michele scarpiniti
complementi di elettrotecnica
Versione 1.1
A
i
v
R eq
A
i
iN
RN
i3
B
v
i2
R3
i1
R2
R1
B
Dipartimento DIET
Università di Roma “La Sapienza”
via Eudossiana 18, 00184 Roma
http://ispac.diet.uniroma1.it/scarpiniti/index.htm
15 ottobre 2015
c 15 ottobre 2015.
Michele Scarpiniti: Complementi di Elettrotecnica, website:
http://ispac.diet.uniroma1.it/scarpiniti/index.htm
e-mail:
[email protected]
Questo testo è stato composto in LATEX, utilizzando la bellissima classe ArsClassica, una personalizzazione dello stile ClassicThesis ad opera di Lorenzo Pantieri (http://www.lorenzopantieri.net/LaTeX.html), che ringrazio sentitamente per l’ottimo lavoro svolto e per aver reso disponibile tale
classe.
complementi di elettrotecnica
PREMESSA
La seguente dispensa è rivolta agli studenti dell’insegnamento di Elettrotecnica del
corso di laurea in Ingegneria della Sicurezza presso la Facoltà di Ingegneria Civile
e Industriale dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Questo lavoro non ha la pretesa di essere un testo esauriente sull’Elettrotecnica,
ma costituisce solamente un ausilio e completamento alle lezioni da me svolte a
partire dall’anno accademico 2008-2009. Infatti, dall’esperienza didattica maturata
in questi anni, mi è parso che alcuni argomenti specifici che il libro di testo tralascia,
o perché dovrebbero essere già noti agli studenti dai corsi di fisica o perché ritenuti
di semplice derivazione, in realtà confondono gli studenti non ancora padroni della
metodologia ingegneristica. Proprio a tali argomenti è dedicata la seguente dispensa,
in modo da chiarire e completare la trattazione del libro di testo.
Roma, 15 ottobre 2015
Michele Scarpiniti
Versione 1.1, ultimo aggiornamento: 15 febbraio 2017
v
INDICE
Premessa
v
1
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
1
1.1 La connessione in serie e in parallelo
1
1.2 La connessione in serie e in parallelo di resistori
2
1.3 La connessione in serie e in parallelo di induttori
6
1.4 La connessione in serie e in parallelo di condensatori
8
1.5 Le trasformazioni stella-triangolo
10
1.6 Estensione ai domini trasformati
14
1.6.1 Il fenomeno della risonanza
15
1.7 I generatori reali
18
2
circuiti notevoli
25
2.1 Il partitore di tensione
25
2.1.1 Il partitore di tensione nei domini trasformati
2.2 Il partitore di corrente
28
2.2.1 Il partitore di corrente nei domini trasformati
2.3 I circuiti con il nullore
32
2.3.1 Il nullore come generatore di corrente
32
2.3.2 Il nullore come generatore di tensione
33
27
31
3
le reti due porte
35
3.1 La rappresentazione delle reti 2-porte
35
3.2 Rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto
36
3.2.1 Il significato dei parametri
37
3.2.2 Le reti a T
39
3.2.3 La connessione serie-serie
41
3.2.4 Estensione ai domini trasformati
42
3.3 Rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito
44
3.3.1 Il significato dei parametri
45
3.3.2 Le reti a Π
46
3.3.3 La connessione parallelo-parallelo
48
3.3.4 Estensione ai domini trasformati
50
3.4 Relazione tra le due rappresentazioni
51
4
la sovrapposizione degli effetti
53
4.1 Il principio
53
4.2 Applicazione all’elettrotecnica
54
4.3 La sovrapposizione delle potenze
55
4.4 Estensione ai domini trasformati
56
4.5 La sovrapposizione delle potenze attive
5
i teoremi di thevenin e norton
5.1 Il teorema di sostituzione
63
59
63
vii
viii
Indice
5.2
5.3
5.4
5.5
Il teorema di Thevenin
65
5.2.1 Metodo disgiunto
67
5.2.2 Metodo congiunto
71
Il teorema di Norton
73
5.3.1 Metodo disgiunto
75
5.3.2 Metodo congiunto
78
Trasformazione dei generatori indipendenti
80
5.4.1 Il teorema di Millman
81
Estensione ai domini trasformati
82
5.5.1 Il dominio della trasformata di Laplace
83
5.5.2 Il dominio dei fasori
87
6
trasferimento di potenza attiva
93
6.1 Formulazione del problema
93
6.2 Caso di carico resistivo
96
6.3 Rendimento del trasferimento
97
7
l’amplificatore operazionale
99
7.1 Il componente
99
7.2 Le configurazioni 100
7.2.1 La configurazione invertente 100
7.2.2 La configurazione non invertente 101
7.3 Configurazioni particolari 104
7.3.1 Integratore 104
7.3.2 Derivatore 104
7.3.3 Il sommatore pesato 105
7.3.4 L’inseguitore di tensione 106
7.3.5 Filtro 106
7.4 L’amplificatore operazionale e il nullore 107
7.5 Il funzionamento interno 108
bibliografia
111
a la risoluzione dei sistemi lineari
113
a.1 La definizione di determinante 113
a.2 Il metodo di Cramer 115
b
i numeri complessi
117
b.1 La notazione 117
b.1.1 L’unità immaginaria
b.1.2 Il numero complesso
b.2 Le rappresentazioni 120
b.3 La formula di Eulero 122
117
118
c tavole
123
c.1 Le relazioni costitutive 123
c.1.1 Bipoli fondamentali 123
c.1.2 Elementi a due porte 124
c.2 Circuiti equivalenti nel dominio di Laplace
126
d lista delle trasformate di laplace
129
d.1 Proprietà della trasformata di Laplace 129
d.2 Lista delle principali trasformate di Laplace 130
d.3 Antitrasformata di Laplace degli esponenziali complessi
131
Indice
Indice Analitico
133
ix
1
IL COLLEGAMENTO IN SERIE E
I N PA R A L L E L O D I B I P O L I
I
l seguente capitolo è dedicato al collegamento dei tre bipoli fondamentali in connessione serie e parallelo. Dopo aver enunciato le proprietà
generali di tali tipi di connessione, si studierà il comportamento del resistore, dell’induttore e del condensatore, rispettivamente. Si illustreranno
anche, un insieme di trasformazioni utili nel caso di bipoli non connessi
direttamente in serie o parallelo, note come trasformazioni stella-triangolo.
1.1
la connessione in serie e in parallelo
Si consideri il collegamento di N bipoli rappresentato in Figura 1.1. Un tale
tipo di collegamento si chiama connessione in serie. Una proprietà fondamentale di tale tipo di connessione, come si evince direttamente dall’analisi
della Figura 1.1, è che tutti i bipoli sono attraversati dalla stessa corrente, essendo unico il filo di collegamento da terminale A al terminale B. Formalmente,
si ha
i1 = i2 = i3 = . . . = iN ≡ i.
Connessione in serie
Corrente nel
collegamento in serie
(1.1)
Per semplicità di notazione, si è preferito eliminare dalle figure ed equazioni
la dipendenza temporale. A rigore, bisognerebbe scrivere i1 (t) = i2 (t) = . . .,
ecc.
i1
v1
i2
v2
v3
i3
iN
vN
i
A
B
v AB
Fig. 1.1: Collegamento in serie di N bipoli.
Si applichi ora la seconda legge di Kirchhoff al percorso chiuso BAB, indicato con una linea tratteggiata in Figura 1.1:
vAB − v1 − v2 − v3 − . . . − vN = 0.
Si ottiene quindi
vAB = v1 + v2 + v3 + . . . + vN =
Tensione nel
collegamento in serie
N
X
vk .
(1.2)
k=1
Dunque, la tensione sulla serie di N bipoli è pari alla somma delle tensioni dei
singoli bipoli.
La (1.1) e la (1.2) costituiscono le due proprietà fondamentali del collegamento in serie, che consentirà di semplificare la serie stessa.
1
2
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
A
i
i1
v1
i2
v2
i3
iN
v3
vN
v
B
Fig. 1.2: Collegamento in parallelo di N bipoli.
Connessione in
parallelo
Tensione nel
collegamento in
parallelo
Corrente nel
collegamento in
parallelo
Si consideri ora il collegamento di N bipoli rappresentato in Figura 1.2.
Un tale tipo di collegamento si chiama connessione in parallelo. Una proprietà fondamentale di tale tipo di connessione, come si evince direttamente
dall’analisi della Figura 1.2, è che tutti i bipoli hanno la stessa tensione, essendo
tutti i bipoli collegati tra il terminale A e il terminale B. Formalmente, si ha
v1 = v2 = v3 = . . . = vN ≡ v.
(1.3)
Si applichi ora la prima legge di Kirchhoff al nodo A, indicato con una linea
tratteggiata in Figura 1.2:
i = i1 + i2 + i3 + . . . + iN =
N
X
ik .
(1.4)
k=1
Dunque, la corrente che attraverso il parallelo di N bipoli è pari alla somma delle
correnti che attraversano i singoli bipoli.
La (1.3) e la (1.4) costituiscono le due proprietà fondamentali del collegamento in parallelo, che consentirà di semplificare il parallelo stesso.
1.2
Resistore equivalente
in serie
la connessione in serie e in parallelo di
resistori
Si consideri il collegamento in serie di N resistori di resistenza Rk , k =
1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale serie si comporti, dal
punto di vista esterno, come un resistore di resistenza equivalente Req e
quale sia il legame tra le Rk ed Req . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra
i terminali A e B in Figura 1.3, si comporti come un resistore di resistenza
Req .
A
i
v1
v2
v3
vN
R1
R2
R3
RN
B
v AB
Fig. 1.3: Collegamento in serie di N resistori.
A
B
i
Req
v AB
1.2 la connessione in serie e in parallelo di resistori
3
Si applichi quindi la (1.2), ricordando la (1.1). Si ottiene direttamente
vAB = v1 + v2 + v3 + . . . + vN
= R1 i + R2 i + R3 i + . . . + RN i
(1.5)
= (R1 + R2 + R3 + . . . + RN ) i
≡ Req i.
Confrontando la terza e quarta riga nella (1.5) si evince che la resistenza equivalente alla serie di N resistori è pari alla somma delle singole resistenze, ovvero
N
X
Req = R1 + R2 + R3 + . . . + RN =
Rk .
Resistenza
equivalente in serie
(1.6)
k=1
Dalla (1.6) si può concludere che: la resistenza equivalente alla serie di N resistori è sempre maggiore di ciascuna delle singole resistenze.
Esempio 1.1
Si consideri la serie di 3 resistori rappresentata nella figura seguente. Si calcoli la
resistenza equivalente nel caso in cui R1 = 5 Ω, R2 = 3 Ω e R3 = 1 Ω.
B
A
R2
R1
R3
Applicando la (1.6) si ottiene direttamente
Req = R1 + R2 + R3 = 5 + 3 + 1 = 9 Ω
Si consideri ora il collegamento in parallelo di N resistori di resistenza Rk ,
k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale parallelo si comporti, dal punto di vista esterno, come un resistore di resistenza equivalente
Req e quale sia il legame tra le Rk ed Req . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo
tra i terminali A e B in Figura 1.4, si comporti come un resistore di resistenza
Req .
Resistore equivalente
in parallelo
A
i
A
i
i1
R1
i2
R2
iN
i3
R3
v
RN
v
Req
B
B
Fig. 1.4: Collegamento in parallelo di N resistori.
Si applichi quindi la (1.4), ricordando la (1.3) e si denoti con Gk = 1/Rk la
conduttanza del k-simo resistore. Si ottiene direttamente
Conduttanza
4
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
i = i1 + i2 + i3 + . . . + iN
= G1 v + G2 v + G3 v + . . . + GN v
(1.7)
= (G1 + G2 + G3 + . . . + GN ) v
≡ Geq v.
Conduttanza
equivalente in
parallelo
Confrontando la terza e quarta riga nella (1.7) si evince che la conduttanza
equivalente al parallelo di N resistori è pari alla somma delle singole conduttanze,
ovvero
Geq = G1 + G2 + G3 + . . . + GN =
N
X
Gk .
(1.8)
k=1
Resistenza
equivalente in
parallelo
Se si è interessati alla resistenza, piuttosto che la conduttanza, è possibile
ricavare, invertendo la (1.8)
Req = PN
1
1
k=1 Rk
.
(1.9)
Dalla (1.9) si può concludere che: la resistenza equivalente al parallelo di N
resistori è sempre minore della più piccola resistenza.
Di particolare interesse è il calcolo della (1.9) nel caso di due sole resistenze. Infatti, nel caso si debba calcolare il parallelo di R1 e R2 , si
ha
1
1
1
=
+
Req
R1 R2
Parallelo di due
resistenze
Req =
R1 R2
.
R1 + R2
Dunque, la resistenza equivalente al parallelo di due resistori è pari al rapporto tra
il prodotto delle due resistenze e la loro somma:
Req =
Parallelo tra due
resistenze uguali
⇔
R1 R2
R1 + R2
(1.10)
La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui
le due resistenze siano di uguale valore R1 = R2 ≡ R. In quest’ultimo caso,
direttamente dalla (1.10) si ottiene
Req =
R
.
2
(1.11)
Quindi, la resistenza equivalente al parallelo di due resistori di uguale valore è pari
a mezza resistenza.
Esempio 1.2
Si consideri il parallelo di tre resistori rappresentato nella figura seguente. Si calcoli
la resistenza equivalente nel caso in cui R1 = 2 Ω, R2 = 4 Ω e R3 = 1 Ω.
A
R1
R2
B
R3
1.2 la connessione in serie e in parallelo di resistori
Applicando la (1.9) si ottiene direttamente
1
Req =
1
R1
+
1
R2
+
=
1
R3
1
1
2
+
1
4
+1
=
4
Ω
7
E’ poi possibile applicare consecutivamente e alternativamente il calcolo della resistenza equivalente serie e parallela, per semplificare un bipolo complesso, costituito da molteplici resistenze connesse in vario modo. L’esempio seguente chiarisce questa possibilità. Si vuole solo ricordare che il processo di semplificazione inizia solitamente dalla parte opposta ai terminali
da cui si è interessati all’equivalenza.
Esempio 1.3
Si trovi la resistenza equivalente al bipolo accessibile dai terminali AB e rappresentato nella figura seguente. Tutte le resistenze hanno stesso valore, pari a R = 8 Ω. Si
A
R
R
R
R
R
R
B
procede per passi. Si inizia con calcolare l’equivalente della serie dei due resistori a
sinistra. Dunque Req1 = 2R come mostrato nella parte (a) della figura seguente. A
questo punto, sul lato sinistro del circuito ci sono due resistori in parallelo. Applicando la (1.10) si ottiene Req2 = 32 R, come mostrato nella parte (b) della figura. Si
A
A
R
2R
R
R
R
2
R
3
R
R
R
B
B
(a)
(b)
A
A
5
R
3
5
R
8
R
13
R
8
B
(c)
A
R
R
B
(d)
B
(e)
continua, come messo in evidenza nella parte (c) della figura, calcolando l’equivalente della serie a sinistra, ovvero Req3 = 35 R, proseguendo con l’equivalente parallelo
Req4 = 58 R, come mostrato nella parte (d). Infine, si procede con il calcolo della serie
rimasta, come mostrato nella parte (e), ottenendo Req5 = 13
8 R = 13 Ω.
5
6
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
1.3
Induttore equivalente
in serie
la connessione in serie e in parallelo di
induttori
Analogamente a quanto visto nel paragrafo precedente, si consideri il collegamento in serie di N induttori di induttanza Lk , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole
rispondere alla domanda se tale serie si comporti, dal punto di vista esterno,
come un induttore di induttanza equivalente Leq e quale sia il legame tra le
Lk ed Leq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura
1.5, si comporti come un induttore di induttanza Leq .
A
i
v1
v2
vN
L1
L2
LN
B
A
B
i
Leq
v AB
v AB
Fig. 1.5: Collegamento in serie di N induttori.
Si applichi quindi la (1.2), ricordando la (1.1). Si ottiene direttamente
vAB = v1 + v2 + . . . + vN
di(t)
di(t)
di(t)
+ L2
+ . . . + LN
dt
dt
dt
di(t)
= (L1 + L2 + . . . + LN )
dt
di(t)
≡ Leq
.
dt
= L1
Induttanza
equivalente in serie
(1.12)
Confrontando la terza e quarta riga nella (1.12) si evince che l’induttanza
equivalente alla serie di N induttori è pari alla somma delle singole induttanze,
ovvero
Leq = L1 + L2 + . . . + LN =
N
X
Lk .
(1.13)
k=1
Induttore equivalente
in parallelo
Dalla (1.13) si può concludere che: l’induttanza equivalente alla serie di N
induttori è sempre maggiore di ciascuna delle singole induttanze.
Si consideri ora il collegamento in parallelo di N induttori di induttanza
Lk , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale parallelo si
comporti, dal punto di vista esterno, come un induttore di induttanza equivalente Leq e quale sia il legame tra le Lk ed Leq . Si vuole cioè, stabilire se
il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.6, si comporti come un induttore
di induttanza Leq .
Si applichi quindi la (1.4), ricordando la (1.3). Si ottiene direttamente
i = i1 + i2 + . . . + iN
Z
Z
Z
1 t
1 t
1 t
=
v(τ)dτ +
v(τ)dτ + . . . +
v(τ)dτ
L1 −∞
L2 −∞
LN −∞
Zt
1
1
1
=
+
+...+
v(τ)dτ
L1 L2
LN
−∞
Z
1 t
≡
v(τ)dτ.
Leq −∞
Induttanza
equivalente in
parallelo
Confrontando la terza e quarta riga nella (1.14) si evince che
(1.14)
1.3 la connessione in serie e in parallelo di induttori
7
A
i
i1
i2
L1
L2
A
L3
i
iN
i3
v
LN
v
Leq
B
B
Fig. 1.6: Collegamento in parallelo di N induttori.
1
Leq
=
N
X
1
1
1
1
+
+...+
=
.
L1 L2
LN
Lk
(1.15)
k=1
Dalla (1.15) si può concludere che: l’induttanza equivalente al parallelo di N
induttori è sempre minore della più piccola induttanza.
Di particolare interesse è il calcolo della (1.15) nel caso di due sole induttanze. Infatti, nel caso si debba calcolare il parallelo di L1 e L2 , si
ha
1
Leq
=
1
1
+
L1 L2
⇔
Leq =
L1 L2
.
L1 + L2
Dunque, l’induttanza equivalente al parallelo di due induttori è pari al rapporto
tra il prodotto delle due induttanze e la loro somma:
Leq =
L1 L2
L1 + L2
(1.16)
La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui
le due resistenze siano di uguale valore L1 = L2 ≡ L. In quest’ultimo caso,
direttamente dalla (1.16) si ottiene
Leq =
L
.
2
Parallelo di due
induttanze uguale
(1.17)
Quindi, l’induttanza equivalente al parallelo di due induttori di uguale valore è
pari a mezza induttanza.
La relazione (1.15) può essere semplificata se si introduce il concetto di
inertanza Γ = 1/L, definita come l’inverso dell’induttanza e misurata in
H−1 . Infatti è possibile riscrivere la (1.15) in funzione delle singole inertanze
Γk come segue
Γeq = Γ1 + Γ2 + . . . + ΓN =
Parallelo di due
induttanze
N
X
Γk .
(1.18)
k=1
Da tale relazione si deduce che l’inertanza equivalente al parallelo di N induttori
è pari alla somma delle singole inertanze.
Inertanza
8
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
1.4
Condensatore
equivalente in serie
la connessione in serie e in parallelo di
condensatori
Si continui con la connessione di bipoli, considerando il collegamento in
serie di N condensatori di capacità Ck , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere
alla domanda se tale serie si comporti, dal punto di vista esterno, come un
condensatore di capacità equivalente Ceq e quale sia il legame tra le Ck ed
Ceq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.7, si
comporti come un condensatore di capacità Ceq .
A
i
v1
v2
vN
C1
C2
CN
B
A
B
i
Ceq
v AB
v AB
Fig. 1.7: Collegamento in serie di N condensatori.
Si applichi quindi la (1.2), ricordando la (1.1). Si ottiene direttamente
vAB = v1 + v2 + . . . + vN
Z
Z
Z
1 t
1 t
1 t
=
i(τ)dτ +
i(τ)dτ + . . . +
i(τ)dτ
C1 −∞
C2 −∞
CN −∞
Zt
(1.19)
1
1
1
=
+
+...+
i(τ)dτ
C1 C2
CN
−∞
Zt
1
≡
i(τ)dτ.
Ceq −∞
Capacità equivalente
in serie
Confrontando la terza e quarta riga nella (1.19) si evince che
N
X
1
1
1
1
1
+
+...+
=
.
=
Ceq
C1 C2
CN
Ck
(1.20)
k=1
Serie di due capacità
Dalla (1.20) si può concludere che: la capacità equivalente alla serie di N condensatori è sempre minore della più piccola capacità.
Di particolare interesse è il calcolo della (1.20) nel caso di due sole capacità.
Infatti, nel caso si debba calcolare la serie di C1 e C2 , si ha
1
1
1
=
+
Ceq
C1 C2
⇔
Ceq =
C1 C2
.
C1 + C2
Dunque, la capacità equivalente alla serie di due condensatori è pari al rapporto tra
il prodotto delle due capacità e la loro somma:
Ceq =
Serie di due capacità
uguali
C1 C2
C1 + C2
(1.21)
La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui
le due capacità siano di uguale valore C1 = C2 ≡ C. In quest’ultimo caso,
direttamente dalla (1.21) si ottiene
Ceq =
C
.
2
(1.22)
Quindi, la capacità equivalente alla serie di due condensatori di uguale valore è pari
a mezza capacità.
1.4 la connessione in serie e in parallelo di condensatori
La relazione (1.20) può essere semplificata se si introduce il concetto di
elastanza S = 1/C, definita come l’inverso della capacità e misurata in F−1 .
Infatti è possibile riscrivere la (1.20) in funzione delle singole elastanze Sk
come segue
Seq = S1 + S2 + . . . + SN =
N
X
Sk .
9
Elastanza
(1.23)
k=1
Da tale relazione si deduce che l’elastanza equivalente alla serie di N condensatori è pari alla somma delle singole elastanze.
Si consideri ora il collegamento in parallelo di N condensatori di capacità Ck , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale parallelo
si comporti, dal punto di vista esterno, come un condensatore di capacità
equivalente Ceq e quale sia il legame tra le Ck ed Ceq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.8, si comporti come un
condensatore di capacità Ceq .
Condensatore
equivalente in
parallelo
A
i
i1
C1
i2
C2
A
C3
i
iN
i3
v
v
Ceq
CN
B
B
Fig. 1.8: Collegamento in parallelo di N condensatori.
Si applichi quindi la (1.4), ricordando la (1.3). Si ottiene direttamente
i = i1 + i2 + . . . + iN
dv(t)
dv(t)
dv(t)
+ C2
+ . . . + CN
dt
dt
dt
dv(t)
= (C1 + C2 + . . . + CN )
dt
dv(t)
≡ Ceq
.
dt
= C1
(1.24)
Confrontando la terza e quarta riga nella (1.24) si evince che la capacità equivalente al parallelo di N condensatori è pari alla somma delle singole capacità, ovvero
Ceq = C1 + C2 + . . . + CN =
N
X
Ck .
(1.25)
k=1
Dalla (1.25) si può concludere che: la capacità equivalente al parallelo di N
condensatori è sempre maggiore di ciascuna delle singole capacità.
Come osservazione generale al collegamento in serie e in parallelo dei
tre bipoli fondamentali, si noti che resistori e induttori hanno un comportamento simile, mentre i condensatori si comportano in modo duale, ovvero
Capacità equivalente
in parallelo
10
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
la connessione in serie dei condensatori è analoga al collegamento in parallelo di resistori e induttori, e viceversa. Tale comportamento è conseguenza
della dualità della relazione costitutiva di induttore e condensatore, cioè lo
scambio del ruolo di corrente e tensione.
1.5
Connessione né in
serie né in parallelo
le trasformazioni stella-triangolo
Si provi a calcolare la resistenza equivalente del bipolo rappresentato in
Figura 1.9. Dopo un’attenta analisi si nota immediatamente che non è
possibile trovare nessun resistore in serie o in parallelo a qualche altro.
R
A
R
R
R
R
R
R
B
Fig. 1.9: Esempio di circuito in cui i resistori non sono né in serie, né in parallelo.
Rete a T
Rete a Π
Si supponga comunque, che esista una qualche trasformazione che trasformi il sotto-circuito nel tratteggio rosso in Figura 1.9 (i tre resistori a forma di
T) in quello illustrato nella parte destra della Figura 1.10 (i tre resistori a forma di Π). Se tale trasformazione esiste, sostituendo il nuovo sotto-circuito
a forma di Π a quello a T, rende possibile effettuare gli equivalenti paralleli
tra le nuove resistenze R1 , R2 e R3 con le rimanenti e, di conseguenza, il
calcolo della resistenza equivalente dell’intero circuito.
A
B
A
B
r2
r1
r3
R3
R2
R1
C
C
Fig. 1.10: Trasformazione da una T di resistori a un Π di resistori.
Trasformazione T-Π
Trasformazione
stella-triangolo
Fortunatamente, una tale trasformazione esiste. Essa è tale per cui una rete
a T di bipoli può essere trasformata in una rete a Π e viceversa. Definiremo
tale trasformazione come trasformazione T-Π. Spesso nella letteratura elettrotecnica, una rete a T è chiamata anche stella, mentre una rete a Π triangolo
(si veda la Figura 1.11). Tale nomenclatura giustifica la comune denominazione di trasformazioni stella-triangolo e triangolo-stella per tale tipo
trasformazione circuitale.
Verranno di seguito mostrate le trasformazioni stella-triangolo per i tre
bipoli fondamentali senza dimostrazione. Si rimanda a testi specialistici
per una dimostrazione analitica. Comunque, tali trasformazioni verranno
ottenute in modo diverso nel Capitolo 3.
1.5 le trasformazioni stella-triangolo
A
B
A
B
z2
z1
11
Z3
z3
Z2
Z1
C
C
A
B
A
z1
B
z2
Z3
Z2
Z1
z3
C
C
Fig. 1.11: Trasformazione T-Π (prima riga) ovvero stella-triangolo (seconda riga) per
bipoli generici.
Si cominci con il caso dei resistori. Con riferimento alla Figura 1.10 di
ottiene il seguente insieme di equazioni
R2 R3
R
R1 R3
r2 =
R
R1 R2
r3 =
R
R = R1 + R2 + R3
r2 r3
r
r1 r3
R2 =
r
r1 r2
R3 =
r
1
1
1
1
=
+
+
r
r1 r2 r3
Trasformazione
stella-triangolo di
resistori
R1 =
r1 =
(1.26)
(1.27)
Si osservi attentamente l’ordine delle resistenze r1 , r2 e r3 nel circuito a
T e R1 , R2 , e R3 nel circuito a Π. Mentre r1 è attaccata al morsetto A, la
R1 è attaccata al morsetto B. La numerazione poi prosegue sempre in senso
orario.
In modo del tutto simile, con riferimento alla Figura 1.12, è possibile scrivere le trasformazioni stella-triangolo per gli induttori
L2 L3
L
L1 L3
l2 =
L
L1 L2
l3 =
L
L = L1 + L2 + L3
l2 l3
l
l1 l3
L2 =
l
l1 l2
L3 =
l
1
1
1
1
=
+
+
l
l1 l2 l3
Trasformazione
stella-triangolo di
induttori
L1 =
l1 =
(1.28)
(1.29)
Con riferimento alla Figura 1.13, si scrivono le trasformazioni stella-triangolo
per i condensatori
Trasformazione
stella-triangolo di
condensatori
12
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
A
B
A
B
l2
l1
L3
l3
L2
L1
C
C
Fig. 1.12: Trasformazione stella-triangolo di induttori.
C2 C3
C
C1 C3
c2 =
C
C1 C2
c3 =
C
1
1
1
1
+
+
=
C
C1 C2 C3
c2 c3
c
c1 c3
C2 =
c
c1 c2
C3 =
c
c = c1 + c2 + c3
c1 =
C1 =
(1.30)
A
B
c1
(1.31)
A
B
c2
C3
c3
C2
C1
C
C
Fig. 1.13: Trasformazione stella-triangolo di condensatori.
Segue un esempio che mostra l’utilità delle trasformazioni stella-triangolo
nella semplificazione di un circuito non direttamente risolvibile senza l’applicazione di un metodo di analisi.
Esempio 1.4
Si trovi la resistenza equivalente al bipolo accessibile dai terminali AB e rappresentato nella figura seguente. Sia R1 = R6 = 4 Ω, R2 = 1 Ω, R3 = R4 = 2 Ω, R5 = 8 Ω e
R7 = 3 Ω.
R6
A
R4
R2
R1
R3
R7
R5
B
Si procede per passi. Si inizia con calcolare l’equivalente della T di resistori nel
tratteggio rosso, attraverso le trasformazioni stella-triangolo. In questo caso specifico,
i tre resistori r1 , r2 e r3 di Figura 1.10 sono R2 , R4 e R3 , rispettivamente. I nuovi
resistori nella configurazione Π vengono indicati con una tilde. Applicando dunque
le (1.27) e con riferimento alla Figura 1.10, si ottiene
1
1
1
1 1
1
=
+
+
= 1 + + = 2 Ω−1
r
R2 R3 R4
2 2
⇒
r=
1
Ω
2
1.5 le trasformazioni stella-triangolo
e di conseguenza
R̃1 =
R3 R4
2·2
= 1 =8Ω
r
2
R̃2 =
R2 R3
1·2
= 1 =4Ω
r
2
R̃3 =
R2 R4
1·2
= 1 =4Ω
r
2
Il circuito assegnato, viene quindi trasformato nel seguente, in cui la T di resistori nel
tratteggio rosso è sostituito con il corrispondente Π. Si noti che tale trasformazione
R6
A
R7
R3
R1
R1
R2
R5
B
ha eliminato il nodo centrale del circuito (quello in cui sono collegati i resistori R2 ,
R4 e R3 ). A questo punto è quindi possibile calcolare gli equivalenti dei tre paralleli
Req1 =
4·4
R1 R̃2
=2Ω
=
4
+4
R1 + R̃2
Req2 =
R6 R̃3
4·4
=2Ω
=
4+4
R6 + R̃3
Req3 =
R5 R̃1
8·8
=
=4Ω
8+8
R5 + R̃1
ottenendo il circuito mostrato nella parte (a) della figura seguente.
A
A
Req1
R7
R7
Req 2
Req 4
Req 3
Req 3
B
(a)
B
(b)
A
A
R7
Req
Req 5
B
(c)
B
(d)
Si prosegue calcolando in sequenza gli equivalenti serie e parallelo del resto dei
componenti del circuito. Dunque è Req4 = Req1 + Req2 = 4 Ω come mostrato nella
parte (b) della figura seguente. A questo punto, sul lato sinistro del circuito ci sono
due resistori in parallelo. Applicando la (1.11) si ottiene Req5 = 2 Ω, come mostrato
nella parte (c) della figura.
13
14
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
Infine, si procede con il calcolo della serie rimasta, come mostrato nella parte (d),
ottenendo Req = Req5 + R7 = 5 Ω.
1.6
Fasore
estensione ai domini trasformati
E’ facile rendersi conto che le relazioni fondamentali date dalle (1.1) e (1.2)
per il caso di collegamento in serie e dalle (1.3) e (1.4) per il caso di collegamento parallelo, continuano a valere anche nel dominio della trasformata
di Laplace e nel dominio dei fasori, vista la linearità di tali trasformazioni.
Con riferimento alla Figura 1.1 nel caso di collegamento in serie, le (1.1) e
(1.2) divengono
I1 (s) = I2 (s) = I3 (s) = . . . = IN (s) ≡ I(s),
(1.32)
VAB (s) = V1 (s) + V2 (s) + V3 (s) + . . . + VN (s) =
N
X
Vk (s),
(1.33)
k=1
nel dominio di Laplace e
I1 = I2 = I3 = . . . = IN ≡ I,
(1.34)
VAB = V1 + V2 + V3 + . . . + VN =
N
X
(1.35)
Vk ,
k=1
nel dominio dei fasori.
Analogamente, con riferimento alla Figura 1.2 nel caso di collegamento in
parallelo, le (1.3) e (1.4) divengono
V1 (s) = V2 (s) = V3 (s) = . . . = VN (s) ≡ V(s),
I(s) = I1 (s) + I2 (s) + I3 (s) + . . . + IN (s) =
N
X
(1.36)
Ik (s),
(1.37)
k=1
nel dominio di Laplace e
V1 = V2 = V3 = . . . = VN ≡ V,
I = I1 + I2 + I3 + . . . + IN =
(1.38)
N
X
Ik ,
(1.39)
k=1
Impedenza
nel dominio dei fasori.
Utilizzando tali relazioni e ricordando che in un dominio trasformato le
impedenze si comportano come le resistenze, è possibile ricavare espressioni simili alla (1.5) e alla (1.7), espresse nel dominio trasformato. Tali
equazioni permettono di ricavare l’espressione dell’impedenza equivalente
Zeq e dell’ammettenza equivalente Yeq di una serie di N bipoli. Si ha
Zeq = Z1 + Z2 + . . . + ZN =
Yeq = Y1 + Y2 + . . . + YN =
N
X
k=1
N
X
Zk ,
Yk ,
(1.40)
(1.41)
k=1
Ammettenza
Si ricorda che l’ammettenza è definita come l’inverso dell’impedenza, cioè
1.6 estensione ai domini trasformati
Yk = 1/Zk e si misura in Ω−1 .
Anche nei domini trasformati è di particolare interesse il calcolo della
(1.41) nel caso di due sole impedenze. Infatti, nel caso si debba calcolare il
parallelo di Z1 e Z2 , si ottiene facilmente
Zeq =
Z1 Z2
Z1 + Z2
Parallelo di due
impedenze
(1.42)
Dunque, l’impedenza equivalente al parallelo di due impedenze è pari al rapporto
tra il prodotto delle due impedenze e la loro somma.
La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in
cui le due impedenze siano di uguale natura (due resistori, due induttori
o due condensatori) e stesso valore Z1 = Z2 ≡ Z. In quest’ultimo caso,
direttamente dalla (1.42) si ottiene
Zeq =
15
Z
.
2
Parallelo di due
impedenze uguali
(1.43)
Quindi, l’impedenza equivalente al parallelo di due impedenze di stessa natura e
uguale valore è pari a mezza impedenza.
Si noti che, in un dominio trasformato, è possibile calcolare l’equivalente
serie e parallelo anche di bipoli di diversa natura, differentemente a quello
che accadeva nel dominio del tempo. Questo comportamento è conseguenza
della definizione di impedenza come generalizzazione di resistenza. Tutti i
bipoli, in un dominio trasformato, si comportano come un resistore.
Esempio 1.5
Si calcoli l’equivalente serie del circuito illustrato nella figura seguente. Sia ω0 = 1
rad/sec, R = 3 Ω, L = 2 H e C = 1 F.
A
B
i
R
L
C
A
B
i
Z eq
Applicando la (1.40) si ha
Zeq = R + jω0 L +
1.6.1
1
= 3 + j2 − j = 3 + j [Ω].
jω0 C
Il fenomeno della risonanza
Si consideri un’impedenza Z nel dominio dei fasori. In generale tale impedenza avrà una parte reale, che rappresenta gli effetti resistivi, ed una parte
immaginaria, detta reattanza e denotata con X, che rappresenta gli effetti
induttivi e capacitivi
Reattanza
Z = R + jX.
Analogamente, un’ammettenza Y nel dominio dei fasori avrà una parte reale
ed una parte immaginaria, detta suscettanza e denotata con B
Y = G + jB.
In generale, i valori delle reattanze e suscettanze dipendono dalla particolare pulsazione ω0 di lavoro. Può capitare che esistano particolari valori
di ω0 per i quali la reattanza o la suscettanza risulti nulla. In questo caso
particolare, l’impedenza, o l’ammettenza risulterà di natura resistiva. La
Suscettanza
16
Risonanza
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
particolare pulsazione ω0 che annulla la parte immaginaria dell’impedenza
prende il nome di pulsazione di risonanza. Si definisce risonanza tale fenomeno e si dirà, in questo caso, che l’impedenza Z (o l’ammettenza Y) sarà
risonante alla pulsazione ω0 . Per calcolare la particolare pulsazione di risonanza di un bipolo, si procede con il calcolo dell’impedenza (o ammettenza)
equivalente e quindi si impone che la reattanza (o suscettanza), cioè la sua
parte immaginaria, sia nulla.
Anche se è possibile calcolare la pulsazione di risonanza per qualsiasi
bipolo, nel seguito si analizzeranno due tipici esempi utili nelle applicazioni
e noti come circuito risonante serie e circuito risonante parallelo.
Circuito risonante serie
Si consideri il bipolo rappresentato in Figura 1.14. Si vuole determinare la
pulsazione di risonanza.
A
B
I
L
R
C
Fig. 1.14: Esempio di circuito risonante serie.
L’impedenza equivalente del bipolo è
Zeq
Pulsazione di
risonanza
1
1
= R + jω0 L +
= R + j ω0 L −
≡ R + jX.
jω0 C
ω0 C
(1.44)
Annullando la reattanza nella (1.44) si ottiene la pulsazione di risonanza:
X = 0 ⇒ ω0 L −
1
1
= 0 ⇒ ω0 = √ .
ω0 C
LC
(1.45)
Si supponga ora che il bipolo in questione venga utilizzato in condizioni di
risonanza, cioè alla pulsazione ω0 calcolata in (1.45) e che sia attraversato
dalla corrente I. La tensione VAB sull’intero bipolo vale quindi:
VAB = Zeq I = (R + jX) I = RI ≡ VR .
(1.46)
Quindi la tensione sul bipolo coincide con la tensione sulla resistenza R.
Attenzione però, questo non significa che le tensioni VL e VC dell’induttore e del condensatori siano nulle, ma solo che la loro somma VL + VC è
nulla. Infatti, spesso tali tensioni sono molto elevate, rendendo pericoloso
l’eventuale contatto con uno di questi componenti.
A tal proposito, si alimenti il bipolo in Figura 1.14 con un generatore
indipendente di tensione sinusoidale con pulsazione ω0 calcolata in (1.45) e
ampiezza Vg . La corrente I che scorre nel bipolo, a seguito della risonanza,
vale
I=
Vg
Vg
≡
.
Zeq
R
(1.47)
La (1.47) implica che la tensione del bipolo valga: VAB = RI ≡ Vg . A questo
punto, la tensione dell’induttore è
ω L
1
VL = jω0 LI = j 0 Vg = j
R
R
r
L
Vg ≡ jQVg ,
C
(1.48)
1.6 estensione ai domini trasformati
in cui si è indicato con Q la seguente quantità
r
1 L
Q=
.
R C
17
(1.49)
Il parametro Q prende il nome di fattore di merito del circuito risonante serie e, di solito, assume valori maggiori dell’unità. Spesso capita che Q >> 1,
il che implica, utilizzando la (1.48), che il modulo della tensione dell’induttore VL è Q volte il modulo della tensione impressa del generatore Vg e
quindi, plausibilmente, molto maggiore di quest’ultima.
Analogamente, la tensione del condensatore è
r
1
1
1 L
VC =
I = −j
Vg = −j
Vg ≡ −jQVg .
(1.50)
jω0 C
ω0 RC
R C
Fattore di merito del
circuito risonante
serie
La (1.50) dimostra che anche la tensione VC del condensatore ha stesso valore della tensione dell’induttore VL , ma segno opposto, in modo da annullare
quindi la loro somma.
Circuito risonante parallelo
Si consideri il bipolo rappresentato in Figura 1.15. Si vuole determinare la
pulsazione di risonanza.
A
I
IR
R
IC
IL
L
V
C
B
Fig. 1.15: Esempio di circuito risonante parallelo.
L’ammettenza equivalente del bipolo è
1
1
= G + j ω0 C −
≡ G + jB.
Yeq = G + jω0 C +
jω0 L
ω0 L
(1.51)
Annullando la suscettanza nella (1.51) si ottiene la pulsazione di risonanza:
B = 0 ⇒ ω0 C −
1
1
= 0 ⇒ ω0 = √ .
ω0 L
LC
(1.52)
Osservando la (1.52) e la (1.45) ci si rende conto che i due bipoli di Figura
1.14 e Figura 1.15 hanno la stessa frequenza di risonanza.
Si supponga ora che il bipolo in questione venga utilizzato in condizioni
di risonanza, cioè alla pulsazione ω0 calcolata in (1.52) e che sia sottoposto
alla differenza di potenziale V. La corrente I che attraversa il bipolo vale
quindi:
I = Yeq V = (G + jB) V = GV ≡ IR .
(1.53)
Pulsazione di
risonanza
18
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
Quindi la corrente che attraversa il bipolo coincide con la corrente che scorre
sulla resistenza R. Attenzione però, questo non significa che le correnti IL e
IC dell’induttore e del condensatori siano nulle, ma solo che la loro somma
IL + IC è nulla. Infatti, spesso tali correnti sono molto elevate, rendendo
pericoloso l’eventuale contatto con uno di questi componenti.
A tal proposito, si alimenti il bipolo in Figura 1.15 con un generatore
indipendente di corrente sinusoidale con pulsazione ω0 calcolata in (1.52) e
ampiezza Ig . La tensione V del bipolo, a seguito della risonanza, vale
V=
Ig
≡ RIg .
Yeq
(1.54)
La (1.54) implica che la corrente che attraversa il bipolo valga: I = GV ≡ Ig .
A questo punto, la corrente che attraversa l’induttore è
r
C
R
1
V = −j
Ig = −jR
Ig ≡ −jQIg ,
(1.55)
LL =
jω0 L
ω0 L
L
in cui si è indicato con Q la seguente quantità
r
C
.
Q=R
L
Fattore di merito del
circuito risonante
parallelo
(1.56)
Il parametro Q, in questo caso, prende il nome di fattore di merito del
circuito risonante parallelo e coincide con l’inverso della (1.49) nel caso serie.
Anche in questo caso, di solito, assume valori maggiori dell’unità e spesso
capita che Q >> 1, il che implica, utilizzando la (1.55), che il modulo della
corrente dell’induttore IL è Q volte il modulo della corrente impressa del
generatore Ig e quindi, plausibilmente, molto maggiore di quest’ultima.
Analogamente, la corrente che scorre nel condensatore è
r
C
IC = jω0 CV = jω0 RCIg = jR
Ig ≡ jQIg .
(1.57)
L
La (1.57) dimostra che anche la corrente IC che attraversa il condensatore ha
stesso valore della corrente che attraversa l’induttore IL , ma segno opposto,
in modo da annullare quindi la loro somma.
1.7
Parallelo di due
generatori
indipendenti di
tensione
Serie di due
generatori
indipendenti di
corrente
i generatori reali
Esistono alcuni casi particolare in cui connettendo in serie o in parallelo due
bipoli particolari si ottiene un assurdo fisico. Questi casi particolari coincidono con il collegamento in parallelo di due (o più) generatori indipendenti
di tensione e il collegamento in serie di due (o più) generatori indipendenti
di corrente, come illustrato graficamente in Figura 1.16.
Infatti, con riferimento alla parte a) di Figura 1.16 in cui si è indicato con v(t) la tensione del parallelo, si dovrebbe avere che v(t) = vg1 (t)
e v(t) = vg2 (t) e dunque dovrebbe essere vg1 (t) = vg2 (t) contro il caso generale in cui i due generatori abbiano grandezze impresse diverse
vg1 (t) 6= vg2 (t). Queste condizioni sono in contrasto tra di loro e non possono mai essere soddisfatte contemporaneamente, tranne nel caso particolare di grandezze impresse uguali1 e dunque anche tale tipo di connessione
porta ad un assurdo fisico.
In modo simile, con riferimento alla parte b) di Figura 1.16 in cui si è
1 In quest’ultimo caso, comunque, rimarrebbe indeterminata la corrente che scorre nel parallelo.
1.7 i generatori reali
19
A
+
+
v g1 (t )
v g 2 (t )
+
ig 2 (t )
ig1 (t )
i (t )
v(t )
A
-
B
B
a)
b)
Fig. 1.16: a) Connessione in parallelo di due generatori indipendenti di tensione e
b) connessione in serie di due generatori indipendenti di corrente.
indicato con i(t) la corrente che scorre nella serie, si dovrebbe avere che
i(t) = ig1 (t) e i(t) = ig2 (t) e dunque dovrebbe essere ig1 (t) = ig2 (t) contro
il caso generale in cui i due generatori abbiano grandezze impresse diverse
ig1 (t) 6= ig2 (t). Queste condizioni sono in contrasto tra di loro e non possono mai essere soddisfatte contemporaneamente, tranne nel caso particolare
di grandezze impresse uguali2 e dunque un tale tipo di connessione porta
ad un assurdo fisico.
Matematicamente, questi assurdi nascono perché si sono idealizzati troppo i modelli dei due generatori indipendenti. Nelle applicazioni pratiche
dovrà pur succedere qualcosa e i due circuiti precedenti si porteranno verso un punto di equilibrio. Nella realtà, ogni generatore reale contiene al suo
interno un effetto resistivo e questo significa che la corrente o la tensione
applicata ad un carico sarà diversa da quella impressa.
Dal punto di vista circuitale, dunque, un generatore reale contiene oltre al
bipolo “generatore indipendente” anche un resitore Rg , definita resistenza
interna del generatore. In particolare, nel caso di un generatore indipendente reale di tensione, tale resistore è collegato in serie al generatore ideale,
mentre nel caso di un generatore indipendente di corrente, tale resistore è
collegato in parallelo al generatore ideale, come mostrato in Figura 1.17. In
tale Figura, si è indicato rispettivamente con v0 (t) e i0 (t) la tensione e la
corrente dei generatori reali.
Rg
+
v g (t )
A
A
+
+
i (t )
v0 (t )
-
i g (t )
i0 (t )
Rg
v(t )
B
B
a)
b)
Fig. 1.17: a) Generatore indipendente reale di tensione e b) generatore indipendente
reale di corrente.
Connettendo in parallelo due (o più) generatori indipendenti reali di tensione e in serie due (o più) generatori indipendenti reali di corrente, scompare
l’assurdo fisico evidenziato in precedenza. Infatti, in questo nuovo caso, sarà la serie del primo generatore con la propria resistenza interna che dovrà
avere la stessa tensione della serie del secondo generatore con le relativa
resistenza interna: questo significa e i due resistori che rappresentano le resistenze interne dei generatori vanno a compensare le tensioni dei due rami
2 In quest’ultimo caso, comunque, rimarrebbe indeterminata la tensione ai capi della serie.
Generatore reale
Resistenza interna
del generatore
20
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
fino ad ottenere la tensione comune. Un discorso analogo può essere fatto
per il caso dei generatori reali di corrente.
Si veda come esempio numerico la connessione in parallelo di due generatori reali di tensione.
Esempio 1.6
Si determini la tensione v(t) tra i nodi A e B del parallelo tra i due generatori di tensione reali mostrati nella seguente figura. Sia vg1 (t) = 4 V, vg2 (t) = 2 V, R1 = 1 Ω
e R2 = 3 Ω.
A
+
R1
+
+
vR2 (t )
vR1 (t )
+
+
vg1 (t )
R2
v (t )
vg2 (t )
i(t )
B
La corrente i(t) che scorre nella maglia di figura è:
i(t) =
vg1 (t) − vg2 (t)
4−2
1
=
= A
R1 + R2
1+3
2
La tensione sul resistore R1 , applicando la legge di Ohm, vale:
vR1 (t) = R1 i(t) =
1
V
2
Di conseguenza la tensione v(t) cercata tra i nodi A e B del circuito è semplicemente
v(t) = vg1 (t) − vR1 (t) = 4 −
1
7
= = 3.5 V
2
2
Si analizzeranno ora più in dettaglio i due generatori reali, iniziando da
quello di tensione.
Con riferimento alla parte a) di Figura 1.17 e applicando la seconda legge
di Kirchhoff, si ottiene:
v0 (t) = vg (t) − Rg i(t).
(1.58)
La potenza istantanea in uscita dal generatore è allora data da:
p(t) = v0 (t)i(t) = (vg (t) − Rg i(t)) i(t) = vg (t)i(t) − Rg i2 (t).
Potenza erogata
limitata
(1.59)
Tale potenza è un’espressione quadratica in i(t) e assume sempre un valore
massimo (si veda la Figura 1.18). Per determinare il valore della corrente a
cui si ottiene tale massimo, basta porre a zero la derivata della (1.59) rispetto
alla i(t):
dp(t)
= vg (t) − 2Rg i(t) ≡ 0,
di(t)
che risolta fornisce
i(t) =
vg (t)
icc (t)
≡
.
2Rg
2
(1.60)
1.7 i generatori reali
p (t )
pm (t )
icc (t )
i (t )
icc (t )
2
Nella (1.60) si è denotato con
icc (t) = vg (t)/Rg la corrente che
scorre nella maglia del generatore reale dopo averlo cortocircuitato. Per tale motivo tale corrente
è chiamata corrente di corto circuito. Sostituendo la (1.60) nella
(1.59) si ottiene l’espressione della massima potenza erogabile dal
generatore reale di tensione
21
Corrente di corto
circuito
v2g (t)
.
4Rg
(1.61)
Fig. 1.18: Andamento della potenza erogata da un generatore reale di
Si osservi che, al contrario, poiché
tensione.
pm (t) =
la corrente che scorre in un generatore indipendente di tensione ideale è arbitraria (nel senso che dipende dal resto del circuito), la potenza
erogata dal generatore indipendente di tensione ideale è illimitata. Infatti, dal punto di vista matematico, tale potenza vale pi (t) = vg (t)i(t) che
non presenta massimi per nessun valore finito di i(t) essendo una funzione
monotonica crescente con i(t).
E’ possibile confrontare un generatore indipendente reale di tensione con
la sua versione ideale attraverso il rendimento ηv definito come il rapporto
tra la potenza (1.59) e la potenza pi (t) del caso ideale:
ηv =
(vg (t) − Rg i(t)) i(t)
Rg i(t)
p(t)
i(t)
=
= 1−
≡ 1−
.
pi (t)
vg (t)i(t)
vg (t)
icc (t)
Rendimento
(1.62)
Poiché la corrente i(t) dipende dal carico, rappresentato dalla resistenza Rc
a cui viene attaccato il generatore reale, si ha
i(t) =
vg (t)
vg (t)
6
= icc (t).
Rg + Rc
Rg
Tale osservazione giustifica la seguente proprietà
ηv 6 1,
(1.63)
ovvero che il rendimento di un generatore reale di tensione è sempre inferiore
all’unità. E’ comunque interessante notare che, in condizioni di massima
potenza (1.60), è ηv = 12 , cioè il rendimento è piuttosto basso.
Ad un’attenta osservazione, si capisce che la massima potenza erogabile
(1.59) e il rendimento (1.62) sono due obiettivi contrastanti. E’ infatti abbastanza chiaro che per ottenere valori elevati del rendimento è indispensabile
lavorare con correnti i(t) molto piccole e quindi notevolmente inferiori a
icc (t)/2, valore per cui si ha la massima potenza erogabile.
E’ ora possibile ripetere tali ragionamento per il generatore indipendente
reale di corrente. Con riferimento alla parte b) di Figura 1.17 e applicando
la prima legge di Kirchhoff, si ottiene:
i0 (t) = ig (t) − Gg v(t),
(1.64)
in cui Gg = 1/Rg . La potenza istantanea in uscita dal generatore è allora
data da:
p(t) = v(t)i0 (t) = v(t) (ig (t) − Gg v(t)) = v(t)ig (t) − Gg v2 (t).
(1.65)
Rendimento vs.
potenza massima
erogabile
22
il collegamento in serie e in parallelo di bipoli
Tale potenza è un’espressione quadratica in v(t) e assume sempre un valore
massimo (assume un andamento simile a quello illustrato in Figura 1.18).
Per determinare il valore della tensione a cui si ottiene tale massimo, basta
porre a zero la derivata della (1.65) rispetto alla v(t):
dp(t)
= ig (t) − 2Gg v(t) ≡ 0,
dv(t)
che risolta fornisce
v(t) =
Tensione a vuoto
ig (t)
Rg ig (t)
vca (t)
=
≡
.
2Gg
2
2
Nella (1.66) si è denotato con vca (t) = Rg ig (t) la tensione che si ha in
parallelo al generatore reale quando è lasciato aperto. Per tale motivo tale
tensione è chiamata tensione a vuoto. Sostituendo la (1.66) nella (1.65) si
ottiene l’espressione della massima potenza erogabile dal generatore reale
di corrente
pm (t) =
Rendimento
(1.66)
Rg i2g (t)
.
4
(1.67)
Si osservi che, al contrario, poiché la tensione in un generatore indipendente di corrente ideale è arbitraria (nel senso che dipende dal resto del
circuito), la potenza erogata dal generatore indipendente di corrente ideale è illimitata. Infatti, dal punto di vista matematico, tale potenza vale
pi (t) = v(t)ig (t) che non presenta massimi per nessun valore finito di v(t)
essendo una funzione monotonica crescente con v(t).
E’ possibile confrontare un generatore indipendente reale di corrente con
la sua versione ideale attraverso il rendimento ηi definito come il rapporto
tra la potenza (1.65) e la potenza pi (t) del caso ideale:
ηi =
v(t) (ig (t) − Gg v(t))
Gg v(t)
v(t)
p(t)
=
= 1−
≡ 1−
. (1.68)
pi (t)
v(t)ig (t)
ig (t)
vca (t)
Poiché la tensione v(t) dipende dal carico, rappresentato dalla resistenza Rc
a cui viene attaccato il generatore reale, si ha
v(t) =
ig (t)
ig (t)
6
= vca (t).
Gg + Gc
Gg
Tale osservazione giustifica la seguente proprietà
ηi 6 1,
Impedenza interna
del generatore
(1.69)
ovvero che anche in questo caso il rendimento di un generatore reale è sempre
inferiore all’unità. E’ comunque interessante notare che, in condizioni di
massima potenza (1.66), è ηi = 12 , cioè il rendimento è piuttosto basso.
Ad un’attenta osservazione, si capisce che anche in questo caso la massima potenza erogabile (1.65) e il rendimento (1.68) sono due obiettivi contrastanti. E’ infatti abbastanza chiaro che per ottenere valori elevati del rendimento è indispensabile lavorare con tensioni v(t) molto piccole e quindi
notevolmente inferiori a vca (t)/2, valore per cui si ha la massima potenza
erogabile.
I ragionamenti effettuati nel presenta paragrafo possono essere estesi semplicemente nei domini trasformati. In questo caso, i generatori indipendenti
reali sono modificati attraverso l’introduzione di una impedenza interna
del generatore Zg , piuttosto che un semplice resistore Rg . Tale impedenza
1.7 i generatori reali
può tener conto anche di eventuali fenomeni reattivi interni al generatore
ed ha un carattere molto più generale rispetto al semplice resistore.
Il generatore indipendente reale di tensione e il generatore indipendente
reale di corrente nel dominio della trasformata di Laplace, sono illustrati
nella parte a) e b) di Figura 1.19, rispettivamente.
Zg
+
Vg (s)
V0 ( s)
Generatori reali nel
dominio di Laplace
A
A
+
+
I (s )
23
I g (s)
I 0 (s)
V (s )
Zg
-
-
B
B
a)
b)
Fig. 1.19: a) Generatore indipendente reale di tensione e b) generatore indipendente
reale di corrente, nel dominio della trasformata di Laplace.
Per completare il quadro, il generatore indipendente reale di tensione e
il generatore indipendente reale di corrente nel dominio dei fasori, sono
illustrati nella parte a) e b) di Figura 1.20, rispettivamente.
Zg
+
Vg
A
A
+
+
I
V0
-
Ig
I0
V
Zg
B
B
a)
b)
Fig. 1.20: a) Generatore indipendente reale di tensione e b) generatore indipendente
reale di corrente, nel dominio dei fasori.
Generatori reali nel
dominio dei fasori
2
CIRCUITI NOTEVOLI
I
l seguente capitolo è dedicato allo studio dei primi e semplici circuiti
contenenti resistori. Tali circuiti, spesso, oltre ad un’importanta teorica,
hanno una valenza pratica perché permettono di semplificare notevolmente
il circuito che li contiene.
2.1
il partitore di tensione
Si consideri il circuito rappresentato in Figura 2.1. In tale circuito si vuole
calcolare la tensione vR2 sul resistore R2 . Poiché tale circuito è costituito da
un unico percorso chiuso, definito maglia, è possibile denotare graficamente la corrente che percorre tale percorso, con una freccia all’interno della
maglia stessa.
R1
i
+
vR1
+
vg  t 
Maglia
i
+
vR2
R2
Fig. 2.1: Schema circuitale del partitore di tensione.
Applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia, si ottiene
vg (t) − vR1 (t) − vR2 (t) = 0.
(2.1)
Esplicitando le due tensioni dei resistori tramite la legge di Ohm e notando
che la corrente che percorre entrambi i resistori è la stessa, si ottiene
(R1 + R2 ) i(t) = vg (t).
Legge di Ohm
(2.2)
Dalla (2.2) si ha direttamente
i(t) =
vg (t)
.
R1 + R2
(2.3)
Dunque la tensione vR2 (t) cercata vale, applicando nuovamente la legge di
Ohm
vR2 (t) = R2 i(t) =
R2
vg (t).
R1 + R2
(2.4)
Si osservi che se R2 >> R1 allora vR2 (t) ≈ vg (t), cioè quasi tutta la tensione
impressa del generatore finisce sul resistore R2 , mentre se R2 << R1 , vR2 (t)
è una piccola frazione di vg (t).
25
26
circuiti notevoli
Analogamente è possibile determinare la tensione sul resistore R1 :
R1
vg (t).
R1 + R2
vR1 (t) =
Partitore di tensione
(2.5)
La (2.4) e (2.5) suggeriscono che, in una maglia formata da due resistori e
un generatore indipendente di tensione, la tensione su un resistore è proporzionale alla sua resistenza e inversamente proporzionale alla somma di entrambe le
resistenze. Inoltre la tensione su tale resistenza è una frazione della tensione impressa del generatore. Per tale motivo, il circuito in Figura 2.1 prende il nome di
partitore di tensione, mentre la (2.4) e la (2.5) prendono il nome di regola del
partitore di tensione. Ovviamente, in base alla (2.1), la somma delle due cadute di tensione su R1 e R2 è pari alla tensione impressa del generatore vg (t).
Come precedentemente osservato, maggiore sarà la caduta di tensione su
un resistore, rispetto all’altro, quanto più grande sarà la sua resistenza.
La regola del partitore di tensione può essere generalizzata al caso di
una maglia contenente un generatore indipendente di tensione e N resistori,
come illustrato in Figura 2.2.
R1
i
+
vg  t 
+
vR1
R2
R j 1
vR2
+ vR j1
+
+
i
vRN
+
RN
vRN 1 +
RN 1
vR j
vR j1
Rj
+
R j 1
Fig. 2.2: Schema circuitale del partitore di tensione con N resistori.
In questo caso la corrente di maglia vale:
i(t) =
vg (t)
vg (t)
= PN
,
R1 + R2 + . . . + Rj + . . . + RN
k=1 Rk
(2.6)
e di conseguenza la tensione vRj (t) sul j-esimo resistore Rj è
Rj
vRj (t) = PN
k=1 Rk
Partitore di tensione
con N resistori
vg (t).
(2.7)
La (2.7) generalizza la (2.4) e (2.5). Dunque anche in questo caso, la tensione impressa del generatore si ripartisce su ciascun resistore in modo proporzionale al valore della resistenza ed inversamente proporzionale alla somma di tutte le
resistenze.
Un’ulteriore generalizzazione del partitore di tensione, consiste nell’aggiungere alla maglia altri generatori indipendenti di tensione, come rappresentato in Figura 2.3. Sia Ng il numero di tali generatori ed N il numero di
resistori.
In questo nuovo caso la corrente di maglia vale:
PNg
i(t) =
Partitore di tensione
generalizzato
i=1 vgi (t)
PN
k=1 Rk
,
(2.8)
in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero
le vgi (t) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se
concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm,
la tensione vRj (t) sul j-esimo resistore Rj è dunque
2.1 il partitore di tensione
+
vg1  t 
vg 2  t 
+
R1
i
+
vR1
R2
R j 1
vR2
+ vR j1
v gi  t 
+
+
+
i
v
t
+ gNg  
+
vRN
vRN 1
RN
vR j
vgi1  t 
+
+
27
vR j1
Rj
+
R j 1
RN 1
Fig. 2.3: Schema circuitale del partitore di tensione generalizzato, contenente N
resistori e Ng generatori indipendenti di tensione.
Rj
vRj (t) = PN
Ng
X
k=1 Rk i=1
(2.9)
vgi (t).
La (2.9) generalizza la (2.7).
Esempio 2.1
Si determini il valore della tensione sul resistore R3 nel circuito seguente.
vg1 (t) = 3 V, vg2 (t) = 2 V, R1 = 2 Ω, R2 = 3 Ω, R3 = 4 Ω e R4 = 1 Ω.
R1
vg 2  t 
+
Sia
R2
+
vg1  t 
+
vR3
R3
R4
Applicando la (2.9) si ottiene direttamente
vR3 (t) =
2.1.1
R3
2
4
(vg1 (t) − vg2 (t)) =
(3 − 2) = V
R1 + R2 + R3 + R4
2+3+4+1
5
Il partitore di tensione nei domini trasformati
La regola del partitore di tensione fin qui analizzata può essere semplicemente generalizzata al caso dei domini trasformati, per noi Laplace e fasori.
Infatti, sia la seconda legge di Kirchhoff che la legge di Ohm continuano a
valere nei domini trasformati. E’ quindi possibile riscrivere tutte le equazioni precedenti in questi domini: l’unica differenza è che tutte le grandezze
elettriche sono ora espresse nei relativi domini.
Si consideri, a tal proposito, il partitore generalizzato in un dominio trasformato, come illustrato in Figura 2.4. In questa nuova versione, tutti i
resistori sono stati sostituiti con un’impedenza e i generatori indipendenti
di tensione hanno la grandezza impressa espressa nel dominio trasformato
(Laplace o fasori a seconda dell’utilizzo). I casi più semplici in cui è presente un solo generatore indipendente di tensione o due sole impedenze, si
possono ricavare come caso particolare di quello in esame.
Partitore di tensione
generalizzato nel
dominio trasformato
28
circuiti notevoli
Vg
+ 2
Z1
I
+
+
VZ1
Z j 1
Z2
+
VZ2
Vgi
VZ j1
+
+
Vg1
I
VZ N
Vg N
+
g
VZ N 1
+
ZN
+
Z N 1
+
VR j
+
Vgi1
VZ j1
Zj
+
Z j 1
Fig. 2.4: Schema circuitale del partitore di tensione generalizzato nel dominio
trasformato.
Considerando per prima il dominio della trasformata di Laplace, si ha che
la corrente di maglia vale:
PNg
I(s) =
i=1 Vgi (s)
PN
k=1 Zk
(2.10)
,
in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero
le Vgi (s) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se
concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm,
la tensione VZj (s) sulla j-esima impedenza Zj è dunque
Zj
VZj (s) = PN
Ng
X
k=1 Zk i=1
Vgi (s).
(2.11)
Ora nel dominio dei fasori, si ha che la corrente di maglia vale:
PNg
I = Pi=1
N
Vg i
k=1 Zk
(2.12)
,
in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero
le Vgi devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la
tensione VZj sulla j-esima impedenza Zj è infine
Zj
VZj = PN
Ng
X
k=1 Zk i=1
2.2
Vg i .
(2.13)
il partitore di corrente
Si consideri il problema duale a quello descritto nel paragrafo precedente. Si
vuole iniziare con il calcolare la corrente su resistore R2 nel circuito rappresentato in Figura 2.5. Sia v la tensione comune ai tre componenti in parallelo.
Nodo
Applicando la prima legge di Kirchhoff al nodo superiore, si ottiene
ig (t) = iR1 (t) + iR2 (t).
(2.14)
Esplicitando le due correnti nei resistori tramite la legge di Ohm, e notando
che la tensione su entrambi i resistori è la stessa, si ottiene
(G1 + G2 ) v(t) = ig (t).
(2.15)
2.2 il partitore di corrente
29
i
ig  t 
v
iR2
iR1
+
R1
R2
-
Fig. 2.5: Schema circuitale del partitore di corrente.
Dalla (2.15) si ha direttamente
v(t) =
ig (t)
.
G1 + G2
(2.16)
Dunque la corrente iR2 (t) cercata vale, applicando nuovamente la legge di
Ohm
iR2 (t) = G2 v(t) =
G2
ig (t).
G1 + G2
(2.17)
Si osservi che se G2 >> G1 (ovvero R1 >> R2 ) allora iR2 (t) ≈ ig (t), cioè
quasi tutta la corrente impressa del generatore attraversa il resistore R2 ,
mentre se G2 << G1 (ovvero R1 << R2 ), iR2 (t) è una piccola frazione
di ig (t).
Analogamente è possibile determinare la corrente nel resistore R1 :
iR1 (t) =
G1
ig (t).
G1 + G2
(2.18)
La (2.17) e (2.18) suggeriscono che, in un circuito formato dal parallelo di
due resistori e un generatore indipendente di corrente, la corrente che scorre
su un resistore è proporzionale alla sua conduttanza e inversamente proporzionale
alla somma di entrambe le conduttanze. Inoltre la corrente che attraversa tale resistenza è una frazione della corrente impressa del generatore. Per tale motivo, il
circuito in Figura 2.5 prende il nome di partitore di corrente, mentre la (2.17)
e la (2.18) prendono il nome di regola del partitore di corrente. Ovviamente, in
base alla (2.14), la somma delle due correnti che scorrono su R1 e R2 è pari
alla corrente impressa del generatore ig (t). Come precedentemente osservato, maggiore sarà la corrente che scorre su un resistore, rispetto all’altro,
quanto più grande sarà la sua conduttanza, cioè quanto minore sarà la sua
resistenza.
La regola del partitore di corrente può essere generalizzata al caso di un
circuito contenente il parallelo di un generatore indipendente di corrente e
N resistori, come illustrato in Figura 2.6.
In questo caso la tensione comune a tutti i componenti vale:
v(t) =
ig (t)
ig (t)
= PN
,
G1 + G2 + . . . + Gj + . . . + GN
k=1 Gk
(2.19)
e di conseguenza la corrente iRj (t) che scorre sul j-esimo resistore Rj è
Gj
iRj (t) = PN
k=1 Gk
ig (t).
(2.20)
Partitore di corrente
30
circuiti notevoli
i
ig  t 
v
iR2
iR1
+
Rj
R2
R1
iRN
iR j
RN
-
Fig. 2.6: Schema circuitale del partitore di corrente con N resistori.
Partitore di corrente
con N resistori
La (2.20) generalizza la (2.17) e (2.18). Dunque anche in questo caso, la
corrente impressa del generatore si ripartisce su ciascun resistore in modo proporzionale al valore della conduttanza ed inversamente proporzionale alla somma di
tutte le conduttanze.
Un’ulteriore generalizzazione del partitore di corrente, consiste nell’aggiungere al circuito precedente altri generatori indipendenti di corrente, come rappresentato in Figura 2.7. Sia Ng il numero di tali generatori ed N il
numero di resistori.
i
ig1  t 
iR2
iR1
+
v
ig 2  t 
R1
R2
iRN
iR j
ig j  t 
Rj
ig N  t 
g
RN
-
Fig. 2.7: Schema circuitale del partitore di corrente generalizzato, contenente N
resistori e Ng generatori indipendenti di corrente.
In questo nuovo caso la tensione comune vale:
PNg
v(t) = Pi=1
N
igi (t)
k=1 Gk
Partitore di corrente
generalizzato
(2.21)
,
in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero
le igi (t) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se
concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm,
la corrente iRj (t) sul j-esimo resistore Rj è dunque
Gj
iRj (t) = PN
Ng
X
k=1 Gk i=1
(2.22)
igi (t).
La (2.22) generalizza la (2.20).
Esempio 2.2
Si determini il valore della corrente che attraversa il resistore R2 nel circuito seguente.
Sia ig1 (t) = 3 A, ig2 (t) = 2 A, R1 = 2 Ω, R2 = 4 Ω e R3 = 1 Ω.
Applicando la (2.22) si ottiene direttamente
iR2 (t) =
G2
(ig1 (t) − ig2 (t)) =
G1 + G2 + G3
1
2
1
4
+ 14
+1
(3 − 2) =
1 4
1
· = A
4 7
7
2.2 il partitore di corrente
31
iR2
ig1  t 
2.2.1
ig 2  t 
R1
R2
R3
Il partitore di corrente nei domini trasformati
Anche la regola del partitore di corrente fin qui analizzata può essere semplicemente generalizzata al caso dei domini trasformati, per noi Laplace e
fasori. Infatti, sia la prima legge di Kirchhoff che la legge di Ohm continuano a valere nei domini trasformati. E’ quindi possibile anche in questo caso
riscrivere tutte le equazioni precedenti in questi domini: l’unica differenza
è che tutte le grandezze elettriche sono ora espresse nei relativi domini.
Si consideri, a tal proposito, il partitore generalizzato in un dominio trasformato, come illustrato in Figura 2.8. In questa nuova versione, tutti i
resistori sono stati sostituiti con un’impedenza e i generatori indipendenti
di corrente hanno la grandezza impressa espressa nel dominio trasformato
(Laplace o fasori a seconda dell’utilizzo).
I g1
I Z2
I Z1
+
V
I g2
Z1
Z2
I ZN
IZ j
Igj
Zj
I gN
g
ZN
-
Fig. 2.8: Schema circuitale del partitore di corrente generalizzato nel dominio
trasformato.
Nel dominio della trasformata di Laplace la tensione comune al parallelo
vale:
PNg
V(s) =
i=1 Igi (s)
PN
k=1 Yk
(2.23)
,
in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero
le Igi (s) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se
concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm,
la corrente IZj (s) sulla j-esima impedenza Zj è dunque
Yj
IZj (s) = PN
Ng
X
k=1 Yk i=1
Igi (s).
(2.24)
Inoltre, nel dominio dei fasori, la tensione comune al parallelo vale:
PNg
V = Pi=1
N
Ig i
k=1 Yk
,
(2.25)
in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero
le Igi devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se con-
Partitore di corrente
nel dominio
trasformato
32
circuiti notevoli
corde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la
corrente IZj sulla j-esima impedenza Zj è dunque
Yj
IZj = PN
Ng
X
k=1 Yk i=1
2.3
Nullore
Ig i .
(2.26)
i circuiti con il nullore
Spesso il nullore si trova in due configurazioni notevoli che possono essere
sostituite da un circuito equivalente semplificato. Se si identifica all’interno
di un circuito più o meno complicato una tale configurazione, è possibile
sostituirla con il circuito equivalente, ottenendo una versione semplificata
del circuito di partenza.
In particolare, si vedrà una configurazione che si comporterà come un
generatore indipendente di corrente e una che si comporterà come un generatore indipendente di tensione.
2.3.1 Il nullore come generatore di corrente
Prima configurazione
notevole
Si consideri il circuito rappresentato nella parte sinistra di Figura 2.9. Si
applichi la seconda legge di Kirchhoff alla maglia formata dal generatore
indipendente di tensione, il nullatore e il resistore R, ottenendo
A

