinati in particolare alle persone disoccupate da lungo tempo. Più in generale questi primi esperimenti servirono a introdurre il tema del telelavoro nelle sedi politiche e sociali, tanto che la prima conferenza nazionale sul telelavoro si tenne nel novembre del 148 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, Eurobarometro 54.0, Gli Europei e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel quadro dell’impiego, autunno 2000. 155 1995, e tutt’oggi il telelavoro è un argomento di notevole interesse sul quale si tengono conferenze e seminari a livello nazionale e locale. Come ebbe modo di evidenziare il Ministro del lavoro danese in una sua relazione “La forma dei nuovi rapporti di lavoro scaturiti dallo sviluppo delle tecnologie informatiche rappresenta una sfida per il governo e per il sistema di contrattazione collettiva. E’ il caso, in particolare, dell’espansione che stanno raggiungendo nuovi modelli di rapporti lavorativi i quali non sono contemplati dagli attuali contratti collettivi e dalla legislazione vigente. Il sistema esistente è in larga parte basato sul particolare paradigma di ciò che costituisce (o tradizionalmente costituiva) il concetto “normale” di lavoro. E’ questo il concetto di lavoratore a tempo pieno, sotto contratto con un unico datore di lavoro con il quale rimane per molti anni, o addirittura fino alla pensione. Il telelavoro sfida questo paradigma sotto vari aspetti. Esso mette in discussione la netta separazione tra le due sfere vitali del lavoro e della casa, e quella tra le ore di lavoro e di non lavoro. Potenzialmente può anche mettere in crisi la centralità del rapporto lavoratore-impresa, infatti il telelavoro può comportare un affievolimento della tradizionale distinzione tra lavoratore dipendente ed autonomo”.149 Date queste premesse non stupisce che nel 1998 in Danimarca sia stato siglato un accordo strutturale sul telelavoro (distancearbejde) dal Ministro delle Finanze e dalla Federazione Centrale Danese degli impiegati statali. L’accordo, che ha coperto un periodo pilota fino al marzo 2001, è stato applicato ai dipendenti della corona ed agli impiegati che godono dello stesso status.150 Più di recente alcuni aspetti relativi alla tassazione del telelavoro sono stati oggetto di attenzione da parte del governo, il quale ha abolito l’imposizione fiscale sui personal computer forniti dai datori di lavoro per l’utilizzo presso il domicilio dei lavoratori. Anche in Finlandia il telelavoro (etätyö) è sempre stato visto con favore, sia dai lavoratori che dai datori di lavoro, per cui la domanda di posti di telelavoro è superiore all’offerta, benché 149 Traduzione non ufficiale da: Danish Ministry of Labour, The impact of the information society on job content and work organization, June 1998, cit. da DI MARTINO cit. 150 WEISSBACH, Euro-telework – Report on telework regulation and social dialogue, Relazione patrocinata dalla Direzione Generale sull’impiego e gli affari sociali della Commissione Europea, 2000, in http://www.euro-telework.org 156 quest’ultima sia cospicua. L’8% circa dei lavoratori dipendenti finlandesi è rappresentato da telelavoratori, a tempo pieno o parziale, mentre un altro 10%, che non si autodefinisce telelavoratore, svolge comunque da casa delle attività lavorative al di fuori dell’orario di lavoro. I telelavoratori, come regola generale, sono considerati dei privilegiati, in quanto hanno un livello di educazione ed un reddito superiori rispetto alla media dei lavoratori di pari livello. In genere si tratta di professionisti o lavoratori autonomi che, nell’attuale mercato del lavoro, hanno carichi di lavoro piuttosto pesanti, ma si ritengono ugualmente soddisfatti del loro lavoro e delle condizioni in cui lo svolgono. Queste informazioni derivano da un’indagine condotta nell’ambito del progetto Finnish Experience on Telework (F.E.T.), un programma congiunto tra il Ministero del lavoro finlandese e l’Università di Turku.151 Un’altra indagine ha evidenziato che più della metà delle aziende finlandesi è interessata ad introdurre il telelavoro nelle forme del lavoro in subappalto e del lavoro mobile, mentre oltre il 70% pensa di introdurre il telelavoro alternandolo al lavoro tradizionale.152 Il ruolo strategico del telelavoro è stato riconosciuto anche dalle politiche di governo, in particolare come strumento di riequilibrio economico tra regioni e per la sua efficacia nella lotta alla disoccupazione.153 Per questo motivo il legislatore finlandese è restio ad occuparsi di telelavoro, timoroso di ostacolarne in qualche modo lo sviluppo. Conseguentemente sono le aziende ed i lavoratori che cooperano attivamente per raggiungere obiettivi condivisi in questa nuova area contrattuale. Il diritto del lavoro finlandese non fornisce una definizione di telelavoro, ed esso trova applicazione solo quando il telelavoro viene organizzato secondo i canoni dei contratti di lavoro dipendente. Ma qualora un lavoratore svolga la propria attività prevalentemente presso il domicilio, 151 Cfr. LUUKINEN, Finnish teleworkers in close-up, in www.tkk.utu.fi/telework/raportit/r1.html Cfr. DI MARTINO cit. 153 Cfr. MÖNKÄRE, Telework and local entrepreneurship: new forms of work enabled by modern technology, e-work 2001 Conference, the 8th European Assembly on New Ways to Work, 12-14 September 2001, Helsinki, Finland, in: http://www.telework2001.fi 152 157 la legge che disciplina l’orario di lavoro non troverà applicazione, in base ad un'espressa disposizione in essa contenuta.154 Il paragrafo 11 della legge sui contratti di lavoro dipendente riguarda anche il telelavoro. In Finlandia il potere di direzione e sorveglianza del datore di lavoro non viene meno anche se la sede di lavoro coincide con il domicilio del lavoratore.155 Anche la Svezia ha molto da dire sul telelavoro. Come in Finlandia la posizione geografica ed il clima sono tutt'altro che favorevoli alle attività umane, di conseguenza sono entrambi Paesi assai poco popolati. La Svezia ha una densità abitativa pari a diciannove abitanti per chilometro quadrato a fronte di una media europea di centoquarantacinque. A causa del clima freddo e secco, che per molti mesi all’anno ostacola la mobilità, la maggior parte degli abitanti vive nelle città meridionali caratterizzate da un clima relativamente più mite. Anche per questi motivi il telelavoro ha rappresentato una soluzione ottimale per superare tutti gli ostacoli climatici che possono impedire la normale mobilità dei lavoratori. Già nel 1997 oltre centocinquantamila persone lavoravano a casa propria per più di un giorno a settimana, vale a dire il 5% circa di tutta la forza lavoro svedese.156 Ci sono aziende che da un decennio utilizzano il telelavoro in modo sempre più diffuso, come la Siemens Nixdorf in cui oggi i quattro quinti dei dipendenti svolgono la propria mansione lavorativa sotto forma di telelavoro.157 Nel 1998 l’Ufficio svedese di indagine statistica sulla forza lavoro stimò che il numero di telelavoratori, con un contratto di lavoro dipendente che consentisse di lavorare a casa almeno per una parte dell'orario di lavoro, fosse pari a circa trecentomila, il 9% della forza lavoro totale. Questa indagine escluse i telelavoratori autonomi.158 La Svezia è del resto una nazione tecnologicamente avanzata, con un'economia sviluppata, una rete di telecomunicazioni efficiente che raggiunge i luoghi più remoti del territorio ed un'ampia 154 Cfr. Etätyö ja työelämän suhteet, in: http://www.eiro.eurofound.eu.int/1998/11/word/fi9809176s.doc ibidem 156 Cfr. FORSEBAECK, cit. da FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. 157 Cfr. FELICI, ibidem. 158 Cfr. Statistics Sweden, 1997 and 1998 Labour Force Surveys - AKU, cit. da DI MARTINO, cit. 155 158 diffusione delle tecnologie informatiche tra la popolazione. I sindacati, che hanno un peso sociale rilevantissimo, guardano quindi con favore al telelavoro, soprattutto per i benefici che può apportare alla vita famigliare delle tante madri lavoratrici. Se si riflette poi sull'ostilità del clima dei mesi invernali è facile capire perché il telelavoro sia così diffuso.159 A fronte di una diffusa presenza di contratti di telelavoro il legislatore svedese non ha ancora provveduto a regolare la materia. Anche per questo motivo si è formata una ricca giurisprudenza, la quale ha elaborato una serie di criteri per stabilire quando una persona che telelavora debba considerarsi come lavoratore dipendente. Questi criteri sono rappresentati dallo svolgimento del lavoro in proprio senza l'aiuto di famigliari o sostituti, dal fatto che il contratto stipulato con il datore di lavoro abbia carattere di sostenibilità, che il telelavoro non venga svolto in modo significativo per più di un datore di lavoro, che esista un potere direzionale e di controllo su come, dove e quando viene eseguita la prestazione, che l’attrezzatura venga fornita dall’azienda la quale si accolla anche le spese, che il trattamento del telelavoratore sia equiparato, economicamente e socialmente, a quello degli altri lavoratori dipendenti. Sulla scorta di questi criteri i tribunali svedesi considerano telelavoratori dipendenti coloro che svolgono il loro lavoro interamente o in gran parte lontano dai locali del datore di lavoro. Se essi sono pur sempre sottoposti a degli obblighi nei confronti dei datori di lavoro, come i lavoratori dipendenti ordinari, l’espressione pratica di questi obblighi è un po’ differente. Ciò nonostante il fatto di lavorare presso il proprio domicilio è un elemento necessario ma da solo non sufficiente ad individuare i telelavoratori dipendenti, potendo ben lavorare a domicilio anche un lavoratore autonomo.160 Nel novembre 1997 è poi stata sottoscritta dalle parti sociali una raccomandazione congiunta riguardante i settori dell’industria, del commercio e dei servizi. Questa raccomandazione funge da 159 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997. Cfr. BLANPAIN, The legal and contractual situation of teleworkers in the European Union, cit. da DI MARTINO,cit. 160 159 guida per gli accordi sul telelavoro a livello aziendale o a livello di rapporto individuale tra datore di lavoro e lavoratore, ed è potenzialmente applicabile a ottantamila lavoratori dipendenti. In essa, tra l’altro, si prevede che: il telelavoro deve introdursi su base volontaria e la scelta deve essere reversibile; deve essere garantita la presenza dei telelavoratori alle riunioni aziendali; i telelavoratori devono avere gli stessi diritti degli altri lavoratori per quanto riguarda l’informazione, la consultazione e la carriera professionale; le attrezzature devono rispettare le disposizioni in materia di salute e sicurezza; il datore di lavoro è responsabile della sicurezza sul posto di lavoro, perciò deve necessariamente avere accesso all’area di lavoro casalinga.161 Mentre in Scandinavia le nuove tecnologie sono viste come strumento principe di progresso sociale, in Austria il loro utilizzo in ambito lavorativo è invece stato visto per lungo tempo con diffidenza da parte della maggioranza degli imprenditori. Questo atteggiamento è stato in gran parte condiviso anche dalla pubblica amministrazione. Studi recenti indicano infatti che solo il 6% delle imprese austriache ha già sperimentato, almeno una volta, il telelavoro, e che meno di un quinto degli imprenditori si è dichiarato interessato ad adottarlo. Solo due impiegati su cento hanno già avuto un’esperienza pratica di telelavoro, e la maggior parte di questi sono giovani con un livello di istruzione elevato. Per contro il 66% della popolazione austriaca ha un’opinione favorevole del telelavoro, contro il 24% che si è dichiarato apertamente scettico. Per quel che riguarda le diverse tipologie è prevalente il telelavoro domiciliare, ma ci sono anche dei progetti pilota per lo sviluppo di telecentri e di telecottages. Questi ultimi sono stati promossi mediante la costituzione di società a partecipazione mista, pubblica e privata.162 Non sono tuttavia mancati gli esempi di implementazione del telelavoro. Tra il 1994 ed il 1996 IBM Austria sperimentò una forma di telelavoro alternato, parte a casa e parte in ufficio, che riguardò ventisei telelavoratori. Anche Hewlett-Packard iniziò una simile sperimentazione nel 1995 con quindici telelavoratori, mentre un analogo progetto della Siemens coinvolse circa sessanta 161 162 Cfr. http://www.eiro.eurofound.eu.int/1998/11/word/se9809107s.doc Cfr. Commissione Europea: Status Report on European Telework “Telework 1997” 160 persone. Nel 1997 l’Ufficio austriaco dei pesi e delle misure iniziò la trasformazione di parte dei suoi sessantasette uffici regionali in telecentri pubblici. Anche in seguito a questi primi progetti, nel 1996 venne tradotto ed adattato al contesto austriaco il Teleworking Handbook, redatto dall’organizzazione britannico-irlandese T.C.A. Inoltre uno dei principali sindacati, il G.P.A., ha predisposto un modello di accordo sul telelavoro sulla base di un precedente accordo strutturale dell’industria e di un altro riguardante le imprese operanti nel settore dell’elettricità. Questo modello di accordo riguarda potenzialmente centosessantamila lavoratori ed è indirizzato principalmente ai lavoratori dipendenti che abbinano il telelavoro al lavoro in azienda. Esso stabilisce che il telelavoro debba conseguire ad una scelta volontaria, e che debba essere garantito il coinvolgimento del telelavoratore nell'azienda. La distribuzione del tempo di lavoro tra casa e azienda dovrà essere specificato, tuttavia i telelavoratori sono liberi di distribuire il loro orario di lavoro nell’arco della giornata a condizione che gli interessi aziendali vengano rispettati. L'impresa si accollerà le spese di acquisto delle attrezzature necessarie, della trasmissione dei dati e del telefono, più ogni spesa aggiuntiva. La postazione di lavoro casalinga dovrà poi rispettare sempre le norme poste a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore. Il G.P.A. ha anche pubblicato delle raccomandazioni sul come redigere contratti di lavoro individuali per il telelavoro, ed ha negoziato con successo il primo accordo collettivo per l’introduzione del telelavoro nell’industria del petrolio. La stessa dottrina giuslavoristica austriaca si occupa già da molto tempo delle nuove forme di lavoro e degli aspetti dell'occupazione atipica, ossia di quelle forme di occupazione che non corrispondono ad un rapporto di lavoro normale inteso quale forma di occupazione full-time, a tempo indeterminato e con orario di lavoro regolare. Tra queste viene compreso anche il telelavoro. Il diritto positivo austriaco tuttavia non definisce il concetto di telelavoro e non contiene alcuna regola specifica. Il telelavoro è in linea di massima possibile in tutte le forme occupazionali 161 conosciute, per cui rappresenta solo una forma della prestazione lavorativa che può essere resa nell'ambito di un rapporto di lavoro, di un rapporto di libere prestazioni o di un'attività lavorativa autonoma. E’ interessante ricordare come in Austria il lavoro a domicilio è disciplinato da una legge specifica, la Heimarbeitsgesetz (Legge sul Lavoro a Domicilio) del 1960. Secondo questa legge è lavoratore a domicilio colui che è impegnato in casa propria, o in un altro luogo da lui scelto, nella produzione, lavorazione o imballaggio di merci su commissione o per conto terzi. Nell'ambito di applicazione di tale legge ricadono pertanto solo le attività manuali, restando quindi escluse le attività qualificate come il telelavoro o altre attività di stampo impiegatizio (ad es. contabilità, traduzioni). 163 163 L’approfondimento della situazione austriaca è tratto da WEISSBACH, Euro-telework – Report on telework regulation and social dialogue, Relazione patrocinata dalla Direzione Generale sull’impiego e gli affari sociali della Commissione Europea, 2000, in http://www.euro-telework.org 162 3.9. GLI STATI UNITI E IL CANADA Già nel 1989 la società AT&T, colosso mondiale delle telecomunicazioni, aveva avviato degli importanti progetti pilota in California e in Arizona, coinvolgendo ben ventiduemila dipendenti. L’obiettivo principale era di ridurre le rigidità aziendali, sia strutturali che organizzative, per migliorare il rapporto tra produzione e tempo impiegato per realizzarla. I risultati ottenuti consentirono di valutare positivamente l’esperienza, in termini di accresciuta produttività, nonché di soddisfazione e motivazione al lavoro da parte dei dipendenti. La successiva riorganizzazione della multinazionale è culminata nel 1994 nella giornata dimostrativa del Telecommuting day, nella quale quarantacinquemila persone si sono collegate in rete. L’anno successivo il 38% dei professionisti che lavoravano per AT&T negli Stati Uniti utilizzava forme di telelavoro.164 Questo esempio ci fa comprendere come mai da molti anni l'ascesa del telelavoro negli Stati Uniti rappresenti un trend irreversibile. Ma perché il telelavoro negli Stati Uniti ha fin da subito riscosso un così vasto favore? Innanzitutto se ne sono avvertiti i possibili riflessi sui consumi energetici e sulla viabilità delle grandi metropoli. A New York i pendolari nei loro spostamenti verso i luoghi di lavoro consumano in una settimana più energia di quella che tutta l'Africa può consumare in un anno. In secondo luogo il telelavoro è stato identificato come possibile strumento di flessibilità organizzativa ed individuale. Altri potenziali benefici derivanti dal ricorso al telelavoro furono identificati nel risparmio di tempo e quindi in un suo uso diverso, e in molti casi migliore, nell'aumento della produttività con valori che vanno dal 10% al 45%, nella riduzione dei costi immobiliari per le aziende e di quelli di trasferimento per i lavoratori. 164 Cfr. SCARPITTI, Anche in Italia qualcuno ci prova, Telèma, n.2, autunno 1995. 163 Alla grande disponibilità di infrastrutture ed all’elevato livello tecnologico va attribuito il successo degli esperimenti statunitensi di telelavoro, cui hanno contribuito in egual misura i soggetti pubblici e privati. A livello di singoli Stati sono state numerose le esperienze. La California ha condotto delle sperimentazioni di successo, focalizzando l’attenzione sulla diminuzione del pendolarismo, ovvero del numero di viaggi dei dipendenti tra la loro abitazione e l’ufficio. Un progetto iniziale coinvolse oltre duecentocinquanta impiegati statali, scelti all’interno dei diversi dipartimenti e dietro esplicita richiesta degli stessi. Si ottenne una riduzione degli spostamenti pari al 10%, anche perché l’esperimento prevedeva che soltanto un giorno e mezzo a settimana venisse dedicato al telelavoro da casa, mentre nei rimanenti giorni il lavoratore si recava normalmente in ufficio. Lo Stato della California finanziò l’iniziativa erogando un contributo di duecentomila dollari più altri trecentomila per le spese retributive del personale.165 Il telelavoro fu reso disponibile anche per i dipendenti federali degli Stati Uniti fin dal 1990, con la possibilità di lavorare da casa o in uffici satellite. Successivamente, nel 1996, il Management Council della Presidenza degli Stati Uniti approvò un piano nazionale per il telelavoro che, in cinque fasi successive, prevedeva un incremento del numero di telelavoratori tra i dipendenti degli uffici federali.166 Nel 1992, con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento atmosferico grazie ad un minor pendolarismo, il Congresso finanziò con ben cinque milioni di dollari, poi aumentati a sei l’anno successivo, la United States General Service Administration (G.S.A.) per la creazione di una serie di centri di telelavoro destinati ai dipendenti federali del Maryland e della Virginia. Nel 1994 risultavano già funzionanti quattro centri satellite, utilizzati da personale appartenente a diversi Dipartimenti e Agenzie Federali.167 165 FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. Cfr. President’s Management Council Interagency Telecommuting Working Group, National Telecommuting Initiative Action Plan, Washington D.C., January 1996, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 167 FELICI, ibidem. 166 164 Un sempre crescente numero di industrie statunitensi ha percepito i possibili benefici del telelavoro, offrendo questa opzione lavorativa ai propri dipendenti. Già nel 1996 infatti due società su tre promuovevano degli accordi di telelavoro con i propri dipendenti.168 Dati ufficiali riferiscono che nel 1991 c’erano già dieci milioni di statunitensi che in qualche modo lavoravano a distanza per almeno un giorno a settimana, e nel 1994 il loro numero era già raddoppiato. Nel 1997 erano saliti a circa quarantun milioni, di cui otto erano telelavoratori dipendenti.169 I dati sul telelavoro a domicilio negli Stati Uniti sono facilmente reperibili, purtroppo non può dirsi altrettanto per le informazioni riguardanti gli altri tipi di telelavoro. Secondo le statistiche federali sulla forza lavoro ventitré milioni di persone erano impegnate nel telelavoro domestico nel maggio del 1997, sia come attività principale (ventuno milioni) sia secondaria (tre milioni). L’apparente incongruità dei dati statistici è dovuta al fatto che circa un milione di persone lavoravano a casa sia come primo che come secondo lavoro. Di questi ventitré milioni, circa il 60% usava un computer, il 35% usava un modem ed il 28% un fax.170 Sebbene l’ufficio di statistica del lavoro statunitense non abbia raccolto questi dati al fine specifico di quantificare il fenomeno del telelavoro, sembra ragionevole stimare che, già nel 1997, una percentuale tra il 6% ed il 10% della forza lavoro totale stesse telelavorando da casa, e questo era il suo lavoro principale. Una successiva ricerca condotta dalla società Cyber Dialogue ha fornito altri dati interessanti. La stima del numero di telelavoratori era di quindici milioni a metà del 1998, con una previsione di diciotto milioni per l’anno 2000. In questa ricerca il telelavoro veniva definito in modo ampio, comprendendo ogni attività lavorativa svolta da casa per un datore di lavoro esterno, con un normale orario di lavoro e per un minimo di un giorno al mese. La ricerca distingueva tre principali categorie di telelavoratori: quattro milioni erano i dipendenti a tempo pieno, quattro milioni i 168 Cfr. 1996 Forum for Information Management, Managing today’s automate workplace, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 169 Cfr. GAUTHIER e DORIN, Le guide pratique du télétravail, Les éditions d’organisation Paris, 1996, pp. 103. 170 Cfr. Bureau of Labor Statistics (B.L.S.), Labor Force Statistics from the current population survey, Work at home in 1997, http://stats.bls.gov/news.release/homey.nws.htm 165 lavoratori a contratto, e quattro milioni e trecentomila erano i lavoratori a tempo parziale. I telelavoratori a tempo pieno erano in prevalenza maschi (57%) con un reddito medio di 49.500 dollari all’anno. I lavoratori a contratto condividevano queste caratteristiche: 58% maschi con un reddito medio di 46.700 dollari. Invece i quasi tre quarti dei telelavoratori a tempo parziale erano di sesso femminile, e guadagnavano molto meno (34.500 dollari annui in media). In quest’ultimo gruppo fu anche riscontrato un basso livello tecnologico per quanto riguardava le attrezzature utilizzate.171 Altri studi condotti negli Stati Uniti hanno prodotto dati più consistenti sul numero dei telelavoratori. Per esempio un’inchiesta telefonica condotta nel settembre 1999 dall’International Telework Association and Council (I.T.A.C.) ha riportato un dato eclatante di quasi venti milioni di telelavoratori.172 Per avere ulteriori e più precise informazioni è poi possibile utilizzare i dati ufficiali raccolti nel censimento del 1998 e successivamente analizzati dall’O.I.L. Il censimento distingueva tra “lavoratori a domicilio” e “telelavoratori”. I primi venivano definiti come soggetti che lavorano tutto il tempo a casa (a prescindere dalle ore lavorate), i secondi come lavoratori a domicilio che per lavorare utilizzano un computer, che usano il telefono o la posta elettronica e Internet per comunicare con il datore di lavoro, su cui gravano le spese relative. Queste definizioni più rigorose hanno inevitabilmente prodotto dei dati complessivi molto più contenuti sia per i lavoratori a domicilio, sia per i telelavoratori. Questi ultimi sarebbero meno di mezzo milione, cioè solo lo 0,4% della forza lavoro totale. I lavoratori a distanza si sono poi rivelati, in modo statisticamente significativo, più anziani e maggiormente qualificati rispetto ai lavoratori tradizionali.173 Non va tuttavia dimenticato che negli Stati Uniti c’è un gran numero di lavoratori impiegati nell’industria dei call centers. Secondo Datamonitor, un’azienda che conduce analisi di mercato, nel 171 Cfr. Cyber Dialogue, Telecommuting boosted in 1998 by Internet and Economy, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 172 Cfr. I.T.A.C., Telework America Online Curriculum, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 173 Dati citati da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 166 1999 c’erano quattro milioni e mezzo di lavoratori (più del 3% dell’intera forza lavoro) che operavano all’interno di 72.300 call centres. Un’inchiesta recente definita Anytime, anyplace, anywhere: the changing face of work, condotta nell’aprile 2002, ha fornito ulteriori informazioni di notevole interesse. Il 54% dei mille intervistati pensava che il telelavoro potesse migliorare la qualità della vita, ma la percentuale saliva al 66% tra i pendolari che ogni giorno impiegano un’ora o più per recarsi al lavoro. Harry Miller presidente della Technology Association of America ha affermato che “quasi il 20% degli americani trascorre più di un’ora al giorno per recarsi al lavoro, e ciascuno di essi ne farebbe volentieri a meno”.174 Un caso particolare è rappresentato dai telecentri delle isole Hawaii, le quali grazie alla loro posizione geografica si trovano al centro delle reti di comunicazione satellitare, nonché in posizione strategica rispetto ad alcune tra le nazioni tecnologicamente più avanzate, sia dal versante americano che da quello asiatico. Le Hawaii sono state sovente indicate come naturale fulcro di sviluppo del telelavoro nella regione pan-pacifica. Soprattutto il telelavoro offshore dovrebbe essere avvantaggiato, per il fatto che è possibile spedire grandi quantità di dati ai clienti durante il loro orario di lavoro ma pagando la tariffa telefonica ridotta notturna, e anche perché qui si trova una forza lavoro multiculturale e adeguatamente preparata. L’avvento di Internet ed il suo utilizzo per le applicazioni commerciali ha convinto sempre più aziende a spostare nelle Hawai alcune delle loro attività telelavorabili. Negli ultimi anni la presenza delle società hi-tech nelle Hawaii è raddoppiata, facendo di Internet il principale motore del telelavoro.175 Vista la dimensione del fenomeno occorre ora esaminare i suoi riflessi sul diritto, soprattutto di quello del lavoro, in rapporto allo status giuridico dei telelavoratori. 174 Cfr. BUCKLEY, Americans pick e-work over more money, 22/07/2002 in: http://www.enn.ie Dati forniti da FUKUNAGA della High Technology Development Corporation, Hawaii, 1999, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 175 167 Nelle prime esperienze di implementazione del telelavoro, si verificarono delle situazioni in cui i lavoratori dipendenti, iniziando a telelavorare, scoprirono di avere perso i diritti e le tutele di cui godevano in precedenza. Andrew Bibby, uno dei massimi studiosi del telelavoro, ha riportato un caso risalente ai primi anni ’80 in cui una compagnia di assicurazioni statunitense offrì a parte del suo personale la possibilità di lavorare da casa. Molti tra i dipendenti interessati erano di sesso femminile e la maggior parte aderì, almeno all’inizio, con entusiasmo. Gli accordi individuali che la compagnia stipulò con i suoi telelavoratori furono però dei contratti di lavoro autonomo, remunerati solo sulla base della quantità di lavoro svolto e non più compatibili con i normali diritti e benefici tipici dei lavoratori dipendenti. A poco a poco le conseguenze di questo cambio divennero del tutto evidenti. Alla fine del 1985, otto donne si licenziarono e citarono in giudizio il datore di lavoro, sostenendo che il nuovo accordo contrattuale raggiunto era soltanto uno stratagemma per consentire alla compagnia di non far fronte ai suoi obblighi ed alle sue responsabilità di lavoro nei confronti dei dipendenti. Il caso si concluse con una transazione per una somma rimasta sconosciuta.176 Questo ed altri casi analoghi hanno alimentato negli Stati Uniti una sorta di pregiudizio circa il fatto che le forme di lavoro più flessibili possano sfociare in uno sviluppo incontrollato di forme spurie di lavoro autonomo. In effetti l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (O.E.C.D.) ha osservato negli ultimi anni una crescita del lavoro autonomo nei trenta Paesi che vi aderiscono, tra i quali figurano dal 1961 gli Stati Uniti, il Canada e, dal 1962, l’Italia. In generale è stato rilevato che nel periodo 1990-1998 la crescita annuale media del lavoro autonomo è stata superiore alla crescita annuale media del lavoro nel suo insieme. In alcune nazioni come il Canada l’aumento del lavoro autonomo è stato particolarmente marcato, con una media annuale del 4,7%, soprattutto se paragonato con la crescita media del mercato del lavoro nel suo insieme, che è stata dello 0,9%. 176 Cfr. BIBBY, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 168 Secondo l’O.E.C.D. la maggior parte di questo incremento va attribuito ad un effettivo sviluppo del lavoro autonomo, tuttavia è anche vero che i confini tra lavoro autonomo e lavoro dipendente stanno diventando sempre più sfumati, e che sta emergendo in maniera evidente una via di mezzo che può essere chiamata falso lavoro autonomo.177 Tutti questi sviluppi sono stati accompagnati negli Stati Uniti da un'evoluzione legislativa e più in generale da politiche di supporto. I Clean Air Act Amendments del 1990178, l’Intermodal Surface Transportation Efficiency Act del 1991179 ed il President’s Global Climate Change Action Plan del 1993180, prevedevano dei finanziamenti per le attività di telelavoro, al fine di ridurre il fenomeno del pendolarismo e le sue conseguenze sull’ambiente. Le scelte presidenziali ponevano inoltre l’accento sull’importanza dello sviluppo di un luogo di lavoro “amichevolmente familiare” capace di rendere desiderabile la scelta di telelavorare. In particolare il Clean Air Act imponeva alle principali città statunitensi la riduzione del 25% del traffico automobilistico nelle ore di punta entro l’anno 2000. C’è quindi sempre stato un grande impegno, ai più alti livelli politici, per favorire lo sviluppo del telelavoro, come indicato chiaramente anche nelle conclusioni di un rapporto del Congresso basato su di un ampio studio riguardante tutti i principali progetti di telelavoro condotti negli Stati Uniti: I progetti di telelavoro apportano numerosi benefici ai datori di lavoro, ai lavoratori dipendenti, al sistema di trasporti ed alla collettività in generale. Affinché questi benefici possano realizzarsi compiutamente, il telelavoro avrà bisogno di diffondersi ulteriormente.181 Anche questo rapporto non ha perso l’occasione di sottolineare il ruolo che il telecommuting può giocare nella riduzione degli spostamenti dei lavoratori. In questo senso lo Stato della 177 Cfr. http://www.oecd.org/dataoecd/10/44/2079593.pdf dove le informazioni citate sono contenute nell’Employment Outlook 2000, O.E.C.D. Paris. 178 Cfr. il sito dell’Environmental Protection Agency, http://www.epa.gov/air/oaq_caa.html 179 Il testo completo è consultabile al sito della National Transportation Library, http://ntl.bts.gov/DOCS/ste.html 180 Cfr. U.S. Global Change Research Information Office http://www.gcrio.org/index.shtml 181 Traduzione dal testo originale: Telecommuting programmes offer numerous benefits to employers, employees, the transportation system, and the general public. For these benefits to be fully realized, telecommuting will need to become more widespread. A number of policies and activities can be undertaken to support and promote telecommuting, U.S. Department of Transportation, Successful telecommuting programmes in the public and private sectors, a report to the Congress, August 1997, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 169 California è stato molto attivo, già nel 1993 il rapporto finale del “Progetto Telelavoro” della città di Los Angeles elencava una serie di effetti positivi, tra i quali vi erano i seguenti: • L’uso dell’automobile da parte dei telelavoratori si era ridotto in modo proporzionale alla misura in cui telelavoravano, contribuendo a diminuire l’inquinamento atmosferico e la congestione del traffico. Se tutti i quindicimila potenziali telelavoratori cittadini avessero telelavorato da casa nella massima misura possibile, l’inquinamento atmosferico annuale avrebbe subito una riduzione pari a duemilasettecento tonnellate di monossido di carbonio, cinquecentoquaranta tonnellate di idrocarburi incombusti, 1centosettantadue tonnellate di derivati dell’azoto e quasi dodici tonnellate di particolati. • La riduzione del consumo di benzina da parte del singolo telelavoratore faceva risparmiare una media di circa quattromila kilowattora all’anno. Se tutti i potenziali telelavoratori avessero telelavorato in media un giorno e mezzo a settimana, il risparmio energetico annuale sarebbe stato quindi di circa sessanta milioni di kilowattora, ossia l’equivalente di circa sei milioni di litri di benzina.182 Nel 1994 il Dipartimento statunitense per l’energia intraprese un indagine chiamata “Energia, emissioni e conseguenze sociali del telelavoro”, in cui si ipotizzavano ventiquattro possibili scenari, per gli anni 2005 e 2010, a seconda del diverso andamento della diffusione del telelavoro. Secondo questa indagine un maggior ricorso al telelavoro avrebbe potuto rendere superflua la costruzione di corsie autostradali per un totale di 4.600-7.200 chilometri, e di altre arterie stradali per 7.000-10.700 chilometri. Inoltre ogni telelavoratore avrebbe risparmiato una media di circa cento ore all’anno, con un monte ore globale di ore annuali risparmiate per gli spostamenti stimato tra gli 826 ed i 1.652 milioni. Gli scenari più ottimistici prospettavano poi una riduzione sia degli incidenti stradali (centomila in meno all’anno) sia dei morti per incidenti stradali (oltre ottocento in meno) con evidenti effetti positivi a livello di costi sociali.183 182 Cfr. JALA International, City of Los Angeles Telecommuting Project, Final Report, March 1993, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 183 Cfr. SHAFIZADEH et al., The costs and benefits of telecommuting: an evaluation of macro-scale literature, University of California, February 1998, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 170 A conferma dell’interesse istituzionale verso il telelavoro sono state avanzate negli ultimi anni alcune proposte di legge.184 Di notevole importanza è il Teleworking Advancement Act, presentato al Senato nel dicembre 2001 con il fine dichiarato di promuovere la partecipazione dei lavoratori e dei datori di lavoro alla realizzazione degli accordi sul telelavoro. In esso è contenuta una definizione di telelavoro fondata su tre caratteristiche di base: lo svolgimento del lavoro da una postazione fissa fornita dal datore di lavoro; la collocazione di tale postazione presso la residenza del lavoratore o comunque in luoghi ad essa vicini, in modo tale da ridurre, sia come numero che come durata, gli spostamenti verso il luogo di lavoro; il collegamento elettronico tra la postazione di lavoro e la sede in cui il lavoro viene (o veniva) svolto in maniera tradizionale. Il Teleworking Advancement Act prevede la possibilità, per i datori di lavoro, di ottenere dei vantaggi dal punto di vista fiscale. Sono previsti, ad esempio, un credito d’imposta di cinquecento dollari all’anno per ogni nuovo telelavoratore, ed un credito d’imposta pari al 10% delle spese sostenute per l’allestimento delle postazioni di telelavoro. Del tutto simili sono le previsioni contenute in un altro progetto di legge presentato sempre nel 2001, il Broadband Deployment and Telework Incentive Act. Anche il Telework Tax Incentive Act, presentato al Senato il 13 marzo 2001, prevede degli incentivi per lo sviluppo del telelavoro, ma le considerazioni poste in premessa sono estremamente interessanti, in quanto in esse il Congresso prende atto di una serie di dati che vale la pena di esaminare. Viene innanzitutto precisato che il sistema dei trasporti pubblici costa alle comunità statunitensi miliardi di dollari all’anno e che, se si tiene conto delle ore di lavoro sprecate con gli spostamenti dei pendolari, dei relativi consumi di carburante e dei costi di mantenimento delle infrastrutture, ogni anno vengono spesi settantaquattro miliardi di dollari. E’ stato inoltre calcolato che lavorando a domicilio i consumi energetici sarebbero pari ad un terzo rispetto a quelli che si 184 Per una panoramica aggiornata sull’iter dei vari progetti di legge citati cfr. il sito del Congresso degli Stati Uniti d’America http://thomas.loc.gov 171 hanno recandosi al lavoro nelle sedi tradizionali, e l’inquinamento atmosferico si ridurrebbe in modo proporzionale. Un altro dato che le premesse del Telework Tax Incentive Act evidenziano è l’aumento della produttività riscontrato nelle imprese che hanno avviato programmi di telelavoro, aumento che oscilla tra il 5 ed il 20%. Ulteriori incentivi sono previsti, questa volta per lo sviluppo del lavoro a distanza nelle aree rurali, dal Rural America Technology Enhancement Act, e dall'Agriculture, Conservation, and Rural Enhancement Act, entrambi del 2001. Come gli Stati Uniti anche il Canada è una nazione geograficamente molto estesa con vaste regioni sottopopolate, adatte alla creazione ed allo sviluppo di diverse forme di lavoro a distanza, come in effetti si è verificato nell’ultimo decennio. Un’inchiesta canadese del 1998 evidenziò un alto livello di interesse per il telelavoro: il 41% dei lavoratori intervistati lo trovava estremamente interessante mentre il 14% lo trovava interessante.185 Lo sviluppo del telelavoro in Canada è stato favorito da un lato da fattori contingenti, come l’evoluzione delle tecnologie della comunicazione, la crescita dell’industria dei servizi, la diminuzione del costo dei personal computer e di altre attrezzature da ufficio, dall’altro dall’adozione, da parte del governo federale, di politiche incentivanti il lavoro a domicilio. Sono pertanto numerose le società, come ad esempio IBM e Bell Canada, che hanno portato avanti dei piani sperimentali di telelavoro domiciliare. Secondo un’inchiesta sui contratti di lavoro, nel novembre del 1995 più di un milione di Canadesi trascorreva, in maniera regolare, almeno una parte delle ore di lavoro a casa. Tra di essi più del 40% erano lavoratori autonomi. Circa un quinto del totale svolgeva almeno la metà del proprio orario di lavoro a casa, mentre un settimo lavorava esclusivamente al proprio domicilio. Il 185 Cfr. DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 172 38% dei lavoratori a domicilio veniva fornito di parte delle attrezzature, oppure riceveva dei rimborsi, da parte del datore di lavoro.186 Il particolare sviluppo del telelavoro nelle regioni più remote del Canada è emerso anche da alcuni elementi ricavabili dall’inchiesta del 1995. Per esempio nello Stato dell’Alberta il 12% dei dipendenti lavorava a casa, mentre nello Stato del Quebec, in cui si trova Montreal che è la più grande città del Canada, solo il 7% dei lavoratori lo faceva. Le zone più lontane dai grandi centri urbani del Canada hanno tratto beneficio soprattutto dalla crescita esponenziale dei call centers. I governi locali hanno investito molto in questa forma di telelavoro, soprattutto per attirare i call centres delle aziende d’oltre frontiera, al fine di lavorare sia per il mercato interno canadese sia per quello statunitense. Le autorità regionali e le comunità locali, in particolare quelle delle province atlantiche che in un recente passato hanno subito un forte declino economico ed un brusco innalzamento dei tassi di disoccupazione, si sono attivamente impegnate in questo senso entrando in competizione tra loro. La provincia del New Brunswick è stata addirittura soprannominata “La capitale nordamericana dei call centres” proprio per il suo particolare impegno in questa direzione. Con l’intento di riconvertire l’economia della provincia si sono create le condizioni per favorire la localizzazione dei call centers, investendo in infrastrutture per le telecomunicazioni avanzate ed offrendo prestiti senza interessi, la cui entità oscillava tra i cinquemila ed i diecimila dollari canadesi per posto di lavoro, per la creazione di attività sostenibili in aree ad alta disoccupazione. Oggi il New Brunswick ospita i call centers di un gran numero di importanti società nordamericane, tra le quali UPS, IBM, Xerox e Royal Bank. In questo modo, anche grazie agli incentivi pubblici, sono stati creati più di novemila posti di lavoro, vale a dire circa il 2% del totale della forza lavoro della provincia.187 186 Cfr. PERUSSE, Working at home, Perspectives on labour and income, vol. 10 n. 2, pp. 16-23, 1998, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 187 Cfr. BALKA, New Brunswick: The call centre capital of North America, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 173 Questi call centers svolgono in genere attività di servizio alla clientela a chiamata gratuita. E’ questo un settore in rapida espansione ma, in un mercato del lavoro come quello statunitense che è carente di manodopera, è difficile trovare un numero sufficiente di lavoratori da destinare a questo tipo di attività. Per questo motivo società come Xerox e Cendant, che operano rispettivamente nei settori dell’industria alberghiera e del noleggio auto, si sono rivolte al mercato del lavoro canadese, in cui il tasso di disoccupazione in alcune province arrivava al 10%. A livello istituzionale un primo programma pilota di telelavoro canadese fu approntato dall’Human Resource Development Council nel 1992. Esso elaborò una serie di principi da applicarsi in tutti i casi in cui il telelavoro fosse stato attuabile nei servizi pubblici. Tra questi principi possono essere ricordati i seguenti: il servizio pubblico non deve subire conseguenze negative; non devono esserci perdite di produttività; gli impiegati devono svolgere una mole di lavoro pari, in quantità e qualità, a quella che svolgevano quando erano in ufficio; non devono originarsi nuovi costi aggiuntivi; il telelavoro deve essere approvato dalla direzione e comunque non rappresenta un diritto del lavoratore; ogni richiesta deve essere esaminata caso per caso; il telelavoro deve essere scelto volontariamente e la sua interruzione può intervenire in qualsiasi momento, con un preavviso ragionevole, su iniziativa di ciascuna delle parti; il telelavoro non modifica i termini e le condizioni del rapporto di lavoro, né le norme dei contratti collettivi dei lavoratori dipendenti; cambia solo il luogo della prestazione, mentre gli altri elementi del contratto di lavoro restano gli stessi, compresa la necessità di rispettare la legislazione esistente, le direttive ed i contratti collettivi; una descrizione del contenuto del contratto di telelavoro, firmata dal responsabile del servizio, deve essere consegnata ad ogni telelavoratore.188 Vale infine la pena di ricordare un nuovo fenomeno, che negli ultimi anni ha suscitato non poche preoccupazioni in Nord America, e che è diretta conseguenza dell'evoluzione del telelavoro. Si tratta di un fenomeno di vera e propria migrazione del lavoro, il cosiddetto outsourcing, ossia la delocalizzazione del telelavoro verso Paesi in cui le retribuzioni e le tutele dei lavoratori sono ad un 188 Cfr. Human Resource Development Council, Telework pilot programme in the public sector, Ottawa, 1992, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 174 livello decisamente più basso. L’Università della California ha calcolato che in questo modo ben quattordici milioni di posti di lavoro, nei soli Stati Uniti, sono potenzialmente a rischio, ed anche se molti di questi non finiranno per emigrare, si avrà come risultato una forte tendenza verso una riduzione generalizzata dei salari.189 I settori maggiormente a rischio sono quelli di gestione dei database, di assistenza alla clientela ed in genere le attività cosiddette di back office, che hanno già subito delle pesanti perdite. Uno studio recente stima che entro il 2015 gli Stati Uniti perderanno in questo modo oltre 3 milioni di posti di lavoro. Il crescente ricorso all’outsourcing è stato tale che nel solo mese di giugno 2003 quasi trentamila posti di lavoro sono migrati dagli Stati Uniti verso l’India.190 189 Cfr. BARDHAN e KROLL, The new wave of outsourcing, Research Report, Fisher Center for Real Estate and Urban Economics, University of California, Berkeley, 2003. 190 Cfr. MACLAY, U.S. loses thousands of jobs monthly, in: http://www.berkeley.edu/news/berkeleyan/2003/11/12_.shtml 175 3.10. LA SITUAZIONE AFRICANA Nell’impossibilità concreta di valutare Stato per Stato l’evoluzione delle forme di telelavoro e gli interventi delle autorità pubbliche per regolamentarlo, o anche solo per promuoverlo, si osserveranno poche ma significative realtà africane. Le nazioni prese in considerazione sono l’Egitto in rappresentanza della parte arabo-mediterranea del continente, il Senegal e l’Uganda per l’Africa sub-sahariana, il Sud Africa per la sua importanza strategica e le isole Mauritius per le loro peculiarità in questo campo. Il governo egiziano ha da tempo intrapreso delle iniziative per promuovere il commercio elettronico. Nel 1996 ha anche istituito un comitato per la società dell’Internet e dell’e-commerce, tra i cui fini vi è la formulazione di proposte legislative. Il comitato è stato promotore di un piano nazionale per le telecomunicazioni e le tecnologie dell’informazione. Lo sviluppo del commercio elettronico viene inoltre considerato come un momento propedeutico per un successivo impegno nel settore del telelavoro, il quale potrà così contare su delle infrastrutture moderne.191 Nel governatorato di Sharkeya, uno dei ventisei governatorati egiziani, situato a circa due ore d’auto da Il Cairo, nel marzo 1999 furono aperti tre telecentri che vennero chiamati Technology Access Community Centres (T.A.C.C.). La cerimonia di apertura avvenne alla presenza del Ministro del Commercio egiziano. Sharkeya comprende quindici città e ottantadue villaggi, con una popolazione complessiva di oltre quattro milioni di persone. I telecentri furono collocati nella capitale del governatorato, presso edifici pubblici o in siti appositamente forniti dalla locale Camera di Commercio. Questo fu il primo di una serie di progetti digitali pilota promossi dalle Nazioni Unite in Egitto ed in altri Paesi arabi, africani, asiatici e latino americani. 191 Cfr. GHONEIM et al., The role of the Government http://www.irfd.org/events/wf2003/vc/papers/papers_africa/R62.pdf 176 in eCommerce in Egypt, in: I T.A.C.C., tramite l’uso di strutture pubbliche, forniscono l’accesso alle tecnologie informatiche da parte delle comunità rurali e remote, e per il loro utilizzo è anche previsto un programma di formazione. Il fine ultimo di questo progetto è di avvicinare i membri delle piccole comunità all’uso delle nuove tecnologie, per rendere possibili una serie di attività da cui tragga origine uno sviluppo economico ed umano sostenibile. Tali attività possono essere rappresentate dall’educazione a distanza, dalla telemedicina, dal commercio elettronico, dall’assistenza alle piccole imprese, dai nuovi processi di partecipazione popolare, dalla gestione ambientale e da nuove opportunità di lavoro per le donne ed i giovani.192 Ulteriori progetti, finanziati da capitali misti pubblici e privati, hanno coinvolto altre nazioni del nord Africa. In Marocco è già attiva un’industria transnazionale dei call centers. France Telecom, l’ente ferroviario francese SNCF e Atento, una società commerciale spagnola, sono solo tre delle multinazionali che di recente hanno scelto di stabilire i loro call centers in Marocco. Il motivo è semplice, i call centres assumono principalmente donne laureate poiché il costo del lavoro è meno della metà rispetto alla Francia.193 Nell’Africa sub-sahariana le attività di telelavoro sono già piuttosto diffuse in alcune nazioni. In Senegal ci sono già oltre novemila piccoli telecentri, per lo più operanti in franchising, i quali offrono servizi di telefonia, trasmissione fax e, talvolta, di posta elettronica e accesso a Internet. In questo modo a Dakar il 90% delle persone che non possiede un telefono può ricevere telefonate. Il meccanismo è semplice: il personale dei telecentri comunica a domicilio il ricevimento di un messaggio ed informa il destinatario nel caso in cui debba richiamare. Ciò permette alle persone che svolgono piccole attività commerciali di avere, senza i costi di attivazione e gestione, un numero telefonico ed un indirizzo di posta elettronica. Questi telecentri hanno già creato ben ventimila nuovi posti di lavoro in Senegal.194 192 Cfr. http://www.undp.org/info21/pilot/tacc.html, 3 March 1999, Press release, U.N.D.P. to inaugurate electronic community centres in Egypt. 193 Cfr. BELGHAZI, Chômage des Diplômes et Délocalisation de Centres d’Appel Téléphonique au Maroc, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 194 Cfr. FLEURY, The promise of telecentres in Africa, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 177 Alcuni imprenditori senegalesi si sono poi lanciati in attività di telelavoro offshore (attualmente fornite da nazioni come l’Irlanda, l'India, le Isole Mauritius ed il Madagascar), occupandosi del trattamento dei dati, dello sviluppo dei software, della traduzione di documenti per conto di società francesi come Alphacad e Téléservices SA. Altre imprese senegalesi (Chaka Computer e Africatel) specializzate in servizi a voce hanno creato dei telecentri, al momento limitati al mercato nazionale o locale.195 Anche se queste iniziative sono sporadiche è prevedibile un loro forte sviluppo negli anni a venire, per una serie di evidenti motivi quali un costo del lavoro e degli oneri sociali molto bassi, una popolazione francofona, un buon livello di formazione nel campo dell’informatica e delle nuove tecnologie e,non ultimo, delle moderne infrastrutture nel settore delle telecomunicazioni.196 Malgrado tutto ciò, il mercato del telelavoro in Senegal è ancora allo stadio embrionale, a causa di alcune situazioni che frenano gli operatori del settore. Innanzitutto c’è un deficit nella legislazione rispetto ai Paesi concorrenti. Le società senegalesi di telelavoro sono sottoposte alle norme del diritto del lavoro e del diritto tributario applicabili alle società tradizionali, mentre altre nazioni come il Madagascar o le Isole Mauritius hanno adattato il loro quadro istituzionale e legislativo alle problematiche del telelavoro a domicilio. Inoltre la rete di distribuzione elettrica non è stata ancora adeguata, per cui vi sono tuttora grandi problemi nella continuità dell’erogazione del servizio. Gli operatori del settore confidano quindi nella nuova Agenzia di Regolamentazione delle Telecomunicazioni (A.R.T.), la quale potrebbe far evolvere rapidamente la situazione, allo stesso modo in cui confidano nella futura inclusione del settore dei teleservizi nel campo di applicazione del codice degli investimenti senegalesi. Al proposito è attualmente allo studio un decreto che potrebbe consentire l’approvazione dei progetti riguardanti il telelavoro.197 195 Cfr. le pagine dedicate al Senegal sul sito dell’I.Z.F. (investir en zone franc): http://www.izf.net/izf/ee/index.htm ibidem 197 ibidem 196 178 Anche in Uganda il Governo ha preso atto della grande importanza dell'Information Communication Technology (I.C.T.) sullo sviluppo socio-economico delle sue comunità rurali, ed ha in corso dei progetti di sviluppo per consentire a queste comunità di accedere a tali tecnologie e di utilizzarle. Lo scopo dei progetti è dimostrare che se si offre la possibilità di comunicare e di ottenere informazioni, le comunità rurali possono promuovere i loro processi di sviluppo, con un conseguente miglioramento della qualità della vita della popolazione. Il primo progetto di telecentro in Uganda risale al 1997. L’inaugurazione avvenne nel marzo 1999 a Nakaseke, nel Luwero District, un insieme di villaggi situati circa cinquanta chilometri a nord della capitale Kampala. Un secondo telecentro fu aperto ufficialmente a Nabweru. Altri progetti nel campo della telemedicina e della telescuola completano le iniziative governative.198 Anche in Mali sono operativi dei telecentri, come parte di un progetto multinazionale per sviluppare e valutare l’impatto dei telecentri sullo sviluppo agricolo in Benin, Mali, Mozambico, Uganda e Tanzania. A partire dal novembre 1999 è diventato anche operativo il primo telechiosco mobile, ossia un’unità mobile che fornisce servizi di telecomunicazione di base alle popolazioni delle aree rurali e remote. I servizi forniti comprendono telefonia, fax, voice mail e Internet, fotocopie, stampa, accesso ai servizi pubblici e sanitari on-line, con in più la possibilità di offrire strumenti per teleconferenze. Un telechiosco mobile offre una grande flessibilità operativa e costituisce il mezzo per verificare le reali possibilità ed i bisogni delle varie comunità locali, prima di impegnarsi in progetti più importanti. Esso può inoltre fornire una risposta mirata per un uso equo dei mezzi di telecomunicazione quando le dimensioni del villaggio o la domanda dell’area rurale non richiedano una struttura permanente.199 198 per maggiori informazioni, anche bibliografiche, cfr. DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001, pag. 59. 199 Cfr. Nouvelles de l’UIT, 8/99, p. 46, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 179 La situazione è ben diversa in Sud Africa, dove il settore delle telecomunicazioni è il più esteso del continente quanto a numero di linee fisse, di contratti di telefonia mobile, di utilizzatori di data service, di ricavi ed investimenti economici, di possibilità tecnologiche e attrezzature locali. La densità delle linee telefoniche è di 11,2 ogni 100 abitanti, un livello eccezionalmente alto rispetto alla media del continente che è inferiore al 2%. La liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni ha avuto inizio solo negli ultimi anni ma viene perseguita attivamente. Per contro esiste un'enorme diseguaglianza per ciò che riguarda l’accesso ai mezzi di comunicazione, a danno soprattutto delle comunità locali isolate. Collegare queste comunità è diventato un obiettivo prioritario. Lo sviluppo delle Digital Enhanced Cordless Telecommunications (D.E.C.T.) ha rappresentato nel 2001 il principale progetto di espansione per l’operatore telefonico nazionale Telkom. Questa tecnologia basata su onde radio serve a connettere localmente telefoni, fax e modem tramite un collegamento radio digitale al posto del tradizionale cavo in rame. Il risultato pratico è un’integrazione, senza giunzioni materiali, con il resto della rete Telkom, tale da rendere disponibili le tecnologie avanzate ed i relativi servizi anche per le comunità non raggiunte dalla rete telefonica tradizionale. A causa della grande disparità nell’accesso alle telecomunicazioni il governo sudafricano ha istituito la Universal Service Agency. L’agenzia si fa carico di promuovere l’accesso alle telecomunicazioni e di facilitare e coordinare gli sforzi per ottenere un servizio completo anche nelle zone remote. L’obiettivo è di attivare quasi tre milioni di nuove linee telefoniche e di raggiungere ventiduemila comunità con meno di settemilacinquecento abitanti.200 In questo quadro, lo sviluppo del telelavoro si incentra sul lavoro mobile, sui telecentri e su iniziative di e-learning, ed il ruolo della forza lavoro femminile diventa di importanza cruciale, soprattutto per lo sviluppo dei telecentri. Nel 1998 fu lanciato il progetto WomensNet a Durban e Johannesburg per offrire, da parte di donne e per altre donne, corsi di Internet e programmi di 200 Al riguardo sono numerose le fonti citate da DI MARTINO cit. 180 supporto ed informazione. WomensNet ha collaborato con la Universal Service Agency per garantire che le donne fossero coinvolte direttamente nella progettazione dei telecentri. WomensNet ha messo a disposizione nuove risorse per consentire alle donne di accedere a fondi, servizi e informazioni per intraprendere piccole attività commerciali.201 Questo sviluppo è accompagnato dall’e-learning e dal teleaddestramento. In Sud Africa l’elearning ha già una lunga storia il cui sviluppo è stato accelerato dalla diffusione delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni. I quattro principali istituti pubblici di e-learning nel 1996 avevano complessivamente più di venticinquemila studenti, mentre altri duecentoventicinquemila studenti erano iscritti ai cinque principali istituti privati. Già nel 1995 più di un terzo degli insegnanti del Sud Africa era coinvolto in qualche forma di educazione a distanza.202 Sempre nell’Africa subequatoriale le Isole Mauritius rappresentano un caso unico. La presenza di ventidue linee telefoniche fisse ogni 100 abitanti, doppia rispetto al Sud Africa, è la più alta dell’intero continente. Ci sono poi settantamila telefoni cellulari, sei ogni cento abitanti contro gli 0,37 dell’Africa, altro record continentale. Il progetto SAFE (South Africa Far East) dal 2001 collega con cavi sottomarini a fibre ottiche il Sud Africa alla Malaysia, attraverso le Isole Mauritius, ed anche la copertura satellitare migliora continuamente. Nel suo libro bianco del dicembre 1997 il governo repubblicano dichiarò l’intenzione di liberalizzare il settore delle telecomunicazioni a tutti i livelli e per tutti i servizi. Con i fondi disponibili per il biennio 1999-2000 il governo si impegnò poi a fare delle Isole Mauritius “an intelligent island”. Per raggiungere questo obiettivo i dazi doganali su molte componenti elettroniche sono stati ridotti a meno della metà e sono stati concessi prestiti ad interessi ridotti per l’acquisto di personal computers. L’intento era quello di diffondere al massimo la cultura delle tecnologie informatiche e di rendere gli strumenti informatici accessibili anche nelle aree più isolate 201 Cfr. il sito http://womensnet.org.za Cfr. BUTCHER, The possibilities and pitfalls of harnessing ICTs to accelerate social development: a South African perspective, South Africa Institute for distance education, in: http://www.saide.org.za/butcher1/unrisd.htm 202 181 del Paese. Una flotta di cinque cyber-camper equipaggiati con moderne strumentazioni informatiche, tra cui l’accesso ad Internet, viene gestita dal National Computer Board. In tale contesto il telelavoro offshore sta emergendo progressivamente come opportunità per riformare il mercato economico e del lavoro dell’isola. I tre principali settori dell’economia isolana (zucchero di canna, turismo ed industria tessile) hanno sempre dovuto fare i conti con i propri limiti strutturali e con la forte competizione del mercato globale. Per contro il settore tecnologico sta sviluppandosi rapidamente. Una forza lavoro con un alto livello medio di qualificazione, capace di dialogare e fare affari sia con persone di madrelingua inglese sia francese, è un valore aggiunto che incontra sempre più la domanda dei clienti internazionali. Al Parco Informatico di Latour Koenig, ad esempio, un call center con più di duecento addetti opera come ufficio scommesse per clienti che chiamano dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.203 Lo sviluppo di nodi wireless locali sta facendo moltiplicare i telecentri, la società nazionale di telecomunicazioni ha già installato diciassette centri di servizi alla clientela e dieci cybercafe in varie località dell’isola. E’ anche presente un centro per videoconferenze e sono ben sviluppati sia l’e-learning che la telemedicina. L’Università di Port Louis, la capitale delle Isole Mauritius, partecipa già a programmi congiunti con università di ogni parte del pianeta, mentre le isole più piccole, come la Rodriguez, dispongono di un’assistenza medica migliore tramite la telemedicina, specialmente quando restano isolate nella stagione dei tifoni. Il telelavoro viene anche visto come alternativa agli spostamenti per decongestionare il traffico di Port Louis. 203 per maggiori informazioni, anche bibliografiche, cfr. DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001, pagg. 58-59. 182 3.11. AUSTRALIA E NUOVA ZELANDA In Australia la diffusione delle nuove tecnologie sta radicalmente cambiando le abitudini di vita e di lavoro. Nel 1999 quasi sei milioni di persone, ossia il 41% della popolazione adulta del Paese, avevano accesso ad Internet. Tra queste, oltre due milioni e mezzo vi accedevano dal posto di lavoro e quasi altrettante da casa. L’ufficio australiano di statistica, utilizzando definizioni piuttosto rigorose, nel 1999 ha identificato due gruppi di telelavoratori: quelli che tramite modem avevano accesso alla rete aziendale da casa rappresentavano il 6,4% del totale dei lavoratori dipendenti, mentre quelli che avevano uno specifico contratto di lavoro per telelavorare da casa erano il 4,8%. Il medesimo ufficio statistico governativo ha condotto nel 1999 un’indagine sull’uso domestico delle tecnologie informatiche, dalla quale è emerso che oltre due milioni di australiani usavano, nella propria dimora, un personal computer per attività in qualche modo connesse al lavoro. Il precedente dato, risalente al 1996, era di meno di un milione e mezzo. Nel 2000 un’ulteriore ricerca stabilì che più di quattrocentomila lavoratori dipendenti australiani trascorrevano almeno una parte del loro orario di lavoro a casa, sulla base di un accordo con il loro datore di lavoro. Tale numero crebbe di cinquantamila unità nei due anni successivi. Sulla base di queste osservazioni è stato ipotizzato che almeno un quarto della popolazione attiva australiana potrebbe telelavorare.204 C’è tuttavia chi contesta questi dati, sostenendo che esista una tendenza a sovrastimare la crescita del fenomeno telelavoro in Australia. Ciò deriverebbe probabilmente dal fatto che vengono considerati come telelavoratori anche i lavoratori dipendenti che lavorano da casa oltre il normale orario di ufficio o che lavorano fuori dalla sede centrale, sia il personale dei call centers, sia i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti. Secondo questo punto di vista l’attrattività del 204 Per tutti questi dati cfr. Australian Bureau of Statistics, Use of Internet by householders, 1999, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001, o cfr. TURNER, Home alone, 30 settembre 2003 in: http://smh.com.au/articles/2003/09/29/1064817581601.html 183 telelavoro sarebbe dovuta principalmente, se non esclusivamente, alla sua promozione in sede politica e commerciale.205 Una successiva inchiesta ha evidenziato come il 74% dei telelavoratori appartenga al settore privato, anche se la percentuale di telelavoratori sul totale dei dipendenti è maggiore nel settore pubblico dove raggiunge il 10% contro il 7% del settore privato. Meno della metà dei telelavoratori intervistati vorrebbe telelavorare per una parte maggiore dell’orario di lavoro. La ragione più ricorrente, per cui gli altri lavoratori dipendenti non vorrebbero telelavorare, è data dal tipo di lavoro che svolgono e che ritengono non adatto al telelavoro, oppure dal fatto che il datore di lavoro non lo permette. Tra i lavoratori che non svolgono a casa alcuna attività di telelavoro, durante o dopo l’orario d’ufficio, il 27% vorrebbe poterlo fare.206 In questo clima di cambiamenti anche il numero dei call centers è aumentato rapidamente. Oggi il settore conta quasi seimila centri che danno lavoro a circa centomila persone, con un tasso di crescita annuo oscillante tra il 35% ed il 40%. Il valore complessivo di quest’industria è stato stimato in almeno 1,8 miliardi di dollari, e sta crescendo al ritmo del 25% annuo.207 Tutti questi rapidi cambiamenti sono stati agevolati in parte dall’intervento pubblico ed in parte da iniziative a carattere privato. Come misura facente parte di un più grande intervento di liberalizzazione commerciale, il governo ha abolito i dazi e le restrizioni all’importazione di attrezzature informatiche e per le telecomunicazioni, ed ha liberalizzato il settore dell’energia. Le politiche protezionistiche risalivano agli anni ’60, ed erano state attuate per proteggere i produttori locali e per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro. Il risultato fu però una generalizzata arretratezza di questi settori, dominati da pochi grandi produttori locali. Il recente mutamento nella politica degli scambi commerciali ha avuto come conseguenza l’arrivo di importanti investitori stranieri, interessati a sviluppare l’allora embrionale mercato dei 205 LINDORFF M., Home-based telework and telecommuting in Australia: more myth than modern work form, Asia Pacific Journal of Human Resources, 38 (3), 2000. 206 Cfr. AUSTRALIAN BUREAU OF STATISTICS (A.B.S.), Teleworking, New South Wales, 11/04/2002 in: www.abs.gov.au 207 Cfr. Australian Government, New job opportunities for Tasmania, 1999 cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 184 call centres. Prima del 1996 l’industria australiana dei call centres era rappresentata da pochi soggetti operanti in un limitato gruppo di settori commerciali (telecomunicazioni, istituti di credito, trasporti). Dal 1996 il numero dei call centres è passato da circa ottocento a quasi seimila, mentre i lavoratori del settore sono passati da diecimila circa, a quasi centomila. Al tempo stesso il Governo ha scelto di dare un forte impulso all’offerta di servizi di qualità nel campo delle telecomunicazioni, pur mantenendo bassi i costi. Per attirare i call centers da altre nazioni è stato addirittura creato un apposito Ufficio finanziato dallo Stato.208 Per quel che riguarda il contesto giuridico anche in Australia non vi sono testi normativi che trattino in modo specifico del telelavoro. Vi è peraltro una tendenza ormai consolidata a lasciare alla contrattazione collettiva la determinazione dei contenuti dei rapporti di telelavoro. Un primo accordo collettivo fu quello siglato nel 1988 tra l’operatore telefonico australiano Telstra e l’Unione dei lavoratori delle comunicazioni, di cui si riportano i punti salienti.209 Le parti avevano concordato innanzitutto che il telelavoro non è un diritto, né un’aspettativa, né un obbligo, ma può essere solo oggetto di un accordo consensuale tra datore di lavoro e dipendente, fondando così il criterio di volontarietà. Dalla volontà originaria delle parti veniva fatta discendere anche la reversibilità del rapporto di telelavoro, quando la volontà di una delle parti fosse venuta meno, con il solo obbligo del preavviso alla controparte almeno dieci giorni prima. Un altro punto importante dell’accordo riguardava l’equiparazione dei telelavoratori dipendenti ai dipendenti tradizionali di qualifica identica quanto a salari, termini e condizioni di impiego applicabili. I dipendenti impegnati nel telelavoro avrebbero dovuto avere le stesse opportunità e prospettive di promozione e carriera degli altri dipendenti di Telstra inquadrati nella stessa qualifica. Per quanto riguarda la qualità della vita dei telelavoratori l’accordo si è pure fatto carico di stabilire che il telelavoro non avrebbe dovuto rappresentare un sostituto dei permessi genitoriali, o 208 Cfr. KJELLERUP, Australian call centre boom, views on the growth in Australian call centres, in: http://www.callcentres.com.au 209 Il testo completo del Collective Agreement between Telstra and the Communication Workers’ Union (CWU), è disponibile all’indirizzo web del progetto MIRTI: www.euro-telework.org 185 di ogni altro tipo di permessi per l’assistenza ai famigliari, e che i dipendenti erano tenuti ad assicurare la messa in opera di un’adeguata assistenza dei figli o di altre persone che ne necessitassero, mentre essi erano impegnati a telelavorare. Sempre in tal senso l’ambiente di lavoro del dipendente che lavora da casa avrebbe dovuto rispondere ai requisiti dell’Occupational Health and Safety Act del 1991210, alle norme vigenti in materia di sicurezza del lavoro, agli appositi standard australiani e ad ogni altra norma rilevante. Altre parti dell’accordo riguardavano poi la misurazione dell’orario di lavoro, l’attribuzione alla Telstra dell’onere economico per la fornitura ed il mantenimento delle attrezzature, l’obbligo per i telelavoratori di garantire la sicurezza delle informazioni commerciali e dei sistemi della Telstra, il diritto per la direzione di accedere all’abitazione del dipendente. In merito a quest’ultimo punto va precisato che il consenso del dipendente all'accesso da parte della direzione costituiva un prerequisito indispensabile per la sottoscrizione del contratto di telelavoro. La completezza di questo primo accordo ha costituito in Australia una solida base su cui costruire i successivi accordi collettivi aziendali. Benché risulti assente una disciplina specifica sul telelavoro, non mancano interventi pubblici ad esso collegati. La promozione del telelavoro come strumento delle politiche di sviluppo economico delle aree rurali o marginali ha usufruito di fondi pubblici per la creazione di TeleTask, un’agenzia senza fini di lucro istituita per far incontrare le offerte di lavoro con i potenziali telelavoratori delle aree rurali australiane. TeleTask è stata insediata nel 1998 in una cittadina del Nuovo Galles del Sud, con il patrocinio del Fondo Regionale per le Infrastrutture delle Telecomunicazioni (Networking the Nation). Essa ha cominciato la sua attività mediante la creazione di telecentri collocati presso piccole comunità, in gran parte soggette al declino economico delle attività agricole ed al conseguente spopolamento.211 210 Il testo completo dell’Occupational Health and Safety (Commonwealth Employment) Act 1991, Act No. 30 of 1991 as amended, è disponibile all’indirizzo http://scaleplus.law.gov.au/html/pasteact/0/29/0/PA000020.htm 211 Cfr. HUNTER, Will Teleworking revitalise rural and regional Australia?, in: http://abc.net.au/future/telework.htm 186 Nella vicina Nuova Zelanda le cose non vanno molto diversamente, in quanto lo sviluppo del telelavoro non ha ancora dato origine a norme di rango legislativo che lo disciplinino. Va comunque rilevato che anche questa nazione sta diventando un polo di attrazione per l’insediamento dei call centers internazionali, i quali si sono moltiplicati rapidamente negli ultimi tempi, con un tasso di crescita annuale del 25-30%. Questo notevole sviluppo trova origine nella deregulation dell’industria delle telecomunicazioni, nella flessibilità del lavoro consentita dal diritto neozelandese, nel costo del lavoro più basso rispetto agli Stati Uniti e all’Europa, e in una popolazione con un elevato livello medio di istruzione. Inoltre vi è un buon numero di neozelandesi che, per provenienza, parlano altre lingue, asiatiche o europee, oltre all'inglese. Dei trecento call centers attualmente operativi in Nuova Zelanda il 10% serve più di una nazione, il 23% opera in più lingue, il 18% è attivo ventiquattro ore su ventiquattro. Complessivamente essi danno lavoro a più di quindicimila persone.212 212 Cfr. FREDERICK, Call centres investment New Zealand, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 187 3.12. IL GIAPPONE Negli ultimi anni l’economia giapponese ha subito una forte recessione, il mercato interno è diventato statico e la stretta sulle importazioni nipponiche, effettuata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ha portato la classe dirigente a ripensare i modelli organizzativi aziendali. Il telelavoro poco si adatta al sistema di lavoro estremamente gerarchizzato tipico della cultura giapponese. Il dipendente è confuso dalla mancanza di un supervisore e soffre l’isolamento, anche parziale, dai colleghi.213 Per questi motivi le prime iniziative in campo telelavorativo si sono concretizzate nella realizzazione di edifici telematici condivisi, cioè centri servizi utilizzati da più imprese, in cui sono concentrati numerosi telelavoratori. Alcune di queste sperimentazioni sono state avviate negli anni '90 con risultati soddisfacenti. In particolare il progetto della Nippon Telegraph & Telephone (N.T.T.) ha coinvolto circa duecentocinquanta persone nell'arco di due anni.214 Altri progetti, relativi ad uffici satellite collegati con la sede aziendale, sono stati portati avanti con un certo successo dal gigante dell’elettronica NEC, ma si è trattato di esperienze isolate. Va poi considerato che le infrastrutture delle telecomunicazioni non sono diffuse in modo così capillare ed efficiente come negli Stati Uniti, di conseguenza anche la diffusione di Internet nelle aziende e nelle case giapponesi è relativamente bassa. Un’inchiesta nazionale sulle condizioni di lavoro, risalente al 1996, aveva fornito una prima panoramica sulla diffusione del telelavoro. Fu richiesto a oltre quattromila società ed a più di tredicimila impiegati di compilare un questionario, il tasso di risposta fu del 10% circa. In questa inchiesta vennero considerati come telelavoratori quelle persone che, nonostante la loro azienda avesse una sede principale, lavoravano a casa o in uffici satellite in modo regolare o saltuario. 213 214 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pag. 78. Cfr. SCARPITTI, Anche in Italia qualcuno ci prova, Telèma, n.2, autunno 1995. 188 I risultati ottenuti permisero di elaborare le seguenti stime. I telelavoratori regolari, cioè quelli che telelavoravano uno o più giorni alla settimana, erano quasi settecentomila, mentre l’intera popolazione di telelavoratori venne stimata in poco più di ottocentomila unità. Il 63.2% dei lavoratori dipendenti che ancora non telelavorava, manifestò il desiderio di farlo in futuro, e questa percentuale saliva al 90% nella categoria dei tecnici. I lavoratori più giovani erano quelli più interessati, con una percentuale del 75%. Le società sembrarono invece piuttosto riluttanti ad adottare il telelavoro, con differenze notevoli tra le aspettative dei lavoratori e quelle delle direzioni aziendali. L’inchiesta ha poi messo in evidenza un elevato livello tecnologico del telelavoro giapponese. Tra le attività telelavorative prevalevano la scrittura di documenti tramite l’uso di programmi di word processing (45.6%), la conduzione di inchieste (31.6%) e l’immissione di dati (26.3%). Il telefono era il mezzo più comune per contattare e trasmettere informazioni alla sede dell’azienda (78%), sebbene l’uso della posta elettronica (31.3%) fosse cresciuto piuttosto rapidamente a partire dal 1995.215 Il lavoro mobile non rientrava nel campo di indagine, ma probabilmente rappresentava una delle principali forme di telelavoro per le più importanti società giapponesi.216 Una successiva previsione sulla crescita del numero dei telelavoratori in Giappone, ha prospettato tre scenari differenti per il periodo che va fino al 2020. Il primo, più statico, ha ipotizzato nel 2020 la presenza di oltre nove milioni di telelavoratori, pari al 14,5% della forza lavoro totale. Il terzo, più ottimistico, ha esattamente raddoppiato questa previsione.217 Un’ulteriore indagine dell’Istituto Giapponese del Lavoro ha rivelato che nel 1997 il numero di telelavoratori autonomi superava i centosettantamila. Essi lavoravano per lo più nel settore dell’editoria e dell’informazione, svolgendo attività di editing, immissione di dati, design e traduzione. L’inchiesta del 1997 rivelò che il telelavoro riguardava principalmente donne con 215 Cfr. The satellite office association of Japan, A report on the survey of telework population in Japan, 1996 edition, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 216 Informazioni fornite dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni giapponese, cit . da DI MARTINO 217 Cfr. MITOMO e JITSUZUMI, Impact of telecommuting in Japan, cit. da DI MARTINO 189 bambini piccoli a carico, con la conseguente necessità di prendersene cura. L’inchiesta scoprì anche che i telelavoratori avevano un bagaglio culturale medio relativamente alto, che in genere essi avevano già delle esperienze di lavoro dipendente e che avevano lasciato il lavoro tradizionale per lo più per motivi familiari. Gli ultimi dati disponibili sulla diffusione del telelavoro in Giappone, anche se non recentissimi, fissano il numero dei telelavoratori a poco più di due milioni, pari al 7,9% della forza lavoro.218 Oltre a doversi scontrare con remore di tipo culturale, il telelavoro in Giappone solleva anche delle problematiche giuridiche, sia per quel che concerne il contenuto contrattuale sia per il problema dell’incontro tra domanda ed offerta. Su questi temi è disponibile uno studio approfondito che di seguito viene riportato in sintesi.219 Le norme riguardanti i contratti di lavoro in generale sono contenute nella Labour Standards Law (L.S.L.) emanata nel 1947,220 il cui oggetto di tutela giuridica erano in origine i lavoratori del settore manifatturiero, una massa enorme di persone con caratteristiche e problemi omogenei. Ovviamente oggi non è più così, in quanto la legge viene applicata in settori completamente differenti, con problematiche ed interessi non confrontabili tra loro. Ci sono in Giappone molti lavoratori che hanno un potere contrattuale pari almeno a quello dei loro datori di lavoro. Di conseguenza quando l’applicazione del principio di libertà contrattuale non pone dei problemi, sarebbe corretto disapplicare le norme della L.S.L. Comunque sia la L.S.L. è tuttora in vigore ed impone ai datori di lavoro di stabilire in modo chiaro le condizioni di lavoro (art.15)221, e di informare i lavoratori sugli accordi collettivi e sulle 218 Cfr. la sezione dedicata al telelavoro del sito dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale in: www.inps.it/Doc/Professionista/Telelavoro/telelav.htm 219 Cfr. OUCHI, Telework in Japan, Japan Labor Bulletin, Vol.39, n.8, 2000. 220 Cfr. Labour Standards Law (L.S.L.), Legge n. 97 del 7 aprile 1947 221 Cfr L.S.L. art. 15 “In concluding a labour contract, the employer shall clearly state the wages, working hours and other working conditions to the worker. In this case, matters concerning wages and working hours and other matters stipulated by Ordinance of the Ministry of Health, Labour & Welfare shall be clearly stated in the manner prescribed by Ordinance of the Ministry of Health, Labour & Welfare”. 190 norme giuridiche che regolano il rapporto di lavoro (art. 106, capoverso). 