michele scarpiniti complementi di elettrotecnica Versione 1.1 A i v R eq A i iN RN i3 B v i2 R3 i1 R2 R1 B Dipartimento DIET Università di Roma “La Sapienza” via Eudossiana 18, 00184 Roma http://ispac.diet.uniroma1.it/scarpiniti/index.htm 15 ottobre 2015 c 15 ottobre 2015. Michele Scarpiniti: Complementi di Elettrotecnica, website: http://ispac.diet.uniroma1.it/scarpiniti/index.htm e-mail: [email protected] Questo testo è stato composto in LATEX, utilizzando la bellissima classe ArsClassica, una personalizzazione dello stile ClassicThesis ad opera di Lorenzo Pantieri (http://www.lorenzopantieri.net/LaTeX.html), che ringrazio sentitamente per l’ottimo lavoro svolto e per aver reso disponibile tale classe. complementi di elettrotecnica PREMESSA La seguente dispensa è rivolta agli studenti dell’insegnamento di Elettrotecnica del corso di laurea in Ingegneria della Sicurezza presso la Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Questo lavoro non ha la pretesa di essere un testo esauriente sull’Elettrotecnica, ma costituisce solamente un ausilio e completamento alle lezioni da me svolte a partire dall’anno accademico 2008-2009. Infatti, dall’esperienza didattica maturata in questi anni, mi è parso che alcuni argomenti specifici che il libro di testo tralascia, o perché dovrebbero essere già noti agli studenti dai corsi di fisica o perché ritenuti di semplice derivazione, in realtà confondono gli studenti non ancora padroni della metodologia ingegneristica. Proprio a tali argomenti è dedicata la seguente dispensa, in modo da chiarire e completare la trattazione del libro di testo. Roma, 15 ottobre 2015 Michele Scarpiniti Versione 1.1, ultimo aggiornamento: 15 febbraio 2017 v INDICE Premessa v 1 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli 1 1.1 La connessione in serie e in parallelo 1 1.2 La connessione in serie e in parallelo di resistori 2 1.3 La connessione in serie e in parallelo di induttori 6 1.4 La connessione in serie e in parallelo di condensatori 8 1.5 Le trasformazioni stella-triangolo 10 1.6 Estensione ai domini trasformati 14 1.6.1 Il fenomeno della risonanza 15 1.7 I generatori reali 18 2 circuiti notevoli 25 2.1 Il partitore di tensione 25 2.1.1 Il partitore di tensione nei domini trasformati 2.2 Il partitore di corrente 28 2.2.1 Il partitore di corrente nei domini trasformati 2.3 I circuiti con il nullore 32 2.3.1 Il nullore come generatore di corrente 32 2.3.2 Il nullore come generatore di tensione 33 27 31 3 le reti due porte 35 3.1 La rappresentazione delle reti 2-porte 35 3.2 Rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto 36 3.2.1 Il significato dei parametri 37 3.2.2 Le reti a T 39 3.2.3 La connessione serie-serie 41 3.2.4 Estensione ai domini trasformati 42 3.3 Rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito 44 3.3.1 Il significato dei parametri 45 3.3.2 Le reti a Π 46 3.3.3 La connessione parallelo-parallelo 48 3.3.4 Estensione ai domini trasformati 50 3.4 Relazione tra le due rappresentazioni 51 4 la sovrapposizione degli effetti 53 4.1 Il principio 53 4.2 Applicazione all’elettrotecnica 54 4.3 La sovrapposizione delle potenze 55 4.4 Estensione ai domini trasformati 56 4.5 La sovrapposizione delle potenze attive 5 i teoremi di thevenin e norton 5.1 Il teorema di sostituzione 63 59 63 vii viii Indice 5.2 5.3 5.4 5.5 Il teorema di Thevenin 65 5.2.1 Metodo disgiunto 67 5.2.2 Metodo congiunto 71 Il teorema di Norton 73 5.3.1 Metodo disgiunto 75 5.3.2 Metodo congiunto 78 Trasformazione dei generatori indipendenti 80 5.4.1 Il teorema di Millman 81 Estensione ai domini trasformati 82 5.5.1 Il dominio della trasformata di Laplace 83 5.5.2 Il dominio dei fasori 87 6 trasferimento di potenza attiva 93 6.1 Formulazione del problema 93 6.2 Caso di carico resistivo 96 6.3 Rendimento del trasferimento 97 7 l’amplificatore operazionale 99 7.1 Il componente 99 7.2 Le configurazioni 100 7.2.1 La configurazione invertente 100 7.2.2 La configurazione non invertente 101 7.3 Configurazioni particolari 104 7.3.1 Integratore 104 7.3.2 Derivatore 104 7.3.3 Il sommatore pesato 105 7.3.4 L’inseguitore di tensione 106 7.3.5 Filtro 106 7.4 L’amplificatore operazionale e il nullore 107 7.5 Il funzionamento interno 108 bibliografia 111 a la risoluzione dei sistemi lineari 113 a.1 La definizione di determinante 113 a.2 Il metodo di Cramer 115 b i numeri complessi 117 b.1 La notazione 117 b.1.1 L’unità immaginaria b.1.2 Il numero complesso b.2 Le rappresentazioni 120 b.3 La formula di Eulero 122 117 118 c tavole 123 c.1 Le relazioni costitutive 123 c.1.1 Bipoli fondamentali 123 c.1.2 Elementi a due porte 124 c.2 Circuiti equivalenti nel dominio di Laplace 126 d lista delle trasformate di laplace 129 d.1 Proprietà della trasformata di Laplace 129 d.2 Lista delle principali trasformate di Laplace 130 d.3 Antitrasformata di Laplace degli esponenziali complessi 131 Indice Indice Analitico 133 ix 1 IL COLLEGAMENTO IN SERIE E I N PA R A L L E L O D I B I P O L I I l seguente capitolo è dedicato al collegamento dei tre bipoli fondamentali in connessione serie e parallelo. Dopo aver enunciato le proprietà generali di tali tipi di connessione, si studierà il comportamento del resistore, dell’induttore e del condensatore, rispettivamente. Si illustreranno anche, un insieme di trasformazioni utili nel caso di bipoli non connessi direttamente in serie o parallelo, note come trasformazioni stella-triangolo. 1.1 la connessione in serie e in parallelo Si consideri il collegamento di N bipoli rappresentato in Figura 1.1. Un tale tipo di collegamento si chiama connessione in serie. Una proprietà fondamentale di tale tipo di connessione, come si evince direttamente dall’analisi della Figura 1.1, è che tutti i bipoli sono attraversati dalla stessa corrente, essendo unico il filo di collegamento da terminale A al terminale B. Formalmente, si ha i1 = i2 = i3 = . . . = iN ≡ i. Connessione in serie Corrente nel collegamento in serie (1.1) Per semplicità di notazione, si è preferito eliminare dalle figure ed equazioni la dipendenza temporale. A rigore, bisognerebbe scrivere i1 (t) = i2 (t) = . . ., ecc. i1 v1 i2 v2 v3 i3 iN vN i A B v AB Fig. 1.1: Collegamento in serie di N bipoli. Si applichi ora la seconda legge di Kirchhoff al percorso chiuso BAB, indicato con una linea tratteggiata in Figura 1.1: vAB − v1 − v2 − v3 − . . . − vN = 0. Si ottiene quindi vAB = v1 + v2 + v3 + . . . + vN = Tensione nel collegamento in serie N X vk . (1.2) k=1 Dunque, la tensione sulla serie di N bipoli è pari alla somma delle tensioni dei singoli bipoli. La (1.1) e la (1.2) costituiscono le due proprietà fondamentali del collegamento in serie, che consentirà di semplificare la serie stessa. 1 2 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli A i i1 v1 i2 v2 i3 iN v3 vN v B Fig. 1.2: Collegamento in parallelo di N bipoli. Connessione in parallelo Tensione nel collegamento in parallelo Corrente nel collegamento in parallelo Si consideri ora il collegamento di N bipoli rappresentato in Figura 1.2. Un tale tipo di collegamento si chiama connessione in parallelo. Una proprietà fondamentale di tale tipo di connessione, come si evince direttamente dall’analisi della Figura 1.2, è che tutti i bipoli hanno la stessa tensione, essendo tutti i bipoli collegati tra il terminale A e il terminale B. Formalmente, si ha v1 = v2 = v3 = . . . = vN ≡ v. (1.3) Si applichi ora la prima legge di Kirchhoff al nodo A, indicato con una linea tratteggiata in Figura 1.2: i = i1 + i2 + i3 + . . . + iN = N X ik . (1.4) k=1 Dunque, la corrente che attraverso il parallelo di N bipoli è pari alla somma delle correnti che attraversano i singoli bipoli. La (1.3) e la (1.4) costituiscono le due proprietà fondamentali del collegamento in parallelo, che consentirà di semplificare il parallelo stesso. 1.2 Resistore equivalente in serie la connessione in serie e in parallelo di resistori Si consideri il collegamento in serie di N resistori di resistenza Rk , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale serie si comporti, dal punto di vista esterno, come un resistore di resistenza equivalente Req e quale sia il legame tra le Rk ed Req . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.3, si comporti come un resistore di resistenza Req . A i v1 v2 v3 vN R1 R2 R3 RN B v AB Fig. 1.3: Collegamento in serie di N resistori. A B i Req v AB 1.2 la connessione in serie e in parallelo di resistori 3 Si applichi quindi la (1.2), ricordando la (1.1). Si ottiene direttamente vAB = v1 + v2 + v3 + . . . + vN = R1 i + R2 i + R3 i + . . . + RN i (1.5) = (R1 + R2 + R3 + . . . + RN ) i ≡ Req i. Confrontando la terza e quarta riga nella (1.5) si evince che la resistenza equivalente alla serie di N resistori è pari alla somma delle singole resistenze, ovvero N X Req = R1 + R2 + R3 + . . . + RN = Rk . Resistenza equivalente in serie (1.6) k=1 Dalla (1.6) si può concludere che: la resistenza equivalente alla serie di N resistori è sempre maggiore di ciascuna delle singole resistenze. Esempio 1.1 Si consideri la serie di 3 resistori rappresentata nella figura seguente. Si calcoli la resistenza equivalente nel caso in cui R1 = 5 Ω, R2 = 3 Ω e R3 = 1 Ω. B A R2 R1 R3 Applicando la (1.6) si ottiene direttamente Req = R1 + R2 + R3 = 5 + 3 + 1 = 9 Ω Si consideri ora il collegamento in parallelo di N resistori di resistenza Rk , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale parallelo si comporti, dal punto di vista esterno, come un resistore di resistenza equivalente Req e quale sia il legame tra le Rk ed Req . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.4, si comporti come un resistore di resistenza Req . Resistore equivalente in parallelo A i A i i1 R1 i2 R2 iN i3 R3 v RN v Req B B Fig. 1.4: Collegamento in parallelo di N resistori. Si applichi quindi la (1.4), ricordando la (1.3) e si denoti con Gk = 1/Rk la conduttanza del k-simo resistore. Si ottiene direttamente Conduttanza 4 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli i = i1 + i2 + i3 + . . . + iN = G1 v + G2 v + G3 v + . . . + GN v (1.7) = (G1 + G2 + G3 + . . . + GN ) v ≡ Geq v. Conduttanza equivalente in parallelo Confrontando la terza e quarta riga nella (1.7) si evince che la conduttanza equivalente al parallelo di N resistori è pari alla somma delle singole conduttanze, ovvero Geq = G1 + G2 + G3 + . . . + GN = N X Gk . (1.8) k=1 Resistenza equivalente in parallelo Se si è interessati alla resistenza, piuttosto che la conduttanza, è possibile ricavare, invertendo la (1.8) Req = PN 1 1 k=1 Rk . (1.9) Dalla (1.9) si può concludere che: la resistenza equivalente al parallelo di N resistori è sempre minore della più piccola resistenza. Di particolare interesse è il calcolo della (1.9) nel caso di due sole resistenze. Infatti, nel caso si debba calcolare il parallelo di R1 e R2 , si ha 1 1 1 = + Req R1 R2 Parallelo di due resistenze Req = R1 R2 . R1 + R2 Dunque, la resistenza equivalente al parallelo di due resistori è pari al rapporto tra il prodotto delle due resistenze e la loro somma: Req = Parallelo tra due resistenze uguali ⇔ R1 R2 R1 + R2 (1.10) La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui le due resistenze siano di uguale valore R1 = R2 ≡ R. In quest’ultimo caso, direttamente dalla (1.10) si ottiene Req = R . 2 (1.11) Quindi, la resistenza equivalente al parallelo di due resistori di uguale valore è pari a mezza resistenza. Esempio 1.2 Si consideri il parallelo di tre resistori rappresentato nella figura seguente. Si calcoli la resistenza equivalente nel caso in cui R1 = 2 Ω, R2 = 4 Ω e R3 = 1 Ω. A R1 R2 B R3 1.2 la connessione in serie e in parallelo di resistori Applicando la (1.9) si ottiene direttamente 1 Req = 1 R1 + 1 R2 + = 1 R3 1 1 2 + 1 4 +1 = 4 Ω 7 E’ poi possibile applicare consecutivamente e alternativamente il calcolo della resistenza equivalente serie e parallela, per semplificare un bipolo complesso, costituito da molteplici resistenze connesse in vario modo. L’esempio seguente chiarisce questa possibilità. Si vuole solo ricordare che il processo di semplificazione inizia solitamente dalla parte opposta ai terminali da cui si è interessati all’equivalenza. Esempio 1.3 Si trovi la resistenza equivalente al bipolo accessibile dai terminali AB e rappresentato nella figura seguente. Tutte le resistenze hanno stesso valore, pari a R = 8 Ω. Si A R R R R R R B procede per passi. Si inizia con calcolare l’equivalente della serie dei due resistori a sinistra. Dunque Req1 = 2R come mostrato nella parte (a) della figura seguente. A questo punto, sul lato sinistro del circuito ci sono due resistori in parallelo. Applicando la (1.10) si ottiene Req2 = 32 R, come mostrato nella parte (b) della figura. Si A A R 2R R R R 2 R 3 R R R B B (a) (b) A A 5 R 3 5 R 8 R 13 R 8 B (c) A R R B (d) B (e) continua, come messo in evidenza nella parte (c) della figura, calcolando l’equivalente della serie a sinistra, ovvero Req3 = 35 R, proseguendo con l’equivalente parallelo Req4 = 58 R, come mostrato nella parte (d). Infine, si procede con il calcolo della serie rimasta, come mostrato nella parte (e), ottenendo Req5 = 13 8 R = 13 Ω. 5 6 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli 1.3 Induttore equivalente in serie la connessione in serie e in parallelo di induttori Analogamente a quanto visto nel paragrafo precedente, si consideri il collegamento in serie di N induttori di induttanza Lk , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale serie si comporti, dal punto di vista esterno, come un induttore di induttanza equivalente Leq e quale sia il legame tra le Lk ed Leq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.5, si comporti come un induttore di induttanza Leq . A i v1 v2 vN L1 L2 LN B A B i Leq v AB v AB Fig. 1.5: Collegamento in serie di N induttori. Si applichi quindi la (1.2), ricordando la (1.1). Si ottiene direttamente vAB = v1 + v2 + . . . + vN di(t) di(t) di(t) + L2 + . . . + LN dt dt dt di(t) = (L1 + L2 + . . . + LN ) dt di(t) ≡ Leq . dt = L1 Induttanza equivalente in serie (1.12) Confrontando la terza e quarta riga nella (1.12) si evince che l’induttanza equivalente alla serie di N induttori è pari alla somma delle singole induttanze, ovvero Leq = L1 + L2 + . . . + LN = N X Lk . (1.13) k=1 Induttore equivalente in parallelo Dalla (1.13) si può concludere che: l’induttanza equivalente alla serie di N induttori è sempre maggiore di ciascuna delle singole induttanze. Si consideri ora il collegamento in parallelo di N induttori di induttanza Lk , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale parallelo si comporti, dal punto di vista esterno, come un induttore di induttanza equivalente Leq e quale sia il legame tra le Lk ed Leq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.6, si comporti come un induttore di induttanza Leq . Si applichi quindi la (1.4), ricordando la (1.3). Si ottiene direttamente i = i1 + i2 + . . . + iN Z Z Z 1 t 1 t 1 t = v(τ)dτ + v(τ)dτ + . . . + v(τ)dτ L1 −∞ L2 −∞ LN −∞ Zt 1 1 1 = + +...