MALATTIE INFETTIVE Prof. Federico 16 novembre 2006 15:30-17:30 INFEZIONI NOSOCOMIALI Le infezioni nosocomiali sono quelle che non risultano in atto né in incubazione al momento del ricovero del paziente in ospedale, ma sono quindi contratte all’interno dell’ospedale stesso. Convenzionalmente esse insorgono clinicamente almeno quarantotto ore dopo l'ingresso in ospedale. La frequenza con la quale si manifestano è piuttosto alta: a seconda dei vari reparti essa varia in media dal 5 al 10% ed interessa maggiormente i reparti di chirurgia importante, quali la neurochirurgia o la chirurgia cardiaca, piuttosto che quelli medico-specialistici. In particolare, questo tipo di infezioni, soprattutto quelle polmonari e setticemiche, ha un'incidenza elevatissima nei reparti di rianimazione e terapia intensiva, dove coinvolge fino al 20- 30% dei pazienti ed è causa di molti dei casi di morte che interessano questi contesti. Il fenomeno delle infezioni nosocomiali è in ascesa già da qualche anno, fino ad un incremento della frequenza del 36%: tale andamento è dovuto all’aumento di errori strumentali e alla presenza di pazienti sempre più gravi, con malattie che comportano una deplezione immunitaria che rende i pazienti stessi maggiormente suscettibili a queste infezioni, le quali d’altra parte sono sempre più frequenti negli ospedali. Le infezioni ospedaliere risultano letali mediamente nell’1% dei casi: con il termine “mediamente” si fa riferimento al fatto che, ad esempio, le infezioni urinarie non lo sono praticamente mai mentre quelle polmonari lo sono più frequentemente. Le infezioni nosocomiali sono per lo più batteriche, ma possono essere anche virali, protozoariche e micotiche. Esse possono interessare il sangue (le setticemie), i polmoni (le polmoniti), il sistema nervoso centrale (pensate agli interventi neurochirurgici), il tratto urinario. Esistono poi le infezioni ospedaliere, dette chirurgiche, che interessano il sito di un intervento chirurgico: esse si dicono superficiali, se interessano la ferita superficiale, o profonde, se insorgono nei visceri o negli organi interni interessati dall’intervento. Le infezioni ospedaliere più frequenti sono di gran lunga quelle urinarie, le più gravi sono invece quelle del sangue e del sistema nervoso centrale. Esistono diversi fattori predisponenti allo sviluppo di tali infezioni: l’ età: in un paziente molto anziano o in un neonato queste sono più frequenti malattie sottostanti: ad esempio le malattie neoplastiche, il diabete mellito, malattie del connettivo quindi del collagene malattie da immunodeficienza: dall'AIDS alle immunodeficienze congenite tutte le situazioni che comportano la rottura della barriera cutaneo-mucosa. Sono comprese in questa voce tutte le infezioni chirurgiche: è molto importante sapere che queste si verificano all'atto chirurgico e non successivamente, e che la profilassi antibiotica deve pertanto essere strettamente limitata al tempo chirurgico, in quanto iniziarla prima o prima o, peggio ancora, quando il paziente esce dalla sala operatoria, può rivelarsi dannoso per via del selezionarsi della flora batterica resistente agli antibiotici l'anestesia: per via dell'abolizione, per esempio, del riflesso della tosse sedazione: per meccanismi analoghi a quelli che intervengono nel caso dell’anestesia gli antibiotici: anche qui vale lo stesso discorso, ovvero se non usati adeguatamente possono essere causa di rischio infettivo perché potrebbero selezionare quella flora batterica resistente, in modo tale che l'infezione diventi più grave e comunque più difficilmente trattabile la terapia antiacida: favorisce la colonizzazione batterica dello stomaco le infezioni latenti la flora colonizzante Relativamente alle procedure e ai dispositivi invasivi e alle infezioni a questi associate, si possono fare le seguenti considerazioni: catetere intravascolare: esso predispone evidentemente a batteriemia. Possono verificarsi inoltre infezioni del sito di ingresso del catetere venoso centrale: queste sono particolarmente gravi in quanto dovute a germi che hanno la capacità di legarsi alle superfici estranee. Questa caratteristica è per esempio propria di Stafilococco, che costituisce infatti il microrganismo che più frequentemente provoca le infezioni di cateteri ectopici: soprattutto gli