222 Queste norme tuttavia non tutelano i telelavoratori, i quali ne sono esclusi in seguito ad un’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale che si fonda sulla definizione di lavoratore dipendente contenuta nell’articolo 9 della L.S.L.223 Il telelavoratore, piuttosto debole contrattualmente di fronte al datore di lavoro, corre quindi il rischio di vedersi inserire nel contratto delle clausole vessatorie o quanto meno svantaggiose. Questa problematica è già stata riscontrata più volte in concreto, in particolare per quanto riguarda la determinazione della parte variabile della retribuzione. Molti contratti di telelavoro contengono termini o condizioni eticamente e giuridicamente inaccettabili, almeno secondo quella che è la nostra concezione del diritto del lavoro. E' ad esempio il caso che si verifica quando l’impresa forza il telelavoratore ad accettare di lavorare senza retribuzione per compensare gli eventuali danni che il telelavoratore stesso possa arrecare con il suo ritardato od omesso svolgimento di un lavoro, soprattutto quando lo stesso contratto preveda anche dei carichi di lavoro tali che l’adempimento del telelavoratore risulti possibile solo a costo di un’attività lavorativa esageratamente faticosa. Ci sono poi altre norme che hanno funzioni di tutela nei confronti dei lavoratori dipendenti, come la Minimum Wages Law che stabilisce un minimo stipendiale, oppure l’articolo venti della L.S.L.224 che prevede un preavviso di trenta giorni in caso di licenziamento. Queste norme protettive Cfr. L.S.L. art. 106.1 “The employer shall make known to the workers the substance of this Law and ordinances issued under this Law, the rules of employment, the agreements stipulated in paragraph 2 of Article 18, the proviso to paragraph 1 of Article 24, paragraph 1 of Article 32-2, Article 32-3, paragraph 1 of Article 32-4, paragraph 1 of Article 32-5, the proviso to paragraph 2 of Article 34, paragraph 1 of Article 36, paragraph 2 of Article 38-2, paragraph 1 of Article 38-3, and paragraph 5 and the proviso to paragraph 6 of Article 39, and the decisions stipulated in paragraphs 1 and 5 of Article 38-4, by displaying or posting them at all times in a conspicuous location or locations in the workplace, by distributing written copies, or by other methods as prescribed by Ordinance of the Ministry of Health, Labour & Welfare”. 222 223 Cfr. L.S.L. art.9 “In this Law, worker shall mean one who is employed at an enterprise or place of business (hereinafter referred to simply as an enterprise) and receives wages therefrom, without regard to the kind of occupation”. 224 Cfr L.S.L. art. 20 “In the event that an employer wishes to dismiss a worker, the employer shall provide at least 30 days advance notice. An employer who does not give 30 days advance notice shall pay the average wages for a period of not less than 30 days. However, that this shall not apply in the event that the continuance of the enterprise has been made impossible by a natural disaster or other unavoidable cause nor when the worker is dismissed for reasons attributable to the worker”. 191 non sono però applicabili a quei telelavoratori che non fruiscono dello status di lavoratori dipendenti. Certamente, almeno nella determinazione della retribuzione, deve restare intatta la libertà contrattuale, per cui la legge si astiene dall’intervenire in questa materia. Tuttavia nei contratti di telelavoro ci può essere una notevole differenza nei livelli di informazione tra le parti del contratto, che può condurre ad una posizione di vantaggio ingiustificata per il datore di lavoro. Per questo motivo in Giappone oggi non sembra più giusto lasciare alle parti l’intera determinazione degli emolumenti. Un altro problema è rappresentato dalla tutela della salute dei telelavoratori. Si è osservato che essi soffrono, con elevati tassi di incidenza, di affaticamento visivo, lombalgia ed irrigidimento delle articolazioni in seguito ai lunghi periodi passati a lavorare al computer. Questo problema riguarda ovviamente anche gli impiegati che lavorano negli uffici tradizionali. In Giappone questa materia è regolata dalla cosiddetta “Dottrina dell’obbligo di tutela della salute e della sicurezza”, la quale fonda una precisa responsabilità dei datori di lavoro nell’assicurare il benessere psico-fisico dei dipendenti. Per contro i telelavoratori autonomi non hanno un datore di lavoro responsabile della loro salute, ed anche per i telelavoratori dipendenti sorgono dei problemi, in quanto la tutela della loro riservatezza non permette all’impresa l’esercizio del dovere di tutela nei locali di abitazione privata destinati al telelavoro. Tuttavia un’impresa che affidi le sue attività ad un telelavoratore dovrà comunque preoccuparsi per la sua salute, ad esempio non fissando tempi di consegna del lavoro tali da obbligarlo a lavorare per molte ore al giorno o per tutta la notte. Ma visto e considerato che i termini di consegna del lavoro possono essere determinati liberamente nel contratto, il telelavoratore può comunque rifiutarli se li ritiene vessatori. La condizione dei telelavoratori dipendenti è invece molto diversa. Essi godono della protezione legale, a volte paternalistica, della L.S.L. Se il datore di lavoro intende richiedere la 192 prestazione di lavoro straordinario l’art. 36225 prevede che prima venga concluso un accordo con le rappresentanze sindacali, anche nel caso in cui il singolo lavoratore abbia già accettato, e lo straordinario in certi casi non può eccedere le due ore giornaliere. In tal senso il successivo art. 37, par. 3, prevede una retribuzione maggiorata per il lavoro notturno tra le ore ventidue e le ore cinque, costituendo un deterrente verso gli abusi nel ricorso al lavoro straordinario.226 Un ultima problematica relativa ai contratti di telelavoro in Giappone riguarda la tutela della riservatezza dei telelavoratori. Le nuove tecnologie hanno reso facile registrare, conservare, diffondere, pubblicare, modificare ed anche distorcere i dati personali. Posto che il telelavoro viene svolto con l’ausilio del computer e della posta elettronica, si deve porre molta attenzione nella gestione dei dati personali dei telelavoratori. Per quel che riguarda invece l’attività telelavorativa autonoma, ci sono dei problemi nel rapporto tra offerta e domanda, soprattutto quando vi si inseriscono delle agenzie di intermediazione. É chiaro che non sempre le conoscenze e le capacità del telelavoratore autonomo incontrano in pieno le esigenze delle imprese committenti. Può succedere allora che, se il livello qualitativo delle conoscenze e delle prestazioni del telelavoratore non è sufficientemente elevato, l’impresa decida di ridurre il compenso pattuito in virtù di apposite clausole contrattuali sulla qualità del lavoro svolto. In questo modo viene però messa in pericolo la sicurezza e la regolarità delle entrate di questi lavoratori. 225 Cfr L.S.L. art. 36 “In the event that the employer has entered a written agreement either with a trade union organized by a majority of the workers at the workplace concerned where such a trade union exists or with a person representing a majority of the workers where no such trade union exists and has filed such agreement with the administrative office, the employer may, in accordance with the provisions of such agreement, and regardless of the provisions of Articles 32 through 32-5 and Article 40 with respect to working hours (hereinafter in this Article referred to as “working hours”) and the provisions of the preceding Article with respect to rest days (hereinafter in this paragraph referred to as “rest days”), extend the working hours or have workers work on rest days; provided, however, that the extension in working hours for underground work and other work specified by Ordinance of the Ministry of Health, Labour & Welfare as especially injurious to health shall not exceed 2 hours per day”. 226 Cfr. L.S.L. art. 37.3 “In the event that an employer has a worker work during the period between 10 p.m. and 5 a.m. (or the period between 11 p.m. and 6 a.m., in case the Minister of Health, Labour & Welfare admits necessity of application for a certain area or time of the year), the employer shall pay increased wages for work during such hours at a rate no lower than 25 percent over the normal wage per working hour”. 193 Inoltre in un mercato del telelavoro come quello nipponico, non ancora sviluppatosi appieno, il meccanismo della domanda e dell’offerta non funziona correttamente. La maggior parte dei contratti di telelavoro autonomo vengono infatti conclusi tra i telelavoratori ed i loro precedenti datori di lavoro. Ultimamente sono sorte numerose agenzie, spesso su iniziativa degli stessi telelavoratori, che raccolgono le richieste delle imprese per sottoporle all’attenzione dei singoli telelavoratori. L’utilità di queste agenzie per i lavoratori a distanza è rappresentata dalla garanzia di una fonte di lavoro più stabile e da un incremento delle opportunità di lavoro. Inoltre le imprese beneficiano del lavoro delle agenzie, potendo confrontare i risultati dell’attività dei telelavoratori prima di affidare loro un qualsiasi compito. Tuttavia il rapporto contrattuale a tre (impresa, agenzia, lavoratore) è piuttosto complesso ed è difficile stabilire a priori a chi sarà attribuita la responsabilità nel caso in cui sorgano problemi giuridici nell’applicazione del contratto. In conclusione occorrerebbe estendere le tutele previste dalla L.S.L. anche alle categorie deboli che non ne beneficiano, tra le quali rientrano sicuramente i telelavoratori che invece ne sono esclusi, nonostante la loro posizione di inferiorità rispetto alle controparti quando si tratta di contrattare Visto che i telelavoratori giapponesi sono in gran parte lavoratori autonomi, si potrebbe estendere il sistema protettivo anche ai loro rapporti con le imprese committenti, ponendo sullo stesso piano i loro contratti con quelli dei telelavoratori dipendenti. Alla base di queste necessità sta più in generale l’esigenza di introdurre, nel diritto del lavoro giapponese, delle regole più flessibili e più moderne.227 227 Cfr. OUCHI, cit. 194 3.13. LA CINA La Cina è stata sovente descritta come il grande gigante addormentato, del resto con il suo miliardo e trecento milioni di abitanti rappresenta un quinto dell’umanità. Come è ben noto il suo sviluppo economico, negli ultimi anni, è stato uno dei più impetuosi del pianeta, anche se i tre quarti della sua forza lavoro sono ancora occupati nel settore agricolo e anche se il PIL pro capite misurato in termini di potere d’acquisto è solo il 12% di quello statunitense Se l’insieme delle industrie pubbliche è in piena recessione c’è tuttavia una notevole crescita nel settore tecnologico, con una conseguente continua migrazione dalle campagne verso le città. Il settore informatico, benché al momento rappresenti solo una piccola parte dell’industria, alla fine del 1998 occupava già sedici milioni di persone, un quinto del corrispondente settore statunitense. Inoltre l’arretratezza delle strutture di telecomunicazione può trasformarsi in un vantaggio, in quanto i nuovi piani di sviluppo si baseranno fin dall’inizio sulla tecnologia digitale. Il governo cinese ha recentemente dato un nuovo impulso allo sviluppo delle infrastrutture, che ha raggiunto un tasso di crescita annuale del 30%, mentre il tasso di crescita della popolazione è rimasto stabile intorno all’1%. L’accesso a Internet interessa molto, in quanto il costo delle chiamate urbane è seicento volte inferiore rispetto al costo delle chiamate verso gli Stati Uniti. Per questi motivi le autorità controllano severamente tutte le telecomunicazioni e regolano strettamente l’accesso ai siti indesiderabili. Esiste una vera e propria censura preventiva per cui la maggior parte dei siti stranieri non risulta accessibile. Basti pensare che Wikipedia, la più celebre enciclopedia universale su Internet, è stata oscurata dal Governo cinese perché tra le sue milioni di voci ve ne sono alcune giudicate scomode come Tienanmen, repressione, democrazia, ecc.228 228 Cfr. RAMPINI, L'impero di Cindia, A.Mondadori editore, Milano, 2006. 195 Nonostante ciò gli accessi a Internet si stanno ugualmente moltiplicando in maniera esponenziale, così come i provider locali ed i nuovi siti. Alla fine del 2003 il numero di cinesi che aveva accesso ad Internet era pari a quasi nove milioni, tre anni dopo superava già i centotrentasette milioni.229 Per quel che riguarda il telelavoro, sebbene i dati siano poco aggiornati, è possibile fare delle stime basandosi sulle precedenti esperienze maturate a livello mondiale. E' stato calcolato, secondo lo stesso modello di sviluppo che ebbero gli Stati Uniti, che in Cina alla fine del 2003 ci fossero già quasi centomila telelavoratori. Il governo cinese ha però dimostrato un maggiore interesse per il commercio elettronico piuttosto che per il telelavoro.230 Non va comunque sottovalutata l’enorme potenzialità, in valori assoluti, che può avere l’economia cinese anche nel settore del telelavoro, non appena vedranno la luce le nuove grandi infrastrutture in fase di realizzazione nel settore delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni. Bisogna infatti tenere conto che in Cina gli utilizzatori della rete attualmente rappresentano il 10% circa della popolazione, mentre negli Stati Uniti, in Canada e Svezia sono più del 60%. Ma il 10% della popolazione cinese corrisponde a circa centotrenta milioni di persone, vale a dire lo stesso numero di statunitensi che oggi hanno accesso a Internet, e più della popolazione di qualsiasi Paese dell'Unione Europea.231 L’European Telework Organization ritiene che le aspettative di sviluppo tecnologico in Cina, nonché la diffusione dell’accesso a Internet da parte della popolazione cinese, rappresentino uno dei fattori principali con cui fare i conti per pianificare il telelavoro ed il commercio elettronico su scala mondiale nei prossimi decenni.232 229 Dati ricavati dal sito del China Internet Network Information Center (C.N.N.I.C.): http://www.cnnic.net.cn/en/index/ Cfr. estratto dal rapporto 2000 dell’European Information Technology Observatory (E.I.T.O.), da http://www.eto.org.uk 231 ibidem 232 Vedi in proposito la pagina web http://www.eto.org.uk/eustats/graphs/int-gdp99.htm 230 196 3.14. L’INDIA L’industria indiana del software è attiva fin dai primi anni ‘70, ma fu solo a metà degli anni ’80 che ottenne visibilità sui mercati internazionali. Iniziò così ad espandersi rapidamente sia sul mercato interno che su quello internazionale. Grazie all’ampia diffusione della conoscenza della lingua inglese ed al basso costo del lavoro dei tecnici, l’India oggi si colloca tra le mete più ambite per ciò che riguarda la delocalizzazione delle attività di sviluppo dei software. Nel marzo del 1999 il settore dava già lavoro a più di duecentocinquantamila persone, e continua ad essere tra quelli a crescita più rapida nell’economia indiana. Secondo la NASSCOM (National Association of Software and Service Companies) il fatturato dell’industria del software indiana è passato dai centocinquanta milioni di dollari del 1990 ai circa sei miliardi del 2000. Nel 1998-99, oltre duecento tra le cosiddette “Fortune 1000”, cioè le mille società più importanti degli Stati Uniti, soddisfacevano le loro esigenze in materia di software rivolgendosi al mercato indiano.233 La NASSCOM ha riferito che alla fine del 2003 l'India aveva raggiunto il 23% del mercato mondiale dei software personalizzati ed il 5% del mercato dei prodotti industriali, un livello tale da rappresentare il 25% del totale delle esportazioni indiane. Il successo dell’India trae origine dalla combinazione di più fattori quali l’abbondanza di risorse, le politiche governative che hanno fortemente investito nell’istruzione di grado elevato, ed un sistema politico e sociale democratico e stabile. Dalla fine degli anni ’80 l’India ha formato un gran numero di ingegneri e di laureati in discipline scientifiche con un’ottima conoscenza della lingua inglese. Non va dimenticato che la rivoluzione tecnologica ha aumentato enormemente la domanda di tecnici specializzati, cui non sempre i paesi industrializzati hanno saputo far fronte. In India invece 233 Per maggiori dettagli http://www.nasscom.org/ nella sezione Indian IT software and services industry. 197 le risorse umane sono numericamente e qualitativamente di prim’ordine. Per questo motivo ci sono sempre stati tecnici e programmatori indiani che lavoravano, in India, per conto di molte società, soprattutto statunitensi, annullando così le distanze e favorendo l’incontro tra i fornitori indiani di software e gli acquirenti mondiali. Uno studio ha però evidenziato che, sebbene il telelavoro comporti la migrazione del lavoro verso destinazioni remote, c’è anche una migrazione delle persone nella direzione opposta. La pratica di utilizzare lavoratori stranieri per ovviare alla mancanza di competenze tecnologiche è stata da qualcuno definita body shopping, ed è l’immagine riflessa del fenomeno del telelavoro offshore. Se la comunità internazionale non riesce a trovare soluzioni adeguate per il telelavoro, offrendo prospettive di impiego decorose e possibilità di sviluppo per le nazioni più povere, potrebbe verificarsi un aumento delle pressioni migratorie per motivi di lavoro, allo stesso tempo depauperando questi paesi di parte dei loro lavoratori più istruiti e qualificati.234 In modo analogo al settore del software, l’India è anche orientata allo sviluppo di altri settori produttivi dell’informatica. La NASSCOM, sulla base di dati statistici riferiti al 1998, ha elaborato delle proiezioni sul telelavoro fino all’anno 2008. Secondo queste previsioni il potenziale espansivo dell’impiego nei servizi delle tecnologie informatiche in India sarebbe ancora in gran parte inesplorato.235 Dai ventitremila posti di telelavoro del 1998 si potrebbe arrivare, dopo dieci anni, ad oltre un milione di persone impiegate nelle attività di immissione dei dati, nei call center, nei servizi di assistenza remota, ecc., Un altro effetto della rivoluzione tecnologica in India è stata la comparsa delle cosiddette cabine S.T.D. (Subscriber Trunk Dialing), piccoli negozi che offrono la possibilità di effettuare chiamate telefoniche su lunghe distanze e che vale la pena di descrivere meglio vista la loro originalità. Queste attività richiedono un investimento iniziale di circa duemilacinquecento dollari, mille dei quali a carico della società telefonica per il collegamento alla linea, e millecinquecento a 234 Cfr. ARORA, Software development in non-member economies: the Indian case, in OECD, Information technology outlook 2000, Paris, 2000, p. 132. 235 Cfr. http://www.nasscom.org/ nella sezione IT enabled services 198 carico dell’imprenditore per dotare il locale di un tavolo, alcune sedie, un ventilatore, un sistema computerizzato di monitoraggio delle chiamate e un registratore di cassa. Il negozio è sovente situato nell’ingresso dell’abitazione del proprietario. Nelle città più importanti alcune cabine S.T.D. possono disporre anche di un apparecchio fax e di una fotocopiatrice. Ogni cabina occupa in media da due a tre persone, a seconda del numero di telefoni e delle altre attrezzature. Ad oggi il numero di queste attività è stimato in almeno trecentomila. Un’altra importante risorsa, soprattutto per il lavoro femminile, può essere rappresentata dall’installazione di telechioschi Internet del tutto simili alle cabine S.T.D. In una popolazione il cui reddito medio annuale pro capite non arriva a cinquecento dollari, il numero di persone che possiedono un telefono ed un computer è molto esiguo. Sarebbe perciò importante disporre di locali aperti al pubblico in cui recarsi per utilizzare dei computer collegati in rete. In questi casi la linea telefonica non offre la possibilità di chiamate su lunghe distanze, ma effettua solo chiamate locali per connettersi al più vicino punto ISP. Negli ultimi anni c’è stata una rapida crescita di questi chioschi Internet, particolarmente negli Stati meridionali dell’India, dove la conoscenza della lingua inglese è molto diffusa. Anche i chioschi Internet, come le cabine S.T.D., creano nuovi posti di lavoro a costi contenuti. Un chiosco che dia lavoro a quattro persone richiede un investimento di circa diecimila dollari per le attrezzature, compresa l’installazione della linea telefonica del costo di circa mille dollari. I personal computer in questi chioschi vengono sfruttati a fondo, offrendo agli studenti, e più in genere a tutta la popolazione, la possibilità di accedere a Internet con una minima spesa.236 Come in molti altri Paesi asiatici anche in India sta prosperando il telelavoro offshore. Le più importanti imprese statunitensi stanno delocalizzando attività come l’assistenza ai clienti e la gestione delle risorse umane, verso luoghi più economici tra cui l’India e le Filippine. In India l’industria dei servizi di back-office, che da sola fattura oltre due miliardi e mezzo di dollari l’anno, sta appositamente formando migliaia di neo-laureati. Tra le materie di studio 236 Cfr. RAMANI, Internet kiosks in India, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 199 figurano la lingua e la cultura americana, per semplificare le comunicazioni con i clienti statunitensi. Non solo vengono insegnati i vari accenti in modo da poterli riconoscere, ma si cerca anche di riprodurre quello californiano che è considerato il più neutro. Ci si attende quindi nei prossimi anni un ulteriore forte incremento nell’esportazione dei servizi di back-office. Questa industria, che offre grandi opportunità di lavoro per i giovani, punta a raggiungere l’obiettivo dei venticinque miliardi di dollari di export entro il 2008 e ad occupare un milione di persone.237 Al momento anche il telelavoro offshore in India sta attirando cospicui capitali dall’estero. Si calcola che oltre tre milioni di posti di lavoro nel settore dei servizi e centotrenta miliardi di dollari di stipendi si sposteranno entro il 2015 verso destinazioni offshore come l’India, la Russia, la Cina e le Filippine. Del resto in India un neo-laureato viene retribuito con uno stipendio medio di circa diecimila rupie al mese (circa duecento euro), un decimo di quello che guadagna un suo collega statunitense. Nei call centers i dipendenti più giovani, oltre a seguire corsi di studio sulle tecniche di comunicazione, vengono addirittura invitati ad adottare dei nomi americani o inglesi. Anche la comprensione dei problemi di natura fiscale ed economica dei clienti è un obiettivo, per cui le società insegnano ai propri dipendenti quali siano le norme in materia di assicurazione e fiscalità dei Paesi da cui provengono le chiamate. Solo negli ultimi due anni i call centers hanno offerto lavoro a circa centomila giovani indiani. Si è però osservato che le differenze di fuso orario obbligano i lavoratori dei call centers a situazioni stressanti, come il lavorare in orari notturni o mangiare in modo irregolare.238 Per quello che riguarda la normazione il governo indiano sta attuando delle politiche liberiste nel settore delle nuove tecnologie, tant’è vero che lo stupefacente sviluppo industriale può essere attribuito proprio alle continue iniziative politiche di privatizzazione e di liberalizzazione. La NASSCOM ed il governo indiano hanno collaborato fin dal 1991, ed uno dei primi frutti di questa collaborazione è stata l’esenzione dalle imposte sui redditi per i profitti derivanti dalle 237 238 Cfr. JARALLAH, in: http://www.arabtimesonline.com, Web Edition No: 11719, 10.11.2003 ibidem 200 esportazioni di software. In seguito il governo, in modo graduale ma sistematico, ha ridotto l’imposizione fiscale sulla vendita dei software fino ad azzerarla. L’arrivo di Internet e della rete ha poi fatto sorgere la necessità, anche in India, di regolare e governare le attività di comunicazione e transazione che avvengono attraverso di essi. Questa esigenza ha fatto sì che l’India diventasse una delle prime nazioni al mondo (la dodicesima per l’esattezza) a dotarsi di norme regolatrici del ciberspazio.239 La legge ha posto le basi giuridiche per uno sviluppo più ordinato del commercio elettronico e più in generale di tutte le attività commerciali gestibili attraverso la rete, ivi compreso il telelavoro. 239 Le ciberleggi indiane sono contenute nell’Information Technology Act del 2000, consultabile all’indirizzo http://www.laws4india.com/cyberlaws/act.asp 201 3.15. IL RESTO DELL’ASIA A Singapore l'ultimo decennio ha visto svilupparsi un imponente processo di ristrutturazione economica, con un sempre crescente contributo all’economia da parte delle industrie ad alto contenuto tecnologico quali quelle del settore elettronico ed aerospaziale. Il 40% della forza lavoro totale è oggi rappresentato da dirigenti, professionisti singoli o associati, quadri aziendali, ed essendo il mercato del lavoro piuttosto ristretto da un punto di vista numerico, la carenza di professionisti qualificati sta inducendo le imprese a rivolgersi sempre più sovente alle professioniste, le quali tramite il telelavoro hanno la possibilità di lavorare da casa. Singapore ha inoltre un eccellente sistema di telecomunicazioni e aspira a divenire il fulcro informatico e commerciale del Sud Est asiatico.240 La percentuale di possesso di personal computer tra la popolazione di Singapore è già una delle più alte del mondo. Nel 1999 un’indagine sulla diffusione domestica delle tecnologie informatiche indicava che le percentuali di famiglie che possedevano un personal computer e che erano collegate ad Internet erano rispettivamente del 50% e del 42%. Secondo questa indagine le persone che utilizzavano il personal computer domestico per lavoro erano già il 19.9%, ed il 4,2% lo utilizzava in modo specifico per il telelavoro.241 Nel 2000 il Governo ha varato il Singapore eGovernment Action Plan con cui ha indicato gli obiettivi da raggiungere e i programmi da sviluppare per la realizzazione di un governo elettronico. La seconda fase, ancora più ambiziosa, è contenuta nell'e-Government Action Plan II, lanciato nel luglio 2003 per rendere i servizi governativi e le relative procedure disponibili on-line entro il 2006, raggiungendo il 90% di utenti on-line su tutta la popolazione. Fin dal 2000 il Dipartimento di statistica effettua un censimento annuale della popolazione che dispone dell'accesso ad Internet. Il 240 Cfr. OLSZEWSKI e LAM, Assessment of the potential effect on travel of telecommuting in Singapore, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 241 Cfr. Infocomm Developmnet Authority (I.D.A.), IT Household Survey Report 1999, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 202 Ministero della forza lavoro ha inoltre realizzato un sito che permette l’incontro telematico tra le domande e le offerte di telelavoro.242 Singapore dispone di un sistema di infrastrutture tale da rendere agevole ogni forma di telelavoro oggi realizzabile. Tuttavia l'elevato costo del lavoro, soprattutto se rapportato alla media dei Paesi asiatici, induce alla delocalizzazione dei compiti tipici del telelavoro (ad esempio l’alimentazione di banche dati), mentre sul mercato interno si stanno sviluppando forme più sofisticate di lavoro a distanza. Un esempio è Justice on-line, un sistema di videoconferenze finanziato dall’InfoComm development Authority of Singapore (I.D.A.) che permette ai legali della città di Singapore di far eseguire video-deposizioni o di partecipare alle udienze senza allontanarsi dal proprio studio professionale. 243 Come a Singapore anche in Malaysia la classe imprenditoriale è ben consapevole dei benefici potenziali del telelavoro, ed esercita una certa pressione sul Governo per ottenere degli interventi a sostegno del suo sviluppo. Tuttavia le autorità riconoscono che devono ancora essere superati molti ostacoli per assicurarne un’implementazione di successo, in particolare la carenza di personale specializzato in telecomunicazioni e la radicata cultura del lavoro tradizionale presso gli impiegati pubblici. Nel 1998 un importante studio cercò di quantificare la diffusione ed i modelli di telelavoro in Malaysia, identificando i fattori che ne facilitavano oppure ne ostacolavano l’adozione. L’indagine ha riguardato oltre milleduecento aziende per un totale di circa deucentosessantamila lavoratori. Solo novantotto aziende, vale a dire il 7,8% del totale, erano impegnate in qualche forma di telelavoro con una media di 3,45 telelavoratori ogni mille dipendenti. L’utilizzo del telelavoro era più elevato nei settori dei trasporti, delle comunicazioni, della finanza, delle assicurazioni e dei beni immobili. 242 I links verso tutti questi siti governativi http://www.di.unipi.it/parete/NelMondo.html#Singapore 243 cfr. http://justiceonline.com.sg/ 203 di Singapore sono reperibili all’indirizzo web Le forme più comuni di telelavoro sono risultate la cosiddetta multiple location, cioè il telelavoro svolto da casa in abbinamento al lavoro tradizionale o al telelavoro prestato in centri satellite, ed il lavoro mobile. Queste due tipologie coprivano quasi i tre quarti del totale dei telelavoratori. Comunque anche i call centers, nei quali si tende in genere ad assumere giovani donne, giocano un ruolo importante in Malaysia. Solo poche aziende nel 1998 svolgevano attività di telelavoro offshore, anche se oggi la situazione sta cambiando e c’è un incremento delle società straniere che stabiliscono i loro call centers in Malaysia.244 Anche in Corea del Sud il telelavoro presenta degli aspetti interessanti, in quanto viene correntemente suddiviso in tre categorie a seconda della qualifica dei telelavoratori e dei loro rapporti con i team leader. La prima categoria è rappresentata da telelavoratori professionisti, i quali operano in quei settori in cui la domanda di particolari competenze è di gran lunga superiore al numero di coloro che le possiedono. In tale contesto il telelavoratore si trova in una posizione di vantaggio rispetto ai datori di lavoro, per cui può determinare in gran parte il suo stato giuridico, le sue condizioni di lavoro, la sua flessibilità ed i suoi compensi. Questo tipo di telelavoratore può effettivamente essere in grado di scegliere liberamente tra lo status di lavoratore dipendente o quello di imprenditore autonomo a seconda della convenienza. Alla seconda categoria appartiene un modello intermedio di telelavoratore, in prevalenza di sesso femminile e con un elevato livello di specializzazione, che non può o non vuole viaggiare per recarsi al lavoro. Il compenso è di norma rapportato alla prestazione fornita ed il lavoro tende a presentare i caratteri tipici dell’autonomia. L’ultima categoria è rappresentata da telelavoratori a bassa specializzazione, di solito assunti per economizzare sulle spese di personale o d’ufficio rimpiazzando i lavoratori dipendenti nei 244 Cfr. KHAY JIN, Telework in Malaysia: patterns perceptions and potential, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 204 compiti meno complessi, come l’utilizzo di programmi semplici per l’inserimento dei dati o per la videoscrittura. Le tre categorie sono significative per determinare lo status giuridico dei telelavoratori. Per le prime due, poiché le parti contrattano su di un piano di relativa parità, vige la presunzione che l’accordo contrattuale rifletta l’effettiva volontà del telelavoratore. Per la terza categoria ciò può non verificarsi, a causa della posizione negoziale estremamente debole del singolo telelavoratore. Nel caso dei subappalti il problema diviene ancor più complicato. E’ possibile che si verifichino situazioni in cui, per mascherare l’effettivo status di subordinazione, si simuli una situazione di lavoro autonomo. Poiché la Corea, come il Giappone, non dispone di leggi specifiche per i telelavoratori, questi non sempre possono beneficiare di un’adeguata protezione che invece spetterebbe loro in base all’effettivo status di lavoratori dipendenti.245 Diversa la situazione nelle Filippine, che fin dai primi anni ‘90 hanno rappresentato un ottimo terreno di cultura per lo sviluppo di forme di telelavoro offshore. Nel 1994 l'agenzia francese DATAR (Délégation à l’Aménagement du territoire et à l’Action Régionale) stimava che le imprese di elaborazione dati filippine impiegassero già più di quattromila persone.246 Anche i call centers stanno rapidamente aumentando. Il numero delle società che si sono dotate di call center è cresciuto di oltre sette volte nel corso degli ultimi cinque anni, ed è almeno raddoppiato negli ultimi due anni. Un’indagine del 1998 sull’uso dei call centers in quattordici società appartenenti ai settori dei servizi finanziari, dei prodotti industriali di consumo, del petrolio, delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, evidenziò che, rispetto agli standard globali, i call centers delle Filippine potevano ancora migliorare in quattro aree chiave: strategia, business process, tecnologia e risorse umane. In particolare i call centers filippini non utilizzavano le tecnologie più recenti per migliorare 245 Cfr. JONG-HEE PARK, Employment situations and workers protection in Korea, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 246 Cfr. DUMÉNIL e ROUX, Le télétravail, City & York ed., Dublin, 1995. 205 i servizi ai clienti. Essi inoltre tendevano ad utilizzare personale a tempo pieno, in contrasto con i più flessibili accordi di lavoro e di outsourcing comuni negli Stati Uniti ed in Europa.247 Ci si attende in futuro un ulteriore sviluppo dei call centers. Lo studio del 1998 indicava che quasi tutte le società avevano visto aumentare il volume delle chiamate, con tassi di crescita annuale compresi tra il 25% ed il 135%. Questo trend è stato confermato da uno studio successivo sulle imprese di servizi finanziari, il quale indicava che un quarto di queste imprese progettava di attuare, nei rapporti con i clienti, nuove strategie come l’attivazione di call centers.248 Gli operatori dei call centers vengono formati alla conoscenza delle lingue e delle culture inglese e americana, per permettere una più semplice comunicazione con i clienti di queste nazioni. A Manila il personale del call center della società C-Cubed, ha una conoscenza approfondita dell’America, della sua geografia e degli accenti, dalla California al Texas.249 In effetti le principali aziende statunitensi stanno spostando alcune attività, come l’assistenza ai clienti e la gestione delle risorse umane, verso luoghi più economici tra cui l’India e le Filippine, per cui devono formare ed aggiornare per tempo i loro dipendenti. Grazie ad un consistente gruppo di laureati e ingegneri che parlano inglese, l’India e le Filippine stanno distinguendosi come le destinazioni più appetibili per le imprese statunitensi che coltivano i loro interessi in Asia.250 Anche se nelle Filippine il primo stipendio per un operatore di call center laureato si aggira solo tra i duecento ed i duecentocinquanta euro al mese, l'avere la sicurezza di un posto di lavoro è importante in una nazione in cui la maggior parte dei laureati ha difficoltà a trovare un'occupazione adeguata al titolo di studio conseguito.251 Il numero di persone che trovano impiego nell’industria dei call centers filippina dovrebbe superare le trecentomila unità nel 2008. Il reddito prodotto nelle Filippine da questa attività è più 247 Cfr. DUMÉNIL e ROUX cit. Fonte: Andersen Consulting survey: Call centers gain importance, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 249 Cfr JARALLAH, in: http://www.arabtimesonline.com, Web Edition No: 11719, 10.11.2003 250 ibidem 251 ibidem 248 206 che raddoppiato nel biennio 2002-2003, passando da centosettanta a trecentosettanta milioni di dollari annui.252 Una realtà completamente diversa da quelle esaminate finora viene vissuta in Bangladesh, dove le reti di telecomunicazione collegano solo i principali centri urbani escludendo in gran parte le aree rurali. Questa situazione sta in parte modificandosi grazie ad un piano governativo quinquennale di sviluppo delle telecomunicazioni, che ha l’obiettivo di garantire un maggior accesso ai mezzi di comunicazione da parte delle donne. Sull’iniziativa pubblica si è innestata quella di una banca privata, la Grameen Bank, la quale offre dei micro-crediti ai soggetti meno abbienti, i quali non avrebbero altrimenti accesso a tali servizi. Questi micro-crediti, indirizzati in modo specifico alle donne, permettono ai cittadini delle zone rurali di acquistare a basso costo dei telefoni cellulari, e quindi di poter offrire a terze persone i loro servizi. Questa elementare pratica di telelavoro produce grandi benefici ai soggetti interessati. Essi infatti riescono ad aumentare considerevolmente il loro reddito, oltre ad avere per la prima volta la possibilità di autogestirsi dal punto di vista economico. In questo modo la diffusione delle tecnologie influisce positivamente sulla possibilità di accedere alle informazioni, sull'equilibrio sociale e più in generale sulla qualità della vita dei villaggi.253 252 ibidem Cfr. SULTANA, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 253 207 3.16. MESSICO E SUDAMERICA Nel 1997 in Messico, tramite il cosiddetto “Programma di Sviluppo Sostenibile”, è stata avviata un’iniziativa per la creazione di telecentri. Nei mesi di giugno e luglio vennero inaugurati dei telecentri in sette località periferiche di Città del Messico. Tre di questi centri vennero ospitati all’interno di biblioteche pubbliche, uno in un centro culturale, due in centri comunali ed uno nella sede di una comunità indigena. A dicembre altri sedici telecentri vennero inaugurati nello Stato di Michoacán. Essi erano destinati a formare la base di un network informatico regionale per lo sviluppo sostenibile. In generale l’esperienza fu piuttosto deludente, sebbene se ne siano tratti utili insegnamenti. Dei sette telecentri del Distretto Federale, solo tre erano ancora operativi nel giugno del 1998. Dei sedici telecentri aperti a dicembre, solo tre erano ancora attivi alla stessa data, mentre sette attendevano ancora di ottenere la connessione telefonica. Altri ancora avevano dovuto affrontare il problema dell’alto costo delle telefonate, mentre alcuni erano forse stati collocati nei posti sbagliati per poter suscitare interesse. I tre telecentri del Michoacán che restavano in funzione erano gli unici posizionati in aree da cui era possibile avere accesso a Internet al prezzo della chiamata urbana. Vi sono comunque stati dei telecentri che hanno soddisfatto subito le esigenze locali, come quello di Los Reyes, attiva città di circa sessantamila abitanti che è uno dei centri più importanti del fiorente mercato dell’esportazione di avocados. Il fatto che questo telecentro sia stato capace di mettere in contatto i produttori di avocados con i potenziali mercati esteri, è stato importante per confermare la credibilità del progetto e quindi la sua sostenibilità.254 Il Messico sta anche diventando uno dei primi siti di delocalizzazione delle imprese nordamericane per quanto riguarda le attività di immissione dei dati. È stato scritto che le grandi società statunitensi hanno deciso di far trattare i loro dati in Messico per le stesse ragioni che hanno 254 Cfr. ROBINSON, Telecentres in Mexico, the First Phase, in: http://www.unrisd.org/infotech/publicat/robi/robi.htm 208 spinto le industrie manifatturiere a spostarvi i loro stabilimenti negli anni ’70 ed ’80: vicinanza, costo del lavoro estremamente basso, infrastrutture adeguate e soprattutto legislazione del lavoro meno complessa.255 Anche in Brasile Internet costituisce oggi il più importante fattore di sviluppo per il telelavoro, che sta vivendo una crescita fenomenale. Il Brasile è al nono posto mondiale (nel 1998 era diciottesimo), terzo nelle Americhe e di gran lunga primo in Sud America, quanto a numero di domini Internet. Anche il numero dei telefoni cellulari è in grande espansione, mentre è stato messo in moto un sostanziale, benché controverso, processo di modernizzazione e liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni.256 Il Brasile sta progressivamente emergendo anche come uno dei più grandi e dinamici mercati del wireless al mondo, e proprio le reti wireless offrono un’opportunità unica per le regioni marginali e le aree isolate. L’e-learning, la telemedicina e l’e-commerce si stanno già diffondendo rapidamente. Nel 1999 il tasso di crescita dell’e-commerce è stato superiore al 20%, con cinquantamila nuovi posti di lavoro.257 Uno dei più interessanti aspetti di questo sviluppo è rappresentato dai telecentri delle comunità, già installati in più di ottanta sedi, i quali offrono strutture e servizi per poter gestire dei teleuffici. Il telelavoro domiciliare sta anch’esso incrementandosi grazie all’iniziativa di multinazionali come DuPont e Xerox, cui si sono aggiunte altre società brasiliane. Nondimeno il potenziale del telelavoro è ancora lontano dall’essere completamente sfruttato. C’è ancora ampio spazio per il telelavoro domiciliare, possibile rimedio ai problemi ambientali e del traffico delle metropoli come São Paolo e delle città che stanno rapidamente espandendosi in particolari aree ecologicamente delicate, come Manaus. 255 Cfr. MILLMAN, Data processing booms in Mexico, Wall Street Journal, 2.12.1998 Statistiche raccolte dal Comité Gestor de Internet no Brasil in http://www.cg.org.br/ 257 Cfr. Universo Online, Telemarketing desafia o desemprego, cit. da DI MARTINO, The high road to teleworking, International Labour Organization, Geneva, 2001. 256 209 Nelle aree rurali ed in quelle isolate i telecentri possono trovare abbondante terreno di coltura, mentre il settore del telelavoro offshore è ancora in gran parte inesplorato, pur con l’ostacolo della lingua portoghese che non è proprio universale. In Brasile non mancano gli interventi legislativi che, in un modo o nell’altro, riguardano il telelavoro. Già l’articolo 7.XXVII della Costituzione del 5 ottobre 1988 si occupa della protezione dei lavoratori rispetto all’automazione, materia in cui vige la riserva di legge. Tuttavia non sono ancora state emanate delle leggi in proposito, ma si può ritenere che, qualora lo si facesse, il telelavoro dovrebbe essere oggetto privilegiato di normazione.258 E’ di gran rilievo anche l’articolo 218 della Costituzione, il quale prevede un sistema incentivante per le imprese che contribuiscano attivamente all’innovazione scientifica e tecnologica e che dividano con i loro dipendenti i benefici degli aumenti di produttività.259 Uno studio approfondito del testo consolidato della legge sul lavoro (Consolidação da Lei Trabalhorá, o C.L.T.) ha posto in evidenza come anche in Brasile le norme sul lavoro a domicilio mal si prestino a regolamentare il complesso mondo del telelavoro.260 Lo stesso problema si è posto in Venezuela, dove è stato osservato che il telelavoro tende a sfuggire le rigide norme dettate per i lavoratori delle industrie, e richiede un trattamento diverso. E allora, poiché il telelavoro è possibile sia in forma di attività autonoma sia di lavoro subordinato, ci 258 Cfr. Art.7 della Costituzione federale brasiliana del 5 ottobre 1988 “São direitos dos trabalhadores urbanos e rurais, além de outros que visem à melhoria de sua condição social: - omissis - XXVII - proteção em face da automação, na forma da lei; 259 Cfr. Art. 218 della Costituzione federale brasiliana del 5 ottobre 1988 “O Estado promoverá e incentivará o desenvolvimento científico, a pesquisa e a capacitação tecnológicas. § 1º - A pesquisa científica básica receberá tratamento prioritário do Estado, tendo em vista o bem público e o progresso das ciências. § 2º - A pesquisa tecnológica voltar-se-á preponderantemente para a solução dos problemas brasileiros e para o desenvolvimento do sistema produtivo nacional e regional. § 3º - O Estado apoiará a formação de recursos humanos nas áreas de ciência, pesquisa e tecnologia, e concederá aos que delas se ocupem meios e condições especiais de trabalho. § 4º - A lei apoiará e estimulará as empresas que invistam em pesquisa, criação de tecnologia adequada ao País, formação e aperfeiçoamento de seus recursos humanos e que pratiquem sistemas de remuneração que assegurem ao empregado, desvinculada do salário, participação nos ganhos econômicos resultantes da produtividade de seu trabalho. § 5º - É facultado aos Estados e ao Distrito Federal vincular parcela de sua receita orçamentária a entidades públicas de fomento ao ensino e à pesquisa científica e tecnológica”. 260 Cfr. PINO, O teletrabalho tranfronteiriço no Direito Brasileiro, Alfa-Redi Revista de Derecho Informático, n. 113, febrero 2003. 210 si chiede perché non sia possibile la creazione di un nuovo status giuridico per i lavoratori che svolgono queste attività innovative.261 In Cile la diffusione del telelavoro è incominciata ad opera di società dei settori finanziario, commerciale e delle telecomunicazioni. Il loro obiettivo principale era l’offerta di servizi di assistenza ai clienti sull’arco delle ventiquattro ore, seguito dalla possibilità di gestire il rapporto di lavoro per obiettivi e di sfruttare la maggior flessibilità del telelavoro. Anche in questa nazione sono sorti dei problemi circa l’applicabilità ai telelavoratori delle norme contenute nel codice del lavoro, ma una recente riforma ha introdotto una disposizione dettata apposta per i telelavoratori. L’art. 22 del codice riformato fissa in quarantotto ore il limite massimo dell’orario settimanale dei lavoratori, escludendo però da tale limite i lavoratori che prestano servizio prevalentemente al di fuori del luogo o del sito normale di attività dell’azienda, tramite l’uso di mezzi informatici o di telecomunicazione.262 In questo modo è stata consacrata a livello legislativo la possibilità di telelavorare senza vincoli temporali. Questa modifica al codice del lavoro è stata originata da un progetto di legge presentato dal governo al Parlamento alla fine del 2000. In esso si richiedeva più in generale di mettere mano alla regolamentazione del telelavoro.263 261 RAMIREZ, El Teletrabajo, Encuadramiento Jurídico y su Sujeción a la Ley del Trabajo Venezolana, Alfa-Redi Revista de Derecho Informático, n. 111, diciembre 2002. 262 Legge n. 19.759 del 27.09.2001, pubblicata nel Diario Oficial de Chile il 5 ottobre 2001, entrata in vigore il primo dicembre 2001, art. 22: Art. 22. “La duración de la jornada ordinaria de trabajo no excederá de cuarenta y ocho horas semanales. Quedarán excluidos de la limitación de jornada de trabajo los trabajadores que presten servicios a distintos empleadores; los gerentes, administradores, apoderados con facultades de administración y todos aquellos que trabajen sin fiscalización superior inmediata; los contratados de acuerdo con este Código para prestar servicios en su propio hogar o en un lugar libremente elegido por ellos; los agentes comisionistas y de seguros, vendedores viajantes, cobradores y demás similares que no ejerzan sus funciones en el local del establecimiento. También quedarán excluidos de la limitación de jornada de trabajo los trabajadores que se desempeñen a bordo de naves pesqueras”. 263 PUMARINO, Chile: Legislación Laboral y Teletrabajo, Alfa-Redi Revista de Derecho Informático, n. 117, junio 2003. 211 3.17. CONCLUSIONI Dalla gran mole di informazioni e di dati di cui ora disponiamo si possono trarre un certo numero di osservazioni. Il telelavoro è, in generale, in una fase in cui va acquisendo importanza un po’ in tutti i continenti. I diversi contesti economici, culturali, sociali e anche linguistici, hanno fatto in modo che il fenomeno si presenti in vari di stadi di sviluppo a seconda delle aree geografiche. Non solo, ma la traiettoria evolutiva del telelavoro non è quasi mai la stessa se esaminata comparando le esperienze delle singole nazioni. Ci sono tutti gli elementi utili per poter affermare che è tuttora in atto un importante processo di trasformazione, il cui esito sarà un nuovo equilibrio in cui l’importanza relativa che le diverse forme di telelavoro hanno sarà molto diversa. Un gran numero di aspetti, che sono stati a lungo considerati tipici del telelavoro, stanno ora mutando, considerazioni sul telelavoro che si ritenevano scontate sono state rimesse in discussione dalle nuove realtà. L’innovazione tecnologica che è all’origine del telelavoro costituisce la premessa per ulteriori cambiamenti nella futura organizzazione del lavoro, nelle politiche incentivanti, nelle iniziative sovranazionali, negli ambienti di lavoro flessibile e nella massa critica delle imprese che intendono adottare strategie in favore del telelavoro. Un dato di fatto che probabilmente eserciterà un ruolo importante nei prossimi anni è rappresentato dalla tensione generalizzata verso un sistema di regole più leggero in termini di legislazione sull’impiego e sulle relazioni industriali. Se prendiamo ad esempio gli Stati Uniti possiamo notare che questi principi sono già ampiamente consolidati, ed anche nel Regno Unito, dove il telelavoro è relativamente progredito, molti di questi aspetti sono largamente condivisi. 212 Tuttavia in altre nazioni europee, come i Paesi nordici e la Germania, la vigenza di regole molto più rigide non impedisce al telelavoro di svilupparsi altrettanto rapidamente. In conclusione possono quindi trarsi le seguenti considerazioni: 1. Il telelavoro è ovunque in continua espansione fin dal suo apparire. Tale espansione ha subito un’accelerazione negli ultimi anni ed è probabile che sarà ancora così nei prossimi. 2. Il telelavoro sta progredendo a ritmi diversi nei diversi Paesi, in conseguenza delle differenti situazioni economiche, sociali e tecnologiche. 3. Il telelavoro è ancora concentrato essenzialmente nei Paesi industrializzati, ma i Paesi in via di sviluppo stanno recuperando rapidamente e diventeranno le nuove frontiere del telelavoro. 4. In molti Paesi industrializzati il telelavoro ha già raggiunto, o sta raggiungendo, la sua massa critica del 5% circa della forza lavoro totale. 5. In molte nazioni il telelavoro sta superando, o ha già superato, il lavoro tradizionale in diversi settori economici. 6. Benché sia ancora prevalente nel settore privato, il telelavoro si sta espandendo in modo sensibile anche nel settore pubblico. 7. Il lavoro mobile ed i call centers sembrano essere le forme di telelavoro con la crescita più rapida. 8. L’impatto del telelavoro in termini di occupazione è significativo. Esiste tuttavia il rischio che in un futuro non lontano l’occupazione, anche in settori che adesso stanno vivendo una fase di boom come ad esempio i call centers, possa declinare altrettanto velocemente, soprattutto nei Paesi più ricchi. 9. La tecnologia sta rendendo progressivamente più semplici i compiti del telelavoro, così le macchine sembrano essere perennemente sul punto di poter svolgere il lavoro che in precedenza veniva svolto dalle persone. E’ stato il caso delle funzioni di immissione dei dati ed è probabilmente il caso di un certo numero di funzioni dei call centers. 213 10. Le discipline giuridiche del telelavoro, nei Paesi in cui si siano già delineate a sufficienza, mostrano delle rilevanti similitudini. E' infatti possibile individuare alcune costanti pressoché universali: il diritto del lavoratore a svolgere al massimo la stessa quantità di lavoro e nello stesso modo in cui la svolgeva nell'ufficio tradizionale; l'obbligo del datore di lavoro di provvedere all’installazione dell’attrezzatura e del materiale necessari e di sostenere tutte le spese relative allo svolgimento dell’attività; il diritto del sindacato ad ispezionare le stazioni di lavoro a domicilio per verificare la rispondenza ai requisiti di sicurezza e di ergonomia; il diritto dei telelavoratori ad essere informati regolarmente in merito alle prospettive di lavoro ed alle possibilità di carriera; la necessità che tutti i contratti di telelavoro vengano negoziati congiuntamente da direzione aziendale e sindacati, in modo da impedire l’applicazione di termini e condizioni in peius. 214 CAPITOLO IV IL TELELAVORO E L’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO. SOMMARIO: - 1. Il Telelavoro negli atti dell’Unione Europea. – 2. Leggi e disegni di legge. – 3. Le leggi regionali. – 4. Gli accordi sindacali. – 4.1. L’accordo quadro europeo. - 5. La giurisprudenza. 4.1. IL TELELAVORO NEGLI ATTI DELL’UNIONE EUROPEA Le Comunità europee hanno sempre considerato il telelavoro come un importante volano per le politiche di sviluppo. Già nel 1993, nel “Libro bianco” dell’allora presidente della Commissione Jacques Delors, il telelavoro veniva considerato come strumento strategico sia sul versante della flessibilizzazione del mercato del lavoro e della riduzione del costo del lavoro, sia come fattore di sviluppo della società dell’informazione.1 Le attività industriali stavano evolvendosi in modo tale da rendere imprescindibile il ricorso alle nuove tecnologie nel campo delle telecomunicazioni. Queste tecnologie avrebbero permesso una migliore integrazione delle diverse fasi produttive, sia in funzione dello spazio sia in funzione del tempo. L’introduzione delle nuove tecnologie, la globalizzazione dei mercati e la competizione su scala internazionale hanno spinto le grandi aziende a ripensare il loro sistema produttivo. Come si è potuto vedere in seguito, tutto ciò ha generato nuove forme di organizzazione economica e 1 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, Crescita, competitività, occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo – Libro bianco, Bruxelles 05.12.1993, COM(93) 700 definitivo, Bollettino delle Comunità europee, Supplemento 6/93 215 sociale, la struttura delle quali non è più soggetta a limiti geografici, ma dipende in gran parte dalle reti di telecomunicazione. In questo contesto la Commissione delle Comunità Europee pensava al telelavoro come ad uno dei maggiori fenomeni sociali degli anni a venire. Le linee del messaggio politico della presidenza Delors furono in seguito riprese e ridefinite nel “Rapporto Bangemann”2, elaborato da un gruppo di eminenti personalità e presentato nel 1994 al Consiglio d’Europa. Attraverso il Rapporto Bangemann si esortava l’Unione ad affidarsi ai meccanismi del mercato, rimuovendo i vincoli e gli ostacoli derivanti dai contesti monopolistici e anticoncorrenziali che, allora come oggi, non permettevano all’Europa di superare le situazioni di svantaggio competitivo in cui si trovava. Le raccomandazioni contenute nel “Rapporto Bangemann” erano piuttosto numerose, in quanto venivano identificati ben dieci settori di intervento, tra i quali il telelavoro e l’insegnamento a distanza. Il telelavoro era indicato espressamente come uno degli obiettivi primari ed imprescindibili per la realizzazione di una nuova società dell’informazione. Anche in considerazione dei contenuti del “Libro bianco” di Delors e del “Rapporto Bangemann” il telelavoro nell’Unione Europea ha sempre ricevuto, in sede politica, un valido sostegno da parte della Commissione. Con l’intento di salvaguardare il modello europeo di equilibrio sociale, la Commissione ha messo a punto una duplice strategia che ha perseguito negli anni: da una parte si è puntato alla moderazione salariale, alla flessibilizzazione del mercato del lavoro e alla riduzione del costo del lavoro per i lavori meno qualificati; dall’altra, si è previsto lo sviluppo di una società europea dell’informazione, capace di competere in condizioni di parità con le altre grandi potenze economiche planetarie. 2 Cfr. Rapporto su “L’Europa e la Società dell’Informazione globale – Raccomandazioni al Consiglio Europeo”, presentato al Consiglio d’Europa il 26 maggio 1994 a Bruxelles, e meglio conosciuto come “Rapporto Bangemann” dal nome del coordinatore di un gruppo di venti personalità tra cui gli italiani Carlo De Benedetti e Romano Prodi. 216 In questo contesto la Commissione ha identificato il telelavoro come strumento di importanza strategica per realizzare entrambi gli obiettivi: aumentare la flessibilità e la produttività delle aziende e, nello stesso tempo, accrescere la competitività internazionale. Dal “Rapporto Bangemann” sono state ricavate le indicazioni necessarie affinché il telelavoro diventi una priorità per la Commissione. Il relativo progetto è divenuto operativo nel 1994 ed è stato aggiornato nel 1996 come «piano d'azione continuo», sulla base del successo ottenuto nella liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e nella realizzazione del Quarto Programma Quadro (1995-1998), soprattutto attraverso una gran quantità di misure di sostegno alla ricerca ed allo sviluppo tecnologico.3 Più recentemente la Commissione si è occupata anche dei problemi normativi e contrattuali inerenti il telelavoro, in particolare di quelli relativi alla protezione sociale, alla salute e alla sicurezza. La Direzione Generale V della Commissione dell'Unione Europea, che si occupa delle relazioni industriali e degli affari sociali, ha svolto, in collaborazione con la Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una ricerca sulle tre aree tematiche sopra indicate. Al termine della ricerca si è tenuto un convegno alla presenza di imprenditori, sindacati, governi ed esperti. Una volta individuate nel lavoratore subordinato e nel lavoratore autonomo le due principali figure di telelavoratore, la Confederazione sindacale europea ha proposto forme di contrattazione collettiva a livello nazionale, con alcune caratteristiche minime comuni a livello europeo, proponendo inoltre di generalizzare, in capo agli imprenditori committenti, 1'onere di provare l’eventuale insussistenza degli elementi caratteristici del rapporto subordinato. In ogni caso tutte le componenti interessate convennero sulla necessità di adeguare le normative, nazionali e comunitarie, in quanto assolutamente inadatte a governare questa nuova forma di lavoro. 3 Cfr. Commissione Europea “Status Report on European Telework - Telework 1998”, consultabile all’indirizzo: http://www.eto.org.uk/twork/tw98/ 217 L’esigenza di flessibilità, da cui sono scaturite la gran parte delle esperienze europee di telelavoro, rendeva obsolete le precedenti norme di diritto del lavoro, basate su una generale standardizzazione del tempo di lavoro e su una rigida distribuzione dei compiti. D'altra parte, sempre nel corso del convegno, emerse lo scarso interesse degli imprenditori e degli esperti verso una regolamentazione puntuale del fenomeno, pur essendo stata evidenziata la necessità di fissare un nucleo basilare di regole chiare, nonché di criteri e paradigmi di riferimento. Ad analoghe conclusioni è pervenuto anche il team europeo di ricerca che ha elaborato il progetto M.I.R.T.I. (Models of industrial relations in telework innovation), presentato alla Commissione Europea da parte dell'istituto IESS-AE (Istituto Europeo di Studi Sociali, Associazione Europea) e selezionato all'interno del programma “Applicazioni telematiche”.4 L’obiettivo finale del progetto divenuto operativo nel maggio 1996 era, a partire dalla concreta esperienza di alcuni casi di studio italiani, tedeschi e austriaci, la predisposizione di una serie di modelli di contratti di telelavoro che fossero applicabili su scala europea. Il primo rapporto intermedio, ultimato nell’agosto 1996 e incentrato sull’analisi dei bisogni degli utenti, evidenziò come lo scenario, al cui interno si sviluppano gli specifici bisogni dei lavoratori e delle aziende, può essere influenzato non solo da azioni che rispondono a logiche privatistiche, ma anche da iniziative di organismi pubblici locali, regionali e nazionali. Questi organismi pubblici, secondo il rapporto e come sembra logico anche ad un primo approccio, sarebbero in grado di cogliere o di influenzare i nuovi bisogni degli utenti, quindi le loro politiche possono avere un forte impatto sullo sviluppo del telelavoro, fungendo da correttivo verso le tendenze del mercato e favorendo, ad esempio, l’introduzione di forme di telelavoro nei settori in cui i privati sono più restii ad investire. L'altro tema sul quale il team di ricerca del progetto M.I.R.T.I. ha proseguito i lavori fino a produrre un secondo rapporto nel febbraio 1997, è quello della internazionalizzazione del mercato del lavoro. Attraverso il telelavoro le funzioni essenziali di un'impresa possono essere distribuite a 4 Il Programma Applicazioni Telematiche, o IV programma quadro comunitario di ricerca, fa parte delle attività svolte dalla XIII Direzione Generale dell’Unione Europea. 218 livello mondiale, seguendo le opportunità offerte dai vari differenziali di costo del lavoro e dalla distribuzione delle competenze necessarie. La ricerca ha appurato che le attuali forme di regolamentazione del lavoro quali la contrattazione nazionale e aziendale o la legislazione nazionale, sono divenute inadeguate rispetto ad un fenomeno che può assumere dimensioni potenzialmente vastissime.5 Ma la vera originalità del progetto M.I.R.T.I. è ben rappresentata dal fatto che, per la prima volta, tutti i soggetti interessati alle innovazioni basate sul telelavoro siano stati coinvolti attivamente nella ricerca ed abbiano partecipato, su di un piano di sostanziale parità, alla messa a punto di un quadro di riferimento valido per le imprese, le amministrazioni pubbliche ed i sindacati.6 Un altro sintomo, pur se meno evidente, dell’interesse delle istituzioni comunitarie verso il telelavoro, è rappresentato dalle interrogazioni scritte presentate dai parlamentari europei alla Commissione. La prima interrogazione risale al 1997, quando venne chiesto alla Commissione se stesse tenendo fede al suo impegno di presentare una raccomandazione che incoraggiasse gli Stati membri ad attuare la convenzione O.I.L. nel settore del telelavoro, fornendo così tutela a migliaia di telelavoratori a domicilio in tutta l’Unione Europea.7 Alcune altre interrogazioni riguardavano invece la concessione di aiuti alle imprese impegnate nel telelavoro o ancora lo stato di avanzamento delle indagini intraprese dall’Unione Europea in questo settore.8 5 Per un quadro completo del progetto M.I.R.T.I. cfr. www.telework-mirti.org Cfr. CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pagg. 135-198. 7 Cfr. Interrogazione scritta n. 1951/97 dell'on. Susan Waddington alla Commissione del 4 giugno 1997, Raccomandazione sul telelavoro, gazzetta ufficiale n. C 021 del 22.01.1998, pag. 125. 8 Cfr. Interrogazione scritta n. 2929/97 dell'on. Elly Plooij - Van Gorsel alla Commissione del 17 settembre 1997, Aiuti europei ad un'impresa olandese, gazzetta ufficiale n. C 117 del 16.04.1998 pag. 104, oppure Interrogazione scritta n. 1501/98 dell'on. Daniel Varela Suanzes-Carpegna alla Commissione del 13 maggio 1998, Società dell'informazione e coesione economica e sociale, gazzetta ufficiale n. C 013 del 18.01.1999 pag. 38, o ancora Interrogazione scritta n. 3963/98 dell'on. Peter Skinner del 21 dicembre 2001, Osservatorio delle relazioni industriali - Fondazione di Dublino, gazzetta ufficiale n. C 370 del 21.12.1999 pagg. 13, o infine Interrogazione scritta E-0392/01 di Johannes Voggenhuber (Verts/ALE) alla Commissione del 15 febbraio 2001, Sovvenzioni al Gruppo Euroteam, gazzetta ufficiale n. C 318E del 13.11.2001, pagg. 42-43 6 219 A seguito di un’interrogazione riguardante gli obiettivi strategici comunitari per il quinquennio 2000-2005 la Commissione, nella persona del suo Presidente, espresse l’intenzione di consultare le parti sociali sulla possibile adozione di disposizioni-quadro comunitarie, in settori specifici quali il telelavoro.9 Questa intenzione fu poi ribadita in un’altra risposta, nella quale il telelavoro veniva affiancato al part-time come strumento per ottenere un aumento della flessibilità sul posto di lavoro.10 Nello stesso periodo la Commissione fu investita del problema anche da parte del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, che adottarono una risoluzione specifica riguardante i possibili riflessi del telelavoro sull'occupazione e sulla dimensione sociale della società dell'informazione.11 Le ultime interrogazioni in ordine di tempo sono anche quelle che più ci interessano, in quanto hanno ad oggetto la regolamentazione comunitaria del telelavoro. Nel marzo 2001 due parlamentari europei hanno chiesto alla Commissione se esistesse, e in caso negativo se essa ritenesse utile promuovere, un’iniziativa legislativa destinata a stabilire a livello comunitario il quadro necessario per regolamentare il telelavoro, finalizzata ad armonizzare le disposizioni già esistenti ed a garantire parità ed equità di trattamento a tutti i telelavoratori. La Commissione ha risposto di aver già avviato una consultazione delle parti sociali sulla modernizzazione e sul miglioramento delle relazioni di lavoro europee, sottoponendo loro un documento dedicato in modo specifico al telelavoro. Le parti sociali avrebbero manifestato un grande interesse per questo argomento, dichiarando che un’azione comunitaria in questo settore sarebbe altamente auspicabile ed apporterebbe un notevole valore aggiunto. 9 Cfr. Interrogazione scritta E-0799/00 di Sami Naïr (PSE) alla Commissione del 16 marzo 2000, Comunicazione della Commissione sui suoi obiettivi strategici 2000-2005 e sul suo programma di lavoro per l'anno 2000 (documento COM(2000) 155 def.), gazzetta ufficiale n. C 053E del 20.02.2001, pagg. 25-27 10 Cfr. Interrogazione scritta E-2179/00 di Jaime Valdivielso de Cué (PPE-DE) alla Commissione del 7 luglio 2000, Occupazione, gazzetta ufficiale n. C 081E del 13/03/2001, pagg. 166-167 11 Cfr. Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 17 dicembre 1999, sull'occupazione e la dimensione sociale della società dell'informazione, Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C008 del 12/01/2000, pagg. 1-3 220 Tuttavia, anche se la Commissione ha affermato nella sua risposta che il telelavoro rappresenta un fattore di flessibilità, ha ritenuto opportuno precisare che il suo sviluppo non deve andare ad intaccare il sistema di garanzie posto a tutela dei lavoratori. Per questo motivo la Commissione europea considera necessaria l’introduzione di regole che da un lato disciplinino la pratica del telelavoro, ma dall’altro non ne frenino lo sviluppo. La Commissione ha quindi precisato di aver sottoposto all’attenzione delle parti sociali un elenco di principi generali e di condizioni riguardanti i seguenti aspetti pratici: diritto al rientro volontario; garanzia del mantenimento dello statuto dei lavoratori; garanzia della parità di trattamento; accesso alle informazioni per i telelavoratori; assunzione delle spese da parte del datore di lavoro; garanzia dell’offerta di una formazione adeguata; tutela in materia di igiene e di sicurezza; orario di lavoro; protezione della vita privata e dei dati personali; mantenimento del contatto con l’impresa; diritti collettivi dei telelavoratori e accesso al telelavoro.12 Il 18 maggio 2000 la Commissione ha anche provveduto all’istituzione di un gruppo di lavoro ad hoc sul telelavoro, allo scopo di elaborare un parere su un’eventuale azione comunitaria riguardante i temi della salute e della sicurezza in rapporto al telelavoro stesso.13 Tutti questi temi sono stati affrontati e dibattuti a fondo dalle parti sociali nel corso di una serie di incontri destinati a raggiungere un accordo da attuarsi per il tramite dei loro membri nazionali, conformemente all’articolo 139, paragrafo 2, del Trattato dell'Unione Europea, sfociata l’anno successivo nella stesura dell’accordo quadro europeo sul telelavoro.14 12 Cfr. Interrogazione scritta E-0775/01 di Juan Naranjo Escobar (PPE-DE) alla Commissione del 13 marzo 2001, Regolamentazione comunitaria del telelavoro, gazzetta ufficiale n. C318E del 13.11.2001, pag. 119, e Interrogazione scritta E-1012/01 di Salvador Garriga Polledo (PPE-DE) alla Commissione del 30 marzo 2001, Regolamentazione comunitaria del telelavoro, gazzetta ufficiale n. C 318E del 13.11.2001, pagg. 119-120 13 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, 25ª relazione annuale d’attività del comitato consultivo per la sicurezza, l’igiene e la tutela della salute sul luogo di lavoro 2000, Bruxelles 15/02/2002, COM(2001) 52 definitivo. 14 Cfr. Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 sul telelavoro, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP), mentre sui lavori delle parti sociali cfr. Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al comitato economico e sociale e al comitato delle Regioni - Quadro di valutazione dei progressi compiuti nell’attuazione dell’agenda per la politica sociale, Bruxelles 19/02/2002, COM(2002) 89 definitivo 221 Oltre che nelle interrogazioni dei parlamentari europei possiamo rilevare un sintomo dell’attenzione prestata dagli organi comunitari verso il telelavoro anche nei pareri che, in particolari occasioni, elabora il Comitato economico e sociale dell’Unione Europea. Il primo di questi pareri a citare testualmente il telelavoro è piuttosto recente. In un contesto più ampio, rappresentato dalle innovazioni nel mercato del lavoro derivanti dalle nuove tecnologie, il Comitato economico e sociale ha affermato che il telelavoro “costituisce uno degli indicatori più visibili del cambiamento dell'organizzazione del lavoro e del rapporto di lavoro” e che solo “se i diritti ed i doveri di quanti sono impegnati nel telelavoro e dei rispettivi datori di lavoro saranno garantiti da un adeguato quadro giuridico, sarà possibile promuovere tale forma di lavoro”. Nella stessa occasione è stato affermato anche che “Occorre assicurare la parità di trattamento dei lavoratori impegnati nel telelavoro ai quali bisogna in particolare garantire l'accesso, tramite reti aziendali, ad informazioni di base concernenti la sicurezza e la tutela della salute nonché i diritti di partecipazione”.15 Come ben si vede si tratta di enunciazioni di notevole portata, che evidenziano in modo molto chiaro quale sia il pensiero degli organi tecnici dell’Unione Europea in merito a quella che dovrebbe essere la futura regolamentazione del telelavoro. Anche in riferimento al progetto eEurope 200216 il Comitato economico e sociale ha sottolineato il ruolo fondamentale di questa forma di lavoro come possibile strumento di sviluppo per le zone geograficamente e storicamente meno favorite, grazie soprattutto alla diffusione dell’uso di Internet.17 Il Consiglio europeo adottando il piano d’azione e-Europe 2002, ha definito le strategie necessarie per lo sviluppo e la diffusione generalizzata di iniziative di promozione dell’informatica. Queste iniziative non si limitano solo al settore pubblico, ma da e-Europe hanno tratto ispirazione 15 Cfr. Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Nuovi saperi Nuovi impieghi", gazzetta ufficiale n. C 014 del 16/01/2001, pagg. 103-113. 16 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, eEurope 2002 – Una società dell’informazione per tutti – progetto di piano d’azione, preparato dalla Commissione europea in vista del Consiglio europeo di Feira 19-20 giugno 2000, Bruxelles 24.05.2000, COM(2000) 330 definitivo. 17 Parere del Comitato economico e sociale sul tema eEurope 2002 Una società dell'informazione per tutti Progetto di piano d'azione, gazzetta ufficiale n. C 123 del 25/04/2001, pagg. 36-46. 222 anche molte aziende private. In questo contesto pure il Governo italiano ha inquadrato il proprio piano d’azione per l’e-government, varato nel giugno del 2000.18 In modo analogo è stato riconosciuto il legame esistente tra telelavoro e commercio elettronico, le cui ripercussioni “sia per i lavoratori che per gli imprenditori, devono essere valutate dagli interlocutori sociali. Va fatta particolare attenzione al rispetto delle disposizioni di protezione del diritto del lavoro e della sicurezza e della salute sul posto di lavoro. L'accesso sindacale alle imprese e la rappresentanza da parte dei comitati del personale debbono essere garantiti”.19 In un successivo parere il Comitato economico e sociale ha preso atto del fatto che il lavoro in rete, sia nella propria abitazione sia nei telecentri, è un processo già avviato, ma la sua diffusione è condizionata da numerosi elementi, il primo dei quali è il livello di utilizzo delle nuove tecnologie, che è ancora molto differenziato nei vari Stati membri. Il telelavoro, oltre agli evidenti connotati tecnologici ed economici, secondo il Comitato “comporta anche dei corollari non trascurabili su alcuni versanti socio-ambientali che dovrebbero essere evidenziati nell'ambito delle azioni innovative. Può infatti contribuire alle politiche per un trasporto sostenibile, può aiutare la coesione territoriale arrestando la tendenza allo spopolamento nei centri più disagiati, si sta dimostrando uno strumento importante per accrescere le quote di occupazione femminile e giovanile”.20 Tuttavia la conoscenza e la misurazione della portata dei rischi relativi alla salute e alla sicurezza legati alle nuove forme di lavoro come il telelavoro, nonché alla natura e allo sviluppo dei lavori temporanei e precari, sono ancora limitati. Taluni istituti di ricerca e di statistica nazionali hanno già compiuto dei progressi nella raccolta dei dati relativi a questo tipo di rischi, ma il 18 Cfr. Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, Relazione annuale 2000, vol. I, rapporto sull’attività. Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Ripercussioni del commercio elettronico sul mercato unico (OMU)", gazzetta ufficiale n. C 123 del 25/04/2001, pagg. 1-10. 20 Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Le regioni nella nuova economia: Orientamenti relativi alle azioni innovative del FESR nel periodo 2000-2006", gazzetta ufficiale n. C 221 del 07/08/2001, pagg. 97-102. 19 223 Comitato economico e sociale ha auspicato un'armonizzazione di tali ricerche negli Stati membri, al fine di proteggere meglio i lavoratori interessati lungo tutto l'arco della vita.21 Le istituzioni comunitarie si sono occupate di telelavoro anche con lo strumento normativo rappresentato dalle decisioni. La ricerca testuale del vocabolo telelavoro permette la sua evidenziazione in una decina di decisioni degli organi comunitari, anche se si tratta di citazioni per lo più incidentali. La prima decisione ad occuparsi in qualche modo di telelavoro risale addirittura al 1995. Nel dettare una serie di orientamenti per lo sviluppo di Euro- RNIS (rete numerica integrata di servizi) come rete transeuropea, il Parlamento ed il Consiglio proponevano, tra gli altri obiettivi, la promozione del telelavoro per poterne dimostrare i vantaggi.22 Due anni dopo il Parlamento ed il Consiglio, trattando ancora una volta di reti di telecomunicazione transeuropee, si sono spinti più in là, affermando nelle premesse di una loro decisione23 “che le applicazioni relative al telelavoro devono tenere segnatamente in considerazione la legislazione concernente i diritti dei lavoratori applicabile negli Stati membri”. Inoltre la decisione in questione affermava che la promozione del telelavoro in uffici decentrati e, laddove possibile, a domicilio, avrebbe offerto “nuove forme di flessibilità a livello di luoghi di lavoro e di organizzazione del lavoro stesso. Decentrando le attività professionali, il telelavoro può contribuire a ridurre gli effetti ambientali prodotti dal pendolarismo giornaliero verso i centri urbani. Lo sviluppo del telelavoro potrà essere sostenuto mediante la realizzazione di progetti che mettano a disposizione dei telelavoratori strumenti telematici individuali e creino centri di telelavoro per i lavoratori itineranti. Un'attenzione particolare va riservata alla valutazione e alla presa in considerazione delle conseguenze sociali di tali applicazioni”. 21 Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Miglioramento della dimensione qualitativa della politica sociale ed occupazionale", gazzetta ufficiale n. C 311 del 07/11/2001, pagg. 54-59. 22 Cfr. Decisione n. 2717/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 novembre 1995, relativa ad una serie di orientamenti per lo sviluppo di Euro- RNIS (rete numerica integrata di servizi) come rete transeuropea, gazzetta ufficiale delle Comunità europee L282 del 24/11/1995, pagg. 16-20. 23 Cfr. Decisione n. 1336/97/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 1997 in merito a una serie di orientamenti sulle reti, Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 183 dell’11/07/1997, pagg. 12-20. 224 Risulta ben evidente che in questa decisione erano già reperibili i principi fondamentali e le linee di sviluppo che, come detto in precedenza, hanno condotto al recente accordo quadro europeo sul telelavoro. Altre decisioni hanno successivamente sfiorato il tema del telelavoro, per lo più in maniera incidentale, senza offrire ulteriori spunti di particolare interesse, segno evidente della scelta del legislatore europeo di delegare alla parti sociali la definizione di un più ampio quadro normativo sull'argomento.24 24 Cfr. Decisione della Commissione 1997/781/CE del 29 ottobre 1997; Decisione della Commissione 1999/686/CE del 25 febbraio 1998; Decisione del Consiglio 1999/168/CE del 25 gennaio 1999; Decisione del Consiglio 1999/169/CE del 25 gennaio 1999; Decisione del Consiglio 1999/382/CE del 26 aprile 1999. 225 4.2. LEGGI E DISEGNI DI LEGGE Lo sviluppo delle nuove tecnologie, ed in particolare di quelle informatiche, ha comportato due conseguenze principali. In primo luogo si è posto un problema di regole e garanzie a livello individuale e collettivo. In seconda battuta si è avuto una sensibile modificazione nel sistema degli investimenti, con importanti conseguenze strutturali sui sistemi economici. In entrambi i casi si sono venute a creare delle condizioni per un intervento del legislatore, tendente ad orientare e disciplinare le nuove realtà che continuamente vengono a crearsi. E’ questo il caso tipico del lavoro a distanza, reso possibile proprio dallo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni. In tale contesto il Parlamento italiano è stato tra i primi in Europa ad affrontare la questione della regolamentazione del telelavoro, aprendo innanzitutto la strada al lavoro a distanza nel pubblico impiego.25 Se lo Stato italiano, noto per la cauta lentezza nel processo di rinnovamento del pubblico impiego, ha provveduto tempestivamente ad introdurre la possibilità di telelavorare per alcune categorie di impiegati statali, vuol dire che il telelavoro è ormai un dato di fatto indiscutibile ed ineluttabile. Ed in effetti l’Italia ha assunto, negli ultimi anni del secolo scorso, il ruolo di nazione guida tra i paesi dell’Unione Europea in materia di regole per l’ammodernamento della pubblica amministrazione. La possibilità di utilizzare il telelavoro nelle amministrazioni pubbliche si è infatti coniugata con il pieno riconoscimento legislativo della firma digitale, con la validità dei documenti elettronici, con la diffusione della carta d’identità elettronica.26 25 Cfr. la c.d. legge Bassanini ter, dal cognome del Ministro della Funzione pubblica allora in carica, Legge 16 giugno 1998, n. 191 “Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica” (G.U. n. 142 del 20.06.1998) 26 Cfr. Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, Relazione annuale 2000, vol. I, rapporto sull’attività. 