0
vg R
+
vg  t 
+
vg (t )
vg R
R
R
B
Fig. 2.9: Circuito con il nullore equivalente a un generatore di corrente.
vg (t) − v0 (t) − vR (t) = 0,
(2.27)
in cui v0 (t) è la tensione del nullore al lato nullatore. Come si sa, dalle
relazioni costitutive del nullore, la tensione v0 (t) è nulla, per cui è
vR (t) = vg (t).
(2.28)
Ne segue che, applicando la legge di Ohm al resistore R, la corrente iR (t)
che lo attraversa è:
iR (t) =
Nullore come
generatore di
corrente
vg (t)
.
R
(2.29)
Tale corrente, per attraversare il resistore R esce dal piedino comune del
nullore e di conseguenze, non potendo venire dal nullatore (visto che tale corrente è nulla per le relazioni costitutive), deve provenire dal noratore.
Quindi tutto il bipolo nella parte sinistra di Figura 2.9, si comporta come un
2.3 i circuiti con il nullore
33
generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a vg (t)/R
e verso diretto verso il basso, come messo in evidenza nel lato destro della
figura.
La (2.29) può essere facilmente generalizzata al dominio di Laplace
Vg (s)
,
Z
IZ (s) =
(2.30)
oppure al dominio dei fasori
IZ =
Vg
.
Z
(2.31)
In questi casi, si è sostituito il resistore R di Figura 2.9 con una generica
impedenza Z.
2.3.2
Il nullore come generatore di tensione
Si consideri il circuito rappresentato nella parte sinistra di Figura 2.10. Si
applichi la seconda legge di Kirchhoff alla maglia formata dal generatore
indipendente di tensione, il resistore R1 e il nullatore, ottenendo
R2
+
vg R1
R1
0
+
vg  t 
vg R1