+ v(τ)dτ L1 L2 LN −∞ Z 1 t ≡ v(τ)dτ. Leq −∞ Induttanza equivalente in parallelo Confrontando la terza e quarta riga nella (1.14) si evince che (1.14) 1.3 la connessione in serie e in parallelo di induttori 7 A i i1 i2 L1 L2 A L3 i iN i3 v LN v Leq B B Fig. 1.6: Collegamento in parallelo di N induttori. 1 Leq = N X 1 1 1 1 + +...+ = . L1 L2 LN Lk (1.15) k=1 Dalla (1.15) si può concludere che: l’induttanza equivalente al parallelo di N induttori è sempre minore della più piccola induttanza. Di particolare interesse è il calcolo della (1.15) nel caso di due sole induttanze. Infatti, nel caso si debba calcolare il parallelo di L1 e L2 , si ha 1 Leq = 1 1 + L1 L2 ⇔ Leq = L1 L2 . L1 + L2 Dunque, l’induttanza equivalente al parallelo di due induttori è pari al rapporto tra il prodotto delle due induttanze e la loro somma: Leq = L1 L2 L1 + L2 (1.16) La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui le due resistenze siano di uguale valore L1 = L2 ≡ L. In quest’ultimo caso, direttamente dalla (1.16) si ottiene Leq = L . 2 Parallelo di due induttanze uguale (1.17) Quindi, l’induttanza equivalente al parallelo di due induttori di uguale valore è pari a mezza induttanza. La relazione (1.15) può essere semplificata se si introduce il concetto di inertanza Γ = 1/L, definita come l’inverso dell’induttanza e misurata in H−1 . Infatti è possibile riscrivere la (1.15) in funzione delle singole inertanze Γk come segue Γeq = Γ1 + Γ2 + . . . + ΓN = Parallelo di due induttanze N X Γk . (1.18) k=1 Da tale relazione si deduce che l’inertanza equivalente al parallelo di N induttori è pari alla somma delle singole inertanze. Inertanza 8 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli 1.4 Condensatore equivalente in serie la connessione in serie e in parallelo di condensatori Si continui con la connessione di bipoli, considerando il collegamento in serie di N condensatori di capacità Ck , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale serie si comporti, dal punto di vista esterno, come un condensatore di capacità equivalente Ceq e quale sia il legame tra le Ck ed Ceq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.7, si comporti come un condensatore di capacità Ceq . A i v1 v2 vN C1 C2 CN B A B i Ceq v AB v AB Fig. 1.7: Collegamento in serie di N condensatori. Si applichi quindi la (1.2), ricordando la (1.1). Si ottiene direttamente vAB = v1 + v2 + . . . + vN Z Z Z 1 t 1 t 1 t = i(τ)dτ + i(τ)dτ + . . . + i(τ)dτ C1 −∞ C2 −∞ CN −∞ Zt (1.19) 1 1 1 = + +...+ i(τ)dτ C1 C2 CN −∞ Zt 1 ≡ i(τ)dτ. Ceq −∞ Capacità equivalente in serie Confrontando la terza e quarta riga nella (1.19) si evince che N X 1 1 1 1 1 + +...+ = . = Ceq C1 C2 CN Ck (1.20) k=1 Serie di due capacità Dalla (1.20) si può concludere che: la capacità equivalente alla serie di N condensatori è sempre minore della più piccola capacità. Di particolare interesse è il calcolo della (1.20) nel caso di due sole capacità. Infatti, nel caso si debba calcolare la serie di C1 e C2 , si ha 1 1 1 = + Ceq C1 C2 ⇔ Ceq = C1 C2 . C1 + C2 Dunque, la capacità equivalente alla serie di due condensatori è pari al rapporto tra il prodotto delle due capacità e la loro somma: Ceq = Serie di due capacità uguali C1 C2 C1 + C2 (1.21) La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui le due capacità siano di uguale valore C1 = C2 ≡ C. In quest’ultimo caso, direttamente dalla (1.21) si ottiene Ceq = C . 2 (1.22) Quindi, la capacità equivalente alla serie di due condensatori di uguale valore è pari a mezza capacità. 1.4 la connessione in serie e in parallelo di condensatori La relazione (1.20) può essere semplificata se si introduce il concetto di elastanza S = 1/C, definita come l’inverso della capacità e misurata in F−1 . Infatti è possibile riscrivere la (1.20) in funzione delle singole elastanze Sk come segue Seq = S1 + S2 + . . . + SN = N X Sk . 9 Elastanza (1.23) k=1 Da tale relazione si deduce che l’elastanza equivalente alla serie di N condensatori è pari alla somma delle singole elastanze. Si consideri ora il collegamento in parallelo di N condensatori di capacità Ck , k = 1, 2, . . . , N. Si vuole rispondere alla domanda se tale parallelo si comporti, dal punto di vista esterno, come un condensatore di capacità equivalente Ceq e quale sia il legame tra le Ck ed Ceq . Si vuole cioè, stabilire se il bipolo tra i terminali A e B in Figura 1.8, si comporti come un condensatore di capacità Ceq . Condensatore equivalente in parallelo A i i1 C1 i2 C2 A C3 i iN i3 v v Ceq CN B B Fig. 1.8: Collegamento in parallelo di N condensatori. Si applichi quindi la (1.4), ricordando la (1.3). Si ottiene direttamente i = i1 + i2 + . . . + iN dv(t) dv(t) dv(t) + C2 + . . . + CN dt dt dt dv(t) = (C1 + C2 + . . . + CN ) dt dv(t) ≡ Ceq . dt = C1 (1.24) Confrontando la terza e quarta riga nella (1.24) si evince che la capacità equivalente al parallelo di N condensatori è pari alla somma delle singole capacità, ovvero Ceq = C1 + C2 + . . . + CN = N X Ck . (1.25) k=1 Dalla (1.25) si può concludere che: la capacità equivalente al parallelo di N condensatori è sempre maggiore di ciascuna delle singole capacità. Come osservazione generale al collegamento in serie e in parallelo dei tre bipoli fondamentali, si noti che resistori e induttori hanno un comportamento simile, mentre i condensatori si comportano in modo duale, ovvero Capacità equivalente in parallelo 10 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli la connessione in serie dei condensatori è analoga al collegamento in parallelo di resistori e induttori, e viceversa. Tale comportamento è conseguenza della dualità della relazione costitutiva di induttore e condensatore, cioè lo scambio del ruolo di corrente e tensione. 1.5 Connessione né in serie né in parallelo le trasformazioni stella-triangolo Si provi a calcolare la resistenza equivalente del bipolo rappresentato in Figura 1.9. Dopo un’attenta analisi si nota immediatamente che non è possibile trovare nessun resistore in serie o in parallelo a qualche altro. R A R R R R R R B Fig. 1.9: Esempio di circuito in cui i resistori non sono né in serie, né in parallelo. Rete a T Rete a Π Si supponga comunque, che esista una qualche trasformazione che trasformi il sotto-circuito nel tratteggio rosso in Figura 1.9 (i tre resistori a forma di T) in quello illustrato nella parte destra della Figura 1.10 (i tre resistori a forma di Π). Se tale trasformazione esiste, sostituendo il nuovo sotto-circuito a forma di Π a quello a T, rende possibile effettuare gli equivalenti paralleli tra le nuove resistenze R1 , R2 e R3 con le rimanenti e, di conseguenza, il calcolo della resistenza equivalente dell’intero circuito. A B A B r2 r1 r3 R3 R2 R1 C C Fig. 1.10: Trasformazione da una T di resistori a un Π di resistori. Trasformazione T-Π Trasformazione stella-triangolo Fortunatamente, una tale trasformazione esiste. Essa è tale per cui una rete a T di bipoli può essere trasformata in una rete a Π e viceversa. Definiremo tale trasformazione come trasformazione T-Π. Spesso nella letteratura elettrotecnica, una rete a T è chiamata anche stella, mentre una rete a Π triangolo (si veda la Figura 1.11). Tale nomenclatura giustifica la comune denominazione di trasformazioni stella-triangolo e triangolo-stella per tale tipo trasformazione circuitale. Verranno di seguito mostrate le trasformazioni stella-triangolo per i tre bipoli fondamentali senza dimostrazione. Si rimanda a testi specialistici per una dimostrazione analitica. Comunque, tali trasformazioni verranno ottenute in modo diverso nel Capitolo 3. 1.5 le trasformazioni stella-triangolo A B A B z2 z1 11 Z3 z3 Z2 Z1 C C A B A z1 B z2 Z3 Z2 Z1 z3 C C Fig. 1.11: Trasformazione T-Π (prima riga) ovvero stella-triangolo (seconda riga) per bipoli generici. Si cominci con il caso dei resistori. Con riferimento alla Figura 1.10 di ottiene il seguente insieme di equazioni R2 R3 R R1 R3 r2 = R R1 R2 r3 = R R = R1 + R2 + R3 r2 r3 r r1 r3 R2 = r r1 r2 R3 = r 1 1 1 1 = + + r r1 r2 r3 Trasformazione stella-triangolo di resistori R1 = r1 = (1.26) (1.27) Si osservi attentamente l’ordine delle resistenze r1 , r2 e r3 nel circuito a T e R1 , R2 , e R3 nel circuito a Π. Mentre r1 è attaccata al morsetto A, la R1 è attaccata al morsetto B. La numerazione poi prosegue sempre in senso orario. In modo del tutto simile, con riferimento alla Figura 1.12, è possibile scrivere le trasformazioni stella-triangolo per gli induttori L2 L3 L L1 L3 l2 = L L1 L2 l3 = L L = L1 + L2 + L3 l2 l3 l l1 l3 L2 = l l1 l2 L3 = l 1 1 1 1 = + + l l1 l2 l3 Trasformazione stella-triangolo di induttori L1 = l1 = (1.28) (1.29) Con riferimento alla Figura 1.13, si scrivono le trasformazioni stella-triangolo per i condensatori Trasformazione stella-triangolo di condensatori 12 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli A B A B l2 l1 L3 l3 L2 L1 C C Fig. 1.12: Trasformazione stella-triangolo di induttori. C2 C3 C C1 C3 c2 = C C1 C2 c3 = C 1 1 1 1 + + = C C1 C2 C3 c2 c3 c c1 c3 C2 = c c1 c2 C3 = c c = c1 + c2 + c3 c1 = C1 = (1.30) A B c1 (1.31) A B c2 C3 c3 C2 C1 C C Fig. 1.13: Trasformazione stella-triangolo di condensatori. Segue un esempio che mostra l’utilità delle trasformazioni stella-triangolo nella semplificazione di un circuito non direttamente risolvibile senza l’applicazione di un metodo di analisi. Esempio 1.4 Si trovi la resistenza equivalente al bipolo accessibile dai terminali AB e rappresentato nella figura seguente. Sia R1 = R6 = 4 Ω, R2 = 1 Ω, R3 = R4 = 2 Ω, R5 = 8 Ω e R7 = 3 Ω. R6 A R4 R2 R1 R3 R7 R5 B Si procede per passi. Si inizia con calcolare l’equivalente della T di resistori nel tratteggio rosso, attraverso le trasformazioni stella-triangolo. In questo caso specifico, i tre resistori r1 , r2 e r3 di Figura 1.10 sono R2 , R4 e R3 , rispettivamente. I nuovi resistori nella configurazione Π vengono indicati con una tilde. Applicando dunque le (1.27) e con riferimento alla Figura 1.10, si ottiene 1 1 1 1 1 1 = + + = 1 + + = 2 Ω−1 r R2 R3 R4 2 2 ⇒ r= 1 Ω 2 1.5 le trasformazioni stella-triangolo e di conseguenza R̃1 = R3 R4 2·2 = 1 =8Ω r 2 R̃2 = R2 R3 1·2 = 1 =4Ω r 2 R̃3 = R2 R4 1·2 = 1 =4Ω r 2 Il circuito assegnato, viene quindi trasformato nel seguente, in cui la T di resistori nel tratteggio rosso è sostituito con il corrispondente Π. Si noti che tale trasformazione R6 A R7 R3 R1 R1 R2 R5 B ha eliminato il nodo centrale del circuito (quello in cui sono collegati i resistori R2 , R4 e R3 ). A questo punto è quindi possibile calcolare gli equivalenti dei tre paralleli Req1 = 4·4 R1 R̃2 =2Ω = 4 +4 R1 + R̃2 Req2 = R6 R̃3 4·4 =2Ω = 4+4 R6 + R̃3 Req3 = R5 R̃1 8·8 = =4Ω 8+8 R5 + R̃1 ottenendo il circuito mostrato nella parte (a) della figura seguente. A A Req1 R7 R7 Req 2 Req 4 Req 3 Req 3 B (a) B (b) A A R7 Req Req 5 B (c) B (d) Si prosegue calcolando in sequenza gli equivalenti serie e parallelo del resto dei componenti del circuito. Dunque è Req4 = Req1 + Req2 = 4 Ω come mostrato nella parte (b) della figura seguente. A questo punto, sul lato sinistro del circuito ci sono due resistori in parallelo. Applicando la (1.11) si ottiene Req5 = 2 Ω, come mostrato nella parte (c) della figura. 