226 Anche per quanto riguarda il settore dell’impiego privato non sono mancate le proposte di legge, nonostante non siano ancora sfociate in un testo legislativo organico. In realtà esiste poi tutta una serie di fonti del diritto che, per lo più incidentalmente, regolano alcuni aspetti marginali del telelavoro. Si tratta di un numero limitato di leggi, decreti legislativi e circolari ministeriali dagli scopi e dai contenuti quanto mai eterogenei. Sono inoltre reperibili ulteriori disposizioni, talvolta piuttosto risalenti, che tuttavia rivestono ancor oggi caratteri di attualità e sembrano dettate per poter disciplinare anche alcuni aspetti particolari del lavoro a distanza. E’ ad esempio il caso dello statuto dei lavoratori, laddove ad esempio vieta “l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”, controllo che, come vedremo meglio nel capitolo dedicato agli aspetti giuslavoristici del telelavoro, è diventato particolarmente permeante con lo sviluppo delle nuove tecnologie informatiche e telecomunicative.27 Un altro esempio può essere ricavato dalla disciplina sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori durante il lavoro, la quale prevede un intero titolo dedicato all’uso di attrezzature munite di videoterminali.28 Tuttavia, ai fini della nostra esposizione, ci si limiterà ad un’analisi approfondita delle sole disposizioni riguardanti in modo specifico il telelavoro, a partire dalla legge che rappresenta la pietra angolare dell’attuale costruzione normativa, la legge 16 giugno 1998 n. 191, altrimenti conosciuta come legge Bassanini ter.29 Nel tentativo di rivisitare in modo incisivo l’apparato pubblico, sia sotto il profilo istituzionale sia sotto quello dei rapporti fra Stato, Regioni ed enti locali, nel 1997 il legislatore stabilì un 27 Cfr. Legge 20 maggio 1970, n. 300, “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, art. 4 Impianti audiovisivi, (G.U. n. 131 del 27.05.1970). Tale principio è stato recentemente ribadito dall’art. 114 del d.lgs. n. 196 del 30.06.2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, vedi infra 28 Cfr. Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche ed integrazioni, “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42, 98/24 e 99/38 riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”, (G.U. n. 265 del 12.11.1994, s.o. n. 141) 29 Cfr. Legge 16 giugno 1998, n. 191, cit. 227 complesso meccanismo di adempimenti per la Pubblica Amministrazione, e questo meccanismo fu messo in moto con le leggi n. 5930 e n. 12731. Il passo successivo fu compiuto dal Governo con la presentazione di un disegno di legge di iniziativa del Presidente del Consiglio di concerto con i Ministri della Funzione pubblica e del Tesoro che, tra l’altro, proponeva in maniera esplicita l’introduzione di una nuova disciplina concernente le forme di lavoro a distanza nelle Pubbliche Amministrazioni, al fine di incrementare la flessibilità del lavoro pubblico.32 La successiva approvazione della legge 16 giugno 1998, n. 191 ha introdotto in Italia il telelavoro nel settore pubblico, fornendo una prima base legislativa al fenomeno. In realtà un solo articolo di tutta la legge tratta del telelavoro, ma lo fa in modo piuttosto dettagliato ed analitico.33 Allo scopo di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche italiane possono avvalersi dal 1998 delle diverse forme del telelavoro. 30 Cfr. Legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa", (G.U. n. 63 del 17.03.1997), detta anche Legge Bassanini 31 Cfr. Legge 15 maggio 1997, n. 127, “Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”, (G.U. n. 113 del 17.05.1997, s.o.), la cosiddetta legge Bassanini bis 32 Per i lavori parlamentari propedeutici all’emanazione della legge n. 191 del 1998, cfr. CONTALDO, Il telelavoro nel pubblico impiego: prospettive di politica del diritto, Informatica e diritto, n. 1, 1998, pp. 35-43 33 Cfr. l’articolo 4 della legge 16 giugno 1998 n. 191 cit. (Telelavoro): “1. Allo scopo di razionalizzare l'organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, possono avvalersi di forme di lavoro a distanza. A tal fine, possono installare, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell'adempimento della prestazione lavorativa. 2. I dipendenti possono essere reintegrati, a richiesta, nella sede di lavoro originaria. 3. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono disciplinate le modalità organizzative per l'attuazione del comma 1 del presente articolo, ivi comprese quelle per la verifica dell'adempimento della prestazione lavorativa, e le eventuali abrogazioni di norme incompatibili. Le singole amministrazioni adeguano i propri ordinamenti ed adottano le misure organizzative volte al conseguimento degli obiettivi di cui al presente articolo. 4. Nella materia di cui al presente articolo le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono con proprie leggi. 5. La contrattazione collettiva, in relazione alle diverse tipologie del lavoro a distanza, adegua alle specifiche modalità della prestazione la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro dei dipendenti interessati. Forme sperimentali di telelavoro possono essere in ogni caso avviate dalle amministrazioni interessate, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, dandone comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica”. 228 Questo obiettivo può essere raggiunto, nel rispetto delle disponibilità di bilancio, attraverso l’installazione delle necessarie attrezzature in luoghi diversi dalla sede di lavoro abituale. Tuttavia il dipendente dovrà essere formalmente autorizzato a telelavorare, senza pregiudizio alcuno sulla retribuzione ed a condizione che vengano predeterminate le modalità di verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa. La legge n. 191 prevede poi che la scelta di telelavorare nell'ambito di una pubblica amministrazione sia revocabile unilateralmente da parte del dipendente, con conseguente reintegro nella sede di lavoro originaria. La stessa legge affida inoltre alla contrattazione collettiva l’adeguamento della disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro alle specifiche modalità della prestazione telelavorativa. Nel caso in cui vengano avviate delle forme sperimentali di telelavoro all'interno delle pubbliche amministrazioni occorrerà comunque consultare sempre le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (o A.I.P.A., oggi Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, o C.N.I.P.A.), dandone sempre comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Viene inoltre demandato alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano il compito di legiferare in materia di telelavoro, nel rispetto dei principi generali dettati dalla legge n. 191. In ultimo la legge stabilisce che spetta al governo, nell’esercizio del proprio potere regolamentare, emanare la disciplina di dettaglio per ciò che concerne la concreta messa in opera del telelavoro nelle amministrazioni pubbliche, provvedendo in particolare a definire le modalità di verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa, e ad abrogare tutte le norme eventualmente incompatibili. 229 Questa previsione legislativa ha consentito l’emanazione della seconda fonte di cognizione sul telelavoro presente nel nostro ordinamento giuridico, il decreto del Presidente della Repubblica n. 70 dell’8 marzo 1999.34 A quanto è dato sapere si tratta della prima disciplina dettagliata sull’applicazione del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, non solo in Italia ma anche in Europa.35 La strada che ha portato all'emanazione del regolamento, con il coinvolgimento diretto del C.N.I.P.A., ha però dovuto tener conto di alcuni limiti posti dal legislatore. Innanzitutto un vincolo di bilancio legato alle disponibilità finanziarie per l’allestimento dei collegamenti telefonici e telematici; in secondo luogo la necessaria autorizzazione ai dipendenti per poter effettuare prestazioni lavorative in luogo diverso dalla sede abituale; quindi la necessità di salvaguardare l’identità di trattamento economico e retributivo tra i dipendenti delle sedi operative delle pubbliche amministrazioni e quelli operanti al di fuori di esse; infine l’individuazione precisa delle modalità per l’adempimento della prestazione lavorativa.36 Ad ogni buon conto questo regolamento ha permesso ai pubblici dipendenti di lavorare da casa, così come già accadeva, sulla scorta dei contratti collettivi di settore o aziendali, per i dipendenti delle aziende private e per i liberi professionisti. La grande portata innovativa del regolamento in questione non è stata però foriera di effetti né automatici né immediati. Esso infatti ha definito solo le norme minime necessarie per attivare le nuove forme di lavoro a distanza, lasciando alle singole amministrazioni ampi margini di autonomia per modellarne la realizzazione concreta, in base alle diverse e specifiche esigenze di ogni ufficio. 34 Cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.70, “Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191”, (G.U. n. 70 del 25.03.1999). Per un commento estremamente analitico cfr. CASSANO, 2000, in: http://www.telelavoro.rassegna.it/LEGGE/gcassano.htm, mentre per una sintesi cfr. “Arriva il telelavoro nel pubblico impiego” editoriale pubblicato senza firma sul quotidiano La Repubblica del 25 febbraio 1999. 35 Per un esame approfondito del tema cfr. DI NICOLA (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 36 Un’attenta disamina del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70, si trova in MASSI, Il telelavoro tra P.A. e settore privato: problemi e prospettive, Diritto & pratica del lavoro, n. 19, 1999, pp. 1285-1289. 230 Dalla lettura del testo regolamentare emerge subito la presenza delle definizioni di lavoro a distanza e di telelavoro.37 Si tratta tuttavia di definizioni piuttosto limitate, in quanto riferite al ristretto ambito di applicazione della disposizione. Tuttavia, per ragioni di completezza del discorso va sottolineato che il regolamento considera sostanzialmente fungibili il termine telelavoro e l’espressione lavoro a distanza, in quanto indicanti una prestazione di lavoro eseguita dai dipendenti delle amministrazioni pubbliche in qualsiasi luogo ritenuto tecnicamente idoneo, purché collocato al di fuori della sede di lavoro tradizionale, e con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, le quali consentano il collegamento con l'amministrazione stessa. Risulta essere più puntuale la disciplina dettata dall’articolo 3 circa i progetti di telelavoro nelle pubbliche amministrazioni. L’organo di governo di ciascuna amministrazione, in base alle proposte dei dirigenti responsabili, deve individuare degli obiettivi raggiungibili tramite il ricorso al telelavoro, convogliandovi le risorse necessarie. Di conseguenza i progetti devono indicare tali obiettivi, specificandone tempi e modalità di realizzazione, e stabilendo dei criteri per la successiva verifica. Le motivazioni che hanno costituito le fondamenta del regolamento in questione sono le stesse che hanno portato all’implementazione del telelavoro nelle aziende private, in quanto fanno riferimento ad obiettivi di razionalizzazione organizzativa e di economia gestionale, lasciando però da parte tutti i possibili riferimenti alle tematiche culturali, ambientali e di flessibilità sottese al fenomeno. Il regolamento n. 70 del 1999 fa inoltre emergere una concezione parziale del telelavoro, concepito essenzialmente nel suo aspetto limitato di trattamento remoto dei dati e quindi rivolto 37 Cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, art. 2 (Definizioni): “1. Ai fini del presente decreto s'intende: a) per "lavoro a distanza" l'attività di telelavoro svolta in conformità alle disposizioni del presente decreto; b) per "telelavoro" la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce; c) per "sede di lavoro" quella dell'ufficio al quale il dipendente e' assegnato”. 231 esclusivamente alle mansioni di livello più basso. Sarebbe stato forse più utile lasciare una maggiore autonomia ai dirigenti pubblici, offrendo loro la possibilità di compiere scelte diversificate, tenendo conto di ulteriori elementi rispetto all’efficienza ed alla competitività.38 Circa la disciplina degli aspetti più pratici, l’art. 4 del regolamento n. 70 chiarisce alcuni punti essenziali. Quando l'amministrazione assegna il dipendente al telelavoro deve farlo nel rispetto dei criteri generali previsti dalla contrattazione collettiva ed a condizione che questi consentano un’effettiva valorizzazione dei benefici sociali e personali del telelavoro. Inoltre la sede in cui la prestazione di telelavoro può venire effettuata è di norma identificata nel domicilio del dipendente, purché in esso vi sia un ambiente di lavoro conforme alle norme generali di prevenzione e sicurezza delle utenze domestiche, e che tale conformità venga verificata preventivamente dall'amministrazione. L’art. 4 sancisce poi ancora una volta l’applicazione del principio di reversibilità alla scelta di telelavorare. Pertanto il dipendente addetto al telelavoro può, in ogni momento, richiedere all'amministrazione di appartenenza di essere reintegrato nella sede di lavoro originaria, ma potrà farlo solo per iscritto e dopo che sia trascorso almeno un congruo periodo di tempo fissato dal progetto predisposto dall’amministrazione pubblica. Il successivo articolo 5 tratta delle caratteristiche che deve possedere la postazione di telelavoro casalinga, intesa come “sistema tecnologico costituito da un insieme di apparecchiature e di programmi informatici, che consente lo svolgimento di attività di telelavoro”.39 La postazione di telelavoro ed i collegamenti telematici ad essa necessari devono sempre essere messi a disposizione, installati e collaudati a cura ed a spese dell'amministrazione interessata, sulla quale gravano altresì i successivi costi di manutenzione e gestione. Sulla base di una specifica analisi dei rischi, l'amministrazione deve poi garantire un adeguato livello di sicurezza delle comunicazioni tra la postazione di telelavoro ed il proprio sistema 38 39 In tal senso si esprime DI NICOLA, cit. così l’art. 5.1 del cit. D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70. 232 informativo, garantendo al lavoratore adeguate comunicazioni con il contesto organizzativo nel quale opera. A fronte di questi oneri posti in capo all’amministrazione pubblica, l’art. 5 impone al lavoratore il divieto di utilizzare la postazione di telelavoro per attività che non siano strettamente inerenti al rapporto di lavoro. Il compito di fissare eventuali regole tecniche, con riferimento alla rete unitaria delle pubbliche amministrazioni, alle tecnologie per l'identificazione, alle esigenze di adeguamento all'evoluzione scientifica e tecnologica ed alla tutela della sicurezza dei dati, viene poi demandato dall’art. 6 al C.N.I.P.A. Il successivo art. 7 tratta di alcuni aspetti che sono più intimamente connessi con la prestazione lavorativa. Esso affida ai dirigenti che saranno responsabili dei progetti di telelavoro la verifica dell'adempimento della prestazione, secondo parametri qualitativi e quantitativi che devono essere predefiniti nei progetti ed orientati, in linea di massima, al raggiungimento di obiettivi di risultato. Anche in questo caso emerge una visione piuttosto ristretta del lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni, visione che caratterizza un po’ tutto l’impianto normativo italiano, in quanto riferito solo a prestazioni lavorative meramente esecutive. Nel solco di tale impostazione si colloca anche l’art. 8, rimandando alla contrattazione collettiva il compito di adeguare alle specifiche modalità della prestazione telelavorativa la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro. La contrattazione collettiva dovrà però garantire, in ogni caso, un trattamento per lo meno equivalente a quello goduto dai dipendenti impiegati nella sede di lavoro tradizionale, prestando particolare attenzione alla tutela della salute e della sicurezza dei telelavoratori. Allo stesso modo spetterà alla contrattazione collettiva definire le modalità, i giorni e le fasce orarie, per l'accesso al domicilio del telelavoratore da parte dei soggetti aventi competenza in materia di controlli sulla salute e sulla sicurezza ed a fini di manutenzione delle attrezzature. 233 Il regolamento peraltro non esclude che i diversi uffici della pubblica amministrazione possano raggiungere tra loro degli accordi per utilizzare congiuntamente immobili, infrastrutture e risorse, creando così dei veri e propri centri di telelavoro satellite, distinti e lontani dalla sede centrale. Appare quindi in tutta evidenza come le due fonti appena citate, ossia la legge n. 191 ed il D.P.R. n. 70, sebbene non rappresentino una rivoluzione copernicana quanto a contenuti normativi, costituiscano comunque un momento fondamentale nel processo di regolamentazione del telelavoro in Italia, pur se nell’ambito limitato della pubblica amministrazione. L’intervento del legislatore ha avuto l’indiscusso merito di mettere per iscritto, ai più alti livelli, una disciplina minima fino ad allora largamente condivisa ma consacrata esclusivamente da accordi contrattuali che, come tali, avevano una portata normativa parziale e non così vincolante come quella di una legge o di un regolamento governativo. Alla disciplina generale ha poi fatto seguito una normazione di dettaglio piuttosto estesa. Il C.N.I.P.A., ad esempio, ha emanato una delibera, ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70, per regolare gli aspetti tecnici del telelavoro avendo come riferimento la rete unitaria delle pubbliche amministrazioni.40 Questo provvedimento ha fornito alcune prescrizioni di dettaglio destinate a regolare l’attività domiciliare dei telelavoratori. In particolare i pubblici dipendenti non potranno utilizzare Internet per scaricare programmi non attinenti al lavoro che sono chiamati a svolgere. Nel caso di guasti o anomalie, l'amministrazione avrà il potere-dovere di intervenire tempestivamente per ripristinare le normali condizioni di lavoro, mentre le postazioni di lavoro destinate a persone con disabilità motorie e sensoriali dovranno essere opportunamente attrezzate con tutti gli ausili necessari per operare efficacemente. Il documento del C.N.I.P.A. sottolinea l'importanza che riveste la sicurezza delle comunicazioni per un buon funzionamento dell'e-working. Per questo motivo dovrà sempre essere 40 Cfr. Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, deliberazione n. 16/2001 del 31.05.2001, Regole tecniche per il telelavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n. 70. 234 possibile identificare gli addetti al telelavoro e rilevare le operazioni più significative da essi svolte. Parallelamente si dovrà impedire un uso indiscriminato delle connessioni a Internet, l'accesso alla rete in orari diversi da quelli di lavoro, e comunque da quelli consentiti dal piano di sicurezza aziendale. Tornando al legislatore va sottolineato come il suo crescente interesse per il telelavoro negli ultimi anni del secondo millennio, sia ben documentato dall’approvazione di un’altra legge che, sebbene votata per fini più generali, dedicava un paio di disposizioni al lavoro a distanza. Negli stessi giorni in cui veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.P.R. n. 70 entrava in vigore la legge n. 68 del 12 marzo 1999 sul diritto al lavoro dei disabili, la quale nel suo articolato citava più volte il telelavoro.41 Questa legge nel determinare all’art. 4 i criteri di computo della quota di riserva, ossia del numero di soggetti disabili da assumere da parte di ciascuna azienda, esclude dal computo i dipendenti con contratto a tempo determinato di durata non superiore a nove mesi, i soci di cooperative di produzione e lavoro, nonché i dirigenti, mentre include nel computo i lavoratori disabili dipendenti occupati con modalità di telelavoro, ai quali l'imprenditore affida una quantità di lavoro atta a procurare loro una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro. In questo modo la legge n. 68 finisce con l’equiparare i telelavoratori ai lavoratori tradizionali, ai limitati fini della legge stessa, assumendo come riferimento la quantità di lavoro svolta. In altre parole, se i telelavoratori disabili esercitano una mole di lavoro che garantisca un impegno equivalente ad un orario di lavoro normale, vengono equiparati ai telelavoratori non disabili ai fini del computo della quota di riserva. L’art. 13 della stessa legge concede poi delle agevolazioni ai datori di lavoro privati che assumano lavoratori disabili. In tale contesto è previsto anche il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro da tradizionale a telelavorativo. 41 Cfr. Legge 12 marzo 1999, n. 68, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” (G.U. n. 68 del 23.03.1999, s.o. n. 57) 235 Più recentemente la legge n. 4 del 9 gennaio 2004, nel disporre misure per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, ha stabilito che “la concessione di contributi pubblici a soggetti privati per l'acquisto di beni e servizi informatici destinati all'utilizzo da parte di lavoratori disabili o del pubblico, anche per la predisposizione di postazioni di telelavoro, è subordinata alla rispondenza di tali beni e servizi ai requisiti di accessibilità”. Quindi l'accessibilità degli strumenti informatici alle diverse tipologie di disabilità diventa conditio sine qua non per la concessione di contributi per il loro acquisto, anche in funzione di un ipotetico utilizzo a fini telelavorativi. La stessa legge obbliga poi i datori di lavoro, sia pubblici che privati, a porre a disposizione del telelavoratore dipendente disabile la strumentazione hardware e software e la tecnologia assistiva adeguata alla specifica disabilità, tenuto conto delle mansioni effettivamente svolte.42 Altre leggi, o atti aventi forza di legge, hanno analogamente tenuto conto dell’esistenza del fenomeno rappresentato dal telelavoro. Un esempio si rinviene nella legge 8 marzo 2000, n. 53. L’art. 9 stabiliva che a decorrere dall’anno 2000 una quota pari almeno a 20 miliardi di lire annue del Fondo per l’occupazione (di cui alla legge 19 luglio 1993, n. 236) servisse ad erogare dei contributi alle imprese fino a cinquanta dipendenti che avessero applicato nei loro accordi contrattuali delle azioni positive per la flessibilità, tra le quali figurava anche l’introduzione del telelavoro.43 42 Cfr. Legge 9 gennaio 2004, n. 4, “Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” (G.U. n. 13 del 17.01.2004) 43 Cfr. Legge 8 marzo 2000, n. 53, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” (G.U. n. 60 del 13.03.2000); l'art. 9 è stato di recente sostituito dalla legge finanziaria 2007, legge 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (G.U. n. 299 del 27.12.2006, s.o. n. 244) con il seguente testo: Al fine di promuovere e incentivare azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, nell'ambito del Fondo delle politiche per la famiglia di cui all'articolo 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e' destinata annualmente una quota individuata con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinati ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende, aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere che applichino accordi contrattuali che prevedano azioni positive per le finalita' di cui al presente comma, ed in particolare: a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilita' degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part time, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilita' sui turni, orario concentrato, con priorita' per i genitori che abbiano bambini fino a dodici anni di eta' o fino a quindici anni, in caso di affidamento o di adozione, ovvero figli disabili a carico - omissis 236 Ed in effetti un successivo decreto interministeriale ha definito le modalità di erogazione di questi contributi, stabilendo che tra le condizioni di ammissibilità al finanziamento rientrino tutte quelle azioni articolate per consentire alla lavoratrice madre, o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino a otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione.44 Al proposito una circolare ministeriale ha affermato che tra gli interventi finanziabili in concreto possano rientrare “l’acquisto e l’installazione di postazioni per il telelavoro, l’acquisto dei relativi software, l’acquisto e la collocazione di orologi marcatempo per particolari forme di flessibilità degli orari”.45 In modo analogo un’altra circolare, questa volta riferentesi alla legge 7 agosto 1997, n. 266, che all’art. 20 stabilisce degli incentivi al reimpiego di personale con qualifica dirigenziale, impegna le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative ad erogare servizi utili all’applicazione del telelavoro mediante l’avvio di progetti pilota.46 Sempre nell’ambito delle politiche di sostegno alla genitorialità si è anche espresso il Comitato Nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro, secondo il quale tra le priorità vi sarebbe la necessità di lanciare un piano d’azione nazionale: “Un piano di conciliazione e valorizzazione della paternità darebbe senso e forza alle misure già intraprese e in via di realizzazione nel quadro di un progetto che ne esalti le interrelazioni e le sinergie: la legge n. 53, il decreto n. 61, la regolamentazione del telelavoro nella pubblica amministrazione, la legge quadro di riforma 44 Cfr. Decreto interministeriale 15 maggio 2001, “Approvazione delle modalità di erogazione dei contributi ex art. 9, co. 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53, che dispone la concessione di contributi a carico del Fondo per l'occupazione, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilità”, (G.U. n. 161 del 13.07.2001) e la successiva circolare 10 marzo 2003, n. 4, del Dipartimento per le politiche del lavoro e dell’occupazione e tutela dei lavoratori, Direzione generale per l’impiego, divisione IV del Ministero del lavoro e delle politiche sociali “Progetti di azioni positive per la flessibilità di cui all’art. 9 legge 8 marzo 2000 n. 53 e decreto interministeriale 15 maggio 2001” 45 Cfr. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, circolare n. 14/2002 del 12.03.2002 46 Cfr. Ministero del lavoro e della previdenza sociale, circolare n. 56/98 del 22.04.1998 237 dell’assistenza, il disegno di legge per il sistema di servizi per la prima infanzia, fondo pensione e assicurazione per le casalinghe”.47 Successivamente il telelavoro è tornato a far capolino in un articolo del decreto legislativo n. 66 dell’8 aprile 2003. In questo caso i telelavoratori sono stati inseriti in un elenco di lavoratori per i quali la durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata o predeterminata, o può essere determinata solo dai lavoratori stessi.48 A questi lavoratori, in ragione della loro particolarità e pur nel rispetto dei principi generali di protezione della sicurezza e della salute, non vengono applicate alcune disposizioni del citato decreto legislativo n. 66. Si tratta di quelle riguardanti l’orario normale di lavoro (art. 3), la durata massima dell’orario di lavoro (art. 4), il lavoro straordinario (art. 5), il riposo giornaliero (art. 7), le pause (art. 8), le modalità di organizzazione del lavoro notturno (art. 12) e la durata del lavoro notturno (art. 13). Dell’elenco fanno parte, oltre ai telelavoratori, anche i dirigenti ed il personale direttivo delle aziende avente potere di decisione autonomo, i familiari che collaborano nell’impresa, i lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose, i lavoratori a domicilio. Si tratta, a ben vedere, di disposizioni di una certa rilevanza, in quanto escludono i telelavoratori da tutta una serie di tutele legislative che vengono invece riconosciute ai lavoratori dipendenti tradizionali. Inoltre il decreto legislativo in questione non si perita nemmeno di distinguere tra le varie tipologie di telelavoratori: domiciliari, nomadi, presso telecentri, ecc. Tuttavia l’accostamento testuale ai lavoratori a domicilio sembra far pensare che il precetto sia stato concepito avendo solo presente la situazione di chi telelavora presso la propria abitazione. Quel che è certo è che questo decreto legislativo lascia irrisolto un problema di fondo di primaria importanza per i telelavoratori, quello della definizione dell’orario di lavoro. Resta così aperta la porta ad un successivo intervento del legislatore o forse, più probabilmente, viene lasciata 47 Cfr. Comitato Nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro, Sessione Pari Opportunità, Verifica del patto sociale del dicembre ’98, 14 aprile 2000 48 Cfr. Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n.66, “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”, (G.U. n. 87 del 14 aprile 2003, s.o.) 238 nelle mani della contrattazione collettiva una disciplina di difficile definizione, viste le difformi espressioni con cui può manifestarsi in concreto il telelavoro. Due altri aspetti legati al telelavoro ma che presentano caratteri simili nel lavoro a domicilio, sono stati disciplinati dal codice in materia di protezione dei dati personali.49 Si tratta della possibilità del controllo a distanza dei lavoratori e del rispetto della sfera personale del telelavoratore. Da un lato l’art. 114 stabilisce che “Resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il quale vieta “l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”.50 Dall’altro l’art. 115 stabilisce che “il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale”, mentre il lavoratore stesso “è tenuto a mantenere la necessaria riservatezza per tutto quanto si riferisce alla vita familiare”. Tutte queste disposizioni, che incidono sul telelavoro in modo alquanto frammentario, non devono farci dimenticare che in Italia per ora esiste solo un nucleo legislativo riguardante il lavoro a distanza adottato dalle pubbliche amministrazioni, mentre il settore privato rimane in larga parte regolamentato dalla contrattazione. Tuttavia non sono mancate le proposte di legge che, a partire dal 1996, hanno introdotto nel dibattito parlamentare questi temi, tanto da far ritenere il Parlamento italiano, a differenza di quelli di altre nazioni, particolarmente sensibile al tema del telelavoro.51 Un notevole dibattito è stato suscitato da una proposta di legge che nella XIII legislatura unificava e superava quattro disegni di legge precedenti, la quale ha destato allarme tra le imprese, preoccupate dal fatto che in essa fossero previsti troppi vincoli legislativi, con possibili ripercussioni negative sul processo di diffusione del telelavoro.52 49 Cfr. Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, (G.U. n. 174 del 29 luglio 2003, s.o. n. 123) 50 Cfr. § 6.5 Il controllo a distanza 51 Cfr. DI NICOLA, cit. 52 Cfr. i progetti di legge S.2305 presentato in data 03.04.1997 “Norme per la promozione e l'incentivazione del telelavoro”, S.3123 presentato in data 10.03.1998 “Norme per la disciplina, la tutela e lo sviluppo del telelavoro”, S.3189 presentato in data 01.04.1998 “Norme sul telelavoro e il suo sviluppo” e S.3489 presentato in data 30.07.1998 “Norme per lo sviluppo del telelavoro”. Tutti questi progetti di legge, così come quelli citati in seguito, sono liberamente consultabili al sito Internet della Camera dei deputati http://www.camera.it 239 Altre due proposte di legge furono presentate alla Camera, ma non vennero messe in calendario e, con la fine della XIII legislatura, vennero accantonate come la precedente.53 Con l’inizio della XIV legislatura alcuni progetti di legge furono riproposti tali e quali 54 mentre altri, seppure simili, mostrarono invece caratteri di originalità che derivavano dal pregresso dibattito parlamentare. Tra questi ultimi merita di essere citato il progetto di iniziativa parlamentare avente ad oggetto “Norme per la tutela e la promozione del telelavoro”.55 In questo disegno di legge, che si propone di disciplinare in maniera organica la materia del lavoro a distanza, viene per la prima volta posto l’accento sull’esistenza di diritti fondamentali del telelavoratore, consistenti essenzialmente nel diritto alla socialità e nel diritto all’informazione, i quali andrebbero a costituire un di più rispetto ai diritti sindacali già riconosciuti a tutti i lavoratori. Per diritto alla socialità si intende il diritto al collegamento (telematico interattivo o di altro genere) in ambito aziendale per potere scambiare messaggi anche non strettamente inerenti alla prestazione lavorativa, con mittenti e destinatari determinati ed allo scopo di ridurre il senso di isolamento. Il diritto all’informazione del telelavoratore subordinato si sostanzierebbe invece nella possibilità concreta di ricevere le informazioni essenziali, che gli altri dipendenti possono acquisire direttamente, su circostanze rilevanti relative all’impresa ed alle attività sindacali. Di telelavoro si parla poi ancora in molte altre fonti secondarie, talvolta nei contesti più disparati. Perfino il piano sanitario nazionale 2003-2005 cita il telelavoro e l’esternalizzazione della produzione quali segni evidenti della mutata organizzazione del lavoro, che ha contribuito a modificare la distribuzione e la diffusione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.56 53 Cfr. i progetti di legge C.2470 presentato in data 11.10.1996 “Norme per lo sviluppo del telelavoro” e C.4090 presentato in data 31.07.1997 “Norme per la tutela del telelavoro”, C.2470 presentato in data 11.10.1996 “Norme per lo sviluppo del telelavoro” 54 Cfr. disegno di legge S.173, “Norme per la promozione e l’incentivazione del telelavoro”, d’iniziativa del senatore Cortiana, presentato il 17 giugno 2001, che riprende pressoché integralmente il progetto S.2305 presentato dallo stesso senatore il 03.04.1997 55 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, XIV LEGISLATURA, disegno di legge n. 17, “Norme per la tutela e la promozione del telelavoro”, d’iniziativa del senatore Pizzinato, presentato in data 30 maggio 2001. 56 Cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 2003, “Approvazione del Piano sanitario nazionale 20032005”, (G.U. n. 139 del 18 Giugno 2003, s.o. n. 95) 240 Un discorso a parte merita infine il recepimento dell’accordo quadro europeo, siglato nel 2002, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano.57 L’analisi delle indicazioni contenute nell’accordo europeo mette in evidenza che si tratta per lo più di principi che nel nostro paese sono già stati introdotti ad opera di fonti primarie ed accordi collettivi. Se si procederà al recepimento solo per via convenzionale si presenterà probabilmente il problema dell’efficacia soggettiva della convenzione o dell’accordo collettivo, la cui applicazione sarà riservata ai soli membri delle organizzazioni firmatarie. La composizione dei tavoli negoziali sarà quindi determinante, tanto più che si tratterà di fissare un quadro disciplinare generale per l’insieme dei settori e non, come visto finora, limitato al settore pubblico piuttosto che al commercio o alle piccole e medie imprese. Secondo l’opinione maggioritaria degli studiosi non è quindi inutile verificare la possibilità di far funzionare in Italia il duplice sistema di rinvii previsto dalla direttiva stessa. Il primo è rappresentato dal classico rinvio alla legislazione ed alle convenzioni collettive già esistenti per ciò che riguarda gli aspetti generali. Il secondo rinvia agli accordi, non più solamente collettivi ma anche individuali, al fine di determinare successivamente certi elementi del regime, scomparendo il riferimento alla legislazione in ragione della scelta della trasposizione diretta. Il testo dell’accordo europeo prevede in via generale il primo tipo di rinvio quando si parla del principio di uguaglianza di trattamento rispetto ai lavoratori interni di pari livello. Si trova un rinvio alle leggi ed agli accordi collettivi esistenti pure a proposito delle condizioni di lavoro, della protezione della salute e della sicurezza del telelavoratore. In quest’ultimo caso, così come per la tutela della sfera privata dei lavoratori, esiste un riferimento specifico alla legislazione comunitaria sui videoterminali. Lo stesso tipo di rinvio è ugualmente presente in disposizioni meno importanti, come quella secondo cui il datore di lavoro deve fornire “un servizio appropriato di assistenza 57 Cfr. Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 sul telelavoro, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP). 241 tecnica”, o ancora quella che prevede le conseguenze derivanti per il telelavoratore dalla perdita o dal danneggiamento delle attrezzature e dei dati utilizzati, per i quali sono normalmente previste delle forme di assicurazione obbligatoria sulla base del diritto interno.58 Riguardo al secondo tipo di rinvio l’accordo quadro prevede invece l’intervento successivo di un accordo individuale e/o collettivo per la determinazione delle modalità di reversibilità del telelavoro, così come per la definizione delle condizioni di lavoro. Quest’ultima disposizione è importante in quanto mette in pericolo la garanzia di uguaglianza di trattamento con i lavoratori interni di pari livello. Le condizioni di lavoro del telelavoratore sembrano in effetti poter essere l’oggetto di contrattazione, attraverso degli accordi specifici complementari collettivi e/o individuali in cui il telelavoratore rischia di porsi su di una posizione di palese inferiorità rispetto alla controparte datoriale. Si tratterebbe quindi di un’apertura per lo meno allarmante, soprattutto se si considera che dietro il riferimento generale alle condizioni di lavoro si nascondono una serie di materie di grande importanza come la retribuzione, della quale non si fa mai cenno nell’accordo europeo. In un contesto normativo quale quello che si è venuto a creare in Italia negli ultimi anni l’applicazione dell’accordo quadro europeo sul telelavoro rischia quindi di mettere a repentaglio alcuni punti fermi nel processo di riconoscimento dei diritti dei telelavoratori dipendenti. Occorrerà così procedere ad una sua introduzione cauta e mirata, che tenga conto delle norme già esistenti, soprattutto quando queste rappresentano un punto più avanzato nel cammino verso la ricerca di una maggior tutela dei lavoratori. 58 Cfr. GOTTARDI, L’Accord-Cadre européen sur le télétravail comparé à la réglementation italienne, in: http://www.euro-telework.org/ 242 4.3. LE LEGGI REGIONALI Sotto molti aspetti, e per molte ragioni, il legislatore regionale ha anticipato quello statale in materia di telelavoro. Una delle cause può identificarsi nella possibilità, a livello locale, di gestire meglio e tempestivamente i processi di cambiamento, fornendo di conseguenza delle risposte più rapide anche su di un piano strettamente normativo. Tuttavia la produzione normativa regionale è sempre stata costretta in ambiti limitati, a causa dei vincoli di ordine costituzionale per il riparto della potestà legislativa tra lo Stato centrale ed i governi locali. La recente riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) ha però ampliato la sfera della potestà legislativa delle Regioni e delle Province autonome. Per quanto riguarda le problematiche sottese al diritto del lavoro lo Stato ha mantenuto l’esclusività della legislazione solo in materia di previdenza sociale, mentre oggi sono materie di legislazione concorrente la tutela e sicurezza del lavoro e la previdenza complementare e integrativa (lett. o dell’art. 117 della Costituzione). In queste ultime materie spetta quindi alle Regioni la piena potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali ancora riservata alla legislazione dello Stato. La novità maggiore apportata dalla riforma è però rappresentata dal fatto che oggi spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione statale. Si è introdotto di fatto un principio residuale che potenzialmente amplia di molto le prospettive del legislatore regionale. In materie come il telelavoro, che ancor oggi non dispongono di una propria regolamentazione se non per interventi legislativi alquanto sporadici e disorganici, questa nuova situazione potrebbe favorire uno sviluppo disomogeneo sul territorio nazionale, a seconda della tempestività e della completezza con cui le Regioni e le Province autonome provvederanno a dotarsi di nuovi strumenti legislativi. 243 Non va comunque sottaciuto che già dai primi anni ’90 le Regioni hanno preso atto, nella loro produzione normativa, dell’esistenza del fenomeno rappresentato dal telelavoro. Non a caso la prima norma in assoluto che in ambito nazionale abbia citato il vocabolo telelavoro è stata una legge regionale, più precisamente la legge regionale n. 78 del 23 dicembre 1992 della regione autonoma Valle d’Aosta. Si trattava di una legge dai contenuti importanti, in quanto trattava di “Autorizzazione di spesa per servizi di telecomunicazione e radiodiffusione avanzati, progetto << Valle d' Aosta cablata >>, rete ottica e sistemi televisivi regionali”. Nell’autorizzare tali spese il Consiglio Regionale della Valle d’Aosta elencava una serie di servizi che avrebbero dovuto costituire il futuro sistema di comunicazione e informazione regionale. Tra questi veniva citato espressamente il telelavoro, insieme ad altri argomenti correlati quali le interconnessioni e la condivisione dei dati, la teledidattica, la telemedicina. In questo primo provvedimento ritroviamo due temi che ricorreranno sovente nella legislazione regionale riguardante il telelavoro: lo stanziamento di fondi per la sua promozione, l’attenzione verso le zone rurali, montane o comunque lontane dai grandi centri cittadini. Per quanto riguarda l’erogazione di contributi o comunque di agevolazioni intese a diffondere l’uso del telelavoro, le Regioni sono state piuttosto attive. L’Abruzzo, ad esempio, già nel 1996 (l.r. n. 123 del 5 dicembre 1996) intese promuovere l’occupazione dei neolaureati nel campo del telelavoro, concedendo un contributo di 250.000 milioni di lire a favore del consorzio CITEL – Centro italiano Telelavoro. Anche il Friuli-Venezia Giulia (l.r. n. 9 del 20 aprile 1999) e la Sicilia (l.r. n. 32 del 23 dicembre 2000), nell’ambito di una serie di interventi di sostegno alle imprese, hanno previsto l’assegnazione di somme in favore delle aziende che assumono creando dei nuovi posti di telelavoro. La Basilicata, con due leggi di bilancio (l.r. n. 28 del 9 settembre 1998 e l.r. n. 8 dell'1 marzo 2001) relative agli anni finanziari 1998 e 2001, ha addirittura previsto un capitolo di spesa specifico, il 795, per la “promozione e sviluppo della società dell’informazione e del telelavoro. 244 Integrazione delle innovazioni tecnologiche nel tessuto culturale sociale ed economico della Regione Basilicata”. Le cifre stanziate sono state rispettivamente di 37.900.000 e di 30.000.000 di lire. E’ evidente che non si tratta di investimenti massicci, ma sono comunque significativi dell’interesse destato dal telelavoro e dalla volontà di promuoverlo a livello locale. In altre Regioni la promozione del telelavoro ha seguito strade più articolate. E’ il caso del Friuli-Venezia Giulia, che con la legge regionale n. 12 del 10 aprile 2001 “Disposizioni in materia di diritto al lavoro dei disabili, di telelavoro e in materia previdenziale”, ha dettato delle disposizioni specifiche. Alla preesistente agenzia regionale friulana per l’impiego è stato attribuito il compito di concedere “incentivi per investimenti a Province, Comuni e datori di lavoro che realizzino progetti di telelavoro, al fine di razionalizzare l'organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane” (art. 11). L’agenzia non può poi concedere gli incentivi in modo arbitrario, ma dovrà attenersi ad una serie di prescrizioni. L’articolo 11 di questa legge regionale istituzionalizza inoltre il telelavoro come modo di lavorare all’interno dell’Amministrazione regionale, “al fine di realizzare l’impiego flessibile delle risorse umane, nonché economie di gestione”, e per realizzare questi fini demanda alla contrattazione collettiva del personale regionale la determinazione delle modalità e dei termini di applicazione del telelavoro stesso. Come visto finora, l’interesse per il telelavoro non conosce limiti geografici regionali. Le iniziative sono distribuite in tutto il territorio nazionale. Ciò è ancor più evidente se analizziamo la legislazione regionale per quel che concerne l’uso del telelavoro come mezzo per l’occupazione delle persone diversamente abili. Particolarmente sensibile a queste problematiche è stata la Regione Marche, che con la legge n. 24 del 3 aprile 2000 “Norme per favorire l’occupazione dei disabili” ha istituito un fondo regionale per la loro occupazione. A carico del fondo regionale sono erogati anche contributi per l’acquisto di beni strumentali finalizzati al telelavoro, come ancora di recente ribadito dalla legge regionale n. 2 del 25 gennaio 2005 “Norme regionali per l'occupazione, la tutela e la qualità del 245 lavoro”. Sempre le Marche, ai fini dell’inserimento lavorativo delle persone in situazione di handicap, per il tramite dei Comuni e delle Comunità montane, concorrono “all’acquisto di strumenti ed attrezzature che comprendono anche le tecnologie per il telelavoro in favore di persone in situazione di handicap fisico, intellettivo e sensoriale che svolgono attività in proprio” (l.r. n. 28 del 21 novembre 2000). Anche la Sardegna ha istituito un fondo analogo a quello marchigiano per l’occupazione dei diversamente abili (l.r. n. 20 del 28 ottobre 2002). A carico del fondo sono, tra l’altro, concessi contributi per “il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei diversamente abili – omissis - o per 1’apprestamento di tecnologie di tele-lavoro” (art. 1). Nel 2005 è poi intervenuta un'altra legge (l.r. n. 20 del 5 dicembre 2005) che, abrogando una precedente legge regionale in materia di lavoro e servizi all’impiego, ha ribadito che il fondo regionale per l’occupazione dei diversamente abili eroga contributi per la trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei diversamente abili, anche tramite l'acquisto di beni strumentali finalizzati al telelavoro. In altre Regioni si è invece posto maggiormente l’accento sul cosiddetto “collocamento mirato” dei disabili. Così l’obiettivo dell’inserimento al lavoro dei disabili è stato perseguito, in modo piuttosto generico, anche con il possibile utilizzo di modalità di telelavoro e di formazione professionale a distanza, in Emilia-Romagna (l.r. n. 14 del 25 febbraio 2000), Basilicata (l.r. n. 28 del 20 luglio 2001), Calabria (l.r. n. 32 del 26 novembre 2001), e più di recente nel Lazio (l.r. n. 19 del 21 luglio 2003), in Lombardia (l.r. n. 13 del 4 agosto 2003) e nella Provincia autonoma di Trento (l.p. n. 8 del 10 settembre 2003). La Regione Umbria, nell’ambito di interventi a sostegno delle politiche attive del lavoro e per l’occupazione dei disabili (l.r. n. 11 del 23 luglio 2003), si è spinta oltre ed ha specificato meglio la natura di queste azioni. Gli aiuti all’occupazione in favore delle imprese, anche cooperative, conseguono necessariamente all'ampliamento della base occupazionale. Tale ampliamento può 246 derivare dall’impiego di soggetti in posizione di svantaggio sul mercato del lavoro, utilizzando anche, nell’ambito di accordi sindacali, l’istituto del part-time a tempo indeterminato e del telelavoro realizzato nelle forme del rapporto di lavoro subordinato, andando a coprire anche le spese per la formazione professionale (art. 6, lett. d). E’ da sottolineare il fatto che gli interventi in favore delle imprese umbre siano vincolati, nel campo del telelavoro, alla necessità di creare nuovi posti di lavoro subordinato, in modo da realizzare un saldo vincolo tra imprese e nuovi telelavoratori. La stessa legge regionale umbra prevede poi anche l’istituzione di un fondo regionale per l’occupazione dei disabili del tutto simile a quelli delle Marche e della Sardegna già menzionati più sopra. Il fondo in questo caso prevede “il rimborso – omissis - per l’apprestamento di tecnologie di telelavoro”. Va ancora ricordata l’istituzione in Valle d’Aosta di un Centro di orientamento per il lavoro e la formazione (l.r. n. 7 del 31 marzo 2003), come parte delle politiche regionali del lavoro, di formazione professionale e di riorganizzazione dei servizi per l’impiego. Questo Centro di orientamento “fornisce alle persone gli strumenti per operare le scelte formative e professionali adeguate alle loro capacità e aspirazioni, nonché alle opportunità offerte dal mercato del lavoro”. L'attività di orientamento si realizza mediante tutta una serie di strumenti tra i quali vi è il ricorso al telelavoro. Da parte sua la Regione Lombardia ha inserito il telelavoro tra gli obiettivi formativi dei dipendenti e dei soci delle cooperative.59 Un altro importante campo di normazione regionale riguarda la possibilità di utilizzare il telelavoro per riqualificare le aree rurali o montane, come ulteriore mezzo per arrestare lo spopolamento di queste zone. La prima Regione ad occuparsene fu, come già visto, la Valle d’Aosta nel 1992. Ad essa fece seguito l’Emilia-Romagna con la legge regionale n. 22 del 19 luglio 1997 “Ordinamento delle 59 Legge Regionale della Regione Lombardia del 18 novembre 2003, n. 21 "Norme per la cooperazione in Lombardia". 247 Comunità montane e disposizioni a favore della montagna”. L’art. 31 prevede che la Regione si impegni a promuovere accordi con lo Stato ed i gestori delle reti telematiche al fine di collegare i Comuni montani in reti telematiche che prevedano quali nodi le Comunità montane. Queste reti devono poi favorire la localizzazione di imprese e, ciò che è interessante, lo sviluppo del telelavoro. Sarà per l’efficacia della disposizione, oppure per la poca fantasia di alcuni legislatori regionali, ma questa previsione è stata riprodotta testualmente nella l.r. n. 4 del 19 marzo 1999 della Regione Calabria, nella l.r. n. 9 del 22 giugno 1999 della Regione Lazio e, con poche modifiche formali, nella l.r. n. 95 del 18maggio 2000 della Regione Abruzzo e nella l.r. n. 2 del 20 gennaio 2004 della Regione Emilia-Romagna. Un po’ più originale è stata la provincia autonoma di Trento, la cui legge provinciale n. 17 del 23 novembre 1998 “Interventi per lo sviluppo delle zone montane e disposizioni urgenti in materia di agricoltura” ha introdotto nuovi elementi alla base della scelta di promuovere il telelavoro nella zone montane, tra cui la necessità di evitare il disagio derivante dal faticoso pendolarismo. La legge attribuisce alla Giunta provinciale il compito di elaborare ed approvare uno specifico progetto di sviluppo del telelavoro denominato per l’appunto “Programma telelavoro”. Il programma si fonda su tre punti. Innanzitutto la sperimentazione diretta del telelavoro all’interno dell’amministrazione provinciale. Quindi la concessione di contributi alle aziende per coprire fino al 40% della spesa per l’acquisto delle attrezzature necessarie. Infine la formazione dei lavoratori per i quali è richiesta la trasformazione in telelavoratori. Un’iniziativa simile era stata precedentemente intrapresa dalla Regione Emilia-Romagna con le “Misure straordinarie di gestione flessibile dell’impiego regionale” (l.r. n. 2 del 16 gennaio 1997). Diversa era però l'esigenza da cui si partiva, ossia lo snellimento delle forme di gestione del personale. In questo senso la Giunta regionale si vedeva aperta la possibilità di sperimentare forme di telelavoro per i propri dipendenti, provvedendo in modo autonomo a disciplinarne le modalità di attuazione con apposite direttive. 248 Sempre per ciò che riguarda il rapporto di lavoro dei dipendenti delle Regioni, la Sicilia ha ritenuto di dover specificare che anche la disciplina del telelavoro, definito come lavoro subordinato a distanza, è soggetta a contrattazione collettiva, così come lo sono i criteri di rilevazione della prestazione, in coerenza ad esigenze di flessibilità dei processi produttivi lavorativi ed al fine di soddisfare istanze di pari opportunità lavorative. (l.r. n. 10 del 15 maggio 2000, art. 23). Le Regioni non hanno poi mancato di emanare norme per la promozione dell'occupazione, della qualità e della sicurezza del lavoro, nelle quali il telelavoro gioca un suo ruolo. E' il caso dell'Emilia-Romagna (l.r. n. 17 dell'1 agosto 2005) dove al fine di promuovere condizioni di pari opportunità di accesso, permanenza e progressione di carriera nel mercato del lavoro, la Regione e le Province, nell'ambito delle rispettive competenze, perseguono l’obiettivo di favorire la conciliazione tra tempi di lavoro e di cura anche tramite il ricorso al telelavoro. In modo del tutto simile in Friuli-Venezia Giulia (l.r. n. 18 del 9 agosto 2005) la realizzazione di azioni di sistema finalizzate a favorire la conciliazione dei tempi di famiglia, di vita e di lavoro può consistere nella promozione di piani aziendali e territoriali rivolti alle lavoratrici e ai lavoratori, in cui il ricorso al telelavoro venga incentivato. Un discorso a parte merita infine la legge regionale della Regione Basilicata n. 53 del 4 gennaio 1996 “Promozione e sviluppo della società dell’informazione e del telelavoro”. Si tratta della finora unica legge regionale che affronta in modo non occasionale ma organico il tema delle nuove tecnologie e del loro impatto socio-economico, tentando un approccio normativo ad ampio respiro. Il primo degli 11 articoli in cui si sostanzia questa legge ne enuncia le finalità. Il punto centrale è rappresentato dalla promozione della società dell’informazione e dalla necessità di adattarla alle specificità regionali, rendendola al contempo ecocompatibile. Per questo motivo la Regione Basilicata si è impegnata a procedere, con idonei strumenti, ad una valutazione programmata dell’impatto delle nuove tecnologie sia sotto il profilo dell’efficacia economica che dell'accettabilità sociale. 249 L’articolo 2 elenca gli obiettivi della legge, che dovranno essere raggiunti con un adeguato sostegno finanziario e con la promozione di protocolli ad hoc. Tali obiettivi prevedono il potenziamento della competitività industriale, la creazione di nuovi posti di lavoro, la promozione di nuove competenze e abilità professionali dei lavoratori e dei cittadini tramite meccanismi tradizionali e innovativi di formazione e orientamento, la promozione di nuove forme di organizzazione del lavoro nel settore privato e pubblico, il miglioramento della qualità della vita e dell'ambiente, la risposta alle esigenze sociali e l’aumento dell'efficienza e dell'efficacia, rispetto ai costi, dei servizi pubblici erogati alla cittadinanza e al sistema delle imprese. Tutti questi obiettivi sono da sempre nel mirino del telelavoro, ed in gran parte sono stati centrati laddove il telelavoro è già una realtà consolidata. Non a caso, quindi, il successivo articolo 3 afferma che per il raggiungimento degli obiettivi appena elencati “Sarà data priorità di esecuzione ai progetti che rientrano nei campi della teleinformazione, della telemedicina, della formazione professionale in presenza e a distanza e del telelavoro”. Si tratta di un primo riconoscimento legislativo del telelavoro come mezzo per raggiungere obiettivi di carattere non solo economico ma anche sociale. Questo riconoscimento trova ulteriore conferma nel successivo art. 7, di grande rilievo in quanto tratta unicamente del telelavoro60. Si tratta della prima enunciazione articolata di un programma istituzionale di sostegno al telelavoro in Italia, in cui vengono rappresentate tutte le categorie possibili di telelavoro. Andando più a fondo nell’analisi della disposizione, in particolare laddove si parla di creazione di nuovi posti di telelavoro, non risulta ben chiaro se si tratta di nuovi posti di lavoro tout court o se invece possano considerarsi nuovi anche i posti di lavoro tradizionali che vengano 60 Legge Regionale della Regione Basilicata del 4 gennaio 1996, n. 53, Art. 7 - Telelavoro La Regione Basilicata promuove il telelavoro sia nelle strutture istituzionali sia nelle aziende, in tutte le sue forme (a domicilio, mobile e da uffici decentralizzati), attraverso: - la creazione di nuovi posti di telelavoro; - la creazione di nuove imprese di produzione o servizi basati sul telelavoro; - la nascita di centri per il lavoro a distanza, siano essi nella forma di uffici satelliti che di centri di vicinanza. Gli interventi potranno essere garantiti a condizione che verranno rispettate le norme contrattuali vigenti in materia di rapporti di lavoro. 250 convertiti in posti di telelavoro. La specificazione non è di poco conto, in quanto da essa può dipendere un più o meno agevole passaggio verso forme di lavoro più flessibili, soprattutto in un momento economico in cui le aziende sono molto sensibili ai risparmi gestionali. L’ultimo periodo, a parte gli scivoloni linguistici, appare poi piuttosto scontato e generico. Non si capisce infatti come la Regione possa promuovere il telelavoro in situazioni di aperta violazione delle norme contrattuali. Gli altri articoli della legge riguardano lo sviluppo dei teleservizi e della teleinformazione (art. 4), della telemedicina (art. 5), della formazione (art. 6). A proposito di formazione viene prevista espressamente, tra le priorità, la “progettazione e svolgimento di corsi dedicati all’orientamento e al telelavoro”. Viene poi istituito un Servizio per la società dell’informazione, con compiti di coordinamento, stimolo, elaborazione di direttive, vigilanza e controllo delle norme, procedure e obblighi che derivano dalla legge (art. 8), mentre la Giunta regionale ha l’onere di elaborare un piano triennale di intervento (art. 9). La legge quantifica infine gli oneri derivanti dalla sua applicazione in 100 milioni di lire, istituendo un nuovo apposito capitolo di spesa (cap. 4108): “Promozione e sviluppo della società dell'Informazione e del telelavoro. Integrazione delle innovazioni tecnologiche nel tessuto culturale, sociale, economico della Regione Basilicata”. Ritornando all'esame della produzione normativa regionale, non va dimenticata l'esistenza di tutta una serie di atti che, pur non avendo il rango di legge regionale, possono essere indicativi della sensibilità verso le problematiche connesse con l’uso delle nuove tecnologie e più in particolare verso il telelavoro. Così in Sardegna, dove per accedere ai fondi strutturali 2002-2006 dell’Unione Europea è stato elaborato un progetto denominato “Strategia per lo sviluppo della società dell’informazione”. All’interno del corposo documento di oltre 200 pagine, che sottende un altrettanto corposo intervento del governo regionale, c’è una sezione dedicata al telelavoro. Tra le linee di sviluppo 251 tracciate per favorire l’impatto delle cosiddette T.S.I. (Tecnologie della Società dell’Informazione) è stata indicata la sperimentazione di nuovi metodi e strumenti di lavoro all’insegna della flessibilità, della mobilità e del lavoro a distanza. Per questo motivo la Regione Sardegna ha progettato una serie di interventi a favore del telelavoro che vanno dalla formazione di figure professionali specifiche alla diffusione capillare presso le imprese ed i lavoratori delle informazioni relative al telelavoro, fino alla promozione da parte della Pubblica Amministrazione di nuovi telecentri. I telecentri promossi dalla Pubblica Amministrazione prevedono di solito l'istituzione di uffici ad hoc per l’erogazione di servizi ai cittadini e alle imprese. Questo permette alla Pubblica Amministrazione stessa di offrire non solo un servizio di prossimità alle imprese e ai cittadini, ma di offrire contemporaneamente ai propri dipendenti i molteplici vantaggi del telelavoro. In Liguria, in assenza per ora di leggi regionali che facciano anche solo menzione del vocabolo telelavoro, è possibile imbattersi in altri provvedimenti che ad esso si riferiscono. E’ ad esempio il caso del “Documento di programmazione economico finanziaria regionale (D.P.E.F.R.) 2001-2003”, approvato con Delibera del Consiglio Regionale n. 67 del 22 dicembre 2000. Uno dei punti qualificanti del documento è rappresentato dallo sviluppo e rafforzamento del capitale umano regionale, attraverso una politica di integrazione fra sistema scolastico, università, formazione professionale e sistema produttivo. Ed è proprio nella programmazione del settore della formazione professionale che, all’interno delle otto azioni previste, si colloca il telelavoro. Il documento regionale affianca il telelavoro alle altre forme di lavoro flessibile (part-time, interinale) nell'intento di ricercare un più incisivo soddisfacimento delle esigenze formative. Inoltre viene enunciato il principio secondo cui la formazione in questo settore dovrebbe sempre anticipare, e non seguire, il fabbisogno e la domanda occupazionale, anche se tale principio resta quasi sempre senza un riscontro concreto. Una previsione simile è contenuta anche nella Delibera della Giunta Regionale della Regione Liguria n. 374 del 19 aprile 2002, “Approvazione Piano di azione territoriale e-Liguria”. Il piano 252 prevede che la formazione professionale dovrà anche farsi carico di far conoscere le opportunità del telelavoro. Parallelamente dovranno svilupparsi azioni e servizi di supporto per le esperienze di telelavoro già avviate o da avviarsi. Si può dunque osservare come le Regioni finora siano state piuttosto attive nel legiferare in materia di telelavoro, o perlomeno lo siano state più del legislatore nazionale. Tuttavia nella maggior parte dei casi si è trattato di interventi di portata limitata, volti a razionalizzare la distribuzione di fondi pubblici o a dare applicazione a normative di carattere nazionale come quelle che riguardano l’accesso al lavoro delle categorie cosiddette protette. Un contributo originale è stato invece fornito per quel che riguarda la promozione del telelavoro in aree periferiche del territorio. Qui si è manifestata la volontà politica di intervenire, in un settore di propria competenza, per invertire o quantomeno rallentare l’ormai secolare trend che vede le zone rurali e montane sempre più spopolate. In questo senso le Regioni hanno cominciato ad adottare strumenti simili a quelli che in molte altre nazioni hanno permesso, da oltre vent'anni, di arginare il fenomeno dell’abbandono del territorio. Sono infine ancora molto limitati gli interventi organici in materia di telelavoro, ma non è detto che anche in questo senso non possa esservi in futuro uno spirito di emulazione tra le Regioni, simile a quello che ha portato a riprodurre testualmente le norme sullo sviluppo del telelavoro nelle aree rurali e montane. Va infine constatato come non vi sia una prevalenza geografica per quanto riguarda gli interventi dei legislatori regionali. Il telelavoro è un tema che è stato affrontato al nord come al centro e al sud. Piuttosto va rimarcato come alcune Regioni, che quanto ad abitanti e risorse economiche sono tra le prime in Italia, non abbiano ancora provveduto a legiferare in minima parte sulle varie problematiche connesse al telelavoro. E’ il caso del Piemonte, della Puglia, della Toscana e del Veneto. Ciò è piuttosto singolare, in quanto è proprio in alcune di queste Regioni che si sono avuti i primi e più importanti progetti di telelavoro in Italia. 253 4.4. GLI ACCORDI SINDACALI Nel processo di regolamentazione del telelavoro, che come abbiamo visto è tuttora in itinere, gli accordi sindacali hanno giocato, e giocano tuttora, un ruolo di fondamentale importanza. In molte nazioni essi hanno fatto da apripista per il successivo intervento del legislatore. In molte altre essi costituiscono tuttora l’unico punto di riferimento utile per la disciplina del lavoro a distanza e la risoluzione delle controversie che ne derivano. Questi aspetti sono già stati esaminati nei paragrafi dedicati ai profili giuridici del telelavoro nelle principali nazioni europee ed extraeuropee, per cui resta da affrontare la questione dal punto di vista italiano.61 In Italia, come è già stato sottolineato più volte, il telelavoro è un fenomeno relativamente recente e dalle dimensioni ancora piuttosto limitate. Le ragioni di questo ritardo rispetto ad altre nazioni non vanno ricercate nei vincoli di natura tecnica ed economica, poiché sotto questo profilo il telelavoro è perfettamente realizzabile, ma piuttosto in quelli di tipo culturale ed organizzativo. Nel nostro Paese infatti stenta ad affermarsi quella cultura del decentramento e della flessibilità che è alla base delle principali esperienze di telelavoro realizzate a livello internazionale. Secondo alcuni autori il principale ostacolo alla diffusione del telelavoro in Italia va individuato nella rigidità degli attuali modelli organizzativi, caratterizzati da una struttura fortemente gerarchica. Le resistenze maggiori arrivano infatti proprio dagli stessi management aziendali, preoccupati dall’eventualità di perdere il proprio potere, fondato prevalentemente sul controllo diretto dei lavoratori, e non adeguatamente preparati ad un rinnovamento nei sistemi organizzativi e di gestione delle risorse umane. D’altra parte riserve e preoccupazioni sono state espresse anche dalle organizzazioni sindacali, soprattutto nei riguardi del telelavoro domiciliare. Esse sono dovute per lo più al timore di un ritorno a condizioni di lavoro preindustriali, con la perdita di potere contrattuale dei lavoratori a 61 cfr. capitolo III Esperienze internazionali 254 scarsa qualificazione professionale, con la frammentazione e l’isolamento della forza lavoro, con nuove forme di sfruttamento attraverso il cottimo telematico, con la difficoltà di organizzare sindacalmente i telelavoratori. L’affermazione del telelavoro in Italia è stata inoltre fortemente condizionata dalla difficoltà di determinare in modo inequivoco la qualificazione giuridica del telelavoratore, sia alla luce del diritto positivo, sia sulla scorta dei contratti collettivi. Tuttavia nell’ultimo decennio il vivace interesse suscitato da questo tema ha progressivamente coinvolto le aziende ed i sindacati, che hanno mostrato una crescente disponibilità ad una sperimentazione effettiva del telelavoro.62 I primi accordi collettivi che trattano dell’adozione di forme di telelavoro, e dei quali si ha notizia, risalgono al 1994. Le aziende interessate sono state la Saritel S.p.A. (accordo siglato il 15 dicembre 1994), l’Italtel Società Italiana Telecomunicazioni (17 gennaio 1995), la Seat S.p.A. (31 marzo 1995), la Dun & Bradstreet Kosmos S.p.A. (8 giugno 1995), la Telecom Italia S.p.A. (1 agosto 1995), la Digital Equipment (13 febbraio 1996), per arrivare all’accordo quadro per l’applicazione del telelavoro nel commercio sottoscritto dalla Confcommercio (20 giugno 1997)63. L’elenco dei nomi delle aziende mette in risalto un elemento comune, rappresentato dal fatto di operare nel settore dell’informazione. Digital Equipment è uno dei più importanti produttori di computer del mondo, Dun & Bradstreet Kosmos si occupa di consulenza, Italtel è la principale azienda italiana di elettronica per le telecomunicazioni, Saritel vende servizi legati alle telecomunicazioni, Seat realizza le “Pagine Gialle” e Telecom Italia è il principale gestore italiano di telefonia fissa.64 Oltre a questi merita di essere menzionato il contratto collettivo nazionale del 9 settembre 1996 riguardante il personale dipendente dalle Aziende di Telecomunicazione aderenti all’Intersind. 62 Queste considerazioni sono rinvenibili in CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pp. 135198. 63 Per quest’ultimo cfr. Massi 1997 64 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 255 Questo accordo è il primo, a livello nazionale, a prevedere il ricorso generalizzato al telelavoro per tutte le aziende firmatarie. Si è poi sviluppata una notevole mole di accordi sindacali, i quali hanno contribuito a far luce sulla materia ben prima che il legislatore decidesse di porvi mano. Un primo esame dei testi contrattuali reperiti ha evidenziato come, all’inizio, gli accordi sindacali in materia di telelavoro siano stati raggiunti prevalentemente a livello aziendale ed in particolare nei settori delle telecomunicazioni e dell’informatica. Solo successivamente la contrattazione ha ampliato i suoi orizzonti coinvolgendo interi settori produttivi, riguardando in ultimo anche la pubblica amministrazione. Il punto di arrivo di questo percorso, evolutosi seguendo una traiettoria che è andata dal particolare verso il generale, è quindi rappresentato, secondo logica, dall’accordo quadro europeo sul telelavoro siglato il 16 luglio 2002 e di cui ci occuperemo più avanti.65 Il documento italiano più datato che è stato possibile reperire risale al 1994, quando un’impresa di modeste dimensioni, assistita dall'associazione imprenditoriale Intersind, si accordò con le rappresentanze sindacali aziendali allo scopo di introdurre il telelavoro come strumento di riorganizzazione della rete periferica di vendita ed assistenza alla clientela, finalizzato da un lato al raggiungimento di una più elevata efficienza ed efficacia dell'attività di promozione commerciale della società, dall’altro al ritiro di dodici lettere di trasferimento già inviate ad altrettanti dipendenti.66 Con questo accordo il personale addetto alle vendite ha potuto continuare a lavorare facendolo dal proprio domicilio anziché dagli uffici commerciali periferici dell’azienda dislocati in tutta Italia. La società da parte sua si è impegnata a fornire ai venditori la necessaria attrezzatura (personal 65 Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 sul telelavoro, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP). 66 Verbale di accordo del 15 dicembre 1994 tra Saritel SpA, assistita dall'Associazione Sindacale Intersind e la FilisCgil, la Fis-Cisl e la Uilsic-Uil nazionali e territoriali, nonché le Rappresentanze sindacali dell'Azienda. 256 computer, stampante laser, fax, linea telefonica di servizio, ecc.) accollandosi le spese di manutenzione e sostituzione nonché le relative coperture assicurative. L’accordo ha riconosciuto ai singoli venditori un’indennità forfettaria mensile per l’occupazione dello spazio domestico e per i maggiori consumi energetici, indennità che, data la sua natura risarcitoria, non era utile ai fini degli istituti contrattuali e di legge, ivi compreso il trattamento di fine rapporto. Solo un mese dopo, nell'ambito della partecipazione ad un progetto promosso dalla Commissione Europea (D.G. XIII - Tecnologie di Comunicazione e Servizi Avanzati), anche l’Italtel avviò una sperimentazione sul telelavoro, coinvolgendo tredici lavoratori che aderirono volontariamente all’iniziativa.67 I rappresentanti dell’Italtel e dei lavoratori sottoscrissero un documento in cui si affermava esplicitamente la “riconosciuta opportunità di permettere – omissis - uno svolgimento della sperimentazione senza particolari vincoli normativi ed operativi che ne possano compromettere o predeterminare il risultato”. Tuttavia, per salvaguardare gli interessi dei lavoratori, la sperimentazione fu sottoposta periodicamente a verifiche congiunte tra azienda, rappresentanze sindacali e telelavoristi (sic), fermo restando il diritto, per ciascuna delle parti, di interrompere in qualsiasi momento la sperimentazione. L’attività telelavorativa venne svolta a domicilio ma con rientri periodici in azienda per le riunioni, i contatti e le verifiche necessari al corretto svolgimento dell’attività stessa. Anche in questo caso i costi per le attrezzature, per i collegamenti telefonici e per le coperture assicurative contro gli infortuni sul lavoro furono sostenuti dall’azienda. Questo accordo introdusse inoltre una serie di previsioni più specifiche circa il rapporto di lavoro. Innanzitutto l’orario giornaliero venne equiparato a quello prestato in azienda, ma la sua distribuzione nell'arco della giornata fu fatta dipendere dalla discrezionalità del lavoratore, con la sola eccezione di almeno due ore continuative da concordare con l’azienda, da effettuarsi 67 Verbale di accordo del 17 gennaio 1995 tra i rappresentanti della Italtel Società Italiana telecomunicazioni e delle Società controllate e la Rappresentanza Sindacale Unitaria Italtel del Comprensorio di Milano. 257 nell'ambito del normale orario di lavoro e durante le quali il lavoratore avrebbe dovuto essere reperibile per comunicazioni e contatti da parte dell'azienda stessa. Visti i rischi di un eccessivo carico di lavoro, non suscettibile di un controllo appropriato, l’accordo escluse esplicitamente la prestazione di lavoro straordinario notturno e festivo a domicilio. Per tutto quanto non espressamente previsto nell’accordo il rapporto di lavoro (subordinato) continuò ad essere regolato dal contratto aziendale di categoria, dagli accordi integrativi allora vigenti e dalle norme aziendali in atto. Ci si premurò comunque di affermare che i diritti economico-professionali e quelli sindacali sarebbero stati salvaguardati. Per contro al telelavoratore venne chiesto di osservare la più assoluta riservatezza sui dati e sulle informazioni aziendali in suo possesso e/o disponibili sul sistema informativo aziendale. Il merito principale di questo accordo fu l’aver fissato alcuni principi fondamentali che in seguito vennero ripresi da un po’ tutta la contrattazione. Questi principi cardine sono rappresentati dalla volontarietà dell’accesso al telelavoro, dalla reversibilità di tale scelta e dal mantenimento dei diritti sindacali ed economici. Sempre nel 1995 un altro accordo simile venne raggiunto presso l'Unione del Commercio del Turismo e dei Servizi della provincia di Milano, tra la società Dun & Bradstreet Kosmos Spa e le rappresentanze sindacali aziendali. Si trattò del primo accordo complesso e dettagliato, disciplinante un gran numero di aspetti del rapporto di telelavoro. Premesso che nella fattispecie le attività svolte a domicilio per mezzo di un computer posto in collegamento con il sistema informativo della società avevano modalità di esecuzione sottratte alla tipica organizzazione del lavoro aziendale, non essendo soggette né all'obbligo di orario prestabilito, né ad un risultato prefissato dallo stretto rapporto tra orario giornaliero di lavoro e prestazione, se ne dedusse l'impossibilità di corrispondere una retribuzione oraria e mensile predeterminata. 258 Tutto ciò venne ritenuto lecito in virtù del fatto che la legislazione nazionale non contemplava specifiche norme di legge disciplinanti forme di lavoro effettuate in un luoghi distanti dagli uffici e implicanti l'adozione delle nuove tecnologie.68 La retribuzione degli addetti al telelavoro (reporter, redattori o altre figure professionali equivalenti), in relazione alla specificità dell'attività lavorativa, fu pertanto basata su parametri di produttività media giornaliera e tempi massimi di consegna dei rapporti, fatta salva comunque la retribuzione base prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. Questo modello retributivo comportò alcuni problemi organizzativi, che vennero risolti dotando il lavoratore di un libretto-prospetto di controllo, stampato anche meccanograficamente, che contenesse la data e l'ora di invio del lavoro affidato dall'imprenditore, la descrizione del lavoro da eseguire, la specificazione della quantità e della qualità del lavoro da eseguire, l’indicazione della misura della retribuzione, dell'ammontare degli eventuali anticipi, nonché la data e l'ora della riconsegna o della trasmissione del lavoro eseguito, la specificazione della quantità di esso e di eventuali allegati. Anche in questo accordo, analogamente a quanto venne stabilito in precedenza da Italtel, fu prevista una fascia oraria di reperibilità dei lavoratori, dalle ore 10 alle ore 12 antimeridiane, per eventuali comunicazioni telefoniche o per ricevere fax. In caso di impossibilità da parte del lavoratore a rendersi reperibile in tale fascia, lo stesso sarebbe stato tenuto a darne immediata comunicazione all'azienda, anche per via telematica. E’ interessante notare come le interruzioni tecniche del circuito telematico od eventuali fermi macchina dovuti a guasti o cause accidentali e comunque non imputabili ai lavoratori, avrebbero dovuto considerarsi a carico dell'azienda e quindi senza conseguenze sul calcolo della produttività. Un ultimo aspetto interessante che emerge dalla lettura di questo accordo è rappresentato dalla previsione di un periodo di sperimentazione iniziale, al termine del quale le parti avrebbero dovuto incontrarsi nuovamente per una verifica di merito. 68 Verbale di accordo dell’8 giugno 1995 tra Dun & Bradstreet Kosmos Spa ed i Consigli di Azienda, in CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 259 L’importanza che ebbero alcuni di questi accordi, come quello di cui si è appena detto, fu anche quella di stimolare le iniziative legislative. Il disegno di legge n. S.230569, presentato in data 3 aprile 1997, mutuò infatti molte delle disposizioni contenute nei primi accordi sindacali italiani.70 Si può quindi affermare che la disciplina del telelavoro in ambito contrattuale ha seguito delle linee direttive comuni, gli accordi esaminati presentano infatti molte caratteristiche simili. Tutte le sperimentazioni effettuate hanno riguardato un numero piuttosto limitato di lavoratori, a fronte di una vasta gamma di figure e livelli professionali, anche se tutti compresi nel campo tecnico ed impiegatizio. Inoltre 1’introduzione del telelavoro ha sempre avuto un carattere sperimentale, almeno inizialmente. La sperimentazione ha tuttavia costituito solo il primo passo nell’ambito di progetti miranti ad una più estesa applicazione del telelavoro. In tutti gli accordi sono stati infatti previsti degli incontri da tenersi nel corso della sperimentazione e al termine di essa tra azienda, sindacati e gli stessi telelavoratori. Questi incontri hanno avuto la funzione di analizzare l’andamento e valutare i risultati per programmare, in caso di raggiungimento degli obiettivi prefissati, una prosecuzione o un ampliamento dell’iniziativa, fino ad arrivare ad un consolidamento dell’istituto telelavorativo.71 Altri caratteri comuni ai primi accordi, e che hanno costituito la struttura portante di tutti quelli successivi, sono rappresentati dalla volontarietà dell’adesione, con possibilità di recesso bilaterale, dal mantenimento dell’inquadramento professionale precedente, dall’assunzione da parte dell’azienda delle spese per le apparecchiature informatiche e di telecomunicazione, dall’individuazione di una fascia oraria giornaliera di collegamento con l’ufficio, dalla determinazione di un compenso addizionale forfettario per il disagio domestico, dall’individuazione di forme di presenza periodica in azienda per contatti e scambi con i colleghi, dal riconoscimento dei diritti sindacali e del diritto di partecipare alle riunioni che si svolgono nei locali aziendali, dalla 69 Cfr. § 4.2 Cfr. FREDIANI, Telelavoro e normativa speciale, Il lavoro nella giurisprudenza, Casi e Questioni, n. 3, 1999, pag. 328. 71 CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pp. 135-198. 70 260 possibilità per i sindacati di inviare le proprie comunicazioni attraverso gli stessi supporti telematici ed informatici. Secondo tali direttrici si sono mossi alcuni importanti accordi collettivi degli anni seguenti, come ad esempio quello riguardante tutti i lavoratori dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi72 e quello siglato dalla principale azienda italiana nel campo delle telecomunicazioni.73 Questo insieme di previsioni concordate ha costituito anche la base del successivo ciclo normativo diretto a favorire il telelavoro dei dipendenti pubblici, il quale ha avuto origine a partire dalla legge n. 191 del 16 giugno 1998 (la cosiddetta legge “Bassanini ter”) ed è proseguita con il successivo regolamento (d.p.r. n. 70 del 1999). Un primo evento di rilevante importanza che di conseguenza ha potuto verificarsi è rappresentato dalla conclusione dell’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, sottoscritto dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e dai rappresentanti delle Confederazioni sindacali il 23 marzo 2000.74 Questo accordo ha dato attuazione alle disposizioni contenute nell'art. 