C
A
+
v AB  t 
+

R2
vg (t )
R1
-
B
Fig. 2.10: Circuito con il nullore equivalente a un generatore di tensione.
vg (t) − vR1 (t) − v0 (t) = 0.
(2.32)
Poiché la tensione v0 (t) è nulla, si ottiene
vR1 (t) = vg (t).
(2.33)
Ne segue che, applicando la legge di Ohm al resistore R1 , la corrente iR1 (t)
che lo attraversa è:
iR1 (t) =
vg (t)
.
R1
(2.34)
D’altro canto, considerando la prima legge di Kirchhoff al nodo C, si ottiene
iR1 (t) − i0 (t) − iR2 (t) = 0,
(2.35)
in cui i0 (t) è la corrente che entra nel nullore. Poiché è i0 (t) = 0, si ha
iR2 (t) = iR1 (t).
(2.36)
Seconda
configurazione
notevole
34
circuiti notevoli
Applicando ora la legge di Ohm al resistore R2 , ricordando la (2.36) e la
(2.34), è possibile determinare la sua tensione:
vR2 (t) = R2 iR2 (t) =
R2
vg (t).
R1
(2.37)
Per determinare la tensione vAB (t) cercata, si può applicare la seconda legge
di Kirchhoff al percorso ABCA, ottenendo
−vAB (t) + v0 (t) − vR2 (t) = 0,
(2.38)
e quindi
vAB (t) = −vR2 (t) = −
Nullore come
generatore di
tensione
R2
vg (t).
R1
(2.39)
Di conseguenza il bipolo rappresentato nella parte sinistra di Figura 2.10
si comporta come un generatore indipendente di tensione di grandezza
2
impressa pari a − R
R1 vg (t), come messo in evidenza nel lato destro della
figura.
La (2.39) può essere facilmente generalizzata al dominio di Laplace
VAB (s) = −
Z2
Vg (s),
Z1
(2.40)
oppure al dominio dei fasori
VAB = −
Z2
Vg .
Z1
(2.41)
In questi casi, si sono sostituiti i resistori R1 e R2 di Figura 2.10 con le
generiche impedenze Z1 e Z2 .
3
LE RETI DUE PORTE
I
l seguente capitolo è dedicato alla descrizione delle reti due porte. Si
descriveranno le relazioni costitutive, il significato dei parametri e i casi
particolari di reti a T e a Π. Anche se è possibile ottenere sei differenti rappresentazioni, il capitolo è limitato ai soli casi di rappresentazione mediante
matrice di impedenze a vuoto e matrice di ammettenze di corto circuito.
3.1
la rappresentazione delle reti 2-porte
Si immagini di avere un circuito privo di eccitazioni interne (generatori indipendenti) e accessibile dal mondo esterno attraverso due coppie di terminali
che si comportano come porte. Si ricorda la definizione di porta:
Porta
Definizione 1. Si definisce porta una coppia di terminali (o morsetti) per i quali la corrente che entra in un terminale è uguale alla corrente che esce dall’altro
terminale.
Se si è interessati all’utilizzo di tale circuito, magari molto complicato, in un
contesto più ampio, ma non si è interessati al suo funzionamento interno
in quanto bastano a descriverlo completamente le sole grandezze elettriche
di porta, ovvero le due tensioni e le due correnti. In questo caso è possibile
racchiudere tutto il circuito in esame all’interno di una scatola accessibile da
due porte e descritto completamente dalle quattro grandezze elettriche di
porta, come illustrato in Figura 3.1. Un tale componente prenderà il nome
di rete due porte (o 2-porte).
2
1
+
v1
i2
i1
1
2
+
v2
Fig. 3.1: Esempio di come un circuito molto complesso accessibile da due porte può
essere considerato dal punto di vista esterno come una rete 2-porte.
In un elemento di tale tipo le due porte possono essere completamente separate, oppure, come accade alcune volte, avere un terminale in comune.
Nel primo caso la rete due porte prende il nome di bilanciata, mentre nel
secondo caso si chiamerà sbilanciata, come illustrato in Figura 3.2.
Bilanciato e
sbilanciato
35
36
le reti due porte
Esempi tipici di reti due porte notevoli sono: gli induttori mutuamente accoppiati, il trasformatore ideale, i generatori controllati, il nullore, l’amplificatore operazionale, ecc.
+
v
- 1
i2
i1
1
2
+
+
i2
i1
1
v2
v1
-
v2
-
a)
+
2
-
b)
Fig. 3.2: Tipica rete due porte in configurazione bilanciata a) e sbilanciata b).
6 possibili
rappresentazioni
Il componente rete due porte verrà quindi descritto dalle quattro grandezze
elettriche v1 , v2 , i1 e i2 . Le relazioni costitutive, di conseguenza, daranno
due equazioni (una per ogni porta) che legano le quattro grandezze elettriche: due grandezze saranno considerate indipendenti e serviranno ad
esprimere le altre due come una combinazione lineare di esse. Poiché è
possibile scegliere qualsiasi di queste grandezze come base indipendente
per esprimere le altre due, in totale si possono avere 42 = 6 possibili rappresentazioni diverse. Da osservare che non tutte le rappresentazioni sono
possibili per un determinato circuito, ma ne esiste sempre almeno una.
Nel seguente capitolo non si analizzeranno tutte e sei queste rappresentazioni, ma soltanto due. Precisamente si vedrà la rappresentazione in cui
è possibile esprimere le due tensioni di porta v1 e v2 in funzione delle due
correnti di porta i1 e i2 , e dualmente, la rappresentazione in cui è possibile esprimere le due correnti di porta i1 e i2 in funzione delle due tensioni di porta v1 e v2 . Si rimanda a testi specialistici per le altre quattro
rappresentazioni delle reti due porte.
Dato che le due grandezze dipendenti si esprimeranno come una combinazione lineare delle grandezze indipendenti (data la natura lineare dei
circuiti studiati), i quattro parametri che descrivono tali relazioni saranno i
parametri distintivi della rete due porte in oggetto. Questi quattro parametri hanno lo stesso significato dei parametri resistenza, induttanza, capacità
dei bipoli elementari. Come si vedrà in seguito, è possibile descrivere questi
quattro parametri in una matrice: sarà dunque questa matrice 2 × 2 a descrivere il comportamento della rete due porte e sarà questa matrice ad essere
fornita come dato nelle tracce degli esercizi.
Le due rappresentazioni che si analizzeranno, corrispondano a due casi
in cui la matrice che caratterizza la rete due porte contiene come parametri
descrittivi quattro impedenze oppure quattro ammettenze, rispettivamente.
3.2
rappresentazione attraverso la matrice di
impedenze a vuoto
Nel primo tipo di rappresentazione analizzato si vuole esprimere le due
tensioni di porta v1 e v2 in funzione delle due correnti di porta i1 e i2 .
I coefficienti della combinazione lineare, dovendo ottenere una tensione a
partire da una corrente, avranno delle dimensioni fisiche di Ω e quindi
rappresentano delle resistenze, nel dominio del tempo, e delle impedenze,
nel dominio trasformato. Si indicheranno questi quattro parametri con zij ,
i, j = 1, 2.
3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto
37
Con riferimento a una delle due configurazioni in Figura 3.2, è dunque
possibile scrivere la seguente relazione costitutiva nel dominio del tempo:
v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t),
(3.1)
v2 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t).
Nell’analisi di un circuito contenente tale rete, nasceranno due incognite
aggiuntive date dalle grandezze elettriche di porta incognite: per risolvere il circuito bisognerà dunque aggiungere le due equazioni in (3.1) come
equazioni aggiuntive.
L’equazione (3.1) può essere riscritta in modo più compatto con notazione
vettoriale
v1 (t)
z
z12
i (t)
= 11
· 1
(3.2)
v2 (t)
z21 z22
i2 (t)
Dunque la seguente matrice, indicata con Z e denominata matrice delle
impedenze a vuoto, descrive e caratterizza l’intera rete due porte:
z11 z12
Z=
(3.3)
z21 z22
Matrice delle
impedenze a vuoto
Tale fatto è messo in evidenza scrivendo la lettera Z nel simbolo della rete
due porte, come mostrato in Figura 3.3.
+
i2
i1
v
- 1
1
Z
2
+
+
i2
i1
1
v2
Z
v1
-
v2
-
a)
+
2
-
b)
Fig. 3.3: Tipica rete due porte in configurazione bilanciata a) e sbilanciata b),
rappresentata attraverso la matrice Z.
Si indichi ora con ~v = [v1 (t), v2 (t)]T e ~i = [i1 (t), i2 (t)]T i vettori contenenti
le tensioni e le correnti di porta, rispettivamente. Allora, la (3.2) può essere
riscritta come
~v = Z~i.
(3.4)
Inoltre, utilizzando la (3.4), la rete due porte considerata sarà passiva, cioè
assorbirà energia dal mondo esterno, se
p(t) = v1 (t)i1 (t) + v2 (t)i2 (t) = ~iT ~v = ~iT Z~i > 0.
(3.5)
Data l’arbitrarietà del vettore ~i, dalla (3.5) si deduce che la rete due porte è
passiva se la matrice Z che la rappresenta è semi-definita positiva.
3.2.1 Il significato dei parametri
Si immagini di considerare la prima delle due relazioni costitutive nella (3.1)
e di voler ricavare da questa l’espressione del primo parametro z11 . E’ subito evidente che tale espressione non sia semplice da calcolare, vista anche la
presenza del parametro z12 . Se comunque il secondo termine nel membro
sinistro dell’equazione fosse nullo, allora il parametro z11 è semplicemente
il rapporto tra la tensione alla prima porta v1 (t) e la corrente entrante nella
Matrice semi-definita
positiva
le reti due porte
38
Parametro z11
Parametro z21
Parametri z12 e z22
prima porta i1 (t). Tale scopo può essere semplicemente raggiunto imponendo che la corrente che entra nella seconda porta i2 (t) sia identicamente
nulla, cioè tale porta è lasciata aperta. Dunque, riassumendo, il parametro
z11 può essere determinato come il rapporto tra la tensione alla prima porta v1 (t)
e la corrente entrante nella prima porta i1 (t) quando la porta due è lasciata aperta.
Un discorso analogo può essere fatto per il parametro z21 che, quindi, risulta essere determinato come il rapporto tra la tensione alla seconda porta
v2 (t) e la corrente entrante nella prima porta i1 (t) quando la porta due è
lasciata aperta.
Si palesa, perciò, una condizione operativa ben definita. Per il calcolo
dei parametri z11 e z21 , si alimenta la prima porta della rete due porte con un
generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i1 (t) e si lascia
la seconda porta aperta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due
tensioni di porta e la i1 (t), rispettivamente.
E’ poi possibile fare il ragionamento duale del precedente per calcolare
gli altri due parametri z12 e z22 . In questo nuovo caso, come si evince dalla
(3.1), è necessario che la i1 (t) sia identicamente nulla. Si palesa, perciò,
la nuova condizione operativa per cui il calcolo dei parametri z12 e z22
è ottenuto alimentando la seconda porta della rete due porte con un generatore
indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i2 (t) mentre si lascia la prima
porta aperta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due tensioni di
porta e la i2 (t), rispettivamente.
Tali condizioni operative sono illustrate in Figura 3.4. Il fatto che i parametri zij sono calcolati lasciando aperta una porta, giustifica il nome dato
alla rappresentazione di matrice di impedenze a vuoto.
i1
i2
+
i1
v1
1
Z
a)
2
+
+
v2
v1
+
1
Z
2
v2
i2
b)
Fig. 3.4: Configurazioni utilizzate per il calcolo dei parametri a) z11 e z21 b) z12 e
z22 .
Parametri della
matrice Z
Con riferimento a tale figura, allora è possibile quantificare i quattro parametri come segue
v1 (t) z11 =
(3.6)
i1 (t) i2 (t)=0
z21
v2 (t) =
i1 (t) i2 (t)=0
(3.7)
z12
v1 (t) =
i2 (t) i1 (t)=0
(3.8)
z22
v2 (t) =
i2 (t) i1 (t)=0
(3.9)
Le formule precedenti sono molto utili per determinare la rappresentazione
due porte di un generico circuito, magari anche molto complicato. Si tratta
di determinare le due tensioni di porta nelle due condizioni operative illustrate e applicare le equazioni precedenti. Nel seguente paragrafo si vedrà
un esempio molto utile della applicazioni di tali formule.
3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto
3.2.2
39
Le reti a T
Si applicheranno le formule precedenti a una rete molto semplice: la T di
resistori rappresentata in Figura 3.5. Si vuole cercare di tale rete la sua rappresentazione mediante la matrice di impedenze a vuoto. A tal proposito,
si dovranno valutare le due tensioni di porta nelle due condizioni operative
descritte nel precedente paragrafo.
R2
R1
R3
1
2
Fig. 3.5: Rete a T di resistori.
Ci si metta inizialmente nella prima condizione operativa, ovvero alimentiamo la prima porta con un generatore indipendente di corrente di grandezza
impressa pari a i1 (t) e lasciamo la porta due aperta. In questa condizione, ci
si propone di calcolare le due tensioni di porta v1 (t) e v2 (t). Graficamente
tale situazione è illustrata nella parte a) di Figura 3.6.
Si osservi che, dato che la porta due è aperta, è i2 (t) = 0 e di conseguenza,
poiché è anche nulla la caduta di tensione sul resistore R2 , si ha che vR3 (t) =
v2 (t). Dunque
(3.10)
v2 (t) = vR3 (t) = R3 i1 (t).
D’altronde, applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia di sinistra
della parte a) di Figura 3.6, si ottiene:
(3.11)
v1 (t) = vR1 (t) + vR3 (t) = (R1 + R3 ) i1 (t).
i1
+
i2
R1
i1
R2
i1
+
+
i2
R1
i2
+
i1
v1
v2
R3
R2
+
+
v2
a)
v1
v1
R3
v2
i2
b)
Fig. 3.6: Analisi di una rete a T di resistori: calcolo dei parametri a) z11 e z21 , b) z12
e z22 .
Il calcolo dei parametri z11 e z21 attraverso la (3.6) e la (3.7), fornisce:
(R + R3 ) i1 (t)
v1 (t) = R1 + R3 ,
(3.12)
z11 =
= 1
i1 (t) i2 (t)=0
i1 (t)
e
z21
v2 (t) R i (t)
=
= 3 1
= R3 .
i1 (t) i2 (t)=0
i1 (t)
(3.13)
Rete a T di resistori
le reti due porte
40
In modo duale, ci si mette nella seconda condizione operativa, ovvero alimentiamo la seconda porta con un generatore indipendente di corrente di
grandezza impressa pari a i2 (t) e lasciamo la porta uno aperta. Anche in
questa condizione, ci si propone di calcolare le due tensioni di porta v1 (t) e
v2 (t). Graficamente tale situazione è illustrata nella parte b) di Figura 3.6.
Si osservi che, dato che la porta uno è aperta, è i1 (t) = 0 e di conseguenza,
poiché è anche nulla la caduta di tensione sul resistore R1 , si ha che vR3 (t) =
v1 (t). Dunque
v1 (t) = vR3 (t) = R3 i2 (t).
(3.14)
D’altronde, applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia di destra
della parte b) di Figura 3.6, si ottiene:
v2 (t) = vR2 (t) + vR3 (t) = (R2 + R3 ) i2 (t).
(3.15)
Il calcolo dei parametri z12 e z22 attraverso la (3.8) e la (3.9), fornisce:
v1 (t) R i (t)
z12 =
= 3 2
= R3 ,
(3.16)
i2 (t) i1 (t)=0
i2 (t)
e
z22
Rappresentazione
della rete a T di
resistori
(R + R3 ) i2 (t)
v2 (t) =
= 2
= R2 + R3 .
i2 (t) i1 (t)=0
i2 (t)
(3.17)
Dunque la matrice Z della rappresentazione della rete a T di resistori di
Figura 3.5 è la seguente:
R1 + R3
R3
(3.18)
Z=
R3
R2 + R3
Se una o più delle resistenze nella rete di Figura 3.5 è assente e al suo/loro
posto è presente un corto circuito (un filo), allora la corrispondente resistenza nella (3.18) ha valore nullo. Si pensi, ad esempio, alle reti a Γ o alla sola
resistenza trasversale, ecc.
Da un’attenta analisi della (3.18) si evince che:
1. tutti gli elementi sono positivi;
2. la diagonale secondaria contiene l’elemento di resistenze del ramo
trasversale;
3. la diagonale principale contiene la somma dell’elemento di resistenze del ramo trasversale con la resistenza del corrispondente ramo
longitudinale.
Ragionando in modo inverso, è possibile anche stabilire quali siano le condizioni per cui una matrice Z rappresenta la matrice di impedenze a vuoto
di una rete a T di resistori. Sempre dall’analisi della (3.18) si può dedurre
che:
1. gli elementi della diagonale secondaria devono essere positivi ed uguali;
2. gli elementi della diagonale principale devono essere maggiori o uguali all’elemento della diagonale secondaria, in modo tale che, sottraendovi tale valore, rimanga un numero non negativo che può essere
interpretato come resistenza del corrispondente ramo longitudinale.
3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto
3.2.3
41
La connessione serie-serie
Si considerino due reti due parte rappresentate dalle matrici di impedenze
a vuoto Z1 e Z2 , rispettivamente e si connettano nel modo rappresentato
(1)
(1)
(1)
(1)
in Figura 3.7. Si denota con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le rispettive
(2)
(2)
quattro grandezze elettriche della prima rete due porte e con v1 (t), v2 (t),
(2)
(2)
i1 (t) e i2 (t) le grandezze elettriche della seconda rete due porte. Si
vuole determinare una rappresentazione unica della rete illustrata in figura
attraverso la matrice Z, indicando con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le grandezze
di porta.
i1(1)
i1
i2(1)
i2
+
+
+
1
v1(1)
Z1
2
+
v2(1)
v1
v2
i1(2)
i2(2)
+
v1(2)
+
1
Z2
2
v2(2)
-
-
Fig. 3.7: Connessione serie-serie di due reti due porte rappresentate attraverso le
matrici Z1 e Z2 .
(1)
A tal proposito si può notare che la corrente i1 (t) che entra nella prima
porta della prima rete due porte è la stessa che entra anche nella prima porta
(2)
(1)
della seconda rete due porte e quindi i1 (t) = i1 (t) ≡ i1 (t). Le prime
porte delle due reti sono dunque connesse in serie. La stessa cosa è verificata
(2)
(1)
per le seconde porte delle due reti due porte, cioè i2 (t) = i2 (t) ≡ i2 (t).
Dunque anche le seconde porte sono connesse in serie. E’ per questo che la
configurazione rappresentata in Figura 3.7 prende il nome di connessione
serie-serie.
I parametri delle due reti due porte sono indicati, rispettivamente con
"
#
"
#
(1)
(1)
(2)
(2)
z11 z12
z11 z12
Z1 = (1)
(1) , e Z2 =
(2)
(2) .
z21 z22
z21 z22
A questo punto è possibile scrivere la seconda legge di Kirchhoff per i percorsi esterni contenete la porta della rete da rappresentare e le due porte
delle singole reti, ottenendo rispettivamente:
(1)
(2)
(1)
(2)
v1 (t) = v1 (t) + v1 (t),
(3.19)
v2 (t) = v2 (t) + v2 (t).
Le singole tensioni di porta delle due reti due porte sono sostituite con le
relazioni costitutive (3.1), da cui
(1)
(1)
(2)
(2)
v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t) + z11 i1 (t) + z12 i2 (t)
(1)
(2)
(1)
(2)
= z11 + z11 i1 (t) + z12 + z12 i2 (t),
(3.20)
(1)
(1)
(2)
(2)
v2 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t) + z21 i1 (t) + z22 i2 (t)
(1)
(2)
(1)
(2)
= z21 + z21 i1 (t) + z22 + z22 i2 (t).
Connessione
serie-serie
42
le reti due porte
Dunque, osservando la (3.20) si ottiene la seguente espressione per la rappresentazione Z globale:
"
#
(1)
(2)
(1)
(2)
z11 + z11 z12 + z12
Z = (1)
(3.21)
(2)
(1)
(2) = Z1 + Z2 .
z21 + z21 z22 + z12
Rappresentazione
della connessione
serie-serie
La (3.21) mostra per le reti due porte un risultato simile a quello trovato per
i bipoli: la matrice delle impedenze a vuoto di una connessione serie-serie è pari
alla somma delle singole matrici delle impedenze a vuoto delle singole reti.
Tale risultato può essere facilmente generalizzato alla connessione serieserie di N reti due porte caratterizzate dalle metrici Z1 , Z2 , . . . , ZN :
Z = Z1 + Z2 + . . . + ZN =
N
X
Zk ,
(3.22)
k=1
che generalizza il caso dei bipoli. Si osservi che, in questo caso, le Zk sono
matrici 2 × 2 e non numeri.
3.2.4 Estensione ai domini trasformati
L’estensione ai domini trasformati è del tutto immediata. E’ infatti possibile
trasformare la (3.1) nel dominio di Laplace, ottenendo
V1 (s) = z11 I1 (s) + z12 I2 (s),
V2 (s) = z21 I1 (s) + z22 I2 (s).
(3.23)
oppure nel dominio dei fasori, ricavando
V1 = z11 I1 + z12 I2 ,
V2 = z21 I1 + z22 I2 .
Rappresentazione nel
dominio trasformato
(3.24)
I parametri zij , per i, j = 1, 2 hanno ora il significato di impedenze e sono
definite da formule simili alle (3.6)-(3.9) nelle stesse due condizioni operative, ma in questo caso tutte le tensioni e correnti di porta sono sostituite
dalle rispettive trasformate di Laplace oppure dai rispettivi fasori.
~ e ~I i vettori contenenti le due tensioni
Se continuiamo a denotare con V
e le due correnti di porta, rispettivamente, nel dominio di Laplace o nel
dominio dei fasori, allora continua a valere la (3.4). Precisamente
~ = Z~I.
V
(3.25)
Anche nel caso di connessione serie-serie di due o più reti due porte nei
domini trasformati continua a valere la proprietà (3.22), cioè la matrice delle
impedenze a vuoto di una connessione serie-serie è pari alla somma delle
singole matrici delle impedenze a vuoto delle singole reti.
Si consideri infine una rete a T di generiche impedenze illustrata in Figura
3.8. Procedendo come nel paragrafo 3.2.2, ma operando in uno dei domini
trasformati, è possibile ritrovare facilmente un risultato analogo alla (3.18),
e precisamente
Z1 + Z3
Z3
Z=
(3.26)
Z3
Z2 + Z3
La matrice Z contiene ora le impedenze dei tra rami della T invece che le
sole resistenze. Tale risultato è valido sia nel dominio di Laplace che nel
3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto
Z2
Z1
Z3
1
2
Fig. 3.8: Rete a T di impedenze.
dominio dei fasori, con le dovute considerazioni sui valori delle singole
impedenze Zk .
Esempio 3.1
Nel circuito rappresentato nella figura seguente, si determini il valore della tensione
1 0
Ω.
vR2 (t). Si ha R1 = 2 Ω, R2 = 1 Ω, vg (t) = 7 sin(2t) V e Z =
1 1
vg  t 
+
im 3
i2
i1
1
+
Z 2
v1
+
v2
+
-
R1
im1
im 2
R2
vR2  t 
La matrice Z assegnata non può essere messa sotto forma di T di resistori, dato che
non soddisfa le proprietà esposte nel paragrafo 3.2.2. Il circuito viene quindi risolto
applicando il metodo di analisi su base maglie. Siano im1 (t), im2 (t) e im3 (t) le tre
correnti fittizie di maglia; il sistema risolvente si scrive

R1
0
0
0
R2
0
 
 

0
im1 (t)
−v1 (t)
,
0 · im2 (t) = 
v2 (t)
0
im3 (t)
vg (t) − v2 (t) + v1 (t)
in cui v1 (t) e v2 (t) sono le tensioni della rete due porte. Indicando con i1 (t) =
im1 (t) − im3 (t) e i2 (t) = im3 (t) − im2 (t) le due correnti entranti nella rete due
porte, le relazioni costitutive di questo elemento vengono scritte come segue
v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t) = i1 (t) = im1 (t) − im3 (t),
v1 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t) = i1 (t) + i2 (t) = im1 (t) − im2 (t).
Inserendo queste variabili nel sistema precedente, riordinando e sostituendo i valori
numerici, si ottiene semplicemente

3
−1
0
0
2
−1
 
 