13 14 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli Infine, si procede con il calcolo della serie rimasta, come mostrato nella parte (d), ottenendo Req = Req5 + R7 = 5 Ω. 1.6 Fasore estensione ai domini trasformati E’ facile rendersi conto che le relazioni fondamentali date dalle (1.1) e (1.2) per il caso di collegamento in serie e dalle (1.3) e (1.4) per il caso di collegamento parallelo, continuano a valere anche nel dominio della trasformata di Laplace e nel dominio dei fasori, vista la linearità di tali trasformazioni. Con riferimento alla Figura 1.1 nel caso di collegamento in serie, le (1.1) e (1.2) divengono I1 (s) = I2 (s) = I3 (s) = . . . = IN (s) ≡ I(s), (1.32) VAB (s) = V1 (s) + V2 (s) + V3 (s) + . . . + VN (s) = N X Vk (s), (1.33) k=1 nel dominio di Laplace e I1 = I2 = I3 = . . . = IN ≡ I, (1.34) VAB = V1 + V2 + V3 + . . . + VN = N X (1.35) Vk , k=1 nel dominio dei fasori. Analogamente, con riferimento alla Figura 1.2 nel caso di collegamento in parallelo, le (1.3) e (1.4) divengono V1 (s) = V2 (s) = V3 (s) = . . . = VN (s) ≡ V(s), I(s) = I1 (s) + I2 (s) + I3 (s) + . . . + IN (s) = N X (1.36) Ik (s), (1.37) k=1 nel dominio di Laplace e V1 = V2 = V3 = . . . = VN ≡ V, I = I1 + I2 + I3 + . . . + IN = (1.38) N X Ik , (1.39) k=1 Impedenza nel dominio dei fasori. Utilizzando tali relazioni e ricordando che in un dominio trasformato le impedenze si comportano come le resistenze, è possibile ricavare espressioni simili alla (1.5) e alla (1.7), espresse nel dominio trasformato. Tali equazioni permettono di ricavare l’espressione dell’impedenza equivalente Zeq e dell’ammettenza equivalente Yeq di una serie di N bipoli. Si ha Zeq = Z1 + Z2 + . . . + ZN = Yeq = Y1 + Y2 + . . . + YN = N X k=1 N X Zk , Yk , (1.40) (1.41) k=1 Ammettenza Si ricorda che l’ammettenza è definita come l’inverso dell’impedenza, cioè 1.6 estensione ai domini trasformati Yk = 1/Zk e si misura in Ω−1 . Anche nei domini trasformati è di particolare interesse il calcolo della (1.41) nel caso di due sole impedenze. Infatti, nel caso si debba calcolare il parallelo di Z1 e Z2 , si ottiene facilmente Zeq = Z1 Z2 Z1 + Z2 Parallelo di due impedenze (1.42) Dunque, l’impedenza equivalente al parallelo di due impedenze è pari al rapporto tra il prodotto delle due impedenze e la loro somma. La formula precedente può essere ulteriormente semplificata nel caso in cui le due impedenze siano di uguale natura (due resistori, due induttori o due condensatori) e stesso valore Z1 = Z2 ≡ Z. In quest’ultimo caso, direttamente dalla (1.42) si ottiene Zeq = 15 Z . 2 Parallelo di due impedenze uguali (1.43) Quindi, l’impedenza equivalente al parallelo di due impedenze di stessa natura e uguale valore è pari a mezza impedenza. Si noti che, in un dominio trasformato, è possibile calcolare l’equivalente serie e parallelo anche di bipoli di diversa natura, differentemente a quello che accadeva nel dominio del tempo. Questo comportamento è conseguenza della definizione di impedenza come generalizzazione di resistenza. Tutti i bipoli, in un dominio trasformato, si comportano come un resistore. Esempio 1.5 Si calcoli l’equivalente serie del circuito illustrato nella figura seguente. Sia ω0 = 1 rad/sec, R = 3 Ω, L = 2 H e C = 1 F. A B i R L C A B i Z eq Applicando la (1.40) si ha Zeq = R + jω0 L + 1.6.1 1 = 3 + j2 − j = 3 + j [Ω]. jω0 C Il fenomeno della risonanza Si consideri un’impedenza Z nel dominio dei fasori. In generale tale impedenza avrà una parte reale, che rappresenta gli effetti resistivi, ed una parte immaginaria, detta reattanza e denotata con X, che rappresenta gli effetti induttivi e capacitivi Reattanza Z = R + jX. Analogamente, un’ammettenza Y nel dominio dei fasori avrà una parte reale ed una parte immaginaria, detta suscettanza e denotata con B Y = G + jB. In generale, i valori delle reattanze e suscettanze dipendono dalla particolare pulsazione ω0 di lavoro. Può capitare che esistano particolari valori di ω0 per i quali la reattanza o la suscettanza risulti nulla. In questo caso particolare, l’impedenza, o l’ammettenza risulterà di natura resistiva. La Suscettanza 16 Risonanza il collegamento in serie e in parallelo di bipoli particolare pulsazione ω0 che annulla la parte immaginaria dell’impedenza prende il nome di pulsazione di risonanza. Si definisce risonanza tale fenomeno e si dirà, in questo caso, che l’impedenza Z (o l’ammettenza Y) sarà risonante alla pulsazione ω0 . Per calcolare la particolare pulsazione di risonanza di un bipolo, si procede con il calcolo dell’impedenza (o ammettenza) equivalente e quindi si impone che la reattanza (o suscettanza), cioè la sua parte immaginaria, sia nulla. Anche se è possibile calcolare la pulsazione di risonanza per qualsiasi bipolo, nel seguito si analizzeranno due tipici esempi utili nelle applicazioni e noti come circuito risonante serie e circuito risonante parallelo. Circuito risonante serie Si consideri il bipolo rappresentato in Figura 1.14. Si vuole determinare la pulsazione di risonanza. A B I L R C Fig. 1.14: Esempio di circuito risonante serie. L’impedenza equivalente del bipolo è Zeq Pulsazione di risonanza 1 1 = R + jω0 L + = R + j ω0 L − ≡ R + jX. jω0 C ω0 C (1.44) Annullando la reattanza nella (1.44) si ottiene la pulsazione di risonanza: X = 0 ⇒ ω0 L − 1 1 = 0 ⇒ ω0 = √ . ω0 C LC (1.45) Si supponga ora che il bipolo in questione venga utilizzato in condizioni di risonanza, cioè alla pulsazione ω0 calcolata in (1.45) e che sia attraversato dalla corrente I. La tensione VAB sull’intero bipolo vale quindi: VAB = Zeq I = (R + jX) I = RI ≡ VR . (1.46) Quindi la tensione sul bipolo coincide con la tensione sulla resistenza R. Attenzione però, questo non significa che le tensioni VL e VC dell’induttore e del condensatori siano nulle, ma solo che la loro somma VL + VC è nulla. Infatti, spesso tali tensioni sono molto elevate, rendendo pericoloso l’eventuale contatto con uno di questi componenti. A tal proposito, si alimenti il bipolo in Figura 1.14 con un generatore indipendente di tensione sinusoidale con pulsazione ω0 calcolata in (1.45) e ampiezza Vg . La corrente I che scorre nel bipolo, a seguito della risonanza, vale I= Vg Vg ≡ . Zeq R (1.47) La (1.47) implica che la tensione del bipolo valga: VAB = RI ≡ Vg . A questo punto, la tensione dell’induttore è ω L 1 VL = jω0 LI = j 0 Vg = j R R r L Vg ≡ jQVg , C (1.48) 1.6 estensione ai domini trasformati in cui si è indicato con Q la seguente quantità r 1 L Q= . R C 17 (1.49) Il parametro Q prende il nome di fattore di merito del circuito risonante serie e, di solito, assume valori maggiori dell’unità. Spesso capita che Q >> 1, il che implica, utilizzando la (1.48), che il modulo della tensione dell’induttore VL è Q volte il modulo della tensione impressa del generatore Vg e quindi, plausibilmente, molto maggiore di quest’ultima. Analogamente, la tensione del condensatore è r 1 1 1 L VC = I = −j Vg = −j Vg ≡ −jQVg . (1.50) jω0 C ω0 RC R C Fattore di merito del circuito risonante serie La (1.50) dimostra che anche la tensione VC del condensatore ha stesso valore della tensione dell’induttore VL , ma segno opposto, in modo da annullare quindi la loro somma. Circuito risonante parallelo Si consideri il bipolo rappresentato in Figura 1.15. Si vuole determinare la pulsazione di risonanza. A I IR R IC IL L V C B Fig. 1.15: Esempio di circuito risonante parallelo. L’ammettenza equivalente del bipolo è 1 1 = G + j ω0 C − ≡ G + jB. Yeq = G + jω0 C + jω0 L ω0 L (1.51) Annullando la suscettanza nella (1.51) si ottiene la pulsazione di risonanza: B = 0 ⇒ ω0 C − 1 1 = 0 ⇒ ω0 = √ . ω0 L LC (1.52) Osservando la (1.52) e la (1.45) ci si rende conto che i due bipoli di Figura 1.14 e Figura 1.15 hanno la stessa frequenza di risonanza. Si supponga ora che il bipolo in questione venga utilizzato in condizioni di risonanza, cioè alla pulsazione ω0 calcolata in (1.52) e che sia sottoposto alla differenza di potenziale V. La corrente I che attraversa il bipolo vale quindi: I = Yeq V = (G + jB) V = GV ≡ IR . (1.53) Pulsazione di risonanza 18 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli Quindi la corrente che attraversa il bipolo coincide con la corrente che scorre sulla resistenza R. Attenzione però, questo non significa che le correnti IL e IC dell’induttore e del condensatori siano nulle, ma solo che la loro somma IL + IC è nulla. Infatti, spesso tali correnti sono molto elevate, rendendo pericoloso l’eventuale contatto con uno di questi componenti. A tal proposito, si alimenti il bipolo in Figura 1.15 con un generatore indipendente di corrente sinusoidale con pulsazione ω0 calcolata in (1.52) e ampiezza Ig . La tensione V del bipolo, a seguito della risonanza, vale V= Ig ≡ RIg . Yeq (1.54) La (1.54) implica che la corrente che attraversa il bipolo valga: I = GV ≡ Ig . A questo punto, la corrente che attraversa l’induttore è r C R 1 V = −j Ig = −jR Ig ≡ −jQIg , (1.55) LL = jω0 L ω0 L L in cui si è indicato con Q la seguente quantità r C . Q=R L Fattore di merito del circuito risonante parallelo (1.56) Il parametro Q, in questo caso, prende il nome di fattore di merito del circuito risonante parallelo e coincide con l’inverso della (1.49) nel caso serie. Anche in questo caso, di solito, assume valori maggiori dell’unità e spesso capita che Q >> 1, il che implica, utilizzando la (1.55), che il modulo della corrente dell’induttore IL è Q volte il modulo della corrente impressa del generatore Ig e quindi, plausibilmente, molto maggiore di quest’ultima. Analogamente, la corrente che scorre nel condensatore è r C IC = jω0 CV = jω0 RCIg = jR Ig ≡ jQIg . (1.57) L La (1.57) dimostra che anche la corrente IC che attraversa il condensatore ha stesso valore della corrente che attraversa l’induttore IL , ma segno opposto, in modo da annullare quindi la loro somma. 1.7 Parallelo di due generatori indipendenti di tensione Serie di due generatori indipendenti di corrente i generatori reali Esistono alcuni casi particolare in cui connettendo in serie o in parallelo due bipoli particolari si ottiene un assurdo fisico. Questi casi particolari coincidono con il collegamento in parallelo di due (o più) generatori indipendenti di tensione e il collegamento in serie di due (o più) generatori indipendenti di corrente, come illustrato graficamente in Figura 1.16. Infatti, con riferimento alla parte a) di Figura 1.16 in cui si è indicato con v(t) la tensione del parallelo, si dovrebbe avere che v(t) = vg1 (t) e v(t) = vg2 (t) e dunque dovrebbe essere vg1 (t) = vg2 (t) contro il caso generale in cui i due generatori abbiano grandezze impresse diverse vg1 (t) 6= vg2 (t). Queste condizioni sono in contrasto tra di loro e non possono mai essere soddisfatte contemporaneamente, tranne nel caso particolare di grandezze impresse uguali1 e dunque anche tale tipo di connessione porta ad un assurdo fisico. In modo simile, con riferimento alla parte b) di Figura 1.16 in cui si è 1 In quest’ultimo caso, comunque, rimarrebbe indeterminata la corrente che scorre nel parallelo. 1.7 i generatori reali 19 A + + v g1 (t ) v g 2 (t ) + ig 2 (t ) ig1 (t ) i (t ) v(t ) A - B B a) b) Fig. 1.16: a) Connessione in parallelo di due generatori indipendenti di tensione e b) connessione in serie di due generatori indipendenti di corrente. indicato con i(t) la corrente che scorre nella serie, si dovrebbe avere che i(t) = ig1 (t) e i(t) = ig2 (t) e dunque dovrebbe essere ig1 (t) = ig2 (t) contro il caso generale in cui i due generatori abbiano grandezze impresse diverse ig1 (t) 6= ig2 (t). Queste condizioni sono in contrasto tra di loro e non possono mai essere soddisfatte contemporaneamente, tranne nel caso particolare di grandezze impresse uguali2 e dunque un tale tipo di connessione porta ad un assurdo fisico. Matematicamente, questi assurdi nascono perché si sono idealizzati troppo i modelli dei due generatori indipendenti. Nelle applicazioni pratiche dovrà pur succedere qualcosa e i due circuiti precedenti si porteranno verso un punto di equilibrio. Nella realtà, ogni generatore reale contiene al suo interno un effetto resistivo e questo significa che la corrente o la tensione applicata ad un carico sarà diversa da quella impressa. Dal punto di vista circuitale, dunque, un generatore reale contiene oltre al bipolo “generatore indipendente” anche un resitore Rg , definita resistenza interna del generatore. In particolare, nel caso di un generatore indipendente reale di tensione, tale resistore è collegato in serie al generatore ideale, mentre nel caso di un generatore indipendente di corrente, tale resistore è collegato in parallelo al generatore ideale, come mostrato in Figura 1.17. In tale Figura, si è indicato rispettivamente con v0 (t) e i0 (t) la tensione e la corrente dei generatori reali. Rg + v g (t ) A A + + i (t ) v0 (t ) - i g (t ) i0 (t ) Rg v(t ) B B a) b) Fig. 1.17: a) Generatore indipendente reale di tensione e b) generatore indipendente reale di corrente. Connettendo in parallelo due (o più) generatori indipendenti reali di tensione e in serie due (o più) generatori indipendenti reali di corrente, scompare l’assurdo fisico evidenziato in precedenza. Infatti, in questo nuovo caso, sarà la serie del primo generatore con la propria resistenza interna che dovrà avere la stessa tensione della serie del secondo generatore con le relativa resistenza interna: questo significa e i due resistori che rappresentano le resistenze interne dei generatori vanno a compensare le tensioni dei due rami 2 In quest’ultimo caso, comunque, rimarrebbe indeterminata la tensione ai capi della serie. Generatore reale Resistenza interna del generatore 20 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli fino ad ottenere la tensione comune. Un discorso analogo può essere fatto per il caso dei generatori reali di corrente. Si veda come esempio numerico la connessione in parallelo di due generatori reali di tensione. Esempio 1.6 Si determini la tensione v(t) tra i nodi A e B del parallelo tra i due generatori di tensione reali mostrati nella seguente figura. Sia vg1 (t) = 4 V, vg2 (t) = 2 V, R1 = 1 Ω e R2 = 3 Ω. A + R1 + + vR2 (t ) vR1 (t ) + + vg1 (t ) R2 v (t ) vg2 (t ) i(t ) B La corrente i(t) che scorre nella maglia di figura è: i(t) = vg1 (t) − vg2 (t) 4−2 1 = = A R1 + R2 1+3 2 La tensione sul resistore R1 , applicando la legge di Ohm, vale: vR1 (t) = R1 i(t) = 1 V 2 Di conseguenza la tensione v(t) cercata tra i nodi A e B del circuito è semplicemente v(t) = vg1 (t) − vR1 (t) = 4 − 1 7 = = 3.5 V 2 2 Si analizzeranno ora più in dettaglio i due generatori reali, iniziando da quello di tensione. Con riferimento alla parte a) di Figura 1.17 e applicando la seconda legge di Kirchhoff, si ottiene: v0 (t) = vg (t) − Rg i(t). (1.58) La potenza istantanea in uscita dal generatore è allora data da: p(t) = v0 (t)i(t) = (vg (t) − Rg i(t)) i(t) = vg (t)i(t) − Rg i2 (t). Potenza erogata limitata (1.59) Tale potenza è un’espressione quadratica in i(t) e assume sempre un valore massimo (si veda la Figura 1.18). Per determinare il valore della corrente a cui si ottiene tale massimo, basta porre a zero la derivata della (1.59) rispetto alla i(t): dp(t) = vg (t) − 2Rg i(t) ≡ 0, di(t) che risolta fornisce i(t) = vg (t) icc (t) ≡ . 