stafilococchi coagulasi-negativi, che solitamente sono germi poco virulenti, possono ad esempio provocare setticemie anche gravi, aderendo alla superficie del catetere venoso centrale. Le colonie che si formano, inoltre, vengono ricoperte da uno strato mucoso che si chiama glicocalice, che le protegge dall'antibiotico e dalla fagocitosi. Le infezioni di questi dispositivi sono quindi difficili da curare se non togliendo i dispositivi stessi, manovra che si rivela spesso sufficiente in quanto elimina il focolaio dell'infezione. il catetere vescicale, di cui abbiamo parlato la scorsa volta: esso predispone alle infezioni del tratto urinario, perché fa in modo che il germe risalendo la corrente delle urine arrivi direttamente in vescica. Ciò può provocare infezioni asintomatiche, ma anche molto gravi, specialmente quando vengono interessati i reni. Un solo cateterismo vescicale è associato al 10% di rischio di sviluppare l’infezione, mentre il catetere vescicale posto a permanenza lo è al 100% dopo alcuni giorni. Valgono molto poco i sistemi di drenaggio del flusso delle urine, che limitano l'entità dell'infezione e prolungano i tempi in cui l'urina si trova all'esterno, ma che a lungo andare risultano inefficaci. la ventilazione meccanica: questa predispone soprattutto alle polmoniti e alle bronchiti, in quanto supera il meccanismo di difesa costituito dalla barriera cutaneomucosa e fa sì che germi siano proiettati direttamente nell'alveolo. Questo caso interessa per esempio i pazienti in anestesia generale e quelli in rianimazione per giorni o settimane: il rischio aumenta in rapporto alla maggior durata dell'intubazione tracheale. Anche la tracheotomia, cui vengono sottoposti questi pazienti in rianimazione, costituisce un altro fattore predisponente il rischio di contrarre infezioni polmonari gli stents: sono dei dispositivi che servono a dilatare le vie urinarie e biliari, i vasi quali le coronarie, l'uretere, e possono quindi essere motivo di infezioni. La chirurgia stessa, come detto prima, è un fattore di rischio di infezioni di tipo chirurgico, oppure di polmonite in rapporto all'anestesia generale le endoscopie: esse possono provocare batteriemia, polmoniti (broncoscopie), colangiti ( tramite la coledocopancreatoscopia retrograda, in cui si inserisce l'endoscopio nelle vie biliari passando per il duodeno) tutte le infusioni endovenose, compresa la nutrizione parenterale, possono essere causa di infezione, così come le trasfusioni di sangue che possono causare batteriemia, fungemia, più una serie di altre infezioni quali quella da HIV, da Citomegalovirus e le epatiti virali. L'eziologia delle infezioni ospedaliere è cambiata, specialmente per quanto riguarda i batteri Gram-positivi. Ai tempi in cui si iniziò ad utilizzare la terapia antibiotica bastava un'iniezione di penicillina per guarire qualsiasi cosa: gradualmente però i microrganismi hanno acquisito capacità di resistere alla penicillina stessa e, negli anni '55-'65, sono stati osservati i primi ceppi penicillino-resistenti. Negli anni '60-'80 aumentò la frequenza delle infezioni nosocomiali da Gram-negativi: nell'era preantibiotica le infezioni ospedaliere, infatti, erano per lo più da Gram-positivi, pensate anche alla sepsi puerperale dovuta a Streptococco. Cominciano in questi anni anche le prime infezioni da germi meticillino-resistenti (resistenti quindi alla meticillina, ma anche a diverse altre penicilline semi-sintetiche fra cui l’oxacillina) e germi con resistenza estesa anche alle cefalosporine, sensibili quindi soltanto ai glicopeptidi (vancomicina e teicoplamina). Successivamente, negli anni '90 e 2000, incrementarono le infezioni da stafilococchi: quelli penicillino-resistenti diventano più frequenti e costituiscono oggi la maggior parte dei germi isolati in ambiente ospedaliero. C'è in generale un aumento dei Gram-positivi, che sembravano prima in diminuzione. Compaiono in questo periodo, inoltre, nuovi ceppi di batteri Gram-positivi resistenti anche agli antibiotici glicopeptidici che costituiscono attualmente un problema rilevante. La setticemia nosocomiale è dovuta nel 30% dei casi a germi Gram-negativi, nel 16% a stafilococchi, nell’11% ad enterococchi, nel 7,6% a Candida ed nel 6% a E.coli. SEPSI La setticemie, come abbiamo detto, hanno una frequenza relativamente