−1
im1 (t)
0
0  · im2 (t) =  0  .
1
im3 (t)
vg (t)
43
44
le reti due porte
Risolvendo rispetto alla corrente im2 (t), il metodo di Cramer fornisce:
3
0
−1
−1
0
0 0 vg (t) 1 1
im2 (t) = = vg (t) = sin(2t) A
3
7
0
−1
−1 2
0 0 −1 1 La tensione cercata, applicando la legge di Ohm, è
vR2 (t) = R2 im2 (t) = sin(2t) V
3.3
rappresentazione attraverso la matrice di
ammettenze di corto circuito
Nel secondo tipo di rappresentazione analizzato si vuole esprimere le due
correnti di porta i1 e i2 in funzione delle due tensioni di porta v1 e v2 .
I coefficienti della combinazione lineare, dovendo ottenere una corrente a
partire da una tensione, avranno delle dimensioni fisiche di Ω−1 e quindi
rappresentano delle conduttanze, nel dominio del tempo, e delle ammettenze, nel dominio trasformato. Si indicheranno questi quattro parametri con
yij , i, j = 1, 2.
Con riferimento a una delle due configurazioni in Figura 3.2, è dunque
possibile scrivere la seguente relazione costitutiva nel dominio del tempo:
i1 (t) = y11 v1 (t) + y12 v2 (t),
i2 (t) = y21 v1 (t) + y22 v2 (t).
(3.27)
Nell’analisi di un circuito contenente tale rete, nasceranno due incognite
aggiuntive date dalle grandezze elettriche di porta incognite: per risolvere
il circuito bisognerà dunque aggiungere le due equazioni in (3.27) come
equazioni aggiuntive.
L’equazione (3.27) può essere riscritta in modo più compatto con notazione vettoriale
i1 (t)
v (t)
y
y12
· 1
(3.28)
= 11
i2 (t)
y21 y22
v2 (t)
Matrice delle
ammettenze di corto
circuito
Dunque la seguente matrice, indicata con Y e denominata matrice delle
ammettenze di corto circuito, descrive e caratterizza l’intera rete due porte:
Y=
y11
y21
y12
y22
(3.29)
Tale fatto è messo in evidenza scrivendo la lettera Y nel simbolo della rete
due porte, come mostrato in Figura 3.9.
Si indichi nuovamente con ~v = [v1 (t), v2 (t)]T e ~i = [i1 (t), i2 (t)]T i vettori
contenenti le tensioni e le correnti di porta, rispettivamente. Allora, la (3.28)
può essere riscritta come
~i = Y~v.
(3.30)
3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito
+
v
- 1
i2
i1
1
Y
2
+
+
i2
i1
1
v2
Y
v1
-
+
2
v2
-
a)
45
-
b)
Fig. 3.9: Tipica rete due porte in configurazione bilanciata a) e sbilanciata b),
rappresentata attraverso la matrice Y.
Inoltre, utilizzando la (3.30), la rete due porte considerata sarà passiva, cioè
assorbirà energia dal mondo esterno, se
p(t) = v1 (t)i1 (t) + v2 (t)i2 (t) = ~vT~i = ~vT Y~v > 0.
(3.31)
Data l’arbitrarietà del vettore ~v, dalla (3.31) si deduce che la rete due porte è
passiva se la matrice Y che la rappresenta è semi-definita positiva.
3.3.1
Matrice semi-definita
positiva
Il significato dei parametri
Si immagini di considerare la prima delle due relazioni costitutive nella
(3.27) e di voler ricavare da questa l’espressione del primo parametro y11 .
Anche qui se il secondo termine nel membro sinistro dell’equazione è identicamente nullo, allora il parametro y11 è semplicemente il rapporto tra la
corrente alla prima porta i1 (t) e la tensione alla prima porta v1 (t). Tale
scopo può essere semplicemente raggiunto imponendo che la tensione alla
seconda porta v2 (t) sia identicamente nulla, cioè tale porta è cortocircuitata.
Dunque, riassumendo, il parametro y11 può essere determinato come il rapporto
tra la corrente entrante nella prima porta i1 (t) e la tensione alla prima porta v1 (t)
quando la porta due è cortocircuitata. Un discorso analogo può essere fatto per
il parametro y21 che, quindi, risulta essere determinato come il rapporto tra
la corrente entrante nella seconda porta i2 (t) e la tensione alla prima porta
v1 (t) quando la porta due è cortocircuitata.
Parametro y11
Parametro y21
Si palesa, perciò, una condizione operativa ben definita. Per il calcolo
dei parametri y11 e y21 , si alimenta la prima porta della rete due porte con
un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v1 (t) e si
cortocircuita la seconda porta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le
due correnti di porta e la v1 (t), rispettivamente.
E’ poi possibile fare il ragionamento duale del precedente per calcolare
gli altri due parametri y12 e y22 . In questo nuovo caso, come si evince dalla
(3.27), è necessario che la v1 (t) sia identicamente nulla. Si palesa, perciò,
la nuova condizione operativa per cui il calcolo dei parametri y21 e y22
è ottenuto alimentando la seconda porta della rete due porte con un generatore
indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v2 (t) mentre si cortocircuita
la prima porta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due correnti
di porta e la v2 (t), rispettivamente.
Parametri y12 e y22
Tali condizioni operative sono illustrate in Figura 3.10. Il fatto che i parametri yij sono calcolati cortocircuitando una porta, giustifica il nome dato
alla rappresentazione di matrice di ammettenze di corto circuito.
Con riferimento a tale figura, allora è possibile quantificare i quattro
Parametri della
matrice Y
le reti due porte
46
i1
i2
i1
i2
+
+
1
v1
1
2
Y
Y
a)
2
v2
b)
Fig. 3.10: Configurazioni utilizzate per il calcolo dei parametri a) y11 e y21 b) y12
e y22 .
parametri come segue
i1 (t) y11 =
v1 (t) v2 (t)=0
i2 (t) v1 (t) v2 (t)=0
(3.33)
i1 (t) =
v2 (t) v1 (t)=0
(3.34)
i2 (t) v2 (t) v1 (t)=0
(3.35)
y21 =
y12
(3.32)
y22 =
Le formule precedenti sono molto utili per determinare la rappresentazione
due porte di un generico circuito, magari anche molto complicato. Si tratta
di determinare le due tensioni di porta nelle due condizioni operative illustrate e applicare le equazioni precedenti. Nel seguente paragrafo si vedrà
un esempio molto utile della applicazioni di tali formule.
3.3.2
Rete a Π di resistori
Le reti a Π
Si applicheranno le formule precedenti a un’altra rete molto semplice: il Π
di resistori rappresentata in Figura 3.11. Si vuole cercare di tale rete la sua
rappresentazione mediante la matrice delle ammettenze di corto circuito. A
tal proposito, si dovranno valutare le due correnti di porta nelle due condizioni operative descritte nel precedente paragrafo. Ci si metta inizialmente
R3
1
R1
R2
2
Fig. 3.11: Rete a Π di resistori.
nella prima condizione operativa, ovvero alimentiamo la prima porta con
un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v1 (t)
e cortocircuitiamo la porta due. In questa condizione, ci si propone di calcolare le due correnti di porta i1 (t) e i2 (t). Graficamente tale situazione è
illustrata nella parte a) di Figura 3.12.
3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito
Si osservi che, dato che la porta due è cortocircuitata, è v2 (t) = 0 e di
conseguenza è nulla anche la corrente sul resistore R2 . Inoltre, il resistore
R1 è in parallelo al generatore di tensione e in parallelo al resistore R3 e
quindi si ha che vR1 (t) = vR3 (t) = v1 (t). Dunque
(3.36)
i1 (t) = iR1 (t) + iR3 (t) = (G1 + G3 ) v1 (t).
D’altronde, poiché la corrente che scorre su R2 è nulla, la corrente i2 (t)
cercata è pari alla corrente iR3 (t) che scorre su R3 , ma cambiata di segno:
(3.37)
i2 (t) = iR3 (t) = −G3 v1 (t).
iR3
i1
i2
iR3
i1
R3
iR1
iR2
+
+
+
v1
R1
i2
R3
v
R2
a)
R1
v
+
R2
v2
b)
Fig. 3.12: Analisi di una rete a Π di resistori: calcolo dei parametri a) y11 e y21 , b)
y12 e y22 .
Il calcolo dei parametri y11 e y21 attraverso la (3.32) e la (3.33), fornisce:
(G1 + G3 ) v1 (t)
i (t) y11 = 1 =
= G1 + G3 ,
(3.38)
v1 (t) v2 (t)=0
v1 (t)
e
y21
i2 (t) G v (t)
=
=− 3 1
= −G3 .
v1 (t) v2 (t)=0
v1 (t)
(3.39)
In modo duale, ci si mette nella seconda condizione operativa, ovvero alimentiamo la seconda porta con un generatore indipendente di tensione di
grandezza impressa pari a v2 (t) e cortocircuitiamo la porta uno. Anche in
questa condizione, ci si propone di calcolare le due correnti di porta i1 (t) e
i2 (t). Graficamente tale situazione è illustrata nella parte b) di Figura 3.12.
Si osservi che, dato che la porta uno è cortocircuitata, è v1 (t) = 0 e di
conseguenza è anche nulla la corrente che scorre nel resistore R1 . Inoltre, il
resistore R2 è in parallelo al generatore di tensione e in parallelo al resistore
R3 e quindi si ha che vR2 (t) = vR3 (t) = v2 (t). Dunque
i2 (t) = iR2 (t)iR3 (t) = (G2 + G3 ) v2 (t).
(3.40)
D’altronde, poiché la corrente che scorre su R1 è nulla, la corrente i1 (t)
cercata è pari alla corrente iR3 (t) che scorre su R3 , ma cambiata di segno:
i1 (t) = −iR3 (t) = −G3 v2 (t).
(3.41)
Il calcolo dei parametri y12 e y22 attraverso la (3.34) e la (3.35), fornisce:
i (t) G v (t)
y12 = 1 =− 3 2
= −G3 ,
(3.42)
v2 (t) v1 (t)=0
v2 (t)
e
y22
(G2 + G3 ) v2 (t)
i2 (t) =
=
= G2 + G3 .
v2 (t) v1 (t)=0
v2 (t)
(3.43)
47
48
Rappresentazione
della rete a Π di
resistori
le reti due porte
Dunque la matrice Y della rappresentazione della rete a T di resistori di
Figura 3.11 è la seguente:
G1 + G3
−G3
Y=
(3.44)
−G3
G2 + G3
Se una o più delle resistenze nella rete di Figura 3.11 è assente e al suo/loro
posto è presente un circuito aperto, allora la corrispondente conduttanza
nella (3.44) ha valore nullo. Si pensi, ad esempio, alle reti a Γ o alla sola
resistenza longitudinale, ecc.
Da un’attenta analisi della (3.44) si evince che:
1. la diagonale secondaria contiene l’elemento di conduttanza del ramo
trasversale cambiato di segno;
2. la diagonale principale contiene la somma dell’elemento di conduttanza del ramo trasversale con la conduttanza del corrispondente ramo
longitudinale.
Ragionando in modo inverso, è possibile anche stabilire quali siano le condizioni per cui una matrice Y rappresenta la matrice delle ammettenze di
corto circuito di una rete a Π di resistori. Sempre dall’analisi della (3.44) si
può dedurre che:
1. gli elementi della diagonale secondaria devono essere negativi ed uguali;
2. gli elementi della diagonale principale devono essere maggiori o uguali al modulo dell’elemento della diagonale secondaria, in modo tale
che, sottraendovi tale valore, rimanga un numero non negativo che
può essere interpretato come conduttanza del corrispondente ramo
longitudinale.
3.3.3
Connessione
parallelo-parallelo
La connessione parallelo-parallelo
Si considerino due reti due parte rappresentate dalle matrici delle ammettenze di corto circuito Y1 e Y2 , rispettivamente e si connettano nel modo
(1)
(1)
(1)
(1)
rappresentato in Figura 3.13. Si denota con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t)
le rispettive quattro grandezze elettriche della prima rete due porte e con
(2)
(2)
(2)
(2)
v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le grandezze elettriche della seconda rete
due porte. Si vuole determinare una rappresentazione unica della rete illustrata in figura attraverso la matrice Y, indicando con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e
i2 (t) le grandezze di porta.
(1)
A tal proposito si può notare che la tensione v1 (t) crelativa alla prima
porta della prima rete due porte è la stessa della prima porta della seconda
(2)
(1)
rete due porte e quindi v1 (t) = v1 (t) ≡ v1 (t). Le prime porte delle due
reti sono dunque connesse in parallelo. La stessa cosa è verificata per le
(2)
(1)
seconde porte delle due reti due porte, cioè v2 (t) = v2 (t) ≡ v2 (t). Dunque anche le seconde porte sono connesse in parallelo. E’ per questo che la
configurazione rappresentata in Figura 3.13 prende il nome di connessione
parallelo-parallelo.
I parametri delle due reti due porte sono indicati, rispettivamente con
"
#
"
#
(1)
(1)
(2)
(2)
y11 y12
y11 y12
Y1 = (1)
(1) , e Y2 =
(2)
(2) .
y21 y22
y21 y22
3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito
i1(1)
49
i2(1)
+
+
1
v1(1)
Y1
2
v2(1)
i1
i2
+
+
v1
v2
-
-
i1(2)
i2(2)
+
v1(2)
+
1
Y2
2
v2(2)
Fig. 3.13: Connessione parallelo-parallelo di due reti due porte rappresentate
attraverso le matrici Y1 e Y2 .
A questo punto è possibile scrivere la prima legge di Kirchhoff ai nodi in cui
è connessa la porta della rete da rappresentare e le due porte delle singole
reti, ottenendo rispettivamente:
(1)
(2)
(1)
(2)
i1 (t) = i1 (t) + i1 (t),
(3.45)
i2 (t) = i2 (t) + i2 (t).
Le singole correnti di porta delle due reti due porte sono sostituite con le
relazioni costitutive (3.27), da cui
(1)
(1)
(2)
(2)
i1 (t) = y11 v1 (t) + y12 v2 (t) + y11 v1 (t) + y12 v2 (t)
(1)
(2)
(1)
(2)
= y11 + y11 v1 (t) + y12 + y12 v2 (t),
(1)
(1)
(2)
(2)
i2 (t) = y21 v1 (t) + y22 v2 (t) + y21 v1 (t) + y22 v2 (t)
(1)
(2)
(1)
(2)
= y21 + y21 v1 (t) + y22 + y22 v2 (t).
(3.46)
Dunque, osservando la (3.46) si ottiene la seguente espressione per la rappresentazione Y globale:
"
(1)
(2)
y + y11
Y = 11
(1)
(2)
y21 + y21
#
(1)
(2)
y12 + y12
(1)
(2) = Y1 + Y2 .
y22 + y12
(3.47)
La (3.47) mostra per le reti due porte un risultato simile a quello trovato per
i bipoli: la matrice delle ammettenze di corto circuito di una connessione paralleloparallelo è pari alla somma delle singole matrici delle ammettenze di corto circuito
delle singole reti.
Tale risultato può essere facilmente generalizzato alla connessione paralleloparallelo di N reti due porte caratterizzate dalle matrici Y1 , Y2 , . . . , YN :
Y = Y1 + Y2 + . . . + YN =
N
X
Yk ,
(3.48)
k=1
che generalizza il caso dei bipoli. Si osservi che, in questo caso, le Yk sono
matrici 2 × 2 e non numeri.
Rappresentazione
della connessione
parallelo-parallelo
50
le reti due porte
3.3.4
Estensione ai domini trasformati
L’estensione ai domini trasformati è del tutto immediata anche in questo
caso. E’ infatti possibile trasformare la (3.27) nel dominio di Laplace, ottenendo
I1 (s) = y11 V1 (s) + y12 V2 (s),
(3.49)
I2 (s) = y21 V1 (s) + y22 V2 (s).
oppure nel dominio dei fasori, ricavando
I1 = y11 V1 + y12 V2 ,
(3.50)
I2 = y21 V1 + y22 V2 .
Rappresentazione nel
dominio trasformato
I parametri yij , per i, j = 1, 2 hanno ora il significato di ammettenze e sono
definite da formule simili alle (3.32)-(3.35) nelle stesse due condizioni operative, ma in questo caso tutte le tensioni e correnti di porta sono sostituite
dalle rispettive trasformate di Laplace oppure dai rispettivi fasori.
~ e ~I i vettori contenenti le due tensioni
Se continuiamo a denotare con V
e le due correnti di porta, rispettivamente, nel dominio di Laplace o nel
dominio dei fasori, allora continua a valere la (3.30). Precisamente
~I = YV.
~
(3.51)
Anche nel caso di connessione parallelo-parallelo di due o più reti due porte
nei domini trasformati continua a valere la proprietà (3.48), cioè la matrice
delle ammettenze di corto circuito di una connessione parallelo-parallelo
è pari alla somma delle singole matrici delle ammettenze di corto circuito
delle singole reti.
Si consideri infine una rete a Π di generiche impedenze illustrata in Figura
3.14.
Z3
Z1
1
Z2
2
Fig. 3.14: Rete a Π di impedenze.
Procedendo come nel paragrafo 3.3.2, ma operando in uno dei domini trasformati, è possibile ritrovare facilmente un risultato analogo alla (3.44), e
precisamente
Y + Y3
Y= 1
−Y3
−Y3
Y2 + Y3
(3.52)
La matrice Y contiene ora le ammettenze dei tra rami del Π invece che le
sole conduttanze. Tale risultato è valido sia nel dominio di Laplace che
nel dominio dei fasori, con le dovute considerazioni sui valori delle singole
ammettenze Yk .
3.4 relazione tra le due rappresentazioni
3.4
51
relazione tra le due rappresentazioni
E’ possibile ottenere la relazione tra le due rappresentazioni esaminate in
questo capitolo in modo intuitivo. Si pensi, infatti, ad un bipolo di impedenza Z: è allora immediato calcolare la sua ammettenza come Y = 1/Z, cioè
come l’inverso dell’impedenza. Questa regola può essere generalizzata al
caso delle reti due porte: la matrice della ammettenze di corto circuito è la
matrice inversa della matrice delle impedenze a vuoto:
Y = Z−1 .
Relazione tra matrice
Z e matrice Y
(3.53)
La dimostrazione formale di tale proprietà non viene fornita in questa sede.
Agli interessati si rimanda a testi specialistici.
Si ricorda che l’inversa di una matrice A di dimensione 2 × 2 ha una
struttura molto semplice e può essere calcolata al volo
1
a b
d −c
−1
A=
⇒ A =
.
(3.54)
c d
ad − bc −b a
La (3.54) è molto comoda per ottenere la matrice delle ammettenze di corto
circuito a partire dalla conoscenza della matrice delle impedenze a vuoto
o viceversa. In particolare, può essere utilizzata per trovare la rappresentazione a Π di una rete a T, o viceversa. La (3.54), cioè, è un altro modo per
implementare la trasformazione stella-triangolo descritta nel paragrafo 1.5,
senza dover necessariamente ricordare le formule di trasformazione.
Esempio 3.2
Si riprenda l’esempio 1.4. Si vuole trovare la rappresentazione Π della T di resistori del riquadro rosso, per semplicità riportati nella seguente figura. E’ R2 = 1 Ω,
R3 = R4 = 2 Ω.
R4
R2
R3
R3
R2
R1
La rete a T nella parte sinistra della precedente figura, utilizzando la (3.18), ammette
la rappresentazione con la seguente matrice di impedenze a vuoto
R + R3
R3
3 2
Z= 2
=
.
R3
R4 + R3
2 4
La relativa matrice delle ammettenze di corto circuito si ricava applicando la (3.54),
ottenendo, in relazione al lato destro della figura precedente
1
1
4 −2
− 14
G̃2 + G̃3
−G̃3
Y = Z−1 =
= 21
≡
.
3
−G̃3
G̃1 + G̃3
−4
12 − 4 −2 3
8
Confrontando gli ultimi due termini nell’equazione precedente, si ottiene
1
1
1 −1
Ω , G̃2 = Ω−1 , G̃3 = Ω−1
8
4
4
a cui corrispondono le seguenti resistenze
G̃1 =
R̃1 = 8 Ω, R̃2 = 4 Ω, R̃3 = 4 Ω
Tali valori sono gli stessi ottenuti nell’esempio 1.4.
Matrice inversa
4
LA SOVRAPPOSIZIONE DEGLI
EFFETTI
I
l seguente capitolo è dedicato a uno dei principi fondamentale della fisica,
valido per sistemi lineari: il principio di sovrapposizione degli effetti.
Anche in elettrotecnica, tale principio gioca un ruolo fondamentali in molti
aspetti. Infatti, il principio di sovrapposizione degli effetti, da un lato ha una
valenza teorica fondamentale e consente di dimostrare in modo semplice
altre proprietà, dall’altro lato consente di risolvere con facilità esercizi molto
complessi, dividendo l’analisi in sotto problemi più semplici.
4.1
il principio
Il punto di partenza per comprendere il principio di sovrapposizione degli
effetti è la proprietà di linearità, supposta posseduta da tutti i componenti
e i circuiti studiati in questo corso. Tale proprietà può essere enunciata nel
modo seguente:
Linearità
Proprietà 1. Il componente o il circuito è lineare se l’effetto e(t) dovuto ad una
qualsiasi causa c(t) è proporzionale alla causa stessa, cioè
(4.1)
e(t) = kc(t),
con k un’opportuna costante.
La proprietà di linearità implica che le equazioni delle relazioni costitutive
dei componenti sono lineari e le equazioni che descrivono e caratterizzano
i circuiti sono equazioni lineari. Si pensi per esempio un resistore di resistenza R e si consideri come causa la corrente i(t) che lo attraversa e come
effetto la tensione v(t) ai suoi capi. Allora è valida la legge di Ohm
v(t) = Ri(t).
E’ immediato verificare la proporzionalità tra causa ed effetto e la linearità
di tale equazione.
Una conseguenza della proprietà di linearità è il principio di sovrapposizione degli effetti, che può essere enunciato come segue
Principio di
sovrapposizione degli
effetti
Principio 1. L’effetto dovuto a più cause che agiscono in contemporanea è uguale
alla somme degli effetti dovute alle singole cause considerate come se agissero da
sole. Matematicamente, indicando con e(t) l’effetto dovuta a N cause diverse e
contemporanee, c(k) (t) la k-esima causa e con e(k) (t) il k-esimo effetto quando è
attiva solo la k-esima causa, si ha
c(t) =
N
X
k=1
c(k) (t)
⇒
e(t) =
N
X
e(k) (t).
(4.2)
k=1
53
54
la sovrapposizione degli effetti
Un modo diverso di vedere il principio di sovrapposizione degli effetti è che
alla combinazione lineare delle cause corrisponde la relativa combinazione
lineare dei singoli effetti:
c(t) =
N
X
ak c(k) (t)
⇒
e(t) =
k=1
N
X
ak e(k) (t),
(4.3)
k=1
con opportune costanti ak .
4.2
Principio di
sovrapposizione degli
effetti applicato
all’elettrotecnica
applicazione all’elettrotecnica
La (4.3) ha una notevole interpretazione circuitale. Infatti in un circuito
elettrico le cause sono le grandezze impresse dei generatori indipendenti,
mentre l’effetto è la grandezza elettrica cercata che quindi, grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, può essere determinata come la somma
dei singoli effetti dovuti ai singoli generatori indipendenti. A tal proposito, si consideri un circuito in cui siano presenti N generatori indipendenti
(sia di tensione che di corrente) con grandezza impressa pari a c(k) (t), con
k = 1, . . . , N. Si effettua, quindi, l’analisi quando è attivo solo un generatore
per volta, mentre gli altri N − 1 generatori indipendenti sono stati disattivati
(ovvero i generatori indipendenti di tensione sono sostituiti con cortocircuiti
e quelli di corrente sono sostituiti con circuiti aperti). Sia e(k) (t) la grandezza elettrica da calcolare quando è attivo solo il k-esimo generatore, mentre
gli altri sono disattivati. Allora la grandezza elettrica e(t) cercata è la somma
delle singole grandezze ottenute quando agiscono le singole cause:
e(t) =
N
X
e(k) (t).
(4.4)
k=1
Segue un esempio per chiarire l’utilizzo del principio di sovrapposizione
degli effetti.
Esempio 4.1
Si determini, per il circuito seguente, il valore della tensione vR2 (t) sul resistore R2 ,
applicando il principio di sovrapposizione degli effetti. Si ha vg (t) = 5 V, ig (t) =
10 A, R1 = 3 Ω e R2 = 2 Ω.
R1
+
vg  t 
+
vR2
R2
ig  t 
Il circuito assegnato contiene due generatori indipendenti. E’ quindi possibile effettuare l’analisi in due passi successivi, cioè calcolando la tensione cercata quando
è attivo un solo generatore indipendente per volta e poi sommando i due singoli
risultati ottenuti. Si effettuano le due analisi separatamente.
1. vg (t) 6= 0 e ig (t) = 0:
In questo caso il circuito si riduce come mostrato nella seguente figura. La
(1)
tensione vR2 (t) può essere semplicemente calcolata applicando la regola del
partitore di tensione (2.4), ottenendo:
(1)
vR2 (t) =
R2
2
vg (t) =
·5 = 2 V
R1 + R2
3+2
4.3 la sovrapposizione delle potenze
R1
+
+
vg  t 
vR2
R2
2. vg (t) = 0 e ig (t) 6= 0:
In questo caso il circuito si riduce come mostrato nella seguente figura. La
iR2  t 
+
R1
vR2
ig  t 
R2
corrente iR2 (t) che scorre nel resistore R2 può essere facilmente ottenuta
utilizzando la regola del partitore di corrente (2.17), ricavando:
iR2 (t) =
G2
· ig (t) =
G1 + G2
1
2
1
3
+
1
2
· 10 =
3
· 10 = 6 A
5
(2)
Dunque, attraverso la legge di Ohm, la tensione vR2 (t) cercata in questo
secondo caso, è
(2)
vR2 (t) = R2 iR2 (t) = 2 · 6 = 12 V
Infine, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, espresso dalla (4.4),
si ottiene:
(1)
(2)
vR2 (t) = vR2 (t) + vR2 (t) = 2 + 12 = 14 V
4.3
la sovrapposizione delle potenze
E’ necessaria particolare attenzione nell’utilizzo del principio, in quanto esso
è valido solo per relazioni lineari. Un tipico caso in cui non è possibile
utilizzare il principio è la sovrapposizione delle potenze. In questo caso,
infatti, poiché la relazione della potenza è non lineare
p(k) (t) = v(k) (t)i(k) (t),
(4.5)
non è possibile utilizzare il principio.
A tal proposito, si consideri un semplice caso di un circuito con due generatori. Si determina, con il principio di sovrapposizione degli effetti, le tensioni v(1) (t), v(2) (t) e le correnti i(1) (t) e i(2) (t) sul componente su cui si deve calcolare la potenza. Allora la tensione e la corrente su tale componente
assumo i seguenti valori:
v(t) = v(1) (t) + v(2) (t),
i(t) = i(1) (t) + i(2) (t).
(4.6)
55
56
Sovrapposizione delle
potenze
la sovrapposizione degli effetti
Di conseguenza la potenza cercata vale
p(t) = v(t)i(t) = v(1) (t) + v(2) (t) i(1) (t) + i(2) (t)
= v(1) (t)i(1) (t) + v(2) (t)i(2) (t) + v(1) (t)i(2) (t) + v(2) (t)i(1) (t)
= p(1) (t) + p(2) (t) + v(1) (t)i(2) (t) + v(2) (t)i(1) (t)
(4.7)
6= p(1) (t) + p(2) (t).
Potenza incrociata
La (4.7) dimostra la non applicabilità del principio di sovrapposizione degli
effetti nel caso delle potenze, data la presenza del termine supplementare
v(1) (t)i(2) (t) + v(2) (t)i(1) (t), definita potenza incrociata, che assume valori
diversi da zero.
4.4
Sovrapposizione nel
dominio di Laplace
estensione ai domini trasformati
Vista la linearità delle trasformazioni e la linearità del problema, il principio
di sovrapposizione degli effetti è automaticamente verificato anche nei domini trasformati. In particolare, l’espressione (4.4) continua a valere, con le
dovute modifiche, nel dominio della trasformata di Laplace
E(s) =
N
X
E(k) (s),
(4.8)
k=1
Sovrapposizione nel
dominio dei fasori
dove E(k) (s) è la grandezza elettrica da calcolare quando è attivo solo il kesimo generatore, mentre gli altri sono disattivati, e nel dominio dei fasori
E=
N
X
E(k) ,
(4.9)
k=1
Eccitazioni con
pulsazioni diverse
dove E(k) è il fasore della grandezza elettrica da calcolare quando è attivo
solo il k-esimo generatore, mentre gli altri sono disattivati.
Quest’ultimo caso, però, merita molta attenzione. Infatti il fasore “perde”,
per così dire, l’informazione sulla pulsazione a cui si sta lavorando. Se quindi tutte le eccitazioni sono relative alla medesima pulsazione, è possibile
applicare direttamente la (4.9). Al contrario, nel caso in cui ci siano eccitazioni con pulsazioni diverse, non è più possibile applicare direttamente la
(4.9), dato che i fasori si riferirebbero a pulsazioni distinte. In quest’ultimo
caso, è necessario procedere in modo differente: si raggruppano le eccitazioni di uguale pulsazione e si effettua l’analisi richiesta (magari applicando il
principio di sovrapposizione degli effetti per tutte le eccitazioni di tale gruppo) per ogni gruppo di eccitazioni, antitrasformando il risultato nel dominio
del tempo. La soluzione finale sarà quindi la sovrapposizione dei contributi
dei singoli gruppi nel dominio del tempo.
Attenzione al caso in cui non tutte le grandezze sono espresse in uno
stesso dominio trasformato. Se si è in questo caso, per applicare il principio
di sovrapposizione degli effetti, bisogna riportare tutte le grandezze in uno
stesso dominio, ad esempio quello temporale. Se quindi si applica l’analisi,
ad esempio, con un generatore in transitorio ed uno a regime permanente,
si trovano le espressione espressioni della grandezza richiesta nei relativi
domini, si procede con l’anti-trasformazione nel tempo e solo alla fine si
sommano i risultati utilizzando la (4.4).
4.4 estensione ai domini trasformati
Segue anche qui un esempio per chiarire l’utilizzo del principio di sovrapposizione degli effetti nei domini trasformati.
Esempio 4.2
Si determini, per il circuito seguente, il valore della tensione vC (t) sul resistore C. Si
0 1
, mentre il generatore ha grandezza
ha R1 = 3 Ω, R1 = 2 Ω, C = 1 F, Y =
−1 2
impressa pari a
ig (t) =
cos(t),
t60
0,
t>0
R
1
Y
2
+
ig  t 
R1
R
vC  t 
C
Per risolvere il problema assegnato, si dovrebbero eseguire due analisi distinte del
circuito: la prima analisi per t 6 0 e la seconda, dopo aver valutato tutte le condizioni
iniziali all’istante t = 0, per t > 0. Esiste, però, un metodo più veloce, che consente
di risolvere il problema dato con una sola analisi del circuito. Tale metodo nasce
dalla seguente osservazione: l’espressione della grandezza impressa del generatore
indipendente ig (t) può essere riscritta in maniera più furba nel modo seguente:
(1)
(2)
ig (t) = cos(t) − cos(t)u−1 (t) ≡ ig (t) + ig (t).
Scritto in questo modo, la soluzione cercata può essere ottenuta applicando il prin(1)
(2)
cipio di sovrapposizione degli effetti con cause ig (t) e ig (t), dopo aver calcolato
V (s)
la funzione di rete F(s) = I C(s) . L’effetto alla prima causa sarà una risposta a regig
me permanente (fasore), mentre quello relativo alla seconda causa sarà una risposta
transitoria (Laplace). La sovrapposizione sarà effettuata nel dominio temporale.
Si procede al calcolo della funzione di rete F(s). A tal proposito, dopo aver trasformato il circuito nel dominio di Laplace, come illustrato nella figura seguente, si
determina la tensione VC (s) del condensatore C attraverso l’applicazione del metodo
dei nodi.
1
I2
I1
E1
1
+
V1
-
Ig s
1
Y
2
E3
2
E2
+
V2
-
1
s
+
VC  s 
57
58
la sovrapposizione degli effetti
Indicando con E1 (s), E2 (s) ed E3 (s) i potenziali ai tre nodi presenti, con I1 (s) e
I2 (s), V1 (s) e V2 (s), le correnti e tensione della rete due porte, si ottiene il seguente
sistema risolvente:

 

 
2
−1
0
Ig (s) − I1 (s)
E1 (s)
−1 s + 1 0  · E2 (s) =  −I2 (s)  .
1
I1 (s) + I2 (s)
E3 (s)
0
0
2
Le relazioni costitutive della rete due porte, notando che è V1 (s) = E1 (s) − E3 (s) e
V2 (s) = E2 (s) − E3 (s), sono:
I1 (s) = y11 V1 (s) + y12 V2 (s) = V2 (s) = E2 (s) − E3 (s),
I2 (s) = y21 V1 (s) + y22 V2 (s) = −V1 (s) + 2V2 (s) = −E1 (s) + 2E2 (s) − E3 (s).
Dalle precedenti relazioni, si ricava anche che
I1 (s) + I2 (s) = −E1 (s) + 3E2 (s) − 2E3 (s).
Sostituendo i valori di I1 (s), I2 (s) e I1 (s) + I2 (s) nel sistema risolvente e riordinando
si ottiene infine

 
 