2Rg 2 (1.60) 1.7 i generatori reali p (t ) pm (t ) icc (t ) i (t ) icc (t ) 2 Nella (1.60) si è denotato con icc (t) = vg (t)/Rg la corrente che scorre nella maglia del generatore reale dopo averlo cortocircuitato. Per tale motivo tale corrente è chiamata corrente di corto circuito. Sostituendo la (1.60) nella (1.59) si ottiene l’espressione della massima potenza erogabile dal generatore reale di tensione 21 Corrente di corto circuito v2g (t) . 4Rg (1.61) Fig. 1.18: Andamento della potenza erogata da un generatore reale di Si osservi che, al contrario, poiché tensione. pm (t) = la corrente che scorre in un generatore indipendente di tensione ideale è arbitraria (nel senso che dipende dal resto del circuito), la potenza erogata dal generatore indipendente di tensione ideale è illimitata. Infatti, dal punto di vista matematico, tale potenza vale pi (t) = vg (t)i(t) che non presenta massimi per nessun valore finito di i(t) essendo una funzione monotonica crescente con i(t). E’ possibile confrontare un generatore indipendente reale di tensione con la sua versione ideale attraverso il rendimento ηv definito come il rapporto tra la potenza (1.59) e la potenza pi (t) del caso ideale: ηv = (vg (t) − Rg i(t)) i(t) Rg i(t) p(t) i(t) = = 1− ≡ 1− . pi (t) vg (t)i(t) vg (t) icc (t) Rendimento (1.62) Poiché la corrente i(t) dipende dal carico, rappresentato dalla resistenza Rc a cui viene attaccato il generatore reale, si ha i(t) = vg (t) vg (t) 6 = icc (t). Rg + Rc Rg Tale osservazione giustifica la seguente proprietà ηv 6 1, (1.63) ovvero che il rendimento di un generatore reale di tensione è sempre inferiore all’unità. E’ comunque interessante notare che, in condizioni di massima potenza (1.60), è ηv = 12 , cioè il rendimento è piuttosto basso. Ad un’attenta osservazione, si capisce che la massima potenza erogabile (1.59) e il rendimento (1.62) sono due obiettivi contrastanti. E’ infatti abbastanza chiaro che per ottenere valori elevati del rendimento è indispensabile lavorare con correnti i(t) molto piccole e quindi notevolmente inferiori a icc (t)/2, valore per cui si ha la massima potenza erogabile. E’ ora possibile ripetere tali ragionamento per il generatore indipendente reale di corrente. Con riferimento alla parte b) di Figura 1.17 e applicando la prima legge di Kirchhoff, si ottiene: i0 (t) = ig (t) − Gg v(t), (1.64) in cui Gg = 1/Rg . La potenza istantanea in uscita dal generatore è allora data da: p(t) = v(t)i0 (t) = v(t) (ig (t) − Gg v(t)) = v(t)ig (t) − Gg v2 (t). (1.65) Rendimento vs. potenza massima erogabile 22 il collegamento in serie e in parallelo di bipoli Tale potenza è un’espressione quadratica in v(t) e assume sempre un valore massimo (assume un andamento simile a quello illustrato in Figura 1.18). Per determinare il valore della tensione a cui si ottiene tale massimo, basta porre a zero la derivata della (1.65) rispetto alla v(t): dp(t) = ig (t) − 2Gg v(t) ≡ 0, dv(t) che risolta fornisce v(t) = Tensione a vuoto ig (t) Rg ig (t) vca (t) = ≡ . 2Gg 2 2 Nella (1.66) si è denotato con vca (t) = Rg ig (t) la tensione che si ha in parallelo al generatore reale quando è lasciato aperto. Per tale motivo tale tensione è chiamata tensione a vuoto. Sostituendo la (1.66) nella (1.65) si ottiene l’espressione della massima potenza erogabile dal generatore reale di corrente pm (t) = Rendimento (1.66) Rg i2g (t) . 4 (1.67) Si osservi che, al contrario, poiché la tensione in un generatore indipendente di corrente ideale è arbitraria (nel senso che dipende dal resto del circuito), la potenza erogata dal generatore indipendente di corrente ideale è illimitata. Infatti, dal punto di vista matematico, tale potenza vale pi (t) = v(t)ig (t) che non presenta massimi per nessun valore finito di v(t) essendo una funzione monotonica crescente con v(t). E’ possibile confrontare un generatore indipendente reale di corrente con la sua versione ideale attraverso il rendimento ηi definito come il rapporto tra la potenza (1.65) e la potenza pi (t) del caso ideale: ηi = v(t) (ig (t) − Gg v(t)) Gg v(t) v(t) p(t) = = 1− ≡ 1− . (1.68) pi (t) v(t)ig (t) ig (t) vca (t) Poiché la tensione v(t) dipende dal carico, rappresentato dalla resistenza Rc a cui viene attaccato il generatore reale, si ha v(t) = ig (t) ig (t) 6 = vca (t). Gg + Gc Gg Tale osservazione giustifica la seguente proprietà ηi 6 1, Impedenza interna del generatore (1.69) ovvero che anche in questo caso il rendimento di un generatore reale è sempre inferiore all’unità. E’ comunque interessante notare che, in condizioni di massima potenza (1.66), è ηi = 12 , cioè il rendimento è piuttosto basso. Ad un’attenta osservazione, si capisce che anche in questo caso la massima potenza erogabile (1.65) e il rendimento (1.68) sono due obiettivi contrastanti. E’ infatti abbastanza chiaro che per ottenere valori elevati del rendimento è indispensabile lavorare con tensioni v(t) molto piccole e quindi notevolmente inferiori a vca (t)/2, valore per cui si ha la massima potenza erogabile. I ragionamenti effettuati nel presenta paragrafo possono essere estesi semplicemente nei domini trasformati. In questo caso, i generatori indipendenti reali sono modificati attraverso l’introduzione di una impedenza interna del generatore Zg , piuttosto che un semplice resistore Rg . Tale impedenza 1.7 i generatori reali può tener conto anche di eventuali fenomeni reattivi interni al generatore ed ha un carattere molto più generale rispetto al semplice resistore. Il generatore indipendente reale di tensione e il generatore indipendente reale di corrente nel dominio della trasformata di Laplace, sono illustrati nella parte a) e b) di Figura 1.19, rispettivamente. Zg + Vg (s) V0 ( s) Generatori reali nel dominio di Laplace A A + + I (s ) 23 I g (s) I 0 (s) V (s ) Zg - - B B a) b) Fig. 1.19: a) Generatore indipendente reale di tensione e b) generatore indipendente reale di corrente, nel dominio della trasformata di Laplace. Per completare il quadro, il generatore indipendente reale di tensione e il generatore indipendente reale di corrente nel dominio dei fasori, sono illustrati nella parte a) e b) di Figura 1.20, rispettivamente. Zg + Vg A A + + I V0 - Ig I0 V Zg B B a) b) Fig. 1.20: a) Generatore indipendente reale di tensione e b) generatore indipendente reale di corrente, nel dominio dei fasori. Generatori reali nel dominio dei fasori 2 CIRCUITI NOTEVOLI I l seguente capitolo è dedicato allo studio dei primi e semplici circuiti contenenti resistori. Tali circuiti, spesso, oltre ad un’importanta teorica, hanno una valenza pratica perché permettono di semplificare notevolmente il circuito che li contiene. 2.1 il partitore di tensione Si consideri il circuito rappresentato in Figura 2.1. In tale circuito si vuole calcolare la tensione vR2 sul resistore R2 . Poiché tale circuito è costituito da un unico percorso chiuso, definito maglia, è possibile denotare graficamente la corrente che percorre tale percorso, con una freccia all’interno della maglia stessa. R1 i + vR1 + vg t Maglia i + vR2 R2 Fig. 2.1: Schema circuitale del partitore di tensione. Applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia, si ottiene vg (t) − vR1 (t) − vR2 (t) = 0. (2.1) Esplicitando le due tensioni dei resistori tramite la legge di Ohm e notando che la corrente che percorre entrambi i resistori è la stessa, si ottiene (R1 + R2 ) i(t) = vg (t). Legge di Ohm (2.2) Dalla (2.2) si ha direttamente i(t) = vg (t) . R1 + R2 (2.3) Dunque la tensione vR2 (t) cercata vale, applicando nuovamente la legge di Ohm vR2 (t) = R2 i(t) = R2 vg (t). R1 + R2 (2.4) Si osservi che se R2 >> R1 allora vR2 (t) ≈ vg (t), cioè quasi tutta la tensione impressa del generatore finisce sul resistore R2 , mentre se R2 << R1 , vR2 (t) è una piccola frazione di vg (t). 25 26 circuiti notevoli Analogamente è possibile determinare la tensione sul resistore R1 : R1 vg (t). R1 + R2 vR1 (t) = Partitore di tensione (2.5) La (2.4) e (2.5) suggeriscono che, in una maglia formata da due resistori e un generatore indipendente di tensione, la tensione su un resistore è proporzionale alla sua resistenza e inversamente proporzionale alla somma di entrambe le resistenze. Inoltre la tensione su tale resistenza è una frazione della tensione impressa del generatore. Per tale motivo, il circuito in Figura 2.1 prende il nome di partitore di tensione, mentre la (2.4) e la (2.5) prendono il nome di regola del partitore di tensione. Ovviamente, in base alla (2.1), la somma delle due cadute di tensione su R1 e R2 è pari alla tensione impressa del generatore vg (t). Come precedentemente osservato, maggiore sarà la caduta di tensione su un resistore, rispetto all’altro, quanto più grande sarà la sua resistenza. La regola del partitore di tensione può essere generalizzata al caso di una maglia contenente un generatore indipendente di tensione e N resistori, come illustrato in Figura 2.2. R1 i + vg t + vR1 R2 R j 1 vR2 + vR j1 + + i vRN + RN vRN 1 + RN 1 vR j vR j1 Rj + R j 1 Fig. 2.2: Schema circuitale del partitore di tensione con N resistori. In questo caso la corrente di maglia vale: i(t) = vg (t) vg (t) = PN , R1 + R2 + . . . + Rj + . . . + RN k=1 Rk (2.6) e di conseguenza la tensione vRj (t) sul j-esimo resistore Rj è Rj vRj (t) = PN k=1 Rk Partitore di tensione con N resistori vg (t). (2.7) La (2.7) generalizza la (2.4) e (2.5). Dunque anche in questo caso, la tensione impressa del generatore si ripartisce su ciascun resistore in modo proporzionale al valore della resistenza ed inversamente proporzionale alla somma di tutte le resistenze. Un’ulteriore generalizzazione del partitore di tensione, consiste nell’aggiungere alla maglia altri generatori indipendenti di tensione, come rappresentato in Figura 2.3. Sia Ng il numero di tali generatori ed N il numero di resistori. In questo nuovo caso la corrente di maglia vale: PNg i(t) = Partitore di tensione generalizzato i=1 vgi (t) PN k=1 Rk , (2.8) in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero le vgi (t) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la tensione vRj (t) sul j-esimo resistore Rj è dunque 2.1 il partitore di tensione + vg1 t vg 2 t + R1 i + vR1 R2 R j 1 vR2 + vR j1 v gi t + + + i v t + gNg + vRN vRN 1 RN vR j vgi1 t + + 27 vR j1 Rj + R j 1 RN 1 Fig. 2.3: Schema circuitale del partitore di tensione generalizzato, contenente N resistori e Ng generatori indipendenti di tensione. Rj vRj (t) = PN Ng X k=1 Rk i=1 (2.9) vgi (t). La (2.9) generalizza la (2.7). Esempio 2.1 Si determini il valore della tensione sul resistore R3 nel circuito seguente. vg1 (t) = 3 V, vg2 (t) = 2 V, R1 = 2 Ω, R2 = 3 Ω, R3 = 4 Ω e R4 = 1 Ω. R1 vg 2 t + Sia R2 + vg1 t + vR3 R3 R4 Applicando la (2.9) si ottiene direttamente vR3 (t) = 2.1.1 R3 2 4 (vg1 (t) − vg2 (t)) = (3 − 2) = V R1 + R2 + R3 + R4 2+3+4+1 5 Il partitore di tensione nei domini trasformati La regola del partitore di tensione fin qui analizzata può essere semplicemente generalizzata al caso dei domini trasformati, per noi Laplace e fasori. Infatti, sia la seconda legge di Kirchhoff che la legge di Ohm continuano a valere nei domini trasformati. E’ quindi possibile riscrivere tutte le equazioni precedenti in questi domini: l’unica differenza è che tutte le grandezze elettriche sono ora espresse nei relativi domini. Si consideri, a tal proposito, il partitore generalizzato in un dominio trasformato, come illustrato in Figura 2.4. In questa nuova versione, tutti i resistori sono stati sostituiti con un’impedenza e i generatori indipendenti di tensione hanno la grandezza impressa espressa nel dominio trasformato (Laplace o fasori a seconda dell’utilizzo). I casi più semplici in cui è presente un solo generatore indipendente di tensione o due sole impedenze, si possono ricavare come caso particolare di quello in esame. Partitore di tensione generalizzato nel dominio trasformato 28 circuiti notevoli Vg + 2 Z1 I + + VZ1 Z j 1 Z2 + VZ2 Vgi VZ j1 + + Vg1 I VZ N Vg N + g VZ N 1 + ZN + Z N 1 + VR j + Vgi1 VZ j1 Zj + Z j 1 Fig. 2.4: Schema circuitale del partitore di tensione generalizzato nel dominio trasformato. Considerando per prima il dominio della trasformata di Laplace, si ha che la corrente di maglia vale: PNg I(s) = i=1 Vgi (s) PN k=1 Zk (2.10) , in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Vgi (s) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la