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191, trovando applicazione per tutto il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le scuole di ogni ordine e grado, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, le istituzioni universitarie, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Le parti hanno convenuto preliminarmente sul fatto che le potenzialità del telelavoro, in campo sociale ed economico, necessitavano di appropriate regole e strumenti che fossero idonei ad assicurare da un lato la concreta possibilità per la Pubblica Amministrazione di avvalersi 72 Cfr. Accordo fra Confcommercio e FILCAMS -CGIL, FISASCAT-CISL, ULTUCS-UIL in materia di telelavoro, sottoscritto il 20.06.1997. 73 Cfr. Accordo dell’1 luglio 1998 per promuovere il telelavoro tra Telecom Italia Spa e CGIL, CISL, UIL. 74 Cfr. Accordo quadro nazionale del 23 marzo 2000 per il telelavoro nella pubblica amministrazione, tra l’Aran e le Confederazioni sindacali C.G.I.L. - C.I.S.L. - U.I.L. - CONF.SAL. - C.I.S.A.L. - COS.MED. - C.I.D.A., pubblicato in G.U. n. 94 del 21 aprile 2000 sotto forma di comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica 261 funzionalmente di tale forma di flessibilità lavorativa, dall’altro la possibilità per il lavoratore di scegliere una diversa modalità di prestazione del lavoro che salvaguardasse, in modo comunque efficace, il sistema di relazioni personali e collettive espressive delle sue legittime aspettative in termini di formazione e crescita professionale, senso di appartenenza e socializzazione, informazione e partecipazione al contesto lavorativo e alla dinamica dei processi innovativi. L’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni ha poi introdotto dei principi regolatori nel campo delle relazioni sindacali. Queste devono svolgersi secondo criteri di responsabilità, correttezza, trasparenza e tempestività. Gli istituti di partecipazione sindacale devono essere attivati e conclusi in tempi congrui rispetto all'avvio e all'attuazione dei progetti. Inoltre le amministrazioni hanno il dovere di consultare preventivamente le organizzazioni sindacali circa i contenuti dei progetti di telelavoro di cui all’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70. A livello di amministrazione la concertazione ha per oggetto le modalità di realizzazione dei progetti e l'ambito delle professionalità impiegate mediante il telelavoro, mentre spetterà alla contrattazione integrativa determinare gli eventuali adattamenti della disciplina del rapporto di lavoro resi necessari dalle particolari condizioni della prestazione. La valenza generale dell’accordo quadro fa sì che nell'ambito di ciascun comparto la contrattazione potrà disciplinare gli aspetti più strettamente legati alle specificità del comparto stesso, con particolare riguardo ai criteri generali per l'esatta individuazione del telelavoro rispetto ad altre forme di delocalizzazione, ai criteri generali per l'articolazione del tempo di lavoro e per la determinazione delle fasce di reperibilità telematica, alle forme di copertura assicurativa delle attrezzature in dotazione e del loro uso, alle iniziative di formazione legate alla specificità del comparto. A differenza dei primi contratti siglati dopo la metà degli anni ’90, ci si trova quindi di fronte ad una disciplina molto più dettagliata e complessa. Ne è un esempio la definizione dei criteri di 262 assegnazione ai progetti di telelavoro, i quali tengono conto di una lunga serie di situazioni personali specificate in modo molto puntuale.75 Un altro elemento qualificante dell’accordo quadro è infine l’istituzione, presso l’ARAN, di un osservatorio sul telelavoro che avvalendosi dell'apporto di esperti ha il compito di raccogliere dati e informazioni circa l'andamento delle esperienze in corso ed il loro impatto sul funzionamento dell'amministrazione e sulla vita dei lavoratori. L’istituzione di osservatori settoriali è poi prevista anche a livello di comparto. I contenuti dell’accordo quadro sono successivamente diventati parte integrante di diversi contratti collettivi nazionali, quali quello del personale del comparto universitario76, quello del personale del comparto delle Regioni e delle autonomie locali77 e quello del personale non dirigente degli enti pubblici non economici.78 In tutti questi contratti il telelavoro rappresenta solo uno dei molti aspetti disciplinati, ed il rinvio all’accordo quadro in essi contenuto è piuttosto generico. Al contrario l’accordo quadro ha dato origine anche ad intese settoriali specificamente rivolte a regolare il ricorso a forme di lavoro a distanza. E’ il caso dell’accordo che interessa il personale amministrativo senza funzioni apicali in servizio nelle istituzioni scolastiche.79 75 Cfr. l’art. 4 dell’accordo quadro, Assegnazione ai progetti di telelavoro, “1. Nell'ambito dei progetti di telelavoro di cui all'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, l'amministrazione procederà con le modalità previste dall'art. 4 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 70 all'assegnazione a posizioni di telelavoro dei lavoratori che si siano dichiarati disponibili a ricoprire dette posizioni, alle condizioni previste dal progetto, con priorità per coloro che già svolgano le relative mansioni o abbiano esperienza lavorativa in mansioni analoghe a quelle richieste, tale da consentire di operare in autonomia nelle attività di competenza. 2. In caso di richieste superiori al numero delle posizioni l'amministrazione utilizzerà i seguenti criteri di scelta: a) situazioni di disabilità psico-fisiche tali da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro; b) esigenze di cura di figli minori di 8 anni; esigenze di cura nei confronti di familiari o conviventi, debitamente certificate; c) maggiore tempo di percorrenza dall'abitazione del dipendente alla sede. 3. L'assegnazione a progetti di telelavoro deve consentire al lavoratore pari opportunità, quanto a possibilità di carriera, di partecipazione a iniziative formative e di socializzazione rispetto ai lavoratori che operano in sede. – omissis” 76 Contratto collettivo nazionale di lavoro del 9 agosto 2000, relativo al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999 del personale del comparto “Università”, tra l’Aran e le Confederazioni sindacali C.G.I.L. – C.I.S.L. - U.I.L. – CONF.SAL. – C.I.S.A.L, pubblicato sul supplemento ordinario n. 156 alla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 22 settembre 2000. 77 Contratto collettivo nazionale di lavoro del 14 settembre 2000, per il personale del comparto delle Regioni e delle autonomie locali successivo a quello dell’1 aprile 1999, tra l’Aran e le organizzazioni e Confederazioni sindacali, pubblicato sul supplemento ordinario n. 196 alla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 27 novembre 2000. 78 Contratto collettivo nazionale di lavoro del 14 febbraio 2001 ad integrazione del CCNL per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici stipulato il 16.2.1999, tra l’Aran e le organizzazioni e Confederazioni sindacali. 79 Accordo del 18 ottobre 2001 per la disciplina sperimentale del telelavoro per il personale amministrativo del comparto scuola, tra l’Aran e i rappresentanti delle Confederazioni sindacali C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L., CONF.SAL, e delle Organizzazioni Sindacali C.G.I.L./SNS, C.I.S.L./Scuola, U.I.L./Scuola, CONF.SAL/SNALS, GILDA/UNAMS., pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 281 del 3 dicembre 2001. 263 In esso viene stabilito che il telelavoro determina una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa realizzabile con l'ausilio di specifici strumenti telematici, principalmente nelle forme del telelavoro domiciliare e del lavoro decentrato da centri satellite. Non sono previste particolari novità per quanto riguarda l’orario di lavoro, la sua distribuzione nell’arco della giornata e le fasce orarie di reperibilità. Tuttavia viene introdotta la possibilità di rientri temporanei del lavoratore presso la sede di lavoro nel caso di fermo prolungato per cause strutturali, ossia di una interruzione del circuito telematico che non sia prevedibilmente ripristinabile entro la stessa giornata lavorativa. Poiché l’accordo in questione mira ad introdurre elementi di flessibilità nei rapporti di lavoro, con benefici di carattere sociale e individuale ed un possibile incremento della produttività e del livello dei servizi, si dovrà verificare che, a fronte dei costi a regime, l'introduzione del telelavoro comporti effettivi incrementi di produttività e risparmi di spesa, anche conseguenti al ridimensionamento della sede di lavoro, oltreché benefici sociali in termini di miglioramento della qualità della vita, specie nei grandi centri urbani. Per tutto quanto non è previsto dall’accordo per la disciplina sperimentale del telelavoro per il personale amministrativo del comparto scuola, l’art.6 rinvia al più volte citato accordo quadro del 23 marzo 2000. Dall’esame dei testi contrattuali si può in definitiva ritenere che si è sentita fin dall’inizio una forte esigenza di una disciplina che estendesse chiaramente ed esplicitamente i diritti fondamentali apprestati dall’ordinamento giuridico a tutela dei lavoratori tradizionali anche ai telelavoratori. In particolare ci riferiamo a quei diritti che in ipotesi vengono messi maggiormente a repentaglio dalla particolare modalità di esecuzione della prestazione svolta lontano dall’ufficio o dal centro di produzione. Si pensi al diritto alla riservatezza, al diritto all’inviolabilità del domicilio, al diritto alla salute (in riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro ed ai rischi connessi alle modalità lavorative), alla libertà e ai diritti sindacali.80 80 Sul tema cfr. DI COCCO, Aspetti giuridici del telelavoro in Italia, Relazione finale sull’attività di ricerca relativa alle problematiche giuridiche del telelavoro promossa dall’ASTER (Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell’Emilia Romagna) ed il CIRSFID (Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto Filosofia del Diritto e Informatica 264 Su tutte queste tematiche la contrattazione collettiva si è sviluppata in modo tutto sommato organico ed armonioso nel corso di oltre quindici anni. Essa ha saputo offrire spunti di riflessione per il legislatore, traendo a sua volta ulteriori elementi di sviluppo dal lavoro di quest’ultimo. Basti pensare agli spazi aperti alla contrattazione collettiva da parte della legge n. 191 del 16 giugno 1998 e dal D.P.R. n. 70 dell’8 marzo 1999, i quali le hanno delegato alcuni compiti fondamentali come quello di adeguare la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro dei telelavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, oppure quello di definire le modalità per l'accesso al domicilio del dipendente addetto al telelavoro da parte dei soggetti aventi competenza in materia di salute, sicurezza e manutenzione. Non va infine trascurata la possibilità che venga a crearsi in futuro uno scenario di diritto sindacale virtuale, in cui il canale informatico potrebbe rappresentare la via per consentire adeguati flussi informativi destinati ai rappresentanti sindacali, e più in generale a tutti i telelavoratori, anche in vista di una non impossibile telecontrattazione aziendale.81 Giuridica dell’Università degli Studi di Bologna), 1998, pp. 68. 81 Questa previsione viene proposta da GIUGNI, E’ necessario, subito un altro (tele)statuto, Telèma, 2, autunno 1995, pp. 46-48. 265 4.4.1. L’ACCORDO QUADRO EUROPEO Se negli anni ’70 e ’80 del XX secolo l’approccio dei paesi europei nel campo delle relazioni industriali era sistematico, alla ricerca di strumenti che prevenissero ex ante i conflitti sindacali, nell’ultimo decennio il panorama è cambiato radicalmente in virtù delle nuove modalità organizzative aziendali e della globalizzazione dei mercati. La Commissione dell’Unione Europea ha sollecitato per tempo un adeguamento del sistema di relazioni industriali ed in tale contesto non ha mai nascosto il proprio interesse nei confronti del telelavoro, considerato “uno degli indicatori più visibili dei cambiamenti nell'organizzazione del lavoro”. La Commissione ha raccomandato alle parti sociali di costruire “un appropriato quadro di relazioni industriali che garantisca diritti e doveri per i telelavoratori e per i datori di lavoro" e di "raccogliere gli accordi collettivi sul telelavoro a livello europeo".82 Il telelavoro è stato oggetto di discussione da parte della Commissione anche in altre sedi, ad esempio laddove si è instaurato un tavolo negoziale con l’ente Unice, in rappresentanza dei datori di lavoro europei, e con l’European Trade Union Confederation, confederazione sindacale europea, per tracciare le linee di un accordo strutturale sul telelavoro. I principi sui quali le parti sociali hanno trovato un accordo in tempi brevi sono stati la natura volontaria della decisione di telelavorare, il diritto del telelavoratore ad essere reintegrato nel suo posto di lavoro originale, la conservazione dello status di dipendente ed un uguale trattamento rispetto agli altri lavoratori nei settori della formazione, della salute e della sicurezza. Questi negoziati si erano prefissati lo scopo di estendere a tutto il territorio dell’Unione Europea gli accordi già raggiunti in alcuni Paesi, per fondare un nucleo minimo, ma universalmente condiviso, di principi regolatori.83 82 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, Strategie per l’occupazione nella società dell’informazione, Comunicazione della Commissione, Bruxelles 04.02.2000, COM(2000) 48 definitivo 83 Cfr. WEISSBACH, Euro-telework – Report on telework regulation and social dialogue, Relazione patrocinata dalla Direzione Generale sull’impiego e gli affari sociali della Commissione Europea, 2000, in http://www.euro-telework.org 266 Un primo risultato fu raggiunto nel 2000 con la firma di due accordi settoriali nel campo delle telecomunicazioni e del commercio.84 Nel quadro della strategia europea per l’impiego anche il Consiglio Europeo ha invitato le parti sociali a procedere alla negoziazione di accordi diretti a modernizzare l’organizzazione del lavoro attraverso la flessibilità e finalizzati ad incrementare la produttività e la competitività delle imprese sul mercato, ma garantendo il necessario equilibrio tra flessibilità e sicurezza. Il fenomeno del telelavoro, inteso quale forma di estrinsecazione dell'attività lavorativa, è andato del resto sempre di più ampliandosi, tanto che in Europa sono ormai milioni i soggetti che esplicano la loro attività in questo modo. Di ciò sono da anni pienamente consapevoli le associazioni datoriali e dei lavoratori, che il 16 luglio 2002 a Bruxelles hanno sottoscritto un accordo quadro, di durata quinquennale, destinato ad essere recepito nel triennio successivo dai contratti collettivi degli Stati membri dell'Unione Europea.85 Questo accordo segna l’approdo di circa un decennio di difficili negoziati sulla regolamentazione delle nuove forme di lavoro che fanno ricorso alle tecnologie informatiche, ed è il primo che le parti sociali si sono impegnate a mettere in opera autonomamente, senza fare ricorso alla legislazione europea. Nel contesto europeo dell’organizzazione del mercato del lavoro questo accordo ha suscitato particolare interesse, proprio perché è il primo ad entrare in vigore su base volontaria, secondo il dettato dell'art. 139 del Trattato sull’Unione Europea.86 Dispone infatti l’art. 12, l’ultimo articolo 84 Per i dettagli cfr. BIBBY, Telework 2001 reports, in http://www.andrewbibby.com/telework/telework2001.html Cfr. l'Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 sul telelavoro, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP). 86 Cfr. l’art.139 della versione consolidata del Trattato istitutivo della Comunità europea (G.U.C.E. n. C325 del 24.12.2002, pagg. 33-184): “1. Il dialogo fra le parti sociali a livello comunitario può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi. 2. Gli accordi conclusi a livello comunitario sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell'ambito dei settori contemplati dall'articolo 137, e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo allorché l'accordo in questione contiene una o più disposizioni relative ad uno dei settori per i quali è richiesta l'unanimità a norma dell'articolo 137, paragrafo 2. In tal caso il Consiglio delibera all'unanimità”. 85 267 dell’accordo quadro, che le parti “provvederanno ad attuare, nell’ambito dell’art. 139 del Trattato, il presente accordo-quadro europeo, conformemente alle procedure e prassi proprie delle parti sociali vigenti negli Stati membri. Tale attuazione avrà luogo entro il termine di tre anni a decorrere dalla sottoscrizione del presente accordo”. Per questo motivo viene considerato alla stregua di un potenziale modello per i futuri accordi che interverranno tra le parti sociali all'interno dell'Unione Europea, tanto che Anna Diamantopoulou, commissario incaricato per l’impiego e gli affari sociali, ha commentato la firma dell’accordo dichiarando che “Questo fatto segna l’avvento dell’era del dialogo sociale europeo”. Il successivo cammino dell’accordo sarà oggetto di monitoraggio da parte di un gruppo di lavoro composto dalle parti firmatarie, le quali dovranno presentare un rapporto congiunto al termine del quadriennio successivo alla firma.87 Uno degli aspetti di maggior rilievo dell'accordo, oltre allo specifico obbligo di trasposizione a livello nazionale entro tre anni dalla firma, consiste nella clausola di non regresso, in base alla quale l'attuazione dell'accordo non può comportare in nessun caso una riduzione nel livello generale di tutela garantito ai telelavoratori in ciascuno Stato membro.88 Volendo addentrarsi in una disamina più approfondita dei contenuti dell’accordo occorrerà seguire il disegno sistematico del documento. Le parti sociali europee hanno inteso fissare alcuni principi basilari, peraltro già presenti nell'esperienza giuridica italiana, basti pensare all'accordo dell’1 luglio 1998 per promuovere il telelavoro in una grande impresa come Telecom Italia Spa oppure alle previsioni normative della legge n. 191 del 1998 e del successivo regolamento attuativo. Innanzitutto la definizione di telelavoro adottata dall'accordo (art. 2) è estremamente ampia, tale da ricomprendere una vasta gamma di situazioni, talune in fieri, che vanno dalla prestazione del tutto autonoma a quella subordinata. Il telelavoro viene definito come “una forma di organizzazione 87 Cfr. I.L.O., Accord sur le télétravail, Travail, n. 44, sept-oct 2002. Cfr. l’ampia analisi di MASSI, Telelavoro: ratificato l’accordo europeo, Diritto & pratica del lavoro, n. 34, 2002, pp. 2252-2255. 88 268 e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa, viene, invece, regolarmente svolta al di fori dei locali della stessa”. Come si vede si tratta di una definizione molto ampia, che può riguardare tutte le condizioni di lavoro comprese tra gli estremi del lavoro autonomo e di quello subordinato, e che cerca di coniugare flessibilità e sicurezza. Sono quindi due gli elementi essenziali richiesti per qualificare un’attività come telelavoro, lo svolgimento attraverso l'utilizzazione delle tecnologie informatiche ed in un luogo che si trovi all'esterno della struttura fisica dell'impresa. Secondo alcuni autori l’espressione “attività regolarmente svolta all'esterno” sembrerebbe piuttosto riduttiva, in quanto escluderebbe quelle forme di telelavoro in cui si realizza solo una ripartizione temporanea del luogo della prestazione tra sede dell'unità produttiva e domicilio, o altro luogo ove si presta l'attività al di fuori delle mura dell'impresa. Tuttavia proprio la genericità dell’espressione usata fa sì che le successive pattuizioni nazionali, e soprattutto le determinazioni legislative dei singoli Paesi, potrebbero in parte derogarvi.89 Il primo aspetto che l’accordo quadro europeo mette in dovuto risalto è la natura volontaria che deve sempre sottostare alla scelta di lavorare a distanza. L'art. 3 prevede infatti che la prestazione di telelavoro nasca da una scelta volontaria comune dei due soggetti contraenti.90 Essa 89 Cfr. MASSI, cit. Accordo-quadro del 16 luglio 2002 sul telelavoro, art.3, Natura volontaria: “Il telelavoro consegue ad una scelta volontaria del datore di lavoro e del lavoratore interessati. Esso può essere inserito nella descrizione iniziale delle prestazioni del lavoratore ovvero scaturire da un successivo impegno assunto volontariamente. In entrambi i casi il datore di lavoro provvede a fornire al telelavoratore le relative informazioni scritte, conformemente alla direttiva 91/533/CEE, ivi incluse le informazioni relative alle clausole collettive applicabili, alla descrizione della prestazione lavorativa, etc. Le specificità del telelavoro richiedono di regola ulteriori informazioni scritte relative all’unità produttiva cui il telelavoratore è assegnato, il suo superiore diretto o le altre persone alle quali il telelavoratore può rivolgersi per questioni di natura professionale o personale, le modalità cui fare riferimento, etc. Qualora il telelavoro non sia ricompreso nella descrizione iniziale dell’attività lavorativa e qualora il datore di lavoro offra la possibilità di svolgere telelavoro, il lavoratore potrà accettare o respingere tale offerta. Il passaggio al telelavoro, considerato che implica unicamente l’adozione di una diversa modalità di svolgimento del lavoro, non incide, di per sé, sullo status del telelavoratore. Il rifiuto del lavoratore di optare per il telelavoro non costituisce, di per sé, motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, né di modifica delle condizioni del rapporto di lavoro del lavoratore medesimo. Qualora il telelavoro non sia ricompreso nella descrizione iniziale della prestazione lavorativa, la decisione di passare al telelavoro è reversibile per effetto di accordo individuale e/o collettivo. La reversibilità può implicare il ritorno all’attività lavorativa nei locali del datore di lavoro su richiesta di quest’ultimo o del lavoratore. Le modalità di tale reversibilità sono fissate mediante accordo individuale e/o collettivo”. 90 269 deve essere contestuale, ma può intervenire indifferentemente sia all’inizio del rapporto di lavoro sia in un momento successivo. Dalla volontarietà scaturiscono una serie di conseguenze diverse. A carico al datore di lavoro sorge l’onere di fornire al telelavoratore delle precise informative scritte relative alla struttura cui sarà destinato, alle persone con le quali potrà relazionarsi, alle clausole contrattuali applicabili, alla descrizione dell'attività lavorativa. Il passaggio da una forma di lavoro tradizionale al telelavoro non dovrà influire sulla natura e sulle condizioni applicate al rapporto di lavoro. In modo analogo il rifiuto del lavoratore di optare per il telelavoro non potrà costituire di per sé un motivo di modifica delle condizioni del rapporto di lavoro o, peggio, di risoluzione del rapporto stesso. A ben vedere si tratta di due limiti consistenti, soprattutto il secondo, in quanto il datore di lavoro non potrà recedere dal contratto di lavoro adducendo un giustificato motivo oggettivo.91 L'articolo 3 enuncia poi un altro principio estremamente importante, quello della reversibilità della scelta di telelavorare. Tuttavia le modalità del rientro in azienda dovranno essere definite dall'accordo collettivo aziendale o, in mancanza, da quello individuale. La decisione di telelavorare, per esempio presso il proprio domicilio, offre alcuni potenziali vantaggi al lavoratore, che potrà così dedicare maggior tempo alle proprie attività ed alla famiglia eliminando i tempi degli spostamenti da e verso l’ufficio. Ma nel tempo le situazioni possono mutare ed il lavoratore deve essere messo nelle condizioni di poter tornare in azienda se lo desidera. Per questo motivo la contrattazione aziendale dovrà stabilire alcune regole che, oltre a tutelare il lavoratore, garantiscano anche gli impegni economici ed organizzativi del datore di lavoro. Sarà quindi opportuno stabilire dei termini minimi entro i quali non è possibile far valere il diritto alla reversibilità. Circa le condizioni di lavoro il successivo art. 4 dell’accordo quadro europeo afferma che “il telelavoratore fruisce dei medesimi diritti, garantiti dalla legislazione e dai contratti collettivi 91 Cfr. MASSI, cit. 270 applicabili, spettanti al lavoratore comparabile che svolge attività nei locali dell’impresa. Tuttavia, al fine di tener conto delle peculiari caratteristiche del telelavoro, si potrà far ricorso ad accordi specifici integrativi di natura collettiva e/o individuale”. L'accordo quadro rinvia quindi la definizione dettagliata delle condizioni di lavoro alla contrattazione collettiva nazionale od individuale. Il fatto che i telelavoratori debbano godere dei medesimi diritti degli altri lavoratori da un lato significa che ad essi va garantito un accesso pieno a tutti gli istituti previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ad esempio in materia di malattia, maternità, conservazione del posto, ecc. D’altra parte ciò vuol dire anche pari opportunità per quanto riguarda le possibilità di carriera, di progressione professionale e la partecipazione ai premi di produttività aziendale, essendo vietata ogni forma di discriminazione che si fondi sulla diversa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Un ulteriore aspetto disciplinato dall’accordo quadro europeo è quello della protezione dei dati e del diritto alla riservatezza. L'art. 5 fissa alcuni principi generali cui il datore di lavoro ed il lavoratore debbono attenersi.92 II primo è tenuto ad adottare idonee misure atte a proteggere i dati utilizzati ed elaborati, nonché ad informare il dipendente circa l'esistenza di leggi e norme aziendali in materia. Sempre al datore di lavoro compete comunicare al lavoratore eventuali limitazioni nell’utilizzo delle apparecchiature informatiche e di Internet, informandolo sulle eventuali sanzioni applicabili in caso di non osservanza. Grava invece sul telelavoratore l'obbligo di rispettare le direttive impartite. Tale previsione appare del tutto superflua, visto l’obbligo generalizzato di rispetto dei normali principi comportamentali connessi allo svolgimento di un rapporto di lavoro. 92 Accordo-quadro del 16 luglio 2002 sul telelavoro, art. 5, Protezione dei dati: “Il datore di lavoro è tenuto ad adottare idonee misure, segnatamente mediante interventi sul software, atte a garantire la protezione dei dati utilizzati ed elaborati dal telelavoratore per fini professionali. Il datore di lavoro provvede ad informare il telelavoratore in ordine a tutte le norme di legge e regole aziendali applicabili relative alla protezione dei dati. Il telelavoratore è responsabile del rispetto di tali norme e regole. Il datore di lavoro provvede ad informare il lavoratore, in particolare, in merito : - ad ogni eventuale restrizione riguardante l’uso di apparecchiature o strumenti informatici, quali internet, - alle sanzioni applicabili in caso di violazione”. 271 Collegato al tema della protezione dei dati vi è poi quello del diritto alla riservatezza della sfera privata del telelavoratore, che impone all’imprenditore dei limiti. Il successivo art. 6, nel parlare del diritto alla riservatezza del telelavoratore, si sofferma infatti su di un concetto fondamentale, soprattutto quando il dipendente operi presso il proprio domicilio, e cioè quello della proporzionalità del controllo rispetto all’obiettivo perseguito. L'eventuale strumento di controllo, oltre a rispettare il dettato della direttiva 90/27093 sui videoterminali, non può quindi interferire sulla vita personale di relazione dell'individuo.94 In Italia, come si vedrà meglio in seguito (§ 6.5), il lavoro a distanza ha posto dei seri problemi per quanto riguarda il controllo dell'attività lavorativa, in vigenza dell'art. 4 della legge n. 300 del 1970, il quale prevede che per l'installazione di mezzi ed apparecchiature occorra un accordo tra le rappresentanze sindacali e la direzione dell'impresa o, in difetto, un provvedimento emesso dalla Direzione provinciale del lavoro. Questa situazione, almeno nelle fasi iniziali dello sviluppo del telelavoro in Italia, rischiava di frenarne la diffusione fino al momento in cui fosse intervenuta la contrattazione collettiva. In tal senso uno dei primi accordi a farsi carico del problema fu quello interconfederale del 20 giugno 1997 per il commercio e la grande distribuzione. In esso i soggetti firmatari concordarono che “i dati raccolti per la valutazione sulle prestazioni del singolo lavoratore, anche a mezzo di sistemi informatici e/o telematici, non costituiscono violazione all’articolo 4 della Legge n. 300/70 e delle norme contrattuali in vigore, in quanto funzionali allo svolgimento del rapporto”.95 Non va poi dimenticato che le norme sulla riservatezza dei dati trattati riguardano anche l'uso che degli stessi può farne il dipendente. Qui si entra nel campo del comportamento diligente, per cui 93 Cfr. Direttiva n. 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L156 del 21.06.1990, pagg. 14-18 94 Accordo-quadro del 16 luglio 2002 sul telelavoro, art. 6, Diritto alla riservatezza: “Il datore di lavoro rispetta il diritto alla riservatezza del telelavoratore. L’eventuale installazione di qualsiasi strumento di controllo deve risultare proporzionata all’obiettivo perseguito e deve essere effettuata nel rispetto della direttiva 90/270/CEE relativa ai videoterminali”. 95 Cfr. Accordo interconfederale sul telelavoro subordinato fra Confcommercio e FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTUCS-UIL, sottoscritto il 20 giugno 1997. 272 non appare cofigurabile alcuna attività, in proprio o conto terzi, che possa trovarsi in concorrenza con quella svolta dal datore di lavoro. Tuttavia può ritenersi ammissibile la cosiddetta attività lavorativa non concorrente, resa possibile attraverso l'uso delle apparecchiature e del software forniti dal datore di lavoro, purché svolta al di fuori del normale orario di lavoro e dietro apposita autorizzazione datoriale. A proposito di strumenti di lavoro l'art. 7, dopo aver stabilito che ogni questione afferente gli strumenti di lavoro deve essere definita in modo chiaro prima dell'inizio della prestazione, afferma che in linea di massima è il datore di lavoro che deve fornire gli strumenti informatici e che deve sopportare le spese di installazione e di manutenzione, a meno che il dipendente non faccia uso in via continuativa di strumenti propri. La disposizione prosegue affermando che i costi relativi ai collegamenti sono a carico dell'imprenditore, così come quelli derivanti dalla perdita o dal danneggiamento degli strumenti di lavoro e dei dati utilizzati dal telelavoratore, fatto salvo quanto dispongono in merito la legislazione ed i contratti collettivi. Restano ovviamente in capo al dipendente l’obbligo di garantire la massima cura delle attrezzature ed il divieto di diffondere o raccogliere materiale illegale via Internet. Da quanto appena visto si può affermare che, se le attrezzature rimangono di proprietà del datore di lavoro, si rientra nell'ambito del comodato d'uso, per cui incombono sul datore di lavoro le spese di installazione e di manutenzione. Troveranno così applicazione le norme del codice civile (artt. 1803 e segg.), per cui si potrà a ragione sostenere che “il comodatario che impiega la cosa per un uso ed un tempo più lungo di quello a lui consentito è responsabile della perdita avvenuta” (art. 1805, 2° c., c.c.) e che il lavoratore non risponde del normale deterioramento delle attrezzature se dovuto all'uso.96 Un'altra disposizione dell’ordinamento giuridico italiano, riferita alle spese di installazione delle postazioni di telelavoro, si ritrova nella legge n. 68 del 12 marzo 1999.97 Il datore di lavoro ha 96 Art. 1807 del codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262, pubblicato nella G.U. n. 79 del 4 aprile 1942), Deterioramento per effetto dell’uso: Se la cosa si deteriora per solo effetto dell’uso per cui è stata consegnata e senza colpa del comodatario, questi non risponde del deterioramento 97 Legge 12 marzo 1999, n. 68, Norme per il diritto al lavoro dei disabili (pubblicata nel S.O. n. 57 alla G.U. n. 68 del 23 marzo 1999), art. 13.1: Attraverso le convenzioni di cui all'articolo 11, gli uffici competenti possono concedere ai 273 diritto ad un rimborso forfettario parziale per le spese sostenute per la realizzazione di una postazione di telelavoro qualora alla stessa venga addetto un disabile affetto da una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%. Questo rimborso, nei limiti delle disponibilità, è a carico del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. L’accordo prosegue poi con un articolo dedicato alla salute ed alla sicurezza dei telelavoratori. L'art. 8 ribadisce la responsabilità del datore di lavoro circa la tutela della salute e della sicurezza professionale dei telelavoratori, conformemente a quanto già previsto dalle direttive comunitarie e dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva di ogni singolo Stato membro. Il datore di lavoro è tenuto a fornire ai suoi dipendenti tutte le informazioni concernenti la salute e la sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine all'uso dei videoterminali. Per assicurare la corretta applicazione della normativa vigente in materia di salute e sicurezza l’art. 8 dell’accordo quadro stabilisce che il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e le autorità di controllo competenti possono accedere al luogo ove si svolge la prestazione.98 Nel caso in cui tale luogo sia rappresentato dal domicilio del lavoratore dipendente saranno necessari un preavviso ed il consenso del telelavoratore. La disposizione riconosce inoltre al lavoratore a distanza il diritto di chiedere accertamenti sulla postazione lavorativa. datori di lavoro privati, sulla base dei programmi presentati e nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui al comma 4 del presente articolo: - omissis – c) il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento o per l'apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l'integrazione lavorativa del disabile. 98 In Italia le autorità che esercitano funzioni di vigilanza in questo campo sono identificabili negli organi tecnici delle Direzioni del lavoro e del Servizio Sanitario Nazionale, secondo quanto stabilisce il decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE e 99/92/CE, 2001/45/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (pubblicato nel S.O. n. 141 alla G.U. n. 265 del 12 novembre 1994) con le modifiche ed integrazioni apportate dal Decreto Legislativo 19 marzo 1996, n. 242, (S.O. n. 75 alla G.U. n. 104 del 06 maggio 1996), art. 23 Vigilanza: 1. La vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è svolta dalla unità sanitaria locale e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché, per il settore minerario, dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, e per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. 2. Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente all'ispettorato del lavoro, per attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, l'attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza può essere esercitata anche dall'ispettorato del lavoro che ne informa preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza della unità sanitaria locale competente per territorio. 274 E’ da ritenersi, con un elevato grado di certezza, che la possibilità di effettuare la prestazione lavorativa presso il proprio domicilio comporti per il lavoratore un ulteriore obbligo di tutela della salute e della sicurezza nei confronti dei familiari che hanno libero accesso alla postazione telelavorativa. Il successivo articolo 9 dell’accordo quadro europeo recepisce, a livello continentale, quanto già elaborato nel corso di un decennio di contrattazione collettiva nazionale e locale in materia di organizzazione del lavoro.99 A prima vista sembrerebbe che venga offerta al telelavoratore la possibilità di autogestire le modalità della propria prestazione lavorativa con ampi margini di libertà,. Ma questa opportunità viene comunque compressa dal necessario rispetto della disciplina contenuta nella legislazione, nella contrattazione collettiva e nelle direttive aziendali applicabili. Per questo motivo, anche quando è possibile una forte personalizzazione dell'orario essendo sufficiente ai fini della prestazione il risultato ottenuto, vi sono per forza di cose delle sovrapposizioni con l'orario svolto dagli altri dipendenti presenti in azienda. Secondo l’accordo il carico di lavoro ed i livelli di prestazione, vale a dire la quantità e la qualità del lavoro svolto, devono essere equivalenti a quelli assegnati ai lavoratori presenti nell'impresa. Ciò significa in buona sostanza che al datore di lavoro è posto il divieto di discriminare i dipendenti che telelavorano. Se il rapporto di lavoro è di natura subordinata troveranno quindi piena applicazione, nel nostro ordinamento le disposizioni vigenti in materia di orario di lavoro e di straordinario, purché siano oggettivamente rilevabili attraverso strumenti informatici. Il datore di lavoro è tenuto inoltre a garantire tutte quelle misure idonee a non isolare progressivamente il lavoratore dal contesto aziendale, ivi compresa la possibilità di incontrarsi in maniera regolare con i colleghi di lavoro che non sono stati destinati al lavoro remoto. 99 Accordo-quadro del 16 luglio 2002 sul telelavoro, art. 9, Organizzazione del lavoro: “Nell’ambito della legislazione, dei contratti collettivi e delle direttive aziendali applicabili, il telelavoratore gestisce l’organizzazione del proprio tempo di lavoro. Il carico di lavoro ed i livelli di prestazione del telelavoratore devono essere equivalenti a quelli dei lavoratori comparabili che svolgono attività nei locali dell’impresa. Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del telelavoratore rispetto agli altri lavoratori dell’azienda, come l’opportunità di incontrarsi regolarmente con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda”. 275 Sempre secondo un’ottica che tende ad evitare qualsiasi forma di discriminazione nei confronti dei telelavoratori, l’art. 10 dell’accordo quadro europeo sancisce il diritto di questi ultimi alla fruizione “delle medesime opportunità di accesso alla formazione e allo sviluppo della carriera dei lavoratori comparabili che svolgono attività nei locali dell’impresa”. Naturalmente l’accordo stabilisce anche che il telelavoratore dev’essere il destinatario di una ulteriore formazione specifica, riguardante gli strumenti tecnici utilizzati e le caratteristiche tipiche di questa forma di organizzazione del lavoro. Il successivo art. 11 riprende il tema della parità di trattamento anche per quanto riguarda i diritti collettivi, siano essi sanciti da disposizioni legislative o scaturenti dalla contrattazione aziendale. Il telelavoratore gode quindi dell'elettorato attivo e passivo in rapporto agli organismi di rappresentanza sindacale, e rientra nella base di calcolo ai fini della determinazione del numero minimo necessario per la costituzione degli organi medesimi. Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare, attraverso sistemi elettronici, dei flussi di comunicazione riguardanti tutto ciò che è rilevante nella vita aziendale. Attraverso di essi potrà, ad esempio, adempiersi l'obbligo di pubblicità delle norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, cioè il cosiddetto codice disciplinare, nel rispetto dell’art. 7 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, meglio conosciuta come “Statuto dei lavoratori”. Al riguardo è stata adottata la soluzione già contenuta nell'accordo interconfederale del commercio del 20 giugno 1997, secondo cui “ai fini di quanto previsto dall’articolo 7 della Legge 300/70, il datore di lavoro provvederà ad inviare al domicilio di ciascun telelavoratore copia del CCNL applicato, considerando con ciò assolto l’obbligo di pubblicità”.100 Volendo sintetizzare si può dire che, rispetto alla disciplina previgente, l'accordo quadro europeo pone nettamente l'accento sull'utilizzo regolare, da parte del telelavoratore, di strumenti 100 Su questo aspetto cfr. MASSI, cit. 276 informatici. Una prima conseguenza di notevole portata sarà quindi che l’accordo può essere applicato indifferentemente a fattispecie di lavoro autonomo, subordinato o parasubordinato. Inoltre viene riconosciuto per la prima volta ai telelavoratori un elevato grado di autonomia nello svolgimento della prestazione lavorativa, essendo gli stessi liberi di gestire l'orario di lavoro secondo le proprie esigenze e con un unico limite, ossia che l'entità del lavoro non dovrà essere più gravosa rispetto a quella degli altri dipendenti che operano presso i locali dell'azienda. Sotto diverso profilo l'accordo quadro introduce alcune garanzie in più per il telelavoratore che si sostanziano in una serie di obblighi di informazione da parte del datore di lavoro: sul luogo e sulle modalità di svolgimento dell'attività, sul referente gerarchico, sulla salute e sicurezza del lavoro, ecc. Inoltre è previsto che le parti possano ripristinare in ogni momento il normale rapporto di lavoro. Un ulteriore aspetto rilevante che emerge dall'accordo quadro è quello relativo al rispetto del principio di parità di diritti rispetto ai lavoratori tradizionali, anche e soprattutto sotto il profilo della tutela della garanzia dei percorsi di formazione professionale, di cui deve farsi carico il datore di lavoro. L'accordo quadro ribadisce infine quanto già affermato dalla normativa vigente in tema di gestione degli strumenti informatici. I costi di utilizzazione e manutenzione restano in capo al datore di lavoro, mentre al telelavoratore spetta l'obbligo di avere debita cura nell'uso degli strumenti che gli sono stati forniti. Tuttavia, grazie ad un'altra importante novità introdotta dall'accordo quadro, il telelavoratore potrà scegliere di utilizzare strumenti propri.101 101 Cfr. TRIFIRO’ et al., Telelavoro, in “Le soluzioni degli esperti”, Diritto & pratica del lavoro, n. 37, 2002, p. 2453. 277 4.5. LA GIURISPRUDENZA Il diritto del lavoro dà origine in Italia ad un gran numero di decisioni giurisprudenziali, ma in questo oceano non è facile trovare delle pronunce che riguardino in modo specifico il telelavoro. Il contenzioso giudiziale in materia di qualificazione del telelavoro sembra mancare, sebbene si tratti di una materia in cui i giuristi potrebbero proficuamente adoperarsi per colmare con la propria opera di interpretazione e ricostruzione il ritardo del diritto scritto rispetto a questa nuova forma di organizzazione del lavoro. A questa riflessione teorico-giuridica se ne aggiunge un'altra di ordine pratico. In Italia vengono pubblicate ogni anno migliaia di sentenze dei giudici del lavoro, approssimativamente trentamila nell'ultimo decennio, cioè da quando il telelavoro ha incominciato a diffondersi nel nostro tessuto produttivo. Queste sentenze rappresentano solo la punta dell'iceberg, la piccola parte emersa della massa assai più grande di tutte le sentenze dei giudici del lavoro. Ogni anno centinaia di sentenze, tra quelle pubblicate, riguardano controversie relative alla qualificazione del rapporto di lavoro per stabilire, di volta in volta, se si tratti di lavoro autonomo oppure subordinato. Ebbene, neppure una di queste, per quanto si è riuscito ad appurare, tratta della qualificazione giuridica di un contratto di telelavoro. Sembra quasi che la questione non sia mai stata posta in un'aula giudiziaria. II dato non può spiegarsi con l'ancora scarsa diffusione del telelavoro nel nostro Paese, dal momento che i dati disponibili consentono di valutare, pur molto prudenzialmente, il numero dei telelavoratori italiani almeno nell'ordine delle decine di migliaia. Categorie assai meno numerose di lavoratori, collocati nella zona grigia tra lavoro autonomo e subordinato, hanno prodotto fior di sentenze in materia di qualificazione del rapporto di lavoro. Ne sono un esempio i contenziosi instaurati dai cosiddetti pony-express, dai disk-jockey, dalle top models, dalle guide alpine, ecc. 278 Né l'assenza di contenzioso in materia di qualificazione giuridica del telelavoro può spiegarsi con un quadro di certezze teoriche unanimemente condivise in materia. Al contrario, latitando il formante legislativo e quello giurisprudenziale, la dottrina giuslavoristica si presenta su questo punto profondamente divisa. La dottrina più convincente sostiene che i telelavoratori collocati nelle fasce professionali inferiori sono senza dubbio inquadrabili come dipendenti, alternando le prestazioni a distanza con quelle intraaziendali. La fascia professionalmente più elevata di telelavoratori, essendo in linea di massima in grado di negoziare efficacemente la propria posizione contrattuale con la committenza, guarda invece alla forma del contratto di collaborazione autonoma come a quella che consente di trarre il massimo frutto dalla propria professionalità, dalla propria capacita di offrire una prestazione quantitativamente elastica e qualitativamente flessibile. Secondo questa visione non stupisce quindi che i telelavoratori poco si preoccupino del loro inquadramento come lavoratori autonomi o subordinati, alternativa che, nei termini in cui oggi ancora si pone nel nostro ordinamento, è eredità di un mondo in gran parte passato.102 Anche se la ricerca di pronunce che trattino di telelavoro ha dato esiti alquanto modesti, per non dire scoraggianti, possono comunque essere menzionate alcune rare sentenze della Corte di cassazione, la prima delle quali risale al 1999.103 La fattispecie riguardava la prestazione lavorativa resa da una telelavoratrice presso il proprio domicilio, e la sentenza parla espressamente di telelavoro e di home office. In essa si afferma che nel rapporto di lavoro subordinato privato, il luogo ove viene resa la prestazione assume importanza ai fini della determinazione della competenza territoriale del giudice solo ove la prestazione sia collegata ad una vera e propria dipendenza dell’azienda, con la conseguenza che ove il lavoratore non sia addetto ad alcuna dipendenza può assumere rilievo ai predetti fini anche il luogo di conclusione del contratto. 102 103 Cfr. ICHINO, I problemi giuridici del telelavoro, Notiziario del lavoro, n. 75, 1996. Cfr. Corte Suprema di cassazione, Sezione lavoro, sentenza 14 ottobre 1999, n. 11586. 279 E' stata questa una delle prime occasioni nelle quali la giurisprudenza di legittimità è stata chiamata ad affrontare, sia pur sotto il limitato profilo della determinazione del giudice territorialmente competente a conoscere delle relative controversie, i nuovi profili giuslavoristici connessi al telelavoro. La sentenza in questione, emessa a seguito di ricorso per regolamento di competenza, ha confermato una precedente decisione del Pretore di Roma che, adito da una telelavoratrice subordinata, aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio, respingendo in tal modo 1'assunto della ricorrente che aveva invocato quale criterio di collegamento per radicare la competenza quello del luogo di effettivo svolgimento della prestazione, che nel caso di specie coincideva con la propria abitazione. II Pretore ritenne che l'anzidetto criterio di collegamento, per le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, non poteva essere utilizzato nella fattispecie in discussione, in quanto l’abitazione della telelavoratrice non rappresentava una vera e propria dipendenza dell'azienda datrice di lavoro e dovendo perciò farsi ricorso ad altro diverso criterio, rappresentato nell'occasione da quello del luogo di insorgenza del rapporto stesso. Tale conclusione del giudice di merito venne confermata dalla Cassazione, che rigettò pertanto il regolamento di competenza proposto dalla lavoratrice, sulla base del principio secondo cui il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa può assumere rilevanza ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente solo se tale prestazione sia collegata ad una vera e propria dipendenza dell'azienda, altrimenti occorrerà far ricorso ad altri criteri di determinazione della competenza. Al riguardo la Corte di Cassazione precisò altresì che nel caso del telelavoratore a domicilio, non addetto quindi ad alcuna dipendenza, rileva il luogo di conclusione del contratto, come si verifica anche nelle ipotesi dei lavoratori itineranti e dei lavoratori a domicilio per i quali, secondo l'interpretazione generalmente accolta in giurisprudenza e dottrina, non può assumere rilievo il luogo in cui la prestazione è resa nè il domicilio degli stessi. 280 La pronuncia in questione ha inoltre affermato che l'esclusione della rilevanza del luogo del domicilio del lavoratore subordinato, ai fini della determinazione della competenza, non è sospettabile di illegittimità costituzionale, nonostante la legge n. 128 dell’11 febbraio1992 abbia invece introdotto il criterio del luogo del domicilio del lavoratore limitatamente ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c.104 Tale conclusione discenderebbe dal fatto che le due fattispecie, telelavoro domiciliare e collaborazione coordinata continuativa, non sono certamente tra loro assimilabili, e che spetta comunque al legislatore scegliere i criteri determinativi della competenza territoriale per contemperare i contrapposti interessi delle parti nel rispetto del principio di ragionevolezza. Del resto, secondo la suprema corte, un esempio di esercizio di siffatta discrezionalità del legislatore lo si può riscontrare anche nell'art. 40 del d.lgs. n. 80 del 31 marzo 1998105 che, per le controversie inerenti il pubblico impiego, ha individuato come giudice esclusivamente competente per territorio quello nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è (o era) addetto, criterio che non è stato derogato nemmeno dalla disciplina successivamente posta in relazione all'introduzione del telelavoro nel pubblico impiego (art. 4 della 1egge 16 giugno 1998, n. 191 e d.p.r. 8 marzo 1999, n.70). 106 Come già anticipato la sentenza della Cassazione in parola, per determinare la competenza territoriale nelle controversie relative al telelavoro domiciliare, ha ritenuto di poter ricorrere sostanzialmente agli stessi criteri di determinazione della competenza che possono essere utilizzati nelle controversie riguardanti i lavoratori subordinati la cui prestazione lavorativa sia priva di un collegamento con una vera e propria dipendenza dell’azienda datrice di lavoro, come nel caso dei 104 Cfr. legge 11 febbraio 1992, n. 128 “Disciplina della competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di cui al n. 3) dell'art. 409 del codice di procedura civile”, pubblicata in G.U. n. 41 del 19 febbraio 1992. 105 Cfr. decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 “Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”, pubblicato in G.U. n. 82 dell’8 aprile 1998, S.O. 106 Cfr. art. 4 della legge 16 giugno 1998, n. 191 “Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica” (G.U. n. 142 del 20 giugno 1998, S.O. n. 110) e d.P.R. 8 marzo 1999, n. 70 “Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191” (G.U. n. 70 del 25 marzo 1999). 281 lavoratori itineranti o dei lavoratori a domicilio. Tale ricostruzione fornisce lo spunto per alcune riflessioni. La disciplina del lavoro subordinato a domicilio è la più idonea a regolamentare una fattispecie complessa quale quella del telelavoro? La dottrina ha avanzato non pochi dubbi in merito, in quanto le regole dettate per il lavoro a domicilio sono state concepite avendo come punto di riferimento l'industria manifatturiera decentrata, caratterizzata dalla produzione di beni materiali quantificabili e fungibili, mentre il telelavoro si caratterizza soprattutto per 1'elaborazione di dati immateriali, prevalentemente infungibili, con l’apporto di autonome capacità decisionali da parte del prestatore di lavoro, nonché per la possibilità di riferirsi a settori produttivi e merceologici ben differenti.107 Dubbi analoghi riguardano la possibilità di utilizzare anche per il telelavoro i criteri di determinazione della competenza territoriale a cui si fa generalmente ricorso per le controversie riguardanti i lavoratori a domicilio, sul presupposto che per entrambi non è possibile parlare di collegamento con una vera e propria dipendenza dell’azienda o con 1'azienda stessa. Occorre infatti rilevare che in altre occasioni i giudici hanno invece ritenuto che ai fini della competenza territoriale può essere considerato come dipendenza dell’azienda anche il domicilio del lavoratore, a condizione che esso non rappresenti solo il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa ma sia un punto di riferimento per gli altri lavoratori e per i terzi che entrino in contatto con l’azienda. Questo assunto si basa sul presupposto che costituisce dipendenza dell'azienda, ai sensi dell'art. 413, 2° c., c.p.c.,108 ogni complesso di beni decentrati munito di propria individualità tecnico-economica, pur se di modesta entità, a condizione che risulti direttamente e strutturalmente collegato con l'azienda medesima in quanto destinato al perseguimento degli scopi imprenditoriali.109 107 Cfr. DE IORIS, Competenza per territorio nel rapporto di lavoro subordinato privato e telelavoro, nota alla sentenza n. 11586 del 14 ottobre 1999 della Corte di cassazione, Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, n.5, 2000, pp.564570. 108 Cfr. Codice di procedura civile, r.d. 28.10.1940, n. 1443, art. 413 (Giudice competente), 2° c. “Competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto”. 109 Cfr. DE IORIS cit. 282 Nel caso del telelavoro domiciliare sono riscontrabili molti degli elementi innanzi richiamati, quali la presenza di un complesso di beni decentrati (ad esempio gli strumenti telematici che collegano stabilmente il lavoratore all'organizzazione aziendale), nonché la loro destinazione al perseguimento degli scopi imprenditoriali. Inoltre è assai comune che il domicilio del telelavoratore funga da punto di riferimento nei confronti di altri lavoratori dell'azienda o dei terzi con i quali questa viene in contatto. In siffatto contesto non sembrerebbe possibile escludere a priori 1'esistenza di un collegamento della prestazione con una dipendenza aziendale tale da rilevare ai fini della determinazione della competenza territoriale, né sarebbe congruo assimilare il telelavoro alle ipotesi classiche di lavoro a domicilio.110 Stante l’attuale incertezza in materia, ed in perdurante assenza di una previsione legislativa ad hoc, la scelta della sede giudicante competente territorialmente in caso di controversia con il datore di lavoro, sia essa favorevole o meno al telelavoratore, può avvenire solo tramite accordi di lavoro a livello individuale o collettivo. Sullo stesso argomento è intervenuta un’ulteriore sentenza della sezione lavoro della Corte di cassazione.111 In essa è stato affermato il principio per cui il viaggiatore piazzista, se lavoratore subordinato, può rivolgersi al giudice del lavoro del luogo dove ha il domicilio, a condizione che la sua abitazione funga da terminale organizzativo dell’azienda. Se l’abitazione diventa una sorta di minidipendenza si applica, in materia di competenza per territorio, il citato art. 413, secondo comma c.p.c., per cui è competente il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore. Nel caso di specie, riguardante un telelavoratore nomade, non era quindi applicabile il quarto comma dell’art. 413 c.p.c., secondo il quale per le controversie concernenti gli agenti di commercio, 110 111 ibidem Cfr. Corte Suprema di cassazione, Sezione lavoro, sentenza 1 marzo 2001, n. 2971 283 ovvero i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, è allo stesso modo competente il giudice nella cui circoscrizione si trova il loro domicilio.112 L’applicazione del secondo comma dell’art. 413 c.p.c. è stata giustificata con l’esigenza, tenuta già presente dal legislatore per gli agenti di commercio, di agevolare l’esercizio del diritto di difesa. Per il viaggiatore piazzista il concetto di “dipendenza” deve quindi essere esteso in via interpretativa fino a comprendere anche quel minimo di beni aziendali, (l’autovettura, il computer, la modulistica) necessari per l’espletamento della prestazione lavorativa; quando questa minima articolazione dell’organizzazione aziendale è collocata presso l’abitazione del lavoratore può verificarsi in concreto una sostanziale sovrapposizione tra la “dipendenza” e il domicilio. Come conseguenza logica di questa sovrapposizione anche il viaggiatore piazzista, che svolge parte del proprio lavoro a distanza, per promuovere una causa di lavoro potrà rivolgersi al giudice nella cui circoscrizione si trova il suo domicilio. Queste conclusioni erano già contenute in embrione in una precedente sentenza della suprema corte, che evidenziava come l’evoluzione giurisprudenziale e legislativa tenda a favorire una più effettiva ed efficace tutela giurisdizionale dei lavoratori, i quali nelle controversie individuali di lavoro rappresentano di norma la parte debole del rapporto sostanziale.113 Questa sentenza ci interessa in quanto ha affermato che “In applicazione del principio di eguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione non può ritenersi che per alcuni tipi di attività lavorativa, come quella dei viaggiatori e piazzisti o anche quella resa mediante telelavoro, sia esclusa la possibilità di radicare il processo in prossimità del luogo dove sono le fonti di prova; tale esclusione infatti comporterebbe un’irragionevole discriminazione”. La Corte ha pertanto esteso in maniera esplicita la nozione di “dipendenza” fino a comprendervi anche quel minimo dei beni aziendali che caratterizzano l’attività del singolo telelavoratore il quale svolga la propria attività al di fuori delle strutture proprie dell’azienda. 112 Cfr. Codice di procedura civile, r.d. 28.10.1940, n. 1443, art. 413 (Giudice competente), 4° c. “Competente per territorio per le controversie previste dal n. 3) dell`art. 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell`agente, del rappresentante di commercio o del titolare degli altri rapporti di cui al predetto n. 3) dell`art. 409”. 113 Cfr. Corte Suprema di cassazione, Sezione lavoro, sentenza 5 giugno 2000, n. 7489. 284 Fin qui abbiamo analizzato quel poco che la giurisprudenza della Corte di cassazione ci offre in tema di telelavoro. Restano da vedere gli ancor più esigui riferimenti testuali contenuti nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. Si tratta di pure e semplici citazioni del telelavoro, senza che la materia del contendere lo riguardi in minima parte. La prima citazione, a quanto ci consta, risale all’ordinanza n. 164 del 1999 riguardante il contenzioso instaurato da un dipendente del Comune di Montebelluna per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento di rigetto della domanda di trasformazione del suo rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.114 Lo svolgimento dell’iter processuale poco interessa ai fini del nostro discorso. Quel che più conta è che la Corte Costituzionale abbia ritenuto che “allo scopo di garantire l’impiego flessibile delle risorse umane, - omissis - le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di forme di lavoro a distanza (cd. telelavoro)”. Una successiva sentenza di rigetto menzionava anch’essa il telelavoro, benché si trattasse ancora di una fattispecie riguardante la trasformazione di un rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.115 Il giudice a quo sosteneva tra l’altro che i dirigenti sanitari del Servizio Sanitario Nazionale vanterebbero un diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, non risultando utilmente richiamabili, a tale rapporto, “le disposizioni che rendono ammissibili forme sperimentali di contrattazione collettiva in ordine all’articolazione flessibile dell’orario di lavoro ed alla diffusione del part-time, ovvero che disciplinano il cd. Telelavoro”. Anche l'esame delle pronunce del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali non fa emergere situazioni in cui il telelavoro, in quanto tale, costituisca motivo di controversia. Una ricerca testuale ha comunque permesso di reperire alcune sentenze in cui il telelavoro compare 114 Cfr. Corte Costituzionale, Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, Ordinanza 164/1999, 29 aprile – 10 maggio 1999 (G.U., 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale, 19.05.1999). 115 Cfr. Corte Costituzionale, Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, Sentenza 336/2001, 8 – 19 ottobre 2001 (G.U., 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale, 24.10.2001). 285 in maniera incidentale e del tutto marginale, essendo al massimo l'oggetto di progetti per cui venivano richiesti e non concessi dei finanziamenti.116 116 Cfr. T.A.R. Puglia, sentenza n. 34 del 9 gennaio 2003; T.A.R. Calabria, sentenza n. 81 del 6 febbraio 2003; T.A.R. Lombardia, sentenza n. 462 del 25 marzo 2003; T.A.R. Lombardia, sentenza n. 463 del 25 marzo 2003; T.A.R. Toscana, sentenza n. 2815 del 13 aprile 2006; T.A.R. Puglia, sentenza n. 3931 del 27 settembre 2006. 286 CAPITOLO V IL TELELAVORO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E NELLE AZIENDE SOMMARIO: - 1. Il telelavoro nella Pubblica Amministrazione. - 1.1. La legge Bassanini ter. - 1.2. Progetti di telelavoro. - 2. Aziende private e telelavoro. – 2.1. Esperienze di telelavoro. 5.1. IL TELELAVORO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Secondo i più attenti studiosi del fenomeno telelavoro la sincronizzazione del lavoro in unità di tempo e di luogo non corrisponde più, nella società post-industriale, ad un'esigenza concreta della produzione. Al contrario, oltre a non soddisfare più i bisogni effettivi dei lavoratori e delle loro famiglie, può addirittura costituire un ostacolo allo sviluppo economico e sociale.1 L’evoluzione sociale, politica, economica e culturale, le trasformazioni organizzative e tecnologiche, la globalizzazione economica e sociale, le innovazioni nei processi produttivi e distributivi, il mutamento dei valori, della cultura, degli stili di vita, dei bisogni e delle aspettative dei consumatori come dei lavoratori, hanno reso anacronistica la rigidità che caratterizzava l'organizzazione del lavoro fino alla fine del XX secolo, inducendo un processo di progressiva e rapida flessibilizzazione. Il telelavoro viene quindi visto con interesse proprio perché si pone come netta alternativa rispetto al modo tradizionale di progettare, organizzare ed eseguire il lavoro, essendo capace di 1 Cfr. ad esempio DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 287 capovolgere i vincoli della distanza e della separazione traducendoli in opportunità imprenditoriali, organizzative e di miglioramento della qualità della vita lavorativa. E proprio la grande flessibilità del telelavoro, derivante dalla destrutturazione del tempo e dello spazio di lavoro, rappresenta una valida opportunità per raggiungere maggiori livelli di efficienza ed efficacia, senza per questo influire negativamente sulla qualità della vita dei lavoratori. Le opportunità offerte dal telelavoro, considerato come uno dei principali strumenti di flessibilità ad oggi disponibile, hanno come logica conseguenza un sempre maggiore interesse nei suoi confronti, non solo da parte dell'imprenditoria privata ma anche da parte delle pubbliche amministrazioni. Ciò è dovuto anche al fatto che il telelavoro non si limita a costituire un mezzo per ridurre i costi e recuperare efficienza, per incrementare l'efficacia e la qualità dei servizi, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, ma può diventare altresì uno strumento per affrontare, se non per risolvere, problemi sociali di grande rilevanza, quali quelli dovuti al traffico ed all'inquinamento atmosferico delle grandi aree urbane, al differente tasso di occupazione tra nazioni o regioni che è causa delle ondate migratorie, alla diseguale erogazione di servizi essenziali tra grandi centri urbani e piccole comunità. Per tutti questi motivi, dopo una prima fase di pressoché totale disinteresse che ha relegato la pubblica amministrazione a posizioni di sostanziale retroguardia, si è andata sviluppando in Italia una forte sensibilità verso il tema, testimoniata da alcune iniziative legislative fortemente innovative e da alcune interessanti sperimentazioni. Benché molto estesa all’estero, tale forma atipica di lavoro ha avuto in Italia, fino a fine millennio, una diffusione piuttosto modesta, dovuta in parte alla complessità e rigidità della legislazione sul lavoro, in parte agli alti costi degli impianti e dei servizi di telecomunicazione e, cosa non da poco, ad una avversione in qualche misura preconcetta di alcuni tra i sindacati più rappresentativi.2 2 Cfr. DI CERBO, I rapporti speciali di lavoro, CEDAM, Padova, 2000. 288 In questo contesto il primo riferimento normativo al telelavoro, in rapporto alle esigenze di flessibilità del lavoro, sarebbe contenuto secondo alcuni autori nell’art. 36, comma 7, del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (modificato dall’art. 22 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 e successivamente abrogato dall'art. 72 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165), il quale prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di avvalersi delle stesse forme contrattuali flessibili di assunzione e impiego del personale previste per il settore privato, la cosiddetta flessibilità tipologica. Questi contratti, riguardanti il tempo determinato, il part-time, i contratti formativi, il job sharing ed il lavoro interinale, sono caratterizzati da elementi che, incidendo sulla durata e stabilità del rapporto, derogano ad alcuni aspetti fondamentali del tradizionale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di cui all’art. 2094 c.c. 3 Non si è però del tutto d'accordo nel far rientrare in questa previsione anche il telelavoro, la cui flessibilità non investe la tipologia contrattuale, giacché esso non costituisce un autonomo tipo normativo di contratto di lavoro, bensì una particolare modalità di svolgimento della prestazione individuale. Si tratterebbe quindi di una flessibilità tecnico-organizzativa e non tipologica. Nulla esclude che la flessibilità organizzativa offerta dal telelavoro possa peraltro andarsi a sommare con il ricorso a forme contrattuali flessibili. E' questo il caso del telelavoro applicato a contratti a tempo determinato, al part-time, ecc. Tuttavia il basso livello di informatizzazione e le titubanze generate dall'assenza di una normativa specifica che ne regolasse l'adozione hanno continuato ad ostacolare lo sviluppo delle esperienze di telelavoro nella nostra pubblica amministrazione. A fare da battistrada nel settore pubblico è stato, nel marzo 1997, il “Protocollo d’intesa sul lavoro pubblico”, sottoscritto da Governo ed organizzazioni sindacali a integrazione del “Patto sul Lavoro” dell’autunno 1996. Questo documento prevede, per la prima volta, la facoltà di procedere a sperimentazioni di 3 Cfr. D.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 1993 n. 30 - S.O. n. 14 e ripubblicato con testo aggiornato nella Gazzetta Ufficiale del 25 maggio 1998 n. 98/L S.O.), art. 36 comma 7: Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. 289 telelavoro nelle strutture della Pubblica Amministrazione, all’interno di un sistema di interventi volti alla flessibilizzazione del pubblico impiego.4 Date queste premesse, le vere basi normative per un più ampio utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche nella pubblica amministrazione italiana sono state introdotte solo successivamente, come elemento della vasta opera di riforma avviata con la legge n. 59 del 19975. Basti pensare alla contestuale introduzione della disciplina del protocollo informatico, della firma e dei documenti digitali, del mandato di pagamento informatico e delle carte di identità elettroniche, tutti tasselli di un mosaico che avrebbe dovuto ridisegnare l'assetto organizzativo della pubblica amministrazione alla luce dei nuovi modelli flessibili di amministrazione e di organizzazione del lavoro.6 Questi elementi fondanti hanno dato il via ad un ciclo normativo diretto a favorire il telelavoro dei dipendenti pubblici che ha avuto origine a partire dalla legge n. 191 del 16 giugno 19987, il cui art. 4, comma 1, ha espressamente stabilito che “allo scopo di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso 1'impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche possono avvalersi di forme di lavoro a distanza”. Il successivo D.P.R. n. 70 dell’8 marzo 1999 ha poi dato attuazione a tale previsione legislativa. Con esso il Ministero della funzione pubblica, ha indicato all’Aran, l’agenzia per la contrattazione del pubblico impiego, come strutturare i contratti per gestire l'impiego flessibile del personale e ha affidato al C.N.I.P.A. un ruolo strategico per consentire il decollo dell'homeworking. Il C.N.I.P.A. non ha mancato di svolgere il suo compito dettando le regole tecniche sul telelavoro con riferimento alla rete unitaria della pubblica amministrazione, fornendo così alle 4 Cfr. ZURLA, Telelavoro e pubblica amministrazione: un occasione per innovare al di là delle retoriche, in Zurla, P., (a cura di), Telelavoro e pubblica amministrazione, Milano, 1998. 5 Cfr. Legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa", (G.U. n. 63 del 17.03.1997), detta anche Legge Bassanini. 6 Cfr. MAZZARO e SILVESTRO, L’introduzione del telelavoro nella pubblica amministrazione dalla Bassanini ter all’accordo quadro nazionale, Diritto e Diritti, 02/2002, in: www.diritto.it/articoli/amministrativo/mazzaro_silv.html 7 la c.d. legge Bassanini ter, di cui ci si occuperà diffusamente nel paragrafo successivo 290 amministrazioni interessate gli elementi necessari per presentare e sperimentare al loro interno progetti di e-working, così come aveva previsto l’art. 6 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70.8 Questi primi interventi del legislatore sono stati propedeutici ad un evento di rilevante importanza: la conclusione dell’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, sottoscritto dall’Aran e dai rappresentanti delle Confederazioni sindacali il 23 marzo 2000.9 L’accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, in attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 4 della legge n. 191 del 1998, ha dettato le regole dirette a consentire ai dipendenti pubblici di lavorare a domicilio, oppure presso centri satellite o ancora attraverso forme di lavoro mobile. In base all’accordo tali forme di flessibilità nell’organizzazione del lavoro avrebbero dovuto avere inizialmente un carattere sperimentale, ed essere sottoposte al controllo di un apposito osservatorio istituito presso l’Aran. I punti fondamentali dell’intesa riguardano il carattere di volontarietà e reversibilità della scelta, il diritto ad un'uguale retribuzione ed alla pari opportunità nella formazione, nella carriera e nei diritti sindacali. Destinatario della nuova forma flessibile di organizzazione del lavoro è il personale già in servizio presso le pubbliche amministrazioni, con il quale non si va ad instaurare un nuovo e diverso tipo di rapporto di lavoro, ma si dà semplicemente vita ad una variazione organizzativa di quello già in atto modificando le modalità di svolgimento della prestazione secondo una nuova e maggiore flessibilità tecnico organizzativa. E' inoltre prevista la reversibilità della scelta da parte dei dipendenti, nel senso che gli stessi possono essere reintegrati, a richiesta, nella loro sede originaria. 8 Cfr. Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, deliberazione n. 16/2001 del 31.05.2001, Regole tecniche per il telelavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n. 70 9 Cfr. l'accordo quadro nazionale del 23 marzo 2000 per il telelavoro nella pubblica amministrazione, tra l’Aran e le Confederazioni sindacali C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L., CONF.SAL., C.I.S.A.L., COS.MED., C.I.D.A. 291 L'assegnazione dei dipendenti pubblici ai progetti di telelavoro non deve inoltre comportare un mutamento nella natura subordinata del loro rapporto di lavoro. Per questo motivo si è stabilito che venga applicata la disciplina contrattuale prevista dalla contrattazione collettiva per la generalità dei lavoratori del comparto sia per ciò che concerne il trattamento retributivo, tabellare ed accessorio, sia per la parte normativa. Anche l’orario di lavoro non deve discostarsi da quello di chi lavora negli uffici tradizionali, anche se la distribuzione delle ore lavorate potrà essere differenziata allo scopo di valorizzare da un lato l'autonomia nella gestione del tempo e dell'attività lavorativa, dall'altro la flessibilità della prestazione. L'art.4 dell'accordo, come già anticipato più sopra, prevede che l'assegnazione ai progetti di telelavoro faccia necessariamente seguito ad un'adesione volontaria, con meccanismi che garantiscano la precedenza a coloro che già svolgono le stesse mansioni o che comunque abbiano maturato un'esperienza significativa in attività analoghe. Nel caso in cui le richieste siano maggiori rispetto alle disponibilità di posti la pubblica amministrazione dovrà orientare la scelta verso i lavoratori che presentano disabilità psicofisiche o, in subordine, verso quelli che manifestino esigenze di cura e assistenza di figli minori di otto anni o di altri familiari e conviventi o, infine, verso quelli che impiegano un tempo maggiore per percorrere il tragitto tra l'abitazione e la sede di lavoro. Sono comunque sempre a carico dell'amministrazione le spese per l'installazione della postazione di lavoro che potrà essere usata solo per l'attività lavorativa, anche se è immaginabile la possibilità, a determinate condizioni, di una specifica autorizzazione all'uso personale. Deve inoltre essere riconosciuto un rimborso forfettario per le spese dovute ai maggiori consumi telefonici ed energetici. In questo insieme di regole, che sembrano non porre grandi problemi da un punto di vista interpretativo ed applicativo, un profilo che per la sua complessità ha richiesto un lungo dibattito in 292 sede di definizione dell'accordo quadro è rappresentato dalla tutela della salute e della riservatezza dei telelavoratori delle pubbliche amministrazioni.10 Poiché in materia il legislatore prevedeva già una rete di protezioni ampiamente articolata, che si sostanziava principalmente nel D.Lgs. n. 626 del 1994, nella legge n. 300 del 1970 e, per il lavoro a domicilio, nella legge n. 877 del 1973, l'accordo quadro si è limitato a porre in capo alla pubblica amministrazione l'obbligo di garantire che la prestazione di telelavoro si svolga in piena conformità con le normative vigenti in materia di ambiente, sicurezza e salute dei lavoratori, con un rinvio mobile alle disposizioni attuali. L'amministrazione che intenda introdurre forme di telelavoro è poi tenuta a fornire al telelavoratore dei precorsi formativi adeguati affinché la prestazione di lavoro sia effettuata in condizioni di sicurezza per sé e per le persone che vivono negli ambienti prossimi allo spazio di lavoro. A tal fine, se la postazione è ubicata presso il domicilio del lavoratore, questi è tenuto, secondo modalità concordate, a consentire l'accesso alle attrezzature agli addetti alla manutenzione nonché al responsabile aziendale per la prevenzione ed al delegato alla sicurezza. Sempre in tema di controlli l'accordo vieta alle pubbliche amministrazioni di attivare controlli a distanza all'insaputa del lavoratore, imponendo per contro un obbligo di informazione sulle modalità con cui avviene la valutazione del lavoro prestato. Al proposito va detto che già il D.P.R. n. 70 del 1999 stabiliva che l'amministrazione deve garantire adeguati livelli di sicurezza delle comunicazioni fra la postazione di telelavoro e il sistema informativo. Per quanto riguarda i diritti sindacali è innanzitutto prevista la creazione di una bacheca online e l'attribuzione al telelavoratore di un indirizzo e-mail per lo scambio di informazioni. L'art. 3 dell'accordo si occupa in particolare delle relazioni sindacali, con una molteplicità di previsioni tra cui l'obbligo di concertare con i sindacati la definizione dei contenuti dei progetti di cui all’art. 3 del 10 In tal senso è utile il confronto tra la versione finale dell'accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni e la sua ipotesi, sottoscritta dall’ARAN e dalle confederazioni sindacali C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L., CONF.SAL, C.I.S.A.L., CONFEDIR, C.I.D.A. e U.G.L., il 21 luglio 1999. 293 D.P.R. n. 70 del 1999 e la necessaria istituzione di una contrattazione integrativa per la determinazione degli eventuali adattamenti della disciplina del rapporto di lavoro. La contrattazione di comparto deve inoltre definire i criteri per l'individuazione del telelavoro rispetto alle altre forme di delocalizzazione, i criteri per l'articolazione del tempo di lavoro al fine dell'individuazione delle fasce di reperibilità telematica, la copertura assicurativa delle attrezzature. Alla luce di quanto esposto è possibile affermare che un primo quadro normativo e contrattuale sul telelavoro si è ormai ben delineato. Sarà certamente interessante osservare come alcune questioni particolarmente delicate, quali la tutela della riservatezza ed i necessari adattamenti della disciplina del rapporto di lavoro, verranno trattate dalla contrattazione collettiva. Rimane il fatto che si è avviato un processo potenzialmente in grado di aprire nuovi e stimolanti scenari nella pubblica amministrazione.11 A partire dal momento in cui è stato raggiunto l'accordo quadro l’interesse per il telelavoro da parte delle amministrazioni pubbliche è andato crescendo. Valga come esempio il fatto che il Ministero dell’economia e delle finanze, nella sua relazione revisionale e programmatica per l’economia italiana del 2003, ha fatto riferimento al telelavoro come modello flessibile di accesso alla pubblica amministrazione nel settore del pubblico impiego.12 Bisogna però ricordare ancora una volta che l’introduzione del telelavoro nel settore pubblico presenta delle peculiarità proprie, non comuni al mondo dell'imprenditoria privata, in quanto gli obiettivi strategici di un programma di telelavoro cambiano sensibilmente a seconda che sia a carattere pubblico o privato. L’azione che il settore pubblico svolge per diffondere il telelavoro segue due traiettorie differenti. Da un lato si incentivano i programmi di diffusione del telelavoro mirando a trasferire l'innovazione tecnologica alle imprese. Tale tipo di interventi, spesso condotti in accordo con i 11 Cfr. LA MONICA, Telelavoro: le novità per la pubblica amministrazione, Diritto & pratica del lavoro, n. 26, 2000, pp. 1824-1826. 12 Cfr. Ministero dell'economia e delle finanze, L’economia italiana nel 2003, Relazione previsionale e programmatica, presentata dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti il 30.09.2002, pag. 40. 