2
0
−1
E1 (s)
Ig (s)
−2 s + 3 −1 · E2 (s) =  0  .
2
−6
5
E3 (s)
0
Risolvendo rispetto a E2 (s) = VC (s) e utilizzando la regola di Cramer, si ottiene
2 Ig (s) −1
−2
0
−1
2
2
0
5
E2 (s) = = 3 Ig (s).
2
s+1
0
−1
−2 s + 3 −1
2
−6
5
Di conseguenza la funzione di rete cercata è
F(s) =
2
VC (s)
= 3 .
Ig (s)
s+1
Tale funzione di rete ha un solo polo in s0 = −1 e quindi il circuito è asintoticamente
stabile, garantendo l’esistenza della risposta a regime permanente.
A questo punto è possibile applicare il principio di sovrapposizione degli effetti.
(1)
(2)
1. ig (t) 6= 0 e ig (t) = 0:
(1)
(1)
Essendo ig (t) una causa a regime permanente, anche l’effetto vC (t) sarà a
regime permanente. La risposta cercata, sarà quindi calcolata, per semplicità,
(1)
nel dominio dei fasori. Poiché è Ig
(1)
(1)
VC = F(jω0 )Ig
= F(j) =
= 1 e ω0 = 1, si ottiene:
2
3
1+j
=
√
1
2 −j π
(1 − j) =
e 4.
3
3
Nel dominio del tempo, anti-trasformando, restituisce
√
2
π
(1)
vC (t) =
cos t −
.
3
4
(1)
(2)
2. ig (t) = 0 e ig (t) 6= 0:
Essendo
(2)
ig (t)
(2)
una causa in transitorio, l’effetto vC (t) sarà calcolato, per
(2)
semplicità, nel dominio di Laplace. Poiché è Ig (s) = − s2s+1 si ottiene:
(2)
(2)
VC (s) = F(s)Ig (s) = −
2
3
s+1
·
s2
A∗
s
A1
A
=
+ 2 + 2 .
s+1 s−j s+j
+1
4.5 la sovrapposizione delle potenze attive
59
Il calcolo dei residui restituisce:
A1 = (s + 1) F(s)|s=−1 = −
A2 = (s − j) F(s)|s=j = −
2
3s 2
s + 1
s=−1
2
3s
(s + 1) (s + j) =
s=j
1
3
1
= − (1 − j)
6
E quindi
1
3
(2)
VC (s) =
s+1
−
1
6
(1 − j)
−
s−j
1
6
(1 + j)
.
s+j
L’antitrasformata di tale espressione nel dominio del tempo, utilizzando la
(D.3), fornisce:
√
2
1 −t
π
(2)
u−1 (t).
vC (t) = e u−1 (t) −
cos t −
3
3
4
Infine, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, espresso dalla (4.4),
si ottiene:
√
2
π 1 −t
(1)
(2)
vC (t) = vC (t) + vC (t) =
+ e u−1 (t)
cos t −
3
4
3
√
2
π
cos t −
u−1 (t) [V]
−
3
4
E’ interessante riscrivere l’espressione precedente separando i contributi per tempi negativi da quelli per tempi positivi. Ricordando la definizione della funzione
gradino unitario u−1 (t), si ottiene:
√
2
cos t − π
per t 6 0
4 ,
vC (t) = 13 −t
e
,
per t > 0
3
4.5
la sovrapposizione delle potenze attive
Un risultato analogo alla (4.7) è valido anche nel dominio dei fasori per la
potenza complessa.
A tal proposito, si consideri un semplice caso di un circuito con due generatori con stessa pulsazione ω0 . Si determina, con il principio di sovrapposizione degli effetti, le tensioni V(1) , V(2) e le correnti I(1) e I(2) sul componente su cui si deve calcolare la potenza. Allora la tensione e la corrente
su tale componente assumo i seguenti valori:
V = V(1) + V(2) ,
I = I(1) + V(2) .
(4.10)
Di conseguenza, la potenza complessa Pc cercata vale
1 ∗ 1 (1)
VI =
V + V(2) I(1)∗ + I(2)∗
2
2
1 (1) (1)∗ 1 (2) (2)∗ 1 (1) (2)∗
= V I
+ V I
+
V I
+ V(2) I(1)∗
2
2
2
Pc =
=
(1)
Pc
(1)
6= Pc
(2)
+ Pc
(2)
(12)
+ Pc
+ Pc ,
(4.11)
Potenza complessa
60
la sovrapposizione degli effetti
(1)
(2)
Potenza complessa
incrociata
dove Pc e Pc sono le potenze complesse dovute ai singoli generatori. La
(4.11) dimostra la non applicabilità del principio di sovrapposizione degli
effetti nel caso delle potenze complesse, data la presenza del termine supple(12)
mentare Pc , definita potenza complessa incrociata, che assume in generale
valori diversi da zero.
Potenza attiva
Estraendo le parti reali da entrambi i membri della (4.11), si ottiene un
risultato simile per la potenza attiva:
(1)
(2)
(12)
Pa = Pa + Pa + Pa
.
(4.12)
(12)
Potenza attiva
incrociata
Anche in questo caso, in generale, il termine incrociato Pa , detto potenza
attiva incrociata, è diverso da zero rendendo non applicabile il principio di
sovrapposizione degli effetti. Un risultato simile è ottenibile per le potenze
reattive, estraendo la parte immaginaria di entrambi i membri della (4.11).
Se però i due generatori presenti lavorano a pulsazioni diverse, diciamo ω1
e ω2 e queste pulsazioni condividono un periodo multiplo comune, allora
(12)
il termine incrociato Pa è nullo.
Poiché ci si riferisce ora al caso di due generatori con pulsazione diversa,
non sarà possibile lavorare con i fasori e si dovrà ricorrere al calcolo della
potenza nel dominio del tempo. Si ricordi, a tal proposito, che la potenza
attiva è il valor medio della potenza istantanea su un periodo.
Si suppongano assegnate le due tensioni sinusoidali v(1) (t) = V (1) cos (ω1 t),
= V (2) cos (ω2 t) e le due correnti sinusoidali i(1) (t) = I(1) cos (ω1 t)
(2)
e i (t) = I(2) cos (ω2 t), e valide le (4.6). Per semplicità si è supposto che
le fasi siano tutte identicamente nulle. Si supponga, inoltre, che esista un
2π
2π
e T2 = ω
delle due sinusoidi a
multiplo comune dei periodi T1 = ω
1
2
pulsazione ω1 e ω2 , cioè
v(2) (t)
Periodo
T = mT1 = nT2 ,
(4.13)
per due interi m e n, oppure che la media è effettuata su un periodo
infinitamente lungo.
Il calcolo del valor medio della potenza istantanea sul periodo comune T ,
fornisce
Z
1 T
p(t)dt =
v(t)i(t)dt =
T 0
0
ZT h
ih
i
1
=
v(1) (t) + v(2) (t) i(1) (t) + i(2) (t) dt
T 0
Z
Z
1 T (1)
1 T (2)
=
v (t)i(1) (t)dt +
v (t)i(2) (t)dt
T 0
T 0
Z
Z
1 T (1)
1 T (2)
+
v (t)i(2) (t)dt +
v (t)i(1) (t)dt
T 0
T 0
Z
Z
1 T (1)
1 T (2)
=
v (t)i(1) (t)dt +
v (t)i(2) (t)dt
T 0
T 0
1
Pa =
T
ZT
(1)
(4.14)
(2)
= Pa + Pa .
Questo risultato è ottenuto grazie al fatto che i due integrali nella quarta
4.5 la sovrapposizione delle potenze attive
61
riga della (4.14) sono nulli. Per dimostrare questa affermazione, si calcoli ad
esempio il primo integrale della quarta riga, indicato qui con P(3) :
P
(3)
1
=
T
=
=
=
1
T
ZT
0
ZT
v(1) (t)i(2) (t)dt
V (1) cos (ω1 t) I(2) cos (ω2 t) dt
0
V (1) I(2)
2T
V (1) I(2)
2T
ZT
[cos (ω1 + ω2 ) t + cos (ω1 − ω2 ) t] dt
0
ZT 2π
2π
cos (m + n)
t + cos (m − n)
t dt
T
T
0
(4.15)
= 0.
Il passaggio dalla seconda alla terza riga è stato ottenuto utilizzando le formule di Werner, mentre il passaggio dalla terza alla quarta riga, ricordando
le definizioni dei periodi T1 e T2 e la (4.13), è stata ottenuto dalle seguenti
relazioni:
2π
,
T
2π
ω1 − ω2 = (m − n)
.
T
ω1 + ω2 = (m + n)
Infine, il risultato finale è ottenuto ricordando che il valor medio sul periodo
di una sinusoide è nullo.
In maniera analoga è possibile dimostrare che anche il secondo integrale nella quarta riga della (4.14), qui indicato con P(4) , è nullo. Infatti,
procedendo come prima, si ottiene:
P(4) =
1
T
1
=
T
ZT
v(2) (t)i(1) (t)dt
0
ZT
V (2) cos (ω2 t) I(1) cos (ω1 t) dt
0
V (2) I(1)
=
2T
=
V (2) I(1)
2T
ZT
[cos (ω1 + ω2 ) t + cos (ω2 − ω1 ) t] dt
0
ZT 2π
2π
cos (n + m)
t + cos (n − m)
t dt
T
T
0
(4.16)
= 0.
La (4.14) può essere generalizzata al caso di un numero arbitrario di eccitazioni e può essere enunciata semplicemente nel modo seguente: la potenza
attiva in regime permanente di eccitazioni sinusoidali di pulsazione diversa è uguale
alla somma delle potenze attive che si hanno considerando separatamente gli effetti
dei gruppi di eccitazioni di uguale pulsazione.
Sovrapposizione delle
potenze attive
5
I TEOREMI DI THEVENIN E
NORTON
I
l seguente capitolo è dedicato a due dei teoremi più importanti dell’elettrotecnica, che consentono di ottenere una rappresentazione semplificata
di circuiti anche molto complicati: il teorema di Thevenin e il teorema di
Norton. Per la dimostrazione formale di questi due teoremi si utilizzerà
un altro risultato notevole: il teorema di sostituzione, che sarà il primo
argomento di questo capitolo.
I teoremi trattati nel presente capitolo si applicano a circuiti, anche complessi, che possono essere schematicamente divisi in due porzioni distinte
che comunicano attraverso una porta e non hanno altri legami tra di loro
(grandezze di controllo, rami di un trasformatore ideale).
5.1
il teorema di sostituzione
Si focalizzi l’attenzione su un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, qui definite Rete 1 e Rete 2, che
comunicano attraverso la porta AB, come rappresentato in Figura 5.1. Il teoi (t )
A
+
Rete 1
v(t )
Rete 2
B
Fig. 5.1: Schematizzazione di una rete suddivisibile in due porzioni accessibili da
una porta.
rema di sostituzione riguarda il problema di sostituibilità di una porzione
della rete, diciamo la Rete 1, con un bipolo in modo tale che la situazione
elettrica della Rete 2 e le relative grandezze di porta v(t) e i(t), rimangano
inalterate.
In particolare, poiché si vuole che le grandezze di porta rimangano inalterate, si può imporre l’uguaglianza di una delle due grandezze v(t) oppure
i(t), garantendo l’uguaglianza anche dell’altra grandezza per rispettare le
equazioni circuitali di equilibrio. Dunque, una porzione della rete, diciamo la
Rete 1, può essere sostituito con un generatore indipendente, di tensione oppure di
corrente. Dopo tale sostituzione, la porzione di circuito rimanente, la Rete
2, non si accorge di non essere più collegata alle Rete 1: viene ingannata
dalla presenza del generatore indipendente. Poiché l’equilibrio elettrico è
rispettato, per la Rete 2 tale situazione è indistinguibile da quella originaria.
In generale, è possibile sostituire la porzione di rete con entrambi i generatori. Fa eccezione il caso in cui la restante parte, la Rete 2, si comporta a
Sostituzione di una
porzione di circuito
accessibile da una
porta
63
64
Teorema di
sostituzione
i teoremi di thevenin e norton
sua volta come un generatore indipendente. In tal caso, come bipolo sostituente, deve essere scelto quello con il comportamento duale, in modo da
evitare quei collegamenti assurdi, cioè il parallelo di due generatori indipendenti di tensione o il parallelo di due generatori indipendenti di corrente,
con grandezze impresse diverse.
Teorema 1 (di Sostituzione). In una rete qualsiasi, una sua porzione accessibile
da una porta può essere sostituita con un generatore indipendente di tensione o di
corrente, avente per grandezza impressa la corrispondente grandezza di porta, come
mostrato in Figura 5.2. La scelta del tipo di generatore è in generale indifferente,
salvo quando tra A e B la restante porzione appare come un generatore. In questo
caso occorre scegliere nella sostituzione il generatore di tipo opposto a quello secondo
cui si comporta la restante porzione.
i (t )
A
A
+
+
Rete 2
v(t )
i (t )
-
-
B
B
a)
Rete 2
v(t )
b)
Fig. 5.2: Possibili sostituzioni della porzione Rete 1 utilizzando il teorema di
sostituzione.
E’ opportuno osservare che il teorema di sostituzione non può essere applicato se tra le due porzioni Rete 1 e Rete 2 esistono legami elettrici, cioè
un generatore controllato in una porzione la cui grandezza di controllo è
relativa all’altra porzione, oppure un ramo di un trasformatore in una porzione e l’altro ramo nell’altra porzione, ovvero, in generale, la presenza di
componenti multiporta presenti contemporaneamente nelle due porzioni di
rete.
Il teorema di sostituzione assume una valenza pratica nell’analisi dei circuiti contenenti elementi a due porte. Infatti, in base a tale teorema, ogni
porta può essere sostituito con un generatore, scegliendo il tipo più consono
al metodo di analisi scelto: quindi ogni blocco di circuito che si comporta
come rete due porte può essere sostituito con due generatori indipendenti
al posto delle porte. Le grandezze impresse di tali generatori, così come le
restanti due grandezze elettriche, sono incognite ma legate dalle due relazioni costitutive del particolare componente due porte. Un tale procedimento
semplifica la scrittura del sistema risolvente e quindi l’analisi del circuito. Si
mostrano due esempi per chiarire il concetto.
Esempio 5.1
Si ripropone l’esempio 3.1, sostituendo la rete due porte caratterizzata dalla matrice
Z con due generatori indipendente di tensione, visto che lo si è risolto con il metodo
base maglie. Tale sostituzione è illustrata nella parte b) della seguente figura. La
parte a) rappresenta il circuito da esaminare.
Siano anche in questo caso im1 (t), im2 (t) e im3 (t) le tre correnti fittizie di maglia;
il sistema risolvente base maglie si scrive

 
 

R1 0 0
im1 (t)
−v1 (t)
,
 0 R2 0 · im2 (t) = 
v2 (t)
0
0 0
im3 (t)
vg (t) − v2 (t) + v1 (t)
in cui v1 (t) e v2 (t) sono le tensioni impresse incognite dei generatori indipendenti
di tensione derivanti dalla rete due porte. Indicando con i1 (t) = im1 (t) − im3 (t) e
5.2 il teorema di thevenin
vg  t 
vg  t 
+
im 3
i1 +
i2
i1
1
+
Z 2
v1
v2
im1
+
v2  t 
im 3
+
i2
+
+
-
R1
v1  t 
65
im 2
R2
vR2  t 
+
R1
im1
a)
im 2
R2
vR2  t 
b)
i2 (t) = im3 (t) − im2 (t) le due correnti incognite entranti nella rete due porte, ora
corrispondenti alle correnti che scorrono nei generatori indipendenti di tensione con
i versi indicati in figura, le relazioni costitutive di questo elemento vengono scritte
come segue
v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t) = i1 (t) = im1 (t) − im3 (t),
v1 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t) = i1 (t) + i2 (t) = im1 (t) − im2 (t).
Poiché questo insieme di equazioni coincide con quelle illustrate nell’esempio 3.1, il
resto dell’esercizio è identico a quanto già svolto e viene omesso.
5.2
il teorema di thevenin
Si consideri nuovamente un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, definite Rete 1 e Rete 2, che comunicano
attraverso la porta AB, già rappresentato in Figura 5.1. Si consideri per il
momento che il circuito è privo di bipoli reattivi, cioè di condensatori e induttori. Lo scopo del seguente paragrafo è quello di stabilire se è possibile
determinare una rappresentazione semplificata di una porzione del circuito,
diciamo Rete 1: si vuole, cioè, determinare un circuito equivalente semplificato della Rete 1 tale che, se sostituito, la rimanente porzione Rete 2 non
risente della modifica. La risposta a tale quesito è fornita dal teorema di
Thevenin, che può essere così enunciato:
Teorema di Thvenin
Teorema 2 (di Thevenin). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, alla serie di un generatore indipendente di tensione vT h (t), avente
grandezza impressa uguale alla tensione che si manifesta a vuoto in corrispondenza
alla porta della rete e con la stessa polarità, e un resistore RT h di resistenza equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è
mostrata in Figura 5.3, mentre il valore dei parametri vT h (t) e RT h è mostrata in
Figura 5.4.
Tale teorema fu enunciato nel 1883 dall’ingegnere francese Léon Charles
Thévenin (1857-1926) da cui prende il nome1 . Il generatore indipendente
di tensione e la resistenza utilizzate nell’enunciato del teorema prendono
rispettivamente il nome di generatore di Thevenin e resistenza equivalente
di Thevenin. E’ sottinteso che tra le due porzioni Rete 1 e Rete 2 non ci
1 In realtà, il teorema fu enunciato per primo dallo scienziato tedesco Hermann von Helmholtz
nel 1853, ma fu poi riscoperto nel 1883 da Thevenin.
Generatore e
resistenza
equivalente di
Thevenin
66
i teoremi di thevenin e norton
i (t )
R Th
A
+
Rete 1
Rete 2
v(t )
A
+
Rete 2
vTh (t )
B
B
a)
b)
Fig. 5.3: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Thevenin.
A
A
+
Rete 1
+
Rete 1
disattivata
vTh (t )
R Th
-
-
B
B
a)
b)
Fig. 5.4: Valore dei parametri vT h (t) e RT h utilizzati nell’applicazione del teorema
di Thevenin.
siano legami elettrici (elementi multiporta presenti contemporaneamente in
ambedue le porzioni), così come specificato per il teorema di sostituzione.
Si procede con la dimostrazione del teorema di Thevenin.
Dimostrazione del
teorema di Thevenin
Dimostrazione. La dimostrazione del teorema è effettuata come semplice applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti e del teorema di
sostituzione.
Si cominci con il sostituire la porzione Rete 2 con un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i(t), cioè quella che attraversa la porta AB, come illustrato nella parte a) di Figura 5.5. Tale operazione,
se non ci sono legami tra le due porzioni è possibile per il teorema di sostituzione. Resta escluso il caso in cui la Rete 1 si comporti come un generatore di
corrente: in questo caso il teorema di sostituzione non può essere applicato
e di conseguenza non è possibile applicare il teorema di Thevenin.
Rete 1
A
A
+
+
vAB t 
i t 
Rete 1
(1)
t 
v AB
+
Rete 1
disattivata
( 2)
t 
v AB
B
B
B
b)
i t 
-
-
-
a)
A
c)
Fig. 5.5: Dimostrazione del teorema di Thevenin: sostituzione della Rete 2 con un
generatore indipendente di corrente a); determinazione della tensione di
porta dovuti ai generatori del primo gruppo b) e del secondo gruppo c).
A questo punto è possibile determinare la tensione di porta vAB (t) attraverso il principio di sovrapposizione degli effetti, dividendo le eccitazioni in
due gruppi, come illustrato nelle parti b) e c) di Figura 5.5:
1. le eccitazioni interne alla Rete 1;
2. il generatore di corrente esterno i(t).
L’effetto del primo gruppo si ottiene disattivando il generatore esterno i(t).
La rete risultante è pertanto la Rete 1 lasciata aperta e quindi la tensione
(1)
vAB (t) cercata è la tensione a vuoto, che abbiamo definito vT h (t), cioè
5.2 il teorema di thevenin
67
(1)
vAB (t) = vT h (t). L’effetto del secondo gruppo si ottiene disattivando tutti
(2)
i generatori indipendenti interni alla Rete 1. La tensione vAB (t) cercata è
dunque data dalla corrente i(t) per la resistenza equivalente, chiamata qui
(2)
RT h , della Rete 1 disattivata, cioè vAB (t) = RT h i(t). Dunque, per il principio
di sovrapposizione degli effetti è:
(1)
(2)
vAB (t) = vAB (t) + vAB (t) = vT h (t) + RT h i(t).
(5.1)
Dato che la somma di due tensioni è equivalente alla serie di due bipoli, la
Rete 1 è interpretabile come la serie di un bipolo la cui tensione è fissata al
valore vT h (t), cioè è un generatore indipendente di tensione di grandezza
impressa pari a vT h (t) e di un bipolo la cui tensione è proporzionale alla
corrente che lo attraversa, cioè è un resistore di resistenza RT h .
Queste considerazioni dimostrano completamente il teorema di Thevenin.
Nel seguito si entrerà più nello specifico nelle tecniche per la determinazione dei valori dei due parametri vT h (t) e RT h per l’applicazione del teorema
di Thevenin.
5.2.1
Metodo disgiunto
Nell’applicazione del metodo disgiunto, dopo aver separato la porzione Rete
2, si procede in due passi separati e successivi al calcolo della tensione di
Thevenin vT h (t) e la resistenza di Thevenin RT h , rispettivamente.
Si comincia, per comodità, al calcolo della tensione di Thevenin vT h (t).
Come è noto dal teorema, tale tensione coincide con la tensione a vuoto
alla porta AB, in cui si vuole applicare il teorema. Dunque, la vT h (t) può
essere calcolata applicando qualsiasi metodo di analisi (base nodi o base
maglie) e risolvendo il sistema risolvente rispetto a tale tensione incognita
(o opportuna corrente).
Per quanto riguarda il calcolo della resistenza di Thevenin RT h si inizia
a disattivare tutti i generatori indipendenti all’interno della porzione Rete 1.
Si ricorda che i generatori indipendenti di tensione si disattivano sostituendolo con dei corto circuiti (tensione nulla), mentre i generatori indipendenti
di corrente si disattivano sostituendoli con dei circuiti aperti (corrente nulla). A questo punto bisogna fare una distinzione a seconda che nel circuito disattivato siano presenti soli resistori ovvero siano presenti anche altri
componenti (generatori controllati, trasformatori ideali e nullori).
Metodo disgiunto
Caso in cui siano presenti solo resistori
Nel caso in cui nel circuito disattivato siano presenti solo resistori, il calcolo
della resistenza equivalente di Thevenin si effettua in maniera molto semplice. Basta infatti applicare i metodi descritti nel Capitolo 1 ed effettuare
le equivalenze serie o parallelo in sequenza, fino a raggiungere la resistenza
equivalente dell’intero bipolo Rete 1. Nel caso in cui ci siano resistori che
non risultino collegati né in serie né in parallelo, è possibile applicare le
trasformazioni stella-triangolo per risolvere il problema e ricondursi ad un
collegamento serie o parallelo (si veda il Paragrafo 1.6).
Esempio 5.2
Si applichi il teorema di Thevenin alla coppia di terminali A e B del seguente circuito.
Sia R = 13 Ω e vg (t) = 26 V.
Presenza di soli
resistori e generatori
indipendenti
68
i teoremi di thevenin e norton
R
i2
C
A
+
vg  t 
R
i1
i3
+
R
R
R
vTh  t 
R
-
B
Si procede con il calcolo della tensione di Thevenin vT h (t). A tal proposito si applica
il metodo delle maglie al circuito assegnato. Per semplicità, è possibile determinare la sola corrente i2 (t) della seconda maglia, con cui è possibile determinare la
tensione tra i nodi A e B.
Essendo presenti solo resistori e un generatore indipendente di tensione, il sistema
risolvente si scrive immediatamente come

 
 

2R −R −R
i1 (t)
vg (t)
−R 4R −R · i2 (t) =  0  .
−R −R 3R
i3 (t)
0
Risolvendo tale sistema rispetto alla seconda variabile i2 (t), si ottiene applicando la
regola di Cramer
2R vg (t) −R
−R
0
−R
−R
0
3R 4R2
4
i2 (t) = v (t) =
vg (t).
=
3 g
2R −R −R
13R
13R
−R 4R −R
−R −R 3R Tale corrente è utilizzata per calcolare la tensione cercata, applicando la seconda
legge di Kirchhoff al percorso BCAB:
vT h (t) = vg (t) − Ri2 (t) = vg (t) −
4
9
vg (t) =
vg (t) = 18 V
13
13
Per determinare la resistenza equivalente di Thevenin, si inizia disattivando il generatore indipendente di tensione (lo si cortocircuita) come illustrato nella parte a)
della figura seguente, quindi si procede determinando gli equivalenti in serie e in
parallelo dei resistori rimasti. Per semplificare la determinazione degli equivalenti,
si ridisegna il circuito nella forma mostrata nella parte b) della figura seguente.
R
A
R
A
R
R
R
R
R
R
R
R
R
B
a)
R
B
b)
Iniziando alla sinistra del circuito, si nota subito che sono presenti due resistori di
uguale resistenza in parallelo. Dunque il primo equivalente (parallelo) è dato da
Req1 =
R
.
2
Segue la serie di tale equivalente con un resistore di resistenza R:
Req2 = Req1 + R =
3
R.
2
5.2 il teorema di thevenin
A
R
A
R
R
Req1
69
Req 2
R
R
R
R
B
B
a)
b)
A
A
A
R
Req 3
Req 4
R
RTh
R
B
B
c)
B
e)
d)
In successione ho il parallelo tra questo equivalente e un resistore di resistenza R;
Req3 =
Req2 R
3
= R.
Req2 + R
5
Segue un’altra serie:
Req4 = Req3 + R =
8
R.
5
Infine, rimane da calcolare l’equivalente parallelo tra Req4 e un resistore di resistenza R:
RT h =
Req4 R
8
=
R=8Ω
Req4 + R
13
I passi precedenti sono illustrati nelle parti a)-e) della figura precedente. Dunque il
circuito assegnato è equivalente alla serie di un generatore indipendente di tensione
con grandezza impressa pari a 18 V e un resistore di resistenza pari a 8 Ω.
A
8
+
18
B
Caso in cui siano presenti anche altri componenti
Nel caso, invece, in cui nel circuito disattivato siano presenti anche altri componenti otre ai resistori, precisamente, generatori controllati (che non devono essere disattivati), trasformatori ideali e/o nullori, non sarà più possibile
utilizzare gli equivalenti in serie o parallelo, non potendo fare il parallelo di
un resistore e un ramo del trasformatore ad esempio.
In questi casi, l’unica soluzione è quella di applicare direttamente la definizione di resistenza, cioè il rapporto tra la tensione ai capi di un bipolo e
la corrente che lo attraversa. E’ dunque possibile forzare una corrente nel
Presenza di altri
componenti
70
Generatore di prova
i teoremi di thevenin e norton
bipolo Rete 1 (alla porta AB) attraverso un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa arbitraria iP (t), definito generatore di prova2
e determinare la tensione che tale generatore produce alla porta AB. Tale situazione è illustrata in Figura 5.6. Il rapporto tra tale tensione e la corrente
A
+
Rete 1
disattivata
i P t 
vAB t 
B
Fig. 5.6: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di RT h .
di prova fornisce il valore della resistenza di Thevenin cercata:
RT h =
vAB (t)
.
iP (t)
(5.2)
Si vuole qui sottolineare che tale metodo per il calcolo della resistenza equivalente di Thevenin può anche essere applicato al caso in cui nel circuito
disattivato siano presenti solo resistori.
Esempio 5.3
Si applichi il teorema di Thevenin tra i terminali A e B del seguente circuito. Si ha
R1 = 100 Ω, R2 = 10 Ω, k = 9 e vg (t) = 6 V.
R1
vg  t 
Ex
A
+
iR1
+
kiR1
iR2
R2
vTh  t 
B
Si procede con il calcolo della tensione di Thevenin. E’ possibile applicare una sola
equazione nell’unica incognita, ovvero la tensione di Thevenin che coincide con il
potenziale Ex al nodo di uscita, facendo l’equilibrio a tale nodo:
iR1 (t) + kiR1 (t) − iR2 (t) = 0,
dove le correnti che scorrono nei resistori sono
iR1 (t) = G1 (vg (t) − Ex ) ,
iR2 (t) = G2 Ex .
Sostituendo tali valori nell’equazione precedente, si trova
(k + 1) G1 (vg (t) − Ex ) = G2 Ex ,
che risolta restituisce
vT h (t) ≡ Ex =
vg (t)
= 3 V.
2
2 Il valore numerico di tale generatore non è importante al fine del calcolo della resistenza.
Infatti, poiché il circuito che si sta considerando è lineare, la tensione prodotta alla porta AB
considerata (effetto) sarà sicuramente proporzionale alla grandezza impressa che l’ha generata
(causa): vAB (t) ∝ iP (t). Nel rapporto tra queste due grandezza, dunque, la corrente di prova
si semplifica e il suo valore numerico non incide sul valore del parametro RT h .
5.2 il teorema di thevenin
71
Per determinare la resistenza equivalente di Thevenin, si inizia disattivando il generatore indipendente di tensione (lo si cortocircuita). Questa volta non è possibile
determinare gli equivalenti in serie e in parallelo dei resistori rimasti, in quanto nel
circuito è presenta ancora un generatore di corrente controllato in corrente. Per tal
motivo, si inserisce alla porta AB un generatore indipendente di corrente di prova
di grandezza impressa arbitraria pari a i(t), come mostrato nella seguente figura.
Ex
A
+
R1
kiR1
iR1
iR2
R2
Ex
i t 
B
Il circuito risultante sarà risolto con il metodo base nodi. Si osservi che è sufficiente
scrivere una equazione nell’unica incognita presente Ex . Procedendo si ottiene:
(G1 + G2 ) Ex = kiR1 (t) + i(t),
in cui la corrente che scorre nel resistore R1 vale
iR1 (t) = −G1 Ex .
Sostituendo tale valore nella precedente equazione, si ottiene
[(k + 1) G1 + G2 ] Ex = i(t),
che risolta rispetto a Ex , fornisce
Ex =
i(t)
=
(k + 1) G1 + G2
i(t)
= 5i(t).
1
+ 10
10
100
Dunque la resistenza equivalente di Thevenin è pari a:
RT h =
5.2.2
Ex
=5Ω
i(t)
Metodo congiunto
Nell’applicazione del metodo congiunto, dopo aver separato la porzione
Rete 2, si procede al calcolo della tensione di Thevenin e la resistenza di
Thevenin contemporaneamente. Tale metodo deriva direttamente dalla metodologia utilizzata nella dimostrazione del teorema.
Si comincia collegando alla porta AB un generatore indipendente di corrente di grandezza arbitraria (generatore di prova), con valore impresso
iP (t). A questo punto, applicando un qualsiasi metodo di analisi, si procede al calcolo della tensione di porta vAB (t). Tale tensione è generata da due
gruppi di eccitazioni distinte: i generatori interni alla Rete 1 e il generatore
di prova iP (t). Il contributo delle eccitazioni interne è la tensione a vuoto
alla porta AB quando iP (t) non è presente, cioè è la tensione vT h (t), mentre il contributo del generatore di prova, dopo aver disattivato le eccitazioni
interne, è una tensione proporzionale a tele corrente attraverso il parametro
di proporzionalità RT h . La tensione di porta vAB (t) è dunque esprimibile
come
vAB (t) = vT h (t) + RT h iP (t).
(5.3)
Metodo congiunto
72
i teoremi di thevenin e norton
La (5.3) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto. Dopo aver inserito
alla porta AB un generatore di prova con grandezza impressa iP (t) di valore
arbitrario, si calcola la tensione di porta vAB (t) con un metodo qualsiasi di
analisi. La tensione trovata, secondo la (5.3), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla corrente di prova:
allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come
resistenza equivalente di Thevenin RT h . L’altro termine non dipende dalla
corrente di prova: tale termine è identificato con la tensione di Thevenin
vT h (t).
Esempio 5.4
Si applichi il teorema di Thevenin tra i terminali A e B del seguente circuito. Si ha
R1 = R3 = 1 Ω, R2 = R4 = 12 Ω, k = 5 Ω−1 e vg (t) = 3 V.
R3
R1
A
vg  t 
+
+
+
vR2
R2
R4
kvR2
vTh  t 
B
Nel risolvere tale circuito, conviene trasformare il generatore indipendente reale di
tensione in un generatore reale di corrente, come sarà descritto più avanti nel paragrafo 5.4. Poiché si vuole utilizzare il metodo congiunto, aggiungiamo in serie
alla porta AB un generatore indipendente di corrente, con grandezza impressa arbitraria paria a i(t). Il circuito risultate, illustrato nella seguente figura, sarà risolto
applicando il metodo base nodi.
R3
E1
E2
A
+
+
G1vg  t 
R1
vR2
R2
kvR2
R4
vAB  t 
i t 
B
Indicando con E1 e E2 i potenziali ai due nodi, si ha il seguente sistema risolvente
G1 + G2 + G3
−G3
−G3
E
G1 vg (t)
· 1 =
.
G3 + G4
E2
i(t) + kvR2 (t)
Notando che la grandezza di controllo è pari a vR2 (t) ≡ E1 , e riordinando il sistema,
si ottiene
G1 + G2 + G3
−G3
E
G1 vg (t)
,
· 1 =
−G3 − k
G3 + G4
E2
i(t)
cioè, sostituendo i valori numerici:
4
−6
−1
E
G1 vg (t)
· 1 =
.
3
E2
i(t)
La grandezza cercata, cioè la tensione tra i nodi A e B, coincide con il potenziale al
secondo nodo (vAB (t) = E2 ) e dunque, utilizzando il metodo di Cramer:
4 vg (t)
−6 i(t) 6vg (t) + 4i(t)
2
2
=
vAB (t) ≡ E2 = = vg (t) + i(t) = 3 + i(t) [V]
4 −1
12
−
6
3
3
−6 3 5.3 il teorema di norton
73
Utilizzando la (5.3), è immediato verificare che
vT h (t) = vg (t) = 3 V,
RT h =
5.3
2
Ω.
3
il teorema di norton
Si consideri nuovamente un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, definite Rete 1 e Rete 2, che comunicano
attraverso la porta AB, già rappresentato in Figura 5.1 e considerato per la
descrizione del teorema di Thevenin. Si consideri per il momento che il circuito è privo di bipoli reattivi, cioè di condensatori e induttori. Lo scopo
del seguente paragrafo è quello di stabilire se è possibile determinare una
rappresentazione semplificata di una porzione del circuito, diciamo Rete 1:
si vuole, cioè, determinare un circuito equivalente semplificato della Rete 1
tale che, se sostituito, la rimanente porzione Rete 2 non risente della modifica, come fatto per il teorema di Thevenin, ma si vuole una rappresentazione
duale. La risposta a tale quesito è fornita dal teorema di Norton, che può
essere così enunciato:
Teorema 3 (di Norton). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, al parallelo di un generatore indipendente di corrente iN (t),
avente grandezza impressa uguale alla corrente che si manifesta in corrispondenza
alla porta della rete cortocircuitata e con la stessa polarità, e un resistore RN di
resistenza equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate.
L’equivalenza è mostrata in Figura 5.7, mentre il valore dei parametri iN (t) e RN
è mostrata in Figura 5.8.
i (t )
A
A
+
Rete 1
Rete 2
v(t )
i N (t )
Rete 2
RN
B
B
a)
b)
Fig. 5.7: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Norton.
A
Rete 1
i N (t )
A
+
Rete 1
disattivata
RN
B
a)
B
b)
Fig. 5.8: Valore dei parametri iN (t) e RN utilizzati nell’applicazione del teorema di
Norton.
Tale teorema fu enunciato solo nel 1926 da Edward Lawry Norton, ingegnere dei Bell Labs. Il generatore indipendente di corrente e la resistenza
Teorema di Norton
74
i teoremi di thevenin e norton
Generatore e
resistenza
equivalente di
Norton
utilizzate nell’enunciato del teorema prendono rispettivamente il nome di
generatore di Norton e resistenza equivalente di Norton. E’ sottinteso che
tra le due porzioni Rete 1 e Rete 2 non ci siano legami elettrici (elementi multiporta presenti contemporaneamente in ambedue le porzioni), così come
specificato per il teorema di sostituzione. Si procede con la dimostrazione
del teorema di Norton.
Dimostrazione del
teorema di Norton
Dimostrazione. La dimostrazione del teorema è effettuata come semplice applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti e del teorema di
sostituzione.
Si cominci con il sostituire la porzione Rete 2 con un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v(t), cioè quella alla porta
AB, come illustrato nella parte a) di Figura 5.9. Tale operazione, se non ci
sono legami tra le due porzioni è possibile per il teorema di sostituzione.
Resta escluso il caso in cui la Rete 1 si comporti come un generatore di tensione: in questo caso il teorema di sostituzione non può essere applicato e
di conseguenza non è possibile applicare il teorema di Norton.
Rete 1
A
A
A
i AB t 
+
v t 
Rete 1
i
(1)
AB
t 
(2)
t 
i AB
Rete 1
disattivata
+
v t 
B
B
B
a)
b)
c)
Fig. 5.9: Dimostrazione del teorema di Norton: sostituzione della Rete 2 con un
generatore indipendente di tensione a); determinazione della corrente di
porta dovuti ai generatori del primo gruppo b) e del secondo gruppo c).
A questo punto è possibile determinare la corrente di porta iAB (t) attraverso
il principio di sovrapposizione degli effetti, dividendo le eccitazioni in due
gruppi, come illustrato nelle parti b) e c) di Figura 5.9:
1. le eccitazioni interne alla Rete 1;
2. il generatore di corrente esterno v(t).
L’effetto del primo gruppo si ottiene disattivando il generatore esterno v(t),
cioè cortocircuitandolo. La rete risultante è pertanto la Rete 1 con la por(1)
ta AB cortocircuitata e quindi la corrente iAB (t) cercata è la corrente che
(1)
scorre nel corto circuito, che abbiamo definito iN (t), cioè iAB (t) = iN (t).
L’effetto del secondo gruppo si ottiene disattivando tutti i generatori indi(2)
pendenti interni alla Rete 1. La corrente iAB (t) cercata è dunque data dalla
tensione v(t) per la conduttanza equivalente, chiamata qui GN , della Rete
(2)
1 disattivata cioè iAB (t) = −GN v(t). Il segno meno è dovuto al fatto che
(1)
la iAB (t) entra nel generatore di tensione v(t). Dunque, per il principio di
sovrapposizione degli effetti è:
(1)
(2)
iAB (t) = iAB (t) + iAB (t) = iN (t) − GN v(t).
(5.4)
Dato che la somma di due correnti è equivalente al parallelo di due bipoli, la
Rete 1 è interpretabile come il parallelo di un bipolo la cui corrente è fissata
al valore iN (t), cioè è un generatore indipendente di corrente di grandezza
impressa pari a iN (t) e di un bipolo la cui corrente è proporzionale tensione
ai suoi capi, cioè è un resistore di conduttanza GN , cioè di resistenza RN =
1/GN .
Queste considerazioni dimostrano completamente il teorema di Norton.
5.3 il teorema di norton
75
Nel seguito si entrerà più nello specifico nelle tecniche per la determinazione dei valori dei due parametri iN (t) e RN per l’applicazione del teorema
di Norton.
5.3.1
Metodo disgiunto
Nell’applicazione del metodo disgiunto, dopo aver separato la porzione Rete
2 e cortocircuitata la porta AB, si procede in due passi separati e successivi al calcolo della corrente di Norton iN (t) e la resistenza di Norton RN ,
rispettivamente.
Si comincia, per comodità, al calcolo della corrente di Norton iN (t). Come
è noto dal teorema, tale tensione coincide con la corrente che scorre nel corto
circuito alla porta AB, in cui si vuole applicare il teorema. Dunque, la iN (t)
può essere calcolata applicando qualsiasi metodo di analisi (base nodi o base
maglie) e risolvendo il sistema risolvente rispetto a tale corrente incognita
(o opportuna tensione).
Per quanto riguarda il calcolo della resistenza di Norton RN si inizia a
disattivare tutti i generatori indipendenti all’interno della porzione Rete 1.
Si ricorda che i generatori indipendenti di tensione si disattivano sostituendolo con dei corto circuiti (tensione nulla), mentre i generatori indipendenti
di corrente si disattivano sostituendoli con dei circuiti aperti (corrente nulla). A questo punto bisogna fare una distinzione a seconda che nel circuito disattivato siano presenti soli resistori ovvero siano presenti anche altri
componenti (generatori controllati, trasformatori ideali e nullori).
Metodo disgiunto
Caso in cui siano presenti solo resistori
Nel caso in cui nel circuito disattivato siano presenti solo resistori, il calcolo
della resistenza equivalente di Norton si effettua in maniera molto semplice
e del tutto analogo al caso del Teorema di Thevenin. Basta infatti applicare i
metodi descritti nel Capitolo 1 ed effettuare le equivalenze serie o parallelo
in sequenza, fino a raggiungere la resistenza equivalente dell’intero bipolo
Rete 1. Nel caso in cui ci siano resistori che non risultino collegati né in serie
né in parallelo, è possibile applicare le trasformazioni stella-triangolo per
risolvere il problema e ricondursi ad un collegamento serie o parallelo (si
veda il Paragrafo 1.6).
Esempio 5.5
Si applichi il teorema di Norton al circuito dell’esempio 5.2. Si ricorda che è R = 13 Ω
e vg (t) = 26 V.
In questo caso si vuole determinare la corrente che scorre nel cortocircuito tra i
terminali A e B, nel verso indicato nella seguente figura.
R
i2
A
+
vg  t 
i1
R
R
R
R
i3
R
i4
iN  t 
B
Presenza di soli
resistori e generatori
indipendenti
76
i teoremi di thevenin e norton
Indicando con i1 (t), i2 (t), i3 (t) e i4 (t) le quattro correnti fittizie di maglia, il circuito
può essere risolto applicando il metodo base maglie, che fornisce il seguente sistema
risolvente