tensione VZj (s) sulla j-esima impedenza Zj è dunque Zj VZj (s) = PN Ng X k=1 Zk i=1 Vgi (s). (2.11) Ora nel dominio dei fasori, si ha che la corrente di maglia vale: PNg I = Pi=1 N Vg i k=1 Zk (2.12) , in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Vgi devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la tensione VZj sulla j-esima impedenza Zj è infine Zj VZj = PN Ng X k=1 Zk i=1 2.2 Vg i . (2.13) il partitore di corrente Si consideri il problema duale a quello descritto nel paragrafo precedente. Si vuole iniziare con il calcolare la corrente su resistore R2 nel circuito rappresentato in Figura 2.5. Sia v la tensione comune ai tre componenti in parallelo. Nodo Applicando la prima legge di Kirchhoff al nodo superiore, si ottiene ig (t) = iR1 (t) + iR2 (t). (2.14) Esplicitando le due correnti nei resistori tramite la legge di Ohm, e notando che la tensione su entrambi i resistori è la stessa, si ottiene (G1 + G2 ) v(t) = ig (t). (2.15) 2.2 il partitore di corrente 29 i ig t v iR2 iR1 + R1 R2 - Fig. 2.5: Schema circuitale del partitore di corrente. Dalla (2.15) si ha direttamente v(t) = ig (t) . G1 + G2 (2.16) Dunque la corrente iR2 (t) cercata vale, applicando nuovamente la legge di Ohm iR2 (t) = G2 v(t) = G2 ig (t). G1 + G2 (2.17) Si osservi che se G2 >> G1 (ovvero R1 >> R2 ) allora iR2 (t) ≈ ig (t), cioè quasi tutta la corrente impressa del generatore attraversa il resistore R2 , mentre se G2 << G1 (ovvero R1 << R2 ), iR2 (t) è una piccola frazione di ig (t). Analogamente è possibile determinare la corrente nel resistore R1 : iR1 (t) = G1 ig (t). G1 + G2 (2.18) La (2.17) e (2.18) suggeriscono che, in un circuito formato dal parallelo di due resistori e un generatore indipendente di corrente, la corrente che scorre su un resistore è proporzionale alla sua conduttanza e inversamente proporzionale alla somma di entrambe le conduttanze. Inoltre la corrente che attraversa tale resistenza è una frazione della corrente impressa del generatore. Per tale motivo, il circuito in Figura 2.5 prende il nome di partitore di corrente, mentre la (2.17) e la (2.18) prendono il nome di regola del partitore di corrente. Ovviamente, in base alla (2.14), la somma delle due correnti che scorrono su R1 e R2 è pari alla corrente impressa del generatore ig (t). Come precedentemente osservato, maggiore sarà la corrente che scorre su un resistore, rispetto all’altro, quanto più grande sarà la sua conduttanza, cioè quanto minore sarà la sua resistenza. La regola del partitore di corrente può essere generalizzata al caso di un circuito contenente il parallelo di un generatore indipendente di corrente e N resistori, come illustrato in Figura 2.6. In questo caso la tensione comune a tutti i componenti vale: v(t) = ig (t) ig (t) = PN , G1 + G2 + . . . + Gj + . . . + GN k=1 Gk (2.19) e di conseguenza la corrente iRj (t) che scorre sul j-esimo resistore Rj è Gj iRj (t) = PN k=1 Gk ig (t). (2.20) Partitore di corrente 30 circuiti notevoli i ig t v iR2 iR1 + Rj R2 R1 iRN iR j RN - Fig. 2.6: Schema circuitale del partitore di corrente con N resistori. Partitore di corrente con N resistori La (2.20) generalizza la (2.17) e (2.18). Dunque anche in questo caso, la corrente impressa del generatore si ripartisce su ciascun resistore in modo proporzionale al valore della conduttanza ed inversamente proporzionale alla somma di tutte le conduttanze. Un’ulteriore generalizzazione del partitore di corrente, consiste nell’aggiungere al circuito precedente altri generatori indipendenti di corrente, come rappresentato in Figura 2.7. Sia Ng il numero di tali generatori ed N il numero di resistori. i ig1 t iR2 iR1 + v ig 2 t R1 R2 iRN iR j ig j t Rj ig N t g RN - Fig. 2.7: Schema circuitale del partitore di corrente generalizzato, contenente N resistori e Ng generatori indipendenti di corrente. In questo nuovo caso la tensione comune vale: PNg v(t) = Pi=1 N igi (t) k=1 Gk Partitore di corrente generalizzato (2.21) , in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero le igi (t) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la corrente iRj (t) sul j-esimo resistore Rj è dunque Gj iRj (t) = PN Ng X k=1 Gk i=1 (2.22) igi (t). La (2.22) generalizza la (2.20). Esempio 2.2 Si determini il valore della corrente che attraversa il resistore R2 nel circuito seguente. Sia ig1 (t) = 3 A, ig2 (t) = 2 A, R1 = 2 Ω, R2 = 4 Ω e R3 = 1 Ω. Applicando la (2.22) si ottiene direttamente iR2 (t) = G2 (ig1 (t) − ig2 (t)) = G1 + G2 + G3 1 2 1 4 + 14 +1 (3 − 2) = 1 4 1 · = A 4 7 7 2.2 il partitore di corrente 31 iR2 ig1 t 2.2.1 ig 2 t R1 R2 R3 Il partitore di corrente nei domini trasformati Anche la regola del partitore di corrente fin qui analizzata può essere semplicemente generalizzata al caso dei domini trasformati, per noi Laplace e fasori. Infatti, sia la prima legge di Kirchhoff che la legge di Ohm continuano a valere nei domini trasformati. E’ quindi possibile anche in questo caso riscrivere tutte le equazioni precedenti in questi domini: l’unica differenza è che tutte le grandezze elettriche sono ora espresse nei relativi domini. Si consideri, a tal proposito, il partitore generalizzato in un dominio trasformato, come illustrato in Figura 2.8. In questa nuova versione, tutti i resistori sono stati sostituiti con un’impedenza e i generatori indipendenti di corrente hanno la grandezza impressa espressa nel dominio trasformato (Laplace o fasori a seconda dell’utilizzo). I g1 I Z2 I Z1 + V I g2 Z1 Z2 I ZN IZ j Igj Zj I gN g ZN - Fig. 2.8: Schema circuitale del partitore di corrente generalizzato nel dominio trasformato. Nel dominio della trasformata di Laplace la tensione comune al parallelo vale: PNg V(s) = i=1 Igi (s) PN k=1 Yk (2.23) , in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Igi (s) devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se concorde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la corrente IZj (s) sulla j-esima impedenza Zj è dunque Yj IZj (s) = PN Ng X k=1 Yk i=1 Igi (s). (2.24) Inoltre, nel dominio dei fasori, la tensione comune al parallelo vale: PNg V = Pi=1 N Ig i k=1 Yk , (2.25) in cui la sommatoria al numeratore è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Igi devono essere considerate con il loro segno, ovvero positivo se con- Partitore di corrente nel dominio trasformato 32 circuiti notevoli corde la convenzione, altrimenti negativo. Applicando la legge di Ohm, la corrente IZj sulla j-esima impedenza Zj è dunque Yj IZj = PN Ng X k=1 Yk i=1 2.3 Nullore Ig i . (2.26) i circuiti con il nullore Spesso il nullore si trova in due configurazioni notevoli che possono essere sostituite da un circuito equivalente semplificato. Se si identifica all’interno di un circuito più o meno complicato una tale configurazione, è possibile sostituirla con il circuito equivalente, ottenendo una versione semplificata del circuito di partenza. In particolare, si vedrà una configurazione che si comporterà come un generatore indipendente di corrente e una che si comporterà come un generatore indipendente di tensione. 2.3.1 Il nullore come generatore di corrente Prima configurazione notevole Si consideri il circuito rappresentato nella parte sinistra di Figura 2.9. Si applichi la seconda legge di Kirchhoff alla maglia formata dal generatore indipendente di tensione, il nullatore e il resistore R, ottenendo A 0 vg R + vg t + vg (t ) vg R R R B Fig. 2.9: Circuito con il nullore equivalente a un generatore di corrente. vg (t) − v0 (t) − vR (t) = 0, (2.27) in cui v0 (t) è la tensione del nullore al lato nullatore. Come si sa, dalle relazioni costitutive del nullore, la tensione v0 (t) è nulla, per cui è vR (t) = vg (t). (2.28) Ne segue che, applicando la legge di Ohm al resistore R, la corrente iR (t) che lo attraversa è: iR (t) = Nullore come generatore di corrente vg (t) . R (2.29) Tale corrente, per attraversare il resistore R esce dal piedino comune del nullore e di conseguenze, non potendo venire dal nullatore (visto che tale corrente è nulla per le relazioni costitutive), deve provenire dal noratore. Quindi tutto il bipolo nella parte sinistra di Figura 2.9, si comporta come un 2.3 i circuiti con il nullore 33 generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a vg (t)/R e verso diretto verso il basso, come messo in evidenza nel lato destro della figura. La (2.29) può essere facilmente generalizzata al dominio di Laplace Vg (s) , Z IZ (s) = (2.30) oppure al dominio dei fasori IZ = Vg . Z (2.31) In questi casi, si è sostituito il resistore R di Figura 2.9 con una generica impedenza Z. 2.3.2 Il nullore come generatore di tensione Si consideri il circuito rappresentato nella parte sinistra di Figura 2.10. Si applichi la seconda legge di Kirchhoff alla maglia formata dal generatore indipendente di tensione, il resistore R1 e il nullatore, ottenendo R2 + vg R1 R1 0 + vg t vg R1 C A + v AB t + R2 vg (t ) R1 - B Fig. 2.10: Circuito con il nullore equivalente a un generatore di tensione. vg (t) − vR1 (t) − v0 (t) = 0. (2.32) Poiché la tensione v0 (t) è nulla, si ottiene vR1 (t) = vg (t). (2.33) Ne segue che, applicando la legge di Ohm al resistore R1 , la corrente iR1 (t) che lo attraversa è: iR1 (t) = vg (t) . R1 (2.34) D’altro canto, considerando la prima legge di Kirchhoff al nodo C, si ottiene iR1 (t) − i0 (t) − iR2 (t) = 0, (2.35) in cui i0 (t) è la corrente che entra nel nullore. Poiché è i0 (t) = 0, si ha iR2 (t) = iR1 (t). (2.36) Seconda configurazione notevole 34 circuiti notevoli Applicando ora la legge di Ohm al resistore R2 , ricordando la (2.36) e la (2.34), è possibile determinare la sua tensione: vR2 (t) = R2 iR2 (t) = R2 vg (t). R1 (2.37) Per determinare la tensione vAB (t) cercata, si può applicare la seconda legge di Kirchhoff al percorso ABCA, ottenendo −vAB (t) + v0 (t) − vR2 (t) = 0, (2.38) e quindi vAB (t) = −vR2 (t) = − Nullore come generatore di tensione R2 vg (t). R1 (2.39) Di conseguenza il bipolo rappresentato nella parte sinistra di Figura 2.10 si comporta come un generatore indipendente di tensione di grandezza 2 impressa pari a − R R1 vg (t), come messo in evidenza nel lato destro della figura. La (2.39) può essere facilmente generalizzata al dominio di Laplace VAB (s) = − Z2 Vg (s), Z1 (2.40) oppure al dominio dei fasori VAB = − Z2 Vg . Z1 (2.41) In questi casi, si sono sostituiti i resistori R1 e R2 di Figura 2.10 con le generiche impedenze Z1 e Z2 . 3 LE RETI DUE PORTE I l seguente capitolo è dedicato alla descrizione delle reti due porte. Si descriveranno le relazioni costitutive, il significato dei parametri e i casi particolari di reti a T e a Π. Anche se è possibile ottenere sei differenti rappresentazioni, il capitolo è limitato ai soli casi di rappresentazione mediante matrice di impedenze a vuoto e matrice di ammettenze di corto circuito. 3.1 la rappresentazione delle reti 2-porte Si immagini di avere un circuito privo di eccitazioni interne (generatori indipendenti) e accessibile dal mondo esterno attraverso due coppie di terminali che si comportano come porte. Si ricorda la definizione di porta: Porta Definizione 1. Si definisce porta una coppia di terminali (o morsetti) per i quali la corrente che entra in un terminale è uguale alla corrente che esce dall’altro terminale. Se si è interessati all’utilizzo di tale circuito, magari molto complicato, in un contesto più ampio, ma non si è interessati al suo funzionamento interno in quanto bastano a descriverlo completamente le sole grandezze elettriche di porta, ovvero le due tensioni e le due correnti. In questo caso è possibile racchiudere tutto il circuito in esame all’interno di una scatola accessibile da due porte e descritto completamente dalle quattro grandezze elettriche di porta, come illustrato in Figura 3.1. Un tale componente prenderà il nome di rete due porte (o 2-porte). 2 1 + v1 i2 i1 1 2 + v2 Fig. 3.1: Esempio di come un circuito molto complesso accessibile da due porte può essere considerato dal punto di vista esterno come una rete 2-porte. In un elemento di tale tipo le due porte possono essere completamente separate, oppure, come accade alcune volte, avere un terminale in comune. Nel primo caso la rete due porte prende il nome di bilanciata, mentre nel secondo caso si chiamerà sbilanciata, come illustrato in Figura 3.2. Bilanciato e sbilanciato 35 36 le reti due porte Esempi tipici di reti due porte notevoli sono: gli induttori mutuamente accoppiati, il trasformatore ideale, i generatori controllati, il nullore, l’amplificatore operazionale, ecc. + v - 1 i2 i1 1 2 + + i2 i1 1 v2 v1 - v2 - a) + 2 - b) Fig. 3.2: Tipica rete due porte in configurazione bilanciata a) e sbilanciata b). 