importante, specialmente in alcuni ambienti, quali la rianimazione, in cui vengono impiegati dispositivi endovascolari. Costituiscono dal 10% al 20% delle infezioni ospedaliere (la percentuale del 50% riportata nella diapositiva mostrata a lezione è sbagliata: già solo le infezioni urinarie rappresentano più del 50% del totale delle infezioni ospedaliere). Il 75% dei casi si verifica nelle unità di terapia intensiva. Il mezzo più frequente di trasmissione è costituito dalle mani del personale: è infatti essenziale mantenerle pulite, in quanto qualora non lo fossero possono costituire il vero mezzo di trasmissione delle infezioni ospedaliere, per via del passaggio del medico da un paziente all'altro; a volte è sufficiente il lavaggio igienico delle mani senza disinfettare. Alla questione dell’igiene delle mani si ricollega quella delle prime infezioni ospedaliere, ovvero quelle puerperali: Semmelweis, un ginecologo viennese, si accorse che lavando le mani prima di assistere ad un parto si riduceva notevolmente la frequenza dei casi di setticemia, detta appunto in questo caso specifico febbre puerperale. Tenete anche conto che la flora batterica ospedaliera è una flora selezionata dalla somministrazione di antibiotici in ambiente chiuso, quale è appunto l’ospedale. In genere queste setticemie sono dovute a germi multiresistenti. Per identificare i microrganismi nelle epidemie è importante l'analisi genotipica delle resistenze. Una delle cause più frequenti di sepsi è costituita dal catetere venoso centrale. I fattori di rischio associati ad esso sono numerosi: il primo, ovvio ma fondamentale, è la mancanza di assoluta sterilità dell’impianto del catetere e del mantenimento della stessa una volta inserito (dato che attraverso di esso si possono iniettare sostanze o effettuare dei prelievi), e non è infrequente osservare negli ospedali una certa incuranza in questo senso. Il paziente con questo tipo di catetere è spesso un soggetto in terapia antiblastica: il paziente leucemico, ad esempio, è costretto ad utilizzarlo a permanenza per il fatto che sono necessari dei vasi di grosso calibro per effettuare la chemioterapia (che non si effettua sulle vene periferiche che andrebbero incontro a immediata chiusura). Tali soggetti, qualora la nutrizione tramite le vene periferiche diventi insufficiente, hanno anche bisogno di nutrizione parenterale. un quadro di neutropenia: esso insorge, ad esempio, negli stessi pazienti in terapia antiblastica sopra citati, e costituisce a sua volta un fattore di rischio importante, specialmente quando si prolunga per più di otto giorni. Dopo circa sette/dieci giorni dall'inizio della chemioterapia si raggiunge il cosiddetto nadìr, ossia il picco più basso di neutrofili: si ritiene che un vero rischio di sviluppare setticemia interviene qualora si raggiunga un livello di neutrofili minore di 500, meno di 100 è una situazione considerata ad altissimo rischio. I parametri che aumentano il rischio sono la rapidità con cui si instaura la neutropenia e la durata della stessa. Ricordatevi che un paziente che presenta neutropenia associata a febbre necessita subito, dopo aver fatto le emocolture, di una terapia, perché probabilmente è andato incontro a setticemia. la nutrizione parenterale totale le neoplasie ematologiche l’AIDS la permanenza del catetere stesso (tanto più rimane tanto più aumenta il rischio): oggi si usano dei cateteri che possono rimanere mesi e mesi, rendendosi però necessaria una gestione ottimale del catetere. Importanti sono anche gli indici APACHE che, prendendo in considerazione diversi parametri fra i quali peso e albuminemia, permettono una valutazione delle condizioni generali del paziente. Un basso indice costituisce un indice predittivo di un valore prognostico sfavorevole rispetto alla possibilità di sviluppare un'infezione correlata all'utilizzo di questo catetere. D'altra parte i pazienti che usano questo catetere sono spesso in condizioni generali pessime. POLMONITI Le polmoniti sono infezioni importanti sia per frequenza che gravità. Nell’ambito delle polmoniti comunitarie, come abbiamo detto qualche lezione fa, gli agenti eziologici più comuni sono gli Pneumococchi: pur avendo questi un ruolo rilevante anche nelle polmoniti ospedaliere, tuttavia in questo caso sono più importanti