 
 

vg (t)
i1 (t)
2R −R −R
0
−R 4R −R −R i2 (t)  0 

 
 

−R −R 3R −R · i3 (t) =  0  .
0
−R
−R
i4 (t)
2R
0
La corrente di Norton da determinare coincide con la quarta incognita i4 (t) del
sistema, che risolto con il metodo di Cramer fornisce:
2R −R −R vg (t)
−R 4R −R
0 −R −R 3R
0 0
−R −R
0 9R3
9
9
iN (t) ≡ i4 (t) = vg (t) =
vg (t) = A
=
4
2R −R −R
8R
4
8R
0 −R 4R −R −R
−R −R 3R −R
0
−R −R 2R Per quanto riguarda il calcolo della resistenza equivalente di Norton, dopo aver
disattivato il generatore indipendente di tensione (con un cortocircuito), si procede
con il calcolo degli equivalenti serie e parallelo dei resistori rimasti. E’ evidente che
tali equivalenti sono gli stessi dell’esempio 5.2. Di conseguenza si ha:
8R
=8Ω
13
Dunque il circuito assegnato è equivalente al parallelo di un generatore indipendente
di corrente con grandezza impressa pari a 94 V e un resistore di resistenza pari a 8
Ω.
RN =
A
9
4
8
B
Caso in cui siano presenti anche altri componenti
Presenza di altri
componenti
Generatore di prova
Nel caso, invece, in cui nel circuito disattivato siano presenti anche altri componenti otre ai resistori, precisamente, generatori controllati (che non devono essere disattivati), trasformatori ideali e/o nullori, non sarà più possibile
utilizzare gli equivalenti in serie o parallelo, non potendo fare il parallelo di
un resistore e un ramo del trasformatore ad esempio.
In questi casi, l’unica soluzione è quella di applicare direttamente la definizione di conduttanza, cioè il rapporto tra la corrente che attraversa un
bipolo e la tensione ai suoi capi. E’ dunque possibile forzare una tensione al
bipolo Rete 1 (alla porta AB) attraverso un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa arbitraria vP (t), definito generatore di prova3
e determinare la corrente che tale generatore produce nella porta AB. Tale
situazione è illustrata in Figura 5.10.
3 Il valore numerico di tale generatore non è importante al fine del calcolo della conduttanza.
Infatti, poiché il circuito che si sta considerando è lineare, la corrente che scorre nella porta AB
considerata (effetto) sarà sicuramente proporzionale alla grandezza impressa che l’ha generata
(causa): iAB (t) ∝ vP (t). Nel rapporto tra queste due grandezza, dunque, la corrente di prova
si semplifica e il suo valore numerico non incide sul valore del parametro GN .
5.3 il teorema di norton
A
i AB t 
Rete 1
disattivata
+
v P t 
B
Fig. 5.10: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di RN .
Il rapporto tra tale corrente e la tensione di prova fornisce il valore della
conduttanza di Norton cercata:
GN =
iAB (t)
.
vP (t)
(5.5)
Quindi la resistenza di Norton cercata è paro a RN = 1/GN .
Si vuole qui sottolineare che tale metodo per il calcolo della resistenza
equivalente di Norton può anche essere applicato al caso in cui nel circuito
disattivato siano presenti solo resistori.
Esempio 5.6
Si applichi il teorema di Norton al circuito dell’esempio 5.3. Si ricorda che è R1 =
100 Ω, R2 = 10 Ω, k = 9 e vg (t) = 6 V.
In questo caso si vuole determinare la corrente che scorre nel cortocircuito tra i
terminali A e B, nel verso indicato nella seguente figura.
R1
vg  t 
+
Ex
A
iR1
kiR1
iR2
R2
iN  t 
B
Scrivendo l’equilibrio di Kirchhoff al nodo indicato da Ex , si ottiene
iR1 (t) + kiR1 (t) − iR2 (t) − iN (t) = 0.
Si noti che, diversamente dall’esempio 5.3, il potenziale al nodo etichettato con Ex
è nullo, cioè Ex = 0 e dunque iR1 (t) = G1 vg (t). Inoltre, grazie al corto circuito
presente tra i terminali A e B, anche la corrente iR2 (t) che scorre nel resistore R2 è
nulla. Sostituendo tali valori nell’equazione precedente, si ha
iN (t) = (k + 1) iR1 (t) = (k + 1) G1 vg (t) =
3
1
vg (t) = A
10
5
Per determinare la resistenza equivalente di Norton, si inizia disattivando il generatore indipendente di tensione (lo si cortocircuita). Questa volta non è possibile
determinare gli equivalenti in serie e in parallelo dei resistori rimasti, in quanto nel
circuito è presenta ancora un generatore di corrente controllato in corrente. Per tal
motivo, si inserisce alla porta AB un generatore indipendente di tensione di prova
di grandezza impressa arbitraria pari a v(t), come mostrato nella seguente figura.
Il circuito risultante sarà risolto con il metodo base nodi. Si osservi che è sufficiente
scrivere una equazione nell’unica incognita presente Ex . Procedendo si ottiene:
(G1 + G2 ) Ex = kiR1 (t) + iAB (t),
77
78
i teoremi di thevenin e norton
Ex
A
+
R1
iR1
kiR1
iR2
R2
iAB  t 
v t 
B
Si noti che, per la presenza del generatore di prova, la tensione Ex è nota e pari alla
grandezza impressa v(t), cioè Ex = v(t). Di conseguenza, la corrente che scorre nel
resistore R1 vale
iR1 (t) = −G1 Ex = −G1 v(t).
Sostituendo tali valori nella precedente equazione, si ottiene
iAB (t) = [(k + 1) G1 + G2 ] v(t).
Da tale equazione, si ricava il valore della conduttanza di Norton:
GN =
iAB (t)
1
= [(k + 1) G1 + G2 ] = Ω−1
v(t)
5
Dunque la resistenza equivalente di Norton è pari a:
RN = G−1
N = 5 Ω.
5.3.2
Metodo congiunto
Metodo congiunto
Nell’applicazione del metodo congiunto, dopo aver separato la porzione Rete 2, si procede al calcolo della corrente di Norton e la conduttanza di Norton
contemporaneamente. Tale metodo deriva direttamente dalla metodologia
utilizzata nella dimostrazione del teorema.
Si comincia collegando alla porta AB un generatore indipendente di tensione di grandezza arbitraria (generatore di prova), con valore impresso
vP (t). A questo punto, applicando un qualsiasi metodo di analisi, si procede al calcolo della corrente di porta iAB (t), che scorre nel generatore di
prova secondo la convenzione. Tale corrente è generata da due gruppi di
eccitazioni distinte: i generatori interni alla Rete 1 e il generatore di prova
vP (t). Il contributo delle eccitazioni interne è la corrente di corto circuito
alla porta AB nel verso da B a A (secondo la convenzione), quando vP (t)
non è presente, cioè è la corrente iN (t) cambiata di segno4 , mentre il contributo del generatore di prova, dopo aver disattivato le eccitazioni interne,
è una corrente proporzionale a tale tensione attraverso il parametro di proporzionalità GN . La corrente di porta iAB (t) è dunque esprimibile come
iAB (t) = −iN (t) + GN vP (t).
(5.6)
La (5.6) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto. Dopo aver inserito alla porta AB un generatore di prova con grandezza impressa vP (t) di
4 In pratica, il segno negativo in questo caso deriva dal calcolare nel cortocircuito la corrente
nel verso che va dal basso verso l’alto, contrariamente a quanto illustrato in Figura 5.8 e a
quanto fatto nel metodo disgiunto in cui si calcolava la corrente di corto circuito nel verso che
va dall’alto verso il basso.
5.3 il teorema di norton
valore arbitrario, si calcola la corrente di porta iAB (t) con un metodo qualsiasi di analisi. La tensione trovata, secondo la (5.6), sarà la somma di due
contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla tensione di
prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente
come conduttanza equivalente di Norton GN , da cui ricavare la resistenza
RN . L’altro termine non dipende dalla tensione di prova: tale termine è
identificato con la corrente di Norton iN (t) cambiata di segno.
Esempio 5.7
Si applichi il teorema di Norton al circuito dell’esempio 5.4. Si ricorda che è R1 =
R3 = 1 Ω, R2 = R4 = 21 Ω, k = 5 Ω−1 e vg (t) = 3 V.
Nel risolvere tale circuito, conviene trasformare il generatore indipendente reale
di tensione in un generatore reale di corrente, come sarà descritto più avanti nel
paragrafo 5.4. Poiché si vuole utilizzare il metodo congiunto, aggiungiamo in serie
alla porta AB un generatore indipendente di tensione, con grandezza impressa arbitraria paria a v(t). Il circuito risultate, illustrato nella seguente figura, sarà risolto
applicando il metodo base nodi.
R3
E1
A
E2
+
G1vg  t 
R1
vR2
+
R2
kvR2
R4
iAB  t 
v t 
B
Indicando con E1 e E2 i potenziali ai due nodi, si ha il seguente sistema risolvente
G1 + G2 + G3
−G3
−G3
E
G1 vg (t)
· 1 =
.
G3 + G4
E2
iAB (t) + kvR2 (t)
Notando che la grandezza di controllo è pari a vR2 (t) ≡ E1 e che il generatore di
prova fissa il potenziale E2 = v(t), riordinando il sistema si ottiene
G1 + G2 + G3
−G3 − k
−G3
E1
G1 vg (t) + G3 v(t)
·
=
,
(G3 + G4 ) v(t)
G3 + G4
iAB (t)
cioè, sostituendo i valori numerici:
4
6
0
E1
v (t) + v(t)
·
= g
.
1
iAB (t)
3v(t)
La grandezza cercata, cioè la corrente che scorre tra i nodi A e B iAB (t), utilizzando
il metodo di Cramer è data da:
4 vg (t) + v(t)
6
3v(t) 3
3
9 3
iAB (t) =
= − vg (t) + v(t) = − + v(t) [A]
4 0
2
2
2 2
6 1
Utilizzando la (5.6), è immediato verificare che
3
9
vg (t) = A,
2
2
3
= Ω.
2
iN (t) =
GN
79
80
i teoremi di thevenin e norton
5.4
Trasformazione dei
generatori reali
trasformazione dei generatori indipendenti
Un caso molto semplice, ma particolarmente utile, dei teoremi di Thevenin
e Norton è la trasformazione di un generatore indipendente reale di un
tipo in un generatore indipendente reale di tipo duale (si veda il paragrafo
1.7). Si vuole, cioè, determinare come è possibile trasformare la serie di un
generatore indipendente di tensione e un resistore in un parallelo di un generatore
indipendente di corrente e un resistore e viceversa. Graficamente, si cerca una
trasformazione che possa far passare dalla parte a) di Figura 5.11 alla parte
b) e viceversa.
A
A
+
R
R
i g (t )
v g (t )
B
B
a)
b)
Fig. 5.11: Le due forme duali dei generatori indipendenti reali.
Nel seguito si analizzerà in dettaglio la trasformazione da generatore di
tensione a generatore di corrente e, viceversa, da generatore di corrente a
generatore di tensione.
Trasformazione da generatore indipendente di tensione a generatore indipendente di corrente
Da generatore reale
di tensione a
generatore reale di
corrente
In questo caso si sta cercando la rappresentazione alla Norton del circuito
di parte a) di Figura 5.11. L’applicazione del teorema di Norton è molto
semplice in questo caso. Infatti, la corrente di corto circuito i(t) coincide
con la corrente ce scorre sul resistore R, essendo l’unica maglia presente
formata solo da vg (t) e R. Il valore di tale corrente, con verso concorde
rispetto la convenzione, è quindi:
i(t) =
vg (t)
≡ Gvg (t).
R
(5.7)
Per il calcolo della resistenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato
il circuito nella parte a) della Figura 5.11, rimane solo la resistenza R che
quindi coincide con la resistenza equivalente cercata.
La trasformazione determinata è illustrata in Figura 5.12.
A
A
+
R
v g (t )
v g (t )
R
B
R
B
Fig. 5.12: Trasformazione di un generatore indipendente reale di tensione in un
generatore indipendente reale di corrente.
5.4 trasformazione dei generatori indipendenti
81
Trasformazione da generatore indipendente di tensione a generatore indipendente di corrente
In questo caso si sta cercando la rappresentazione alla Thevenin del circuito
di parte b) di Figura 5.11. L’applicazione del teorema di Thevenin è molto
semplice in questo caso. Infatti, la tensione di porta v(t) coincide con la tensione sul resistore R, essendo l’unica maglia presente formata solo da ig (t)
e R. Il valore di tale tensione, con verso concorde rispetto la convenzione, è
quindi:
Da generatore reale
di corrente a
generatore reale di
tensione
(5.8)
v(t) = Rig (t).
Per il calcolo della resistenza equivalente di Thevenin, dopo aver disattivato
il circuito nella parte b) della Figura 5.11, rimane solo la resistenza R che
quindi coincide con la resistenza equivalente cercata.
La trasformazione determinata è illustrata in Figura 5.13.
A
A
+
R
i g (t )
R
Rig (t )
B
B
Fig. 5.13: Trasformazione di un generatore indipendente reale di corrente in un
generatore indipendente reale di tensione.
5.4.1
Il teorema di Millman
Ci si focalizza su un’applicazione. Nel circuito di Figura 5.14 si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B. Tale problema può essere facilmente
risolto applicando la trasformazione dei generatori indipendenti descritta
nel paragrafo precedente e la regola del partitore di corrente (si veda il
paragrafo 2.2).
A
R1
R2
+
v g1 (t )
Rj
+
vg 2 (t )
RN
+
+
v gN (t )
v gj (t )
B
Fig. 5.14: Circuito in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B.
I rami di tale circuito, formati dalla serie di un generatore indipendente
di tensione e un resistore, possono essere trasformati nel parallelo di un
generatore indipendente di corrente di grandezza impressa calcolata dalla
(5.7) e un resistore di pari resistenza, come illustrato in Figura 5.15.
Circuito formato da
generatori reali di
tensione
82
i teoremi di thevenin e norton
La tensione cercata è dunque calcolata, ricordando la (2.22), come segue:
PNg
vAB (t) =
i=1 Gi vgi (t)
Geq
(5.9)
,
P
dove Geq = N
k=1 Gk è la conduttanza equivalente della rete risultante e
la sommatoria nella (5.9) è da intendersi in senso algebrico, cioè le corrente vanno sommate con il segno relativo (positivo se concorde, negativo se
discorde).
A
G1v g1 (t )
R1
R2
G2 v g 2 (t )
Rj
G j v gj (t )
GN vgN (t )
RN
B
Fig. 5.15: Circuito trasformato in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e
B.
Teorema di Millman
Il risultato espresso dalla (5.9) è noto come teorema di Millman, in onore
di Jacob Millman, ideatore di tale formula. Esso può essere enunciato nel
modo seguente:
Teorema 4 (di Millman). La tensione ai capi dei bipolo rappresentato in Figura
5.14 è data dal rapporto tra la somma algebrica delle singole tensioni dei ogni ramo
moltiplicate per le relative conduttanze e la somma delle conduttanze di tutti i rami.
Come esempio si ripropone il calcolo della tensione sul parallelo di due
generatori indipendenti reali di tensione, illustrato nell’esempio 1.6.
Esempio 5.8
Si determini la tensione v(t) tra i nodi A e B del parallelo tra i due generatori di
tensione reali mostrati nella seguente figura. Sia vg1 (t) = 4 V, vg2 (t) = 2 V, R1 =
1 Ω e R2 = 3 Ω.
A
+
R1
R2
vAB (t )
+
v g1 (t )
+
v g 2 (t )
B
Applicando il teorema di Millman, espresso dalla (5.9), si ottiene direttamente
vAB (t) =
5.5
1·4+
G1 vg1 (t) + G2 vg2 (t)
=
G1 + G2
1+
1
3
1
3
·2
=
14 3
7
· = = 3.5 V
3 4
2
estensione ai domini trasformati
Tutti i risultati presentati in questo capitolo, vista la natura lineare dei risultati, possono essere semplicemente estesi ai domini trasformati. In particolare, tutti i risultati trovati continuano a valere sostituendo le grandezze
5.5 estensione ai domini trasformati
impresse nel dominio del tempo con le loro trasformate e tutte le resistenza
(conduttanze) con le rispettive impedenze (ammettenze).
Più in dettaglio, tutti gli enunciati dei teoremi esposti precedentemente
possono essere facilmente estesi ai domini trasformati, sostituendo tutte le
tensioni e correnti con le rispettive grandezze trasformate, mentre le resistenze o le conduttanze con le impedenze o ammettenze, rispettivamente.
Nel seguito, verranno quindi rapidamente enunciati tali teoremi separatamente nei domini della trasformata di Laplace e dei fasori. Anche in
tali domini, si focalizza l’attenzione su un circuito elettrico che può essere
schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, qui definite Rete 1 e
Rete 2, che comunicano attraverso la porta AB, come rappresentato in Figura 5.1 in cui le relative grandezze elettriche sono però espresse nei domini
trasformati.
5.5.1
83
Estensione ai omini
trasformati
Il dominio della trasformata di Laplace
Si riportano i risultati fondamentali espressi nel dominio della trasformata
di Laplace. Si enunciano nuovamente i quattro teoremi precedenti in tale
dominio, a partire dal teorema di sostituzione.
Teorema 5 (di Sostituzione). In una rete qualsiasi, una sua porzione accessibile
da una porta può essere sostituita con un generatore indipendente di tensione o di
corrente, avente per grandezza impressa la corrispondente grandezza di porta, come
mostrato in Figura 5.16. La scelta del tipo di generatore è in generale indifferente,
salvo quando tra A e B la restante porzione appare come un generatore. In questo
caso occorre scegliere nella sostituzione il generatore di tipo opposto a quello secondo
cui si comporta la restante porzione.
I s A
Teorema di
sostituzione nel
dominio della
trasformata di
Laplace
A
+
V s
+
Rete 2
I s
V s
-
-
B
B
a)
Rete 2
b)
Fig. 5.16: Possibili sostituzioni della porzione Rete 1 utilizzando il teorema di
sostituzione nel dominio della trasformata di Laplace.
Segue il teorema di Thevenin, di cui omettiamo la dimostrazione. Per gli
interessati tale dimostrazione è del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.2, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate
nel dominio di Laplace e considerare le impedenze al posto delle resistenze.
Teorema 6 (di Thevenin). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, alla serie di un generatore indipendente di tensione VT h (s), avente
grandezza impressa uguale alla tensione che si manifesta a vuoto in corrispondenza
alla porta della rete e con la stessa polarità, e un’impedenza ZT h equivalente alla
rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in
Figura 5.17, mentre il valore dei parametri VT h (s) e ZT h è mostrata in Figura
5.18.
L’impedenza ZT h è detta impedenza equivalente di Thevenin ed ha lo
stesso significato della resistenza equivalente di Thevenin nel dominio trasformato.
Teorema di Thevenin
nel dominio della
trasformata di
Laplace
Impedenza
equivalente di
Thevenin
84
i teoremi di thevenin e norton
I s A
ZTh
+
V s
Rete 1
Rete 2
VTh  s 
A
+
Rete 2
B
B
a)
b)
Fig. 5.17: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Thevenin
nel dominio della trasformata di Laplace.
A
A
+
+
Rete 1
disattivata
VTh  s 
Rete 1
ZTh
-
-
B
B
a)
b)
Fig. 5.18: Valore dei parametri VT h (s) e ZT h utilizzati nell’applicazione del teorema
di Thevenin nel dominio della trasformata di Laplace.
Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Thevenin ZT h è
calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze,
come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a IP (s), come
illustrato in Figura 5.19.
A
Rete 1
disattivata
+
VAB  s 
IP  s
-
B
Fig. 5.19: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di ZT h nel dominio della
trasformata di Laplace.
In tal modo, il valore dell’impedenza di Thevenin cercata è fornita dal
rapporto tra la tensione VAB (s) ai capi di tale generatore e la corrente di
prova:
ZT h =
Metodo congiunto
VAB (s)
.
IP (s)
(5.10)
Ovviamente, anche nel dominio di Laplace è possibile utilizzare il metodo congiunto. Inserendo allora, alla porta AB un generatore di prova di
grandezza arbitraria IP (s), la tensione di porta vAB (t) è esprimibile come
VAB (s) = VT h (s) + ZT h IP (s).
(5.11)
Anche in questo caso, la (5.11) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata, secondo la (5.11), sarà la somma di due contributi.
5.5 estensione ai domini trasformati
85
Un termine sarà un’espressione proporzionale alla corrente di prova: allora
si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come impedenza equivalente di Thevenin ZT h . L’altro termine non dipende dalla
corrente di prova: tale termine è identificato con la tensione di Thevenin
VT h (s).
In modo equivalente è possibile estendere il teorema di Norton al dominio della trasformata di Laplace. Anche qui la dimostrazione è omessa,
anche se del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.3, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate nel dominio di
Laplace e considerare le impedenze (ammettenze) al posto delle resistenze
(conduttanze).
Teorema 7 (di Norton). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, al parallelo di un generatore indipendente di corrente IN (s),
avente grandezza impressa uguale alla corrente che si manifesta in corrispondenza
alla porta della rete cortocircuitata e con la stessa polarità, e un’impedenza ZN equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è
mostrata in Figura 5.20, mentre il valore dei parametri IN (s) e ZN è mostrata in
Figura 5.21.
I s
A
Teorema di Norton
nel dominio della
trasformata di
Laplace
A
+
Rete 1
V s
Rete 2
IN s
Rete 2
ZN
B
B
a)
b)
Fig. 5.20: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Norton nel
dominio della trasformata di Laplace.
A
IN s
Rete 1
A
+
Rete 1
disattivata
ZN
-
B
a)
B
b)
Fig. 5.21: Valore dei parametri IN (s) e ZN utilizzati nell’applicazione del teorema
di Norton nel dominio della trasformata di Laplace.
L’impedenza ZN è detta impedenza equivalente di Norton ed ha lo stesso
significato della resistenza equivalente di Norton nel dominio trasformato.
Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Norton ZN è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze,
come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a VP (s), come
illustrato in Figura 5.22.
Impedenza
equivalente di
Norton
86
i teoremi di thevenin e norton
A
Rete 1
disattivata
I AB  s 
+
VP  s 
B
Fig. 5.22: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di YN nel dominio della
trasformata di Laplace.
In tal modo, il valore dell’ammettenza di Norton cercata YN è fornita dal
rapporto tra la corrente IAB (s) che scorre in tale generatore e la tensione di
prova:
YN =
Metodo congiunto
IAB (s)
.
VP (s)
Se si applica il metodo congiunto, dopo aver inserito alla porta AB il generatore di prova VP (s), la corrente di porta IAB (s) è esprimibile come segue
IAB (s) = −IN (s) + YN VP (s).
Trasformazione di un
generatore reale di
tensione in uno di
corrente
(5.12)
(5.13)
La (5.13) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata,
secondo la (5.13), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla tensione di prova: allora si identificherà il
coefficiente di proporzionalità a tale corrente come ammettenza equivalente
di Norton YN , da cui ricavare l’impedenza ZN . L’altro termine non dipende
dalla tensione di prova: tale termine è identificato con la corrente di Norton
IN (s) cambiata di segno.
E’ ovviamente possibile effettuare anche nel dominio di Laplace le trasformazione tra generatori reali. In questo caso, come messo in evidenza
nel paragrafo 1.7, a resistenza interna del generatore è sostituita con una
impedenza interna.
Si illustra, per primo, la trasformazione di un generatore reale di tensione
in un generatore reale di corrente. Tale trasformazione è illustrata in Figura
5.23. L’applicazione del teorema di Norton è molto semplice in questo caso.
Infatti, la corrente di corto circuito I(s) coincide con la corrente ce scorre
sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Vg (s) e
Z. Il valore di tale corrente, con verso concorde rispetto la convenzione, è
quindi:
Vg (s)
≡ YVg (s).
(5.14)
Z
Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato
il circuito nella parte a) della Figura 5.23, rimane solo l’impedenza Z che
quindi coincide con l’impedenza equivalente cercata.
Si passa quindi ad illustrare la trasformazione di un generatore reale di
corrente in un generatore reale di tensione. Tale trasformazione è illustrata
in Figura 5.24. L’applicazione del teorema di Thevenin è molto semplice
in questo caso. Infatti, la tensione di porta V(s) coincide con la tensione
sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Ig (s) e
Z. Il valore di tale tensione, con verso concorde rispetto la convenzione, è
quindi:
I(s) =
Trasformazione di un
generatore reale di
corrente in uno di
tensione
V(s) = ZIg (s).
(5.15)
5.5 estensione ai domini trasformati
A
A
Vg  s 
Z
+
87
Vg  s 
Z
Z
B
B
Fig. 5.23: Trasformazione di un generatore indipendente reale di tensione in un generatore indipendente reale di corrente nel dominio della trasformata di
Laplace.
Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Thevenin, dopo aver disattivato
il circuito nella parte b) della Figura 5.24, rimane solo l’impedenza Z che
quindi coincide con l’impedenza equivalente cercata.
A
Ig s
A
ZI g  s 
Z
B
+
Z
B
Fig. 5.24: Trasformazione di un generatore indipendente reale di corrente in un generatore indipendente reale di tensione nel dominio della trasformata di
Laplace.
Infine, si determina l’espressione del teorema di Millman nel dominio della
trasformata di Laplace. Con riferimento alla Figura 5.25, si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B in funzione dei valori delle grandezze
impresse dei generatori e delle ammettenze. Ripetendo nel dominio di Laplace, dopo le opportune trasformazioni, i ragionamenti svolti nel paragrafo
5.4.1 si ricava il nuovo enunciato del teorema.
Teorema 8 (di Millman). La tensione ai capi dei bipolo rappresentato in Figura
5.25 è data dal rapporto tra la somma algebrica delle singole tensioni dei ogni ramo
moltiplicate per le relative ammettenze e la somma delle ammettenze di tutti i rami:
Teorema di Millman
nel dominio della
trasformata di
Laplace
PN
VAB (s) =
in cui Yeq =
i=1 Yi Vgi (s)
Yeq
,
(5.16)
PN
k=1 Yk .
Si osservi che la sommatoria al numeratore della (5.16) è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Vgi (s) portano con loro il segno positivo o negativo
a seconda che siano concordi o discordi rispetto alla convenzione.
5.5.2
Il dominio dei fasori
Si riportano i risultati fondamentali espressi nel dominio dei fasori. Si enunciano nuovamente i quattro teoremi precedenti in tale dominio, a partire dal
teorema di sostituzione.
Teorema 9 (di Sostituzione). In una rete qualsiasi, una sua porzione accessibile
da una porta può essere sostituita con un generatore indipendente di tensione o di
corrente, avente per grandezza impressa la corrispondente grandezza di porta, come
Teorema di
sostituzione nel
dominio dei fasori
88
i teoremi di thevenin e norton
A
Vg1  s 
Zj
Z2
Z1
+
+
Vg 2  s 
Vgj  s 
ZN
+
+
VgN  s 
B
Fig. 5.25: Circuito in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B nel
dominio della trasformata di Laplace.
mostrato in Figura 5.26. La scelta del tipo di generatore è in generale indifferente,
salvo quando tra A e B la restante porzione appare come un generatore. In questo
caso occorre scegliere nella sostituzione il generatore di tipo opposto a quello secondo
cui si comporta la restante porzione.
I
A
A
+
V
+
Rete 2
I
Rete 2
V
-
-
B
B
a)
b)
Fig. 5.26: Possibili sostituzioni della porzione Rete 1 utilizzando il teorema di
sostituzione nel dominio dei fasori.
Segue il teorema di Thevenin, di cui omettiamo la dimostrazione. Per gli
interessati tale dimostrazione è del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.2, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate
nel dominio dei fasori e considerare le impedenze al posto delle resistenze.
Teorema di Thevenin
nel dominio dei fasori
Teorema 10 (di Thevenin). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, alla serie di un generatore indipendente di tensione VT h , avente
grandezza impressa uguale alla tensione che si manifesta a vuoto in corrispondenza
alla porta della rete e con la stessa polarità, e un’impedenza ZT h equivalente alla
rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in
Figura 5.27, mentre il valore dei parametri VT h e ZT h è mostrata in Figura 5.28.
I
ZTh
A
+
Rete 1
V
Rete 2
A
+
Rete 2
VTh
B
B
a)
b)
Fig. 5.27: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Thevenin
nel dominio dei fasori.
5.5 estensione ai domini trasformati
A
A
+
Rete 1
89
+
Rete 1
disattivata
VTh
ZTh
-
-
B
B
a)
b)
Fig. 5.28: Valore dei parametri VT h e ZT h utilizzati nell’applicazione del teorema
di Thevenin nel dominio dei fasori.
L’impedenza ZT h è detta impedenza equivalente di Thevenin ed ha lo
stesso significato della resistenza equivalente di Thevenin nel dominio trasformato.
Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Thevenin ZT h è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze, come
illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano
presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un
generatore di prova con grandezza impressa pari a IP (s), come illustrato in
Figura 5.29.
Impedenza
equivalente di
Thevenin
A
Rete 1
disattivata
+
VAB
IP
-
B
Fig. 5.29: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di ZT h nel dominio dei
fasori.
Ovviamente, anche nel dominio dei fasori è possibile utilizzare il metodo congiunto. Inserendo allora, alla porta AB un generatore di prova di
grandezza arbitraria IP , la tensione di porta VAB è esprimibile come
VAB = VT h + ZT h IP .
Metodo congiunto
(5.17)
Anche in questo caso, la (5.17) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata, secondo la (5.17), sarà la somma di due contributi.
Un termine sarà un’espressione proporzionale alla corrente di prova: allora
si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come impedenza equivalente di Thevenin ZT h . L’altro termine non dipende dalla
corrente di prova: tale termine è identificato con la tensione di Thevenin
VT h .
In modo equivalente è possibile estendere il teorema di Norton al dominio
dei fasori. Anche qui la dimostrazione è omessa, anche se del tutto analoga
a quella riportata nel paragrafo 5.3, ad eccezione di far riferimento a tutte
le grandezze trasformate nel dominio dei fasori e considerare le impedenze
(ammettenze) al posto delle resistenze (conduttanze).
Teorema 11 (di Norton). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, al parallelo di un generatore indipendente di corrente IN , avente
Teorema di Norton
nel dominio dei fasori
90
i teoremi di thevenin e norton
grandezza impressa uguale alla corrente che si manifesta in corrispondenza alla porta della rete cortocircuitata e con la stessa polarità, e un’impedenza ZN equivalente
alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata
in Figura 5.30, mentre il valore dei parametri IN e ZN è mostrata in Figura 5.31.
I
A
A
+
Rete 1
Rete 2
V
IN
Rete 2
ZN
B
B
a)
b)
Fig. 5.30: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Norton nel
dominio dei fasori.
A
Rete 1
A
+
Rete 1
disattivata
IN
ZN
-
B
B
a)
b)
Fig. 5.31: Valore dei parametri IN e ZN utilizzati nell’applicazione del teorema di
Norton nel dominio dei fasori.
Impedenza
equivalente di
Norton
L’impedenza ZN è detta impedenza equivalente di Norton ed ha lo stesso
significato della resistenza equivalente di Norton nel dominio trasformato.
Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Norton ZN è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze,
come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a VP , come
illustrato in Figura 5.32.
A
Rete 1
disattivata
I AB
+
VP
B
Fig. 5.32: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di ZN nel dominio dei fasori.
In tal modo, il valore dell’ammettenza di Norton cercata YN è fornita dal
rapporto tra la corrente IAB che scorre in tale generatore e la tensione di
prova:
YN =
Metodo congiunto
IAB
.
VP
(5.18)
Se si applica il metodo congiunto, dopo aver inserito alla porta AB il ge-
5.5 estensione ai domini trasformati
91
neratore di prova VP , la corrente di porta IAB è esprimibile come segue
IAB = −IN + YN VP .
(5.19)
La (5.19) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata,
secondo la (5.19), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla tensione di prova: allora si identificherà il
coefficiente di proporzionalità a tale corrente come ammettenza equivalente
di Norton YN , da cui ricavare l’impedenza ZN . L’altro termine non dipende
dalla tensione di prova: tale termine è identificato con la corrente di Norton
IN cambiata di segno.
E’ ovviamente possibile effettuare anche nel dominio dei fasori le trasformazione tra generatori reali. In questo caso, come messo in evidenza
nel paragrafo 1.7, a resistenza interna del generatore è sostituita con una
impedenza interna.
Si illustra, per primo, la trasformazione di un generatore reale di tensione
in un generatore reale di corrente. Tale trasformazione è illustrata in Figura
5.33. L’applicazione del teorema di Norton è molto semplice in questo caso.
Infatti, la corrente di corto circuito I coincide con la corrente ce scorre sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Vg e Z. Il
valore di tale corrente, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi:
I=
Vg
≡ YVg .
Z
Trasformazione di un
generatore reale di
tensione in uno di
corrente
(5.20)
Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato
il circuito nella parte a) della Figura 5.33, rimane solo l’impedenza Z che
quindi coincide con la resistenza equivalente cercata.
A
A
+
Z
Vg
Vg
Z
B
Z
B
Fig. 5.33: Trasformazione di un generatore indipendente reale di tensione in un
generatore indipendente reale di corrente nel dominio dei fasori.
Si passa quindi ad illustrare la trasformazione di un generatore reale di corrente in un generatore reale di tensione. Tale trasformazione è illustrata in
Figura 5.34. L’applicazione del teorema di Thevenin è molto semplice in
questo caso. Infatti, la tensione di porta V coincide con la tensione sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Ig (s) e Z. Il
valore di tale tensione, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi:
V = ZIg .
(5.21)
Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Thevenin, dopo aver disattivato
il circuito nella parte b) della Figura 5.34, rimane solo l’impedenza Z che
quindi coincide con la resistenza equivalente cercata.
Infine, si determina l’espressione del teorema di Millman nel dominio dei
fasori. Con riferimento alla Figura 5.35, si vuole determinare la tensione tra
Trasformazione di un
generatore reale di
corrente in uno di
tensione
92
i teoremi di thevenin e norton
A
A
+
Z
Ig
Z
ZI g
B
B
Fig. 5.34: Trasformazione di un generatore indipendente reale di corrente in un
generatore indipendente reale di tensione nel dominio dei fasori.
Teorema di Millman
nel dominio dei fasori
i nodi A e B in funzione dei valori delle grandezze impresse dei generatori
e delle ammettenze. Ripetendo nel dominio dei fasori, dopo le opportune
trasformazioni, i ragionamenti svolti nel paragrafo 5.4.1 si ricava il nuovo
enunciato del teorema.
Teorema 12 (di Millman). La tensione ai capi dei bipolo rappresentato in Figura
5.35 è data dal rapporto tra la somma algebrica delle singole tensioni dei ogni ramo
moltiplicate per le relative ammettenze e la somma delle ammettenze di tutti i rami:
PN
i=1 Yi Vgi
VAB =
in cui Yeq =
Yeq
(5.22)
,
PN
k=1 Yk .
A
Z1
Z2
+
Vg1
Zj
+
Vg 2
ZN
+
+
VgN
Vgj
B
Fig. 5.35: Circuito in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B nel
dominio dei fasori.
Si osservi che la sommatoria al numeratore della (5.22) è da intendersi in
senso algebrico, ovvero le Vgi portano con loro il segno positivo o negativo
a seconda che siano concordi o discordi rispetto alla convenzione.
6
TRASFERIMENTO DI POTENZA
AT T I VA
I
l seguente capitolo è dedicato al teorema del massimo trasferimento di
potenza attiva nei bipoli. Tale teorema illustra un caso di notevole interesse pratico: spesso infatti è essenziale trasferire tutta la potenza attiva possibile da un generatore al carico. Questo problema è complementare al problema di massimizzare il rendimento energetico del trasporto dell’energia
elettrica.
6.1
formulazione del problema
Si consideri il circuito rappresentato in Figura 6.1, nel quale un generatore
di tensione reale, cioè la serie di un generatore indipendente di tensione
Vg e la sua impedenza interna Zg è collegato a un’impedenza utilizzatrice
Zu , rappresentante una particolare utenza. La descrizione è effettuata nel
dominio dei fasori. Sia ω0 la pulsazione di lavoro e si ponga Zg = Rg + jXg
e Zu = Ru + jXu .
I
Zg
+
+
Vg
Generatore di
tensione reale
I
Vu
Zu
Fig. 6.1: Circuito considerato per il massimo trasferimento di potenza attiva.
Il problema consiste nel determinare le condizioni di Zu affinché sia massima potenza attiva dissipata su di essa nella configurazione di Figura 6.1. A
tal proposito si calcoli il valore di tale potenza attiva esplicitamente:
Pa =
Massima potenza
attiva dissipata sul
carico
1
1
1
Ru
Re {Vu I∗ } = Ru |I|2 = |Vg |2
, (6.1)
2
2
2
(Rg + Ru )2 + (Xg + Xu )2
in cui si è utilizzata la legge di Ohm: I = Vg /Z.
Il problema, allora, è trasformato nel nuovo obbiettivo di trovare i valori
di Ru e Xu affinché la potenza in (6.1) sia massima. Si può notare facilmente che la (6.1) è massima quando l’ultimo termine (la frazione) risulta
massimizzata. Tale affermazione è equivalente a minimizzare la seguente
funzione
F=
(Rg + Ru )2 + (Xg + Xu )2
,
Ru
(6.2)
93
94
trasferimento di potenza attiva
pari all’inverso della frazione in (6.1). Infatti, la minimizzazione della (6.2) è
un problema più semplice della massimizzazione della frazione nella (6.1).
Per determinare il minimo della funzione F si calcolano le derivate parziali
della (6.2) e le si pongono a zero. Si ottiene:
Condizioni di
massimo
trasferimento di
potenza attiva
R2g + (Xg + Xu )2
∂F =
1
−
= 0,
∂Ru Xu =const
R2u
(6.3)
2
∂F (Xg + Xu ) = 0.
=
∂Xu Ru =const Ru
(6.4)
Se si assume che la resistenza del carico sia non nulla (Ru 6= 0), risolvendo
la (6.4) si ottiene il valore cercato per Xu che può essere poi sostituito nella
(6.3) restituendo il valore cercato per Ru , ovvero
Ru = Rg ,
Xu = −Xg .
(6.5)
La (6.5) afferma che l’impedenza del carico utilizzatore che assorbe dal generatore la massima potenza attiva ha stessa parte reale di Zg e parte immaginaria cambiata di segno, cioè è la sua complessa coniugata. In formule:
Zu = Z∗g .
Teorema del massimo
trasferimento di
potenza attiva
(6.6)
La (6.6) costituisce il teorema del massimo trasferimento di potenza attiva,
che può essere così enunciato:
Teorema 13. Un bipolo alimentato da un generatore di tensione di impedenza
interna Zg assorbe da questo la massima potenza attiva quando la sua impedenza
assume il valore di Z∗g .
E’ importante osservare che il teorema vale nell’ipotesi che le parti reali
dell’impedenza del bipolo e del generatore siano positive.
Si veda ora quale è il valore di questa massima potenza attiva. Si sostituiscano, quindi, le condizioni in (6.5) nella (6.1), ottenendo:
Pa,max =
Potenza disponibile
del generatore
|Vg |2
Rg
1
|Vg |2
=
.
2
8Rg
(Rg + Rg )2 + (Xg − Xg )2
(6.7)
Si noti che il valore di tale potenza dipende unicamente da grandezze del
generatore, e quindi rappresenta una sua quantità caratteristica. Definiremo
quindi il valore di questa massima potenza attiva come potenza disponibile
del generatore e sarà indicata con Pd :
Pd =
|Vg |2
.
8Rg
(6.8)
Esempio 6.1
Per il seguente circuito, supposto in regime permanente sinusoidale, determinare il
valore dell’impedenza Z affinché si abbia il massimo trasferimento di potenza attiva.
Si ha R = 1 Ω, L = 3 H, C = 12 F, k = 1 e ig (t) = 4 cos (2t) A.
L’esercizio assegnato è un classico esempio di applicazione del teorema del massimo trasferimento di potenza attiva. Per l’applicazione del teorema, è però necessario
trasformare il circuito assegnato nella forma illustrata in Figura 6.1. Questa trasformazione può essere effettuata semplicemente applicando il teorema di Thevenin al
6.1 formulazione del problema
kiL  t 
R
ig  t 
iL  t 
L
Z
R
C
circuito assegnato dopo aver staccato l’impedenza Z. Si osservi che l’esercizio richiede solamente il valore di tale impedenza e non il valore della potenza disponibile:
è quindi sufficiente, ricordando la (6.6), determinare la sola impedenza di Thevenin, evitando il calcolo della tensione di Thevenin, il cui valore numerico non sarà
utilizzato. Si procede, quindi, a disattivare il generatore indipendente di corrente
e a trasformare il circuito rimasto nel dominio dei fasori. Si ha ω0 = 2 e quindi
l’induttore e il condensatore assumono impedenze paria a j6 e −j, rispettivamente.
Poiché nel circuito disattivato è presente un generatore di corrente controllato in
corrente, per il calcolo della impedenza di Thevenin, si utilizzerà un generatore di
prova di grandezza impressa arbitraria pari a I. Il circuito d risolvere è illustrato
nella seguente figura. Si utilizzerà il metodo dei nodi per il calcolo della tensione V
del generatore di prova.
IL
E2
E1
+
j6
j
IL
1
V
I
-
Il sistema risolvente su base nodi è il seguente
"
1
j6
0
# 0
E
−IL
· 1 =
,
E2
aI + IL
1+j
a cui si aggiunge il vincolo aggiuntivo
IL =
E1
.
j6
Sostituendo tale variabile nel sistema precedente e riordinando, si ottiene infine
"
2
j6
1
− j6
# 0
E
0
· 1 =
.
E2
I
1+j
Risolvendo rispetto a E2 = V, si ottiene
2
j6
1
− j6
V = E2 = 2
j6
1
− j6
0
I
1
= (1 − j) I.
2
0 1 + j
Di conseguenza l’impedenza di Thevenin, in base alla (5.2), assume la forma
ZT h =
V
1
= (1 − j) .
I
2
95
96
trasferimento di potenza attiva
Applicando il teorema del massimo trasferimento di potenza attiva, espresso dalla
(6.6), si ha direttamente
Z = Z∗T h =
1
(1 + j) .
2
1
2
Z
1
4
Tale impedenza è di tipo induttivo e rappresenta la serie di un resistore di resistenza
1
1
2 Ω e un induttore con reattanza XL = ω0 L = 2 Ω, ovvero di un induttore di
1
induttanza pari a L = 4 H, come rappresentato nella precedente figura.
6.2
Carico resistivo
caso di carico resistivo
Si consideri ora il caso particolare in cui l’impedenza del carico utilizzatore
Zu sia puramente resistiva, cioè è presente la sola parte reale Ru . Tale
situazione è illustrata in Figura 6.2
I
Zg
+
+
Vg
I
Vu
Ru
Fig. 6.2: Circuito considerato per il massimo trasferimento di potenza attiva con
carico resistivo.
In questo caso specifico, il teorema precedente non può essere più applicato direttamente. Per risolvere questo caso, si procede come nel paragrafo
precedente ponendo Xu = 0. Ne segue che la funzione F definita dalla (6.2)
assume il nuovo valore
F=
(Rg + Ru )2 + X2g
.
Ru
(6.9)
Per minimizzare tale funzione si impone pari a zero la sua derivata rispetto
a Ru :
R2g + X2g
∂F
= 1−
= 0.
∂Ru
R2u
Massimo
trasferimento di
potenza attiva per
carico resistivo
Dalla (6.10) si ricava facilmente che
q
Ru = R2g + X2g = |Zg | .
(6.10)
(6.11)
Dunque, nel caso di carico puramente resistivo, la condizione per il massimo
trasferimento di potenza attiva diviene Ru = |Zg |.
6.3 rendimento del trasferimento
6.3
97
rendimento del trasferimento
Si è ora interessati a valutare quanta della potenza attiva erogata dal generatore sia effettivamente assorbita dal carico utilizzatore. A tal fine si introduce la nozione di rendimento del trasferimento η, definito come il rapporto
tra la potenza attiva Pa ricevuta dal bipolo utilizzatore e la potenza attiva
(g)
Pa erogata dal generatore:
η=
Pa
(g)
.
Rendimento del
trasferimento
(6.12)
Pa
Per il calcolo esplicito del rendimento di trasferimento nel caso in esame
rappresentato in Figura 6.1 è necessario il calcolo delle due quantità Pa
(g)
e Pa . La potenza attiva Pa assorbita dal bipolo utilizzatore è stata già
(g)
calcolata nella (6.1). Resta da calcolare la potenza attiva Pa erogata dal
generatore:
1
1
1
(g)
2
∗
Pa = Re {Vg I } = |Vg | Re
2
2
Z∗
1
1
2
= |Vg | Re
(6.13)
(Rg + Ru ) − j (Xg + Xu )
2
Rg + Ru
1
= |Vg |2
.
2
(Rg + Ru )2 + (Xg + Xu )2
Sostituendo quindi la (6.1) e (6.13) nella (6.12) si ottiene:
η=
Pa
(g)
Pa
=
Ru
.
Rg + Ru
Rendimento di
trasferimento
(6.14)
Si noti che in condizione di massimo trasferimento di potenza attiva è
Ru = Rg e quindi il rendimento del trasferimento è η = 0.5. Si ha cioè,
un rendimento del solo 50%. Se infatti si è interessati ad avere un elevato rendimento del trasferimento, vicino all’unità, è necessario imporre
Ru >> Rg . Evidentemente, in questo caso la potenza attiva assorbita del
bipolo di impedenza Zu è ben minore della massima possibile.
Dunque massimo trasferimento di potenza attiva e elevato rendimento di
trasferimento, sono due condizioni che non possono essere soddisfatte contemporaneamente. La soluzione da adottare dipende da quale è il problema
pratico da risolvere.
7
L’A M P L I F I C A T O R E
OPERAZIONALE
L
o scopo del seguente capitolo è di introdurre un nuovo componente
circuitale, chiamato amplificatore operazionale. Il significato di questo
nome sarà chiarito nel seguito. Anche se l’amplificatore operazionale è un
componente che viene venduto (per esempio il µA 741), il comportamento
che descriveremo in questa sede è abbastanza ideale, tanto da giustificare il
nome di amplificatore operazionale ideale.
7.1
il componente
Il simbolo dell’amplificatore operazionale ideale è quello riportato in Figura
7.1. Il componente ha due morsetti di ingresso, denominati come morsetto o
ingresso invertente (quello indicato con il segno -) e il morsetto o ingresso non
invertente (quello indicato con il segno +), un morsetto di riferimento e uno
di uscita. La tensione di uscita si intende calcolata rispetto al potenziale del
morsetto di riferimento.
v
v