6 possibili rappresentazioni Il componente rete due porte verrà quindi descritto dalle quattro grandezze elettriche v1 , v2 , i1 e i2 . Le relazioni costitutive, di conseguenza, daranno due equazioni (una per ogni porta) che legano le quattro grandezze elettriche: due grandezze saranno considerate indipendenti e serviranno ad esprimere le altre due come una combinazione lineare di esse. Poiché è possibile scegliere qualsiasi di queste grandezze come base indipendente per esprimere le altre due, in totale si possono avere 42 = 6 possibili rappresentazioni diverse. Da osservare che non tutte le rappresentazioni sono possibili per un determinato circuito, ma ne esiste sempre almeno una. Nel seguente capitolo non si analizzeranno tutte e sei queste rappresentazioni, ma soltanto due. Precisamente si vedrà la rappresentazione in cui è possibile esprimere le due tensioni di porta v1 e v2 in funzione delle due correnti di porta i1 e i2 , e dualmente, la rappresentazione in cui è possibile esprimere le due correnti di porta i1 e i2 in funzione delle due tensioni di porta v1 e v2 . Si rimanda a testi specialistici per le altre quattro rappresentazioni delle reti due porte. Dato che le due grandezze dipendenti si esprimeranno come una combinazione lineare delle grandezze indipendenti (data la natura lineare dei circuiti studiati), i quattro parametri che descrivono tali relazioni saranno i parametri distintivi della rete due porte in oggetto. Questi quattro parametri hanno lo stesso significato dei parametri resistenza, induttanza, capacità dei bipoli elementari. Come si vedrà in seguito, è possibile descrivere questi quattro parametri in una matrice: sarà dunque questa matrice 2 × 2 a descrivere il comportamento della rete due porte e sarà questa matrice ad essere fornita come dato nelle tracce degli esercizi. Le due rappresentazioni che si analizzeranno, corrispondano a due casi in cui la matrice che caratterizza la rete due porte contiene come parametri descrittivi quattro impedenze oppure quattro ammettenze, rispettivamente. 3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto Nel primo tipo di rappresentazione analizzato si vuole esprimere le due tensioni di porta v1 e v2 in funzione delle due correnti di porta i1 e i2 . I coefficienti della combinazione lineare, dovendo ottenere una tensione a partire da una corrente, avranno delle dimensioni fisiche di Ω e quindi rappresentano delle resistenze, nel dominio del tempo, e delle impedenze, nel dominio trasformato. Si indicheranno questi quattro parametri con zij , i, j = 1, 2. 3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto 37 Con riferimento a una delle due configurazioni in Figura 3.2, è dunque possibile scrivere la seguente relazione costitutiva nel dominio del tempo: v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t), (3.1) v2 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t). Nell’analisi di un circuito contenente tale rete, nasceranno due incognite aggiuntive date dalle grandezze elettriche di porta incognite: per risolvere il circuito bisognerà dunque aggiungere le due equazioni in (3.1) come equazioni aggiuntive. L’equazione (3.1) può essere riscritta in modo più compatto con notazione vettoriale v1 (t) z z12 i (t) = 11 · 1 (3.2) v2 (t) z21 z22 i2 (t) Dunque la seguente matrice, indicata con Z e denominata matrice delle impedenze a vuoto, descrive e caratterizza l’intera rete due porte: z11 z12 Z= (3.3) z21 z22 Matrice delle impedenze a vuoto Tale fatto è messo in evidenza scrivendo la lettera Z nel simbolo della rete due porte, come mostrato in Figura 3.3. + i2 i1 v - 1 1 Z 2 + + i2 i1 1 v2 Z v1 - v2 - a) + 2 - b) Fig. 3.3: Tipica rete due porte in configurazione bilanciata a) e sbilanciata b), rappresentata attraverso la matrice Z. Si indichi ora con ~v = [v1 (t), v2 (t)]T e ~i = [i1 (t), i2 (t)]T i vettori contenenti le tensioni e le correnti di porta, rispettivamente. Allora, la (3.2) può essere riscritta come ~v = Z~i. (3.4) Inoltre, utilizzando la (3.4), la rete due porte considerata sarà passiva, cioè assorbirà energia dal mondo esterno, se p(t) = v1 (t)i1 (t) + v2 (t)i2 (t) = ~iT ~v = ~iT Z~i > 0. (3.5) Data l’arbitrarietà del vettore ~i, dalla (3.5) si deduce che la rete due porte è passiva se la matrice Z che la rappresenta è semi-definita positiva. 3.2.1 Il significato dei parametri Si immagini di considerare la prima delle due relazioni costitutive nella (3.1) e di voler ricavare da questa l’espressione del primo parametro z11 . E’ subito evidente che tale espressione non sia semplice da calcolare, vista anche la presenza del parametro z12 . Se comunque il secondo termine nel membro sinistro dell’equazione fosse nullo, allora il parametro z11 è semplicemente il rapporto tra la tensione alla prima porta v1 (t) e la corrente entrante nella Matrice semi-definita positiva le reti due porte 38 Parametro z11 Parametro z21 Parametri z12 e z22 prima porta i1 (t). Tale scopo può essere semplicemente raggiunto imponendo che la corrente che entra nella seconda porta i2 (t) sia identicamente nulla, cioè tale porta è lasciata aperta. Dunque, riassumendo, il parametro z11 può essere determinato come il rapporto tra la tensione alla prima porta v1 (t) e la corrente entrante nella prima porta i1 (t) quando la porta due è lasciata aperta. Un discorso analogo può essere fatto per il parametro z21 che, quindi, risulta essere determinato come il rapporto tra la tensione alla seconda porta v2 (t) e la corrente entrante nella prima porta i1 (t) quando la porta due è lasciata aperta. Si palesa, perciò, una condizione operativa ben definita. Per il calcolo dei parametri z11 e z21 , si alimenta la prima porta della rete due porte con un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i1 (t) e si lascia la seconda porta aperta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due tensioni di porta e la i1 (t), rispettivamente. E’ poi possibile fare il ragionamento duale del precedente per calcolare gli altri due parametri z12 e z22 . In questo nuovo caso, come si evince dalla (3.1), è necessario che la i1 (t) sia identicamente nulla. Si palesa, perciò, la nuova condizione operativa per cui il calcolo dei parametri z12 e z22 è ottenuto alimentando la seconda porta della rete due porte con un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i2 (t) mentre si lascia la prima porta aperta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due tensioni di porta e la i2 (t), rispettivamente. Tali condizioni operative sono illustrate in Figura 3.4. Il fatto che i parametri zij sono calcolati lasciando aperta una porta, giustifica il nome dato alla rappresentazione di matrice di impedenze a vuoto. i1 i2 + i1 v1 1 Z a) 2 + + v2 v1 + 1 Z 2 v2 i2 b) Fig. 3.4: Configurazioni utilizzate per il calcolo dei parametri a) z11 e z21 b) z12 e z22 . Parametri della matrice Z Con riferimento a tale figura, allora è possibile quantificare i quattro parametri come segue v1 (t) z11 = (3.6) i1 (t) i2 (t)=0 z21 v2 (t) = i1 (t) i2 (t)=0 (3.7) z12 v1 (t) = i2 (t) i1 (t)=0 (3.8) z22 v2 (t) = i2 (t) i1 (t)=0 (3.9) Le formule precedenti sono molto utili per determinare la rappresentazione due porte di un generico circuito, magari anche molto complicato. Si tratta di determinare le due tensioni di porta nelle due condizioni operative illustrate e applicare le equazioni precedenti. Nel seguente paragrafo si vedrà un esempio molto utile della applicazioni di tali formule. 3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto 3.2.2 39 Le reti a T Si applicheranno le formule precedenti a una rete molto semplice: la T di resistori rappresentata in Figura 3.5. Si vuole cercare di tale rete la sua rappresentazione mediante la matrice di impedenze a vuoto. A tal proposito, si dovranno valutare le due tensioni di porta nelle due condizioni operative descritte nel precedente paragrafo. R2 R1 R3 1 2 Fig. 3.5: Rete a T di resistori. Ci si metta inizialmente nella prima condizione operativa, ovvero alimentiamo la prima porta con un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i1 (t) e lasciamo la porta due aperta. In questa condizione, ci si propone di calcolare le due tensioni di porta v1 (t) e v2 (t). Graficamente tale situazione è illustrata nella parte a) di Figura 3.6. Si osservi che, dato che la porta due è aperta, è i2 (t) = 0 e di conseguenza, poiché è anche nulla la caduta di tensione sul resistore R2 , si ha che vR3 (t) = v2 (t). Dunque (3.10) v2 (t) = vR3 (t) = R3 i1 (t). D’altronde, applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia di sinistra della parte a) di Figura 3.6, si ottiene: (3.11) v1 (t) = vR1 (t) + vR3 (t) = (R1 + R3 ) i1 (t). i1 + i2 R1 i1 R2 i1 + + i2 R1 i2 + i1 v1 v2 R3 R2 + + v2 a) v1 v1 R3 v2 i2 b) Fig. 3.6: Analisi di una rete a T di resistori: calcolo dei parametri a) z11 e z21 , b) z12 e z22 . Il calcolo dei parametri z11 e z21 attraverso la (3.6) e la (3.7), fornisce: (R + R3 ) i1 (t) v1 (t) = R1 + R3 , (3.12) z11 = = 1 i1 (t) i2 (t)=0 i1 (t) e z21 v2 (t) R i (t) = = 3 1 = R3 . i1 (t) i2 (t)=0 i1 (t) (3.13) Rete a T di resistori le reti due porte 40 In modo duale, ci si mette nella seconda condizione operativa, ovvero alimentiamo la seconda porta con un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i2 (t) e lasciamo la porta uno aperta. Anche in questa condizione, ci si propone di calcolare le due tensioni di porta v1 (t) e v2 (t). Graficamente tale situazione è illustrata nella parte b) di Figura 3.6. Si osservi che, dato che la porta uno è aperta, è i1 (t) = 0 e di conseguenza, poiché è anche nulla la caduta di tensione sul resistore R1 , si ha che vR3 (t) = v1 (t). Dunque v1 (t) = vR3 (t) = R3 i2 (t). (3.14) D’altronde, applicando la seconda legge di Kirchhoff alla maglia di destra della parte b) di Figura 3.6, si ottiene: v2 (t) = vR2 (t) + vR3 (t) = (R2 + R3 ) i2 (t). (3.15) Il calcolo dei parametri z12 e z22 attraverso la (3.8) e la (3.9), fornisce: v1 (t) R i (t) z12 = = 3 2 = R3 , (3.16) i2 (t) i1 (t)=0 i2 (t) e z22 Rappresentazione della rete a T di resistori (R + R3 ) i2 (t) v2 (t) = = 2 = R2 + R3 . i2 (t) i1 (t)=0 i2 (t) (3.17) Dunque la matrice Z della rappresentazione della rete a T di resistori di Figura 3.5 è la seguente: R1 + R3 R3 (3.18) Z= R3 R2 + R3 Se una o più delle resistenze nella rete di Figura 3.5 è assente e al suo/loro posto è presente un corto circuito (un filo), allora la corrispondente resistenza nella (3.18) ha valore nullo. Si pensi, ad esempio, alle reti a Γ o alla sola resistenza trasversale, ecc. Da un’attenta analisi della (3.18) si evince che: 1. tutti gli elementi sono positivi; 2. la diagonale secondaria contiene l’elemento di resistenze del ramo trasversale; 3. la diagonale principale contiene la somma dell’elemento di resistenze del ramo trasversale con la resistenza del corrispondente ramo longitudinale. Ragionando in modo inverso, è possibile anche stabilire quali siano le condizioni per cui una matrice Z rappresenta la matrice di impedenze a vuoto di una rete a T di resistori. Sempre dall’analisi della (3.18) si può dedurre che: 1. gli elementi della diagonale secondaria devono essere positivi ed uguali; 2. gli elementi della diagonale principale devono essere maggiori o uguali all’elemento della diagonale secondaria, in modo tale che, sottraendovi tale valore, rimanga un numero non negativo che può essere interpretato come resistenza del corrispondente ramo longitudinale. 3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto 3.2.3 41 La connessione serie-serie Si considerino due reti due parte rappresentate dalle matrici di impedenze a vuoto Z1 e Z2 , rispettivamente e si connettano nel modo rappresentato (1) (1) (1) (1) in Figura 3.7. Si denota con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le rispettive (2) (2) quattro grandezze elettriche della prima rete due porte e con v1 (t), v2 (t), (2) (2) i1 (t) e i2 (t) le grandezze elettriche della seconda rete due porte. Si vuole determinare una rappresentazione unica della rete illustrata in figura attraverso la matrice Z, indicando con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le grandezze di porta. i1(1) i1 i2(1) i2 + + + 1 v1(1) Z1 2 + v2(1) v1 v2 i1(2) i2(2) + v1(2) + 1 Z2 2 v2(2) - - Fig. 3.7: Connessione serie-serie di due reti due porte rappresentate attraverso le matrici Z1 e Z2 . (1) A tal proposito si può notare che la corrente i1 (t) che entra nella prima porta della prima rete due porte è la stessa che entra anche nella prima porta (2) (1) della seconda rete due porte e quindi i1 (t) = i1 (t) ≡ i1 (t). Le prime porte delle due reti sono dunque connesse in serie. La stessa cosa è verificata (2) (1) per le seconde porte delle due reti due porte, cioè i2 (t) = i2 (t) ≡ i2 (t). Dunque anche le seconde porte sono connesse in serie. E’ per questo che la configurazione rappresentata in Figura 3.7 prende il nome di connessione serie-serie. I parametri delle due reti due porte sono indicati, rispettivamente con " # " # (1) (1) (2) (2) z11 z12 z11 z12 Z1 = (1) (1) , e Z2 = (2) (2) . z21 z22 z21 z22 A questo punto è possibile scrivere la seconda legge di Kirchhoff per i percorsi esterni contenete la porta della rete da rappresentare e le due porte delle singole reti, ottenendo rispettivamente: (1) (2) (1) (2) v1 (t) = v1 (t) + v1 (t), (3.19) v2 (t) = v2 (t) + v2 (t). Le singole tensioni di porta delle due reti due porte sono sostituite con le relazioni costitutive (3.1), da cui (1) (1) (2) (2) v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t) + z11 i1 (t) + z12 i2 (t) (1) (2) (1) (2) = z11 + z11 i1 (t) + z12 + z12 i2 (t), (3.20) (1) (1) (2) (2) v2 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t) + z21 i1 (t) + z22 i2 (t) (1) (2) (1) (2) = z21 + z21 i1 (t) + z22 + z22 i2 (t). Connessione serie-serie 42 le reti due porte Dunque, osservando la (3.20) si ottiene la seguente espressione per la rappresentazione Z globale: " # (1) (2) (1) (2) z11 + z11 z12 + z12 Z = (1) (3.21) (2) (1) (2) = Z1 + Z2 . z21 + z21 z22 + z12 Rappresentazione della connessione serie-serie La (3.21) mostra per le reti due porte un risultato simile a quello trovato per i bipoli: la matrice delle impedenze a vuoto di una connessione serie-serie è pari alla somma delle singole matrici delle impedenze a vuoto delle singole reti. Tale risultato può essere facilmente generalizzato alla connessione serieserie di N reti due porte caratterizzate dalle metrici Z1 , Z2 , . . . , ZN : Z = Z1 + Z2 + . . . + ZN = N X Zk , (3.22) k=1 che generalizza il caso dei bipoli. Si osservi che, in questo caso, le Zk sono matrici 2 × 2 e non numeri. 