altri microrganismi, quali: - Pseudomonas spp. (specialmente Pseudomonas aeruginosa) - le Enterobacteriaceae quali Klebsiella pneumoniae, E.coli ed S.marcescens - Enterobacter spp. - S. aureus - i batteri anaerobi Come vedete esse sono per lo più polmoniti da batteri Gram-negativi e presentano delle caratteristiche cliniche differenti da quelle comunitarie: spesso infatti presentano focolai multipli, sono talvolta poco evidenti con le indagini radiologiche e può quindi risultare più utile, ai fini della diagnosi, fare attenzione al quadro semeiologico, che in molti casi è ben definito (per esempio stare attenti alla funzionalità respiratoria del paziente, quindi ad un aumento della tosse e della dispnea). Lo Stafilococco aureus, un agente importante, è l'unico che fa eccezione tra Gram-positivi. Sono anche rilevanti le polmoniti da anaerobi, dovute per lo più a inalazione di alimenti o di surrogati, così come l'intubazione favorisce le polmoniti da aspirazione e da inalazione. Queste polmoniti, in generale, sono particolari in quanto tendono ad essere escavate, andando quindi incontro a necrosi e tendono ad ascessualizzarsi, specialmente quelle da batteri anaerobi, da S. aureus, Pseudomonas e Klebsielle. Uno dei fattori di rischio di polmonite ospedaliera è l'ospedalizzazione stessa, per via dell’utilizzo di antibiotici ad alto spettro. Sono stati effettuati degli studi in cui si faceva una correlazione tra consumo di antibiotici e incidenza di infezioni ospedaliere nei vari reparti: si è visto che c'è una relazione diretta tra consumo e incidenza. Questo risultato è dato dal fatto che l'utilizzo degli antibiotici porta naturalmente ad una selezione dei batteri più resistenti; bisogna anche dire però che i pazienti ricoverati nei reparti in cui questi si utilizzano maggiormente sono fondamentalmente in condizioni abbastanza gravi. Altri fattori di rischio sono: - aspirazione naso-faringea: operazione che si effettua per esempio in caso di abbondanti secrezione di muco, aumenta il rischio di introdurre dei germi nell’albero respiratorio - sondino naso-gastrico: fa sì che sia aumentata la frequenza di rigurgiti, quindi di inalazione di alimenti da parte del paziente, aggiunto al fatto che tali soggetti quasi sempre fanno dei trattamenti antiacidi che portano ad un aumento delle flora batterica. Sono stati fatti tanti studi per l'impiego di antiacidi che meno espongano i pazienti a polmoniti e si è visto esistere un antiacido di superficie che, in questo senso, è migliore rispetto agli inibitori della pompa protonica - ridotta clearance muco-ciliare - tubo endotracheale e tracheostomia - interventi chirurgici - patologie concomitanti, specialmente polmonari: i pazienti con broncopatie croniche o insufficienza respiratoria ostruttiva, ad esempio, vanno più frequentemente incontro a polmonite, così come il paziente con neoplasia polmonare spesso presenta una superinfezione della neoplasia stessa, e ancora interventi operatori tramite l'anestesia e l'intubazione sono fattori predisponenti - età avanzata. INFEZIONI URINARIE Le infezioni urinarie sono le più frequenti e non le più gravi, con una frequenza che è di circa il 50% del totale di quelle ospedaliere. L'agente di gran lunga più implicato è E.coli (frequenza del 26%), che comunque lo è relativamente meno rispetto alle infezioni non ospedaliere. Seguono poi Enterococco (16%), Pseudomanas aeruginosa (12%), Candida spp. (9%), Klebsiella pneumoniae (7%). Fattori di rischio sono l’uso del catetere urinario (nell’80% dei casi) e altre manovre (nel 20%) quali la cistoscopia o vari interventi chirurgici. Il sesso femminile è più esposto a questo tipo di infezione, avendo l'uretra più corta rispetto a quella maschile ed essendo la via di penetrazione dell'infezione una via ascendente. L'età è associata ad una serie di altre situazioni, sia nell'uomo che nella donna, che possono facilitare lo sviluppo di tali infezioni: il prolasso della vescica o dell'utero per la donna, l'ipertrofia della prostata per l’uomo, ad esempio, provocano una situazione di ristagno urinario. RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI Un problema di grande rilevanza in questi ultimi anni è lo sviluppo da parte di molti microrganismi di resistenza agli antibiotici, fenomeno connesso proprio alle infezioni