i
Ingresso invertente e
non invertente
vout
i
+
Fig. 7.1: Simbolo dell’amplificatore operazionale ideale.
L’amplificatore operazionale è anche caratterizzato da un parametro A denominato amplificazione, che nel componente ideale tende a infinito (A →
∞).
L’amplificatore operazionale fornisce in uscita una tensione che è pari ad
A volte la differenza delle tensioni di ingresso, ovvero:
vout = A(v+ − v− ).
Amplificazione
Tensione d’uscita
(7.1)
Dalla (7.1) ricavo per il componente ideale che:
v+ − v− =
vout
→ 0,
A
(7.2)
il che implica che la tensione dell’ingresso non invertente è uguale alla
tensione del morsetto invertente:
∼ v+ .
v− =
Questo concetto si esprime dicendo che tra i due ingressi (invertente e non
invertente) è presente un corto circuito virtuale. Ovvero i due ingressi anche
Corto circuito
virtuale
99
100
Corrente di ingresso
l’amplificatore operazionale
se non sono fisicamente connessi, lo risultano virtualmente.
Inoltre l’amplificatore operazionale ha una resistenza di ingresso molto
elevata (nel caso ideale è Rin → ∞), e quindi si può trascurare la corrente
entrante nei due terminali di ingresso:
i+ = i− = 0.
7.2
le configurazioni
Questo componente non viene utilizzato così come è, poichè l’elevata amplificazione lo rende un componente instabile, ma lo si trova sempre in due
configurazioni particolari, che prendono il nome di configurazione invertente e non invertente, rispettivamente.
7.2.1
Configurazione
invertente
La configurazione invertente
Lo schema di questa configurazione è riportato in Figura 7.2. La tensione
vg (t) del generatore è posta in ingresso all’operazionale attraverso il resistore R1 . Il resistore R2 controreaziona l’uscita, cioè riporta la tensione vout (t)
in ingresso all’operazionale.
R2
R1
vg  t 
+
+
+
-
vout  t 
Fig. 7.2: Amplificatore operazionale nella configurazione invertente.
Massa virtuale
Tensione in uscita
Vogliamo ora esprimere la tensione di uscita vout (t) in funzione della tensione vg (t) del generatore. A questo scopo e con riferimento alla Figura 7.3,
si può notare che il morsetto invertente è connesso a massa. Allora grazie al
corto circuito virtuale tra i morsetti invertente e non invertente, anche il morsetto invertente risulta virtualmente connesso a massa, e quindi a potenziale
nullo (concetto della massa virtuale).
La corrente che scorre quindi sul resistore R1 è semplicemente iR1 (t) =
vg (t)/R1 . Questa corrente, non potendo entrare nel morsetto invertente
dell’amplificatore, scorrerà su R2 , provocando su di essa una differenza di
2
potenziale pari a vR2 (t) = R
R1 vg (t), con il segno positivo a sinistra. A questo
punto si può notare che la tensione di uscita (cioè tra il morsetto di uscita
e messa) può essere calcolata come caduta di tensione sul resistore R2 (tra
il morsetto di uscita e la massa virtuale), ma con il segno positivo a destra:
vout (t) = vR2 (t). Quindi vale la seguente relazione:
vout (t) = −
R2
vg (t).
R1
(7.3)
7.2 le configurazioni
101
+ R2
vg R1
R1
vg  t 
vg R1
+
+
vout  t 
-
+
Fig. 7.3: Analisi dell’amplificatore operazionale in configurazione invertente.
Ogni qual volta ci troviamo in presenza della configurazione di Figura
7.2, possiamo sostituire al circuito un generatore di tensione di grandezza
impressa pari alla (7.3).
Una relazione analoga vale se si sostituiscono i due resistori R1 e R2 con
due impedenze Z1 e Z2 generiche. Il circuito risultante è rappresentato
in Figura 7.4. Per quanto riguarda l’analisi di questo circuito, valgono le
stesse considerazioni del caso resistivo se svolgiamo l’analisi nel dominio di
Laplace, e quindi la relazione finale è la seguente:
Vout (s) = −
Z2
Vg (s).
Z1
Tensione in uscita nel
dominio di Laplace
(7.4)
Z2
Z1
-
Vg
+
+
+
Vout
Fig. 7.4: Generica configurazione invertente dell’amplificatore operazionele.
Analogamente, nel caso in cui si lavori in regime permanente sinusoidale, è
possibile ottenere una formula analoga alla (7.4) sostituendo le tensione con
i relativi fasori, cioè
Vout = −
7.2.2
Z2
Vg .
Z1
Tensione in uscita
nel dominio dei fasori
(7.5)
La configurazione non invertente
Lo schema di questa configurazione è riportato in Figura 7.5. La tensione
vg (t) del generatore è posta direttamente all’ingresso non invertente dell’operazionale. Il morsetto non invertente invece è conesso a massa tramite
il resistore R1 e all’uscita tramite il resistore R2 , che quindi controreaziona
l’uscita. Anche in questo caso siamo interessati ad esprimere il legame tra
la vout (t) e la vg (t).
Configurazione non
invertente
102
l’amplificatore operazionale
R2
R1
-
+
vout  t 
+
vg  t 
+
-
Fig. 7.5: Amplificatore operazionale nella configurazione non invertente.
A questo scopo e con riferimento alla Figura 7.6, si può notare che, grazie
al corto circuito virtuale tra i morsetti invertente e non invertente, anche il
morsetto invertente risulta virtualmente connesso al generatore, e quindi si
trova a tensione vg (t). A questo punto sul resistore R1 scorre una corrente
verso massa pari a vg (t)/R1 . Questa corrente, poiché non può venire dall’amplificatore operazionale, viene da R2 , e quindi provoca una caduta di
2
tensione su di essa pari a R
R1 vg (t).
R2
+
Vg R1
R1
+ vg  t 
-
Vg R1
+
vg  t 
+
+
vout  t 
-
Fig. 7.6: Analisi dell’amplificatore operazionale in configurazione non invertente.
La tensione di uscita (tra massa ed il terminale di uscita) può anche essere
calcolata come tensione del generatore (tra massa e il piedino non invertente
o invertente, per via del corto circuito virtuale) più la caduta di tensione sul
resistore R2 :
R
R
vout (t) = vg (t) + 2 vg (t) = 1 + 2 vg (t),
R1
R1
Tensione di uscita
e quindi il circuito costituito dall’amplificatore operazionale in configurazione non invertente può essere sostituito con un generatore di tensione dal
valore impresso di
R2
vout (t) = 1 +
vg (t).
(7.6)
R1
7.2 le configurazioni
Anche in questo caso, una relazione analoga vale se si sostituiscono i due resistori R1 e R2 con due impedenze Z1 e Z2 generiche. Il circuito risultante è
rappresentato in Figura 7.7. Per quanto riguarda l’analisi di questo circuito,
valgono le stesse considerazioni del caso resistivo se svolgiamo l’analisi nel
dominio di Laplace, e quindi la relazione finale è la seguente:
Z2
Vout (s) = 1 +
Vg (s).
(7.7)
Z1
103
Tensione di uscita nel
dominio di Laplace
Z2
Z1
+
+
Vg
Vout
+
Fig. 7.7: Generica configurazione invertente dell’amplificatore operazionale.
Immediata è l’estensione al dominio dei fasori:
Z2
Vout = 1 +
Vg .
Z1
Tensione di uscita nel
dominio dei fasori
(7.8)
Nella applicazioni, il generatore è attaccato direttamente al piedino non
invertente molto raramente. Più spesso è presente una rete di impedenze,
come è visibile dalla Figura 7.8. Poiché nel piedino non invertente non
scorre corrente, la corrente del generatore scorrerà unicamente nella maglia
formata dal generatore stesso, da Z3 e Z4 , formando un partitore di tensione.
La tensione al piedino non invertente è quindi semplicemente la caduta di
Z2
Z1
vv+
+
+
Vout
Z3
Vg
+
Z4
Fig. 7.8: Amplificatore operazionale nella configurazione non invertente con una
rete di impedenze.
tensione sull’impedenza Z4 :
V + (s) = VZ4 (s) =
Z4
Vg (s),
Z3 + Z4
104
l’amplificatore operazionale
e quindi la formula (7.7) si modifica di conseguenza nella successiva:
Z4
Z
Vout (s) =
1 + 2 Vg (s),
(7.9)
Z3 + Z4
Z1
mentre la (7.8) assume la seguente espressione:
Z2
Z4
1+
Vg ,
Vout =
Z3 + Z4
Z1
7.3
(7.10)
configurazioni particolari
In base alla natura delle due impedenze Z1 e Z2 , cioè se sono resistori, induttori o condensatori, posso realizzare dei dispositivi in grado di compiere
delle operazioni matematiche sul segnale di ingresso. Questa capacità dà il
nome “operazionale” al dispositivo.
7.3.1
Integratore
Consideriamo un amplificatore operazionale nella configurazione invertente
in cui l’impedenza Z1 sia un resistore di resistenza R e l’impedenza Z2 sia
un condensatore di capacità C (e quindi impedenza 1/sC), come descritto
in Figura 7.9
C
R
vg  t 
+
+
+
vout  t 
-
Fig. 7.9: Amplificatore operazionale come integratore.
Utilizzando l’espressione (7.4), si ottiene l’espressione della tensione di uscita, che è pari a:
Vout (s) = −
1
Vg (s).
sRC
(7.11)
Dalla (7.11) e dalle proprietà della trasformata di Laplace, si deduce che
la tensione di uscita, a parte la scalatura di un fattore pari a RC ed uno
sfasamento di 180◦ (il segno −) è l’integrale dell’ingresso:
Z
1 ∞
vout (t) = −
vg (t).
(7.12)
RC 0
Integratore di Miller
Questo circuito quindi è in grado di fare l’integrale dell’ingresso e prende il
nome di integratore di Miller o semplicemente integratore.
7.3.2
Derivatore
Consideriamo un amplificatore operazionale nella configurazione invertente
in cui l’impedenza Z1 sia un condensatore di capacità C (e quindi impeden-
7.3 configurazioni particolari
105
za 1/sC) e l’impedenza Z2 sia un resistore di resistenza R , come descritto
in Figura 7.10
R
C
vg  t 
+
+
vout  t 
-
+
Fig. 7.10: Amplificatore operazionale come derivatore.
Utilizzando l’espressione (7.4), si ottiene l’espressione della tensione di uscita, che è pari a:
(7.13)
Vout (s) = −sRCVg (s).
Dalla (7.13) e dalle proprietà della trasformata di Laplace, si deduce che
la tensione di uscita, a parte la scalatura di un fattore pari a RC ed uno
sfasamento di 180◦ (il segno −) è la derivata dell’ingresso:
vout (t) = −RC
dvg (t)
.
dt
(7.14)
Questo circuito quindi è in grado di fare la derivata dell’ingresso e prende
il nome di derivatore.
7.3.3
Derivatore
Il sommatore pesato
Una configurazione interessante consiste nel collegare al piedino invertente
N generatori di tensione tramite N resistori, come in Figura 7.11. AppliZ1
Vg1 +
ZF
Z2
Vg2 +
Z3
Vg3 +
+
ZN
VgN +
+
Vout
-
Fig. 7.11: Amplificatore operazionale come sommatore pesato.
cando il principio di sovrapposizione degli effetti posso ricavare facilmente
l’espressione della tensione di uscita:
Vout (s) = −
Zf
Z
Z
Z
Vg1 (s) + f Vg2 (s) + f Vg3 (s) + · · · + f VgN (s) .
Z1
Z2
Z3
ZN
(7.15)
E’ evidente che questa configurazione è in grado di realizzare una som-
Sommatore pesato
106
l’amplificatore operazionale
ma pesata degli ingressi. A tale configurazione si da quindi il nome di
sommatore pesato.
Un ragionamento analogo può essere fatto nel caso di più ingressi presenti nella configurazione non invertente. Una generalizzazione successiva può
tenere in conto che gli ingressi possono essere presente contemporaneamente sul piedino invertente che su quello non invertente.
7.3.4
Inseguitore di
tensione
L’inseguitore di tensione
Caso molto importante nella pratica è costituito dalla configurazione non
invertente in cui scelgo R1 = ∞ e R2 = 0, cioè il circuito rappresentato in Figura 7.12. Questa particolare configurazione prende il nome di inseguitore
di tensione o buffer. Applicando la (7.6), ottengo che
(7.16)
vout (t) = vg (t),
ovvero in tale circuito la tensione di uscita è identica (“insegue”) alla tensione
di ingresso.
+
+
vg  t 
+
vout  t 
-
Fig. 7.12: Amplificatore operazionale nella configurazione di inseguitore di
tensione.
L’utilità di questo circuito risiede nell’elevata impedenza di ingresso di
questo circuito, che quindi consente di disaccoppiare sorgenti di elevata
impedenza da carichi di bassa impedenza.
7.3.5
Filtro
L’amplificatore operazionale, nella configurazione invertente o non invertente, realizza la funzione di rete:
F(s) =
Filtro
(7.17)
che dipende in generale, quando Z1 e Z2 sono elementi dinamici, dalla frequenza. In questo senso il circuito realizza una trasformazione del segnale
in ingresso in uno di uscita alterando il contenuto frequenziale, e quindi
realizza un filtro.
Se ad esempio considero il circuito di Figura 7.13 con R = 1 Ω e C = 1 F,
ottengo per la (7.17) la seguente funzione di trasferimento
F(s) =
Diagramma di Bode
Vout (s)
,
Vg (s)
1
,
s+1
che realizza un filtro passa basso con frequenza di taglio pari a ωτ = 1 rad/s.
La Figura 7.14 riporta i diagrammi di Bode del filtro considerato. Questa
7.4 l’amplificatore operazionale e il nullore
107
C
R
C
vg  t 
+
+
vout  t 
-
+
Fig. 7.13: Amplificatore operazionale come filtro
figura mostra il modulo (prima riga) e la fase (seconda riga) della funzione di
trasferimento F(s).
Bode Diagram
0
−5
Magnitude (dB)
−10
−15
−20
−25
−30
−35
−40
Phase (deg)
0
−45
−90
−2
−1
10
10
0
10
Frequency (rad/sec)
1
10
2
10
Fig. 7.14: Diagramma di Bode del filtro considerato
7.4
l’amplificatore operazionale e il nullore
L’amplificatore operazionale ha un comportamento molto simile al componente 2-porte ideale denominato nullore. Infatti, in relazione alla Figura
7.15 è facile notare che la coppia dei piedini invertente e non invertente si
comporta come il nullatore, cioè differenza di potenziale nulla tra morsetti
e corrente nulla di ingresso, mentre nulla possiamo dire sulla tensione o
corrente al piedino di uscita, così come nulla possiamo dire alla coppia di
morsetti del noratore.
Lo scopo per cui è stato introdotto il nullore è proprio quello di modellare componenti con un comportamento quasi ideale, come è il caso
dell’amplificatore operazionale o il transistore.
In questo senso la configurazione dell’amplificatore operazionale invertente rappresentata in Figura 7.2 è equivalente al circuito in Figura 7.16, precedentemente esaminata nel paragrafo 2.3.2. L’analisi viene eseguita con
procedura identica al caso dell’amplificatore operazionale. Anche in questo
caso trovo la nota relazione tra tensione di ingresso e tensione di uscita:
vout (t) = −
R2
vg (t).
R1
(7.18)
Nullore e
amplificatore
operazionale
108
l’amplificatore operazionale
v

v
i
i0
-
i
+
i
vout

0
v0
-
-
+
+
v
Fig. 7.15: Amplificatore operazionale e nullore.
Come si deduce chiaramente la (7.18) coincide con la (7.3).
R2
R1
0
vg  t 
+

+
vout  t 
-
Fig. 7.16: La configurazione invertente con il nullore.
Una dimostrazione analoga può essere fatta sostituendo ai due resistori R1
e R2 due impedenze Z1 e Z2 generiche, ottenendo, nel dominio di Laplace,
la solita espressione, ormai nota
Vout (s) = −
Z2
Vg (s),
Z1
(7.19)
e la relativa espressione nel dominio dei fasori
Vout = −
7.5
Z2
Vg .
Z1
(7.20)
il funzionamento interno
Per completezza mostriamo in Figura 7.17 lo schema interno dell’amplificatore operazionale µA 741, prodotto dalla Philips.
7.5 il funzionamento interno
Fig. 7.17: Circuito interno dell’amplificatore operazionale µA741
109
BIBLIOGRAFIA
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C. K. Alexander e M. N. O. Sadiku. Crcuiti Elettrici. 4a ed. McGraw-Hill,
2014.
[2]
M. Guarnieri e A. Stella. Principi ed Applicazioni di Elettrotecnica. Vol. 1
e 2. Padova: Edizioni Progetto Padova, 2003.
[3]
F. Martinelli e M. Salerno. Fondamenti di Elettrotecnica. 2a ed. Vol. 1 e 2.
Roma: Edizioni Siderea, 1995.
[4]
M. Panella e A. Rizzi. Esercizi di Elettrotecnica. 2a ed. Società Editrice
Esculapio, 2014.
[5]
R. Perfetti. Circuiti Elettrici. 2a ed. Zanichelli, 2013.
[6]
G. Rizzoni. Elettrotecnica – Pincipi e applicazioni. 3a ed. McGraw-Hill,
2013.
111
A
LA RISOLUZIONE DEI SISTEMI
LINEARI
L
a seguente appendice è dedicata alla risoluzione dei sistemi lineari. Poiché in elettrotecnica, solitamente, si è interessati a determinare una sola
grandezza elettrica è utile descrivere un metodo di risoluzione dei sistemi
lineari che permetta di determinare una sola incognita, senza dover risolve
l’intero sistema. Tale metodo è noto come metodo di Cramer e si basa sul
calcolo del determinante di alcune matrici notevoli.
a.1
la definizione di determinante
Si cominci a considerare il caso di una matrice A di dimensioni 2 × 2. Si
denota con aij ∈ R, con i, j = 1, 2, i coefficienti reali di tale matrice
A=
a11
a21
a12
.
a22
Matrice
(A.1)
Allora si ha la seguente definizione
Determinante
matrice 2 × 2
Definizione 2. Si definisce determinante della matrice A data nella (A.1) e lo si
indica con det (A) oppure con |A| il seguente numero reale:
a
|A| = 11
a21
a12 ≡ a11 a22 − a12 a21 .
a22 (A.2)
Il valore del determinante può essere un numero positivo, negativo o nullo.
Nel caso sia nullo, la matrice A è detta singolare.
La definizione precedente può essere estesa al caso di una matrice A di
dimensione N × N. A tal proposito si deve introdurre il concetto di minore
di una matrice.
Matrice singolare
Minore di una
matrice
Definizione 3. Si definisce minore della matrice A di dimensioni N × N rispetto
all’elemento aij e lo si indica con Mij , il determinante della sotto-matrice di dimensioni (N − 1) × (N − 1) ottenuta da A eliminando la riga i-esima e la colonna
j-esima.
Dalla definizione di minore segue immediatamente la definizione di cofattore Cij , ottenuto moltiplicando il corrispondente minore Mij per (−1)i+j :
Cij = (−1)i+j Mij .
Cofattore
(A.3)
Il concetto di cofattore viene utilizzato per il calcolo del determinante di
una matrice di dimensioni N × N. Scelta infatti una riga (o una colonna)
della matrice A, diciamo la k-esima, il determinante |A| è ottenuto come
la somma dei prodotti degli elementi di tale riga (o colonna) per i relativi
113
114
la risoluzione dei sistemi lineari
cofattori. Supponendo di sviluppare il calcolo rispetto alla k-esima riga, si
ottiene:
|A| =
N
X
akj Ckj .
(A.4)
j=1
Per il calcolo pratico dei cofattori Ckj , si applica la sua definizione in modo
ricorsivo fino a raggiungere un minore di ordine due che può essere facilmente calcolato attraverso la (A.2). Ovviamente, nel caso in cui una riga (o
una colonna) contiene molti elementi nulli, conviene calcolare il determinante rispetto a tale riga (o tale colonna), in modo da non dover esplicitamente
calcolare i minori che sono moltiplicati per zero.
Si provi ad applicare la (A.4) alla seguente matrice di dimensioni 3 × 3:


a11 a12 a13
A = a21 a22 a23  .
a31 a32 a33
Dalla (A.4), scegliendo ad esempio la prima riga, si ha direttamente
a21 a22 a21 a23 a22 a23 |A| = a11 + a13 − a12 a31 a32 a31 a33 a32 a33 = a11 a22 a33 − a11 a23 a32 − a12 a21 a33
+ a12 a23 a31 + a13 a21 a32 − a13 a22 a31
(A.5)
= a11 a22 a33 + a12 a23 a31 + a13 a21 a32
− a31 a22 a13 − a32 a23 a11 − a33 a21 a12
Regola di Sarrus
L’ultima coppia di linee della (A.5) consiste nel semplice riordino dei termini
rispetto alla penultima coppia linee, in modo tale da dare una semplice
interpretazione del determinante che fornisce una regola per il suo calcolo
veloce, nota come regola di Sarrus. Infatti tale risultato può essere ottenuto
riscrivendo la matrice A e aggiungendo sulla destra le prime due colonne
della matrice:


a11 a12 a13 a11 a12
a21 a22 a23  a21 a22
(A.6)
a31 a32 a33 a31 a32
A questo punto il determinante nella (A.5) può essere calcolato come la somma dei prodotti degli elementi sulla diagonale principale e le sue due parallele e la differenza dei prodotti degli elementi sulla diagonale secondaria e
le sue due parallele.
Si veda un esempio di calcolo del determinante i una matrice attraverso
la regola di Sarrus.
Esempio A.1
Si calcoli il determinante della seguente matrice 3 × 3:


3 1 0
A = 2 4 1  .
5 3 −2
Si cominci con lo scrivere la matrice A assegnata nella forma (A.6)


3 1 0 3 1
A = 2 4 1  2 4
5 3 −2 5 3
a.2 il metodo di cramer
115
Si procede, quindi, con la somma dei prodotti degli elementi sulla diagonale principale e le sue due parallele e la differenza dei prodotti degli elementi sulla diagonale
secondaria e le sue due parallele:
|A| = 3 · 4 · (−2) + 1 · 1 · 5 + 0 · 2 · 3 − 5 · 4 · 0 − 3 · 1 · 3 − (−2) · 2 · 1 = −24.
a.2
il metodo di cramer
Si consideri il seguente sistema lineare di N equazioni nelle N incognite xk
con k = 1, . . . , N:

a11 x1 + a12 x2 + . . . + a1k xk + . . . + a1N xN = b1 ,





a21 x1 + a22 x2 + . . . + a2k xk + . . . + a2N xN = b2 ,





.