3.2.4 Estensione ai domini trasformati L’estensione ai domini trasformati è del tutto immediata. E’ infatti possibile trasformare la (3.1) nel dominio di Laplace, ottenendo V1 (s) = z11 I1 (s) + z12 I2 (s), V2 (s) = z21 I1 (s) + z22 I2 (s). (3.23) oppure nel dominio dei fasori, ricavando V1 = z11 I1 + z12 I2 , V2 = z21 I1 + z22 I2 . Rappresentazione nel dominio trasformato (3.24) I parametri zij , per i, j = 1, 2 hanno ora il significato di impedenze e sono definite da formule simili alle (3.6)-(3.9) nelle stesse due condizioni operative, ma in questo caso tutte le tensioni e correnti di porta sono sostituite dalle rispettive trasformate di Laplace oppure dai rispettivi fasori. ~ e ~I i vettori contenenti le due tensioni Se continuiamo a denotare con V e le due correnti di porta, rispettivamente, nel dominio di Laplace o nel dominio dei fasori, allora continua a valere la (3.4). Precisamente ~ = Z~I. V (3.25) Anche nel caso di connessione serie-serie di due o più reti due porte nei domini trasformati continua a valere la proprietà (3.22), cioè la matrice delle impedenze a vuoto di una connessione serie-serie è pari alla somma delle singole matrici delle impedenze a vuoto delle singole reti. Si consideri infine una rete a T di generiche impedenze illustrata in Figura 3.8. Procedendo come nel paragrafo 3.2.2, ma operando in uno dei domini trasformati, è possibile ritrovare facilmente un risultato analogo alla (3.18), e precisamente Z1 + Z3 Z3 Z= (3.26) Z3 Z2 + Z3 La matrice Z contiene ora le impedenze dei tra rami della T invece che le sole resistenze. Tale risultato è valido sia nel dominio di Laplace che nel 3.2 rappresentazione attraverso la matrice di impedenze a vuoto Z2 Z1 Z3 1 2 Fig. 3.8: Rete a T di impedenze. dominio dei fasori, con le dovute considerazioni sui valori delle singole impedenze Zk . Esempio 3.1 Nel circuito rappresentato nella figura seguente, si determini il valore della tensione 1 0 Ω. vR2 (t). Si ha R1 = 2 Ω, R2 = 1 Ω, vg (t) = 7 sin(2t) V e Z = 1 1 vg t + im 3 i2 i1 1 + Z 2 v1 + v2 + - R1 im1 im 2 R2 vR2 t La matrice Z assegnata non può essere messa sotto forma di T di resistori, dato che non soddisfa le proprietà esposte nel paragrafo 3.2.2. Il circuito viene quindi risolto applicando il metodo di analisi su base maglie. Siano im1 (t), im2 (t) e im3 (t) le tre correnti fittizie di maglia; il sistema risolvente si scrive R1 0 0 0 R2 0 0 im1 (t) −v1 (t) , 0 · im2 (t) = v2 (t) 0 im3 (t) vg (t) − v2 (t) + v1 (t) in cui v1 (t) e v2 (t) sono le tensioni della rete due porte. Indicando con i1 (t) = im1 (t) − im3 (t) e i2 (t) = im3 (t) − im2 (t) le due correnti entranti nella rete due porte, le relazioni costitutive di questo elemento vengono scritte come segue v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t) = i1 (t) = im1 (t) − im3 (t), v1 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t) = i1 (t) + i2 (t) = im1 (t) − im2 (t). Inserendo queste variabili nel sistema precedente, riordinando e sostituendo i valori numerici, si ottiene semplicemente 3 −1 0 0 2 −1 −1 im1 (t) 0 0 · im2 (t) = 0 . 1 im3 (t) vg (t) 43 44 le reti due porte Risolvendo rispetto alla corrente im2 (t), il metodo di Cramer fornisce: 3 0 −1 −1 0 0 0 vg (t) 1 1 im2 (t) = = vg (t) = sin(2t) A 3 7 0 −1 −1 2 0 0 −1 1 La tensione cercata, applicando la legge di Ohm, è vR2 (t) = R2 im2 (t) = sin(2t) V 3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito Nel secondo tipo di rappresentazione analizzato si vuole esprimere le due correnti di porta i1 e i2 in funzione delle due tensioni di porta v1 e v2 . I coefficienti della combinazione lineare, dovendo ottenere una corrente a partire da una tensione, avranno delle dimensioni fisiche di Ω−1 e quindi rappresentano delle conduttanze, nel dominio del tempo, e delle ammettenze, nel dominio trasformato. Si indicheranno questi quattro parametri con yij , i, j = 1, 2. Con riferimento a una delle due configurazioni in Figura 3.2, è dunque possibile scrivere la seguente relazione costitutiva nel dominio del tempo: i1 (t) = y11 v1 (t) + y12 v2 (t), i2 (t) = y21 v1 (t) + y22 v2 (t). (3.27) Nell’analisi di un circuito contenente tale rete, nasceranno due incognite aggiuntive date dalle grandezze elettriche di porta incognite: per risolvere il circuito bisognerà dunque aggiungere le due equazioni in (3.27) come equazioni aggiuntive. L’equazione (3.27) può essere riscritta in modo più compatto con notazione vettoriale i1 (t) v (t) y y12 · 1 (3.28) = 11 i2 (t) y21 y22 v2 (t) Matrice delle ammettenze di corto circuito Dunque la seguente matrice, indicata con Y e denominata matrice delle ammettenze di corto circuito, descrive e caratterizza l’intera rete due porte: Y= y11 y21 y12 y22 (3.29) Tale fatto è messo in evidenza scrivendo la lettera Y nel simbolo della rete due porte, come mostrato in Figura 3.9. Si indichi nuovamente con ~v = [v1 (t), v2 (t)]T e ~i = [i1 (t), i2 (t)]T i vettori contenenti le tensioni e le correnti di porta, rispettivamente. Allora, la (3.28) può essere riscritta come ~i = Y~v. (3.30) 3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito + v - 1 i2 i1 1 Y 2 + + i2 i1 1 v2 Y v1 - + 2 v2 - a) 45 - b) Fig. 3.9: Tipica rete due porte in configurazione bilanciata a) e sbilanciata b), rappresentata attraverso la matrice Y. Inoltre, utilizzando la (3.30), la rete due porte considerata sarà passiva, cioè assorbirà energia dal mondo esterno, se p(t) = v1 (t)i1 (t) + v2 (t)i2 (t) = ~vT~i = ~vT Y~v > 0. (3.31) Data l’arbitrarietà del vettore ~v, dalla (3.31) si deduce che la rete due porte è passiva se la matrice Y che la rappresenta è semi-definita positiva. 3.3.1 Matrice semi-definita positiva Il significato dei parametri Si immagini di considerare la prima delle due relazioni costitutive nella (3.27) e di voler ricavare da questa l’espressione del primo parametro y11 . Anche qui se il secondo termine nel membro sinistro dell’equazione è identicamente nullo, allora il parametro y11 è semplicemente il rapporto tra la corrente alla prima porta i1 (t) e la tensione alla prima porta v1 (t). Tale scopo può essere semplicemente raggiunto imponendo che la tensione alla seconda porta v2 (t) sia identicamente nulla, cioè tale porta è cortocircuitata. Dunque, riassumendo, il parametro y11 può essere determinato come il rapporto tra la corrente entrante nella prima porta i1 (t) e la tensione alla prima porta v1 (t) quando la porta due è cortocircuitata. Un discorso analogo può essere fatto per il parametro y21 che, quindi, risulta essere determinato come il rapporto tra la corrente entrante nella seconda porta i2 (t) e la tensione alla prima porta v1 (t) quando la porta due è cortocircuitata. Parametro y11 Parametro y21 Si palesa, perciò, una condizione operativa ben definita. Per il calcolo dei parametri y11 e y21 , si alimenta la prima porta della rete due porte con un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v1 (t) e si cortocircuita la seconda porta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due correnti di porta e la v1 (t), rispettivamente. E’ poi possibile fare il ragionamento duale del precedente per calcolare gli altri due parametri y12 e y22 . In questo nuovo caso, come si evince dalla (3.27), è necessario che la v1 (t) sia identicamente nulla. Si palesa, perciò, la nuova condizione operativa per cui il calcolo dei parametri y21 e y22 è ottenuto alimentando la seconda porta della rete due porte con un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v2 (t) mentre si cortocircuita la prima porta. I due parametri cercati saranno i rapporti tra le due correnti di porta e la v2 (t), rispettivamente. Parametri y12 e y22 Tali condizioni operative sono illustrate in Figura 3.10. Il fatto che i parametri yij sono calcolati cortocircuitando una porta, giustifica il nome dato alla rappresentazione di matrice di ammettenze di corto circuito. Con riferimento a tale figura, allora è possibile quantificare i quattro Parametri della matrice Y le reti due porte 46 i1 i2 i1 i2 + + 1 v1 1 2 Y Y a) 2 v2 b) Fig. 3.10: Configurazioni utilizzate per il calcolo dei parametri a) y11 e y21 b) y12 e y22 . parametri come segue i1 (t) y11 = v1 (t) v2 (t)=0 i2 (t) v1 (t) v2 (t)=0 (3.33) i1 (t) = v2 (t) v1 (t)=0 (3.34) i2 (t) v2 (t) v1 (t)=0 (3.35) y21 = y12 (3.32) y22 = Le formule precedenti sono molto utili per determinare la rappresentazione due porte di un generico circuito, magari anche molto complicato. Si tratta di determinare le due tensioni di porta nelle due condizioni operative illustrate e applicare le equazioni precedenti. Nel seguente paragrafo si vedrà un esempio molto utile della applicazioni di tali formule. 3.3.2 Rete a Π di resistori Le reti a Π Si applicheranno le formule precedenti a un’altra rete molto semplice: il Π di resistori rappresentata in Figura 3.11. Si vuole cercare di tale rete la sua rappresentazione mediante la matrice delle ammettenze di corto circuito. A tal proposito, si dovranno valutare le due correnti di porta nelle due condizioni operative descritte nel precedente paragrafo. Ci si metta inizialmente R3 1 R1 R2 2 Fig. 3.11: Rete a Π di resistori. nella prima condizione operativa, ovvero alimentiamo la prima porta con un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v1 (t) e cortocircuitiamo la porta due. In questa condizione, ci si propone di calcolare le due correnti di porta i1 (t) e i2 (t). Graficamente tale situazione è illustrata nella parte a) di Figura 3.12. 3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito Si osservi che, dato che la porta due è cortocircuitata, è v2 (t) = 0 e di conseguenza è nulla anche la corrente sul resistore R2 . Inoltre, il resistore R1 è in parallelo al generatore di tensione e in parallelo al resistore R3 e quindi si ha che vR1 (t) = vR3 (t) = v1 (t). Dunque (3.36) i1 (t) = iR1 (t) + iR3 (t) = (G1 + G3 ) v1 (t). D’altronde, poiché la corrente che scorre su R2 è nulla, la corrente i2 (t) cercata è pari alla corrente iR3 (t) che scorre su R3 , ma cambiata di segno: (3.37) i2 (t) = iR3 (t) = −G3 v1 (t). iR3 i1 i2 iR3 i1 R3 iR1 iR2 + + + v1 R1 i2 R3 v R2 a) R1 v + R2 v2 b) Fig. 3.12: Analisi di una rete a Π di resistori: calcolo dei parametri a) y11 e y21 , b) y12 e y22 . Il calcolo dei parametri y11 e y21 attraverso la (3.32) e la (3.33), fornisce: (G1 + G3 ) v1 (t) i (t) y11 = 1 = = G1 + G3 , (3.38) v1 (t) v2 (t)=0 v1 (t) e y21 i2 (t) G v (t) = =− 3 1 = −G3 . v1 (t) v2 (t)=0 v1 (t) (3.39) In modo duale, ci si mette nella seconda condizione operativa, ovvero alimentiamo la seconda porta con un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v2 (t) e cortocircuitiamo la porta uno. Anche in questa condizione, ci si propone di calcolare le due correnti di porta i1 (t) e i2 (t). Graficamente tale situazione è illustrata nella parte b) di Figura 3.12. Si osservi che, dato che la porta uno è cortocircuitata, è v1 (t) = 0 e di conseguenza è anche nulla la corrente che scorre nel resistore R1 . Inoltre, il resistore R2 è in parallelo al generatore di tensione e in parallelo al resistore R3 e quindi si ha che vR2 (t) = vR3 (t) = v2 (t). Dunque i2 (t) = iR2 (t)iR3 (t) = (G2 + G3 ) v2 (t). (3.40) D’altronde, poiché la corrente che scorre su R1 è nulla, la corrente i1 (t) cercata è pari alla corrente iR3 (t) che scorre su R3 , ma cambiata di segno: i1 (t) = −iR3 (t) = −G3 v2 (t). (3.41) Il calcolo dei parametri y12 e y22 attraverso la (3.34) e la (3.35), fornisce: i (t) G v (t) y12 = 1 =− 3 2 = −G3 , (3.42) v2 (t) v1 (t)=0 v2 (t) e y22 (G2 + G3 ) v2 (t) i2 (t) = = = G2 + G3 . v2 (t) v1 (t)=0 v2 (t) (3.43) 47 48 Rappresentazione della rete a Π di resistori le reti due porte Dunque la matrice Y della rappresentazione della rete a T di resistori di Figura 3.11 è la seguente: G1 + G3 −G3 Y= (3.44) −G3 G2 + G3 Se una o più delle resistenze nella rete di Figura 3.11 è assente e al suo/loro posto è presente un circuito aperto, allora la corrispondente conduttanza nella (3.44) ha valore nullo. Si pensi, ad esempio, alle reti a Γ o alla sola resistenza longitudinale, ecc. Da un’attenta analisi della (3.44) si evince che: 1. la diagonale secondaria contiene l’elemento di conduttanza del ramo trasversale cambiato di segno; 2. la diagonale principale contiene la somma dell’elemento di conduttanza del ramo trasversale con la conduttanza del corrispondente ramo longitudinale. Ragionando in modo inverso, è possibile anche stabilire quali siano le condizioni per cui una matrice Y rappresenta la matrice delle ammettenze di corto circuito di una rete a Π di resistori. Sempre dall’analisi della (3.44) si può dedurre che: 1. gli elementi della diagonale secondaria devono essere negativi ed uguali; 2. gli elementi della diagonale principale devono essere maggiori o uguali al modulo dell’elemento della diagonale secondaria, in modo tale che, sottraendovi tale valore, rimanga un numero non negativo che può essere interpretato come conduttanza del corrispondente ramo longitudinale. 