ospedaliere e che costituisce attualmente un importante ostacolo per il trattamento delle stesse. Tale situazione interessa sia i batteri Gram-negativi che i Gram-positivi: questi ultimi, in particolare, hanno sviluppato una meticillino-resistenza (S. aureus), che si traduce in una resistenza a tutte le penicilline e cefalosporine. Fino a poco tempo fa lo Stafilococco meticillino-resistente, che circola già dagli anni ‘70, era pur sempre sensibile ai glicopeptidi: attualmente sono invece stati trovati ceppi con resistenza, assoluta o intermedia, anche alla vancomicina, così come cominciano raramente ad essere isolati ceppi di Enterococchi resistenti alla vancomicina stessa. Questi sono germi frequenti in ambiente ospedaliero, per cui si rendono necessarie delle misure speciali di isolamento del paziente al fine di evitare la contaminazione. I fattori critici nell'emergenza di tale resistenza sono: i fattori di rischio clinici, la pressione selettiva operata dagli antibiotici (di cui abbiamo prima accennato), mutazioni dei geni della resistenza, scambio di informazione genetica fra vari microrganismi mediante plasmidi e, infine, l’inadeguatezza dei metodi standard di laboratorio nell’evidenziare nuovi meccanismi di resistenza. Da un grafico a torta riportato a lezione (diapositiva n23), si vede come la resistenza e l’acquisizione di resistenza sia per lo più a carico di pazienti ospedalizzati che si infettano tramite le mani del personale (35% del totale). Attualmente sono anche abbastanza frequenti (il 20%) i ceppi di germi resistenti acquisiti al di fuori dell'ospedale. Questi sono particolarmente frequenti, in generale, in ambienti chiusi quali le case di riposo per anziani. Relativamente alla pressione selettiva operata dagli antibiotici, questa agisce provocando la crescita dei germi già geneticamente resistenti (e la morte di quelli che non lo sono), fenomeno detto di resistenza genotipica, oppure fa in modo che i germi resistenti trasferiscono la loro capacità a quelli che ne sono privi, fenomeno detto di resistenza fenotipica. Quindi la pressione selettiva può selezionare microrganismi già resistenti o può far sì che essa venga acquisita. I germi ospedalieri più antibiotico resistenti sono: fra i Gram-positivi: S.aureus meticillino-resistente (MRSA), S.aureus intermedioresistente alla vancomicina(VISA), S. coagulasi-negativo glicopeptide-resistente(GRCNS) e l’Enterococco resistente alla vancomicina (VRE). Tenete presente che queste dei Gram-positivi sono delle eccezioni emergenti, la cui importanza va sempre più aumentando fra i Gram-negativi: P.aeruginosa (P.aeruginosae spp. è fra i più resistenti), Enterobacter spp., Acinetobacter boumanii e klebsiella spp. Tra i germi comunitari, invece, problemi importanti di resistenza sono dovuti a: Mycobacterium tubercolosis, di cui sono sempre più evidenti ceppi i poliantibioticoresistenti: questo è il motivo per cui si utilizzano tre o quattro farmaci per affrontare questa malattia, poichè darne uno solo significa distruggere la maggior parte dei germi ma selezionare quello che ne resiste, e questo è anche il motivo per cui i trattamenti eseguiti male non fanno altro che peggiorare la situazione Streptococco pneumoniae, l’agente più frequente di polmoniti ma anche di meningiti, emergente in questi ultimi anni la sua resistenza a molti antibiotici, in particolare verso la penicillina e l'ampicillina. In Italia ancora non è molto frequente come, per esempio, in Spagna, dove è stato osservato fino ad un 40% di ceppi resistenti Neisseria gonorrhoeae: resistente a penicillina, tetraciclina e chinoloni Streptococcus pyogenes: responsabile della malattia reumatica e di molti casi di tonsillite, sta diventando resistente ai macrolidi e alla tetraciclina E.coli: altro problema molto importante, è multifarmaco resistente. Le strategie di controllo di tale fenomeno riguardano diversi aspetti, fra i quali l'organizzazione di programmi di controllo delle infezioni ospedaliere: in tutti i grossi ospedali c'è una commissione che studia la loro diffusione e prende provvedimenti per limitare il fenomeno. E’ importante inoltre conoscere quali sono i germi più responsabili e quelli che circolano maggiormente in un determinato ospedale, quindi la sorveglianza microbiologica della flora dell'ospedale è un fattore