294 gestori nazionali di servizi di telecomunicazione, sono quindi rivolti ad utenti esterni al settore pubblico.13 Un altro fronte d'azione è invece rappresentato dalle iniziative volte ad introdurre il telelavoro all'interno della pubblica amministrazione per migliorarne l'efficienza complessiva e, contemporaneamente, per andare incontro alle esigenze dei lavoratori. E proprio in questa direzione, considerando la cultura organizzativa e la struttura complessiva dei processi che caratterizzano le aziende del settore pubblico nel nostro Paese, la prospettiva di introdurvi il telelavoro sembra realizzabile con successo. Inoltre la remotizzazione del lavoro può essere resa attraente dal bisogno di diffondere una cultura lavorativa maggiormente orientata ai risultati. In ogni caso si è sempre dato corso ad esperienze pilota, cioè a periodi di sperimentazione di durata predefinita, prima di procedere con iniziative volte ad implementare in modo stabile il telelavoro all'interno dell'amministrazione. Introdurre il telelavoro richiede infatti un ripensamento complessivo della pubblica amministrazione, ridisegnandone le strutture, i processi di lavoro, le professionalità, il sistema gerarchico, il sistema premiante, e così via. E’ questo il passaggio più difficile che, in molti casi, ha richiesto periodi di tempo piuttosto lunghi e che nel complesso richiederà un vero e proprio salto generazionale. Con riferimento all'organizzazione e al funzionamento della pubblica amministrazione, ed al suo presunto ritardo rispetto al settore privato, occorre tuttavia sfatare alcuni luoghi comuni. La pubblica amministrazione è costituita, come il settore privato, da un insieme talmente diversifìcato di organizzazioni da rendere impossibile ogni forma di generalizzazione. Le numerose analisi condotte negli ultimi anni hanno avuto riguardo alle modalità organizzative, al livello tecnologico, ai processi di lavoro, alla competenza professionale ed alla qualità dei servizi offerti, mettendo in evidenza un quadro estremamente differenziato, con situazioni di grave ritardo e casi di assoluta eccellenza. 13 Un esempio di tale tipo di politiche pubbliche, è rappresentato dall'accordo tra Comune di Roma e Telecom Italia per la realizzazione del telecentro "Nexus". 295 Nelle ormai numerose amministrazioni che hanno acquisito un elevato livello tecnologico, che si sono dotate di un proprio sito Internet, dove è ormai entrato nell'uso comune scambiare messaggi e informazioni attraverso la posta elettronica, è relativamente semplice pensare all'introduzione di forme di telelavoro. Questo perché l'evoluzione tecnologica si è per lo più accompagnata ad un ripensamento dei processi di lavoro ed ha favorito un cambiamento culturale, spostando l'attenzione dall'adempimento di norme prescrittive alla realizzazione di progetti e al raggiungimento di risultati. Tutto ciò può consentire una rapida crescita del telelavoro, non solo inteso nella sua forma più tradizionale di telelavoro a domicilio, ma anche come lavoro delocalizzato rispetto alla sede principale o come lavoro mobile. Probabilmente sono proprio queste due ultime modalità quelle che si diffonderanno prima, perché facilitano il passaggio da un'organizzazione composta da tanti punti isolati ad un'organizzazione a rete, di tipo post-industriale. Esistono dunque oggi le premesse giuridiche e fattuali per introdurre il telelavoro nella pubblica amministrazione in tempi brevi, anche se è sempre bene continuare a procedere con le dovute cautele. Il rischio maggiore, secondo la maggior parte degli autori, è costituito dall'utilizzo dei nuovi strumenti post-industriali con una mentalità tipicamente industriale che sembra riemergere qua e là nella nuova disciplina giuridica. Nel caso del controllo, ad esempio, l'introduzione di nuove procedure basate sulla valutazione dei risultati e demandate a unità particolari esterne all'unità organizzativa, i cosiddetti nuclei di valutazione, comporta il rischio di un ripiegamento burocratico delle nuove forme di controllo, con il risultato che vengano a riproporsi le stesse forme dì controllo attestativo che si volevano superare. Al di là dei rischi appena descritti, si deve comunque ammettere che questa forma originale e flessibile di prestazione lavorativa è destinata ad avere un'estensione gradualmente e significativamente più ampia nel nostro Paese. Se è vero che il lavoro dovrà divenire nel tempo sempre più flessibile e che i giovani sono disposti ad accettare degli impieghi in cui la qualità della 296 vita faccia premio sulla rigidità dell'occupazione, allora un'attività lavorativa legata alla telematica, come quella del telelavoro, possiede senz’altro tutte le caratteristiche e i connotati per essere 1'attività lavorativa del terzo millennio, anche e soprattutto all'interno della aziende pubbliche.14 Con il telelavoro la pubblica amministrazione può realizzare una “migliore allocazione delle risorse umane allo scopo di costruire un apparato burocratico agile e snello, nel quale il lavoro viene svolto non più in strutture mastodontiche, pesanti e stratificate, ma in piccole unità organizzative frazionate sull’intero territorio. Le diverse figure del telelavoro [..] sono [inoltre] caratterizzate da un maggiore contenuto di delega e di comunicazione sia all’interno che all’esterno della struttura”.15 Merita infine di essere ricordata, per motivi di chiarezza, la differenza che corre tra telelavoro e teleamministrazione. Entrambi i termini appaiono accomunati dal prefisso tele il quale, benché nell’etimo greco indichi l’idea della distanza, ha ormai acquistato nel linguaggio corrente un significato più ampio, fino a rappresentare tutto ciò che ha a che fare con l’utilizzo degli strumenti e delle tecnologie di elaborazione e trasmissione dati. È in questa seconda accezione che sembra doversi leggere il termine teleamministrazione. Così il prefisso tele nel vocabolo telelavoro indica lo svolgimento dell’attività lavorativa al di fuori dell’azienda o dell’ufficio, mentre in teleamministrazione sembra segnalare in modo prioritario l’uso della telematica nell’attività amministrativa, indipendentemente dal fatto che alcune attività siano svolte a distanza. Si pensi, ad esempio, alla consegna di un certificato per posta elettronica od alla conclusione di un contratto in rete.16 La teleamministrazione non può quindi essere definita come “un ipotesi di telelavoro”, se non al prezzo di confondere e sovrapporre impropriamente situazioni e nozioni diverse.17 14 Cfr. DI CERBO, I rapporti speciali di lavoro, CEDAM, Padova, 2000. Cfr. POTI e CORDELLA, Il telelavoro nella pubblica amministrazione. Una soluzione alle esigenze di flessibilità, in Europass newsletter, 2000, 10, p. 32. 16 Cfr. VISCOMI, Il telelavoro nelle pubbliche amministrazioni (D.P.R. 8 marzo 1999, N.70), in Studium iuris, 1999, 10, p.1063. 17 Cfr. DUNI, voce Teleamministrazione, in Enc. Giuridica Treccani, XXX, Roma, 1993. 15 297 La valenza strategica della gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni è, d’altro canto, sottolineata dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 28 ottobre 1999, nella quale si osserva come “i sistemi di protocollo informatico, nella loro versione più evoluta, comprendono talune funzioni innovative per la pubblica amministrazione. Oltre alla possibilità di protocollare i tradizionali documenti cartacei, è possibile anche: protocollare documenti elettronici; collegare direttamente al sistema di protocollo il sistema di archiviazione e conservazione dei documenti; garantire forme più efficaci di accesso agli atti amministrativi; fornire elementi utili ai fini delle attività di controllo di gestione; sperimentare applicazioni elettroniche della gestione dei flussi documentali (workflow) e del telelavoro”18 18 Cit.da MAZZARO e SILVESTRO, L’introduzione del telelavoro nella pubblica amministrazione dalla Bassanini ter all’accordo quadro nazionale, Diritto e Diritti, 02/2002, in: www.diritto.it/articoli/amministrativo/mazzaro_silv.html 298 5.1.1. LA LEGGE BASSANINI TER Anche se è già stato dato ampio spazio alla trattazione delle fonti del diritto che disciplinano in Italia le forme di lavoro a distanza, vale la pena ritornarvici sopra, per spendere qualche parola in più al riguardo del loro impatto sulla pubblica amministrazione.19 L'Italia è stata la prima nazione a disciplinare questo fenomeno nel settore pubblico attraverso l'art 4 della legge n. 191 del 16 giugno 1998 (comunemente detta legge Bassanini ter dal nome del Ministro per la funzione pubblica allora in carica). Va peraltro detto che questa disposizione costituiva il secondo tassello normativo di un mosaico più complesso, riguardante la necessità di rendere il lavoro nelle pubbliche amministrazioni più flessibile. Il primo tassello era contenuto nell’art. 36, comma 7, del d.lgs. n. 29 del 1993 (modificato dall’art. 22 del d.lgs. n. 80 del 1998), che consente alle pubbliche amministrazioni di avvalersi delle stesse forme contrattuali flessibili di assunzione e impiego del personale previste per il settore privato. Il secondo riferimento alla flessibilità è invece quello relativo al telelavoro. In questo caso la flessibilità non riguarda la tipologia contrattuale, visto che il telelavoro non costituisce un tipo normativo autonomo di contratto di lavoro ma una particolare modalità di svolgimento della prestazione individuale, per cui si parla di flessibilità tecnico-organizzativa. L'art. 4 della legge n. 191 ha superato la tradizionale, rigida dicotomia tra presenza in ufficio e lavoro svolto dai dipendenti pubblici, costituendo in materia una vera e propria pietra angolare su cui poter costruire l'edificio del telelavoro pubblico in Italia. Questo articolo ha infatti sancito che le pubbliche amministrazioni possono "installare, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di 19 Per una descrizione dettagliata dei contenuti della legge n. 191 del 16.06.1998 e del D.P.R. n. 70 del 08.03.1999 cfr. § 4.2 Leggi e disegni di legge 299 salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa". Al di là dei possibili effetti positivi nei confronti dei lavoratori, il principio ispiratore era quello di "razionalizzare l'organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane". Pertanto l’attivazione del lavoro a distanza potrà giustificarsi nell’ambito di una pubblica amministrazione solo qualora si realizzino entrambe le condizioni di cui sopra. In questo modo si è data la possibilità di iniziare dei percorsi di implementazione del telelavoro all'interno delle pubbliche amministrazioni, anche se le modalità organizzative sono state demandate ad un successivo regolamento, poi emanato con il D.P.R. n. 70 dell'8 marzo 1999. Il D.P.R. n. 70 detta appunto le norme organizzative in materia di telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, completando così un quadro normativo caratterizzato nel suo insieme da una funzione di promozione dell’istituto. Alcuni autori sostengono che tale funzione promozionale dell'art. 4 della legge n. 191 e del suo regolamento di attuazione sia addirittura preminente rispetto a quella di mera autorizzazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Queste ultime sarebbero quindi non solo abilitate a progettare al loro interno forme di telelavoro, ma addirittura invitate a farlo da parte delle stesse disposizioni in vigore. A rafforzare questa ipotesi ci sarebbe la considerazione che la stessa amministrazione pubblica, in linea di principio, disponeva già del relativo potere, in virtù dell’estensione del regime privatistico al pubblico impiego ed in assenza di un divieto espresso di svolgimento della prestazione del dipendente pubblico al di fuori della sede dell’ufficio e con l’ausilio di un terminale elettronico.20 A ulteriore suffragio di tale tesi appare significativo che il regolamento non abbia esercitato il potere di indicare le “eventuali abrogazioni di norme incompatibili”, pure attribuitogli dal comma 3 20 Cfr. CALIENDO, Il Telelavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, Aran Newsletter, 4, p. 13, 1999. 300 dell’art. 4 della legge n. 191. All'opposto l’art. 9 del regolamento (norma finale) pone a carico delle pubbliche amministrazioni l’obbligo di interpretare e applicare le norme legislative, regolamentari e contrattuali “in modo tale da favorire la progettazione, l’introduzione, l’organizzazione e la gestione di forme di telelavoro come regolate dal presente decreto”. L'assetto normativo appare quindi del tutto funzionale ad una possibile e auspicabile integrazione, anche in via interpretativa, finalizzata a favorire la massima diffusione del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni. Su tale lunghezza d'onda il comma 5 dell’art. 4 della legge n. 191 demanda alla contrattazione collettiva, in relazione alle diverse tipologie del lavoro a distanza, il compito di adeguare “alle specifiche modalità della prestazione la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro dei dipendenti interessati”. Anche il D.P.R. n. 70 evidenzia l'importanza dello spazio riservato alla fonte contrattuale, limitandosi, in sostanza, ad inquadrare i principi socio-organizzativi del telelavoro, senza tuttavia costituire rigide gabbie normative. Questo rinvio legale alla fonte pattizia fa sì che, almeno nel pubblico impiego, la nozione di telelavoro rimanga piuttosto elastica, potendo per un verso adattarsi alle multiformi espressioni che l’esperienza odierna fa assumere al lavoro informatico a distanza e, per un altro, adattarsi ai rapidi mutamenti che si susseguono in una società connotata da un elevato grado di innovazione e di apertura verso un'economia globale. I puntuali rinvii alla disciplina contrattuale contenuti nell’articolo 4 della Bassanini ter,21 come fonte di completamento dell’istituto, hanno indotto alcuni a ritenere che il telelavoro non sia applicabile alle categorie escluse dalla contrattualizzazione ex art. 2, comma 4, del d.lgs. 29 del 1993 (prefettizi, diplomatici, avvocati dello Stato, ecc.). Tuttavia si è osservato che la stessa legge Bassanini ter, al comma 3 dell'art. 4, dispone che “le singole amministrazioni adeguano i propri ordinamenti e adottano le misure organizzative volte al conseguimento degli obiettivi di cui al 21 Cfr. il comma 5 dell'art. 4 della legge n. 191 del 16 giugno 1998: La contrattazione collettiva, in relazione alle diverse tipologie del lavoro a distanza, adegua alle specifiche modalità della prestazione la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro dei dipendenti interessati. 301 presente articolo”. L'inapplicabilità del telelavoro alle categorie di pubblici dipendenti non contrattualizzati potrebbe piuttosto derivare dalla specialità delle funzioni svolte, o anche da impedimenti di natura concreta. Ciò che non si discute è la necessità di integrare e specificare le disposizioni legislative e regolamentari attraverso lo strumento della contrattazione collettiva, a cominciare da quella intercompartimentale per finire a quella di comparto, sia essa nazionale, integrativa o decentrata. Nello stesso momento in cui il legislatore consente il ricorso al lavoro a distanza, si preoccupa quindi di rinviare la disciplina di dettaglio a tre successivi e diversi livelli di normazione: il regolamento governativo; la contrattazione collettiva cui compete adeguare, in relazione alle diverse tipologie di lavoro a distanza, la disciplina economica e normativa alle specifiche modalità della prestazione; le fonti locali, atteso che il comma 3 dell'art. 4 della legge n. 191 attribuisce alle singole amministrazioni il compito di adeguare i propri ordinamenti adottando le misure organizzative più adeguate. Quanto detto conferma che il telelavoro è ancora oggi da considerare come un'opportunità a cui possono fare ricorso le pubbliche amministrazioni, e non già un istituto rigido al quale destinare dei dipendenti appositamente assunti. Il regolamento sul punto è estremamente chiaro, possono telelavorare solo i dipendenti in servizio presso le pubbliche amministrazioni, il che risolve alla radice ogni disputa qualificatoria sul telelavoro pubblico, che non potrà essere nè autonomo nè parasubordinato. L’art. 2 del regolamento definisce infatti “lavoro a distanza” la prestazione di lavoro "eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce”. 302 Sono quindi tre gli elementi che caratterizzano il telelavoro secondo la definizione che ne dà il D.P.R. n. 70: la delocalizzazione dell’attività lavorativa; il supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione; il collegamento con l’amministrazione. Nel caso delle pubbliche amministrazioni vale la pena stabilire quali possano essere le modalità ammesse per la prestazione di lavoro al di fuori della sede. La delocalizzazione deve sempre essere definita dai progetti avanzati dalle pubbliche amministrazioni, ma non vi sembrano essere limiti in proposito. Il telelavoro può infatti svolgersi in qualunque luogo topograficamente al di fuori dalla sede di lavoro, indifferentemente dal fatto che si tratti di pertinenza del lavoratore, dell’amministrazione di appartenenza o di altri. Può addirittura svolgersi in un luogo di pertinenza di nessuno, in virtù del rinvio a forme di lavoro mobile, o al limite anche all’aperto. Si possono poi avere forme miste, ivi comprese quelle in alternanza, cioè una modalità di telelavoro parziale svolto in parte fuori e in parte all’interno della sede di lavoro. Tra l'altro la forma dell'alternanza è espressamente prevista nel regolamento come l’unica cui possano accedere i dirigenti (art. 3, comma 6), poiché la natura delle funzioni dirigenziali tipiche richiede la presenza fisica nella sede propria dell’amministrazione di appartenenza, quanto meno per un determinato periodo di tempo. Quanto alle attività telelavorabili la legge Bassanini ter ed il suo regolamento non hanno provveduto ad individuarle a priori, lasciando anche in questo caso alle amministrazioni piena autonomia nella scelta. In astratto il telelavoro nella sua molteplicità di forme, potrebbe quindi trovare applicazione in quasi tutti i settori della pubblica amministrazione e riguardare quasi tutte le figure professionali. Tuttavia il dipendente deve essere in qualche modo coinvolto nella scelta, tanto che la legge n. 191 fa riferimento ad un'autorizzazione da parte dell’Amministrazione. Il termine autorizzazione, qui utilizzato impropriamente, più che corrispondere al concetto generalmente accolto di autorizzazione amministrativa, configura piuttosto un atto di gestione 303 interna, attraverso cui l’Amministrazione esercita il proprio potere datoriale privatistico di organizzazione. L'autorizzazione in parola, avendo la pubblica amministrazione deciso con un proprio progetto di far ricorso al telelavoro, si limiterà a modificare le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa di quei dipendenti che sono funzionali alla realizzazione del progetto. L’Amministrazione però non procede d'imperio all'assegnazione degli incarichi di telelavoro, ma è costretta ad attribuirli solo ai lavoratori che si siano dichiarati disponibili, alle condizioni previste dal progetto e con priorità per coloro che già svolgano le relative mansioni. In caso di richieste superiori al numero delle posizioni disponibili l’Amministrazione utilizzerà al più i criteri di scelta definiti all’articolo 4, comma 2, dell’Accordo quadro nazionale del 23 marzo 2000 per il telelavoro nella pubblica amministrazione.22 Tali criteri sono rappresentati, secondo una scala decrescente di importanza, da situazioni di disabilità psico-fisiche tali da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro, da esigenze di cura dei figli minori di otto anni, da esigenze di cura nei confronti di familiari o conviventi, dal maggior tempo di percorrenza richiesto per recarsi alla sede di lavoro. Inoltre l’art. 4, comma 2, della legge n. 191 dispone espressamente che i dipendenti possano essere reintegrati, a richiesta, nella sede di lavoro originaria. Il reintegro viene disciplinato più precisamente dal D.P.R. n. 70 che prevede la revoca dell’assegnazione a progetti di telelavoro solo dietro richiesta scritta del lavoratore e solo dopo che sia trascorso un congruo periodo di tempo, da stabilirsi nel progetto. La revoca d’ufficio da parte dell’Amministrazione è invece prevista dall'accordo quadro nazionale, ma la riassegnazione alla sede di lavoro originaria deve avvenire secondo modalità e tempi compatibili con le esigenze del lavoratore, e comunque entro non meno di dieci giorni dalla 22 Cfr. Accordo quadro nazionale del 23 marzo 2000 per il telelavoro nella pubblica amministrazione, tra l’Aran e le Confederazioni sindacali C.G.I.L. - C.I.S.L. - U.I.L. - CONF.SAL. - C.I.S.A.L. - COS.MED. - C.I.D.A., pubblicato in G.U. n. 94 del 21 aprile 2000 sotto forma di comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica 304 richiesta, elevati a venti giorni nel caso di esigenze di cura dei figli minori di otto anni, di familiari o conviventi, oppure nel maggior termine previsto dal progetto. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte appare chiaro che, a distanza di qualche anno dall'entrata in vigore della legge n. 191 del 1998 e del successivo regolamento n. 70 del 1999, le loro previsioni vadano considerate essenzialmente come incentivanti l’introduzione del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni piuttosto che meramente permissive.23 L'assunzione di un ruolo attivo da parte delle pubbliche amministrazioni emerge bene dalla lettura del D.P.R. n. 70 dell’8 marzo 1999, il quale ha dettato per primo le modalità organizzative delle amministrazioni che ricorrono al telelavoro, prevedendo che ciascuna di esse debba predisporre progetti specifici, nei quali verranno indicate le finalità, le attività interessate, le tecnologie da utilizzare e i relativi strumenti di supporto, le tipologie professionali e il numero dei lavoratori coinvolti. A proposito di questi ultimi giova ricordare ancora una volta che l'assetto normativo del lavoro a distanza nel settore pubblico si fonda sulla volontarietà e tende a privilegiare quei dipendenti pubblici che si trovino in particolari condizioni di svantaggio ed esercitino mansioni che possano essere svolte a prescindere dalla presenza fisica in un ufficio messo a disposizione dall'amministrazione. Per far ciò occorre che la normazione statale venga integrata a livello periferico attraverso la contrattazione e l'adeguamento organizzativo delle amministrazioni pubbliche. Ad una maggior flessibilità dei soggetti deve quindi corrispondere una maggior flessibilità degli apparati aziendali e sindacali. Per progettare e sviluppare la flessibilità, occorre pensare in maniera flessibile. L'organo di governo di ciascuna amministrazione, sulla base delle proposte dei responsabili degli uffici dirigenziali, dovrà pertanto individuare gli obiettivi raggiungibili mediante il ricorso a forme di telelavoro, destinandovi apposite risorse. Dovrà poi essere elaborato un progetto che, tra le altre cose, indichi gli obiettivi, i tempi e le modalità di realizzazione degli stessi, nonché i criteri di 23 Tra i primi ad esprimrsi in tal senso cfr. BIAGI, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè editore, Milano, 2001. 305 verifica. Solo a questo punto interverrà la contrattazione collettiva per adeguare la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro alle concrete modalità della prestazione. L'intero processo viene definito annualmente a partire dall'indirizzo politico, in quanto sarà il Ministro competente a stabilire gli obiettivi indicando quelli che sono raggiungibili anche attraverso il ricorso al telelavoro. Spetterà poi alle pubbliche amministrazioni tradurre le disposizioni ministeriali in atti organizzativi e gestionali finalizzati al raggiungimento di obiettivi che permettano, come prevede la legge n. 191, la riduzione dei costi, il miglioramento della qualità lavorativa in generale e una maggiore razionalizzazione del lavoro. È importante notare che, in relazione a quanto previsto dal decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni, spetta al dirigente, individuato il bisogno e analizzato il problema, decidere se implementare o meno il telelavoro. Questa decisione non può però essere svincolata da una progettualità aziendale complessiva, che comporti un'attenta rimodulazione organizzativa dei processi di lavoro. Ma, paradossalmente, le motivazioni contenute nel regolamento che introduce il telelavoro nella pubblica amministrazione sono le stesse che spingono all'implementazione del telelavoro nelle industrie private. L'articolo 3, comma secondo, del D.P.R. n. 70 del 1999 è molto esplicito in proposito: "il ricorso a forme di telelavoro avviene sulla base di un progetto generale in cui sono indicati gli obiettivi, le attività interessate, le tecnologie interessate ed i sistemi di supporto, le modalità di effettuazione secondo principi di ergonomia cognitiva, le tipologie professionali ed il numero dei dipendenti di cui si prevede il coinvolgimento, i tempi e le modalità di realizzazione, i criteri di verifica e di aggiornamento, le modificazioni organizzative ove necessarie, nonché i costi ed i benefici diretti o indiretti”. Queste motivazioni fanno unicamente riferimento ad obiettivi di razionalizzazione organizzativa e di economia gestionale, mentre non c'è alcun accenno al problema culturale, all'acquisizione di know-how sulle tecnologie, ai temi ambientali, alla mobilità. Non si fa 306 cenno, quindi, a nessuna delle ragioni di fondo che hanno invece motivato le prime sperimentazioni pubbliche in California e nei paesi del Nord Europa.24 Volendo proseguire nella disamina critica del quadro normativo italiano emerge piuttosto nettamente una concezione del telelavoro incentrata sulla componente tecnologica. Il telelavoro è stato probabilmente pensato nella sua limitata accezione di trattamento remoto dei dati ed è quindi rivolto in via prioritaria alle mansioni di basso profilo, seguendo la stessa logica industriale che ispira i processi di ristrutturazione finalizzate all'efficienza e alla competitività. Non si può tuttavia negare che la legge Bassanini ter abbia avuto il grande merito di offrire alla pubblica amministrazione l'opportunità di ricorrere al telelavoro per realizzare una migliore allocazione delle risorse umane e strumentali e per puntare alla costruzione di un apparato burocratico più agile e snello, nel quale il lavoro potrà essere svolto non più in strutture mastodontiche, pesanti e stratificate, ma in piccole unità organizzative frazionate sull’intero territorio. Altro merito della legge n. 191 è stato senz'altro quello di non costruire un sistema normativo rigido. Al contrario essa ha reso più agevole l'implementazione del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni a prescindere dalla natura e dalle dimensioni di queste, nonché dalle diverse modalità di telelavoro scelte, introducendo invece elementi di flessibilità anche a livello normativo. Si deve infine segnalare che il D.P.R. n. 70 contiene un'apertura nei confronti dei privati, in quanto il telelavoro può essere “programmato, organizzato e gestito” anche in collaborazione con soggetti terzi “nel rispetto dei criteri generali di uniformità, garanzia e trasparenza”.25 24 Per un approfondimento esaustivo cfr. DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 25 Cfr. DI CERBO, I rapporti speciali di lavoro, CEDAM, Padova, 2000. 307 5.1.2. PROGETTI DI TELELAVORO All'interno delle pubbliche amministrazioni italiane il telelavoro stenta ancora oggi a decollare, non trovando lo spazio che gli compete, anche se non sono mancati i progetti di un certo rilievo che hanno raggiunto la fase realizzativa. Alcuni di questi hanno addirittura precorso i tempi, anticipando l'emanazione della legge n. 191 del 1998, come nel caso di quelli portati avanti dal Comune di Roma. I progetti "Roma TRA.DE." (Traffic Decongestion Teleworking Programme), "Roma Nexus" e M.I.R.T.I. (Models of Industrial Relations in Telework Innovation), hanno costituito un'esperienza originale consentendo di porre le basi per successive sperimentazioni in altri enti locali e centrali.26 II telelavoro è stato spesso citato tra i possibili strumenti disponibili per ridurre il traffico veicolare e il conseguente inquinamento atmosferico nelle metropoli che, come Roma, sono afflitte da una quotidiana situazione di congestionamento da automezzi. Non è quindi senza motivo che il Comune di Roma abbia colto al volo questa opportunità, intesa soprattutto a contribuire al miglioramento della vita cittadina, introducendo nella propria struttura organizzativa la sperimentazione del telelavoro attraverso due diversi progetti. Il primo di questi, risalente al 1994, ha anche rappresentato un esempio di coordinamento fra progetti europei e locali, in quanto ha coinvolto il comune di Roma, la Comunità Europea ed il Ministero dell'Ambiente. Questo progetto chiamato TRA.DE. aveva come obiettivo principale la riduzione del traffico veicolare e, di conseguenza, dell'inquinamento, con possibili ricadute positive sulla qualità della vita urbana. Il primo passo fu determinare quali attività, svolte dai dipendenti del Comune di Roma, fossero più convenientemente remotizzabili. Parallelamente si condusse una campagna informativa 26 Per maggiori dettagli sul progetto M.I.R.T.I. cfr. § 3.2. Il ruolo dell'Unione Europea 308 sul telelavoro rivolta ai dipendenti dell'amministrazione comunale, cui fece seguito, una volta selezionati i lavoratori che avrebbero partecipato al progetto, la formazione vera e propria. Dopo il superamento di numerosi ostacoli, dovuti in parte all'assenza di termini di raffronto organizzativi, normativi e culturali, nei primi mesi del 1996 la Giunta comunale romana diede il via libera alla sperimentazione vera e propria ed il progetto TRA.DE. divenne operativo a tutti gli effetti. Pur essendo uno dei primi progetti di telelavoro riguardò una cinquantina di dipendenti appartenenti a diversi profili professionali, molto differenziati tra loro (funzionari amministrativi, archeologi, sociologi, operatori cultuali, disegnatori tecnici, informatici, ingegneri), anche se solo per un periodo di tempo limitato, oscillante tra i tre ed i sei mesi. I lavoratori coinvolti hanno per lo più telelavorato o dalla propria abitazione o da un ufficio satellite debitamente attrezzato, mentre gli archeologi hanno optato per la modalità del lavoro mobile. La sperimentazione, attraverso il monitoraggio delle migliaia di ore di telelavoro, ha dimostrato che le attività individuate si prestavano ad essere svolte a distanza, senza per questo che insorgessero difficoltà nelle comunicazioni con i dirigenti ed i colleghi. Un altro progetto legato al lavoro a distanza che ha interessato la capitale italiana fu Roma Nexus. Anche questo progetto vide la luce nel 1996 in occasione della firma di un accordo quadro tra il Comune di Roma e la società STET, poi confluita in Telecom Italia. Esso prevedeva il cablaggio di una rete a banda larga nel territorio cittadino, con obiettivo principale la realizzazione di cinquantasette telecentri detti "Porte di Roma" e posti in zone strategiche della città. Queste strutture, dotate delle attrezzature di comunicazione più aggiornate per quel periodo, sarebbero state messe a disposizione delle aziende pubbliche e private che avessero voluto sperimentare il lavoro a distanza. Roma Nexus vide nel 1998 l'inaugurazione di un centro pilota che contribuì a diffondere l'utilizzo del telelavoro nelle aziende e nel mondo imprenditoriale, facilitando l'avvio di progetti con 309 investimenti minimi e un contenuto rischio d'impresa. La struttura metteva infatti a disposizione strumenti avanzati, quali pacchetti software, accesso ad Internet, accesso ad applicativi aziendali, posta elettronica e apparati di videocomunicazione. Il servizio di assistenza tecnica garantiva inoltre la piena funzionalità delle dotazioni tecnologiche, mentre un centro servizi specializzato offriva i tradizionali supporti di segreteria, copisteria, recapito telefonico e postale, spedizioni e prenotazioni. Le attrezzature del centro pilota furono date in affitto ad aziende o privati in base a prezzi di listino che tenevano conto dei giorni di occupazione e del tipo di postazione o ufficio multimediale prescelto. Il centro, che è tra i più importanti centri telematici operativi in Europa per dimensione e tecnologie disponibili, è stato oggetto di numerose visite da parte di rappresentanti delle amministrazioni locali, dei centri di ricerca, delle aziende italiane e straniere. Le pubbliche amministrazioni locali si sono dimostrate particolarmente interessate a studiare il modello commerciale del centro quale strumento di supporto all'imprenditorialità. Il riscontro positivo ottenuto da parte dei clienti è stato comunque l'indicatore più significativo del successo dell'iniziativa.27 Sempre nello stesso periodo anche il Ministero dei Trasporti e della Navigazione ha elaborato un proprio progetto pilota chiamato semplicemente "Telelavoro". Nel quadro del piano di informatizzazione del C.N.I.P.A. relativo al triennio 1996-1998, il Ministero dei Trasporti e della Navigazione elaborò un progetto intersettoriale di telelavoro che generò conseguenze positive, sul piano metodologico, per tutta la Pubblica Amministrazione centrale. Il progetto diede vita ad un sistema informativo unitario di rete in grado di effettuare scambio di documenti ed informazioni in circolarità, fornire supporto alle principali attività di automazione di ufficio e di lavoro di gruppo, integrare e diffondere i sistemi operativi nonché la condivisione e l'interscambio dei dati da parte di tutti gli utenti, con un riordino generale dell'organizzazione del 27 Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162 310 lavoro e l'avvio di procedure di semplificazione, delegificazione, responsabilizzazione e decentramento. In pratica furono realizzati cinque poli integrati, di cui due nell'area romana, consentendo di ottenere una serie di vantaggi quali la razionalizzazione nell'utilizzo delle sedi e degli spazi dell'amministrazione, l'ottimizzazione delle risorse umane, lo svincolo dalla localizzazione delle risorse professionali, il risparmio di risorse economiche, un incremento della qualità della vita nel suo insieme mediante la riduzione della mobilità veicolare e il recupero sui fattori inquinanti.28 Sempre nel 1996 il Ministero dei trasporti e della navigazione si fece poi promotore di un altro progetto indicato come “Sistema Informativo Demanio”, grazie al quale fu possibile ottenere un incremento di produttività in seguito all’utilizzo del telelavoro.29 Anche altri enti a carattere nazionale, come l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.), hanno individuato nel telelavoro uno strumento utile, se non indispensabile, per la gestione della enorme mole di dati che devono trattare. Sulla base degli incoraggianti risultati raggiunti dalle esperienze avviate in precedenza presso altre pubbliche amministrazioni, a Roma come negli Stati Uniti, anche la Regione Lombardia valutò precocemente la possibilità di ricorrere al telelavoro, nella convinzione che potesse migliorare il livello di soddisfazione e la qualità della vita dei propri dipendenti e contemporaneamente costituisse un valido strumento per la salvaguardia dell'ambiente e per lo sviluppo del territorio amministrato. L'amministrazione regionale lombarda poneva la massima attenzione al fatto che si potessero ridurre i costi di gestione degli uffici utilizzando la soluzione del desksharing, ottenendo al contempo degli incrementi nell'efficienza e una maggior flessibilità operativa. Sulla base di queste considerazioni la Regione Lombardia avviò nel 1997 il suo primo progetto definito [email protected], allo scopo di verificare la compatibilità del telelavoro, sia a domicilio che presso centri satellite, all'interno delle strutture 28 29 Cfr. FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997 Cfr. Ministero dei trasporti e della navigazione, circolare n. 112421 del 02.08.1996 311 organizzative e gestionali dell'amministrazione regionale, anche al fine di ridurre le necessità di spostamento del personale per motivi di lavoro. Per tutti questi motivi il progetto venne inserito tra quelli strategici nel "Documento di programmazione economico finanziaria regionale 1999-2001” della Regione Lombardia. La prima fase di sperimentazione coinvolse una decina di lavoratori presso sedi decentrate e una quindicina operanti dal proprio domicilio. La scelta e la selezione dei partecipanti alla sperimentazione avvenne solo dopo aver ottenuto volontariamente la disponibilità da parte dei lavoratori. Prima dell’avvio della sperimentazione fu sottoposto ai telelavoratori e alle rappresentanze sindacali un contratto di lavoro specificamente predisposto. Tale accordo contrattuale definito insieme alle R.S.U. venne siglato dalle parti prima dell’avvio della sperimentazione. Il periodo di sperimentazione venne costantemente monitorato grazie alla compilazione, da parte dei telelavoratori, di rapporti settimanali a preventivo e consuntivo delle attività svolte e, da parte degli stessi e dei rispettivi direttori, di rapporti mensili con i quali vennero indicati i vantaggi riscontrati e le difficoltà insorte durante il periodo in esame. I risultati testimoniarono il raggiungimento di una più efficiente organizzazione del lavoro sul territorio. Fu calcolato che estendendo il telelavoro a centocinquanta lavoratori, corrispondenti al 3% dei dipendenti regionali e al 5% del personale teoricamente interessato alla nuova modalità lavorativa (escludendo quindi autisti, dirigenti, commessi, docenti della formazione professionale), il risparmio in soli termini di occupazione di spazi sarebbe stato di circa duecento milioni di lire all'anno. A ciò andavano aggiunte altre economie (ad es. telefoniche, buoni mensa, ecc.) oltre ai benefici sociali immediatamente conseguibili (ore sottratte al pendolarismo, miglior qualità della vita, ecc.). La Regione Lombardia utilizzò questa sperimentazione come punto di partenza, manifestando l'intenzione di voler recepire le indicazioni e gli obiettivi contenuti nel Libro Bianco di J. Delors e 312 nel Rapporto Bangemann30, che elevano il telelavoro al rango di priorità. In particolare il Rapporto Bangemann della Commissione ha messo i governi centrali e locali sull'avviso: i vantaggi più sostanziosi andranno a quei Paesi che per primi entreranno a far parte della società dell'informazione, mentre i Paesi che temporeggiano o appoggiano soluzioni di compromesso rischiano di dover affrontare, in meno di un decennio, disastrosi cali degli investimenti ed una riduzione di posti di lavoro.31 Oltre alla Lombardia anche la Regione Calabria promosse un proprio progetto, il cosiddetto Telcal, che contribuì a trovare delle soluzioni adeguate ai problemi normativi precedenti l'entrata in vigore della legge n. 191 del 16 giugno 1998, anticipandone in qualche modo i contenuti principali.32 La legge n. 191 ed il suo regolamento attuativo hanno in gran parte attinto alle precedenti esperienze di cui si è poc'anzi dato conto per determinare un quadro giuridico che agevolasse il ricorso al telelavoro da parte delle pubbliche amministrazioni. L'intento del legislatore è stato quello di offrire all'attenzione del settore pubblico questo nuovo modello organizzativo e, in qualche modo, di recepire i frutti delle esperienze maturate negli anni '90. In particolare è stato consacrato il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva per la definizione delle disposizioni di dettaglio applicabili ai telelavoratori pubblici, evitando così in radice una possibile ed evidente disparità sul piano contrattuale tra lavoratore ed amministrazione pubblica. In seguito all'entrata in vigore delle fonti del diritto di cui sopra, le esperienze di telelavoro pubblico si sono moltiplicate interessando anche la Liguria, dove l'Amministrazione Provinciale di Genova nel 1999 ha promosso l'apertura di due telecentri, ad Antola e a Stura. Gli obiettivi erano molteplici. Innanzitutto rendere possibile la sperimentazione di questa nuova forma di lavoro per i residenti della Val Trebbia e della Valle Stura avrebbe consentito di 30 Per maggiori dettagli sul Rapporto Bangemann e sul Libro Bianco di J. Delors cfr. § 3.2. Il ruolo dell'Unione Europea Cfr. CAMPODALL’ORTO e GORI, Conoscere il telelavoro: caratteristiche, esperienze, guida all’utilizzo, FrancoAngeli editore Milano, 2000, pp. 224. 32 Cfr. DI GIUSTO, Progetto Telelavoro - Rapporto del gruppo di lavoro; MAIOLI, Ruolo di reti e di tecnologie del coordinamento Giornata su: il telelavoro nella pubblica amministrazione: esperienze e progetti, Bologna, 6 novembre 1998. 31 313 evitare gli spostamenti verso la città a un certo numero di pendolari che svolgono attività compatibili con il telelavoro. In secondo luogo organizzare uno sportello di promozione, anche commerciale, delle imprese del territorio, non solo attraverso la pubblicità in rete, ma con l'offerta di servizi telematici diretti come cataloghi on-line e sistemi di commercio elettronico. Infine divenire un luogo di aggiornamento tecnologico per le imprese, di formazione continua per i lavoratori occupati e di informazione e orientamento per studenti e disoccupati. Il Telecentro Stura si trova a non più di cento metri dalla stazione ferroviaria di Rossiglione e le persone che vi telelavorano sono residenti che ogni giorno affrontano il trasferimento dalla Valle Stura a Genova. Il centro è però anche a disposizione dei villeggianti che trascorrono periodi di vacanza nella Valle e che così possono comunicare col proprio posto di lavoro. I telelavoratori residenti che hanno partecipato alla sperimentazione sono stati individuati e selezionati sulla base di una loro semplice richiesta, al termine di una campagna di sensibilizzazione condotta sul territorio. Il Telecentro Antola si trova invece nel Parco dell'Antola, a Torriglia. La proprietà dell'immobile è del Comune che ne ha affidato la gestione all'ente parco. I telelavoratori sono stati tutti scelti tra i dipendenti di Amministrazioni Pubbliche, grazie alla possibilità offerta dalla legge Bassanini ter. Successivamente la Provincia di Genova ha elaborato il progetto “Il modo migliore per andare al lavoro: Il Piano di spostamento casa lavoro (PSCL) della Provincia di Genova”, in collaborazione con il Comune di Genova e l'Istituto Tumori del capoluogo ligure. Tra gli obiettivi dichiarati del progetto vi erano il miglioramento della qualità della vita dei dipendenti “incidendo sulle problematiche congiunte agli spostamenti casa/lavoro nonché, in un’ottica di azioni positive, sulla conciliazione dei momenti lavorativi con quelli familiari”, ed il contributo alla riduzione dei fenomeni di congestione del traffico urbano e dei livelli di inquinamento atmosferico, con vantaggi sul piano ambientale, sociale ed economico. 314 Il progetto si è articolato in una prima fase di sperimentazione riguardante gli aspetti umani, organizzativi e tecnologici, attraverso l’allestimento di ventiquattro postazioni di telelavoro, metà delle quali decentrate sul territorio provinciale e metà di telelavoro domiciliare. Successivamente è stato verificato l'impatto sui cittadini attraverso l'elaborazione di una serie di indicatori di valutazione e risultato. Come indicatori di efficacia relativi allo sviluppo delle postazioni sul territorio sono stati assunti la riduzione dei trasferimenti territorio-sede/mese/uomo, il risparmio di carburante, il recupero delle ore di trasferimento. Come indicatori di efficacia relativi allo sviluppo delle postazioni domiciliari sono invece stati considerati il numero delle richieste di passaggio dalla forma contrattuale part time a quella a tempo pieno, la percentuale di soddisfazione in rapporto alla nuova organizzazione del lavoro e in relazione alla percezione individuale. Sono stati anche definiti degli indicatori di efficacia relativi allo sviluppo delle azioni di mobility management quali la percentuale di utilizzo del mezzo pubblico, distinguendo tra mezzi di trasporto su gomma o su rotaia, la riduzione degli spostamenti suddivisi per fasce di distanza, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e monossido di carbonio. Il progetto ha favorito la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure amministrative attraverso l'informatizzazione del trasferimento dei dati relativi al personale che opera sul territorio (trasferte, presenze, giornale dei lavori). Nel corso della sperimentazione pilota è stato messo a punto ed utilizzato un modello organizzativo incentrato sul lavoro per progetti, che ha coinvolto trasversalmente, a prescindere dai livelli funzionali, le professionalità e le competenze presenti nei diversi uffici. Si è dimostrato che i telelavoratori hanno acquisito una maggiore autonomia nella risoluzione dei problemi di natura tecnica, mentre i dirigenti si sono presto abituati ad esercitare un tipo controllo diverso sui dipendenti telelavoratori, legato alla prestazione e non alla presenza degli stessi in ufficio. Il progetto ha inoltre comportato una ridefinizione delle procedure lavorative ed un ridisegno dei flussi informativi con una sostanziale riduzione dei tempi lavorativi. 315 Il punto di forza del progetto è certamente quello di aver sfruttato in pieno le potenzialità offerte dalla dotazione organizzativa e tecnologica dell'ente provinciale, al fine di rendere più agevole l'accesso al lavoro per alcuni dipendenti disagiati. D'altronde nella Provincia di Genova esistevano già da tempo delle condizioni tecnologiche, organizzative e formative per l’implementazione del lavoro a distanza, quali ad esempio uno sistema organizzativo orientato ai risultati, un alto grado di diffusione delle tecnologie informatiche e telematiche, l'esistenza di una rete aziendale che consentiva ai lavoratori remoti di condividere archivi e procedure, una semplificazione, standardizzazione e trasparenza delle procedure amministrative. Per contro la sperimentazione ha mostrato alcuni punti critici che sono stati identificati in un carente sostegno politico al progetto, nella difficoltà a coordinarsi con altri enti pubblici e nella difficoltà a coinvolgere il personale dipendente. Sempre in Liguria, negli stessi anni, anche altre amministrazioni pubbliche hanno progettato l'introduzione del telelavoro. Tra queste meritano di essere menzionati l'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro del capoluogo ligure ed il Comune di Alassio. Il primo con il progetto Il telelavoro in un Istituto Scientifico Pubblico ha ottenuto risultati eccellenti tanto che, una volta giunto a regime, è stato inserito nella programmazione gestionale dell'Istituto nell'ambito della ricerca corrente del Ministero della Salute. Tuttavia nel novembre 2003, in seguito al cambio della gestione amministrativa dell’Istituto, la Direzione Generale dell'ente non ha più ritenuto di continuare la sperimentazione, per cui è stato dichiarato chiuso il progetto esecutivo e presentata la rinuncia alla partecipazione all'iniziativa di mobility management finanziata dal Ministero dell’Ambiente. Il progetto era nato da esigenze oggettive del personale e dall'esistenza di carenze strutturali e logistiche che richiedevano l'adozione di una certa flessibilità nella gestione degli orari e dei permessi, in modo da agevolare il personale operante nella ricerca durante le numerose trasferte o durante le assenze per motivi familiari. 316 In realtà l'iniziativa è stata molto più ambiziosa e complessa di quanto possa sembrare, in quanto si proponeva di incidere sugli orari di lavoro, di diminuire il traffico nelle ore di punta, di disincentivare l'uso quotidiano dell'auto, di promuovere un cambiamento nelle abitudini della vita urbana e, di conseguenza, limitare i danni derivanti dall'inquinamento. Questi fattori hanno determinato nel personale dell'Istituto una certa predisposizione e disponibilità, se non altro psicologica e strumentale, verso le attività telelavorabili. La specificità dell'ente ha poi permesso di estendere gli obiettivi del progetto alla ricerca di una più efficace allocazione delle risorse in rapporto alle esigenze tecnologiche, economiche ed umane emerse all’interno dell’Istituto, con l'identificazione di nuovi criteri e parametri per la valutazione dell’attività e la quantificazione dei prodotti della ricerca scientifica in linea con il contratto collettivo nazionale vigente nel settore. La valutazione di questa esperienza di telelavoro è stata condotta analizzando i risultati di un monitoraggio continuo effettuato sui telelavoratori tramite un questionario auto-somministrato, elaborato da un gruppo di lavoro composto da sociologi, psicologi e statistici. Tale questionario é stato costantemente aggiornato a seguito dei suggerimenti degli stessi operatori partecipanti al progetto. L'analisi statistica dei risultati di questa indagine ha evidenziato alcuni aspetti significativi quali la migliore gestione degli impegni familiari, la diminuzione dei tempi di trasferimento e la diminuzione dello stress dovuto al traffico. Questi dati hanno confermato che i risultati conseguiti sono stati in linea con gli obiettivi prefissati nel progetto, in particolare quanto a miglioramento della condizione di vita del personale dell'Istituto. Un altro progetto sperimentale ligure, pur se di portata minima, è stato avviato dal Comune di Alassio in provincia di Savona. Il progetto può essere di qualche interesse perché riguardava un solo dipendente comunale e consisteva nell’attivazione di una postazione di lavoro remota collegata ai sistemi informatici dell’ente. 317 Presso la sede remota sono stati installati un personal computer, una linea telefonica ISDN ed un apparato di rilevazione presenze, in modo tale da permettere al telelavoratore di collegarsi via modem ad un server installato presso il Comune e quindi di operare in modo del tutto analogo ai colleghi degli uffici comunali. Con l'ausilio del sistema di rilevazione presenze il dipendente registrava le proprie sessioni di lavoro in modo da totalizzare il numero di ore settimanali richiesto, con in più due rientri pomeridiani presso la sede dell’ente, insieme a tutto il personale, in modo da potersi rapportare direttamente con l’ufficio di riferimento e da poter reperire materiale o effettuare stampe del lavoro svolto da remoto. I compiti attribuiti al telelavoratore venivano predisposti in modo tale che potesse operare su archivi in linea per fare inserimento dati o redazione di documenti, definendo settimanalmente i risultati, quantitativi e qualitativi, che si presumeva dovessero essere raggiunti. La motivazione principale da cui muoveva il progetto era quella di permettere ad una dipendente in maternità di riprendere a lavorare senza dover attendere che la figlia raggiungesse l’età per essere ammessa all’asilo nido. L’obiettivo era, pertanto, di andare incontro alle esigenze della lavoratrice recuperando l’operatività di una risorsa umana, e contemporaneamente di sperimentare tale innovativo sistema per verificarne l’applicabilità ad altri casi, con la conseguente possibilità di regolamentarlo ed istituzionalizzarlo. Tutti questi risultati sono stati raggiunti anche se, trattandosi di un progetto di breve durata e di tipo sperimentale, non ha potuto produrre particolari vantaggi economici. Le attrezzature acquisite sono comunque rimaste patrimonio del Comune che le ha integrate nel complesso dei sistemi informatici in uso, e il periodo di assenza della dipendente in maternità è stato affrontato senza la necessità di ricorrere a personale temporaneo aggiuntivo. In tutti gli esempi riportati è possibile osservare come le amministrazioni pubbliche che hanno deciso di progettare l'implementazione del telelavoro abbiano complessivamente raggiunto gli obiettivi prefissati, indipendentemente dalla diversa natura di questi. 318 Non sembra evidenziarsi una grande differenza tra i progetti adottati prima e dopo l'entrata in vigore della legge n. 191 e del suo regolamento di attuazione. Caso mai sembra esservi una differenza per quel che riguarda la dimensione dei progetti stessi. Prima del 1998 riguardavano solo le amministrazioni pubbliche di una certa dimensione come i Ministeri, le Regioni ed i Comuni metropolitani. Successivamente, sotto la spinta del nuovo quadro normativo e grazie alla disponibilità di finanziamenti pubblici, la sperimentazione si è potuta estendere anche a realtà amministrative periferiche come i Comuni più piccoli, le Province e le comunità montane, così che oggi il telelavoro è diventato a tutti gli effetti uno strumento di riorganizzazione del lavoro accessibile ad ogni pubblica amministrazione. 319 5.2. AZIENDE PRIVATE E TELELAVORO Fin dal 1994, almeno per quanto ci è stato possibile documentare, le parti sociali attraverso la contrattazione aziendale hanno fissato alcuni punti fondamentali destinati a disciplinare il telelavoro, tenendo conto che esso si manifesta sempre più attraverso tipologie non sempre riconducibili al rapporto di lavoro subordinato.33 I contenuti di questi accordi hanno la tendenza a riprodursi abbastanza fedelmente nel tempo, pur con tutti gli adattamenti necessari per trovare applicazione nei diversi settori produttivi e nei confronti delle diverse figure professionali. Un momento importante in questo processo si è avuto con l'accordo interconfederale sul telelavoro stipulato il 17 luglio 2001 tra la Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi) e C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L. Questo accordo si riferisce esclusivamente alla prestazione lavorativa da parte di un lavoratore subordinato, il cui espletamento avvenga con l’ausilio di strumenti anche telematici e prevalentemente al di fuori dei locali dell’impresa di appartenenza. Ciò significa che il dipendente non può essere scorporato dall’organico aziendale e che, di conseguenza, va computato in tutte quelle situazioni ove le norme legislative o contrattuali fanno riferimento al numero dei dipendenti come avviene, ad esempio, per l’applicazione della normativa sul collocamento obbligatorio o per la tutela reale od obbligatoria ai fini della normativa sui licenziamenti individuali o per i limiti dimensionali previsti per le procedure collettive di riduzione di personale.34 Secondo questo accordo il lavoro a distanza riguarda sia le nuove assunzioni che le trasformazioni concordate dei contratti in corso, i quali devono prevedere, a tutela del dipendente, la reversibilità con il conseguente ritorno in azienda. 33 Per i dettagli cfr. § 4.2 Gli accordi sindacali Sull'argomento cfr. MASSI, Il telelavoro tra P.A. e settore privato: problemi e prospettive, Diritto & pratica del lavoro, n. 19, 1999, pp. 1285-1289 e sempre dello stesso autore, Il telelavoro nelle piccole e medie imprese, Diritto & pratica del lavoro, n. 38, 2001, pp. 2579-2584. 34 320 Le parti sociali hanno stabilito, con riferimento agli strumenti ed alle modalità di attuazione della prestazione, alcuni principi che meritano di essere sottolineati, anche perché ricorrono quasi sempre nei contratti aziendali, siano essi precedenti o successivi all'accordo del 17 luglio 2001. Innanzitutto la dotazione informatica, hardware e software, viene concessa in comodato d’uso e le spese di installazione, manutenzione e aggiornamento sono a carico del datore di lavoro, al quale deve sempre essere richiesta preventiva autorizzazione per effettuare lavori in proprio o conto terzi, attesa la piena esclusività a suo favore di tutta la struttura informatica. Il riferimento al comodato d’uso fa sì che siano pienamente applicabili tutte le disposizioni che nel codice civile lo regolamentano. Ciò significa che l’attrezzatura rimane di proprietà dell’imprenditore e che (art. 1805 c.c.) “il comodatario che impiega la cosa per un uso e per un tempo più lungo di quello a lui consentito è responsabile della perdita avvenuta”, fatto ovviamente salvo il normale deterioramento dovuto all’uso (art. 1807 c.c.). Il divieto a svolgere attività non aziendali, utilizzando lo strumento informatico messo a disposizione dal datore, ha carattere assoluto e vale anche nell’ipotesi in cui le stesse si svolgano in ambito non concorrente. Il telelavoro può svolgersi anche per periodi predefiniti ed in alternanza al lavoro svolto in azienda. Presupposto dello stesso è la scelta volontaria dei soggetti interessati, non potendo derivare da una scelta unilaterale di ciascuna delle parti. In particolare l’imprenditore non potrà imporre il telelavoro a chi esercita un’attività tradizionale proprio perché il lavoro a distanza riguarda situazioni personali, familiari e le relazioni all’interno dell’impresa. L’accordo interconfederale demanda poi ai contratti collettivi di settore la definizione di ulteriori questioni che rivestono un'importanza affatto secondaria. Si tratta ad esempio di quelle particolari situazioni in cui sarà possibile realizzare il telelavoro, delle modalità di informazione preventiva alle associazioni sindacali aziendali per i riflessi correlati all'organizzazione del lavoro, delle modalità relative all'informazione ed alla formazione, delle regole per l’effettivo espletamento dei diritti sindacali, della modalità di definizione degli orari di lavoro, della modalità di 321 applicazione delle norme sulla sicurezza e la prevenzione degli infortuni. Come si può osservare viene demandato alla contrattazione di settore una cospicua parte della materia, pur nel rispetto della normativa generale in tema di lavoro. In tale direzione va anche la previsione di controlli sulla salute e sulla sicurezza effettuati secondo le procedure legali vigenti, tenuto conto del fatto che il lavoratore a distanza si deve prender cura anche della sicurezza delle altre persone presenti nel proprio domicilio. L’accordo garantisce poi la piena agibilità dei diritti sindacali previsti dalla normativa vigente. In particolare sono riconosciuti sia l’elettorato attivo che quello passivo negli organismi di rappresentanza, la partecipazione alle assemblee, l’accesso all’attività sindacale svolta in azienda oltre ad una parità di trattamento su tutti gli interventi formativi aziendali. Altro punto saliente dell'accordo è l'obbligo per le parti di stipulare l’accordo di telelavoro per iscritto, rispettando un contenuto minimo essenziale costituito dall'indicazione esatta del luogo di lavoro, dalle modalità di svolgimento delle mansioni, dalla distribuzione dell’orario giornaliero e settimanale secondo l’arco temporale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria, dagli orari nei quali il telelavoratore è disponibile per recarsi in azienda. L’accordo dedica poi un riferimento a parte al problema della diligenza e della riservatezza, operando un richiamo esplicito all’art. 2105 c.c. ed alla legge n. 675 del 1996 (oggi sostituita dal d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 "Codice in materia di protezione dei dati personali"). L’ultimo argomento trattato dall'accordo riguarda il controllo a distanza per le implicazioni connesse all’art. 4 della legge n. 300 del 1970, il quale vieta l’uso di impianti e di altre apparecchiature di controllo a distanza. La stessa disposizione ne consente l’installazione per esigenze organizzative e produttive previo accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza, attraverso un provvedimento autorizzativo della Direzione provinciale del lavoro che ne deve valutare le modalità d’uso. L’accordo confederale ha stabilito che i dati raccolti per la valutazione del singolo lavoratore, anche a mezzo di sistemi telematici e/o informatici, non costituiscono violazione dell’art. 4 e delle 322 norme contrattuali, in quanto funzionali allo svolgimento del rapporto di lavoro. Ciò comporta un onere aggiuntivo per il datore di lavoro, il quale è tenuto ad illustrare preventivamente ai propri dipendenti le modalità di funzionamento del software in modo tale da garantire la trasparenza dei controlli. Eventuali visite domiciliari finalizzate a tale attività vanno concordate con il lavoratore, con un congruo anticipo rispetto alla loro effettuazione.35 Il dato normativo che ne emerge è che per le imprese private, a differenza del settore pubblico, non esistono delle fonti del diritto che disciplinino l’esercizio del telelavoro, ma solo fonti negoziali. L'assenza di una disciplina specifica costituisce un problema ancor più urgente se si tiene conto del fatto che la globalizzazione dei mercati sta portando ad una diffusione incontrollata delle prestazioni lavorative. Il numero di lavoratori stabili, cioè con rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, che operano in azienda tende a ridursi progressivamente, mentre si assiste ad un aumento del numero dei soggetti coinvolti, a vario titolo, nella produzione, ma con minori rapporti di organicità e di stabilità con l'impresa. Questi ultimi possono appartenere a categorie quanto mai eterogenee: consulenti esterni, fornitori di prestazioni coordinate, lavoratori interinali, a termine o a tempo parziale, lavoratori impiegati in attività delocalizzate o che sono esecutori di intere fasi lavorative appaltate o commesse all'esterno. Tutte queste figure professionali possono telelavorare a vario titolo e da qui discende il dibattito finalizzato, tra l'altro, a tracciare dei confini giuridici certi ad una serie di rapporti che non hanno le caratteristiche tipiche della subordinazione. Se da un lato si vanno pian piano superando le resistenze delle organizzazioni sindacali, preoccupate del fatto che il telelavoro sia sovente associato a forme contrattuali di rapporto a tempo parziale, determinato o ad esternalizzazioni che possono sconfinare nella precarizzazione, dall'altro vi è un sempre più palese disinteresse delle imprese a stabilire delle regole che in qualche modo possano porre ostacoli alla libera iniziativa imprenditoriale. 35 L'argomento verrà trattato in dettaglio nel § 6.5 dedicato interamente al controllo a distanza 323 Con ogni probabilità sarà sempre più difficile arrivare alla stipulazione di accordi come quello del 20 giugno 1997 tra sindacati e confcommercio riguardante le imprese dei settori dei servizi e del terziario. Accordi che coniugavano vantaggi economici per le aziende e miglioramento della qualità della vita per i lavoratori.36 Eppure nel settore specifico del terziario e dei servizi i campi di applicazione sono notevoli. Si pensi alle possibilità offerte dal telelavoro nella contabilità, nelle traduzioni, nel marketing telefonico o nell'assistenza on-line. I vantaggi di tali accordi per il datore di lavoro sono molteplici, dall'aumento di produttività (la At&t, multinazionale dell'informatica, ha calcolato che un telelavoratore fa in cinque ore ciò che realizza in ufficio in otto), alla diminuzione dei costi e delle dimensioni strutturali dell'impresa, alla possibilità di adeguare con più facilità la propria organizzazione alle esigenze del mercato. Tuttavia con la globalizzazione dei mercati e la possibilità di delocalizzare tutte le attività telelavorabili questi vantaggi possono essere raggiunti ugualmente, e forse ancor meglio, evitando allo stesso tempo i possibili svantaggi riconducibili alla difficoltà di gestire più contratti di lavoro individuali ed all'elevato grado di sindacalizzazione dei dipendenti. La possibile diffusione del telelavoro tra i lavoratori subordinati comporta del resto un ripensamento del tradizionale ruolo del sindacato, venendo meno quello correlato alla presenza in azienda. Allentandosi i legami, il rapporto con i dipendenti delocalizzati può avvenire attraverso bacheche elettroniche, ma il dipendente, proprio per la mancanza del contatto visivo, sarà più portato a risolvere i propri problemi trattando direttamente con il datore, by-passando così la mediazione dell'organizzazione sindacale. Ma la diffusione del telelavoro in Italia come può incidere sotto l'aspetto occupazionale alla luce dell'attuale normativa? A questa domanda si può rispondere sostenendo che essa potrebbe rappresentare un fattore positivo nello sviluppo occupazionale delle aree svantaggiate. Si potrebbero 36 Cfr. Accordo interconfederale sul telelavoro subordinato fra Confcommercio e FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTUCS-UIL, sottoscritto il 20 giugno 1997. 324 realizzare molte attività senza andare ad incidere in maniera definitiva sulla vita dei soggetti in termini di spostamenti fisici. Un ulteriore stimolo all'implementazione del telelavoro potrebbe venire anche dalla legge n. 68 del 12 marzo 1999 sul diritto al lavoro dei disabili, con la quale è stato completamente ridisciplinato il collocamento al lavoro dei disabili. Particolare importanza rivestono gli istituti delle convenzioni (art. 11) e soprattutto gli incentivi disposti in favore delle imprese che assumono portatori di handicaps (art. 13). Attraverso il fondo regionale per l'occupazione dei disabili è possibile favorire l'occupazione attraverso l'erogazione di cospicui sgravi contributivi e attraverso il rimborso forfettario parziale delle spese sostenute dal datore di lavoro per l'apprestamento delle tecnologie di telelavoro.37 In conclusione si può affermare con certezza che nel settore privato la mancanza di una disciplina legale non ha ostacolato, ma anzi ha incentivato, le parti sociali a regolamentare la fattispecie in via pattizia. Il gran numero di accordi collettivi siglati ha costituito nel tempo una sorta di nucleo consolidato di disposizioni che ormai si ripetono in maniera costante. Né è ipotizzabile, almeno sul breve periodo, un intervento del legislatore, stante l'assoluta mancanza di una domanda in tal senso da parte dei soggetti collettivi interessati. 37 Cfr. MASSI, Il telelavoro tra P.A. e settore privato: problemi e prospettive, Diritto & pratica del lavoro, n. 19, 1999, pp. 1285-1289. 325 5.2.1. ESPERIENZE DI TELELAVORO Da un continente all’altro il quadro che si offre al nostro sguardo è ormai un sistema di reti, flussi operativi, attività e lavori che corrono sui fili della telematica e dell'informatica, a prescindere totalmente dai fusi orari e dalle distanze. Esiste cioè una destrutturazione di tempi e luoghi, articolati flessibilmente in reti alle quali si può accedere con facilità e all'interno delle quali ci si può muovere con rapidità ed efficienza. L'imprenditoria italiana, anche se solo quella più avveduta, ha colto fin da subito le enormi potenzialità del telelavoro, sia a livello di grande che di media e piccola impresa. Un'analisi più approfondita dei casi italiani permetterà di mettere in luce le peculiarità delle nostre esperienze anche in relazione al contesto socioeconomico e alle altre esperienze europee e mondiali. In realtà il telelavoro in Italia ha avuto, e continua ad avere, un ruolo residuale nelle strategie di cambiamento dell'organizzazione del lavoro in generale e del mercato del lavoro in particolare, per tutta una serie di problemi essenzialmente culturali che si riflettono inevitabilmente nella sfera giuridica, sindacale, organizzativa. Nonostante ciò si possono rinvenire alcune esperienze affatto originali che meritano di essere ricordate, anche perché hanno rappresentato i modelli cui si sono ispirati un po' tutti i progetti successivi. Il progetto di telelavoro in Ibm Semea Spa nacque dall'interesse per le esperienze realizzate dalla Ibm negli Stati Uniti, dove fin dagli anni '70 circa duemila operatori addetti allo sviluppo del software telelavoravano con vantaggi notevoli sul piano organizzativo e individuale. Il progetto italiano, iniziato nel 1984, ha avuto un seguito fino ai giorni nostri, e in prima battuta riguardava ottantatré persone di cui venti ricercatori per lo sviluppo del software, dieci venditori con attività in zone decentrate e relativi problemi di spostamento, un portatore di handicap, 326 venticinque operatori di sala calcolo per interventi di urgenza e altri ventisette addetti alla manutenzione, sempre per casi di emergenza ma al di fuori dell'orario di lavoro. L'introduzione del telelavoro fu motivata, in via prioritaria, da necessità di tipo gestionale e organizzativo, con lo scopo di raggiungere una maggiore efficienza e di ridurre il disagio di alcuni lavoratori operanti in settori particolarmente delicati. Il progetto fu preceduto da incontri informativi con i lavoratori e da uno studio preliminare di fattibilità. Non ci furono modificazioni sul piano contrattuale perché l'attività svolta rientrava in toto nella normativa del contratto di categoria, anche se il lavoro veniva concordato secondo le esigenze dell'organizzazione. Le valutazioni furono positive sia sul piano individuale sia su quello organizzativo, anche se non vennero quantificate data l'eterogeneità delle prestazioni e la loro estemporaneità. La supervisione da parte dei dirigenti si limitò ad orientarsi sulla verifica dell'efficienza delle prestazioni e sulla loro coerenza con gli obiettivi prefissati. Sempre in Ibm fu avviata nella primavera del 1994, ed è tuttora in corso, una sperimentazione di lavoro mobile o diffuso che coinvolge i rappresentanti commerciali e che permette in tempo reale di avere informazioni dal sistema centrale attraverso un'apposita piattaforma hardware e software. La sperimentazione è stata preceduta da uno studio di fattibilità durato circa un anno, finalizzato all'individuazione dei bisogni dell'utente finale e a verificare la tecnologia disponibile per metterla a punto e tararla sulle esigenze riscontrate. Le persone coinvolte inizialmente erano ventitré, mentre oggi sono più di mille e dispongono, per la loro attività che si svolge prevalentemente presso il cliente, di personal computer portatili, modem, fax, cellulare e telefono.38 Questa modalità operativa di telelavoro mobile è oggi diffusa in modo capillare nella categoria degli agenti di commercio. L'ampia disponibilità di strumenti informatici e telecomunicativi, la diffusione di Internet ed una più generale conoscenza di tali strumenti hanno in gran parte ridotto la necessità di spostamenti per l'offerta di prodotti, la raccolta di ordini e la verifica del loro stato. 38 Cfr. SCARPITTI, Anche in Italia qualcuno ci prova, Telèma, n. 2, autunno 1995. 327 E' questo uno dei rari casi in cui il telelavoro sta rendendo in parte superflua l'attività di un'intera categoria professionale, al cui interno resistono oggi solo coloro che hanno saputo aggiornare le loro conoscenze sull'uso delle nuove tecnologie. Anche la professione dell'informatore medico scientifico ha vissuto, per certi versi, lo stesso processo evolutivo, ed un caso emblematico ha riguardato la società farmaceutica Glaxo di Verona. Gli informatori medico scientifici svolgono infatti buona parte del loro lavoro lontano dalla sede principale dell'azienda e inviano tutte le informazioni riguardanti la loro attività tramite posta elettronica. La scelta di introdurre forme nuove di telelavoro è stata prevalentemente di carattere strategico-organizzativo, motivata però anche da considerazioni di tipo economico. Il progetto, avviato nel 1991, coinvolse seicento informatori medico scientifici, i quali per una parte del loro tempo operavano da casa nei servizi post-vendita e documentazione. Essi avevano una relazione diretta, tramite rete telematica, con i responsabili di area, i colleghi e la struttura in generale. In questo caso i lavoratori furono però coinvolti nel progetto in modo automatico, non potendo manifestare la loro intenzione o meno di aderirvi, vista la particolarità del loro contratto di lavoro. L'azienda ottenne così dei notevoli vantaggi economici grazie all'abbattimento dei costi di trasferta e organizzativi e grazie al miglioramento di alcune procedure ed alla creazione di nuovi strumenti di valutazione e gestione. Un altro caso interessante, paradigma di come un progetto di telelavoro possa trasformarsi in una modalità di lavoro stabile, riguarda l'impresa Agorà Telematica, società nata nel 1988 per produrre servizi telematici e traduzioni, la quale decise di adottare il telelavoro domiciliare come modalità primaria di lavoro. Questa scelta fu facilitata dalle caratteristiche stesse dell'attività e fu presa essenzialmente per ridurre i costi delle postazioni fisse di lavoro presso i locali dell'azienda. I cinque lavoratori che furono coinvolti volontariamente, come poi si è verificato in tutte le esperienze di telelavoro successive, svolgevano attività di traduzione con tempi e modalità che essi stessi sceglievano, fatte salve alcune priorità aziendali e garantendo in particolari momenti la loro reperibilità. 328 Sul piano aziendale ci furono dei vantaggi in termini di aumento della produttività e della qualità dei servizi offerti, grazie anche ad una riduzione dei costi che in alcuni casi raggiunse il 30%. Sul piano individuale gli aspetti positivi furono rappresentati da una migliore organizzazione del proprio lavoro, dalla riduzione degli spostamenti e dalla possibilità di svolgere la propria attività in sedi diverse e in alcuni casi anche per committenti diversi. Un settore in cui il telelavoro ha sempre trovato ampia applicazione è quello delle telecomunicazioni, in cui, anche quando il regime era di tipo monopolistico, non sono mancate sperimentazioni molto significative. L'esperienza di telelavoro in Telecom Italia venne proposta addirittura nel 1988, quando l'azienda, allora conosciuta con la denominazione SIP, effettuò in collaborazione con la facoltà di sociologia dell'Università di Torino, uno studio di fattibilità su alcune figure professionali nell'ambito del servizio 12 (elenco abbonati) presso l'agenzia di Torino ovest. Dalle risposte ad un questionario distribuito tra i dipendenti, emersero elementi che indicavano un riscontro positivo da parte dei lavoratori, anche se c'era una certa resistenza da parte dei sindacati che temevano una progressiva desindacalizzazione dei telelavoratori e una perdita di unitarietà dell'azienda e di omogeneità di comportamenti. I tempi non erano evidentemente ancora maturi per affrontare una realtà così articolata come è il telelavoro, per cui bisognò aspettare l'agosto del 1995 quando venne siglato un accordo sindacale in cui per la prima volta vennero inseriti e formalizzati nei documenti contrattuali ed organizzativi i termini telelavoro e remotizzazione di unità organizzative. Poiché il processo di riorganizzazione aziendale comportava continue verifiche e fasi di confronto con le rappresentanze sindacali, l'accordo in questione fornì una serie di risposte sul piano normativo, gestionale ed organizzativo. Nell'abitazione di alcuni addetti al Servizio 12 che volontariamente aderirono al progetto, venne installato un videoterminale collegato in rete. Da questo momento le chiamate degli utenti furono automaticamente dirottate sulla linea telefonica privata del telelavoratore, il quale forniva le 329 indicazioni richieste senza muoversi da casa. Fu questo il primo passo di un lungo percorso di remotizzazione dei servizi al pubblico che portò da un lato alla diffusione del telelavoro domiciliare e dall'altro alla creazione di un gran numero di telecentri.39 L'accordo del 1995 stabiliva che il telelavoro rappresenta una modifica del "luogo di adempimento dell'obbligazione lavorativa", e inn quanto tale non incide sull'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e sul conseguente assoggettamento all'esecuzione delle attività lavorative e al controllo del datore di lavoro. La sperimentazione, avviata su base volontaria, era subordinata alla compatibilità dell'abitazione del dipendente con lo svolgimento delle mansioni lavorative. Pertanto l'accettazione della richiesta di adesione alla sperimentazione era subordinata alla disponibilità, nell'abitazione del lavoratore, di un ambiente separabile da quello normalmente dedicato alle attività quotidiane, e alla conformità dei locali di lavoro rispetto alle norme previste dal contratto e rivolte a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Tale conformità veniva accertata mediante un sopralluogo effettuato dal Comitato paritetico Ambiente a livello regionale. La sperimentazione del telelavoro riguardava però solo i lavoratori che intendevano convertire il loro rapporto di lavoro da tempo pieno ed indeterminato a tempo parziale, con una riduzione pari al 50% del normale orario di lavoro. In base all'accordo il telelavoratore non poteva richiedere il ripristino dell'orario a tempo pieno prima di un triennio dalla stipula del contratto di lavoro a tempo parziale. In questo modo il telelavoro veniva utilizzato dalla Telecom come strumento per risolvere i problemi di esubero del personale. Anche la SEAT, con l'accordo siglato il 31 marzo 1995, ha preso in considerazione la possibilità di introdurre sperimentalmente il telelavoro nelle more della riorganizzazione della propria struttura commerciale, per la quale era prevista la chiusura di alcune sedi. L'accordo, dopo aver definito il telelavoro come "una modalità di esecuzione dell'attività lavorativa effettuata in luoghi decentrati rispetto alla sede tradizionale organizzata in forma flessibile ed utilizzando a tal scopo le adeguate tecnologie", ha individuato nella vendita telefonica (diciassette posti di lavoro) e 39 Cfr. Verbale di accordo dell’1 agosto 1995 tra Telecom Italia Spa e CGIL, CISL, UIL. 330 nel telesollecito (tredici posti) le possibili attività telelavorabili a domicilio. Inoltre, a tutela della professionalità del lavoratore, l'accordo ha previsto un adeguato livello di formazione e addestramento, per cui il lavoratore viene chiamato ad incontri in sede analoghi a quelli svolti dagli altri lavoratori Seat.40 Valenza particolare assume anche il caso Netsiel. Anche se ha riguardato una sola persona la sua importanza sul piano sociale è notevole, perché il modello utilizzato si è prestato ad essere utilizzato su più ampia scala. La sperimentazione avviata nel 1993 interessò un disabile con gravi problemi motori, e vide la collaborazione di diverse organizzazioni quali l'Asphi, la Fondazione Pro juventute don Carlo Gnocchi, la Sip. Al termine dell'anno concordato per la sperimentazione furono espresse valutazioni positive sia sul versante aziendale sia, soprattutto, su quello individuale. Il lavoratore venne infatti considerato a tutti gli effetti un membro della comunità produttiva e, oltre a crescere professionalmente nella sua attività di programmatore, trovo un adeguato inserimento nel mondo del lavoro, che altrimenti gli sarebbe stato precluso.41 Una sperimentazione che ha suscitato molto interesse ha riguardato la Caridata SpA di Piacenza, società nata con l'obiettivo di sviluppare applicazioni e servizi informatici rivolti al settore bancario e parabancario. Nel 1996, aderendo alla richiesta di un gruppo di dipendenti pendolari, Caridata avviò un esperimento di telelelavoro, anche per verificare i possibili vantaggi derivanti dalla possibilità di sviluppare i propri processi produttivi indipendentemente dalla localizzazione fisica delle proprie risorse. La Caridata, pagando insieme ai lavoratori una quota parte delle spese di locazione, affittò un paio di locali dotati di videoconferenza e computer collegati con la sede centrale e con tutte le sedi Cariplo e le casse di risparmio che orbitano su Cariplo. I telelavoratori Caridata erano tutti capoprogetto appartenenti alla Divisione Outsourcing cioè responsabili della pianificazione e del controllo esecutivo delle attività svolte da loro stessi, dai collaboratori presso la sede di Milano e da eventuali consulenti esterni. La capacità di organizzare 40 41 Cfr. FELICI, Telelavoro oggi, EPC Libri, Roma, 1997. Cfr. SCARPITTI cit. 331 in proprio l'attività lavorativa era già una consuetudine per tali lavoratori, e ciò ha costituito senz'altro un punto a favore nel momento di scegliere la nuova modalità operativa. Oltre a ciò il contenuto stesso delle attività da loro svolte e le modalità di coordinamento e di interazione con gli altri soggetti erano ampiamente collaudate e già svolte a distanza, anche se dalla sede di Milano. Le attività svolte riguardavano due tipi di interventi. Innanzitutto la gestione e la manutenzione di sistemi informativi sviluppati da terzi, intervenendo in seguito a segnalazioni di guasti o fermi macchina, per garantire la continuità del servizio. Tale attività non era programmabile e andava svolta ogni giorno con interventi i più solleciti possibile, entro qualche ora o, al massimo, entro la giornata stessa. In secondo luogo c'era un'attività di sviluppo di nuovi progetti ad hoc, definendo metodologie di lavoro, pianificando e controllando l'utilizzo delle risorse e curando il rapporto con il cliente nelle fasi di definizione degli obiettivi e di presentazione dei risultati. La caratteristica innovativa della sperimentazione di Caridata risiedeva nel fatto che furono gli stessi telelavoratori a promuovere la possibilità di lavorare a distanza, senza doversi recare quotidianamente a Milano. In tutte le altre esperienze italiane di cui è stata possibile verificare l'esistenza è stato infatti il vertice aziendale ad introdurre il telelavoro ai fini di una migliore efficacia gestionale. Come visto precedentemente, per poter svolgere la propria attività a distanza, i telelavoratori Caridata trovarono autonomamente i locali da adibire ad ufficio e ne pagarono di tasca propria l'affitto mensile, anche se in realtà le spese per il pagamento dell'affitto erano bilanciate dai risparmi sui costi di trasporto. Ai telelavoratori venne garantita la conservazione di tutte le prerogative contrattuali precedentemente in vigore, conservando quindi il rapporto di subordinazione con l'azienda, nonché la possibilità di interrompere in qualsiasi momento la sperimentazione e riprendere a lavorare presso la sede di Milano. Anche il timore di perdita dei contatti e delle relazioni con la sede centrale è stata superala aggiungendo ai tradizionali canali di comunicazione strumenti come la posta 332 elettronica e la videoconferenza, in modo da consentire la piena integrazione dei telelavoratori in tutti i processi organizzativi e le attività aziendali, garantendo loro pari opportunità di comunicazione, formazione professionale e avanzamento di carriera. La fase sperimentale durò dodici mesi ed i telelavoratori furono pienamente soddisfatti, avendo recuperato almeno due ore al giorno per la propria vita privata, il che equivale a dire circa quattrocentoquaranta ore all'anno. Tale risparmio fu calcolato per difetto in quanto la frequente necessità di doversi fermare in ufficio a fine giornata per interventi di emergenza che potevano richiedere anche solo qualche decina di minuti, determinava la perdita del treno e il ritorno a casa con almeno due ore di ritardo. A ciò vada aggiunta la comodità derivante dalla possibilità di gestire autonomamente il proprio tempo di lavoro di otto ore al giorno all'interno di una fascia oraria compresa tra le ore 8,00 e le ore 20,00. Ciò permette di far fronte a brevi impegni personali inderogabili, quali una visita medica specialistica o una pratica da svolgere presso un ufficio pubblico, che in passato richiedevano di sacrificare almeno una mezza giornata di ferie. Questo tempo riconquistato dai telelavoratori può essere in parte destinato all'azienda, la quale beneficia inoltre di una migliore qualità del lavoro, derivante da una maggiore concentrazione e da un minore affaticamento dei lavoratori. Per quanto riguarda gli incontri con i colleghi della sede centrale di Milano, necessari per la soluzione di problemi e per la pianificazione delle attività future e che in precedenza si svolgevano quasi giornalmente anche se con durata di pochi decine di minuti, ora vengono accorpati in media in un'unica giornata, durante la quale il telelavoratore ritorna presso la sede centrale, si riunisce con tali colleghi e continua in seguito il proprio lavoro da una postazione libera in tali uffici. Per tutti questi motivi sia l’azienda che i telelavoratori decisero di proseguire facendo diventare stabile questo tipo di rapporto telelavorativo.42 42 Si tratta di una sperimentazione citata come esempio da molti autori, tra i quali BRACCHI e CAMPODALL'ORTO, Progettare il telelavoro, Manuale per l’utilizzo, Franco Angeli editore, Milano, 1997, e DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. 