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . = ..
(A.7)

ak1 x1 + ak2 x2 + . . . + akk xk + . . . + akN xN = bk ,





.



. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . = ..



aN1 x1 + aN2 x2 + . . . + aNk xk + . . . + aNN xN = bN .
Sistema lineare di N
equazioni nelle N
incognite
Tale sistema può essere scritto in forma matriciale nel modo seguente
a11
 a21

 ..
 .

 ak1

 .
 ..
aN1

a12
a22
..
.
...
...
..
.
a1k
a2k
..
.
...
...
..
.
ak2
..
.
...
..
.
...
akk
..
.
...
..
.
...
aN2
aNk
    
b1
x1
a1N
 x2   b2 
a2N 
    
..   ..   .. 
   
. 
· .  =  . ,
  

akN  
 xk   bk 
 .   . 
.. 
.   ..   .. 
bN
xN
aNN
(A.8)
che in forma compatta e con ovvio significato dei simboli, da
(A.9)
Ax = b.
La matrice A è definita matrice dei coefficienti, il vettore x è definito vettore
delle incognite mentre il vettore b è definito vettore dei termini noti.
Utilizzando il metodo di Cramer, la k-esima soluzione xk del sistema
precedente è data dal rapporto di due determinanti
xk =
|Ak |
,
|A|
(A.10)
dove |Ak | è il determinante della matrice ottenuta da A sostituendo la kesima colonna con il vettore dei termini noti b:
a11 a12 . . . b1 . . . a1N a21 a22 . . . b2 . . . a2N ..
..
..
.. ..
..
.
.
.
.
.
. |Ak | = (A.11)
ak1 ak2 . . . bk . . . akN .
..
..
.. ..
..
..
.
.
.
.
. a
a
... b
... a
N1
N2
N
NN
Dalla (A.10) si evince immediatamente che il sistema (A.7) non ammette
soluzioni se la matrice dei coefficienti A è singolare.
Metodo di Cramer
la risoluzione dei sistemi lineari
116
Esempio A.2
Si determini la seconda soluzione x2 del seguente sistema lineare di tre equazioni in
tre incognite:


 x1 − x2 + x3 = 6,
2x1 + x2 − x3 = −3,


x1 − x2 − x3 = 0.
Si riscrive il precedente sistema in forma matriciale, ottenendo:

1
2
1
−1
1
−1
    
1
x1
6
−1 · x2  = −3
−1
x3
0
Applicando la regola di Cramer (A.10) si ottiene
x2 =
|A2 |
,
|A|
dove i singoli determinanti, utilizzando la regola di Sarrus, valgono rispettivamente
1 −1 1 |A| = 2 1 −1 = −6
1 −1 −1
e
1
|A2 | = 2
1
6
−3
0
1 −1 = 12
−1
Dunque, la soluzione cercata è
x2 =
|A2 |
12
=
= −2.
|A|
−6
B
I NUMERI COMPLESSI
L
a seguente appendice è dedicata alla notazione e rappresentazione di un
numero complesso. E’ infatti imprescindibile la conoscenza elementare dei numeri complessi e delle loro rappresentazioni per poter lavorare nel
dominio fasoriale per la risoluzione di circuiti in regime permanente.
Si rimanda a testi specialistici per un trattato esauriente sui concetti di
numero e funzione complessi.
b.1
la notazione
Ogniqualvolta non è possibile esprimere il risultato di un’operazione in un
dato insieme numerico, si è avuta l’esigenza di trovare un insieme più ampio
e generale che consentisse di poter esprimere il risultato di tale operazione.
E’ il caso, ad esempio, dell’introduzione dell’insieme dei numeri interi e
razionali, data l’impossibilità di effettuare la differenza di un numero naturale maggiore da un numero minore o la divisione tra numeri non multipli
tra loro. Analogamente, la necessità di dover esprimere grandezze tra loro
incommensurabili (si pensi alla diagonale di un quadrato di lato unitario)
ha portato all’introduzione dei numeri reali.
Anche se l’insieme dei numeri reali sembra molto ampio, è facile trovare
delle operazioni i cui risultati non sono esprimibili in questo insieme. Si
pensi, ad esempio, alle seguenti semplici equazioni di secondo grado:
x2 + 1 = 0
oppure
x2 + 4 = 0.
E’ subito evidente che le soluzioni di tali equazioni prevedano l’estrazione
della radice quadrata di un numero negativo, operazione che non può essere
effettuata nel dominio dei numeri reali. E’ infatti ben noto che il quadrato di
qualsiasi numero (sia positivo che negativo) è sempre un numero positivo.
La soluzione consiste nell’introduzione di un insieme numerico più ampio, definito insieme dei numeri complessi e indicato con C.
b.1.1
Numeri naturali,
interi, razionali e
reali
Numero complesso
L’unità immaginaria
Il punto di partenza per la definizione di un numero complesso, consiste
nella definizione dell’unità immaginaria, indicata con la lettera j:
Unità immaginaria
Definizione 4. Si definisce unità immaginaria, e la si indica con j, la radice
quadrata dell’unità negativa, ovvero
√
j = −1
(B.1)
Si noti che, di solito, in matematica l’unità immaginaria è indicata con la
lettera i. Nelle scienze applicate, come l’ingegneria, si preferisce utilizzare,
117
118
Proprietà dell’unità
immaginaria
i numeri complessi
al contrario la lettera j, per non creare confusione con la grandezza corrente
elettrica di solito indicata con i(t).
Con la notazione appena introdotta, le soluzioni alle precedenti equazioni
saranno x = ±j e x = ±2j, rispettivamente.
L’unità immaginaria j, gode di alcune proprietà notevoli. Innanzitutto, il
prodotto dell’unità immaginaria con se stessa (ovvero il suo quadrato) vale
−1:
j · j = j2 = −1.
(B.2)
In più, poiché qualsiasi potenza può essere espressa come prodotto di un
certo numero di fattori pari a j e j2 , il risultato di un elevamento a potenza
dell’unità immaginaria può dare solo quattro risultati: ±1 e ±j. Ad esempio:
j2 = −1,
j3 = −j,
j4 = 1,
j5 = j,
(B.3)
6
j = −1,
j7 = −j,
...
Un simile comportamento può essere ricavato anche per le potenze con
esponente negativo. In particolare, è molto importante il valore dell’inverso
dell’unità immaginaria:
1
= −j.
j
(B.4)
Tale proprietà può essere enunciata nel modo seguente, molto utile nei
calcoli: l’unità immaginaria j passa da numeratore a denominatore, o viceversa,
cambiando segno.
b.1.2
Parte reale e parte
immaginaria
Il numero complesso
Un numero complesso z ∈ C è definito a partire da una coppia di numeri
reali (a, b), che prendono il nome di parte reale e parte immaginaria del
numero complesso z. In formule, quindi , il numero complesso z è indicato
come
z = a + jb.
Operatori parte reale
e parte immaginaria
(B.5)
Un numero complesso z può essere rappresentato sul piano (noto come
piano di Argand-Gauss) come un vettore di vertici l’origine degli assi e
il punto P di coordinate (a, b). Una rappresentazione grafia del numero
z è fornita in Figura B.1. Esiste dunque un isomorfismo tra C e R2 . La
parte reale a e la parte immaginaria b, costituiscono perciò le proiezione del
numero complesso z sugli assi coordinati, che prendono dunque il nome di
asse reale e asse immaginario, rispettivamente.
Dato un numero complesso z è possibile estrarre la parte reale e la parte
immaginaria, attraverso due operatori, noti come operatore parte reale, indicato con Re {z} e operatore parte immaginaria, indicato con Im {z}, e così
definiti:
a = Re {z} ,
b = Im {z} .
(B.6)
b.1 la notazione
119
Im
P
z  a  jb
m
b

o
a
Re
Fig. B.1: Rappresentazione grafica di un numero complesso nel piano di ArgandGauss.
Al numero complesso z è possibile associare anche altre due quantità, come
risulta evidente dalla Figura B.1, ovvero la lunghezza m del vettore OP, detta modulo del numero complesso z e l’angolo ϑ che il vettore OP forma con
il semiasse reale positivo, detto fase del numero complesso z. Il modulo e la
fase del numero complesso z sono anche indicati con |z| e ∠z, rispettivamente. Con semplici ragionamenti geometrici sul triangolo rettangolo formato
dal vettore OP, e dalla parte reale ed immaginaria, è possibile ricavare le
seguenti relazioni:
p
|z| = m = a2 + b2 ,
(B.7)
b
∠z = ϑ = arctan .
a
Viceversa, dalla conoscenza di modulo e fase, è possibile ottenere la parte
reale e immaginaria, attraverso le relazioni:
a = m cos ϑ,
b = m sin ϑ.
(B.8)
Un’altra quantità molto utile è data dalla seguente definizione:
Complesso coniugato
Definizione 5. Si definisce complesso coniugato di un numero complesso z, e lo
si indica con z∗ , il numero
z∗ = a − jb,
(B.9)
ovvero un numero con stessa parte reale di z e parte immaginaria cambiata di segno.
Se si effettua la somma e la differenza di un numero complesso z con il suo
coniugato z∗ , si ottiene rispettivamente
z + z∗ = 2a,
z − z∗ = 2jb.
Modulo e fase
(B.10)
A partire dalle (B.10) è possibile ricavare l’espressione della parte reale
a e della parte immaginaria b di un numero complesso, a partire dalla
conoscenza di z e z∗ :
z + z∗
a=
,
2
(B.11)
∗
z−z
b=
.
2j
120
i numeri complessi
Se effettuiamo il prodotto di z con il suo coniugato z∗ , si ottiene
z · z∗ = (a + jb) · (a − jb) = a2 + b2 = m2 = |z|2 .
Si trova cioè, che il prodotto di un numero complesso con il suo coniugato è pari
al quadrato del suo modulo, ovvero in formule:
z · z∗ = |z|2 .
b.2
(B.12)
le rappresentazioni
Dalle nozioni introdotte nel paragrafo precedente, si evince che è possibile
rappresentare un numero complesso z, ovvero il vettore OP nel piano di
Figure B.1, in due modi distinti:
Rappresentazione
cartesiana
1. utilizzando le coordinate (a, b) del punto P, ovvero descrivendo il
numero complesso z con una parte reale e una parte immaginaria:
z = a + jb.
(B.13)
Questa rappresentazione prende il nome di rappresentazione o notazione cartesiana;
Rappresentazione
polare
2. utilizzando la lunghezza m del vettore OP ed il suo angolo ϑ con il
semiasse reale positivo:
z = mejϑ .
(B.14)
Questa rappresentazione prende il nome di rappresentazione o notazione polare.
La trasformazione da notazione cartesiana a notazione polare e viceversa,
viene effettuata attraverso l’uso delle (B.7) e (B.8), rispettivamente.
Esempio B.1
Si trasformi in notazione polare il seguente numero complesso: z = 1 + j.
Utilizzando le (B.7) si calcola il modulo e la fase di z
p
√
√
m = a2 + b2 = 1 + 1 = 2,
ϑ = arctan
b
1
π
= arctan = arctan 1 = .
a
1
4
Dunque si ottiene,
√ π
z = 2ej 4 .
Si trasformi in notazione polare il seguente numero complesso: z = 3 − j2.
Utilizzando nuovamente le (B.7) si calcola il modulo e la fase di z
p
√
√
m = a2 + b2 = 9 + 4 = 13,
ϑ = arctan
b
2
= − arctan .
a
3
Dunque si ottiene,
z=
√ −j arctan 2
3.
13e
b.3 la formula di eulero
121
Im
P
 

o
Re

Fig. B.2: Esempio di numero complesso con parte reale negativa.
π
Si trasformi in notazione cartesiana il seguente numero complesso: z = 3ej 3 .
Utilizzando ora le (B.8) si calcola la parte reale e la parte immaginaria di z
π
3
= ,
3
2
√
π
3
b = m sin ϑ = 3 sin = 3
.
3
2
a = m cos ϑ = 3 cos
Dunque si ottiene,
z=
√ 3
1+j 3 .
2
E’ necessaria un pò di attenzione nella trasformazione da rappresentazione
cartesiana a polare, quando la parte reale del numero complesso è negativa. Infatti, applicando direttamente la seconda delle (B.7) si ottiene la fase
π
nell’intervallo [− π
2 , 2 ], ovvero si considera il vettore OP nel I o IV quadrante. Se la parte reale è, al contrario, negativa, il vettore OP giace nel II o III
quadrante e bisognerà aggiungere alla fase valutata da (B.7) π (un angolo
piatto). Una spiegazione grafica di tale concetto è illustrata in Figura B.2.
Esempio B.2
Si trasformi in notazione polare il seguente numero complesso: z = −1 + j.
π
Utilizzando le (B.7) si calcola il modulo e la fase di z nell’intervallo [− π
2, 2]
m=
p
√
√
a2 + b2 = 1 + 1 = 2,
ϑ = arctan
b
π
= − arctan 1 = − .
a
4
Dato che la parte reale del numero z è negativa, aggiungendo π alla fase si ottiene
infine
z=
√ j π− π
√ 3π
2e ( 4 ) = 2ej 4 .
Parte reale negativa
122
i numeri complessi
b.3
Formula di Eulero
la formula di eulero
Al fine di semplificare i calcoli con i numeri complessi, è di notevole importanza la formula di Eulero, di seguito riportata:
ejϑ = cos ϑ + j sin ϑ.
(B.15)
In modo del tutto analogo, ricordando che il coseno è una funzione pari
mentre il seno è una funzione dispari, si può ricavare che
e−jϑ = cos ϑ − j sin ϑ.
(B.16)
Sommando e sottraendo membro a membro la (B.15) e la (B.16), si ottengono
le ben note formule:
ejϑ + e−jϑ
,
2
ejϑ − e−jϑ
sin ϑ =
.
2j
cos ϑ =
Identità di Eulero
(B.17)
La formula di Eulero da origine ad un’identità considerata tra le più affascinanti della matematica, nota come identità di Eulero, che mette in relazione
tra loro i cinque simboli più importanti della matematica:
ejπ + 1 = 0.
Esempio B.3
Come esempio, si riporta il valore dei seguenti esponenziali complessi:
√
π
2
π
π
(1 + j) .
ej 4 = cos + j sin =
4
4
2
π
π
π
ej 2 = cos + j sin = 0 + j1 = j.
2
2
√
3π
3π
3π
2
j 4
(−1 + j) .
e
= cos
+ j sin
=
4
4
2
√
π
π
2
π
(1 − j) .
e−j 4 = cos − j sin =
4
4
2
√
π
π
1
π
ej 6 = cos + j sin =
3+j .
6
6
2
√ π
π
1
jπ
1+j 3 .
e 3 = cos + j sin =
3
3
2
e±jπ = cos π ± j sin π = −1 ± j0 = −1.
(B.18)
C
TAV O L E
L
a seguente appendice è dedicata alla raccolta delle relazioni costitutive
degli elementi di uso più comune e alla descrizione dei modelli degli
elementi reattivi nel dominio di Laplace.
c.1
le relazioni costitutive
Si elencano per prima le relazioni costitutive dei bipoli fondamentali e quindi quelle dei doppi bipoli. Tutte le relazioni costitutive vengono fornite nel
dominio del tempo. Le grandezze elettriche non esplicitamente legate dalle relazioni costitutive sono da considerarsi indefinite, nel senso che il loro
valore numerico dipende dal resto del circuito.
c.1.1
Bipoli fondamentali
Seguono le relazioni costitutive dei bipoli fondamentali, partendo dai tre
bipoli passivi per passare poi a quelli attivi. Per quanto riguarda le relazioni costitutive dei tre bipoli passivi (resistore, induttore e condensatore),
poiché entrambe le grandezze tensione v(t) e corrente i(t) possono svolgere
il ruolo di causa o effetto, vengono espresse entrambe le relazioni (tensione
in funzione della corrente e, viceversa, corrente in funzione della tensione).
Resistore
i t 
Relazione costitutiva
del resistore
R
+
v t 
-
v(t) = Ri(t),
1
i(t) = v(t) ≡ Gv(t).
R
Induttore
Relazione costitutiva
dell’induttore
i t 
L
+
v t 
di(t)
,
dt
Zt
Z
1
1 t
i(t) =
v(τ)dτ ≡ iL (0) +
v(τ)dτ.
L −∞
L 0
v(t) = L
-
123
124
tavole
Condensatore
Relazione costitutiva
del condensatore
i t 
C
dv(t)
,
dt
Z
Z
1 t
1 t
i(τ)dτ ≡ vC (0) +
i(τ)dτ.
v(t) =
C −∞
C 0
i(t) = C
+
v t 
-
Generatore indipendente di tensione
Relazione costitutiva
del generatore
indipendente di
tensione
vg  t 
i t 
-
+
v(t) = vg (t).
v t 
+
Generatore indipendente di corrente
Relazione costitutiva
del generatore
indipendente di
corrente
ig  t 
i t 
i(t) = ig (t).
v t 
-
+
Corto circuito
Relazione costitutiva
del corto circuito
i t 
v(t) = 0.
-
v t 
+
Circuito aperto
Relazione costitutiva
del circuito aperto
i t 
i(t) = 0.
-
c.1.2
v t 
+
Elementi a due porte
Si prosegue con le relazioni costitutive degli elementi a due porte, partendo
dai componenti passivi per poi passare a quelli attivi. L’elenco è poi completato con le relazioni delle reti due porte rappresentate dalle matrice delle
impedenze di corto circuito e delle ammettenze a vuoto.
Induttori mutuamente accoppiati
Relazione costitutiva
degli induttori
mutuamente
accoppiati
i1  t 
i2  t 
M
+
v1  t  L1
-
+
L2
v2  t 
-
di1 (t)
di (t)
+M 2 ,
dt
dt
di2 (t)
di1 (t)
v2 (t) = L2
+M
.
dt
dt
v1 (t) = L1
c.1 le relazioni costitutive
125
Trasformatore ideale
i1  t 
Relazione costitutiva
del trasformatore
ideale
i2  t 
n :1
+
+
v1  t 
v2  t 
-
-
v1 (t) = nv2 (t),
1
i1 (t) = − i2 (t).
n
Generatore di tensione controllato in tensione
i2  t 
i1  t 
+
+
+
v1  t 
v2  t 
Av1  t 
-
i1 (t) = 0,
Relazione costitutiva
del generatore di
tensione controllato
in tensione
v2 (t) = Av1 (t).
-
Generatore di tensione controllato in corrente
i2  t 
i1  t 
+
+
+
v1  t 
v2  t 
ri1  t 
-
v1 (t) = 0,
Relazione costitutiva
del generatore di
tensione controllato
in corrente
v2 (t) = ri1 (t).
-
Generatore di corrente controllato in tensione
i2  t 
i1  t 
+
+
v1  t 
v2  t 
gv1  t 
-
i1 (t) = 0,
Relazione costitutiva
del generatore di
corrente controllato
in tensione
i2 (t) = gv1 (t).
-
Generatore di corrente controllato in corrente
i2  t 
i1  t 
+
+
v1  t 
v2  t 
ki1  t 
-
v1 (t) = 0,
Relazione costitutiva
del generatore di
corrente controllato
in corrente
i2 (t) = ki1 (t).
-
Nullore
+
v1  t 
-
Relazione costitutiva
del nullore
i2  t 
i1  t 
+

0
v2  t 
-
v1 (t) = 0,
i1 (t) = 0.
Rete due porte di tipo Z
i2  t 
i1  t 
+
v1  t 
-
+
1
Z
2
v2  t 
-
v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t),
v2 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t).
Relazione costitutiva
della rete due porte di
tipo Z
126
tavole
Rete due porte di tipo Y
Relazione costitutiva
della rete due porte di
tipo Y
i2  t 
i1  t 
+
+
i1 (t) = y11 v1 (t) + y12 v2 (t),
v1  t 
-
1
c.2
circuiti equivalenti nel dominio di laplace
Y
v2  t 
-
2
i2 (t) = y21 v1 (t) + y22 v2 (t).
Di notevole importanza sono i circuiti equivalente degli elementi reattivi
nel dominio della trasformata di Laplace. Infatti, nella trasformazione di
un circuito nel dominio di Laplace, è indispensabile sostituire i componenti
reattivi con condizioni iniziali non nulle, con tali modelli. A tal proposito,
nel seguito vengono illustrati i modelli equivalenti dell’induttore e del condensatore in questo dominio, quando le condizioni iniziali siano diverse da
zero. Ognuno dei modelli è proposto nella versione serie e parallelo, la cui
scelta dipende dal particolare metodo di analisi selezionato per risolvere il
circuito in esame.
Per completezza si riporta il circuito equivalente e le relazioni costitutive degli induttori mutuamente accoppiati nel dominio della trasformata di
Laplace.
Induttore
Induttore nel
dominio di Laplace
Si riporta di seguito il modello equivalente in serie.
I s
Li  0 
+
sL
V(s) = sLI(s) − Li(0).
V s
+
-
Segue il modello equivalente in parallelo.
i  0
s
I s
I(s) =
sL
V s
+
1
i(0)
V(s) +
.
sL
s
-
Condensatore
Condensatore nel
dominio di Laplace
Si riporta di seguito il modello equivalente in serie.
v 0
1
sC
I s
+
+
s
V(s) =
V s
-
1
v(0)
I(s) +
.
sC
s
Segue il modello equivalente in parallelo.
Cv  0 
I s
1
sC
+
V s
I(s) = sCV(s) − Ci(0).
-
c.2 circuiti equivalenti nel dominio di laplace
127
Induttori mutuamente accoppiati
Si riporta di seguito il modello equivalente degli induttori mutuamente accoppiati.
I1  s 
L1i1  0 
+
Mi2  0 
+
sM
Mi1  0 
+
L2i2  0 
+
I2  s 
+
+
V1  s 
V2  s 
sL1
sL2
-
-
V1 (s) = sL1 I1 (s) + sMI2 (s) − L1 i1 (0) − Mi2 (0),
V2 (s) = sL2 I2 (s) + sMI1 (s) − L2 i2 (0) − Mi1 (0).
Induttori
mutuamente
accoppiati nel
dominio di Laplace
D
L I S TA D E L L E T R A S F O R M AT E D I
LAPLACE
L
a seguente appendice elenca le proprietà principali della trasformata di
Laplace. Inoltre, viene mostrata la lista delle principali trasformate di
Laplace, cioè delle funzioni di uso comune nei circuiti elettrici considerati
in questo corso.
d.1
proprietà della trasformata di laplace
Nome
f(t)u−1 (t)
F(s)
Linearità
αf1 (t)+βf2 (t)
αF1 (s)+βF2 (s)
Traslazione nel tempo
e−t0 s F(s)
Scaling
f(t − t0 )
f at
Derivazione
df(t)
dt
sF(s) − f(0)
Integrazione
Rt
0 f(τ)dτ
aF(as)
F(s)
s
129
130
lista delle trasformate di laplace
d.2
lista delle principali trasformate di laplace
f(t)
F(s)
Au0 (t)
A
Au−1 (t)
A
s
Atu−1 (t)
A
s2
Aeαt u−1 (t)
A
s−α
Ateαt u−1 (t)
A
(s−α)2
A
n−1 eαt u
−1 (t)
(n−1)! t
A
(s−α)n
sin(ωt)u−1 (t)
ω
s2 +ω2
cos(ωt)u−1 (t)
s
s2 +ω2
sin(ωt + θ)u−1 (t)
s sin θ+ω cos θ
s2 +ω2
cos(ωt + θ)u−1 (t)
s cos θ−ω sin θ
s2 +ω2
d.3 antitrasformata di laplace degli esponenziali complessi
d.3
131
antitrasformata di laplace degli esponenziali complessi
Merita una particolare attenzione il caso di antitrasformazione di una coppia
di esponenziali complessi con poli (e quindi anche residui) complessi e coniugati. Tali esponenziali sono infatti associati alle funzioni trigonometriche,
che rappresentano una vasta classe di funzioni utilizzate in elettrotecnica,
soprattutto nello studio del regime permanente sinusoidale.
A tal proposito, si antitrasformi la seguente somma di frazioni parziali:
A
A∗
,
+
s − p s − p∗
Coppia di poli
complessi coniugati
(D.1)
in cui sia il residuo A che il polo p assumo, in generale valori complessi. Per
semplicità, si ponga anche
p = σ + jω,
(D.2)
A = mA ejϕA .
Si è denotato, cioè, con σ e ω la parte reale e immaginaria del polo p, mentre
con ma e ϕA il modulo e la fase del residuo A.
Le singole frazioni parziali nella (D.1) possono essere antitrasformate utilizzando la seconda riga della tabella precedente. Utilizzando la (D.2), si
ottiene quindi
h
i
A
A∗
pt
∗ p∗ t
+
=
Ae
+
A
e
u−1 (t)
s − p s − p∗
h
i
= mA ejϕA e(σ+jω)t + mA e−jϕA e(σ−jω)t u−1 (t)
h
i
= mA eσt ej(ωt+ϕA ) + e−j(ωt+ϕA ) u−1 (t)
= 2mA eσt cos (ωt + ϕA ) u−1 (t).
La quarta riga è ottenuta dalla terza utilizzando la prima delle relazioni nella (B.17). La formulazione precedente, consente di esprimere direttamente
l’antitrasformata cercata come segue
A
A∗
+
↔ 2mA eσt cos (ωt + ϕA ) u−1 (t).
s − p s − p∗
(D.3)
La (D.3) può essere ricordata mnemonicamente in modo semplice, in funzione della parte reale e parte immaginaria del polo, e del modulo e della
fase del residuo.
E’ possibile ricavare, in modo analogo, l’antitrasformata nel caso di polo
multiplo, generalizzando la (D.3). In analogia alla sesta riga della tabella
precedente, si ottiene rapidamente
A∗
2mA n−1 σt
A
+
t
e cos (ωt + ϕA ) u−1 (t). (D.4)
n
n ↔
∗
(n − 1)!
(s − p)
(s − p )
Anche la (D.4) può essere ricordata mnemonicamente in funzione della parte reale e parte immaginaria del polo, e del modulo e della fase del residuo.
Esempio D.1
Si antitrasformi la funzione: F1 (s) = s23+4 .
La funzione F1 (s) assegnata può essere suddivisa in frazioni parziali come segue:
F1 (s) =
−j 34
j3
+ 4 .
s − j2 s + j2
Antitrasformata di
una coppia di poli
complessi coniugati
Coppia di poli
multipli complessi
coniugati
132
lista delle trasformate di laplace
Utilizzando le (D.2), si ottiene immediatamente che
3
,
4
π
ϕA = − ,
2
σ = 0,
mA =
ω = 2.
Inserendo tali valori nella (D.3), si ottiene con semplicità
f1 (t) =
3
3
π
u−1 (t) = sin (2t) u−1 (t).
cos 2t −
2
2
2
s+1
.
Si antitrasformi la funzione: F2 (s) = s2 +2s+2
La funzione F2 (s) assegnata può essere suddivisa in frazioni parziali come segue:
F2 (s) =
1
2
s + 1 − j2
+
1
2
s + 1 + j2
.
Utilizzando le (D.2), si ottiene immediatamente che
1
,
2
= 0,
mA =
ϕA
σ = −1,
ω = 2.
Inserendo tali valori nella (D.3), si ottiene con semplicità
f2 (t) = e−t cos (2t) u−1 (t).
Si antitrasformi la somma di frazioni parziali: F3 (s) =
1+j
(s+2−j3)3
Utilizzando le (D.2), si ottiene immediatamente che
√
mA = 2,
π
ϕA = ,
4
σ = −2,
ω = 3,
n = 3.
Inserendo tali valori nella (D.4), si ottiene con semplicità
√
π
f3 (t) = 2t2 e−2t cos 2t +
u−1 (t).
4
+
1−j
.
(s+2+j3)3
INDICE ANALITICO
µA741, 108
Ammettenza, 14
Risonante, 16
Amplificatore
Operazionale, 99
Operazionale Ideale, 99
Amplificazione, 99
Antitrasformata
di Laplace, 131
Asse
Immaginario, 118
Reale, 118
Bilanciato, 35
Bode
Diagramma, 106
Buffer, 106
Cofattore, 113
Collegamento
in Parallelo, 2
in Serie, 1
Complesso
Coniugato, 119
Condensatore
nel Dominio di Laplace, 126
Conduttanza, 3
Configurazione
Invertente, 100, 107
Non Invertente, 100, 101
Connessione
in Parallelo, 2
in Serie, 1
Parallelo-parallelo, 48
Serie-serie, 41
Corrente
di Corto Circuito, 21
Corto Circuito
Corrente di, 21
Corto Circuito Virtuale, 99
Cramer
Metodo di, 113
Derivatore, 105
Determinante, 113
Diagramma
Bode, 106
Dimostrazione
Teorema di Norton, 74
Teorema di Thevenin, 66
Elastanza, 9
Elemento
Bilanciato, 35
Sbilanciato, 35
Fase, 107, 119
Fasore, 14, 117
Fattore
di Merito, 17, 18
Filtro, 106
Passa Bassa, 106
Formula
di Eulero, 122
Frequenza
di Taglio, 106
Funzione
di Rete, 106
di Trasferimento, 107
Generatore
di Norton, 74
di Prova, 70, 76
di Thevenin, 65
Reale, 19
Identità
di Eulero, 122
Impedenza, 14
Equivalente di Norton, 85, 90
Equivalente di Thevenin, 83,
89
Interna del Generatore, 22
Risonante, 16
Induttore
nel Dominio di Laplace, 126
Induttori Mutuamente Accoppiati
nel Dominio di Laplace, 127
Inertanza, 7
Ingresso
Invertente, 99
133
134
Indice analitico
Non Invertente, 99
Inseguitore
di Tensione, 106
Integratore, 104
di Miller, 104
Invertente
Configurazione, 100, 107
Laplace, 101, 103, 104, 108
Legge
di Kirchhoff, 1, 2
di Ohm, 25
Linearità, 53
Maglia, 25
Massa
Virtuale, 100
Matrice
Ammettenze di Corto Circuito, 44
dei Coefficienti, 115
Impedenze a Vuoto, 37
Minore, 113
Singolare, 113
Metodo
di Cramer, 113, 115
Minore, 113
Modulo, 107, 119
Non Invertente
Configurazione, 100, 101
Noratore, 32, 107
Norton
Impedenza Equivalente, 85,
90
Notazione
Cartesiana, 120
Polare, 120
Nullatore, 32, 107
Nullore, 32, 107
Numero
Complesso, 117
Numero Complesso, 117
Operatore
Parte Immaginaria, 118
Parte Reale, 118
Parallelo, 2
Parte
Immaginaria, 118
Reale, 118
Partitore
di Corrente, 29
di Tensione, 26, 103
Periodo, 60
Piano
di Argand-Gauss, 118
Porta, 35, 63
Positivo
Semi-definito, 37
Potenza
Attiva, 60
Attiva Incrociata, 60
Complessa, 59
Complessa Incrociata, 60
Disponibile del Generatore,
94
Incrociata, 56
Reattiva, 60
Principio
Sovrapposizione degli Effetti,
53
Proprietà
della Trasformata di Laplace,
129
Pulsazione
di Risonanza, 16
Rappresentazione
Cartesiana, 120
Polare, 120
Reattanza, 15
Regola
di Sarrus, 114
Relazione Costitutiva
Circuito Aperto, 124
Condensatore, 124
Corto Circuito, 124
Generatore di Corrente Controllato in Corrente, 125
Generatore di Corrente Controllato in Tensione, 125
Generatore di Tensione Controllato in Corrente, 125
Generatore di Tensione Controllato in Tensione, 125
Generatore Indipendente di
Corrente, 124
Generatore Indipendente di
Tensione, 124
Induttore, 123
Induttori Mutuamente Accoppiati, 124
Nullore, 125
Resistore, 123
Rete Due Porte, 125
Trasformatore Ideale, 125
Rendimento, 21, 22
Indice analitico
del Trasferimento, 97
Resistenza
di Ingresso, 100
di Norton, 74
di Thevenin, 65
Interna del Generatore, 19
Rete
Bilanciata, 35
Sbilanciata, 35
Reti
2-porte, 35
Risonanza, 16
Sarrus
Regola di, 114
Sbilanciato, 35
Serie, 1
Sistema
Lineare, 113
Sommatore
Pesato, 106
Stella, 10
Suscettanza, 15
Tensione
a Vuoto, 22
Inseguitore di, 106
Teorema
del Massimo Trasferimento
di Potenza Attiva, 93
di Millman, 82
di Norton, 63, 73
Dimostrazione, 74
Metodo congiunto, 78
Metodo disgiunto, 75
di Sostituzione, 63
di Thevenin, 63, 65
Dimostrazione, 66
Metodo congiunto, 71
Metodo disgiunto, 67
Thevenin
Impedenza Equivalente, 83,
89
Transistore, 107
Trasformata
di Laplace, 129
Trasformata di Laplace
Lista, 130
Proprietà, 129
Trasformazione
dei Generatori, 80
Stella-Triangolo, 10
T-Π, 10
Triangolo-Stella, 10
Triangolo, 10
Unità
Immaginaria, 117
Vettore
dei Termini Noti, 115
delle Incognite, 115
Virtuale
Corto Circuito, 99
Massa, 100
135
Michele Scarpiniti: Complementi di Elettrotecnica
c 15 ottobre 2015
Questo testo è stato composto in LATEX, utilizzando la classe ArsClassica,
una personalizzazione dello stile ClassicThesis ad opera di Lorenzo Pantieri
(http://www.lorenzopantieri.net/LaTeX.html).