rilevante. Il trattamento degli fatti epidemici: è importante individuare il luogo, la sorgente, la causa dell’infezione ed eliminarla. Il ruolo del laboratorio di microbiologia clinica è pure un aspetto rilevante, perché il rilievo delle colonizzazioni delle infezioni presenti nei diversi ambienti ospedalieri permette di evidenziare il pericolo di infezione da parte di quegli stessi germi aventi quella data sensibilità agli antibiotici. In ogni epidemia è inoltre fondamentale conoscere esattamente, anche attraverso lo studio genetico, i microrganismi responsabili. Un altro passo assai rilevante è quello della igiene delle mani e delle tecniche e metodiche di isolamento dei pazienti infetti da germi resistenti ai vari antibiotici, in modo tale che non costituiscano una fonte di infezione per gli altri. Il controllo dell'antibiotico resistenza è un ulteriore aspetto da tenere attentamente in considerazione La prevenzione delle infezioni nosocomiali consiste di una serie di meccanismi: l’individuazione del paziente a rischio di infezione, una politica antibiotica mirata (bisogna tenere presente che l'utilizzo di antibiotici a largo spettro, quando non è necessario, è dannoso), individuare il serbatoio ed i meccanismi di trasmissione, descrivere l'incidenza nel tempo di queste infezioni, evidenziare eventuali epidemie. Sono quindi numerosi i compiti da assolvere per effettuare una corretta gestione del problema. Un aspetto da approfondire è quello della politica antibiotica mirata, ovvero la gestione dell'impiego degli antibiotici: le misure di controllo nell’uso degli antibiotici possono influenzare non solo i costi, ma soprattutto lo sviluppo di infezioni nosocomiali e di resistenze. E’ indubbio che attualmente vi sia un impiego sconsiderato di antibiotici, specialmente in alcuni ambienti ospedalieri, che non fa altro che accrescere il rischio per i pazienti stessi: in chirurgia, ad esempio, come vi avevo già detto, la profilassi antibiotica deve essere strettamente limitata alla durata dell’intervento, quindi non fatta né per lunghi periodi né dopo, e non con farmaci a larghissimo spettro, ma mirati rispetto alle infezioni ospedaliere chirurgiche più frequenti in quel settore. Per gli interventi cosiddetti puliti, non è necessario effettuare una profilassi antibiotica, così come, per esempio, i casi di neutropenia o granulopenia si tende a non trattarli, almeno finché non compaiono manifestazioni cliniche. Il paziente che arriva con una polmonite contratta fuori dall'ospedale non va trattato con antibiotici a larghissimo spettro, ma con cefalosporina di prima o di seconda generazione. Una tonsillite non va trattata con una cefalosporina di terza generazione. E’ indispensabile per questo l'aggiornamento medico continuo, la restrizione nella lista ospedaliera degli antibiotici prescrivibili (ne bastano pochi, l’importante è usarli bene), così come può essere consigliabile l'uso di più antibiotici ad ampio spettro a rotazione nei settori a rischio, la riduzione della somministrazione parenterale con incremento di quella orale laddove sia possibile (per esempio non nel trattamento di casi di meningite o di setticemia. In generale sarebbe comunque preferibile sempre la terapia orale, più fisiologica rispetto all'altra) e, infine, un formulario da compilare per la prescrizione di antibiotici selezionati: per alcuni antibiotici particolari che il medico vuole prescrivere in corsia, infatti, è necessario compilare un formulario che ne spieghi il motivo, ed inviarlo alla farmacia da cui ci si rifornisce. Secondo un'indagine effettuata in America, il 40%-70% dei farmaci antimicrobici viene somministrato in ospedale in maniera inappropriata (in Italia la situazione è migliore). In un grafico mostratoci a lezione (diapositiva n.32) è rappresentato un confronto spese: si è visto come, ad esempio, di un farmaco, le Ceftazidime, si sia diminuito di molto l'impiego, mentre per le Cefazoline si sia osservato un aumento dell'uso: questo per dire che, nel giro di un anno, in particolare nell'ospedale di San Martino di Genova, sia stato fatto forse un uso più corretto di alcuni farmaci antibiotici. La divisione in capoversi della sbobinatura segue l’ordine delle affascinanti diapositive proiettate a lezione…! ciao a tutti e buono studio Chiara Piccininni