333 Sempre nel settore bancario si è sviluppato un interessante progetto chiamato La telebanca e il telelavoro, finanziato dal Fondo sociale europeo. Questo progetto, più che in una sperimentazione sul campo consisteva in un'indagine conoscitiva, condotta intervistando cinquecento lavoratori di quattro Paesi (Italia, Spagna, Grecia e Germania). Il risultato è una notevole mole di documenti, accessibili in Internet, che analizzano il telelavoro sotto molteplici aspetti, da quelli più pratici a quelli più teorici, dagli aspetti legali al resoconto delle esperienze più significative, dai dati quantitativi sulla sua applicazione in Europa a tutti i collegamenti in Internet per chi vuole approfondirne la conoscenza.43 I risultati dell'indagine hanno fatto emergere una certa diffidenza nei confronti del telelavoro, basata soprattutto sul timore di un più difficile contatto diretto tra i lavoratori, diversamente da quanto avviene tra le quattro mura di un'agenzia bancaria. Per quanto il 64% degli intervistati ritenesse che le proprie mansioni si prestassero ad essere svolte da casa, ben il 93% affermava che quest'opportunità non gli era mai stata offerta all'interno dell'istituto dove lavorava. Le maggiori preoccupazioni riguardavano la valutazione della prestazione lavorativa effettuata a distanza, nel timore di una valutazione meramente quantitativa. In questa maniera si temeva che l'introduzione del telelavoro su larga scala avrebbe potuto rappresentare il primo passo verso il ricorso a società di servizi esterne.44 Non sono poi mancate delle forme di sperimentazione miste che hanno coinvolto amministrazioni pubbliche e aziende private. Venne ad esempio stipulata una convenzione tra l’agenzia regionale veneta “Veneto lavoro” e l’amministrazione provinciale di Crotone al fine di sviluppare forme innovative di telelavoro che coinvolgessero le regioni Calabria e Veneto. Il supporto logistico all’iniziativa fu offerto dal consorzio privato Telcal. Il progetto prese origine dalla considerazione che con la new economy le imprese tenderanno sempre più a svilupparsi in rete, per cui anche la selezione dei telelavoratori potrà effettuarsi allo stesso modo. Il tessuto 43 Cfr. Babeproject, La telebanca e il telelavoro: progetti ed indagini conoscitive sul telelavoro nel settore bancario, in: www.babeproject.com 44 Cfr. CAPPELLINI, E nel telelavoro una risposta alla mobilità, Il Sole 24 ore, 1 novembre 2002. 334 industriale veneto ben si presta al telelavoro poiché le imprese sono già in gran parte esternalizzate per molte funzioni importanti. Il progetto intendeva quindi agevolare, attraverso il telelavoro, l'incontro tra la domanda di lavoro che proviene dal nordest ed i disoccupati della provincia di Crotone. Questa esperienza ha dimostrato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che la mobilità del lavoro oggi viene intesa in senso molto diverso rispetto al passato e probabilmente rappresenterà uno dei nodi decisivi nello sviluppo dell’economia mondiale.45 Pur con tutte le lentezze e le discontinuità dovute alla vera e propria rivoluzione culturale che comporta, il telelavoro è ormai diventato una tendenza irreversibile. È dunque indispensabile per le aziende muoversi tutte nella stessa direzione, per favorire sinergie e confronti e attivare le reti di interazione che sul piano tecnologico sono già una realtà. In tal senso le esperienze del passato sono di conforto e rappresentano un punto di riferimento per l'attuazione di nuovi e più impegnativi progetti. 45 Gazzetta del Sud, rassegna stampa del 07.10.00, Dal Nordest il telelavoro, Regione Calabria, Ufficio stampa della Giunta. 335 CAPITOLO VI IL TELELAVORO ED IL DIRITTO DEL LAVORO. SOMMARIO: - 1. La tutela del telelavoratore. – 2. Il telelavoro dipendente. – 2.1. Orari, retribuzione, rimborso spese. – 2.2. La tutela della salute e della sicurezza. 2.3. Le tutele previdenziali. – 2.4. Le categorie protette. – 3. Il telelavoratore parasubordinato. – 4. Il telelavoratore autonomo. – 5. Il controllo a distanza. - 6. Ulteriori aspetti giuslavoristici. 6.1. LA TUTELA DEL TELELAVORATORE Come è stato più volte sottolineato, telelavoro è sinonimo di flessibilità, e questa caratteristica si riflette anche sul tipo di inquadramento giuridico della fattispecie. Benché il lavoro autonomo presenti le caratteristiche che meglio si sposano con il telelavoro, di fatto non esistono limitazioni di alcun tipo in merito alla veste giuridica da adottare. Dal momento che il telelavoro non è una nuova tipologia di rapporto di lavoro, bensì una modalità innovativa di svolgere la prestazione lavorativa tradizionale, le parti possono decidere di instaurare, indifferentemente, un rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo. A seconda della scelta fatta, verrà poi applicata la specifica disciplina di tutela del lavoro subordinato, oppure la più attenuata tutela riservata al lavoro parasubordinato, oppure non troverà alcuna applicazione la normativa del diritto del lavoro.1 Ciò che nel telelavoro ha incrinato la solidità di uno dei miti su cui sono stati fondati e costruiti il contratto di lavoro ed il diritto del lavoro stesso, e cioè che l’esecuzione della prestazione 1 Cfr. BOLZONI e MEJNARDI, Telelavoro: knowledge “remota” per l’impresa a rete, Amministrazione & finanza oro, n.1, vol. XIV, 2003. 336 si svolge nel luogo scelto e deciso dall’imprenditore (e che in genere coincide con i locali dell’azienda), è la possibilità di trattare informazioni a distanza. Il telelavoro, come scelta organizzativa finalizzata alla flessibilità nella gestione della forza lavoro (in genere prevalentemente non manuale), genera una forma di rapporto che si svolge essenzialmente a distanza dal cuore organizzativo dell’impresa. La novità e la complessità del fenomeno richiede quindi l’individuazione dei diversi modi con i quali si presenta, poiché da essi dipende, come detto poc'anzi, l’applicazione o meno del diritto del lavoro, che di solito fa coincidere la propria sfera d’influenza con l’esistenza di un contratto di lavoro ed in particolare con la fattispecie della subordinazione. Secondo una prima ricostruzione operata da Veneziani2 il ventaglio di possibilità offerte dal telelavoro parte dalle cosiddette computer houses o software houses, che operano come società indipendenti in stretto contatto con l’impresa committente. In questo caso si realizza un mero rapporto commerciale tra imprese che intrattengono tra di loro normali rapporti di mercato, per cui la disciplina di questi rapporti è regolata dal diritto commerciale. Una seconda ipotesi si verifica quando il telelavoro è svolto a domicilio, sia questo una casa di abitazione oppure un qualsiasi altro luogo messo a disposizione dal lavoratore (telelocale). Il telelavoratore in questo caso prende contatto con una o più imprese e fornisce il servizio telematico attraverso un'organizzazione di mezzi propria. Egli opera su semplici indicazioni preventive fornite dall’impresa, a cui fa pervenire il prodotto finito. Infine si ha l’ipotesi del telelavoro come lavoro svolto dal singolo dipendente in tutto o in parte a distanza dal cuore dell’impresa, alla quale è però collegato da un rapporto organizzativo. Il lavoratore è allora un dipendente dell’azienda e lavora, sia pure con modalità non tradizionali, secondo un rapporto di lavoro subordinato, collegato con la struttura dell’impresa e sottoposto al controllo dell’imprenditore. 2 Cfr. VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 1987, pp. 33-73. 337 Le tre ipotesi formulate da Veneziani presentano tuttavia dei rischi di sovrapposizione, in particolare le ultime due. Ciò è dovuto al fatto che la tecnologia ha creato i presupposti per una condizione comune al lavoratore a domicilio e al telelavoratore subordinato, ha cioè spostato il centro di gravità geografico della prestazione dal cuore dell’impresa all’esterno di essa. Il lavoro a domicilio ritorna in questo modo all’onor del mondo, come se l'avvento della società tecnologica altro non fosse che un riproporre il ritorno ad una società precapitalistica, in cui il video ed il computer sostituiscono il telaio e la macchina da cucire. Il vero problema diventa allora comprendere se il telelavoratore rientri nella sfera della protezione del diritto del lavoro come lavoratore dipendente oppure come lavoratore a domicilio, poiché esistono delle consistenti differenze di regolamentazione tra i due tipi di rapporto. Per quanto concerne il secondo le leggi esistenti sembrano ancorate a vecchie definizioni (in Italia), o appaiono insufficienti (in Gran Bretagna e Germania) o ancora ambigue (in Belgio).3 Gran parte di esse si riferiscono infatti ad un sistema produttivo tipico di un mercato neocapitalistico, nel quale la legge definisce la posizione dei lavoratori a domicilio per proteggerli dai tentativi imprenditoriali di decentrare la produzione al mero fine di risparmiare sul costo del lavoro. Per la legge italiana, ad esempio, il lavoro a domicilio subordinato è identificato dalla stabilità del suo collegamento funzionale, tecnico ed economico, con il ciclo produttivo dell’impresa committente, cioè l’essere non necessariamente alle dipendenze materiali ma sotto le direttive dell’imprenditore.4 Lo Stato sociale evolutosi negli anni del secondo dopoguerra si è posto l’obiettivo di evitare che il lavoro a domicilio altro non fosse che un camuffamento del lavoro dipendente, battendosi contro l’uso di questo tipo di rapporto come sostitutivo del rapporto di lavoro subordinato. Oggi questo rischio è nuovamente elevato, in quanto il software può indifferentemente costituire oggetto di contratto di franchising, di appalto, di lavoro autonomo, di lavoro dipendente e, 3 Per un esame più approfondito Cfr. il capitolo III: "Il telelavoro nelle esperienze nazionali ed internazionali". Cfr. comma 2, art. 1 legge 18 dicembre 1973, n. 877, Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio (G.U. n. 5 del 5 gennaio 1974. 4 338 appunto, di lavoro a domicilio. Ma il telelavoratore a domicilio deve rimanere lavoratore dipendente proprio in ragione del modo con cui il suo lavoro si collega con l’attività dell'impresa. Le possibilità sono tuttavia molteplici. L’esteriorizzazione del lavoro fa sì che negli Stati Uniti e nel Regno Unito il telelavoratore sia per lo più considerato come un lavoratore autonomo retribuito a cottimo. Diversa è invece la situazione di chi, ad esempio, lavora ad un videoterminale di una rete di comunicazione elettronica che fa interagire i computers remoti con il computer madre. Un dato sembra però essere comune a tutte le esperienze: tanto nei paesi di Common Law quanto in quelli che si sono dati una specifica legislazione ad hoc, l’individuazione dei criteri d’identificazione del rapporto viene lasciata a dati di fatto o di esperienza e al modo con cui viene valutata la subordinazione. In tal modo il lavoro a domicilio può essere a seconda delle circostanze espressione di autonomia o di subordinazione se, rispettivamente, è collegato o meno ad una specifica organizzazione di lavoro imprenditoriale. E ciò risulterà quasi sempre in modo chiaro dal contratto esistente. Il telelavoratore sarà lavoratore a domicilio autonomo o dipendente dell’impresa a seconda che le previsioni contrattuali siano o no compatibili con la natura di contratto di lavoro subordinato. Gli aspetti interessanti del problema sono anche legati all’uso meno rigido della nozione di subordinazione impiegata per tentare di far rientrare questi lavoratori nell’ambito del diritto statuale del lavoro. Una considerazione generale è che se, nell’economia neocapitalistica, l’imprenditore svolge contemporaneamente i ruoli di manager e di tecnico esperto in nuove tecnologie, il suo potere di controllo non è più interessato a come e dove lavorano i dipendenti. Esso non è interessato a come il dipendente svolge il suo lavoro, in quanto a ciò provvede l’abilità professionale dello stesso. Il potere dell’imprenditore riguarda oggi il modo con cui il lavoratore tecnologico appartiene all’organizzazione dell’impresa, per cui la subordinazione va vista alla luce del legame esistente tra rapporto di lavoro e organizzazione. Occorre quindi stabilire l’esistenza o meno dei legami organizzativi entro i quali viene svolto ad esempio il lavoro di software. Così lo stesso know-how, l’ideazione autonoma dell’hardware o 339 del software, diventa un elemento importante e determinante per la liceità del decentramento produttivo e per l’identificazione del rapporto.5 Per contro il luogo di produzione diventa sempre più sovente la propria casa, o, per il telelavoratore nomade, viene soppresso del tutto. In questo contesto, nel quale appare ormai irrimediabilmente lacerata la rete di mediazioni e contropoteri sociali che sindacati e associazioni di massa avevano intessuto nella società civile, la sfera pubblica del lavoratore si riduce alle procedure elettive di delega verticale della rappresentanza. Il giuslavorismo più avvertito, paventando la fine stessa di ogni diritto del lavoro, ha suggerito una sua ricollocazione come diritto dei “lavori”, ovvero l’assestamento su un insieme di prerogative minime, comuni ad ogni attività produttiva. Così la contrattazione collettiva che si è occupata di telelavoro ha affrontato le relative tematiche in modo estremamente pragmatico, scegliendo di adottare una nozione abbastanza ampia di telelavoro subordinato. Del resto il telelavoro fa apparire prive di senso le antiche rigidità di tempo e di spazio, rendendo necessario conciliare le nuove ragioni dell'impresa con quelle di una sempre efficace tutela sindacale. Nel ripensare regole e comportamenti c'è chi arriva ad ipotizzare il telesciopero, la teleassemblea, il telereferendum.6 L'analisi dei problemi giuridico-sindacali del telelavoro ha dovuto misurarsi con la difficoltà di inquadrare questo tema in un contesto normativo creato quasi esclusivamente per il lavoro all'interno dell'impresa. L'esigenza di questa analisi è peraltro giustificata dalla particolarità di un fenomeno che è potenzialmente in grado di riproporre una forma di organizzazione del lavoro che, ad onta del carattere futuribile della sua strumentazione, rischia di rivelarsi paradossalmente più antica degli schemi giuridici entro i quali dovrebbe essere inquadrata. Un'organizzazione del lavoro da cui verrebbe esclusa ogni forma di tutela sul piano individuale e collettivo, come accadeva in quella preindustriale fondata prevalentemente sul lavoro a domicilio,. 5 6 Su questi argomenti Cfr. VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, cit. Cfr. GIUGNI, E’ necessario, subito un altro (tele)statuto, Telèma, 2, autunno 1995, pp. 46-48. 340 Il telelavoro rappresenta quindi una sfida sofisticata alla stessa capacità di intervento dei tradizionali modelli di tutela legale dei lavoratori. Tra l'altro rende possibile andare oltre i confini del territorio comunale con i quali l'art. 35 dello Statuto dei lavoratori tenta di frenare le tendenze centrifughe implicitamente incentivate proprio dalla soglia dimensionale dei quindici dipendenti da esso prevista.7 Come accade per tutte le nuove figure di attività lavorativa prive di una specifica disciplina legale, l'interprete deve verificare se, nel suo svolgimento concreto, il rapporto di telelavoro corrisponda davvero alla qualificazione attribuitagli dalle parti o se invece possa, o debba, essere ricondotto a un altro schema contrattuale. Pertanto, al di là di quelle che possono essere le diverse posizioni dottrinali, occorre rifarsi esclusivamente al diritto positivo per definire le possibili qualificazioni giuridiche attuali del telelavoro. Tre di esse riguardano il lavoro autonomo e due quello subordinato. Le prime contemplano il telelavoratore imprenditore, il telelavoratore autonomo e il telelavoratore parasubordinato. Le seconde il telelavoratore subordinato a domicilio e il telelavoratore subordinato nell'impresa. E' appena il caso di rilevare che l'ordine di elencazione di queste figure è inversamente proporzionale al livello della tutela apprestata dal diritto del lavoro: inesistente nelle prime due ipotesi, essa tende lentamente a crescere fino ad emergere pienamente soltanto nell'ultima figura. Tale affermazione è valida anche per quanto attiene alla tutela sindacale. Tuttavia, dato che i profili sindacali si evidenziano con chiarezza soltanto nel lavoro subordinato in senso proprio, è per lo più in quest'ambito che si può ipotizzare qualche possibile scenario. 7 Cfr. art 35 dello statuto lavoratori, Legge 20 maggio 1970, n. 300, Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell'articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano più di cinque dipendenti. Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti. 341 Ferma restando l'intangibilità del principio di libertà di organizzazione sindacale, si pone il problema delle modalità con cui esso può realizzarsi. Una prima ipotesi sarebbe la costituzione di una categoria professionale che, sulla falsariga dell'esperienza dei quadri, attraversasse i tradizionali settori produttivi. Ma una tale ipotesi sarebbe ostacolata, oltre che dall'estrema varietà professionale dei telelavoratori, anche dalla dispersione di tali soggetti sul territorio, dispersione che ne rende quanto mai problematica l'aggregazione. Più realistica sarebbe una soluzione fondata sulla predisposizione di una specifica tutela contrattuale che lasciasse inalterato il tradizionale modello dell'inquadramento sindacale a seconda delle categorie merceologiche, ciò che fino ad oggi si è verificato nei molteplici contratti siglati in materia di telelavoro. A fronte di una simile soluzione, l'esigenza di un'apposita rappresentanza sindacale dei telelavoratori dovrebbe essere garantita in modo particolare a livello aziendale. Nei casi in cui l'impresa ricorra al telelavoro si pone il problema della necessaria rivisitazione della nozione di unità produttiva che, come dispone l'art. 35 dello Statuto dei lavoratori, si riferisce a "ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio e reparto autonomo". Proprio tale requisito di autonomia impedisce di identificare come singola unità produttiva ogni luogo in cui un telelavoratore esegue la propria prestazione. Quest'ultima, infatti, in virtù del necessario collegamento funzionale del terminale domestico con un computer-madre, costituisce soltanto una parte del ciclo produttivo da esso dipendente. In questo caso, l'unità produttiva non potrà che essere identificata con l'insieme di tutti i soggetti, compresi i telelavoratori, che concorrono alla realizzazione dell'attività per la quale risultano coordinati, essendo a tal fine irrilevante la loro dislocazione sullo stesso territorio comunale. Facendo riferimento al modello ormai prevalente della rappresentanza sindacale unitaria quale è definito nel Protocollo sulla politica dei redditi del luglio 1993, 8 si presenterà probabilmente la 8 Cfr. il Protocollo sulla politica dei redditi e dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 3 luglio 1993. 342 necessità di garantire in tali organismi unitari un'adeguata rappresentanza dei telelavoratori, almeno nelle ipotesi in cui la loro presenza in azienda sia numericamente significativa. L'esercizio delle funzioni di rappresentanza aziendale presenta poi forti aspetti di peculiarità nel caso delle imprese che utilizzino esclusivamente telelavoratori. Ferma restando la possibilità di eleggere anche in tale ipotesi una rappresentanza sindacale unitaria, il godimento dei diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori dovrebbe necessariamente subire un adattamento alle particolari condizioni dell'organizzazione del lavoro. Il terminale si trasformerebbe da strumento della teleprestazione in strumento per l'esercizio dell'attività sindacale e il datore di lavoro adempirebbe ai propri obblighi di collaborazione mettendo a disposizione non già locali e bacheche ma gli stessi canali informatici utilizzati per la prestazione lavorativa, assumendosi il relativo onere economico. Potrebbero così realizzarsi, ad esempio, telereferendum (art. 21 dello Statuto dei lavoratori), teleaffissioni (art. 25), nonché teleriunioni dei rappresentanti sindacali.9 Il telelavoro rischia di incrinare molte delle certezze del sindacato, il quale è sempre stato ostile a forme di decentramento produttivo in cui l'accentuazione dell'individualismo possa vanificare la possibilità di tutela collettiva. La verità è che questa radicale innovazione se da un lato può rendere più agevole la soluzione di alcuni problemi quali la flessibilità della durata del lavoro, delle pause, dell'impiego del part-time, del lavoro di coppia e via dicendo, dall'altro ne potrà complicare naturalmente altri. Uno di essi è l'attività di vigilanza di cui non si potrà fare a meno, ma che apparirà ancor più necessaria in vista degli abusi consentiti dalla dispersione pressoché totale dell'impianto produttivo. Il ricorso ai tradizionali strumenti di autotutela collettiva a sua volta sarà reso più difficile dal venir meno dell'aggregazione sul luogo di lavoro. In ipotesi, le varie fasi in cui si articola uno sciopero potrebbero però realizzarsi per via telematica, dalla proclamazione alla dichiarazione di adesione dei singoli lavoratori, alla stessa astensione dalla prestazione che in molti casi potrebbe 9 Cfr. GIUGNI, E’ necessario, subito un altro (tele)statuto, cit. 343 concretizzarsi nello spegnimento del terminale. Ove poi si trattasse di televoratori addetti a un qualche servizio essenziale è evidente che si applicherebbe la disciplina limitativa derivante dalla legge n. 146 del 1990, dovendosi eventualmente ipotizzare l'integrazione degli accordi sulle prestazioni indispensabili con apposite clausole.10 Soltanto se adeguatamente controllato il telelavoro può quindi evitare di risolversi in un ritorno al passato e rivelarsi invece un ritorno al futuro, offrendo un contributo decisivo per allentare le enormi rigidità spazio-temporali con cui il mondo del lavoro deve misurarsi ogni giorno. Affinché l'impiego del telelavoro possa indirizzarsi in quest'ultima direzione ci si può legittimamente chiedere se non sia opportuno che il sindacato si sforzi ad evolversi in un soggetto capace di rappresentare non solo il tradizionale lavoro dipendente ma anche larghe fasce del lavoro autonomo. Nei paragrafi che seguono si cercherà quindi di illustrare in modo approfondito i problemi che l’introduzione del telelavoro ha posto e pone tuttora al diritto del lavoro, in particolare al complesso di norme che lo Stato ed i privati, sia come singoli che come gruppi, elaborano per regolare il rapporto individuale di lavoro. Non va nascosto il fatto che se il telelavoro ha potuto diffondersi in modo diseguale su scala planetaria lo si deve anche alle enormi differenze per quanto riguarda le tutele apprestate dai singoli ordinamenti nei confronti dei lavoratori. Non solo, ma all’interno di ogni ordinamento è possibile che la particolare categoria dei telelavoratori goda di un sistema di tutele ulteriormente attenuato rispetto ai lavoratori tradizionali.11 L’analisi dei problemi giuridico-sindacali del telelavoro deve poi misurarsi con la difficoltà di inquadrare questo tema nel contesto normativo attuale, creato quasi esclusivamente per il lavoro all’interno dell’impresa. 10 Cfr. legge 12 giugno 1990, n. 146, Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della commissione di garanzia dell'attuazione della legge (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 14 giugno 1990). 11 Cfr. Capitolo III 344 Date queste premesse, va ancora detto che il telelavoro non si è ancora costituito come tipologia contrattuale a sé stante da affiancare alle tradizionali forme di lavoro (subordinato, autonomo o parasubordinato), ma piuttosto rappresenta ancora e solamente una modalità flessibile di esecuzione della prestazione lavorativa. Il telelavoro così inteso può quindi venire all’attenzione, di volta in volta, come lavoro autonomo, subordinato o parasubordinato, a seconda delle concrete modalità in cui la prestazione lavorativa viene svolta. Ne discende che, almeno in Italia, la riflessione dottrinale ha individuato una serie di figure differenziate di telelavoratori, caratterizzate da livelli crescenti di tutela e di cui, ad eccezione della prima categoria, si darà conto nei successivi paragrafi:12 1. Il telelavoratore imprenditore, è un soggetto che esegue la teleprestazione avvalendosi di una propria organizzazione di mezzi e persone, la quale prevale sull’apporto personale, secondo la definizione data dall’art. 2082 del codice civile;13 2. il telelavoratore autonomo è colui che si serve solo in via ausiliaria, cioè in misura non prevalente rispetto all’apporto del proprio lavoro, di manodopera esterna e/o di attrezzature, ai sensi dell’art. 2222 del codice civile;14 3. il telelavoratore parasubordinato si differenzia dal telelavoratore autonomo in quanto svolge la propria attività in modo continuativo per conto di un unico committente, organizzandosi liberamente ma facendo salva la prevalenza dell’apporto del lavoro personale; 4. il telelavoratore subordinato a domicilio è un lavoratore subordinato ma il cui status giuridico è delineato dalla legge n. 877 del 18 dicembre 1973; la prestazione lavorativa viene svolta a domicilio con l’eventuale ausilio dei familiari conviventi e senza il ricorso a salariati ed apprendisti;15 12 Cfr. BIAGI, Istituzioni di diritto del lavoro, pagg. 139-141, Giuffrè editore, Milano, 2001. Art. 2082 cod. civ. Imprenditore E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (2135, 2195). 14 Art. 2222 cod. civ. Contratto d'opera Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV. 15 Cfr. Legge 18 dicembre 1973, n. 877, “Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio”. 13 345 5. il telelavoratore subordinato propriamente detto, il cui status giuridico è disciplinato innanzitutto dall’art. 2094 del codice civile.16 Egli è collegato interattivamente con l’impresa da cui dipende, in modo tale da permettere al datore di lavoro di impartire direttive e di controllare l’attività lavorativa, ed al lavoratore di utilizzare le informazioni contenute nelle macchine della sede centrale. In questo caso il dipendente vede solo modificato il luogo di svolgimento della prestazione, ma non la natura tipica del rapporto di subordinazione. Art. 1. E' lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi. La subordinazione, agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito dall'articolo 2094 del codice civile, ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nella esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente. Non è lavoratore a domicilio e deve a tutti gli effetti considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato chiunque esegue, nelle condizioni di cui ai commi precedenti, lavori in locali di pertinenza dello stesso imprenditore, anche se per l'uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in esso esistenti corrisponde al datore di lavoro uni compenso di qualsiasi natura. 16 Art. 2094 cod. civ. Prestatore di lavoro subordinato E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore (2239). 346 6.2. IL TELELAVORATORE DIPENDENTE Uno degli aspetti più problematici del telelavoro è dato dalla qualificazione giuridica del rapporto che lega creditore e debitore della prestazione telelavorativa. E' questo un nodo cruciale, visto che dalla qualificazione consegue l'individuazione della disciplina applicabile al rapporto di lavoro al fine di dare o meno tutela alla figura del telelavoratore. La prima grande distinzione possibile è quella che corre fra (tele)imprenditore e (tele)lavoratore. Mentre la prima figura, purché autentica e non fittizia, rinvia alle problematiche del diritto commerciale, in primis la distinzione tra imprenditore ordinario e piccolo imprenditore, la seconda rinvia a quelle del diritto del lavoro. Come detto nei paragrafi precedenti l'approccio dottrinale prevalente ha proposto un'alternativa fra quattro possibili qualificazioni dei telelavoratori: lavoratore autonomo (art. 2222 c.c.), lavoratore parasubordinato (art. 409 n. 3 c.p.c.), lavoratore a domicilio (art. 1, legge n. 877 del 1973); lavoratore subordinato in senso proprio (art. 2094 c.c.). Le tipologie sono elencate in senso crescente di normativa protettiva applicabile al telelavoratore. E' quindi pacifico che la teleprestazione possa essere l'oggetto di un contratto di lavoro subordinato, in cui il lavoratore svolge la prestazione personalmente, senza un'organizzazione produttiva propria, avvalendosi di strumenti di lavoro forniti dall'imprenditore. Questo inquadramento limita in gran parte l'autonomia del telelavoratore, in quanto al datore di lavoro sono riservati poteri direttivi, di controllo e disciplinari. Anche se la distanza spaziale del telelavoratore dalla sede dell'impresa rende di fatto difficile l'esercizio di tali facoltà, il datore di lavoro può per esempio stabilire diverse modalità di esecuzione della teleprestazione, oppure introdurre nuovi strumenti (software, sistema operativo, computer, ecc.) che in qualche modo vincolino il lavoratore. Questa tipologia contrattuale richiede da un lato un certo sforzo organizzativo da parte dell'impresa e dall'altro circoscrive la flessibilità e 347 l'autonomia del telelavoratore, il quale esercita comunque la propria attività in un luogo predeterminato e secondo orari di lavoro prestabiliti. Nelle sue possibili sfumature il contratto di telelavoro può ad esempio prevedere che la prestazione venga eseguita nel domicilio del lavoratore, ed allora secondo la normativa in vigore la subordinazione "ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nell'esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente".17 La definizione normativa di contratto di lavoro subordinato a domicilio fa espresso richiamo ai prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente, sottolineando quindi il riferimento alle attività produttive di tipo tradizionale. È però possibile procedere ad un'interpretazione estensiva della legge che non poteva, al momento della sua entrata in vigore, prevedere gli sviluppi delle nuove tecnologie e le loro possibili applicazioni nel settore occupazionale. Se si condivide la tesi di un'interpretazione estensiva della legge n. 877 del 1973, il telelavoro subordinato a domicilio va definito come una prestazione di carattere personale, svolta dietro retribuzione, per uno o più committenti imprenditori, con i quali vige un vincolo di subordinazione. La scelta di operare un'interpretazione estensiva delle norme in materia di lavoro a domicilio, per applicarle ad alcune forme di telelavoro, deriva anche dall'assenza di una disciplina legislativa generale del telelavoro, anche se le leggi sul lavoro a domicilio sembrano ancorate a vecchie sovrastrutture. Gran parte di esse si riferiscono infatti alla produzione di un mercato neocapitalistico, nel quale la legge vuole definire la posizione di questi lavoratori a domicilio per proteggerli dai tentativi delle imprese di decentrare la produzione risparmiando sul costo del lavoro. Ma il telelavoratore a domicilio può avere i caratteri del lavoratore dipendente proprio in ragione del modo con cui si collega il suo lavoro con l'impresa.18 17 Cfr. art. 1, c. 2, legge n. 877 del 18 dicembre 1973 "Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio". Cfr. VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 1987, pp. 33-73. 18 348 Anche nel settore del terziario, dei servizi e della distribuzione il telelavoro domiciliare è del resto configurato a tutti gli effetti come un rapporto di lavoro subordinato, secondo quanto ha stabilito l’accordo concluso il 20 giugno 1997 tra la Confcommercio e le organizzazioni sindacali.19 Secondo alcuni autori continuare a sostenere che il legislatore del 1973 abbia inteso limitare al circoscritto contesto produttivo delle lavorazioni industriali manifatturiere la portata di una normativa destinata a disciplinare uno stuolo di lavorazioni estremamente eterogeneo come quello delle attività domiciliari, appare il residuato di rigide interpretazioni, forse scontate negli anni immediatamente successivi all'emanazione della legge, ma oggi viziate da preconcetti riduttivi c assolutamente ingiustificati nella loro insensibilità alle mutazioni sociali, economiche e produttive.20 Quando infatti la legge descrive la nozione di lavoro a domicilio non specifica se il lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori sia soltanto quello manuale e non altri, né precisa se per prodotto si debba intendere esclusivamente quello industriale e non anche ogni diverso risultato di una attività d'impresa, che pure non può altrimenti essere denominato se non col termine di prodotto.21 Questa fattispecie è stata regolamentata anche da diversi accordi sindacali, tra i quali si può citare ad esempio quello per i lavoratori dipendenti dalla Dun & Bradstreet Kosmos S.p.a. (DBK), un’impresa operante nel settore dei servizi informatici che ha inteso riconoscere ai lavoratori a domicilio la tutela applicabile ai lavoratori subordinati.22 Tuttavia le varie figure professionali interessate, o alle quali potenzialmente può essere estesa questa forma di telelavoro, e le diverse modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, presentano un universo variegato difficilmente riconducibile ad una fattispecie omogenea se non per la 19 Cfr. l'accordo interconfederale sul telelavoro subordinato fra Confcommercio e FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTUCS-UIL, sottoscritto il 20 giugno 1997. 20 Cfr. SANI, cit. da PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. 21 Cfr. art. 1, c. 1, legge n. 877 del 18 dicembre 1973, come sostituito dall'art. 2, della legge n. 858 del 16 dicembre 1980: "E' lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi". 22 Cfr. il verbale di accordo dell’8 giugno 1995 tra Dun & Bradstreet Kosmos Spa ed i Consigli di Azienda, in CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 349 caratteristica comune della variabilità del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa che è sempre esterno all'azienda. In tutti questi casi il telelavoro presenta comunque i caratteri dell'eterodirezione propri della subordinazione classica (art. 2094 c.c.) ed è pertanto soggetto alla relativa disciplina.23 Tuttavia vi possono essere dei problemi pratici di applicazione del diritto in funzione della differente organizzazione lavorativa. Si pensi alla differenza che corre tra una prestazione di lavoro informatico con vincolo d'orario, assoggettata a coordinamento spazio-temporale con il resto dell'organizzazione aziendale del creditore, ed una prestazione caratterizzata dall'irrilevanza, oltre che del luogo, anche del tempo della prestazione stessa. Nel primo caso la sussunzione nel tipo legale del lavoro nell’impresa, di cui all'art. 2094 c.c., presuppone 1'accertamento dell'obbligo contrattuale continuativo di obbedienza a carico del prestatore, ossia di un'eterodirezione nel senso pieno del termine. Invece nel secondo caso il requisito necessario per la sussunzionc nel tipo legale del lavoro subordinato decentrato è soltanto l'obbligo di conformazione della prestazione a direttive predeterminate, mentre per altro verso è necessario anche l'accertamento del carattere non occasionale della prestazione e dell'omogeneità dell'attività lavorativa dedotta in contratto con 1'attività imprenditoriale del creditore.24 Quindi se il telelavoro non può essere sussunto nel tipo legale maggiore del lavoro subordinato ordinario, per difetto dell'elemento essenziale dell'assoggettamento pieno a eterodirezione, esso può nondimeno essere qualificato come subordinato quando ricorrano gli elementi essenziali di un altro tipo legale, quello del lavoro subordinato decentrato, anch'esso desumibile in via interpretativa dalla legge n. 877 del 1973. Elementi essenziali di quest'ultimo tipo legale sono, secondo l’orientamento interpretativo più solido e aderente al dato legislativo, l'assoggettamento della prestazione a direttive predeterminate, 23 Cfr. Art. 2094 c.c. "Prestatore di lavoro subordinato": E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore 24 Cfr. ICHINO, cit. da PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. 350 l'estensione nel tempo, ovvero la non occasionalità, della prestazione e la sua omogeneità di contenuto produttivo rispetto all'attività imprenditoriale del creditore. In questa definizione del lavoro subordinato decentrato si assiste dunque, rispetto alla definizione del lavoro subordinato ordinario, per un verso all'attenuazione dell'elemento dell'eterodirezione, per altro verso all'aggiunta di un requisito ulteriore, quello dell'omogeneità del contenuto produttivo della prestazione rispetto all'attività produttiva dell'impresa. Potrà così ad esempio qualificarsi come lavoro subordinato il telelavoro svolto con continuità dal programmatore informatico per una casa di software, senza vincolo di coordinamento spaziotemporale, cioè con piena libertà di orario e di dislocazione geografica del luogo di lavoro, stante l'omogeneità del contenuto della prestazione rispetto alla normale attività produttiva dell'impresa. Altrettanto non potrà dirsi della stessa prestazione del programmatore, quando essa sia svolta, sempre senza vincolo di coordinamento spazio-temporale rigido, per un'impresa metalmeccanica o per un'azienda di credito. Oppure potrà qualificarsi come lavoro subordinato l'attività di impaginazione e correzione di bozze svolta a casa propria e senza vincolo d'orario dal telelavoratore collegato via modem con una casa editrice, ma non l'attività di videoscrittura o di elaborazione grafica svolta nelle stesse condizioni di libertà di orario e di movimento per un'impresa di grande distribuzione commerciale.25 In assenza di una disciplina giuridica ad hoc può tornare utile, per individuare le implicazioni giuridiche derivanti dall’esecuzione della prestazione telelavorativa, prendere in considerazione la regolamentazione effettiva come definita ed adottata dalle parti sociali. Tra le figure di telelavoratore che la contrattazione collettiva riconduce all’art. 2094 c.c. emerge innanzitutto quella del lavoratore che, pur svolgendo l’attività dal suo domicilio, è collegato on-line con il sistema informatico aziendale. Ciò permette al datore di lavoro di vigilare continuativamente sull'attività lavorativa senza dover raggiungere il luogo in cui quest'ultima è 25 Cfr. ICHINO, I problemi giuridici del telelavoro, in Notiziario del lavoro, n. 75, 1996. 351 svolta. D'altra parte il collegamento on-line permette al lavoratore di espletare le proprie mansioni come se fossero svolte all'interno dell'azienda. Viene a verificarsi in questi casi una mera esternalizzazione della prestazione che non influisce minimamente sul contenuto del rapporto di lavoro, perché il telelavoratore è inserito nell'organizzazione dell'impresa al pari del lavoratore che opera nei locali aziendali, con la differenza che il coordinamento dell'attività lavorativa cui è sottoposto il primo è di tipo informatico e telematico. Ciò che si presenta in una veste nuova è dunque l'esercizio del potere direttivo. Gli ordini vengono impartiti attraverso il computer e non verbalmente come avviene per i lavoratori che operano a stretto contatto con il datore di lavoro. Tuttavia, a prescindere dal modo in cui si manifesta, vi è una sostanziale identità con il potere direttivo tradizionale, dal momento che il collegamento telematico consente un contatto continuo tra il datore di lavoro e il lavoratore, permettendo al primo di impartire le direttive in qualsiasi momento dell'orario di lavoro. Un'interpretazione evolutiva dell'art. 2094 c.c. consente quindi di estendere la nozione codicistica di lavoratore subordinato anche a coloro che eseguono la prestazione telelavorativa dal proprio domicilio, senza modificare alcuna caratteristica del rapporto di lavoro ad eccezione del luogo di effettuazione della prestazione. In maniera differente si pone il cosiddetto lavoro remotizzato, cioè quello in cui lo svolgimento dell'attività telelavorativa avviene in centri logisticamente distanti dalla sede centrale presso la quale sono allocate le funzioni di controllo. Il telelavoratore svolge la propria attività in locali aziendali situati in un luogo distante dalla sede dalla quale dipende gerarchicamente. Questa forma di telelavoro non crea particolari questioni giuridiche soprattutto se consideriamo che i telelavoratori operano in locali aziendali. Inoltre, tenuto conto che i telelavoratori si avvalgono di un collegamento continuo con il sistema informatico aziendale centrale, le considerazioni proposte per i lavoratori che operano on-line ben si attagliano ai lavoratori che operano da remoto. 352 Ancora diverso è il caso del centro di lavoro comunitario, cioè quella struttura che ospita lavoratori dipendenti da imprese diverse. Le imprese usufruiscono delle postazioni di lavoro stipulando contratti di locazione con i proprietari del centro. Lo svolgimento dell'attività lavorativa da questi centri non genera questioni diverse rispetto a quelle sollevate dal lavoro remotizzato, dal quale si distingue solo per la proprietà del luogo in cui é svolta l'attività lavorativa. Tuttavia è opportuno sottolineare un aspetto particolare, e cioè che nel centro di lavoro comunitario i lavoratori che vi operano sono computabili nell'unità produttiva dalla quale dipendono e al cui servizio è finalizzata la loro attività. I diritti sindacali sono quindi condivisi con i lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, ma sovente i problemi che interessano questi lavoratori non sono gli stessi di quelli dei colleghi che operano in azienda. Piuttosto è con gli altri telelavoratori impiegati nel centro che vi è condivisione dei problemi inerenti il rapporto di lavoro. Il fatto non sembrerebbe molto sentito quando il telelavoratore svolge l'attività nel centro per limitatissimi periodi di tempo, in quanto la temporaneità del vincolo rende facilmente risolvibili eventuali questioni. Se al contrario durante l'arco dell'anno l'attività lavorativa è prevalentemente svolta secondo questa modalità, la questione diviene più importante, perché nel centro di lavoro comunitario i lavoratori che vi operano non possono esercitare gli stessi diritti azionabili presso la loro azienda. Per fare un esempio i telelavoratori non potrebbero riunirsi in assemblea nel centro di lavoro sotto la garanzia dell'art. 20 della legge 20 maggio 1970 n. 300, perché quest'ultimo non è qualificabile come unità produttiva. In conclusione si osserva che questi telelavoratori condividono solo parte delle esigenze dei colleghi occupati in azienda, mentre altre sono comuni agli altri occupati nel centro. Tuttavia, alcune forme di tutela degli interessi e l'esercizio di alcuni diritti, così come sono attualmente congegnati, non tengono conto di questa duplice veste. Di ciò occorre tenere debito conto in sede di contrattazione collettiva. E’ anche opportuno constatare che le parti sociali hanno costantemente attribuito ai telelavoratori la qualificazione giuridica di lavoratori dipendenti, a testimonianza di un 353 atteggiamento ancora molto cauto nei confronti di questa nuova forma lavorativa. Si consideri, infatti, che le sperimentazioni effettuate hanno riguardato e riguardano lavoratori già dipendenti dalle aziende e che l'adesione ad esse è avvenuta su base volontaria. E’ chiaramente arguibile che una modifica in peius dello stato giuridico del telelavoratore avrebbe rappresentato un deterrente per quei lavoratori ai quali non fosse stato riconosciuto lo stato di subordinazione pieno, e avrebbe ingenerato nelle organizzazioni sindacali remore e preoccupazioni. Se poi i telelavoratori fossero stati assunti ex novo è facile immaginare che i datori di lavoro non sarebbero stati altrettanto garantisti. La qualificazione giuridica di alcuni tra i telelavoratori considerati, infatti, avrebbe potuto trovare collocazione in altre fattispecie tipiche presenti nel nostro ordinamento. Ad esempio i telelavoratori che possono determinare il tempo e le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa potrebbero prestare la loro attività alle dipendenze dell'imprenditore sotto forma di collaborazione continuativa e coordinata, ricorrendo in tal caso la fattispecie della parasubordinazione. Dagli accordi che sono stati esaminati26, emerge inoltre chiaramente che i vari istituti normativi ed economici possono essere applicati al telelavoro senza particolari difficoltà. Ciò consente al datore di lavoro di modellare la disciplina della nuova forma di esecuzione delle prestazioni lavorative in base alle proprie esigenze e a quelle dei lavoratori, attenuando così alcuni fattori di rigidità che impediscono un agevole incontro tra domanda e offerta di lavoro, ed aprendo spazi alla nuova occupazione. La strada seguita dalla contrattazione collettiva non è stata però particolarmente innovativa e non ha consentito di sperimentare le potenzialità di tale forma lavorativa nel creare impieghi di lavoro flessibili e più adeguati alle esigenze delle imprese e dei lavoratori. Si ritiene comunque che il telelavoro a domicilio, o working out secondo la terminologia anglosassone, essendo caratterizzato da un'elevata professionalità dei lavoratori coinvolti e dalle innovative e flessibili modalità di espletamento della prestazione lavorativa, sia destinato a creare 26 Cfr. § 4.4 Gli accordi sindacali 354 rapporti di lavoro sempre meno assimilabili al tradizionale rapporto di lavoro subordinato in azienda. Alcune delle norme dettate con specifico riferimento al lavoro interno all'impresa non possono infatti essere applicate al telelavoro domiciliare, mentre per le altre si richiedono opportuni adattamenti alla specificità della nuova forma lavorativa, e altre ancora sono destinate all'obsolescenza.27 Il telelavoro oggi viene sempre più sovente prestato da una nazione diversa da quella del datore di lavoro, sia per sfruttare il costo inferiore della manodopera, sia per le differenze di fuso orario che consentono di lavorare a ciclo continuo. Da ciò deriva un'ulteriore serie di difficoltà per chi si accinge a fornire una definizione di telelavoro, ovvero a individuare la sua qualificazione giuridica e, di conseguenza, a selezionare la disciplina applicabile. L'unico dato oggettivo è che allo stato attuale manca una normativa specifica sul punto. Tuttavia va segnalato che già nello scorso decennio sono state avanzate alcune proposte di legge al fine di creare un tertium genus di rapporti di lavoro, né subordinati né autonomi ma "coordinati",28 o addirittura riferite alla disciplina del solo telelavoro29. In attesa della loro traduzione in legge la dottrina ha assegnato alla contrattazione sindacale un ruolo peculiare nel processo di tipizzazione giuridica dei rapporti di telelavoro. In mancanza di un quadro giuridico di riferimento che qualifichi il telelavoro e lo disciplini, le parti sociali interessate alla sua sperimentazione si sono orientate, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, verso l'inquadramento della fattispecie nell'ambito del lavoro subordinato. La maggior parte degli accordi conclusi in materia non ha modificato lo status giuridico dei lavoratori coinvolti, che resta quello del lavoratore subordinato in azienda di cui all'art. 2094 del codice civile. L'accordo più esplicito in tal senso stabiliva che le parti davano atto "che il telelavoro, nella configurazione prospettata, rappresenta una mera modifica del luogo di adempimento 27 Cfr. CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pp. 135-198. 28 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, XIII LEGISLATURA, disegno di legge n. 2049, Norme di tutela dei lavori "atipici", d’iniziativa del senatore Smuraglia, presentato in data 29 gennaio 1997. 29 Cfr. § 4.2 Leggi e disegni di legge 355 dell'obbligazione lavorativa, non incidendo sull'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e sul conseguente assoggettamento dell'esecuzione delle attività lavorative al controllo del datore di lavoro".30 Negli accordi di cui si ha notizia il rapporto di telelavoro continua dunque ad essere regolato dalle norme legali e contrattuali disciplinanti il lavoro subordinato in azienda. Tuttavia, nel rispetto delle peculiari caratteristiche del lavoro a distanza, le parti sociali hanno introdotto clausole specifiche che disciplinano aspetti particolari del telelavoro, tenuto conto della specificità del luogo di svolgimento e delle modalità di espletamento della prestazione. Si noti, inoltre che soltanto un accordo tra tutti contiene un esplicito riferimento allo ius superveniens, ovvero riconosce la possibilità che il telelavoro venga in seguito regolato da una apposita disciplina. In proposito, l'accordo stabilisce che "in caso di nuove disposizioni di legge, modifiche di quelle esistenti o derivanti da accordi interconfederali o nazionali, inerenti il campo di applicazione del telelavoro, le Parti si incontreranno per verificare la compatibilità e coerenza ed eventualmente armonizzare il presente accordo con le nuove norme. Considerata la novità della materia trattata nel presente accordo, in presenza di circolari, prescrizioni, pareri e/o disposizioni degli Ispettorati del Lavoro nonché di giurisprudenza in materia, le parti concordano sin dal momento della stipulazione di incontrarsi per valutare i possibili riflessi sui contenuti definiti in accordo e per decidere congiuntamente e coerentemente, eventuali modifiche e/o armonizzazioni dello stesso".31 Il fatto che la quasi totalità di tali accordi collettivi inquadri il telelavoro nella fattispecie del lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., non fa altro che confermare l'ipotesi che il tipo di telelavoro che maggiormente necessita di regolamentazione e di protezione è quello funzionalmente collegato all’attività ed alle esigenze dell’impresa. Nonostante i molti punti di contatto con il lavoro a domicilio v’è la tendenza, da parte della contrattazione collettiva, a richiamare principalmente le norme sul rapporto di lavoro subordinato, 30 31 Cfr. Accordo dell’1 luglio 1998 per promuovere il telelavoro tra Telecom Italia Spa e C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L. In CASSANO e LOPATRIELLO, cit. 356 assimilando in tutto e per tutto la nuova fattispecie a quella dei normali rapporti istituiti con i prestatori incardinati nell’azienda e distinguendoli così da questi ultimi solo per la diversa collocazione dell’attività. Il telelavoro viene quindi considerato, anche nell’ambito delle discipline pattizie, come una pura e semplice modifica del luogo di adempimento della prestazione lavorativa, non incidendo sull’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e sul conseguente assoggettamento al controllo del datore di lavoro. In tal modo l'elemento spaziale viene del tutto a cessare di importanza, ed il telelavoratore dipendente può essere tale sia operando dal proprio domicilio, sia da un centro satellite o, in ultima analisi, in qualsiasi luogo purché sia garantita la connessione telematica con l'azienda. 357 6.2.1. ORARI E RETRIBUZIONE Una delle principali differenze del telelavoro rispetto al lavoro subordinato nell'impresa consiste nella possibile diversa strutturazione dell'orario di lavoro, la cosiddetta flessibilità temporale, con i conseguenti problemi connessi all'esercizio dei poteri gerarchici di controllo. E' un dato universalmente riconosciuto che il telelavoratore dipendente sia comunque tenuto al rispetto di un orario di lavoro, ma la sua distribuzione nell'arco della giornata e della settimana può diversificarsi notevolmente rispetto al lavoratore dipendente tradizionale. L'organizzazione del telelavoro, a prescindere dalla tipologia attraverso cui si realizza, tende per sua natura a superare il concetto tradizionale di orario di lavoro. Il telelavoratore in molti casi può scegliere quando e per quanto tempo lavorare e, solo raramente, il datore di lavoro può vigilare in modo continuativo sull'attività lavorativa senza dover raggiungere il luogo in cui quest'ultima è svolta. Ciò è possibile, ad esempio, quando il lavoratore, pur svolgendo l'attività dal suo domicilio, è collegato on-line con la rete informatica aziendale.32 Resta tuttavia ancora problematico stabilire con sicurezza se l'attività lavorativa venga svolta dal telelavoratore o da un altra persona, salvo i casi in cui vengano utilizzati sistemi di teleconferenza o che comunque assicurino la personalità della prestazione lavorativa. Più in generale il vincolo d'orario nell'esecuzione della prestazione lavorativa può servire come importante indice presuntivo della natura subordinata del rapporto di lavoro. Il fatto che il lavoratore sia tenuto al rispetto di un rigido orario, sia per quanto riguarda la durata intesa come estensione temporale sia per quanto riguarda la distribuzione nell'arco della giornata, è sintomo evidente dell'esistenza di un potere direttivo ed organizzativo posto in capo al creditore della prestazione subordinata descritta dall'art. 2094 del codice civile.33 32 Cfr. SANTORO PASSARELLI, Diritto del lavoro e della previdenza sociale: il lavoro privato e pubblico, Compendi giuridici, Collana di diritto privato diretta da Pietro Rescigno, 2ª ed., IPSOA editore, Milano, 1998. 33 Cfr. art.2094 c.c. Prestatore di lavoro subordinato "E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la 358 In un recente passato ci sono stati numerosi esempi di accordi collettivi in cui la specificità del rapporto di telelavoro si è ben evidenziata quanto a definizione degli obblighi connessi all'orario lavorativo. Generalmente essi prevedevano che le obbligazioni connesse al rapporto di lavoro potessero svilupparsi attraverso modalità diverse rispetto a quelle ordinarie, sia come collocazione della prestazione lavorativa nell'arco della giornata, sia come durata giornaliera della stessa, fermo restando l'orario di lavoro complessivamente previsto per i lavoratori adibiti in azienda alle stesse mansioni.34 Per quanto concerne la distribuzione di tale orario vi sono ovviamente molteplici possibilità. Alcuni accordi nazionali hanno optato per un alto grado di flessibilità, per cui il telelavoratore può distribuire a propria discrezione l’esecuzione della prestazione lavorativa nell’arco dell’intera giornata, con la sola eccezione di almeno due ore consecutive durante le quali dovrà rendersi reperibile per comunicazioni e contatti da parte dell’azienda.35 Secondo questa formula le variazioni di orario sono determinate dal lavoratore medesimo nel proprio esclusivo interesse. Secondo l'accordo siglato da Telecom e sindacati l’organizzazione del telelavoro riproduce invece lo stesso arco orario in vigore nell’unità produttiva di appartenenza, secondo turni predeterminati o predeterminabili. Tuttavia questo è risultato essere l’unico accordo, tra quelli riscontrati, in cui il telelavoratore è stato sottoposto ad una rigida collocazione dell’orario di lavoro nell’arco della giornata.36 Va altresì segnalato come negli accordi collettivi che si sono esaminati venga esclusa esplicitamente qualsiasi prestazione straordinaria, notturna o festiva. La discrezionalità nella distribuzione dell’orario di lavoro trova dunque un limite nel divieto generalizzato di svolgere direzione dell'imprenditore" 34 Si prenda ad esempio il Verbale di accordo del 17 gennaio 1995 tra i rappresentanti della Italtel Società Italiana telecomunicazioni e delle Società controllate e la Rappresentanza Sindacale Unitaria Italtel del Comprensorio di Milano, uno dei primi accordi stipulati in Italia, il quale prevede che La sua attività (del telelavoratore, nda) presso il suo domicilio avrà la durata prevista dal normale orario giornaliero definito dagli accordi vigenti e sarà distribuita a sua discrezione nell'arco della giornata. 35 Valga da esempio il verbale di accordo del 17 gennaio 1995 tra i rappresentanti della Italtel Società Italiana telecomunicazioni e delle Società controllate e la Rappresentanza Sindacale Unitaria Italtel del Comprensorio di Milano. 36 Cfr. l'accordo dell’1 luglio 1998 per promuovere il telelavoro tra Telecom Italia Spa e C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L. 359 l’attività lavorativa durante le ore notturne e nei giorni festivi. Soltanto nel già citato accordo Italtel viene prevista una deroga nel caso in cui i superiori gerarchici richiedano l'effettuazione di prestazioni al di fuori del normale orario di lavoro, ma solo da rendere presso gli uffici aziendali o in trasferta. In tutte queste situazioni il telelavoratore rimane però sempre sotto il diretto controllo del datore di lavoro, verificandosi solo una mera esternalizzazione della prestazione, ininfluente sul contenuto del rapporto di lavoro. Il telelavoratore risulta inserito nell'organizzazione aziendale al pari del lavoratore che opera nei locali dell'impresa, con la sola differenza di essere sottoposto ad un coordinamento tele-informatico della propria attività. L'esercizio del potere direttivo cambia quindi solo nella forma, in quanto gli ordini non vengono più impartiti de visu ma in prevalenza attraverso la mediazione di uno strumento di comunicazione a distanza come la posta elettronica oppure il fax. Sempre in tema di strutturazione dell'orario numerosi sono i contratti aziendali che prevedono l'osservanza di fasce orarie di reperibilità da parte del telelavoratore per eventuali comunicazioni di servizio. E' ad esempio il caso di uno dei primi accordi collettivi, quello siglato da Seat il 31 marzo 1995, nel quale si stabilisce che "l'orario di lavoro a tempo pieno o tempo parziale sarà distribuito nell'arco della giornata a discrezione del telelavoratore in relazione all'attività che deve svolgere fermo rimanendo che verranno fissati dall'Azienda periodi nella giornata in cui il telelavoratore/trice dovrà essere reperibile alla sua postazione di lavoro per le comunicazioni con l'azienda. Non sono inoltre previste prestazioni straordinarie notturne e festive".37 E' quindi alla contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello che occorre guardare per reperire una consistente normativa di dettaglio in tema di prestazione telelavorativa dipendente. In essa è possibile ritrovare un nucleo di regole applicabili non solo alle diverse articolazioni 37 Cfr. contratto aziendale Seat 31.3.95, citato in GAETA E PASCUCCI, Telelavoro e diritto, Giappichelli Editore, Torino, 1998. 360 dell’orario di lavoro, ma anche all’adeguamento della disciplina economica e normativa, più tutta una serie di previsioni riguardanti i benefici sociali e personali dei telelavoratori.38 E proprio con l'intento di riservare alla fonte pattizia la trattazione di questi temi, il legislatore ha fatto ad essa un esplicito rinvio nel disciplinare l'introduzione del telelavoro nella pubblica amministrazione. A proposito del trattamento economico e normativo dei telelavoratori pubblici, l'art.8 del D.P.R. n. 70 dell'8 marzo 199939 demanda alla contrattazione collettiva l'adeguamento della disciplina economica e normativa del rapporto di telelavoro, in relazione alle sue diverse forme ed alle specifiche modalità della prestazione, garantendo in ogni caso un trattamento equivalente a quello dei dipendenti impiegati nella sede di lavoro classica. Inoltre l'assegnazione al telelavoro non deve in ogni caso pregiudicare le aspettative di carriera e di progressione economica del dipendente. In seguito all'entrata in vigore del D.P.R. n. 70 del 1999 la contrattazione collettiva ha quindi rafforzato il suo ruolo normativo nel campo del telelavoro, almeno per ciò che riguarda il settore della pubblica amministrazione. In stretta connessione con l'orario di lavoro si colloca poi il diritto del telelavoratore al riposo settimanale e annuale, la cui fruizione deve essere resa compatibile con le modalità di espletamento della teleprestazione. L'art. 36, terzo comma, della Costituzione garantisce infatti a tutti i lavoratori il diritto al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite e dispone la sua irrinunziabilità. Il principio costituzionale è ribadito più esaustivamente dall'art. 2109 del codice civile, che fissa di regola il giorno del riposo settimanale in coincidenza con la domenica e garantisce al lavoratore, dopo un anno di ininterrotto servizio, il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. Il diritto di cui agli articoli 36, terzo comma, della Costituzione e 2109 del codice civile è stato riconosciuto anche ai telelavoratori subordinati ex art. 2094 c.c., per i quali gli accordi hanno 38 Cfr. BIAGI, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè editore, Milano, 2001 Cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.70, “Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n. 191”, (G.U. n. 70 del 25.03.1999). 39 361 rinviato alle norme contrattuali vigenti. Il riconoscimento in sede sindacale del diritto alle ferie annuali e al riposo settimanale per i telelavoratori dipendenti appare scontato se si tiene presente la ratio degli istituti in questione. La concessione di un giorno di riposo settimanale ha lo scopo di interrompere il ritmo di lavoro che si protragga per sei giorni consecutivi, per consentire il recupero delle energie lavorative. Ad analoga funzione assolve la concessione di un periodo di ferie annuali che ha il suo fondamento nella duplice esigenza di ricostituzione delle energie psicofisiche del lavoratore e di ricreazione, al fine di permettergli lo svolgimento della sua vita di relazione. E’ evidente che il mancato riconoscimento dei diritti di cui sopra sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 36 Cost., che ne garantisce il godimento alla generalità dei lavoratori dipendenti, a prescindere dal luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. La ratio della previsione legislativa non risulta essere vanificata dalla clausola con cui le parti sociali hanno riconosciuto al telelavoratore la possibilità di distribuire discrezionalmente l'esecuzione della prestazione lavorativa nell'arco della giornata. La discrezionalità, infatti, riguarda solo la distribuzione dell'orario di lavoro e non la sua misura quantitativa. In altri termini, il telelavoratore è tenuto a rispettare il limite d'orario giornaliero e settimanale fissato dagli accordi vigenti, con esclusione delle prestazioni straordinarie, notturne e festive. Di conseguenza, il telelavoratore in questione sostiene un ritmo lavorativo di sei giorni consecutivi, maturando così il diritto ad un giorno di riposo settimanale e ad un periodo di ferie annuali. Diverso sarebbe il caso, peraltro mai osservato in concreto, in cui al telelavoratore dipendente fosse riconosciuta la possibilità di concentrare l'esecuzione della prestazione lavorativa in limitati giorni della settimana, sopportando, sulla base di una sua libera scelta, un orario di lavoro giornaliero notevolmente più lungo rispetto a quello definito in sede legislativa e contrattuale, ma pur sempre nel rispetto del limite di orario settimanale. In tal caso, il lavoratore avrebbe avuto a disposizione i restanti giorni della settimana per recuperare le proprie energie psicofisiche. Per ciò che concerne invece i riposi quotidiani, ovvero le pause intermedie nell'orario giornaliero di lavoro, manca nella nostra legislazione lavoristica una norma generale che li 362 contempli e ne preveda l'obbligatorietà. La loro previsione e determinazione è, in genere, demandata alla contrattazione individuale e collettiva che li ha stabiliti soprattutto in riferimento al lavoro a turni. Tuttavia è chiaro che la discrezionalità con cui il telelavoratore distribuisce la prestazione lavorativa nel corso della giornata rende superflua la previsione di dette pause e ne vanifica la ratio, ossia consentire un congruo riposo nel corso della giornata, interrompendo un ritmo lavorativo costante e continuativo. Al contrario, qualora i telelavoratori fossero tenuti a rispettare il ritmo lavorativo osservato in azienda, non solo sarebbe giustificata la previsione di pause giornaliere intermedie, ma dovrebbe essere considerato quanto disposto in materia di sicurezza in relazione alle lavorazioni pericolose o nocive, ed in particolare al lavoro svolto ai videoterminali. L'art. 54 del D.lgs. n. 626 del 19 settembre 1994, recante norme in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul posto di lavoro, stabilisce infatti che il lavoratore che utilizza una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico ed abituale, per almeno quattro ore consecutive, ha diritto ad un'interruzione della sua attività o mediante pause o cambiando attività. Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale. In assenza di una disposizione contrattuale, il lavoratore ha comunque diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale.40 Oltre al diritto al riposo ed alle ferie, l'art. 36 della Costituzione ha introdotto nel nostro ordinamento anche il principio dell'equa retribuzione, che si concreta nel diritto del lavoratore a ricevere “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Il diritto del lavoratore alla retribuzione è previsto anche dall'art. 2099 del codice civile, che rimanda per la determinazione della sua misura alla contrattazione collettiva o, in mancanza di questa o di accordo tra le parti, al giudice.41 All’obbligatorietà della retribuzione, elemento 40 Cfr. art. 54 d.lgs. n. 626 del 19 settembre 1994 “attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/ CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 1999/38/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro” (G.U. n. 265 del 12 novembre 1994, S.O.) 41 Cr. art. 2099 del codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262) Retribuzione: La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata (dalle norme corporative), 363 indefettibile del contratto di lavoro, si accompagna quindi la sua determinabilità, perciò la retribuzione è esigibile anche quando non risulti determinata dalle parti. Non v'è ragione di credere che questo principio non valga anche per i telelavoratori. Inoltre le forme della retribuzione dei lavoratori dipendenti, e quindi dei telelavoratori a rapporto di lavoro subordinato, possono essere diverse. Il lavoratore può essere retribuito a tempo, a cottimo o, in tutto o in parte, con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura. La retribuzione a tempo costituisce la forma tipica di remunerazione del lavoro subordinato, poiché in esso l'oggetto del contratto è rappresentato dalla messa a disposizione delle energie lavorative del prestatore, erogate in maniera continuativa. Perciò il telelavoratore subordinato viene retribuito innanzitutto sulla base dell'estensione temporale del proprio impegno lavorativo prestato con l'ordinaria diligenza, anche se nella determinazione della retribuzione si tiene altresì conto della qualità di tale impegno, che si riferisce al diverso valore della prestazione lavorativa e del suo apporto alla realizzazione degli obiettivi aziendali. Nel sistema vigente tale valutazione avviene alla stregua di elementi obiettivi, risultanti dalle mansioni assegnate e dalle qualifiche, riconosciute tendenzialmente in rispondenza alle mansioni. La retribuzione può però essere corrisposta a tempo solo se sussiste per il datore di lavoro la possibilità di controllare il numero di ore effettivamente lavorate. Nel telelavoro tale possibilità esiste, in quanto il controllo esercitato telematicamente sull'operato del lavoratore concerne sia la qualità che la quantità dell'attività prestata. Pertanto la forma della retribuzione può rimanere intatta, a prescindere dalla modifica del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. In questo senso si sono anche orientate le parti sociali negli accordi esaminati, infatti gli addetti al telelavoro continuano ad essere retribuiti in base al numero di ore lavorate, rilevate attraverso appositi dispositivi. La trasformazione del rapporto di lavoro tradizionale in rapporto di con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito. In mancanza (di norme corporative o) di accordo tra le parti, la retribuzione e determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti con provvigione o con prestazioni in natura. 364 telelavoro non modifica dunque né la forma, né la misura della retribuzione precedentemente goduta, mantenendosi il pregresso inquadramento professionale. In proposito è esemplificativo l'accordo della Digital Equipment nel quale le parti sociali hanno convenuto di corrispondere al telelavoratore la stessa retribuzione percepita in azienda, pur riconoscendo nel telelavoro una nuova modalità di organizzazione del lavoro, definita per progetti e tendente alla realizzazione di opere predeterminate.42 Va però osservato che nei sistemi informatici caratterizzati da una comunicazione non interattiva e continuativa, il datore di lavoro non sempre può verificare che il telelavoratore rispetti l'orario di lavoro. Data l'impossibilità del controllo di cui sopra, il telelavoratore collegato all'azienda attraverso un sistema di comunicazione off-line, non può in alcun modo essere vincolato al rispetto di un orario di lavoro. Nell'impossibilità di controllare il numero di ore effettivamente lavorate il datore di lavoro non potrà corrispondere al lavoratore una retribuzione oraria e mensile predeterminata. Pertanto, in relazione alla specificità dell'attività lavorativa, le parti sociali possono convenire di corrispondere al telelavoratore una retribuzione a cottimo, nella forma del cottimo pieno tipica dei lavoratori a domicilio.43 In qualche contratto si sono in effetti previste forme di retribuzione a cottimo, come nel caso della società Dun & Bradstreet Kosmos, un’azienda di servizi con cui Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil siglarono nel giugno del 1995 uno dei primi accordi sul telelavoro. In questo accordo si precisò che "le attività svolte a domicilio, ancorché effettuate a mezzo di computer posto in collegamento con il sistema informativo della società, avrebbero modalità di esecuzione sottratte alla tipica organizzazione di lavoro aziendale, non essendo soggette né all'obbligo di orario prestabilito, né ad un risultato prefissato dallo stretto rapporto tra orario 42 Cfr. Accordo del 13 febbraio 1996, citato in: CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 43 Cfr. CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pp. 135-198. 365 giornaliero di lavoro e prestazione, determinando così l’impossibilità di corrispondere una retribuzione oraria o mensile predeterminata". Il sistema retributivo venne definito allora in modo minuzioso basandosi su parametri e tempi massimi per la consegna del "prodotto" rappresentato da rapporti contenenti informazioni commerciali. Tali parametri e tempi venivano differenziati a seconda che si trattasse di pratiche normali o urgenti. Grazie a questi criteri venne calcolata la produttività dei lavoratori esprimendola in punti, ai quali attribuire un valore unitario in termini di retribuzione in modo da agganciare la retribuzione stessa ad un indice oggettivo di produttività.44 L'esigenza prioritaria del telelavoratore a cottimo diventa quindi quella di avere un carico di lavoro continuo che gli assicuri la retribuzione quando si assenti dal lavoro per una delle cause per le quali è prevista la conservazione del posto. Al riguardo, l'accordo in esame prevedeva una clausola con la quale "l'Azienda si impegna ad assicurare a ciascun addetto al telelavoro un carico produttivo in linea con quello medio assegnato ai lavoratori interni". Questa clausola rappresentava un punto importante dell'accordo perché la retribuzione spettante al telelavoratore che si assenti dal lavoro è determinata con riferimento alla media delle retribuzioni percepite nei mesi antecedenti l'assenza. Pertanto due lavoratori aventi lo stesso grado e la stessa anzianità potrebbero percepire una retribuzione diversa durante il periodo di ferie, perché ad uno dei due è stato assicurato un carico di lavoro superiore alla media nel periodo preso in considerazione per il calcolo della retribuzione. La clausola appena indicata derogava al contratto collettivo nazionale per i dipendenti delle aziende del terziario, il quale stabiliva la retribuzione spettante al personale in ferie commisurandola alla media delle provvigioni percepite dai lavoratori occupati in azienda nei dodici mesi antecedenti il periodo di riposo, eliminando in tal modo la possibile strumentalizzazione nel calcolo della retribuzione che l'accordo della Dun & Bradstreet Kosmos non sembrava poter evitare. 44 Cfr. PAVESE, Subordinazione, autonomia e forme atipiche di lavoro, CEDAM, Padova, 2001. 366 La possibilità tuttavia non era intesa soltanto in senso negativo, in quanto il datore di lavoro avrebbe potuto aumentare notevolmente il carico di lavoro nel periodo considerato, ad esempio per favorire una lavoratrice durante l'astensione obbligatoria per maternità, considerato che le indennità spettanti durante la gravidanza o il puerperio sono a carico dell'I.N.P.S. e vengono solo anticipate temporaneamente dal datore di lavoro. Il punto critico rimane però la discrezionalità di cui dispone il datore di lavoro, il quale potrebbe a suo piacimento favorire o penalizzare una lavoratrice. In definitiva si può affermare che la definizione degli orari di lavoro e del trattamento economico sono generalmente rimessi alla contrattazione collettiva nel rispetto dei principi stabiliti a livello costituzionale e civilistico. Non va però dimenticato che tale definizione non può esimersi dal tener conto delle diverse forme di telelavoro e delle specifiche modalità della prestazione lavorativa, fermo restando che, in linea di massima, dovrà garantirsi un trattamento normativo ed economico almeno equivalente a quello di chi presta servizio nella sede di lavoro ordinaria. 367 6.2.2. LA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA La tutela del diritto alla salute e alla sicurezza del lavoratore nei luoghi di lavoro trova il suo fondamento nell’art.32 della Costituzione, che definisce la salute come un diritto fondamentale dell’individuo ed un interesse della collettività.45 Sempre nella Costituzione l’art. 41, secondo comma, afferma che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. A livello di legislazione ordinaria la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro sono garantite innanzitutto dall’articolo 2087 del codice civile: “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. A tale obbligo imposto all’imprenditore corrisponde il relativo diritto dei lavoratori di controllare l’applicazione sul luogo di lavoro delle norme di prevenzione e di igiene, nonché di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di quelle che ritengono più idonee a migliorare le condizioni dell’ambiente di lavoro. Quest’ultimo diritto, sancito dall’art. 9 della legge n.300 del 1970, deve essere esercitato dai lavoratori tramite loro rappresentanze. Infine la tutela della salute dei prestatori di lavoro ha trovato piena soddisfazione con l’emanazione del d.lgs. n. 626 del 1994, che prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro in tutti i settori di attività privati o pubblici, e che la dottrina ritiene possa essere applicato, seppure con qualche indispensabile adeguamento, al telelavoro.46 45 Cfr. articolo 32 della Costituzione: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. 46 Cfr. Decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626, attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/ CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 1999/38/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, Gazzetta Ufficiale n. 265 del 12 novembre 368 E' opinione comune che al telelavoratore inquadrato come lavoratore subordinato in senso stretto, la citata normativa si applichi in blocco nonostante diversi problemi pratici che possono derivare dal fatto che la normativa è formulata con riferimento a lavori svolti in maniera tipica.47 E’ poi possibile riferire al telelavoro tutto il Titolo VI del d.lgs. n. 626 del 1994, recante norme sull’uso di apparecchiature munite di videoterminali. La postazione di lavoro del telelavoratore rientra in pieno nella definizione data dall’articolo 51, lett. b, del d.lgs. n. 626, secondo il quale costituisce posto di lavoro “l'insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, ovvero software per l'interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l'unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l'ambiente di lavoro immediatamente circostante”. Allo stesso modo sembra logico ritenere che i telelavoratori rientrino nella definizione di videoterminalista fornita dal medesimo art. 51, lett. c., che definisce tale tipo di lavoratore come colui che “utilizza una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico o abituale, per almeno quattro ore consecutive giornaliere”, dedotte le interruzioni previste dallo stesso d.lgs. o dai contratti, e “per tutta la settimana lavorativa”. Quando il lavoratore videoterminalista svolge la sua attività per almeno quattro ore consecutive ha diritto ad un’interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività. Se per i telelavoratori l'effettuazione di pause non comporta alcuna difficoltà, resta da chiarire come poter usufruire di un cambio di attività, soprattutto se si tratta di telelavoro a domicilio. Può eventualmente prevedersi l'effettuazione di attività che sospendano momentaneamente il contatto telematico tra telelavoratore e azienda, oppure la contrattazione decentrata può escludere tale ipotesi e optare per la sola interruzione. 1994, S.O. 47 Cfr. CESTER C., Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, in: Diritto del lavoro, commentario diretto da Franco Carinci, vol. II, UTET editore, Torino, 1998. 369 Ed in effetti il legislatore ha demandato alla contrattazione collettiva, anche aziendale, la definizione delle modalità di tali interruzioni, mentre solo in via sussidiaria viene comunque riconosciuto al lavoratore il diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale.48 Le modalità e la durata delle interruzioni di ciascun telelavoratore possono poi essere modificate temporaneamente se sussistono motivi di salute rilevati dal medico competente. Ciò che in ogni caso è escluso è la cumulabilità delle interruzioni all'inizio ed al termine dell'orario di lavoro, altrimenti il tutto si sostanzierebbe in una semplice riduzione dell'orario di lavoro frustrando lo spirito di tutela della salute proprio della disposizione. Ed in tal senso l'art. 54 del D.Lgs. n. 626 è esplicito quando afferma che “la pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell'orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all'interno di accordi che prevedono la riduzione dell'orario complessivo di lavoro”. L'insieme di tutele approntate dal D.Lgs. n. 626 prevede anche l'obbligo, per i datori di lavoro, di garantire ai telelavoratori una valutazione del rischio che tenga conto dei rischi per la vista e per gli occhi, dei problemi legati alla postura ed all'affaticamento fisico o mentale, delle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.49 Si può quindi affermare che nei confronti del telelavoratori videoterminalisti trovano applicazione tutte le norme poste a tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, tenendo ovviamente conto della speciale modalità della prestazione lavorativa. Tuttavia per i telelavoratori a domicilio l'art. 1, comma 3 del D.Lgs. n. 626 del 1994, prevede l'applicazione delle disposizioni del decreto solo “nei casi espressamente previsti” e cioè in due sole situazioni. La prima ha riguardo all'obbligo a carico del datore di lavoro di fornire un'adeguata informazione sui rischi generali e specifici connessi all'attività lavorativa e sulle misure prevenzionistiche adottate (art. 21, comma 2). La seconda impone al datore di lavoro l'onere di assicurare a ciascun lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di 48 49 Cfr. art. 54 D.Lgs. n. 626 Cfr. art. 52 D.Lgs. n. 626 370 salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni (art. 22, comma 1). Poiché le norme del titolo VI sul lavoro al videoterminale non richiamano espressamente il lavoro a domicilio, se ne dovrebbe dedurre che il telelavoro domiciliare rimane sprovvisto della tutela protettiva e prevenzionale ivi disposta. Così non è, in quanto la soluzione del problema consiste nella possibilità o meno di configurare il telelavoro domiciliare come una forma di lavoro subordinato. La sussistenza di un rapporto di dipendenza, come accade di norma, permetterà infatti di poter includere il lavoro telematico a distanza nel concetto di subordinazione speciale di cui all'art. 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 626 e quindi di ritenere applicabile l'intero sistema di tutele predisposto dal decreto, comprese le disposizioni sull'uso dei videoterminali. Tra i principi generali ed i conseguenti obblighi in materia, particolare rilievo assumeranno ad esempio quelli contemplati negli articoli 3 e 4, del D.Lgs. n. 626, secondo i quali l'adozione delle misure preventive e protettive non deve comportare in nessun caso oneri finanziari a carico dei lavoratori. Parte della dottrina mette però in rilievo le difficoltà di una totale trasposizione della disciplina propria del lavoro subordinato al telelavoro a domicilio, in quanto svolto da un luogo che non è di pertinenza del datore di lavoro bensì del lavoratore ed in presenza, tra l'altro, del diritto costituzionalmente garantito all'inviolabilità del domicilio, che impedirebbe il pieno esercizio dell'attività di controllo. E ciò con particolare riguardo alla verifica, in sede di valutazione dei rischi, dell'adeguatezza strutturale del posto di lavoro, alla distribuzione delle mansioni, al rispetto delle necessarie interruzioni dell'attività lavorativa.50 D'altro canto la responsabilità del lavoratore di prendersi cura della propria sicurezza e salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, ai sensi dell'articolo 5 del D.Lgs. n. 626, 50 Cfr. LAI, Telelavoro e disciplina prevenzionistica, Diritto & pratica del lavoro, n. 4, 2003, 263-269. 371 può spingersi fino al punto da sollevare da qualsiasi responsabilità il datore di lavoro e le altre figure aziendali in ordine agli obblighi di sorveglianza e di controllo. Anche in questo caso la soluzione può essere duplice. O attendere una soluzione legislativa che adegui la disciplina generale di tutela alle particolari caratteristiche del telelavoro, o attribuire tale compito alla contrattazione collettiva come di fatto, almeno nel settore privato, è finora avvenuto. Tale prospettiva è stata invero avvalorata dall'accordo quadro sul telelavoro siglato a livello europeo, che può costituire una valida base per analoghe intese tra le parti sociali su scala nazionale.51 Ma ancor prima vi sono stati degli accordi che hanno provveduto ad estendere al telelavoro le misure generali di prevenzione e protezione. Ad esempio l'accordo interconfederale sul telelavoro subordinato nel settore del commercio ha stabilito che “i lavoratori dovranno essere informati sul corretto uso degli strumenti, in particolare, alla luce del D.Lgs. n. 626/1994, circa le pause necessarie da parte di chi utilizza videoterminali”.52 Tra le possibili materie negoziali andrebbe quindi sempre riservata una particolare attenzione alle norme di tutela della salute e dell’integrità fisica dei telelavoratori, con un riferimento particolare al decreto legislativo n 626 del 1994 con cui vennero recepite le direttive comunitarie in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Pur essendo destinata al lavoro interno all'impresa, tale disciplina può ben trovare applicazione, seppure con qualche adattamento, a tutte le ipotesi di telelavoro subordinato in senso proprio. In ogni caso si dovrebbe sempre valutare l'opportunità di interventi contrattuali volti a specificare tali diritti in favore dei telelavoratori. Nel quadro di questa disciplina contrattuale mutuata dalla disposizione di legge, assume un particolare rilievo il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza previsto dall'articolo 18 del 51 Cfr. Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002 sul telelavoro, tra European Trade Union Confederation (ETUC), Council of European Professional and Managerial Staff (EUROCADRES)/European Confederation of Executives and Managerial Staff (CEC), Union of Industrial and Employers' Confederations of Europe (UNICE)/European Association of Craft, Small and Medium-Sized Enterprises (UEAPME) ed European Centre of Enterprises with Public Participation and of Enterprises of General Economic Interest (CEEP). 52 Cfr. Accordo interconfederale sul telelavoro subordinato fra Confcommercio e FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTUCS-UIL, sottoscritto il 20 giugno 1997. 372 D.Lgs. n. 626, il quale, sia esso eletto o designato nell'ambito delle rappresentanze sindacali presenti in azienda nelle unità produttive con più di quindici dipendenti o eletto direttamente dai lavoratori nelle imprese minori, svolgerebbe una funzione ancor più significativa quando si tratti della tutela della salute dei telelavoratori.53 In tema di tutela della salute delle telelavoratrici va infine ricordato come lo stato di gravidanza, quando nell'espletamento della propria attività lavorativa si utilizzino attrezzature munite di videoterminale, ha posto dei seri interrogativi circa il possibile pregiudizio alla salute della donna e del bambino. Al momento non è possibile reperire alcuna misura di legge specifica al riguardo, né le lavorazioni indicate rientrano nell'elenco dei lavori vietati alle gestanti di cui agli allegati A e B del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151.54 Il rapido evolversi degli eventi tecnologici e la diffusione del telelavoro potrebbero però rendere necessario un intervento del legislatore sulla questione. Allo stato attuale la valutazione delle condizioni di lavoro e ambientali durante il periodo di gravidanza e fino ai sette mesi di età del figlio, resta affidata in prima istanza al datore di lavoro che, effettuata la valutazione dei rischi, adotta le misure necessarie affinché l’esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l’orario di lavoro. Ove la modifica delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro può destinare la telelavoratrice ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto di lavoro conservando, in caso di mansioni inferiori a quelle abituali, la retribuzione e la qualifica precedenti, e dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di gravidanza e fino ai sette mesi di età del figlio.55 53 Cfr. GIUGNI, E’ necessario, subito un altro (tele)statuto, Telèma, 2, autunno 1995, pp. 46-48. Cfr. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (G.U. n. 96 del 26 aprile 2001, Supplemento Ordinario n. 93) 55 Cfr. articoli 12 e 17 del D.Lgs. del 26 marzo 2001, n. 151 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (G.U. n. 96 del 26 aprile 2001, S.O. n. 93) 54 373 Per ciò che concerne la telelavoratrice, constatata la difficoltà di modificare il contenuto delle mansioni di chi esegue la prestazione lavorativa presso il proprio domicilio, non resterà altra soluzione che disporre l'interdizione dal lavoro qualora sussistano rischi per la sua salute e per quella del nascituro. 374 6.2.3. LA TUTELA DEL POSTO DI LAVORO Le esigenze di tutela dei telelavoratori assumono un particolare rilievo dal momento che non sempre il telelavoro si presenta con i connotati dell’elevata professionalità, della competenza e dell'autodeterminazione, e non necessariamente l’innovazione tecnologica comporta una diminuzione del tasso di subordinazione.56 Ad esempio la tutela del posto di lavoro sembrerebbe ampiamente garantita dagli accordi di sperimentazione a tutti i telelavoratori, ma alcuni problemi potrebbero sorgere per quanto riguarda l’applicabilità della tutela reale, riguardo alla computabilità dei telelavoratori per l’integrazione dei limiti numerici previsti dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970.57 Il limite numerico di quindici dipendenti impiegati presso l’unità produttiva di appartenenza del lavoratore licenziato verrebbe eluso se il telelavoratore fosse considerato come un'unità produttiva a sé stante. Vista l’importanza della questione è opportuno chiarire il concetto di unità produttiva e se il singolo telelavoratore possa costituire o no un’unità produttiva. La nozione di unità produttiva, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale e dottrinale, va individuata in una sede, un ufficio, uno stabilimento o un reparto autonomo che, sotto il profilo 56 Cfr. LAI, Telelavoro e disciplina prevenzionistica, Diritto & pratica del lavoro, n. 4, 2003, 263-269. Cfr. legge n. 300 del 20 maggio 1970, art.18 Reintegrazione nel posto di lavoro, commi 1 e 2: Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. 57 375 funzionale e finalistico, sia idoneo ad esplicare in tutto o in parte l’attività dell’impresa, in modo che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva ed aziendale.58 Ciò premesso, e tenuto conto di quanto emerge dagli accordi di sperimentazione osservati, il telelavoratore, seppure si ritrovi ad operare come un microrganismo a sé stante, non può essere considerato alla stregua di un’unità produttiva autonoma. Egli infatti non dispone di un’autonomia tale da configurare una realtà a sé stante e a riprova di ciò sta il fatto che è sottoposto, nell’esecuzione della prestazione lavorativa, ad una forma più o meno blanda di controllo remoto attraverso il software ed il computer stesso. Individuata quindi l’unità produttiva di appartenenza del telelavoratore, diventa irrilevante la sua dislocazione fisica nello stesso territorio comunale, come invece deve essere per le attività tradizionali. Il tutto può ragionevolmente spiegarsi con il fatto che il telelavoratore va considerato come un lavoratore esterno dell’unità produttiva alla quale è funzionalmente collegato, e quindi deve essere computato nei limiti numerici previsti dalla legge per l’applicazione delle fondamentali garanzie previste dal diritto del lavoro. Le particolari modalità di svolgimento dell'attività lavorativa sollevano inoltre alcuni interrogativi circa l'applicabilità della disciplina prevista dall’articolo 2110 del codice civile.59 Le cause di sospensione del rapporto di lavoro previste dall'art. 2110 sono la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio. Occorre quindi verificare se la disciplina della sospensione del rapporto di lavoro derivante da tali cause sia compatibile con il telelavoro. Iniziando ad esaminare il caso della malattia occorrerà specificarne la nozione, nonché le caratteristiche generali delle patologie che consentono la tutela prevista dalle norme di cui trattasi. 58 Cfr. CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pp. 135-198. 59 Cfr. art. 2110 del codice civile, Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio: In caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge (o le norme corporative) non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, (dalle norme corporative) dagli usi o secondo equità. Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge (dalle norme corporative), dagli usi o secondo equità. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di servizio. 376 In mancanza di una definizione ontologica di malattia è opportuno differenziare la nozione di malattia proposta dalla scienza medica che si riferisce a qualsiasi alterazione dell’equilibrio e della funzionalità dell'organismo, cui corrisponde la condizione di buona salute, e la malattia che per l’entità delle conseguenze impedisce al lavoratore di eseguire la sua prestazione. Può pertanto accadere che il lavoratore sia soggetto ad un processo patologico ma non per questo possa essere considerato ammalato agli effetti della legge e del contratto. Perché l'assenza del lavoratore per malattia possa ritenersi giustificata, con le conseguenze di cui all'articolo 2110 del codice civile, non basta dunque che sia accertata l'esistenza di una qualsiasi infermità, ma occorre che questa sia di natura ed entità tali da determinare un'incapacità lavorativa in relazione alle specifiche mansioni del lavoratore. La malattia può anche impedire l'effettuazione della prestazione lavorativa quando la sospensione del rapporto di lavoro sia ragionevolmente necessaria ai fini della prevenzione o della cura di un'infermità. È evidente che la malattia, nell'accezione ora proposta, rende materialmente impossibile o pregiudizievole per la salute del lavoratore il normale svolgimento della prestazione lavorativa anche per colui che lavora presso la propria abitazione. Pertanto, la tutela prevista dall'art. 2110 del codice civile deve essere riconosciuta, in via generale, anche ai telelavoratori. Il luogo in cui è eseguita la prestazione lavorativa può tuttavia incidere sulle cause che consentono la sospensione del rapporto di lavoro derivanti da malattia ed infortunio. Indipendentemente dal fatto che le cause indicate configurino un’impossibilità della prestazione lavorativa oppure un'incapacità al lavoro, è considerato rilevante non solo lo stato fisico del lavoratore, ma anche la sua impossibilità a raggiungere il posto di lavoro senza correre il rischio di aggravare la sua salute. In questa ipotesi il telelavoro domiciliare consente di superare tale impedimento, visto che il telelavoratore non deve spostarsi dal suo domicilio per raggiungere il posto di lavoro, e la malattia non potrà pertanto essere invocata come causa di sospensione del rapporto di lavoro, poiché lo stato patologico del lavoratore gli consentirà senz'altro di espletare le proprie mansioni, senza per questo correre il rischio di aggravare la sua malattia. 377 Delicati interrogativi si pongono invece per le malattie di natura infettiva, non tanto in quei casi in cui esse si accompagnino a veri e propri stati di incapacità lavorativa, quanto in quelli in cui producano un pericolo di contagio, pur senza comportare un'incapacità al lavoro. In questo caso prevale il diritto alla salute da parte dei terzi sull'interesse del lavoratore all'espletamento della prestazione e dell'impresa ad esigerla. L'ordinamento deve dunque consentire l'astensione per malattia del dipendente che sia possibile fonte di contagio, al fine di permettere al datore di lavoro di tutelare la salute degli altri dipendenti. Nel telelavoro domiciliare anche questo rischio non esiste, per cui la dottrina ha ragionevolmente supposto che il lavoratore che si trovi nella situazione anzidetta non possa astenersi dallo svolgimento dell'attività lavorativa invocando lo stato di malattia.60 Pertanto, per i telelavoratori che svolgono l’attività presso il loro domicilio e che vi rimangono durante il periodo di assenza, lo stato di malattia o l’infortunio rilevano solo se impediscono l'esecuzione della prestazione telelavorativa, mentre non rilevano né l'idoneità fisica del lavoratore a svolgere attività accessorie come il recarsi presso il luogo di lavoro, né la prevenzione del contagio agli altri dipendenti in caso di malattie infettive. Tutte queste considerazioni sono state fatte proprie dalle parti sociali che, in relazione a quanto disposto dalle norme contrattuali vigenti, hanno garantito ai telelavoratori il diritto alla retribuzione e alla conservazione del posto di lavoro qualora si assentino per una delle cause previste dall'articolo 2110 del codice civile, pur con le limitazioni appena esposte.61 Un'altra causa di sospensione del rapporto di lavoro prevista dall'articolo citato è l'infortunio. La definizione di infortunio è contenuta nel Testo Unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, secondo il quale “l'assicurazione obbligatoria comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione del 60 Cfr. CASSANO e LOPATRIELLO, cit. Cfr. CASSANO e TOMMASI, Codice delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet annotato con la giurisprudenza, IPSOA editore, Rozzano, 2001. 61 378 lavoro, da cui sia derivata la morte o una inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni”.62 Gli elementi costitutivi dell'infortunio sono quindi: la causa violenta, vale a dire qualsiasi fatto lesivo che produca il danno in modo sufficientemente intenso e rapido nel tempo; il danno alla capacità lavorativa che comporti un'inabilità permanente o temporanea al lavoro; l'occasione di lavoro, ovvero il necessario collegamento tra il danno e l'attività lavorativa. L'espletamento dell'attività lavorativa non deve essere necessariamente la causa diretta dell'infortunio, come accade invece per la malattia professionale che la legge vuole contratta nell'esercizio e a causa della lavorazione, ma solo la condizione per la quale la causa violenta produce l'evento dannoso. L'occasione non sta dunque a significare un rapporto di derivazione diretta, come da causa ad effetto, tra lavoro e danno, ma l'evento dannoso deve dipendere dal rischio inerente l'attività espletata e deve quindi accadere in stretta connessione con il perseguimento delle specifiche finalità di lavoro. Nel telelavoro il rischio di infortuni è ridotto dal momento che l'attività lavorativa viene sovente svolta presso l’abitazione del lavoratore o presso centri satellite, e comunque sempre servendosi di un'attrezzatura non particolarmente pericolosa. Tuttavia fin dai primi accordi aziendali i datori di lavoro si sono impegnati a garantire la copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro, in relazione al fatto che l'attività richiede l'utilizzo di apparecchiature collegate alla rete di distribuzione elettrica.63 Allo stesso modo anche gli accordi per la sperimentazione del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni prevedono la stipula di polizze assicurative. E' ad esempio il caso dell'accordo per la disciplina sperimentale del telelavoro per il personale amministrativo del comparto scuola, che pone in capo alle istituzioni scolastiche l'obbligo di coprire, mediante la stipula di polizze 62 Cfr. art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (G.U. 13 ottobre 1965, n. 257, S.O.). 63 Cfr. il punto 7 del verbale di accordo dell'8 gennaio 1996 sul progetto di Sperimentazione “Telelavoro” tra la Direzione di Tecnopolis Scrl e la Rappresentanza Sindacale Unitaria: Poiché l'attività espletata presso il suo domicilio richiede l'utilizzo di apparecchiature elettriche, Tecnopolis garantirà, durante il periodo di telelavoro, la copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro. 379 assicurative, i rischi derivanti dall'uso delle attrezzature sia per quanto riguarda i danni alle attrezzature stesse, sia per cose o persone, compresi i familiari del telelavoratore.64 Al di là della decisione assunta dalle parti in sede contrattuale, si ritiene che debba comunque essere applicato anche per i telelavoratori il principio dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, soprattutto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 18 febbraio 1988, n. 179, che ha esteso la tutela assicurativa delle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura a tutte le malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro.65 Anche per la sospensione del rapporto di lavoro dovuta a gravidanza o puerperio la contrattazione collettiva ha fatto riferimento alle norme legislative e contrattuali vigenti, garantendo alle telelavoratrici lo stesso trattamento riservato alle lavoratrici in azienda. D'altra parte la contrattazione non avrebbe potuto derogare alle norme di legge che tutelano la donna in gravidanza e il bambino, poiché la mera modifica del luogo di lavoro, ancorché coincidente con il domicilio della lavoratrice, non avrebbe giustificato un trattamento diverso e peggiorativo rispetto a quello riservato alle donne che lavorano in azienda. In questi casi l'astensione dal lavoro ha come fondamento l'esigenza di tutelare la donna in gravidanza ed i genitori durante le prime fasi dello sviluppo dei figli, ed essendo un obbligo imposto dalla legge non rileva il luogo in cui viene resa la prestazione lavorativa. Un diverso orientamento delle parti sociali sarebbe inoltre costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 37, primo comma, Cost. se alla donna lavoratrice non venissero offerte 64 Cfr. Accordo del 18 ottobre 2001 per la disciplina sperimentale del telelavoro per il personale amministrativo del comparto scuola, tra l’Aran e i rappresentanti delle Confederazioni sindacali C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L., CONF.SAL, e delle Organizzazioni Sindacali C.G.I.L./SNS, C.I.S.L./Scuola, U.I.L./Scuola, CONF.SAL/SNALS, GILDA/UNAMS., pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 281 del 3 dicembre 2001. 65 Cfr. Corte costituzionale, sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, con cui di Dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 38, comma secondo, Cost., dell'art. 3, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle leggi sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali), nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro. 380 condizioni di lavoro tali da “consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.”. Le disposizioni che dettano norme per la tutela delle lavoratrici madri sono la legge 8 marzo 2000, n. 5366, ed il decreto legislativo n. 151 del 2001 recante il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia, emanato su espressa delega della stessa legge n. 53 al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme poste a tutela e sostegno della maternità e della paternità. Con queste disposizioni il legislatore ha voluto non solo ribadire, ma rafforzare i principi di di salvaguardia del diritto alla retribuzione e di conservazione del posto di lavoro per la donna che si assenti in ragione della gravidanza e del puerperio. Il D.Lgs. n. 151 ha ribadito il divieto assoluto di adibire le donne in gestazione al lavoro per almeno cinque mesi, due prima e tre dopo la data presunta del parto, con anticipazione del divieto a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.67 La violazione di questo divieto è sanzionata penalmente dall'art. 18 del Testo unico con l’arresto fino a sei mesi. Tuttavia il congedo di maternità può godere di una certa flessibilità in quanto l'art. 20 del D.Lgs n. 151 stabilisce che “ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”. 66 Cfr. Legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città (G.U. n. 60 del 13 marzo 2000) 67 Cfr. art. 16 del D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001, Divieto di adibire al lavoro le donne: 1. È vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’articolo 20; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto. 381 Vi sono poi i congedi parentali previsti dall'art. 32 del D.Lgs. n. 151 del 2001, per cui per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per un periodo che non ecceda i dieci mesi. Il diritto di astenersi dal lavoro spetta alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità e per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, e al padre lavoratore dalla nascita del figlio per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, per un totale complessivo non superiore a dieci mesi. Inoltre il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto. Il congedo parentale può poi arrivare a tre anni per uno solo dei genitori di minore con handicap in situazione di gravità accertata e a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati. Vi sono infine due periodi di riposo giornalieri della durata di un'ora ciascuno (art. 39 del D.Lgs. n. 151), anche cumulabili durante la giornata, che spettano alternativamente alla madre o al padre durante il primo anno di vita del bambino. Essi comportano il diritto del genitore ad uscire dall’azienda. Tralasciando ulteriori aspetti di dettaglio della normativa che in questa sede non hanno una rilevanza particolare, ci si chiede se tutte queste tutele siano sic et simpliciter applicabili ai genitori che telelavorano. L'applicabilità della disciplina relativa ai periodi di astensione obbligatoria e facoltativa non solleva dubbi, mentre per quanto concerne il diritto ad usufruire dei periodi di riposo giornalieri nel primo anno di vita del bambino, è incerto se esso debba essere riconosciuto anche a quelle telelavoratrici (o a quei telelavoratori) per le quali si prevede, come in alcuni degli accordi esaminati, che l'orario di lavoro possa essere discrezionalmente distribuito nell'arco della giornata. La flessibilità dell'orario permetterebbe ai genitori di conciliare l'espletamento dell'attività lavorativa con le esigenze della prole. Tuttavia la negazione dei periodi di riposo giornalieri discriminerebbe la posizione dei telelavoratori rispetto ai colleghi in azienda, in quanto i primi sarebbero costretti a lavorare per l'intero orario di lavoro benché distribuito a loro discrezione. 382 Infine la dottrina ha individuato un altro aspetto problematico dell'assenza dal telelavoro domiciliare per una delle cause di cui all'art. 2110 del codice civile. Si tratta dell'impossibilità per il datore di lavoro di sostituire il telelavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, data l'inutilizzabilità della postazione di lavoro installata presso il domicilio di quest'ultimo. Com’è noto le cause di sospensione del rapporto di lavoro previste dall’articolo 2110 del codice civile rappresentano una deroga alla sinallagmaticità del contratto di lavoro, che deriva dalla necessità di tutelare degli interessi superiori rispetto al diritto della parte datoriale di ottenere la controprestazione lavorativa. Tuttavia nel caso in cui il telelavoratore domiciliare si astenga dal lavoro per uno dei motivi indicati, il datore di lavoro sopporta un sacrificio notevolmente superiore rispetto ai consueti obblighi ai quali sarebbe soggetto in un tipico rapporto di lavoro subordinato perché la postazione di lavoro non può essere utilizzata impieganndo un altro lavoratore. Così in caso di astensione collettiva, quando un servizio o un'attività produttiva fossero svolti sotto forma di telelavoro, il datore di lavoro non potrebbe prestare il servizio o comunque non potrebbe produrre se non avesse predisposto una serie di postazioni lavorative aggiuntive in grado di supplire a quelle inutilizzabili per i motivi indicati. Questo aspetto dovrebbe stimolare un'attenta rivisitazione delle norme che consentono la conservazione del posto di lavoro durante i periodi di assenza dei lavoratori, finalizzata a riequilibrare i sacrifici delle parti interessate. Secondo alcuni è possibile che in tal caso ricorra un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, poiché l'assenza del lavoratore può pregiudicare il regolare funzionamento dell'attività produttiva.68 E’ evidente però che l'assenza di un singolo telelavoratore non è in grado di provocare una tale conseguenza, così come non sembra facilmente ipotizzabile che, nel caso in cui un intero ciclo dell'attività produttiva o una frazione di esso vengano affidati unicamente a telelavoratori, si 68 Cfr. legge 15 luglio 1966, n. 604, Norme sui licenziamenti individuali (G.U. 6 agosto 1966, n. 195). Art. 3: Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso é determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. 383 verifichi una concomitante assenza di tutti o quasi i lavoratori addetti a quel ramo o unità produttiva, potendo ricorrere in tal caso un giustificato motivo di licenziamento individuale plurimo. Vista la delicatezza del problema si ritiene che la soluzione debba comunque essere lasciata all'attenta valutazione del legislatore, nella probabile prospettiva di un futuro prossimo in cui alcune imprese ricorrano al telelavoro quale prevalente o esclusiva forma di espletamento dell'attività produttiva. 384 6.2.4. LE CATEGORIE PROTETTE Attualmente circa il 10% della popolazione mondiale è costituita da ultrasessantenni o da disabili e in Europa le due categorie sono rispettivamente rappresentate da cento e cinquanta milioni di individui. Il progresso tecnologico può offrire loro delle nuove opportunità di lavoro, contribuendo a creare le premesse necessarie per vivere una vita autodeterminata e per prendere attivamente parte alla vita sociale ed economica. Il primo e più evidente vantaggio offerto dalle nuove tecnologie è rappresentato dalla possibilità di ovviare o compensare eventuali perdite di mobilità fisica delle persone. In Germania il Centro nazionale di ricerca sulle tecnologie informatiche ha concepito un progetto di ricerca e sviluppo denominato TEDIS (Teleworking for Disabled People) il cui obiettivo principale è proprio l’elaborazione di un interfaccia uomo-computer che sappia adattarsi alle esigenze connesse con le diverse disabilità e che consenta di telelavorare.69 Un altro progetto, chiamato Twin, ha visto la partecipazione di alcune aziende appartenenti a cinque paesi (Italia, Finlandia, Irlanda, Grecia e Scozia), ognuno interessato ad esplorare il modo in cui i telecentri possano essere di aiuto nel creare condizioni di lavoro migliori per le persone affette da handicap psico-motori. I risultati del progetto hanno dimostrato che le persone disabili possono accedere a diverse tipologie di telelavoro, ma è sempre indispensabile condurre un'accurata attività preliminare di pianificazione e di supporto anche perché sono ancora numerose le barriere che ostacolano l'integrazione dei diversamente abili nel contesto sociale, economico e politico.70 69 Cfr. PIEPER e HERMSDORF, BSCW for disabled teleworkers: usability evaluation and interface adaptation of an internet-based cooperation environment, in Computer Networks and ISDN Systems, 1997, (29), pp. 1479 - 1487. 70 Cfr. FIUTAK, Teleworking booms in Europe, 9/10/2002 in: http://news.zdnet.co.uk 385 Va comunque sottolineato che in Italia il legislatore si è già fatto carico di garantire ai disabili il diritto di accedere al mondo del lavoro in generale, principalmente attraverso la legge n. 68 del 12 marzo 1999 che detta per l'appunto norme per il diritto al lavoro dei disabili.71 L'articolo 3 della citata legge pone in capo ai datori di lavoro pubblici e privati l'obbligo di avere alle loro dipendenze una certa percentuale di lavoratori disabili, la cosiddetta “quota di riserva”. L'adempimento di tale obbligo può oggi essere facilitato dal ricorso a forme di telelavoro quando si tratti di soggetti portatori di disabilità motorie. II telelavoro può quindi aprire ai disabili le porte delle imprese a dimostrazione del fatto, se ce ne fosse ancora bisogno, che la perdita dell'uso delle gambe o l'ottanta per cento di invalidità possono ben coniugarsi con capacità intellettive anche rilevanti. In questo senso i disabili vengono attivamente ricercati dalle aziende che, per la legge n. 68, devono assumerli in proporzione variabile rispetto al numero totale dei dipendenti. Le aziende con un numero di dipendenti compreso tra quindici e trentacinque dovranno, in caso di nuova assunzione, avere in organico almeno un disabile. I posti riservati dovranno essere almeno due per le imprese che occupano da trentacinque a cinquanta dipendenti, mentre tra i nuovi assunti delle imprese con cinquanta dipendenti e oltre, il sette per cento dovrà essere rappresentato da disabili. Questo tipo di collocamento è detto mirato in quanto da un lato è rispettoso delle strategie produttive dell'impresa, dall'altro dello stato di salute del disabile. La vigilanza circa il rispetto dell'obbligo di assumere un diversamente abile, sia esso motorio o mentale, spetta agli Uffici provinciali del lavoro. Queste premesse giuridiche hanno favorito la nascita di iniziative volte a promuovere il telelavoro tra i soggetti diversamente abili. Significativo in tal senso il progetto Efestus promosso dalla provincia di Genova che, primo in Italia, ha costituito un punto d'incontro tra imprese e diversamente abili. Il progetto è stato ideato da una persona totalmente invalida, che ha affermato "Le mie gambe non funzionano da 10 anni ma io per andare in India ci metto meno di chi ha dei 71 Cfr. Legge 12 marzo 1999, n. 68, Norme per il diritto al lavoro dei disabili, Gazzetta Ufficiale n. 68 del 23 marzo 1999 - Supplemento Ordinario n. 57 386 buoni piedi". Il progetto Efestus, tra formazione e avvio al lavoro, ha permesso l'assunzione di dieci disabili in diverse imprese genovesi (Siemens, Orsi automation, APV Ratto, Postel, Gruppo Selesta e Datasiel) attraverso un addestramento specifico al telelavoro. Considerando che nel prossimo futuro in Italia è previsto un fabbisogno di oltre un milione e mezzo di telelavoratori, la domanda potrà essere soddisfatta anche grazie al lavoro dei disabili.72 Successivamente il legislatore ha introdotto ulteriori disposizioni intese a favorire l'accesso dei disabili alle nuove tecnologie e, di riflesso, al telelavoro.73 La legge n. 4 del 9 gennaio 2004 ha infatti come finalità dichiarata la tutela del “diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici” con particolare riguardo per le persone disabili ed “in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione” (art. 1). Per far ciò sono previste alcune misure di sostegno ai lavoratori diversamente abili, finalizzate tra l'altro allo sviluppo del telelavoro. Lo Stato si impegna a concedere “contributi pubblici a soggetti privati per l'acquisto di beni e servizi informatici destinati all'utilizzo da parte di lavoratori disabili o del pubblico, anche per la predisposizione di postazioni di telelavoro”. La concessione di tali contributi è però subordinata alla rispondenza dei beni e servizi acquistati a dei requisiti di accessibilità, stabiliti con decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie sentite le associazioni delle persone disabili maggiormente rappresentative (art. 3). Un altro punto qualificante della legge n. 4 del 9 gennaio 2004 è l'enunciazione del principio per cui spetta ai datori di lavoro, sia pubblici sia privati, porre “a disposizione del dipendente disabile la strumentazione hardware e software e la tecnologia assistiva adeguata alla specifica disabilità, anche in caso di telelavoro, in relazione alle mansioni effettivamente svolte” (art. 4). Si tratta di un concetto ormai consolidato a livello di contrattazione collettiva, per cui le spese di allestimento della postazione di telelavoro e quelle manutentive ordinarie non devono mai 72 Cfr. RIMASSA, Il telelavoro apre ai disabili le porte delle imprese genovesi, Il Secolo XIX, 10 ottobre 2002. Cfr. Legge 9 gennaio 2004, n. 4, Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, Gazzetta Ufficiale n. 13 del 17 gennaio 2004 73 387 gravare sul lavoratore dipendente.74 Tuttavia per i datori di lavoro pubblici l'attuazione di questa disposizione viene grandemente limitata dall'effettiva disponibilità di bilancio (art. 4.5). Per quanto riguarda invece l'imprenditoria privata, l'art. 13.3 della sopra citata legge n. 68 del 12 marzo 1999 prevede la concessione di un “rimborso forfettario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento o per l'apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l'integrazione lavorativa del disabile”. I numerosi vincoli di bilancio cui sottostanno gli enti pubblici costituiscono nella pratica un serio ostacolo all'effettiva diffusione del telelavoro presso le persone diversamente abili, rappresentando un possibile alibi per l'inoperosità delle pubbliche amministrazioni. Per questo motivo l'art. 9 della legge n. 4 del 9 gennaio 2004 pone un obbligo generalizzato di attuazione per i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, l'inosservanza del quale “comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare” “ferme restando le eventuali responsabilità penali e civili previste dalle norme vigenti”. Per meglio comprendere lo spirito di questo intervento del legislatore pare opportuno riportare alcuni brani dei lavori della IX Commissione permanente (trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei Deputati in sede referente, dai quali emerge che la legge che ci si accingeva ad approvare “rappresenta un impegno efficace per impedire che il vasto popolo dei diversamente abili subisca dalla rivoluzione informatica una nuova crudele emarginazione, che si sovrapponga a quella che già soffrono per sfortunate ragioni fisiologiche e per deprecabile limitata sensibilità sociale. Se la società dovesse rimanere insensibile all'esigenza di permettere alle persone con disabilità di accedere agli strumenti dell'informatica e soprattutto di Internet, si creerebbe uno stato di gravissima diseguaglianza, rilevante anche costituzionalmente, perché impedirebbe di raggiungere le sorgenti di informazione, mortificando un diritto che deve essere assolutamente 74 Valga da esempio quanto prevede l'accordo quadro europeo, cfr. § 4.4.1 388 garantito a tutti i cittadini. Le persone con disabilità stanno infatti subendo l'intollerabile ingiustizia di trovarsi impediti da nuove barriere reali e non, come si è detto, virtuali, nel tentativo di fruire degli indispensabili mezzi di comunicazione telematica”. Non solo, ma “lo sviluppo dell'informatica, che ha dato vita alla cosiddetta "nuova economia", ha assunto un ruolo centrale nell'ambito della comunicazione e del sapere, contribuendo a plasmare l'evoluzione della cultura e i rapporti interpersonali, al punto che si parla di una sorta di analfabetismo di ritorno per le generazioni che non riescono a metabolizzare gli strumenti e l'uso dell'informatica”. Viene quindi alla luce un secondo problema che è strettamente connesso con la disabilità, quello delle persone anziane che per ragioni anagrafiche non sono state educate all'uso delle nuove tecnologie: “la legge è rivolta anche alla più vasta schiera di cittadini che pur non essendo invalidi, vivono le difficoltà della tarda età o di malattie. Questa linea è tra l'altro perfettamente coerente con i riferimenti ai cittadini diversamente abili contenuti nella carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che all'articolo 21 vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata in particolare sulla disabilità e all'articolo 26 riconosce espressamente i diritti dei cittadini diversamente abili e la necessità di garantire la loro autonomia, la loro integrazione sociale e professionale nonché la partecipazione alla vita della comunità.75 La disabilità è, dunque, una questione di diritti dell'uomo e chi ne è stato colpito ha diritto di essere messo dalla società nella condizione di vivere in modo autonomo e di operare le proprie scelte, contribuendo come tutti gli altri cittadini allo sviluppo economico e civile.76 75 Cfr. Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, Gazzetta efficiale delle Comunità europee del 18 dicembre 2000, n. C364: art. 21 (Non discriminazione) "E' vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali"; art.26 (Inserimento dei disabili) "L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità" 76 Cfr. Commissione interministeriale permanente per l'impiego delle ITC a favore delle categorie deboli o svantaggiate, La legge Stanca sull'accessibilità: un esempio italiano, Quaderno n. 2, marzo 2004 389 6.3. IL TELELAVORATORE PARASUBORDINATO La teleprestazione può talvolta risolversi in una collaborazione coordinata e continuativa in cui il telelavoratore, senza alcun vincolo di subordinazione, si impegna a fornire una prestazione prevalentemente personale secondo tempi e modalità prestabiliti. L’oggetto di tale prestazione può essere la realizzazione di un’opera di carattere materiale o la fornitura di un servizio. Questo rapporto di lavoro è caratterizzato da due elementi essenziali per cui da un lato si realizza la collaborazione e la coordinazione tra la teleprestazione e l'attività esercitata dal committente, e dall’altro esiste una certa continuità del rapporto, cioè la ripetizione della medesima prestazione o di più prestazioni, oppure lo svolgimento di un’unica opera (o servizio) per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo. Ciò che differenzia la collaborazione coordinata e continuativa del telelavoratore rispetto ad un rapporto di telelavoro subordinato è il venir meno della tutela legale prevista per quest'ultimo, con la necessità di far riferimento alle norme sul contratto d’opera, analogamente a quanto accade per il lavoro autonomo. Va tuttavia notato come i confini del lavoro autonomo non coincidano con quelli del contratto d'opera, che ne rappresenta soltanto un sottotipo, mentre l'altro sottotipo del lavoro autonomo è appunto costituito dalla collaborazione personale coordinata e continuativa, altrimenti indicata come lavoro parasubordinato, prevista espressamente dall'art. 409 n. 3 del codice di procedura civile e richiamata da alcune altre norme legislative, soprattutto in campo fiscale.77 Il contratto di lavoro parasubordinato si distingue dal contratto d'opera essenzialmente per l'estendersi nel tempo della prestazione lavorativa, la quale non ha dunque per oggetto un'opera o un 77 Cfr. Codice di procedura civile, art. 409, Controversie individuali di lavoro: Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a: 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa; 2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonche' rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie; 3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato – omissis. 390 servizio determinati e indivisibili in ragione del tempo bensì un'attività a carattere continuativo o il ripetersi nel tempo di una serie di opere o servizi, con affidamento del creditore sul protrarsi nel tempo della prestazione stessa. Le attività di tecnico informatico, programmatore, grafico, svolte mediante collegamento a distanza con il committente, possono ad esempio configurarsi sul piano giuridico come telelavoro parasubordinato quando non siano dedotte in contratto soltanto singole prestazioni ben individuate. Le differenze di disciplina del contratto di lavoro parasubordinato rispetto al contratto d'opera sono quindi modeste, consistendo nell'applicabilità del rito speciale del lavoro nelle controversie, nella rivalutazione automatica dei crediti retributivi non tempestivamente soddisfatti e nell'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto sui corrispettivi. Sono invece ben più rilevanti le differenze rispetto al contratto di lavoro subordinato definito dall'articolo 2094 del codice civile78, ed è a questo proposito che sorgono i problemi più difficili e delicati per la qualificazione del telelavoro, quando esso si configuri come prestazione lavorativa personale a carattere continuativo. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale dominante dell’articolo 2094 del codice civile l’elemento che distingue il lavoro subordinato ordinario dalla collaborazione coordinata e continuativa autonoma, cioè dal lavoro parasubordinato, è l’assoggettamento pieno della prestazione al potere direttivo del creditore, cioè l’assunzione da parte del lavoratore di un obbligo continuativo di obbedienza nei confronti del datore di lavoro. Si tratta quindi di stabilire il contenuto che questo elemento essenziale, cioè l’assoggettamento pieno a eterodirezione, può assumere nel telelavoro, vale a dire in una prestazione svolta mediante videoterminale collegato a distanza con il computer aziendale del creditore. 78 Cfr. art. 2094 del codice civile, Prestatore di lavoro subordinato: E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. 391 L'assoggettamento pieno del prestatore alla eterodirezione non può identificarsi nel mero vincolo tecnico del rispetto delle procedure imposte dal sistema informatico con cui funziona il computer aziendale per l'accesso ai singoli programmi applicativi e per il dialogo operativo fra terminale e computer. Nonostante tale vincolo incida sulle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, esso può essere sostanzialmente assimilato ai vincoli tecnico-procedurali a cui è assoggettato l'uso di tutte le macchine complesse, vincoli che certo non configurano un obbligo continuativo di obbedienza al creditore, in ipotesi proprietario delle macchine stesse, e perciò non si pongono in contrasto con l'autonomia della prestazione. Il potere direttivo del creditore che assume rilievo ai fini della qualificazione della prestazione può invece essere individuato, in linea generale e salve le particolarità dei singoli casi, nella facoltà contrattualmente riservata al creditore stesso di scegliere e sostituire unilateralmente in qualsiasi momento il programma operativo specifico.79 Le particolari modalità di svolgimento dell'attività telelavorativa possono quindi rilevare sulla qualificazione giuridica dei telelavoratori, i quali in molti casi tendono ad accostarsi più alla figura del lavoratore parasubordinato che non a quella del lavoratore subordinato. I profili di autonomia che caratterizzano l'esecuzione della prestazione telelavorativa postulano infatti una forma di collaborazione svincolata da rigidi schemi gerarchici di subordinazione. Si può allora sostenere che si incontra una tipologia di telelavoro inquadrabile nella fattispecie della parasubordinazione quando il telelavoratore svolge la propria attività in modo coordinato e continuativo rispetto all’impresa con prevalente personalità della prestazione, pur non essendo vincolato ad un solo committente. Di conseguenza il telelavoratore parasubordinato, il quale è parte di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, sarà soggetto alle disposizioni dettate per tutti i lavoratori 79 Cfr. ICHINO, I problemi giuridici del telelavoro, in Notiziario del lavoro, n. 75, 1996. 392 parasubordinati in materia contributiva e fiscale dall’articolo 5 del d.lgs. n. 38 del 2000 80 relativo all’obbligatorietà dell'assicurazione presso l’INAIL oppure dall’articolo 34 della legge n. 342 del 200081 che ha fissato i nuovi criteri di determinazione dei redditi da collaborazione.82 80 Cfr. Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (G.U. n. 50 dell'1 marzo 2000), art. 5 Assicurazione dei lavoratori parasubordinati 81 Cfr. Legge 21 novembre 2000, n. 342, Misure in materia fiscale (G.U. n. 276 del 25 novembre 2000, S.O.), art. 34 Disposizioni in materia di redditi di collaborazione coordinata e continuativa 82 Cfr. BOLZONI e MEJNARDI, Telelavoro: knowledge “remota” per l’impresa a rete, Amministrazione & finanza oro, n.1, vol. XIV, 2003, pp. 107-121. 393 6.4. IL TELELAVORATORE AUTONOMO Si è ripetuto più volte che il nostro ordinamento non regola in via generale la figura giuridica del telelavoro. Ciò non ha tuttavia escluso la possibilità di ricorrere a principi giuridici generali o contenuti in provvedimenti a carattere settoriale, al fine di enucleare fattispecie normative idonee a governare il fenomeno. Il problema che rimane tuttora in parte insoluto è quello di definire nei presupposti logici e giuridici i confini ed il contenuto del lavoro a distanza. Ciò detto, nel prossimo futuro il telelavoro, anche in funzione dei contesti lavorativi nei quali potrà attecchire, riguarderà con ogni probabilità una serie di attività caratterizzate da relativa autonomia. Da alcuni autori si è addirittura prefigurata un'organizzazione del lavoro nella quale il telelavoro riguarderà principalmente la categoria dei quadri nonché il management nel suo complesso.83 D'altronde la possibilità di organizzare la struttura produttiva pubblica o privata ricorrendo alla formula del telelavoro si ha solo laddove esistono in concreto una relativa autonomia del lavoratore ed un possibile controllo qualitativo/quantitativo che abbia ad oggetto il risultato della prestazione da parte del datore di lavoro. Che il telelavoro non rientri completamente nell'istituto giuridico del lavoro subordinato non significa tuttavia che ricada de plano nel lavoro autonomo. Infatti il risultato dell'attività lavorativa appartiene sempre al datore di lavoro ed oggetto della prestazione lavorativa resta comunque l'attività lavorativa. Il telelavoratore può quindi essere un lavoratore autonomo che, a fronte di un corrispettivo, si obbliga a compiere un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, avvalendosi di strumenti telematici. In questo caso il rapporto che intercorre tra il telelavoratore e la controparte segue la medesima disciplina di un qualsiasi rapporto di lavoro 83 Cfr. BOLZONI e MEJNARDI, Telelavoro: knowledge “remota” per l’impresa a rete, Amministrazione & finanza oro, n.1, vol. XIV, 2003, pp. 107-121. 394 autonomo, in quanto l’unica differenza tra un lavoratore autonomo tradizionale ed un telelavoratore autonomo si sostanzia in ultima analisi nell’uso di attrezzature telematiche per comunicare a distanza. Il contratto che il telelavoratore stipula con la controparte si qualificherà pertanto come contratto d’opera, ed in questo caso sarà disciplinato dagli artt. 2222 c.c. e ss., o come contratto d’opera intellettuale se l’attività prestata ha natura intellettuale, e sarà allora disciplinato dagli artt. 2230 c.c. e ss. Il contratto d’opera si realizza quando il contratto abbia per oggetto un'opera o un servizio ben individuati e delimitati, indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione. L’indice di tale indipendenza può essere ben rappresentato dalla previsione di un corrispettivo forfettario, cioè non commisurato alla durata della prestazione stessa. Inoltre nell'esecuzione della prestazione deve prevalere il lavoro personale del soggetto obbligato, anche se ciò non esclude che egli possa giovarsi della collaborazione di familiari o di personale da lui dipendente. Nulla vieta poi che queste ultime persone a loro volta svolgano attività telelavorativa, sebbene in rapporto di subordinazione. Anche nel telelavoro la fattispecie del contratto d’opera viene definita dall'art. 2222 del codice civile (libro V, titolo III) il quale prevede che “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV”.84 Una volta stabilito che il telelavoro autonomo rientra nella fattispecie del contratto d’opera, ne consegue l'applicabilità della disciplina dettata dai successivi articoli da 2223 a 2228 del codice civile. Ma ciò che forse rileva ancor più ai fini del nostro discorso è che non troverà applicazione la disciplina protettiva tipica del lavoro subordinato. 84 La disciplina a cui si fa riferimento è quella dell’appalto, contenuta nell’art. 1655 c.c. “L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessarie con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. 395 L’applicabilità al telelavoratore autonomo del capo I, titolo III del libro V del codice civile non è scevra di conseguenze. Innanzitutto se il telelavoratore non procede all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni stabilite con il committente, e se non lo fa a regola d’arte, quest’ultimo può stabilire un congruo termine entro il quale il telelavoratore autonomo deve conformarsi alle condizioni contrattuali. Trascorso inutilmente detto termine il committente può recedere dal contratto, salvo ogni eventuale risarcimento dei danni (art. 2224 c.c.). Un altro aspetto riguarda la definizione del corrispettivo dovuto al telelavoratore autonomo, che spetterà al giudice qualora non sia debitamente convenuto dalle parti e non esistano tariffe specifiche. Il giudice dovrà tenere conto del risultato ottenuto e della quantità di lavoro necessaria per ottenere tale risultato, poiché l’obbligazione che sottostà al contratto d’opera è un’obbligazione di risultato (art. 2225 c.c.). Per questo motivo il committente ha l’obbligo di denunziare al telelavoratore le difformità ed i vizi occulti dell’opera entro otto giorni dalla loro scoperta. Se non lo fa o se li accetta, sia in maniera esplicita sia tacita, il (tele)prestatore d’opera viene liberato da ogni responsabilità per la difformità od i vizi dell’opera, salvo che lui stesso abbia provveduto ad occultarli con dolo (art. 2226 c.c.). Due ulteriori situazioni possono riguardare il telelavoratore autonomo quale prestatore d’opera. La prima è rappresentata dalla possibilità per il committente di recedere dal contratto anche quando l’opera sia stata iniziata. In questo caso tuttavia spetterà al telelavoratore autonomo un rimborso che dovrà tener conto delle spese sostenute, del lavoro già eseguito e del mancato guadagno (art. 2227 c.c.). La seconda, assai simile, prende in considerazione l’eventualità che l’esecuzione dell’opera sia divenuta impossibile per una causa non imputabile alle parti del contratto. Spetta anche in questo caso un compenso al telelavoratore per il lavoro già svolto, ma tale compenso dovrà essere commisurato all’effettiva utilità che può avere la parte di lavoro già svolta (art. 2228 c.c.). Come si è già detto è differente il caso del contratto d’opera che ha per oggetto una prestazione meramente intellettuale, la cui disciplina si trova negli artt. 2230 c.c. e ss. 396 A questo tipo legale viene comunemente ricondotta la figura del telelavoratore libero professionista, cioè del soggetto che svolge un’attività professionale il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo. Esso è in grado di collegarsi a distanza con una pluralità di committenti per lo svolgimento di opere o servizi di carattere occasionale, o implicanti comunque prestazioni che si concludono in un breve lasso di tempo. Si tratta per lo più di prestazioni di elaborazione di dati, di consulenza informatica, di elaborazione grafica mediante sistemi di computer assisted design, o di altre prestazioni comunque caratterizzate al tempo stesso dall'irrilevanza del luogo in cui esse vengono svolte e dalla necessità del collegamento informatico-telematico tra prestatore e creditore. La qualificazione della fattispecie è resa agevole dal carattere occasionale della prestazione e dalla sua indivisibilità in ragione del tempo impiegato per l'esecuzione. Questi caratteri, che si presentano per lo più con sufficiente evidenza nel caso concreto, bastano a escludere con sicurezza la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, poiché l'assoggettamento del lavoratore al vincolo della subordinazione presuppone logicamente, all'opposto, il carattere continuativo della prestazione lavorativa. Risolto il problema della qualificazione della fattispecie del telelavoro libero-professionale, non sembrano porsi in proposito problemi giuridici differenti rispetto a quelli che si pongono per la generalità dei contratti d'opera.85 La fattispecie della prestazione d'opera intellettuale nel telelavoro viene quindi definita dall'art. 2230 del codice civile (libro V, titolo III) il quale prevede che “il contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali”. Il che equivale a dire che quando il telelavoro autonomo prevede una prestazione d'opera intellettuale trovano applicazione i successivi articoli da 2231 a 2238 del codice civile e, per quanto 85 Cfr. ICHINO, I problemi giuridici del telelavoro, in Notiziario del lavoro, n. 75, 1996. 397 compatibili, anche gli articoli da 2222 a 2228 del codice civile più sopra illustrati. Anche in questo caso non troveranno quindi applicazione le tutele apprestate dal nostro ordinamento giuridico per il lavoro subordinato. Se il telelavoro riguarda l'esercizio di un'attività professionale condizionata all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da un non iscritto impedisce a quest'ultimo l'azione per il pagamento della retribuzione (art. 2231 c.c.). Questo è un aspetto che creerà sicuramente delle difficoltà nell'esercizio di alcune attività professionali, soprattutto quando le parti contrattuali si trovino in nazioni diverse e quando il riconoscimento reciproco dei titoli di studio non sia così pacifico. Basti pensare a ciò che oggi rappresenta già la telemedicina, per cui è possibile per un paziente italiano rivolgersi per un consulto via Internet ad un medico straniero. Anche la cancellazione dall'albo professionale non è scevra di conseguenze sul piano giuridico, in quanto ha come effetto immediato la risoluzione del contratto di telelavoro in corso, salvo il diritto al rimborso delle spese sostenute e ad un compenso adeguato all'utilità del lavoro già compiuto. Caratteristico della prestazione d'opera intellettuale è poi l'obbligo di svolgere personalmente l'incarico assunto, essendo concesso solo di avvalersi di sostituti ed ausiliari ma pur sempre sotto la propria direzione (art. 2232 c.c.). Deve pertanto essere assicurato, attraverso strumenti informatici adeguati, che la prestazione provenga da un soggetto iscritto ad albo professionale e non da soggetti non abilitati. Anche per il professionista che telelalavora il compenso, se non convenuto dalle parti o determinabile secondo le tariffe o gli usi, viene determinato dal giudice sentito il consiglio dell'Ordine a cui il professionista appartiene (art. 2233 c.c.). La misura del compenso deve comunque sempre essere adeguata all'importanza dell'opera svolta ed al decoro della professione. Inoltre grava sul cliente l'obbligo di anticipare al professionista le spese occorrenti al compimento dell'opera, corrispondendo anche gli acconti sul compenso stabiliti dagli usi. 398 Vi è poi una esclusione di responsabilità del prestatore d'opera per i danni causati nel caso in cui la prestazione richiesta implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (art. 2236 c.c.). Può ad esempio trattarsi dell'esecuzione di teleconsulenze di particolare complessità e difficoltà svolte da professionisti che operano in luoghi distanti rispetto al cliente, nelle quali l'attività del telelavoratore si basa solo su una conoscenza del problema mediata dai documenti inviatigli per via informatica e non su un esame diretto del problema. Situazioni simili sono abbastanza comuni nel campo della telemedicina e più in generale delle consulenze specialistiche a distanza. Anche per il recesso del cliente valgono le norme civilistiche applicabili ai rapporti libero professionali, per cui esso è consentito a condizione di rimborsare al prestatore d'opera intellettuale le spese sostenute e di pagare il compenso per l'opera svolta. A sua volta il prestatore d'opera intellettuale può recedere dal contratto solo per giusta causa ed evitando pregiudizio al cliente. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, determinato però in rapporto al risultato utile conseguito dal cliente (art. 2237 c.c.). Se invece l'esercizio della professione a distanza costituisce elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa, troveranno applicazione le disposizioni del Titolo II del libro V del codice civile (art. 2238 c.c.). Il telelavoro può infatti costituire l'oggetto di attività d'impresa quando consiste nell'esecuzione di un'opera o servizio nella cui economia l'organizzazione di mezzi e/o persone prevalga sul lavoro personale del soggetto obbligato, e quest'ultimo se ne assuma effettivamente il rischio economico. Il telelavoratore può essere un appaltatore-imprenditore che esercita la propria attività di fornitura di beni immateriali e/o servizi avvalendosi di strumenti informatici e telematici.86 86 Cfr. BOLZONI e MEJNARDI, cit. 399 In tal caso il soggetto obbligato deve qualificarsi come imprenditore e il contratto come appalto di opera o di servizio, collocandosi la fattispecie al di fuori dell'area del contratto di lavoro in senso stretto. Può porsi al massimo il problema della qualificabilità del contratto come appalto genuino o come appalto di mere prestazioni di manodopera, in quanto l'art. 1 della legge n. 1369 del 23 ottobre 1960 vieta alle imprese di far svolgere in appalto o subappalto l'esecuzione di semplici lavori, e vieta anche l'affidamento ad intermediari di lavori a cottimo. Le conseguenze sul piano dei rapporti di lavoro sono molto drastiche. I lavoratori del falso appaltatore sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'impresa che ha utilizzato effettivamente il loro lavoro. Una previsione simile a quella dei Wages Councils Act inglesi del 1979 secondo cui "deems the worker however recruited or paid, to be the employer of the headcontractor for all purposes". Analoga severità muove il legislatore francese a responsabilizzare l'imprenditore capo dell'impresa in caso di marchandage du travail e quello svedese che vieta il subappalto o forme di prestito o leasing di lavoratori (Act on illegal labor exchange del 1935-1942). Il principio ispiratore comune tende a valorizzare il lavoro effettivamente svolto, ad applicare il diritto protettivo del lavoro andando oltre la semplice esistenza di un contratto tipico del diritto del lavoro e a considerare tutte le possibili forme in cui si manifesta il rapporto economico e sociale di prestazione di opere.87 E' ad esempio il caso assai diffuso di contratti aventi per oggetto l'inserimento di informazioni in banche dati, oppure il loro trasferimento da supporto cartaceo a supporto magnetico, in quanto il servizio viene svolto interamente da personale dequalificato, collegato a distanza mediante videoterminali con il centro elaborazione dati del committente. Tuttavia nell'ultimo ventennio, al di là delle enunciazioni di principio, si è verificata la tendenza, sia in sede giurisprudenziale che amministrativa, a restringere l'ambito di applicazione del divieto d'appalto di mere prestazioni di manodopera. 87 Cfr. VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 1987, pp. 33-73. 400 Questo orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ha aperto ampi spazi alle operazioni di outsourcing, ovvero di esternalizzazione, della maggior parte delle funzioni di manovalanza informatica, mediante il loro affidamento in appalto a centri operativi satellite non direttamente dipendenti dall'impresa interessata ma con essa collegati a distanza.88 Abbiamo visto come il telelavoratore autonomo possa essere un prestatore d'opera, un libero professionista o un imprenditore, ma in ogni caso ciò che differenzia il telelavoro subordinato da quello autonomo è il suo esercizio alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro ovvero in autonomia. Il controllo sulla prestazione non viene esercitato ex nunc ma ex tunc, non viene cioè portato sulla prestazione lavorativa ma sul risultato della stessa. Nel primo caso si avrà sempre la fattispecie del lavoro subordinato, in quanto il prestatore di lavoro presta la propria attività lavorativa sotto il controllo continuo e secondo le direttive impartite dall'imprenditore che, a sua volta, è tenuto ad accettare e retribuire la prestazione lavorativa. Nel secondo caso invece, il telelavoro sarà qualificato come autonomo e, in relazione alle concrete modalità con le quali si esplica, ulteriormente distinto in contratto d'opera, contratto d’opera che ha per oggetto una prestazione meramente intellettuale o attività d'impresa. A questo punto si apre un nuovo motivo di discussione, ossia la qualificazione delle nuove professionalità che stanno emergendo proprio grazie alla possibilità di lavorare da postazioni remote. Sarà necessario un intervento del legislatore per disciplinare puntualmente le nuove fattispecie? oppure sarà più opportuno ricorrere ad un'interpretazione della disciplina esistente in modo da renderla applicabile alle nuove forme di accordo tra le parti? Si tratta di compiere uno sforzo di sintesi per poter continuare a contemperare i principi di flessibilità ed articolazione del lavoro tipici del nostro ordinamento con la massima tutela possibile dei telelavoratori. Fino ad oggi tale compito è stato appannaggio più della contrattazione collettiva che del legislatore, il che lascia quindi irrisolto il problema della tutela dei telelavoratori autonomi.89 88 89 Cfr. ICHINO, cit. Cfr. LA MONICA, Telelavoro: prospettive e problematiche, Diritto & pratica del lavoro, n. 46, 1996, pp. 3273-3276. 401 6.5. IL CONTROLLO A DISTANZA La disciplina del rapporto di telelavoro necessita di un giusto equilibrio tra poteri informatici del datore di lavoro e diritti fondamentali del lavoratore. È noto infatti che lo strumento informatico e/o telematico può permettere un controllo a distanza assiduo dell'attività lavorativa, addirittura in tempo reale, per cui i controlli del datore di lavoro possono rivelarsi molto più sofisticati, occulti e penetranti di quelli tipici del lavoro tradizionale. Le preoccupazioni connesse a tale controllo investono alcuni diritti fondamentali dell'individuo, a partire dal diritto all'inviolabilità del domicilio per giungere a quello della segretezza della corrispondenza o a quello alla riservatezza. Date queste premesse emerge una maggiore esigenza di tutela della dignità e della riservatezza del telelavoratore. Sotto il profilo della disciplina applicabile al rapporto di telelavoro la questione riguarda essenzialmente l'applicabilità degli articoli 4 e 8 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, il cosiddetto “Statuto dei lavoratori”, espressamente richiamati dagli articoli 113 e 114 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.90 In passato vi furono dei contrasti sul punto, in quanto una tesi propendeva per la non applicazione dell'art. 4 al controllo tramite elaboratori elettronici, mentre altra dottrina forniva una lettura evolutiva della norma, includendo nella sorveglianza vietata anche quella a distanza nel tempo e nello spazio.91 Grazie ai recenti sviluppi tecnologici questo tipo di controllo si è sempre più affrancato dal vincolo spaziale, in quanto il telelavoratore può rimanere in collegamento telematico con il datore di lavoro praticamente da ogni luogo e non solo più dalla propria abitazione. 90 Cfr. Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali (G.U. n. 174 del 29 luglio 2003 - s.o. n. 123). 91 Cfr. CESTER, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, in: Diritto del lavoro, commentario diretto da Franco Carinci, vol. II, UTET editore, Torino, 1998. 402 Essendo ormai pacifico che le ordinarie funzioni di controllo datoriale naturalmente inerenti il rapporto di lavoro subordinato possono essere espletate anche per via telematica, occorrerà tenere nel dovuto conto quanto stabilito dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, circa l'esercizio dei poteri di controllo gerarchico.92 Ci dice l'art. 4 che gli impianti e le apparecchiature dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere utilizzati solo quando la loro attivazione sia richiesta da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali. Tale disposizione venne emanata quando la scienza informatica e la sua diffusione erano agli albori e stabilisce che il controllo debba essere solo accidentale o preterintenzionale, con la conseguenza che non possono essere assunti a base dei provvedimenti disciplinari i fatti accertati, o comunque rilevati, per mezzo dell'impianto di controllo.93 Quello che la norma vieta non è quindi il controllo sull’operato del lavoratore, ma solo l’abuso di tale controllo, ossia quello che non sia strettamente necessario ai fini della produzione e della sicurezza sul lavoro. Occorre sempre verificare se il controllo esercitato per il tramite dei mezzi informatici sia intenzionale, e quindi vietato, oppure preterintenzionale, e quindi ammesso con le garanzie di cui 92 Cfr. Legge 20 maggio 1970, n. 300 (G.U. 27.05.1970, n. 131), Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 4 Impianti audiovisivi - E' vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondono alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti. Contro i provvedimenti dell'Ispettorato dei lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale. 93 Cfr. Ispettorato del lavoro Alessandria, 16 aprile 1977, in “Or.giur.lav.” 1977, 412, citata da MIELI, Privacy, controlli e tutela dei lavoratori: implicazioni nell’e-learning, Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, n. 7, 2002, pp. 418-422. 403 all’art. 4, secondo il quale gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive e dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali. Il controllo che eventualmente avviene nel corso del rapporto di telelavoro deve pertanto essere considerato funzionale allo svolgimento del rapporto stesso e deve essere richiesto da esigenze organizzative. Del resto il potere di controllo è intrinseco alla stessa attività telelavorativa poiché inserito nel software utilizzato dal lavoratore nello svolgimento della prestazione. Non è però da condividersi la tesi secondo cui tali strumenti, per le loro stesse caratteristiche, giustifichino controlli a tutto campo sull’operato dei dipendenti. Infatti tale tipologia di controllo è particolarmente subdola e penetrante perché il computer è in grado di controllare in ogni momento la prestazione lavorativa dei dipendenti, senza contare il fatto che il datore di lavoro ha la possibilità di effettuare controlli occulti inserendosi nella linea telematica del lavoratore. Si rende necessario valutare caso per caso la legittimità dei controlli a distanza, anche se in modo consono alle nuove realtà e tenendo conto tra l'altro che il concetto di distanza, contenuto nella norma in esame, può essere riferito non solo al controllo spaziale, ma anche a quello temporale, cioè a quel tipo di controllo che si realizza mediante la memoria del computer. La legittimità dei controlli può essere garantita soltanto attraverso gli accordi collettivi che impongano al datore di lavoro di fare in modo che la linea telematica adoperata dal lavoratore sia protetta dalle intrusioni altrui (ad esempio utilizzando una semplice password), come pure che la registrazione dell’attività ed il suo eventuale utilizzo per qualsiasi ragione, e quindi anche a fini disciplinari, debba essere gestita con il controllo e/o l’autorizzazione del rappresentante sindacale aziendale.94 94 Cfr. GIUGNI, E’ necessario, subito un altro (tele)statuto, Telèma, 2, autunno 1995, pp. 46-48. 404 Peraltro è bene sottolineare come l'accordo sindacale non possa in nessun caso desumersi dal mero uso incontestato delle apparecchiature, anche se da parte di un gran numero di lavoratori e per un periodo di tempo consistente. Poiché il bene tutelato dalla norma, seppur non indicato specificamente, è individuabile nella dignità della persona del lavoratore e nel diritto dello stesso alla riservatezza del luogo di lavoro, la tutela risulta essere molto forte, così la violazione del precetto è punita penalmente ex art. 38 della legge n. 300 del 1970.95 Salvo che il fatto non costituisca più grave reato il controllo illecito viene sanzionato con l'ammenda da lire trecentomila a lire tre milioni o con l'arresto da quindici giorni ad un anno, prevedendosi nei casi più gravi che le pene dell'arresto e dell'ammenda siano applicate congiuntamente. Inoltre, quando per le condizioni economiche del reo l'ammenda si presuma inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha la facoltà di aumentarla fino al quintuplo. La sanzione penale tuttavia ha fatto sì che molti ritenessero insuscettibile di interpretazioni analogiche il divieto di cui all'art.4. E' comunque possibile far riferimento ad alcune decisioni giurisprudenziali particolarmente rilevanti e ancora di attualità ancorché risalenti nel tempo, in quanto affrontano il tema del controllo a distanza a mezzo di elaboratori elettronici. Tali sentenze, prendendo le mosse dalla considerazione che gli elaboratori sono costituiti da macchine (hardware) e da istruzioni (software) e che il funzionamento delle macchine dipende dalle istruzioni, affermano che la potenzialità del controllo oggetto del divieto in questione va verificata di volta in volta, avendo riguardo alle istruzioni concretamente date alla macchina e non alla potenzialità astratta della macchina stessa. In base a ciò si è ritenuta legittima l'installazione di un sistema elettronico di comunicazione utilizzato e programmato come semplice chiave per l'apertura delle porte di determinate aree aziendali.96 Al contrario venne ritenuto illegittimo il programma operante su un elaboratore 95 In realtà la sanzione è oggi prevista dall'art. 171 del citato Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196: La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 e' punita con le sanzioni di cui all'articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300. 96 Cfr. Pret. Pen. Milano, 2 luglio 1981, in “Or.giur.lav.” 1984, 679, citata da MIELI, ibidem. 405 elettronico utilizzato in modo da riportare settimanalmente numerosi dati che consentivano di ottenere un quadro estremamente analitico dei tempi e delle modalità di svolgimento della prestazione dei dipendenti che utilizzavano l'elaboratore. In questo caso si è precisato che per l'applicabilità dell'art. 4 è sufficiente accertare che il sistema sia stato programmato in modo tale da consentire il controllo sull'attività del lavoratore, non rilevando la circostanza che il lavoratore non venga effettivamente controllato.97 Sulla base di tali precedenti giurisprudenziali la contrattazione collettiva non ha mai trascurato di disciplinare con precisione le modalità del controllo a distanza dell'attività svolta dai lavoratori quando si è trattato di sperimentare ed introdurre il telelavoro. In questo modo si è sempre stabilito che tutte le analisi ed i rapporti sulla produttività derivanti dal controllo a distanza dei singoli lavoratori a mezzo di sistemi telematici, non costituiscono violazione dell'art. 4 della legge n. 300 del 1970 e delle norme contrattuali in vigore, in quanto necessari e funzionali allo svolgimento del rapporto di lavoro.98 L'ammissibilità del controllo a distanza sulle teleprestazioni è quindi reperibile in molti accordi tra cui, ad esempio, quello dell'azienda Dun & Bradstreet Kosmos nel quale le parti hanno convenuto che “analisi e rapporti su produttività e qualità in capo al singolo lavoratore, raccolte a mezzo di sistemi informatici e telematici non costituiscono violazione dell'art. 4 della legge n. 300/1970 e delle norme contrattuali in vigore, in quanto funzionali allo svolgimento del rapporto”.99 O ancora nell'accordo interconfederale sul telelavoro subordinato, raggiunto fra Confcommercio e sindacati nel 1997, in cui si legge in modo del tutto simile che “le parti convengono che i dati raccolti per la valutazione sulle prestazioni del singolo lavoratore, anche a mezzo di sistemi informatici e/o telematici, non costituiscono violazione dell’art. 4 della legge n. 300/1970 e delle norme contrattuali in vigore, in quanto funzionali allo svolgimento del rapporto”. 97 Cfr. Pret. Milano, 5 dicembre 1984, citata da MIELI, ibidem Cfr. CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997, pp. 162. 99 Cfr. CASSANO e LOPATRIELLO, Il telelavoro: prime esperienze, inquadramento giuridico e contrattazione collettiva, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 2000, pp. 135-198. 98 406 Tuttavia le parti in questo caso hanno precisato che “l’azienda è tenuta ad illustrare preventivamente al telelavoratore le modalità di funzionamento e le eventuali variazioni di software di valutazione del lavoro svolto, in modo di garantire la trasparenza dei controlli”.100 Oggi tutto ciò non viene più messo in discussione, risultando perfino superflui i richiami da parte della norma pattizia. Infatti con il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il legislatore ha voluto estendere in modo esplicito il divieto di controllo a distanza anche al telelavoro.101 Lo stesso decreto delegato tiene fermo anche quanto disposto dall'art. 8 dello Statuto dei lavoratori, ossia il divieto di indagini sulle opinioni, il che riguarda il telelavoro soprattutto laddove si vieta l'indagine sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.102 La previsione tutela evidentemente la riservatezza del telelavoratore nella sua accezione più ampia. Senza essere stato a suo tempo pensato come un principio di regolamentazione giuridica relativo al telelavoro, esso ben gli si adatta. Infatti lo stesso principio formulato in altri termini (“il mutamento tecnologico deve essere contrattato”), è stato affermato e riconosciuto nel rapporto presentato al consiglio generale del congresso delle Trade Unions tenutosi nel 1979.103 Rispetto all'art. 8 dello Statuto dei lavoratori la dottrina ha sempre discusso su quale fosse l'ambito di legittimità delle indagini effettuate dal datore di lavoro, in bilico fra diritto alla riservatezza del lavoratore e diritto alla segretezza dei dati aziendali. 100 Cfr. Accordo interconfederale sul telelavoro subordinato fra Confcommercio e FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTUCS-UIL, sottoscritto il 20 giugno 1997. 101 Cfr. Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, CAPO III “Divieto di controllo a distanza e telelavoro”, art. 114 “Controllo a distanza”: 1. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300. 102 Cfr. Legge 20 maggio 1970, n. 300 (G.U. 27.05.1970, n. 131), Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 8 – Divieto di indagini sulle opinioni - E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore. 103 Cfr. FROSINI, Burocrazia migliore? Sì, con il computer, Telèma, n. 2, autunno 1995. 407 Sul tema è più volte intervenuto anche il Garante per la protezione dei dati personali che, rispetto all'uso di strumenti informatici nell'ambito del rapporto di lavoro, ha affrontato la questione relativa alla diffusione di messaggi attraverso la rete informatica.104 Il caso in oggetto riguardava lo scambio di messaggi tra i dipendenti di una struttura pubblica attraverso una mailing list, ossia un servizio di indirizzario automatico che consentiva la trasmissione a più persone di comunicazioni su argomenti di interesse comune. La mailing list era stata costituita su iniziativa di alcuni dipendenti e si avvaleva dei mezzi e degli strumenti messi a disposizione dal datore di lavoro. Il Garante per la protezione dei dati personali muovendo dall'art. 15 della Costituzione che sancisce l'inviolabilità e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, ha fatto presente che la posta elettronica va tutelata alla stregua della corrispondenza epistolare. Ne consegue che ai medesimi messaggi si applicano le stesse previsioni normative stabilite per la posta ordinaria, ivi comprese quelle di carattere penale (artt. 616 e 618 c.p.). Da quanto deciso dal Garante è conseguita sul piano operativo l'opportunità per le aziende di regolamentare l'accesso e l'utilizzo del proprio sistema di posta elettronica, stabilendo in particolare se tale sistema è limitato allo scambio esclusivo di messaggi inerenti lo svolgimento dell'attività lavorativa o se, viceversa, il sistema stesso possa eventualmente essere utilizzato dai dipendenti anche per motivi extra lavorativi. Il Garante ha anche preso in esame, più in generale, il fenomeno della messa a disposizione da parte delle aziende di computer abilitati all'accesso all'Internet. Si è posto in particolare il problema dei limiti alla facoltà del lavoratore di utilizzare tale strumento e conseguentemente dei confini alla facoltà del datore di monitorare, o meglio controllare, modalità e tempi di utilizzo. Al riguardo va rilevato che il computer fornito in dotazione al telelavoratore dipendente dalla propria azienda non può che essere visto alla stregua di uno strumento di lavoro, facente parte del 104 Cfr. Comunicato stampa n. 23 del 12 luglio 1999, in “Bollettino del Garante per la protezione dei dati personali. Cittadini e società dell’informazione” anno III, n. 9, pag. 96. 408 patrimonio dell'impresa, mentre è indiscutibile il diritto del datore a controllare l'attività di lavoro del personale come visto più sopra. In proposito il Garante ha affermato in via di principio “l'illegittimità di ogni trattamento invisibile in rete e di ogni pretesa di sottrarre al controllo degli interessati il complesso dei trattamenti che riguardano i loro dati personali”. Oltre all'art. 15 della Costituzione, che garantisce la libertà e segretezza delle comunicazioni personali, vengono richiamati anche gli articoli 4 e 8 dello statuto dei lavoratori, con i conseguenti profili di ordine penale, perché il monitoraggio da parte dell'azienda della navigazione del lavoratore nei vari siti Internet può fornire, a chi lo effettua, delle precise indicazioni sulle caratteristiche della personalità del lavoratore stesso. Sul piano pratico l'Autorità garante, dopo aver riaffermato il potere di controllo del datore di lavoro e ribadita la circostanza che il computer è uno strumento di lavoro e dunque il suo utilizzo deve essere vincolato, ha messo in evidenza alcune accortezze che, contemperando i diritti dei soggetti interessati, consentono di evitare la violazione delle disposizioni sopra richiamate. L'azienda deve innanzitutto informare preventivamente i dipendenti dell'esistenza di una forma di controllo e di un'eventuale registrazione dei dati e può comunque, sempre previa informativa, bloccare l'accesso a determinati siti, precisando in tal caso se la registrazione effettuata si estende anche all'eventuale tentativo di ingresso ai predetti siti interdetti. La necessità di rendere nota al lavoratore la decisione aziendale di controllare i messaggi è stata poi evidenziata anche dalla dottrina, la quale ha osservato come solo a tali condizioni la sorveglianza elettronica possa essere ritenuta giustificata e non arbitraria.105 Su un quadro così definito si è infine innestata la previsione dell'articolo 115 del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, il Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo la quale “nell'ambito del rapporto di lavoro domestico e del telelavoro il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale”. 105 Cfr. CIACCI, Internet e diritto alla riservatezza, in “Riv. Trim. dir. e proc. Civ.” 1999, 233, citato da MIELI, Privacy, controlli e tutela dei lavoratori: implicazioni nell’e-learning, Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, n. 7, 2002, pp. 418-422. 409 Oggi pertanto tutti i telelavoratori sono tutelati nei confronti delle intrusioni informatiche dei datori di lavoro che siano potenzialmente in grado di rivelarne la personalità. Ma poiché le nuove forme di telelavoro hanno assunto via via caratteristiche sempre più originali e hanno riguardato livelli di professionalità completamente diversi da quelli tradizionali, le previsioni richiamabili in tema di controllo spaziano dai principi indicati dalla Costituzione, allo statuto dei lavoratori, all'articolo 2087 del codice civile106 e al diritto alla riservatezza.107 106 Cfr. l'articolo 2087 del codice civile, Tutela delle conduzioni di lavoro: L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. 107 Cfr. POMPEI, Telelavoro: un interessante applicazione, Diritto & pratica del lavoro, n. 35, 1996, pp. 2469- 2472. 410 6.6. ULTERIORI ASPETTI GIUSLAVORISTICI Uno dei miti creati dall'impatto delle nuove tecnologie sul mondo del lavoro è rappresentato dal cosiddetto licenziamento tecnologico. L’estinzione del rapporto di lavoro è la più incisiva espressione del potere imprenditoriale di effettuare una scelta organizzativa radicale, consistente nel liberarsi di forza lavoro eccedente e non più compatibile con esigenze di carattere strutturale. Il contratto di lavoro qui perde la funzione originaria che rende prevedibili e calcolabili per le parti le operazioni economiche e mostra la sua natura di simulacro che cela il reale squilibrio di potere tra capitale e lavoro, ancor più sbilanciato quando si tratti di telelavoratori dipendenti, magari operanti in nazioni in cui le tutele siano minime. Gli accordi sindacali stipulati nel corso degli anni hanno richiamato i principi generali in tema di tutela del rapporto di lavoro, assicurando quantomeno la stabilità del posto di lavoro a chi accetta di svolgere tale particolare tipo di attività. Tra gli aspetti di maggior rilievo nel campo della disciplina del licenziamento vi è in primo luogo quello che attiene alla dimensione numerica, al fine di determinare il regime di tutela applicabile al rapporto con le conseguenze di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 20 maggio 1970.108 Il problema si pone innanzitutto con riferimento al concetto di "unità produttiva". Per quanto riguarda il limite numerico dei sessanta dipendenti, come numero complessivo di dipendenti occupati presso lo stesso datore di lavoro, il calcolo è presto fatto, nel senso cioè che in tale numero andranno certamente computati anche i telelavoratori quali lavoratori subordinati. È invece diverso il discorso per quanto attiene al limite numerico di lavoratori addetti alla stessa "unità produttiva". In tale ipotesi occorre accertare se chi lavora a distanza possa essere 108 Cfr. art. 18 Reintegrazione nel posto di lavoro della legge 20 maggio 1970, n. 300 "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" (G.U. n. 131 del 27 maggio 1970) 411 considerato quale unità produttiva autonoma e a sé stante oppure se il telelavoratore debba essere considerato quale lavoratore esterno all'unità produttiva, poiché opera pur sempre nell'interesse dell'azienda datrice di lavoro, perseguendo fini strumentali all'impresa. Anche alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale alcuni autori propendono per questa seconda ipotesi.109 Ancora diversa si presenta la situazione per i telelavoratori a domicilio in quanto il loro rapporto di lavoro è regolamentato dalla particolare disciplina prevista per tale tipologia di lavoro che, come è noto, non prevede alcuna forma di tutela in caso di licenziamento. Il problema non è di facile soluzione, come risulta anche dal contrastante orientamento giurisprudenziale sul punto. La giurisprudenza di merito ha assunto posizioni contrastanti, mentre quella di legittimità ha sostenuto l’inapplicabilità delle norme in tema di estinzione del rapporto di lavoro subordinato al lavoro a domicilio, a meno che, per accordo tra le parti o per le concrete modalità del suo svolgimento lo stesso abbia ad oggetto una "qualificata e ragionevole continuità di prestazioni lavorative" "tale da renderlo meritevole di quella relativa stabilità assicurata all'ordinario rapporto di lavoro subordinato".110 La possibile precarietà del rapporto non esclude quindi che lo stesso si attui in concreto con modalità tali da conferirgli una continuità qualificata e ragionevole, e da renderlo pienamente assoggettabile anche alla disciplina limitativa del potere di recesso del datore di lavoro, giusta la previsione dell’art. 11 comma 2 della legge n. 877 del 1973, concernente l’affidamento di una quantità di lavoro atta a procurare al lavoratore a domicilio una prestazione continuativa corrispondente all’orario normale di lavoro.111 In quest'ultima ipotesi il Supremo Collegio ritiene che le norme sui licenziamenti individuali siano applicabili anche nei confronti del lavoratore a domicilio, a condizione che il rapporto di lavoro sia appunto caratterizzato da una continuità qualificata e ragionevole. 109 Cfr. TRIFIRO et al., La disciplina del licenziamento nel telelavoro, in “Le soluzioni degli esperti”, Diritto & pratica del lavoro, n. 32, 2000, p. 2304. 110 Cfr. Corte Suprema di cassazione, sentenza 17 marzo 1981, n. 1750 e sentenza 22 gennaio 1987, n. 615. 111 Cfr. legge n. 877 del 18 dicembre 1973 "Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio" (G.U. n. 5 del 5 gennaio 1974) 412 La Corte di Cassazione individua quindi due possibili criteri per valutare l'applicabilità delle richiamate disposizioni ai lavoratori a domicilio: l'accordo delle parti o il concreto svolgimento del rapporto in forma continuativa. Quest'ultimo aspetto è però valutabile solo ex post attraverso un'analisi dell'effettivo comporttamento delle parti. Non è pertanto sufficiente, al fine di estendere la normativa sui licenziamenti individuali ai telelavoratori inquadrabili nella fattispecie del lavoro a domicilio, che l'imprenditore si impegni in contratto ad assicurare un carico di lavoro continuo. Ed invero la Suprema Corte ha giustificato l'applicabilità della disciplina di tutela in caso di licenziamento soltanto laddove il rapporto si caratterizzi in concreto per una certa continuità della prestazione, sia essa preventivamente concordata tra le parti o no. E' di tutta evidenza che le parti, in sede di accordo aziendale, possano decidere di rinviare espressamente alla normativa che garantisce la maggior tutela, e ciò anche in deroga ai principi giurisprudenziali eventualmente contrari. Nel telelavoro domiciliare il licenziamento è tuttavia un evento che resta ancora in gran parte in balia delle incursioni delle imprese. Sul piano del rapporto individuale la facoltà dell'impresa di licenziare viene limitata dall'indicazione dei motivi ragionevoli o giustificati che sono necessari per rendere legittimo il licenziamento causato dalla condotta del lavoratore, ed un'ulteriore limitazione è insita nel principio della reintegrazione. È però opinione di alcuni studiosi che ci si stia allontanando da una concezione del contratto di lavoro come fonte che assicuri la ownership of job teorizzata da F. Meyers. Non solo il diritto al posto non è un diritto reale ma la società tecnologica tende ad accentuare la debolezza della tutela contro il licenziamento. La legge esistente s'ispira al principio dell'imprenditore herr in hause ed il destino del lavoratore è quello di essere considerato superfluo se la nuova tecnologia lo impone. Il problema si sposta allora verso la conoscenza delle formule esistenti a protezione dei licenziamenti dovuti a 413 fattori oggettivi ma non determinati da colpa del lavoratore, e chiedersi se esse siano adattabili al cosiddetto licenziamento tecnologico.112 Un altro tema che merita di essere ricordato per la sua ipotetica incompatibilità con il telelavoro è rappresentato dal divieto di trasferimento del lavoratore da un’unità produttiva ad un’altra. Nel rapporto di lavoro subordinato il luogo di adempimento della prestazione esprime una delle modalità di esecuzione dell'obbligazione, la cui determinazione è riservata in via esclusiva al datore di lavoro quale espressione discrezionale e vincolante del suo potere direttivo ed organizzativo. A tale potere è riconducibile anche la facoltà di modificare, nel corso dello svolgimento del rapporto, il luogo di esecuzione della prestazione. L'art. 13 della legge n. 300 del 1970, novellando l'art. 2103 del codice civile, ha però introdotto dei limiti specifici al potere dell'imprenditore di disporre, nel corso del rapporto, il trasferimento dei lavoratori da un'unità produttiva ad un'altra. Questo potere può essere legittimamente esercitato solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. In relazione al telelavoro il divieto di cui al citato art. 2103 c.c. conserverebbe quindi la sua efficacia dispositiva qualora il telelavoratore fosse considerato un'unità produttiva a sé stante. In tal caso il trasferimento della postazione di lavoro dalla sede aziendale al domicilio del lavoratore, disposto unilateralmente dal datore di lavoro, sarebbe legittimo solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ma poiché il telelavoratore non può essere considerato un'unità produttiva autonoma, per esso è totalmente inapplicabile il divieto di cui si tratta. Tuttavia nella più generale nozione di trasferimento si fa rientrare ogni mutamento geografico della sede o della zona di lavoro, per cui il divieto di cui all'art. 2103 c.c. dovrebbe essere applicato anche al telelavoratore, dal momento che il trasferimento della postazione di lavoro presso il suo domicilio costituirebbe uno spostamento geografico del luogo di lavoro, a meno che ciò non 112 Per un'ampia e dettagliata panoramica sul problema in ambito europeo Cfr. VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 1987, pp. 33-73. 414 avvenga con il consenso effettivo dello stesso lavoratore o dietro sua richiesta, in modo tale da non costituire attuazione unilaterale della volontà del datore di lavoro. Ed in effetti questo è ciò che è avvenuto con la sottoscrizione degli accordi collettivi sul telelavoro, nei quali l'adesione alle forme sperimentali di telelavoro è avvenuta costantemente su base volontaria e sempre in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Il problema dell’unità produttiva emerge anche in relazione alla determinazione della competenza territoriale delle controversie di lavoro. Ed infatti si discute se il luogo in cui viene resa la prestazione sia il domicilio in cui il lavoratore materialmente espleta la propria attività, oppure sia la dipendenza dell’azienda presso cui il medesimo risulta in organico. Un'impostazione ancora diversa è poi quella secondo cui il luogo ove viene resa la prestazione assume importanza, ai fini della determinazione della competenza territoriale, solo ove la prestazione sia collegata ad una vera e propria dipendenza dell’azienda, con la conseguenza che se il lavoratore non è addetto ad alcuna dipendenza può assumere rilievo ai predetti fini anche il luogo di conclusione del contratto. Di conseguenza la sede sociale potrebbe assumere un rilievo determinante in tema di prestazione lavorativa resa dal telelavoratore presso il proprio domicilio.113 Tuttavia la tesi più accreditata, e che meglio risponde alle esigenze di tutela del telelavoratore, è quella che individua il foro competente nel luogo in cui si trova l’abitazione del lavoratore, qualora presso la stessa sia rinvenibile quel minimo di beni aziendali necessari alla prestazione lavorativa. A queste condizioni minime la dipendenza aziendale coincide con l’abitazione del prestatore di lavoro presso la quale si trovano l’autovettura, la modulistica ed il computer aziendali, ed il telelavoratore potrà allora instaurare un'eventuale controversia presso il giudice del luogo in cui risiede.114 Questa interpretazione della giurisprudenza di legittimità non fa altro che confermare la validità della scelta di estendere ai telelavoratori subordinati, anche se a domicilio, l'applicazione della maggior parte delle norme di tutela di cui godono i lavoratori tradizionali. 113 114 Cfr. Corte Suprema di cassazione, Sezione lavoro, sentenza 14 ottobre 1999, n. 11586. Cfr. Corte Suprema di cassazione, Sezione civile, sentenza 5 giugno 2000, n. 7489. 415 Quindi anche l’attività sindacale viene equiparata a quella svolta in azienda, partendo dal presupposto che non rileva il fatto che i lavoratori si trovino ad esplicare la propria attività negli uffici aziendali o altrove. E non poteva essere diversamente, visto che le leggi applicabili, in particolare la n. 300 del 1970, hanno visto la luce in un momento in cui di telelavoro non si era ancora sentito parlare. Pertanto, ferma restando l’applicabilità di tali norme ai telelavoratori, si tratta di vedere come queste possano effettivamente trovare applicazione. Ad esempio, al fine di assicurare la piena partecipazione dei telelavoratori alla attività sindacali che si svolgono nei locali aziendali, è necessario mettere in grado le organizzazioni sindacali di comunicare con i lavoratori esterni. Questo per quanto concerne il telelavoro può avvenire tramite il computer collegato alla rete aziendale che diventa in questo modo una vera e propria bacheca sindacale, secondo quanto stabilito dallo statuto dei lavoratori.115 Infatti l’accessibilità di cui parla l’art. 25 della legge n. 300 va intesa non come mera possibilità che tutti i lavoratori si rechino fisicamente in un determinato posto a leggere le notizie sindacali, ma come criterio di scelta di un luogo nel quale effettivamente i lavoratori si rechino. Per i telelavoratori tale luogo può ben coincidere con il proprio domicilio e quindi lo spazio aziendale destinato all’uso indicato non può che essere il personal computer con il quale lavorano. E’ più arduo invece garantire ai telelavoratori il completo godimento dei diritti di cui agli artt. 20 e 21 dello Statuto dei lavoratori e cioè il diritto di assemblea e il diritto di svolgere referendum. Per l’effettivo esercizio di tali diritti è necessaria la fattiva collaborazione dell’imprenditore che deve mettere a disposizione i locali e l’accesso agli stessi. Per quanto qui interessa, cioè l’esercizio di tali diritti sindacali da parte del telelavoratore, il problema si può risolvere con il consentire al telelavoratore di abbandonare la postazione per raggiungere i locali aziendali in cui si svolgono le suddette attività. 115 Cfr. legge n. 300 del 20 maggio 1970, art. 25 "Diritto di affissione": Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro. 416 Riguardo al diritto di assemblea si pone poi l’ulteriore problema della retribuzione del tempo impiegato dal telelavoratore per raggiungere i locali aziendali, problema che non sussiste per il diritto a svolgere referendum che si deve tenere sempre nel contesto aziendale ma al di fuori dall’orario di lavoro. Com'è noto l’art. 20 dello Statuto dei lavoratori garantisce ai lavoratori il diritto di riunirsi durante l’orario di lavoro nel limite massimo di dieci ore annue consentendo agli stessi di partecipare ad assemblee anche al di fuori dell’orario di lavoro. Ci si chiede quindi se il tempo necessario al telelavoratore per raggiungere il luogo di svolgimento dell’assemblea debba essere computato nel limite delle dieci ore annue oppure se debba essere retribuito separatamente. Nel primo caso la posizione del telelavoratore risulterebbe penalizzata rispetto a quella dei suoi colleghi che svolgono il proprio lavoro in ufficio, perché le ore da dedicare effettivamente alle attività assembleari diventerebbero sicuramente meno di dieci. A tale riguardo nulla è stato stabilito negli accordi di sperimentazione che si sono esaminati, rendendo auspicabile per il futuro una previsione ad hoc. Occorre poi prendere in considerazione anche l’ipotesi di quei telelavoratori che si trovino a notevole distanza dai locali aziendali, per i quali risulta quindi poco agevole l’esercizio dei diritti in parola. In tali casi il computer potrebbe essere adoperato anche per l’esercizio di queste attività sindacali, potendosi svolgere assemblee sindacali, referendum e persino l’elezione di r.s.a. tramite lo strumento di lavoro del videoterminale. Va infine ricordato come un limite alla costituzione di rapporti di telelavoro subordinato è rinvenibile nella nostra legislazione per i cosiddetti contratti formativi di apprendistato e di formazione e lavoro. Secondo alcuni autori questi istituti sono difficilmente realizzabili perché prevedono un affiancamento fisico con un tutore ed un addestramento teorico-pratico che mal si conciliano, al momento, con le modalità di esecuzione del telelavoro. Al più si potrebbe ipotizzare 417 un loro effettivo utilizzo in particolari situazioni quali quelle che si verificano nei telecentri, dove si ha la presenza contemporanea di più telelavoratori.116 116 Cfr. MASSI, Il telelavoro tra P.A. e settore privato: problemi e prospettive, Diritto & pratica del lavoro, n. 19, 1999, pp. 1285-1289. 418 CAPITOLO VII IL FUTURO DEL TELELAVORO. SOMMARIO: - 1. Prospettive. – 2. Le aspettative del settore. – 3. Il ruolo dei formanti del diritto. – 3.1. I possibili interventi dei legislatori. 7.1. PROSPETTIVE Da sempre la diffusione della conoscenza è la fonte principale della crescita economica e tecnologica, a partire dalla rivoluzione agricola, passando per la rivoluzione industriale, fino ai nostri giorni. Il recente sviluppo delle tecnologie telematiche rappresenta un punto di rottura sostanziale rispetto al passato, grazie alla possibilità di trasmettere a grandi distanze e a bassi costi un'enorme quantità di informazioni, facilitando così la diffusione della conoscenza ed accelerando la spinta verso un'economia basata proprio sulle conoscenze. Nel 1990 il film di Wim Wenders “Oltre i confini del mondo” prospettava un futuro prossimo pervaso dai videotelefoni e da automobili dotate di sistemi di guida con navigatori satellitari. Ciò che era solamente un'ipotesi di futuro possibile oggi è già realtà quotidiana per gli abitanti dei paesi più industrializzati del globo terrestre. In un futuro molto prossimo è ipotizzabile che chirurghi di fama mondiale abbiano la possibilità di operare a distanza per mezzo di appositi strumenti detti telemanipolatori, mettendo così a disposizione di tutti la loro competenza e la loro abilità. Le previsioni non si sono invece realizzate per il telelavoro, che nell’ultimo decennio del XX secolo era pronosticato come la più diffusa forma di lavoro all’alba del terzo millennio. 419 Da quanto si è esposto emerge in modo piuttosto netto che il telelavoro, in sé e per sé, oggi non viene più invocato come la panacea per la riorganizzazione strutturale delle grandi città, tuttavia le molte sperimentazioni condotte in questi anni hanno dimostrato che esso può contribuire in modo sensibile al riequilibrio dell'assetto urbano, soprattutto come elemento cardine per risolvere l'annoso problema della localizzazione delle sedi di lavoro in rapporto ai luoghi di residenza dei lavoratori. Il telelavoro potrà quindi contribuire a rendere non più indispensabile il massiccio ricorso allo spostamento delle sedi aziendali, siano esse private o pubbliche, nelle zone periferiche delle città, riducendo inoltre in modo drastico il fenomeno del pendolarismo urbano. L'introduzione del telelavoro ha condotto, ed in parte può ancora condurre, al raggiungimento contemporaneo di due obiettivi: da un lato confermare il ruolo vitale dei centri storici e comunque dei centri direzionali tradizionali, evitando di trasformarli in quartieri museo se non addirittura in quartieri degradati in quanto destinati all'abbandono; dall'altro lato riqualificare il ruolo delle zone periferiche residenziali, non più viste solo come quartieri dormitorio, ma consentendovi una più continua ed intensa permanenza degli abitanti. Queste considerazioni sugli effetti del telelavoro possono estendersi per analogia anche ai piccoli centri di provincia, che ogni giorno si spopolano per effetto del pendolarismo verso i centri urbani di dimensioni maggiori. Su di un piano strettamente progettuale, per assicurare un processo di sviluppo equilibrato, bisogna al tempo stesso promuovere un’edilizia residenziale che tenga conto delle necessità infrastrutturali del telelavoro e creare nell'ambito del settore produttivo terziario dei telecentri di servizio, i quali fungano da intermediari logistici tra casa ed ufficio.1 Ma il riflesso sullo sviluppo urbano prossimo venturo è solo una delle molte conseguenze che l’avanzata del telelavoro può sortire. Proprio il fatto che si tratti di un settore in rapido mutamento, 1 Per una rassegna sulle principali prospettive in campo edilizio offerte dal telelavoro Cfr LASSANDRO, Il telelavoro nella residenza e nel terziario, Gangemi editore, Roma, 1999. 420 rende quanto mai pressante arrivare a chiarirne gli obiettivi, cioè a definire in concreto ciò che ci si aspetta oggi dal telelavoro, anche se si tratta di un compito tutt’altro che facile. Per questo motivo sono state elaborate propedeuticamente delle previsioni sulla possibile diffusione futura del telelavoro, non solo in relazione allo sviluppo tecnologico ma anche sociale. Uno di questi studi ha avuto come riferimento geografico l’area metropolitana milanese, fortemente caratterizzata da un gran numero di lavoratori nel settore delle nuove tecnologie e da un intenso utilizzo di queste ultime, con lo scopo dichiarato di creare una base conoscitiva per poter valutare il futuro impatto del telelavoro su tutta l’area. Al termine dell'indagine è stata formulata una previsione secondo la quale entro il 2009 ci sarà un numero di telelavoratori compreso tra i sessantamila ed i centoventimila.2 Queste cifre sono il risultato delle molteplici aspettative che, pur contraddistinte da motivazioni contrastanti se non opposte, il telelavoro dispiega sia nei confronti della classe imprenditoriale sia nei confronti dei lavoratori. Abbiamo ripetutamente osservato, come dato di fatto ormai consolidato, che questa innovativa soluzione per l'impiego permette di ridurre i costi per le aziende, di incrementare la flessibilità del lavoro, di gratificare maggiormente i lavoratori, di avvicinare al mondo del lavoro particolari categorie come i diversamente abili. Tutte queste opportunità sono lì che aspettano di essere sfruttate, rendendo possibile una sostanziale modificazione dell'assetto occupazionale, e di conseguenza economico, su scala mondiale. Ma i sindacati hanno già lanciato numerosi segnali d’allarme, preoccupati dal fatto che le nuove scoperte e i sistemi di comunicazione sempre più veloci determineranno una selezione decisiva nei soggetti che parteciperanno da protagonisti alla nuova società del domani. La capacità di apprendimento ed un buon livello di conoscenza saranno strumenti indispensabili per potersi avvantaggiare dei frutti delle innovazioni tecnologiche. Per questo motivo se si tiene presente 2 Cfr CAMPODALL’ORTO e GORI, Conoscere il telelavoro: caratteristiche, esperienze, guida all’utilizzo, Franco Angeli editore, Milano, 2000. 421 l'attuale indice di analfabetismo, totale o parziale, esistente sulla faccia della terra, molti saranno gli esclusi.3 Teoricamente ogni individuo vede rilanciate le sue possibilità di partecipare alla produzione e al godimento della ricchezza del sistema, ma in pratica si sta creando una frattura ancora più profonda tra chi ha le possibilità di trasformare in conoscenza l'intelligenza che madre natura gli ha fornito e coloro ai quali questa possibilità viene negata. Conteranno certamente le disponibilità economiche, ma conterà ancor di più l’efficienza delle attività educative rese disponibili dall'ambiente in cui l'individuo vive e cresce. Per la prima volta nella storia dell'uomo il capitale e il possesso dei mezzi di produzione avranno sempre meno rilevanza nei confronti di chi possiede l'intelligenza, la conoscenza del fare. L'uomo, la sua capacità di fare e le sue competenze saranno il vero capitale, i mezzi di produzione delle imprese nella società della conoscenza. Per contro abbiamo anche più volte sottolineato come le nuove tecnologie informatiche e telematiche rendano possibile un ricorso massiccio all'automazione di fabbrica e di ufficio, nel tentativo di ridurre i costi in termini di risorse umane e di accelerare la messa sul mercato dei prodotti. La semplificazione della struttura organizzativa del lavoro, ottenuta concentrando le risorse sul core business e delegando all'esterno le lavorazioni accessorie, contribuisce ulteriormente alla riduzione dei costi fissi. Il risultato inevitabile è una notevole crescita dell'efficienza produttiva e un radicale ridimensionamento della forza lavoro, per cui meno risorse producono più ricchezza. Questo è un aspetto contraddittorio che non va trascurato. La produttività aumenta, i margini di guadagno delle imprese si incrementano, ma l'occupazione diminuisce. 3 Sul tema un ampia disamina si trova in DE RITA, L’economia e la società molto spesso si ignorano, Telèma, n. 13, estate 1998, e in COFFERATI, La net economy è una risorsa, ma il nuovo lavoro va tutelato, Telèma, n. 26, autunno 2001. 422 Molte attività, anche a causa del telelavoro, si spostano allora verso quei paesi dove i costi delle risorse umane sono inferiori. Anche le attività ad alto contenuto di conoscenza come la ricerca, il design, la progettazione, la logistica, rischiano di trasferirsi lontano dai luoghi di origine. C’è chi, come l'ex- ministro del lavoro statunitense Robert Bernard Reich, arriva a paventare un futuro prossimo in cui “Gli analisti di simboli si ritirano in enclaves sempre più isolate, nell'ambito delle quali concentreranno le proprie risorse, invece che condividerle con gli altri americani o investirle in modo da migliorare la produttività del paese. Una porzione sempre più ridotta dei loro redditi potrà essere sottoposta all'imposizione fiscale e, quindi, ridistribuita o investita per conto del resto della società. Separati dal resto della popolazione da connessioni globali, buone scuole, stile di vita opulento, eccellente assistenza sanitaria e abbondanza di guardiani armati, gli analisti di simboli porteranno a termine la propria secessione dall'Unione. Le comunità e le enclaves urbane e le aree riservate entro le quali lavoreranno non avranno alcuna somiglianza con il resto del paese”. Parlando di "analisti di simboli" Reich vuole riferirsi alla classe professionale del futuro, composta da avvocati, top-managers, ricercatori, ingegneri, medici, architetti, ovvero lavoratori dotati di competenze specifiche e in possesso di quella che sarà l'unica moneta di scambio nella società dell'informazione, la conoscenza. Una classe che già oggi rappresenterebbe quasi il 20% della forza lavoro statunitense e che in gran parte utilizza il lavoro a distanza.4 Questa previsione è già stata smentita in parte dai fatti. Oggi non sembra più possibile evitare una globalizzazione anche nei settori economici a più alto contenuto professionale. Proprio gli Stati Uniti stanno verificando questa nuova situazione, in cui chi chiama telefonicamente la guardia medica può sentirsi rispondere da un medico che si trova in India.5 Più in generale si va disegnando un quadro in cui i valori su cui si fonda la società industriale, cioè economie di scala e produzione, logistica, catena materie prime-semilavorati-prodotti finiti e via dicendo, tutti concetti riassumibili con il termine taylorismo, vengono stravolti dalla società 4 5 Citato da D’ANTONI, Solo un sindacato “globale può assecondare il cambiamento, Telèma, n. 13, estate 1998. Cfr. LA MONICA, Telelavoro: prospettive e problematiche, Diritto & pratica del lavoro, n. 46, 1996. 423 dell'informazione. Oggi assumono un ruolo sempre più importante fattori come la flessibilità del lavoro, la formazione continua, il know-how ed il continuo, prorompente progresso tecnologico. E' un dato di fatto che all'interno di questo quadro il telelavoro rappresenti un elemento irrinunciabile, contribuendo in gran parte alla sua definizione ed avendo le potenzialità per divenirne, in modo però mai eclatante, il vero punto focale. 424 7.2. LE ASPETTATIVE DEL SETTORE Nel 1970, quando Jack Nilles coniò il vocabolo telework, i telelavoratori erano una piccola comunità la cui consistenza era stimata intorno alle duemila persone. Dieci anni dopo, solo negli Stati Uniti, il loro numero si aggirava intorno ai centomila, per superare negli anni novanta i dieci milioni di unità.6 Come abbiamo visto queste cifre presentano un’attendibilità alquanto relativa, poiché si basano per lo più su opinioni personali o proiezioni empiriche piuttosto che su rigorose indagini statistiche, anche se queste ultime non sono mancate.7 Pur potendo discutere a lungo sulla sua dimensione effettiva, resta comunque il fatto che il fenomeno è fin dall’origine in continua e rapida espansione. Come già accennato nel paragrafo che precede, i valori su cui è stata fondata la società industriale, riassumibili con il termine taylorismo, sono stati superati dalla società dell’informazione. Il telelavoro diventa in questa nuova realtà un fattore trasversale che accomuna molti settori produttivi un tempo distanti tra loro. Anziché focalizzare l’attenzione su cosa si produce, oggi l’imprenditoria si interessa di come e di dove si produce. In quest’ottica assurgono a obiettivi primari lo sviluppo delle infrastrutture telematiche, la flessibilità del lavoro, la qualificazione delle risorse umane ed il know-how, su cui da anni si sta investendo in maniera massiccia, sia dal versante imprenditoriale che da quello istituzionale. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal rischio che gli adattamenti sociali non riescano a tenere il passo con la progressiva accelerazione della globalizzazione dei mercati, con le modificazioni dell’organizzazione aziendale e con il costante e rapido sviluppo tecnologico. 6 7 Questi dati sono forniti da CAVALLINI, Guida al telelavoro, Jackson Libri Bresso (MI), 1997. Cfr. il capitolo III Il telelavoro nelle esperienze nazionali ed internazionali 425 Lo stesso ex Ministro del lavoro italiano Tiziano Treu, quando era in carica, mise in guardia da facili entusiasmi quando ebbe a dire “attenti a credere che la Società dell’informazione sarà automaticamente una società più bella, più equa e più giusta”. Ormai è dimostrato che il telelavoro contribuisce a far sì che i lavoratori tendano ad essere sempre più simili a dei piccoli imprenditori, con la conseguenza che per essere competitivi dovranno possedere un livello medio di istruzione più elevato. Ma in questo modo esiste il pericolo concreto che si allarghi la forbice tra chi ha studiato, o può studiare, e chi è culturalmente svantaggiato, creando nuovi motivi di emarginazione dal mondo del lavoro e, in ultima analisi, di emarginazione sociale. E' tuttavia ineluttabile che, come qualsiasi evento foriero di grandi mutamenti, anche il telelavoro porti con sé delle conseguenze tali da rappresentare, a seconda dei casi, dei limiti o delle opportunità. Esso infatti incide non solo sul rapporto di lavoro ma anche sul tessuto sociale fino al suo nucleo primario, ossia la famiglia. Indubbiamente lo sviluppo tecnologico comporterà nel breve periodo una riduzione dei posti di lavoro, ma potrebbe trattarsi solo di un fenomeno contingente. D'altra parte la tesi secondo la quale l'uso generalizzato del computer avrebbe determinato una forte disoccupazione è stata confutata dalla storia del progresso industriale. Non bisogna dimenticare infatti che la sua introduzione non ha avuto lo scopo di far fare alle macchine ciò che prima si faceva a mano ma, piuttosto, di fare ciò che prima nessuno faceva, o faceva in tempi molto più lunghi. In realtà il problema che si pone con maggiore urgenza è quello di individuare delle politiche di sostegno e riqualificazione del personale che siano efficaci nel favorire il riassorbimento di chi è forzosamente uscito dal ciclo produttivo. La necessità di una continua riqualificazione costituirà nel futuro l'obiettivo di ogni lavoratore che dovrà confrontarsi costantemente con una realtà multiforme ed in perenne evoluzione. In una simile prospettiva le opportunità che offre il telelavoro sono numerose e di grande interesse. Abbiamo già dimostrato come nell'ambito più tipicamente aziendale il telelavoro possa 426 produrre un abbattimento dei costi, attraverso la semplice riduzione degli spazi necessari e diminuendo le postazioni di lavoro fisse. Ma anche per il singolo lavoratore le opportunità sono molteplici: una gestione autonoma dei tempi di lavoro, l'eliminazione o la diminuzione del pendolarismo che ha attualmente costi individuali e sociali elevati, ed infine l'ottimizzazione del rapporto tra tempo libero e tempo dedicato al lavoro. Per le pubbliche amministrazioni potrà inoltre consentire la progettazione di un nuovo modello organizzativo, caratterizzato dal perseguimento di maggiori livelli complessivi di efficienza e di efficacia. D'altra parte l'unica amministrazione efficiente è quella che si orienta alla soddisfazione della domanda di servizi da parte dei cittadini nel rispetto di vincoli economici sempre più rigidi.8 Tutte queste aspettative trovano gli studiosi del telelavoro quasi unanimemente concordi ed altrettanta unità di vedute esiste circa alcuni ulteriori aspetti connessi all’espansione del fenomeno. Innanzitutto il telelavoro non è anarchia, ogni telelavoratore si trova calato entro un piano operativo che lo collega a tutti gli altri suoi colleghi, ai suoi superiori o ai suoi dipendenti, ed all'interno del quale il controllo anziché avvenire sul processo si indirizza prevalentemente sui risultati. Questa situazione fa sì che il lavoro risulti meno dispendioso, meno alienante, più rispettoso della dignità del lavoratore, più appropriato all'impegno intellettuale richiesto che ormai prevale quasi ovunque sulla manualità. Il telelavoro tuttavia, a dispetto delle iniziali previsioni ottimistiche, non è più considerato un possibile rimedio alla disoccupazione. Certamente l'introduzione di un sistema teledecentrato stimola la nascita di nuove professionalità, ma per converso richiede un continuo processo di formazione ed aggiornamento professionale. L’intuizione visionaria degli anni settanta, secondo la quale i lavori d’ufficio potessero svolgersi a casa senza bisogno di fare i pendolari, è stata geniale ma è ormai eccessivamente 8 Cfr. LA MONICA, Telelavoro: prospettive e problematiche, Diritto & pratica del lavoro, n. 46, 1996. 427 riduttiva. Le nuove tecnologie nel campo dell’informatica e delle telecomunicazioni non si limitano a rendere possibile la produzione di un bene o la prestazione di un servizio a grande distanza da dove quel bene o quel servizio verranno effettivamente commercializzati o fruiti. La vera grande innovazione è la possibilità di inventare nuovi servizi e nuove occasioni di lavoro, creando nuovi mestieri che possono essere svolti soltanto a distanza. Nessuno, allo stato attuale, può però garantire che questi nuovi lavori saranno appannaggio di una nazione anziché di un'altra o di un'area geografica anziché di un'altra. Oggi è di dominio pubblico che la costruzione della società dell’informazione in Europa ha richiesto e richiede una produzione crescente di software per l’ufficio o per controllare i processi industriali, e che tutte le maggiori aziende del settore dispongono di centri di sviluppo a Bangalore in India. Ciò significa che i nuovi posti di lavoro vengono creati in India anziché in Italia o in Germania. Questo avviene non solo in ragione del più basso costo del lavoro, ma soprattutto perché a Bangalore ingegneri e matematici locali sviluppano, con estrema rapidità, i software più affidabili. E questo è soltanto uno dei tanti esempi possibili, perché molti nuovi lavori potranno essere svolti ovunque, a prescindere dai confini geografici e delle regole dei singoli Paesi. Fino ad alcuni anni fa, quando un’azienda italiana effettuava degli investimenti, si generavano dei posti di lavoro locali. Ora non è più così, o almeno non lo è in maniera automatica. Il lavoro può raggiungere qualsiasi luogo in cui vi siano le competenze migliori ed i costi inferiori. Un altro esempio è rappresentato dai call centers per le prenotazioni alberghiere. Anziché averne uno in ogni nazione, le grandi catene preferiscono centralizzare il servizio in quella più conveniente e da lì fornire il servizio a interi continenti, magari utilizzando le detenute di un carcere federale, come fa la Best Western negli Stati Uniti.9 Quello dell'utilizzo della popolazione carceraria è un fenomeno che non è sconosciuto in Italia. La società H3G recentemente ha chiuso a Genova la linea produttiva consumer, caratterizzata 9 L’argomento è stato ampiamente trattato nel Capitolo III e nel paragrafo 2.1.3. 428 da un elevato livello di ritmi e di stress, decentrandola parte in Romania e parte ad una cooperativa sociale che opera nel carcere di Bollate in Lombardia. Del resto la società Telecom Italia gestisce già due call centers presso le carceri di San Vittore a Milano e di Rebibbia a Roma. Questa scelta non è ovviamente dettata da motivazioni filantropiche ma dal fatto che la retribuzione dei detenuti è pari a circa la metà di quella, di per sé già bassa, dei lavoratori dei call centers. Questo implacabile processo di globalizzazione del mercato del lavoro, alla ricerca del massimo profitto, avanza contemporaneamente in tutto il mondo. Può quindi succedere che un italiano perda il suo impiego perché un indiano ne ottiene uno, ma un altro italiano può trovare un lavoro al posto di un tedesco o di un giapponese. La sfida della creazione di nuovi posti di lavoro è globale e anche la caccia al lavoro lo sta diventando. Non basta più essere ottimi professionisti, bisogna anche saper comunicare in lingue diverse, utilizzando le tecnologie più appropriate. A questo punto diventa prioritario far uscire il telelavoro dagli ambiti angusti in cui è stato relegato finora, offrendo nuovi modelli organizzativi alle aziende ed una nuova cooperazione in rete per imprese e lavoratori. Lo stesso termine telelavoro rischia di divenire limitativo in un’economia cablata in cui l’immaterialità del prodotto sopravanza quella del lavoro. Di pari passo con le modifiche del lavoro vanno quindi quelle dell’impresa. L’azienda nell’epoca di Internet è destinata a divenire una realtà molto diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi. All’impresa basata sul comando apodittico e sulla rigidità si è sostituita quella strutturata a rete, una rete elastica che si espande e si comprime a seconda delle necessità e, così facendo, riesce ad agganciare opportunità nuove con una rapidità senza precedenti. In questo modo assistiamo al superamento sia del fordismo, sia del cosiddetto toyotismo, modello giapponese che, come noto, tende a creare una rete di aziende dell’indotto quanto più possibile stretta attorno a sé. La vicinanza è sempre stata sintomo di controllo, rispetto degli standard di qualità. Al contrario l’azienda nell’epoca di Internet diviene telereticolare, ottiene il dono dell’ubiquità e si 429 virtualizza. Utilizzando le nuove tecnologie crea una sua rete interna che collega i lavoratori ovunque essi siano e, tramite la rete esterna, entra in rapporto intimo con aziende fornitrici e clienti, che possono avere a loro volta altre reti interne ed esterne. Il continuo progresso tecnologico rende difficile la fissazione di obiettivi di lunga durata. Può darsi che tra pochi anni il modo attuale di lavorare, con il computer sulla scrivania ed i programmi per la produttività individuale, diventerà obsoleto e sarà destinato a scomparire, proprio come sono scomparsi gli amanuensi con l’invenzione della stampa, i linotipisti soppiantati dai sistemi informativi editoriali e stanno estinguendosi i pony express, sostituiti dai fax e dalla posta elettronica. Il nuovo umanesimo del lavoro viaggerà sulle reti di computer ma, per non affondarci dentro, avremo bisogno di nuovi modelli di formazione, di molta autoistruzione e, soprattutto, di tempo da dedicare a queste attività. Uno dei possibili sviluppi del telelavoro, sempre che in futuro continui a chiamarsi così, potrà proprio essere quello di costituire un passaggio obbligato per accedere e resistere in un mondo della produzione che si reinventerà giorno dopo giorno.10 In definitiva possiamo dire che il telelavoro viene oggi visto soltanto come una delle possibili modalità organizzative del lavoro, resa più efficiente dai moderni mezzi di comunicazione. Tuttavia esiste una forte e diffusa aspettativa legata alla sua diffusione su vasta scala, per cui si ritiene che possa cambiare in meglio la vita e il lavoro di un gran numero di persone nel mondo.11 Per non deludere queste aspettative occorre puntare a cambiamenti profondi e duraturi nel rapporto tra tecnologia e società. I paesi maggiormente industrializzati fanno ancora fatica a capire che molti lavori di tipo intellettuale possono essere svolti in qualsiasi luogo, purché connesso alla Rete. La sfida più grande sarà proprio quella di diffondere Internet nelle zone del mondo che hanno maggiori difficoltà a connettersi, perché il protezionismo si dimostrerà ancora una volta perdente, soprattutto di fronte alle gigantesche conseguenze dello sviluppo di Internet sul commercio 10 Cfr. DI NICOLA, (a cura di), Il nuovo manuale del telelavoro, 2ª ed., Edizioni SEAM, Formello, 1999. Su questi argomenti Cfr. DE MASI in Presto diventeremo cittadini di una sola sconfinata area urbana, Telèma, n. 15, inverno 1998-1999, e in Nulla sarà più come prima, il mondo nuovo è un alveare, Telèma, n. 23, inverno 20002001. 11 430 planetario. In questa direzione i software open source12 e i programmi aperti alla globalità degli utilizzatori, possono proiettare l’intero mondo del lavoro verso nuovi orizzonti di democrazia. La Cina, l’India ed altre economie emergenti sono estremamente interessate al telelavoro e grazie ad esso stanno diventando i principali produttori di software del mondo. Del resto la telefonia in voce via Internet sta cambiando le logiche di localizzazione dei call centers a tutto vantaggio dei paesi dove il costo del lavoro è più basso, come in Asia, e dove tutto può essere prodotto a costi inferiori rispetto all’Europa ed all’America. Proteggere i nostri avvocati, commercialisti o medici dalla concorrenza dei loro colleghi indiani o cinesi non è un'idea vincente, in quanto se il lavoro è sempre più basato sulla conoscenza, sull’uso di Internet, sulle telefonate a basso costo, sull’open source, è inevitabile una sua redistribuzione. Bisogna essere realisti e cercare una nuova strada, assorbendo le conseguenze della globalizzazione e magari investendo in ricerca e in produzioni caratterizzate da livelli di sofisticazione superiore. Non va poi dimenticato che il sistema economico è basato su relazioni di fiducia. Quando il centro del mondo economico si trovava a Genova o ad Anversa, gli scambi erano fondati sulla conoscenza diretta tra gli intermediari commerciali e finanziari, ed anche oggi la fiducia si costruisce sulla base delle conoscenze dirette. I giovani che vanno a studiare all’estero costruiscono una rete di conoscenze che consentiranno loro di vivere una relazione di fiducia anche quando diventeranno professionisti, e questa sarà la loro ricchezza. Da questo punto di vista è stato commesso un errore ritenendo che Internet si limitasse a consentire l’educazione ed il lavoro a distanza, mentre in realtà è vero il contrario. La possibilità di lavorare e studiare a distanza consente di spostarsi da una parte all’altra del mondo senza perdere i contatti con il luogo di origine. La Rete è un sistema che facilita le relazioni interpersonali in una società tendenzialmente nomadica, dove si viaggia e nello stesso tempo ci si portano dietro gli strumenti fondamentali del 12 I software open source o software liberi sono dei programmi informatici che non hanno un proprietario e il cui codice è a disposizione di tutti, per cui chiunque può apportarvi le modifiche che preferisce. 431 proprio lavoro. Questo può dunque essere il vero elemento innovativo, l’investimento decisivo, perché la circolazione delle persone e delle idee ha sempre portato dei vantaggi e dei progressi nella storia dell’umanità. Già oggi negli Stati Uniti il trenta per cento dei bambini con meno di dieci anni utilizza la posta elettronica, mentre quelli con più di undici anni hanno almeno dieci soprannomi diversi che utilizzano nelle chat. Quando diventeranno adulti sapranno adoperare la Rete in modi sempre nuovi, probabilmente non per sostituire le relazioni personali, ma per facilitarle. Avranno la possibilità di sviluppare una società simile a quella che era propria degli scienziati di un tempo, i quali viaggiavano da un’università all’altra ritrovando sempre un contesto familiare e relazioni sociali comprensibili, sempre con strumenti consoni a portata di mano, arricchendo i luoghi dai quali partivano e quelli in cui arrivavano. Sarà il telelavoro, grazie ai software e alla Rete, a poter ricreare quel contesto familiare, mentre le persone faranno il resto.13 Probabilmente oggi noi chiamiamo telelavoro quello che in un prossimo futuro sarà semplicemente chiamato lavoro. 13 Una visione chiara di questi temi è stata offerta da DE BIASE, L’alba dei nuovi nomadi, colloquio con John Gage, L’Espresso, n. 13 (50), 2004. 432 7.3. IL RUOLO DEI FORMANTI DEL DIRITTO La possibilità di prescindere dalla dimensione spazio-temporale, caratteristica peculiare del telelavoro, rappresenta una fondamentale conquista che, come più volte spiegato, può comportare notevoli vantaggi.14 Il telelavoro, se opportunamente pianificato, può rappresentare un importante atout in termini di competizione economica. Diventa pertanto fondamentale investire nella ricerca e perseguire politiche volte a diffondere l’uso delle nuove tecnologie. Solo le nazioni che intraprenderanno questa strada saranno probabilmente in grado di governare adeguatamente il fenomeno. Per beneficiare davvero dei possibili vantaggi offerti dal telelavoro occorre quindi effettuare delle scelte politiche di ampio respiro, volte a rimuovere gli eventuali ostacoli alla piena e libera diffusione di questo strumento, senza per questo far venir meno le tutele conquistate nei decenni in favore dei lavoratori, delle lavoratrici, dei minori, delle categorie svantaggiate. Diventa necessario mettere in campo strategie generali, intese a diffondere l’utilizzo delle nuove tecnologie, investendo nell'informatizzazione delle imprese ed incentivando l'alfabetizzazione informatica della popolazione. Gli imprenditori dovranno impegnarsi attivamente per arrivare a creare un ambiente di lavoro integrato, che rappresenta la condizione ottimale per il raggiungimento degli obiettivi aziendali a partire dalla quale attuare delle politiche di pianificazione strategica che contemplino anche il conferimento di particolari riconoscimenti, economici e professionali, ai telelavoratori.15 14 Vedasi in particolare il paragrafo 2.3.1. Gli aspetti positivi Cfr. BOLZONI e MEJNARDI, Telelavoro: knowledge “remota” per l’impresa a rete, Amministrazione & finanza oro, n.1, vol. XIV, 2003, pp. 107-121. 15 433 In un contesto operativo planetario le nazioni si muovono verso questi obiettivi a velocità diverse. A seconda del loro atteggiamento sono stati identificati, a scopo puramente esemplificativo, diversi gruppi omogenei di Stati, che vengono così definiti.16 Sono E-leaders quelle nazioni che dettano i principi e determinano le dimensioni del telelavoro, e che sembrano essere le principali fonti di lavoro delocalizzato: Australia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti. E-competenti sono quei Paesi che, sebbene con interventi più limitati, operano allo stesso livello dei leaders e sembrano concorrere allo sviluppo del telelavoro su scala globale. Tra questi viene comunemente inserita l’Italia. Vengono invece definiti come E-lepri quei Paesi relativamente piccoli, con infrastrutture ancora inadeguate ma con una recente e rapida crescita, capaci di conquistare consistenti quantità di telelavoro in un prossimo futuro: Cambogia, Cile, Ghana, Indonesia, Isole Mauritius e Filippine. Sempre ricorrendo ad un’immagine di derivazione zoologica le E-tigri sono quei grandi Paesi che in genere presentano ancora un gap relativo nelle infrastrutture, ma che giocano già un ruolo di primo piano nell’economia mondiale, soprattutto perché da soli rappresentano la metà circa della popolazione umana. Queste nazioni sono tuttavia percepite come scarsamente affidabili e afflitte da un livello di corruzione intollerabile, per cui attualmente risultano poco attraenti per insediarvi attività economiche: Egitto, India, Giamaica, Corea, Messico, Polonia, Thailandia e Ucraina. Sebbene la Cina presenti le caratteristiche comuni a questo gruppo, viene ormai considerata dai più come un E-leader. Vi sono inoltre delle nazioni con una popolazione ridotta ma con un buon grado di sviluppo economico e ritenute molto affidabili, sede abituale di istituti bancari offshore: Bermuda, Barbados, Canada, Islanda, Liechtenstein e Lussemburgo. In queste nazioni il telelavoro potrebbe trovare un humus ideale per il suo sviluppo, anche se in termini assoluti andrebbe ad interessare poche persone. 16 Artefici di questa classificazione sono HUWS, JAGGER e BATES, Where the butterfly alights, The global location of eWork, IES Report, 378, in http://www.employment-studies.co.uk) 434 Infine vengono definiti come E-perdenti i Paesi ancora privi di valide infrastrutture telematiche e dotati di risorse umane scarsamente qualificate, soprattutto quando a ciò si abbina un apparato statale inefficiente e corrotto. In questo gruppo sono inclusi gran parte dei Paesi dell’Africa e del Sudamerica, nonché alcuni Stati balcanici e centroeuropei. Poiché in questi territori vive circa un terzo della popolazione mondiale, è evidente il rischio che lo sviluppo delle nuove tecnologie possa diventare la causa di ulteriori emarginazione ed arretratezza economica. Quale che sia la posizione assunta da ciascuna nazione all'interno di questo schema dal valore puramente didattico, è diventato ovunque prioritario ridisegnare il quadro giuridico di riferimento sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro all’interno di ogni ordinamento giuridico, sia in rapporto ad una sempre maggiore internazionalizzazione delle imprese. Come detto in precedenza l'Italia appartiene al gruppo delle nazioni più avanzate nel settore del telelavoro, tuttavia secondo alcuni le prospettive per una sua significativa diffusione, quantomeno nel breve periodo, sono certamente ridotte e comunque limitate alle piccole e medie imprese e ai lavoratori autonomi che operano in mercati particolarmente flessibili ed articolati. Sul versante della produzione giuridica il tema ha sollecitato un ampio dibattito che si è concretizzato a livello istituzionale nella proposizione di innumerevoli disegni di legge, pochi dei quali sono però sfociati in provvedimenti di rango legislativo. Tra questi ultimi è degna di nota, per la sua originalità, la disciplina dettata per l'introduzione del telelavoro nel tessuto della pubblica amministrazione.17 Più intensa si è dimostrata invece la produzione normativa di provenienza comunitaria e regionale che, pur affrontando temi settoriali, ha avuto una notevole importanza dal punto di vista dell'incentivazione delle sperimentazioni e dell'avvicinamento al telelavoro dei lavoratori diversamente abili. 17 Cfr § 5.1. Il telelavoro nella pubblica amministrazione 435 Vi sono state anche alcune pronunce della giurisprudenza, la cui portata è peraltro modesta, così come è piuttosto limitato il contributo offerto finora dalla dottrina, concentratasi per lo più sul tentativo di sussumere il telelavoro all'interno delle categorie concettuali preesistenti.18 E' opinione diffusa che il destino del diritto del lavoro, e secondo alcuni del diritto più in generale, sia quello di rispondere ai (più che anticipare i) mutamenti sociali. Indubbiamente la storia della legislazione protettiva dei lavoratori sta a dimostrare quanto lento sia stato l’adeguamento del diritto in rapporto alle rapide trasformazioni della società. Paradigmatica è la lenta emersione della figura del contratto individuale di lavoro quale categoria giuridica del lavoro subordinato all’inizio del XX secolo in Europa.19 Essendo poi il telelavoro un fenomeno innovativo e multidisciplinare, esso richiede la soluzione di problemi di diversa natura: tecnologici, normativi, organizzativi, sindacali, economici e finanziari. Sovente si ritiene erroneamente che l'aspetto tecnologico sia prevalente, assorbendo in sé tutti gli altri, ma così non è. Il telelavoro rappresenta uno strumento di riorganizzazione da cui deriva un nuovo modo di lavorare, di conseguenza può incontrare sul suo cammino una diffusa resistenza ai cambiamenti, la quale può ben manifestarsi anche sotto le spoglie di una produzione normativa che in qualche modo ne limiti lo sviluppo. Si pone quindi la necessità, per gli operatori del diritto, di elaborare nuove regole su cui far convergere il massimo consenso possibile, non tanto sull'uso delle nuove tecnologie, quanto piuttosto sulla possibilità di dare ingresso a nuovi modelli organizzativi del lavoro.20 Un ruolo fondamentale in questo senso è stato giocato dalla predisposizione di accordi aziendali o di settore cui hanno partecipato attivamente le componenti sociali più direttamente interessate al fenomeno, ossia le rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori. 18 Cfr il capitolo IV Il telelavoro e l’ordinamento giuridico italiano Questa è la tesi sostenuta, tra gli altri, da VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 1987. 20 Cfr. ZURZOLO, Non è un ritorno al passato, a casa si lavora molto meglio, Telèma, n. 7, inverno 1996-1997. 19 436 Negli ultimi dieci anni in Italia le imprese ed i sindacati hanno sottoscritto numerosi accordi con i quali si è tentato di fornire una prima disciplina del telelavoro. Tuttavia per un lavoratore dipendente, o per un neoassunto, la possibilità di optare per questa forma di lavoro rimane ancora piuttosto remota, perché l'organizzazione del lavoro nelle aziende non ha subito quei cambiamenti strutturali che avrebbero potuto rendere di facile realizzazione il telelavoro. I contratti collettivi hanno tuttavia avuto il grande merito di creare in tempi piuttosto brevi delle regole ampiamente condivise, consentendo di apportare altrettanto rapidamente gli aggiustamenti che nel tempo si sono resi necessari. Date queste premesse è ragionevole concludere che nell’immediato futuro un obiettivo fondamentale può essere proprio quello di rendere accessibili a tutti i progressi raggiunti dalla contrattazione collettiva, consolidando in tal modo una serie di principi che possono benissimo non essere formalizzati in atti legislativi. In numerose nazioni, compresa l’Italia, ciò è già stato fatto. Anziché privilegiare lo strumento legislativo si è preferito lasciare alla contrattazione il compito di forgiare le nuove regole in materia di telelavoro, pur nel rispetto della cornice costituita dalle preesistenti discipline giuslavoristiche. In un simile contesto dovrebbe svolgere un ruolo altrettanto importante la giurisprudenza che finora, almeno in Italia, ha fornito pochi spunti di discussione. Salvo poche sentenze della Corte di Cassazione, per lo più riguardanti la definizione del foro competente nelle cause di lavoro intentate dai lavoratori a distanza, il panorama si presenta alquanto arido.21 E’ invece da ritenersi che ci sarebbe un grande spazio per l’intervento dei giudici, proprio perché talvolta le norme contrattuali potrebbero trovarsi in situazioni di conflitto con le norme proprie del diritto del lavoro. In altre nazioni l’interpretazione del diritto del lavoro da parte dei giudici ha permesso l’integrazione del telelavoro nel quadro normativo esistente. In Francia, ad esempio, la distinzione tra lavoratore a domicilio e telelavoratore, che è stata causa di numerosi e lunghi conflitti 21 Cfr. § 4.5. La giurisprudenza 437 interpretativi riguardanti il code du travail, è stata risolta di fronte ai giudici del lavoro. Analogamente nel Regno Unito parte del diritto del lavoro è stato plasmato dai giudici nel corso del tempo, in modo tale che quando ci si è trovati di fronte a delle fattispecie riguardanti il telelavoro sono state applicate, in quanto compatibili, le norme dettate per il lavoro domiciliare. Anche in Germania, che a differenza del Regno Unito non è un paese di common law, l’applicazione del diritto del lavoro alle fattispecie proprie del telelavoro è stata finora garantita dai giudici in via interpretativa. In parallelo al lavoro svolto dai giudici, in molte nazioni la dottrina ha contribuito non poco a far sì che la disciplina giuslavoristica arrivasse a coprire le nuove figure professionali emerse con la diffusione del telelavoro. Nei Paesi anglosassoni e scandinavi è stato decisivo l’apporto degli studiosi soprattutto quando si è trattato di elaborare, in accordo con le parti sociali, dei documenti di indirizzo cui successivamente hanno prestato la massima attenzione sia i legislatori che la giurisprudenza. Valga da esempio quello che è considerato il documento più importante in tal senso, cioè la guida al telelavoro pubblicata dal Dipartimento del commercio e dell’industria (D.T.I.) britannico nell’agosto del 2003, ed alla cui elaborazione hanno partecipato i principali ricercatori britannici nel campo del diritto del lavoro.22 E’ allora evidente come nel prossimo futuro ci sia lo spazio sufficiente per l'intervento di tutti i formanti del diritto nella definizione di un quadro giuridico in cui inserire le nuove forme di lavoro a distanza. Più ancora si deve affermare che solo un loro intervento complessivo ed organico può assicurare quella necessaria flessibilità che da un lato permette un rapido adattamento dell’ordinamento giuridico ai sempre più veloci mutamenti tecnologici e sociali, e dall’altro garantisce il rispetto, sempre e comunque, di quel nucleo minimo di diritti dei lavoratori che si è 22 Su tutti questi argomenti cfr. il capitolo III Esperienze internazionali 438 affermato con fatica e che viene messo a rischio dalle forme estreme di telelavoro come il cosiddetto telelavoro off-shore. 439 7.3.1. I POSSIBILI INTERVENTI DEI LEGISLATORI Dopo aver valutato quali siano le aspettative e le prospettive connessi allo sviluppo del telelavoro, e dopo aver esaminato come i vari formanti del diritto possano concorrere alla definizione di un adeguato quadro normativo, occorre infine stabilire quali spazi esistano per un intervento del legislatore. A livello sovranazionale l’Organizzazione internazionale del lavoro (O.I.L.) ha sempre svolto un ruolo di promozione per quel che riguarda la produzione normativa. Così ha fatto anche nel campo del lavoro a domicilio elaborando nel 1996 una Convenzione, la numero 177, ed una Raccomandazione, la numero 184. Questi strumenti, benché non menzionino espressamente il telelavoro, hanno tuttavia fornito una definizione di lavoro a domicilio che sembra riguardare anche numerose tipologie di telelavoro casalingo. Sia la Convenzione che la Raccomandazione possono servire per trovare delle risposte flessibili ai problemi posti dal telelavoro. Le stesse istituzioni comunitarie, sebbene riferendosi al lavoro a domicilio in generale, hanno rivolto agli Stati membri un invito a ratificare la Convenzione n. 177.23 Anche l’Unione Europea, di propria iniziativa, si è posta a più riprese l’obiettivo di regolare in modo uniforme il telelavoro e di governarne lo sviluppo attraverso l’utilizzo degli strumenti normativi di cui dispone. L’attuale punto di approdo di questo lavorio ultradecennale in seno alle istituzioni dell’Unione Europea è ben rappresentato dall’Accordo quadro europeo sul telelavoro, siglato il 16 luglio 2002 dalle rappresentanze europee dei lavoratori e dei datori di lavoro.24 Queste fonti giuridiche costituiscono un modello ideale per i singoli legislatori nazionali, rappresentando un punto di riferimento qualificato anche in vista dell’adozione di norme il più possibile condivise. Ciò nonostante in Italia, così come un po' in tutte le altre nazioni, non esiste a tutt’oggi una norma di rango legislativo che fornisca una disciplina generale del telelavoro. 23 24 Cfr. § 3.3. Il ruolo dell’O.I.L. Cfr. § 3.2. Il ruolo dell’Unione Europea 440 Non mancano però le eccezioni a questa inattività generalizzata dei legislatori nazionali, seppur trattandosi di interventi limitati e concernenti aspetti marginali del telelavoro. Tra i Paesi membri dell’Unione Europea il Belgio fu il primo ad emanare nel 1996 un primo nucleo di norme applicabili espressamente al telelavoro, pur nel contesto di una legge sul lavoro a domicilio. In essa furono sanciti i primi obblighi a carico dei datori di lavoro, come la necessità della forma scritta per i contratti tra lavoratore ed impresa, oppure l’obbligo di fornire le attrezzature necessarie per telelavorare.25 Si tratta, a ben vedere, di norme ampiamente mutuate dalla contrattazione collettiva che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ha finora precorso gli interventi dei legislatori. Anzi, proprio facendo di necessità virtù, la mancanza di una disciplina legislativa specifica ha permesso di adattare alle situazioni concrete gli strumenti giuridici preesistenti, anche se in origine adottati per altri scopi. In questo modo le norme contrattuali, soprattutto quando indirizzate a interi settori produttivi, hanno finito per rendere quasi superfluo il successivo intervento del legislatore. Più volte è stato sottolineato come la diffusione del telelavoro in Italia non raggiunga gli stessi livelli degli Stati Uniti o del nord Europa, ma si tratta pur sempre di un fenomeno rilevante ed in costante espansione. Per questo motivo ci si è ripetutamente chiesti se l’intervento normativo delle istituzioni sia stato adeguato o piuttosto non si sia dimostrato insufficiente a governare la crescita di questo particolare settore, anche se l’Italia è stata tutt’altro che inerte, in quanto risulta essere la prima nazione dotata di una legge sull’implementazione del telelavoro nella pubblica amministrazione. Occorre però chiedersi quale possa essere il ruolo delle istituzioni, se quello di produrre una disciplina puntuale del telelavoro, con il rischio di ingabbiarlo in schemi rigidi, oppure quello di limitarsi ad incoraggiarne l’ulteriore sviluppo mediante l’adozione di provvedimenti incentivanti nei 25 Ministère de l'emploi et du travail, Loi 6 dècembre 1996 relative au travail à domicile, art.4. «Il est inséré dans la même loi un Titre VI nouveau rédigé comme suit: - omissis - Art.119.3. Par dérogation à l'article 20, l'employeur est tenu à l'égard du travailleur à domicile de: 1° mettre à la disposition du travailleur, s'il y a lieu et sauf stipulation contraire, l'aide, les instruments et les matières nécessaires à l'exécution du travail; 2° payer la rémunération aux conditions, au temps et au lieu convenus». 441 confronti di aziende e lavoratori, lasciando al mercato la massima libertà di adattarsi ai rapidi mutamenti che, come abbiamo visto, caratterizzano questo settore. Sulla base di quanto abbiamo potuto osservare sembrerebbe che l’approccio adottato finora sia più orientato verso un moderato intervento istituzionale, lasciando così alle parti sociali un’ampia autonomia negoziale. Del resto anche l’Unione Europea, che si è sempre dimostrata molto attenta ai possibili sviluppi del telelavoro, ha finora deciso di limitarsi ad un’intensa attività promozionale piuttosto che dettare una disciplina puntuale ed articolata.26 Nei prossimi anni ci saranno senz’altro dei cambiamenti negli schemi organizzativi delle amministrazioni pubbliche, per cui dovrà sicuramente cambiare anche il modo di lavorare al loro interno. In tale contesto l'Italia ha costituito, e può continuare a costituire, un punto di riferimento per tutti quei Paesi che progettano l’implementazione del telelavoro nella propria Pubblica Amministrazione. Se però non verranno ulteriormente modificate le regole attuali, le pubbliche amministrazioni interessate non potranno cogliere al meglio le opportunità che vengono fornite dalla società dell'informazione. Non va poi dimenticato che, come ripetuto più volte, l’Unione Europea ha sempre incentivato l’uso delle nuove tecnologie, vuoi promuovendo la realizzazione di una dorsale infrastrutturale di comunicazione, vuoi puntando sull'incentivazione di un coordinamento amministrativo fra le singole iniziative nazionali, o ancora mettendo a punto programmi di settore fra le pubbliche amministrazioni dei singoli Paesi membri, come il programma IDA (International Data Administration).27 26 In tal senso si vedano tra gli altri: Commissione delle Comunità Europee, Crescita, competitività, occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo – Libro bianco, Bruxelles 05.12.1993, COM(93) 700 definitivo, Bollettino delle Comunità europee, Supplemento 6/93; Rapporto su “L’Europa e la Società dell’Informazione globale – Raccomandazioni al Consiglio Europeo”, presentato al Consiglio d’Europa il 26 maggio 1994 a Bruxelles, e meglio conosciuto come “Rapporto Bangemann”; Commissione Europea, Vivere e lavorare nella società dell’informazione: priorità alla dimensione umana, Libro Verde, supplemento al Bollettino dell’Unione Europea, n. 3/96; Commissione delle Comunità Europee, eEurope 2002, Impatto e priorità, Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo, Bruxelles 13.03.2001, COM(2001) 140 definitivo. 27 Cfr. CONTALDO, Il telelavoro nel pubblico impiego: prospettive di politica del diritto, Informatica e diritto, n. 1, 1998, pp. 35-43. 442 Le nuove tecnologie comportano anche dei rischi, potendo favorire delle intrusioni indebite all'interno della sfera privata delle persone. Le macchine rappresentano un possibile mezzo di controllo del rendimento proprio nel momento in cui si collocano come fase di un sistema organizzativo che contribuiscono a far funzionare in modo più efficiente. La tentazione di impiegarle per usi distorti, ad esempio nell’esercizio del potere disciplinare, è molto forte. Sono questi dei problemi la cui soluzione sembra essere di pertinenza esclusiva del legislatore. In questi ultimi anni la legge (ad esempio in Italia) e la giurisprudenza (ad esempio quella tedesca) si sono sforzate di ridimensionare questi rischi, vietando l'impiego di strumenti hardware e software che, utilizzati a distanza, possano concretizzare la profezia orwelliana secondo cui the big brother is watching you. Per il momento il problema è stato ricondotto sotto il controllo del sindacato, ossia del soggetto più qualificato per valutarne la pericolosità sociale. La rigidità della tutela giurisprudenziale è stata proporzionale alla delicatezza del bene protetto, i nuovi mezzi di controllo del rendimento vanno sottoposti all’analisi ed all’approvazione collettiva.28 Più in generale il diritto del lavoro in un prossimo futuro avrà di fronte due modelli antropologici diversi. Il primo rappresentato da un lavoratore tendenzialmente giovane, con lavoro precario o atipico, talvolta installato in un telelocale, la cui subordinazione sarà diretta conseguenza del suo modo di collegarsi all'impresa. Il secondo sarà un lavoratore dipendente capace di determinare in parte il contenuto del proprio lavoro ma sempre soggetto al potere organizzativo altrui, relativamente indipendente nel programmare i propri compiti ma esposto al controllo del suo rendimento grazie all'interazione con la macchina, isolato ma in grado di controllare in una certa misura i propri contatti all'interno del mondo del lavoro, informato e consultato sugli sviluppi professionali ma incapace di programmare la propria carriera. A quest’ultimo soggetto sarà richiesta una buona dose di polivalenza, ma in cambio non otterrà la certezza della stabilità del suo posto di lavoro. 28 Sul tema cfr. VENEZIANI, Nuove tecnologie e contratto di lavoro, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 1, 1987. 443 Il compito del diritto del lavoro, sia esso prodotto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, sarà dunque quello di assumere questi due modelli sociali quali obiettivi della sua nuova forza protettiva. Sul punto ci si chiede se in Italia l'intervento delle istituzioni non sia stato troppo debole, anche se, a ben vedere, il dubbio da dirimere dovrebbe essere un altro. E’ infatti più corretto domandarsi quale dovrebbe essere il loro ruolo, se quello di disciplinare oppure quello di incoraggiare. L'approccio adottato fino a questo momento è stato quello dì lasciare ampia autonomia negoziale alle parti, pur emanando norme generali destinate a promuovere il telelavoro nelle zone disagiate ed all’interno delle categorie di lavoratori più deboli, attività queste in cui si sono particolarmente distinti i legislatori regionali.29 Diciamo che questo atteggiamento del legislatore non può che essere condiviso, anche se non si sa fino a che punto sia voluto. I tempi fisiologici della produzione legislativa in Italia mal si conciliano con i continui e repentini mutamenti nei campi della tecnologia, dell'economia e del lavoro. I vari disegni di legge succedutisi in questi anni si sono infatti dimostrati in perenne, affannosa rincorsa rispetto al mutare delle situazioni di fatto. Anche per questi motivi il legislatore non sbaglia quando si esime dal regolare nei dettagli il tema del telelavoro. Meglio ancora farebbe se si decidesse a dettare una disciplina generale estendendo ai telelavoratori, una volta per tutte in maniera esplicita, le tutele già previste per i lavoratori dipendenti tradizionali. Quanto al futuro più remoto è difficile fare ipotesi, il tutto non potrà che dipendere dai probabili, anzi certi, sviluppi tecnologici ed economici. La dirompente ascesa economica di alcune nazioni, che stanno crescendo con indici annuali in doppia cifra, sposterà il problema della regolamentazione del telelavoro principalmente sul piano dei rapporti internazionali. I mutamenti maggiori si avranno in conseguenza della delocalizzazione del lavoro, con l'inevitabile sovrapporsi 29 Cfr. paragrafo 4.3. Le leggi regionali 444 di ordinamenti diversi a seconda della cittadinanza dei lavoratori, delle imprese, dei committenti, ecc. In questa oscillazione degli equilibri planetari il telelavoro svolgerà quindi un ruolo non trascurabile, avendo già contribuito all'evoluzione di situazioni che si ritenevano saldamente consolidate all'interno della società industriale e del diritto del lavoro. Ma forse il futuro riserverà ulteriori cambiamenti che oggi non sono ancora ben decifrabili a meno di non possedere la lungimiranza di Jules Verne, qualità che gli attuali legislatori mettono in mostra di rado. 445 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Annali del Lessico Contemporaneo Italiano, neologismi 1993-1996, voci Telelavorare e Telelavoratore, in: http://www.maldura.unipd.it/alci/public_html/ AA.VV., Dizionario Italiano Sabatini Coletti, Giunti Gruppo Editoriale Firenze, 1997, voce Telelavoro. AA.VV., Enciclopedia del diritto, Casa Editrice DeAgostini Novara, 2002, voce Lavoro a distanza. AA.VV. 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