3.3.3 Connessione parallelo-parallelo La connessione parallelo-parallelo Si considerino due reti due parte rappresentate dalle matrici delle ammettenze di corto circuito Y1 e Y2 , rispettivamente e si connettano nel modo (1) (1) (1) (1) rappresentato in Figura 3.13. Si denota con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le rispettive quattro grandezze elettriche della prima rete due porte e con (2) (2) (2) (2) v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le grandezze elettriche della seconda rete due porte. Si vuole determinare una rappresentazione unica della rete illustrata in figura attraverso la matrice Y, indicando con v1 (t), v2 (t), i1 (t) e i2 (t) le grandezze di porta. (1) A tal proposito si può notare che la tensione v1 (t) crelativa alla prima porta della prima rete due porte è la stessa della prima porta della seconda (2) (1) rete due porte e quindi v1 (t) = v1 (t) ≡ v1 (t). Le prime porte delle due reti sono dunque connesse in parallelo. La stessa cosa è verificata per le (2) (1) seconde porte delle due reti due porte, cioè v2 (t) = v2 (t) ≡ v2 (t). Dunque anche le seconde porte sono connesse in parallelo. E’ per questo che la configurazione rappresentata in Figura 3.13 prende il nome di connessione parallelo-parallelo. I parametri delle due reti due porte sono indicati, rispettivamente con " # " # (1) (1) (2) (2) y11 y12 y11 y12 Y1 = (1) (1) , e Y2 = (2) (2) . y21 y22 y21 y22 3.3 rappresentazione attraverso la matrice di ammettenze di corto circuito i1(1) 49 i2(1) + + 1 v1(1) Y1 2 v2(1) i1 i2 + + v1 v2 - - i1(2) i2(2) + v1(2) + 1 Y2 2 v2(2) Fig. 3.13: Connessione parallelo-parallelo di due reti due porte rappresentate attraverso le matrici Y1 e Y2 . A questo punto è possibile scrivere la prima legge di Kirchhoff ai nodi in cui è connessa la porta della rete da rappresentare e le due porte delle singole reti, ottenendo rispettivamente: (1) (2) (1) (2) i1 (t) = i1 (t) + i1 (t), (3.45) i2 (t) = i2 (t) + i2 (t). Le singole correnti di porta delle due reti due porte sono sostituite con le relazioni costitutive (3.27), da cui (1) (1) (2) (2) i1 (t) = y11 v1 (t) + y12 v2 (t) + y11 v1 (t) + y12 v2 (t) (1) (2) (1) (2) = y11 + y11 v1 (t) + y12 + y12 v2 (t), (1) (1) (2) (2) i2 (t) = y21 v1 (t) + y22 v2 (t) + y21 v1 (t) + y22 v2 (t) (1) (2) (1) (2) = y21 + y21 v1 (t) + y22 + y22 v2 (t). (3.46) Dunque, osservando la (3.46) si ottiene la seguente espressione per la rappresentazione Y globale: " (1) (2) y + y11 Y = 11 (1) (2) y21 + y21 # (1) (2) y12 + y12 (1) (2) = Y1 + Y2 . y22 + y12 (3.47) La (3.47) mostra per le reti due porte un risultato simile a quello trovato per i bipoli: la matrice delle ammettenze di corto circuito di una connessione paralleloparallelo è pari alla somma delle singole matrici delle ammettenze di corto circuito delle singole reti. Tale risultato può essere facilmente generalizzato alla connessione paralleloparallelo di N reti due porte caratterizzate dalle matrici Y1 , Y2 , . . . , YN : Y = Y1 + Y2 + . . . + YN = N X Yk , (3.48) k=1 che generalizza il caso dei bipoli. Si osservi che, in questo caso, le Yk sono matrici 2 × 2 e non numeri. Rappresentazione della connessione parallelo-parallelo 50 le reti due porte 3.3.4 Estensione ai domini trasformati L’estensione ai domini trasformati è del tutto immediata anche in questo caso. E’ infatti possibile trasformare la (3.27) nel dominio di Laplace, ottenendo I1 (s) = y11 V1 (s) + y12 V2 (s), (3.49) I2 (s) = y21 V1 (s) + y22 V2 (s). oppure nel dominio dei fasori, ricavando I1 = y11 V1 + y12 V2 , (3.50) I2 = y21 V1 + y22 V2 . Rappresentazione nel dominio trasformato I parametri yij , per i, j = 1, 2 hanno ora il significato di ammettenze e sono definite da formule simili alle (3.32)-(3.35) nelle stesse due condizioni operative, ma in questo caso tutte le tensioni e correnti di porta sono sostituite dalle rispettive trasformate di Laplace oppure dai rispettivi fasori. ~ e ~I i vettori contenenti le due tensioni Se continuiamo a denotare con V e le due correnti di porta, rispettivamente, nel dominio di Laplace o nel dominio dei fasori, allora continua a valere la (3.30). Precisamente ~I = YV. ~ (3.51) Anche nel caso di connessione parallelo-parallelo di due o più reti due porte nei domini trasformati continua a valere la proprietà (3.48), cioè la matrice delle ammettenze di corto circuito di una connessione parallelo-parallelo è pari alla somma delle singole matrici delle ammettenze di corto circuito delle singole reti. Si consideri infine una rete a Π di generiche impedenze illustrata in Figura 3.14. Z3 Z1 1 Z2 2 Fig. 3.14: Rete a Π di impedenze. Procedendo come nel paragrafo 3.3.2, ma operando in uno dei domini trasformati, è possibile ritrovare facilmente un risultato analogo alla (3.44), e precisamente Y + Y3 Y= 1 −Y3 −Y3 Y2 + Y3 (3.52) La matrice Y contiene ora le ammettenze dei tra rami del Π invece che le sole conduttanze. Tale risultato è valido sia nel dominio di Laplace che nel dominio dei fasori, con le dovute considerazioni sui valori delle singole ammettenze Yk . 3.4 relazione tra le due rappresentazioni 3.4 51 relazione tra le due rappresentazioni E’ possibile ottenere la relazione tra le due rappresentazioni esaminate in questo capitolo in modo intuitivo. Si pensi, infatti, ad un bipolo di impedenza Z: è allora immediato calcolare la sua ammettenza come Y = 1/Z, cioè come l’inverso dell’impedenza. Questa regola può essere generalizzata al caso delle reti due porte: la matrice della ammettenze di corto circuito è la matrice inversa della matrice delle impedenze a vuoto: Y = Z−1 . Relazione tra matrice Z e matrice Y (3.53) La dimostrazione formale di tale proprietà non viene fornita in questa sede. Agli interessati si rimanda a testi specialistici. Si ricorda che l’inversa di una matrice A di dimensione 2 × 2 ha una struttura molto semplice e può essere calcolata al volo 1 a b d −c −1 A= ⇒ A = . (3.54) c d ad − bc −b a La (3.54) è molto comoda per ottenere la matrice delle ammettenze di corto circuito a partire dalla conoscenza della matrice delle impedenze a vuoto o viceversa. In particolare, può essere utilizzata per trovare la rappresentazione a Π di una rete a T, o viceversa. La (3.54), cioè, è un altro modo per implementare la trasformazione stella-triangolo descritta nel paragrafo 1.5, senza dover necessariamente ricordare le formule di trasformazione. Esempio 3.2 Si riprenda l’esempio 1.4. Si vuole trovare la rappresentazione Π della T di resistori del riquadro rosso, per semplicità riportati nella seguente figura. E’ R2 = 1 Ω, R3 = R4 = 2 Ω. R4 R2 R3 R3 R2 R1 La rete a T nella parte sinistra della precedente figura, utilizzando la (3.18), ammette la rappresentazione con la seguente matrice di impedenze a vuoto R + R3 R3 3 2 Z= 2 = . R3 R4 + R3 2 4 La relativa matrice delle ammettenze di corto circuito si ricava applicando la (3.54), ottenendo, in relazione al lato destro della figura precedente 1 1 4 −2 − 14 G̃2 + G̃3 −G̃3 Y = Z−1 = = 21 ≡ . 3 −G̃3 G̃1 + G̃3 −4 12 − 4 −2 3 8 Confrontando gli ultimi due termini nell’equazione precedente, si ottiene 1 1 1 −1 Ω , G̃2 = Ω−1 , G̃3 = Ω−1 8 4 4 a cui corrispondono le seguenti resistenze G̃1 = R̃1 = 8 Ω, R̃2 = 4 Ω, R̃3 = 4 Ω Tali valori sono gli stessi ottenuti nell’esempio 1.4. Matrice inversa 4 LA SOVRAPPOSIZIONE DEGLI EFFETTI I l seguente capitolo è dedicato a uno dei principi fondamentale della fisica, valido per sistemi lineari: il principio di sovrapposizione degli effetti. Anche in elettrotecnica, tale principio gioca un ruolo fondamentali in molti aspetti. Infatti, il principio di sovrapposizione degli effetti, da un lato ha una valenza teorica fondamentale e consente di dimostrare in modo semplice altre proprietà, dall’altro lato consente di risolvere con facilità esercizi molto complessi, dividendo l’analisi in sotto problemi più semplici. 4.1 il principio Il punto di partenza per comprendere il principio di sovrapposizione degli effetti è la proprietà di linearità, supposta posseduta da tutti i componenti e i circuiti studiati in questo corso. Tale proprietà può essere enunciata nel modo seguente: Linearità Proprietà 1. Il componente o il circuito è lineare se l’effetto e(t) dovuto ad una qualsiasi causa c(t) è proporzionale alla causa stessa, cioè (4.1) e(t) = kc(t), con k un’opportuna costante. La proprietà di linearità implica che le equazioni delle relazioni costitutive dei componenti sono lineari e le equazioni che descrivono e caratterizzano i circuiti sono equazioni lineari. Si pensi per esempio un resistore di resistenza R e si consideri come causa la corrente i(t) che lo attraversa e come effetto la tensione v(t) ai suoi capi. Allora è valida la legge di Ohm v(t) = Ri(t). E’ immediato verificare la proporzionalità tra causa ed effetto e la linearità di tale equazione. Una conseguenza della proprietà di linearità è il principio di sovrapposizione degli effetti, che può essere enunciato come segue Principio di sovrapposizione degli effetti Principio 1. L’effetto dovuto a più cause che agiscono in contemporanea è uguale alla somme degli effetti dovute alle singole cause considerate come se agissero da sole. Matematicamente, indicando con e(t) l’effetto dovuta a N cause diverse e contemporanee, c(k) (t) la k-esima causa e con e(k) (t) il k-esimo effetto quando è attiva solo la k-esima causa, si ha c(t) = N X k=1 c(k) (t) ⇒ e(t) = N X e(k) (t). (4.2) k=1 53 54 la sovrapposizione degli effetti Un modo diverso di vedere il principio di sovrapposizione degli effetti è che alla combinazione lineare delle cause corrisponde la relativa combinazione lineare dei singoli effetti: c(t) = N X ak c(k) (t) ⇒ e(t) = k=1 N X ak e(k) (t), (4.3) k=1 con opportune costanti ak . 4.2 Principio di sovrapposizione degli effetti applicato all’elettrotecnica applicazione all’elettrotecnica La (4.3) ha una notevole interpretazione circuitale. Infatti in un circuito elettrico le cause sono le grandezze impresse dei generatori indipendenti, mentre l’effetto è la grandezza elettrica cercata che quindi, grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, può essere determinata come la somma dei singoli effetti dovuti ai singoli generatori indipendenti. A tal proposito, si consideri un circuito in cui siano presenti N generatori indipendenti (sia di tensione che di corrente) con grandezza impressa pari a c(k) (t), con k = 1, . . . , N. Si effettua, quindi, l’analisi quando è attivo solo un generatore per volta, mentre gli altri N − 1 generatori indipendenti sono stati disattivati (ovvero i generatori indipendenti di tensione sono sostituiti con cortocircuiti e quelli di corrente sono sostituiti con circuiti aperti). Sia e(k) (t) la grandezza elettrica da calcolare quando è attivo solo il k-esimo generatore, mentre gli altri sono disattivati. Allora la grandezza elettrica e(t) cercata è la somma delle singole grandezze ottenute quando agiscono le singole cause: e(t) = N X e(k) (t). (4.4) k=1 Segue un esempio per chiarire l’utilizzo del principio di sovrapposizione degli effetti. Esempio 4.1 Si determini, per il circuito seguente, il valore della tensione vR2 (t) sul resistore R2 , applicando il principio di sovrapposizione degli effetti. Si ha vg (t) = 5 V, ig (t) = 10 A, R1 = 3 Ω e R2 = 2 Ω. R1 + vg t + vR2 R2 ig t Il circuito assegnato contiene due generatori indipendenti. E’ quindi possibile effettuare l’analisi in due passi successivi, cioè calcolando la tensione cercata quando è attivo un solo generatore indipendente per volta e poi sommando i due singoli risultati ottenuti. Si effettuano le due analisi separatamente. 1. vg (t) 6= 0 e ig (t) = 0: In questo caso il circuito si riduce come mostrato nella seguente figura. La (1) tensione vR2 (t) può essere semplicemente calcolata applicando la regola del partitore di tensione (2.4), ottenendo: (1) vR2 (t) = R2 2 vg (t) = ·5 = 2 V R1 + R2 3+2 4.3 la sovrapposizione delle potenze R1 + + vg t vR2 R2 2. vg (t) = 0 e ig (t) 6= 0: In questo caso il circuito si riduce come mostrato nella seguente figura. La iR2 t + R1 vR2 ig t R2 corrente iR2 (t) che scorre nel resistore R2 può essere facilmente ottenuta utilizzando la regola del partitore di corrente (2.17), ricavando: iR2 (t) = G2 · ig (t) = G1 + G2 1 2 1 3 + 1 2 · 10 = 3 · 10 = 6 A 5 (2) Dunque, attraverso la legge di Ohm, la tensione vR2 (t) cercata in questo secondo caso, è (2) vR2 (t) = R2 iR2 (t) = 2 · 6 = 12 V Infine, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, espresso dalla (4.4), si ottiene: (1) (2) vR2 (t) = vR2 (t) + vR2 (t) = 2 + 12 = 14 V 4.3 la sovrapposizione delle potenze E’ necessaria particolare attenzione nell’utilizzo del principio, in quanto esso è valido solo per relazioni lineari. Un tipico caso in cui non è possibile utilizzare il principio è la sovrapposizione delle potenze. In questo caso, infatti, poiché la relazione della potenza è non lineare p(k) (t) = v(k) (t)i(k) (t), (4.5) non è possibile utilizzare il principio. A tal proposito, si consideri un semplice caso di un circuito con due generatori. Si determina, con il principio di sovrapposizione degli effetti, le tensioni v(1) (t), v(2) (t) e le correnti i(1) (t) e i(2) (t) sul componente su cui si deve calcolare la potenza. Allora la tensione e la corrente su tale componente assumo i seguenti valori: v(t) = v(1) (t) + v(2) (t), i(t) = i(1) (t) + i(2) (t). (4.6) 55 56 Sovrapposizione delle potenze la sovrapposizione degli effetti Di conseguenza la potenza cercata vale p(t) = v(t)i(t) = v(1) (t) + v(2) (t) i(1) (t) + i(2) (t) = v(1) (t)i(1) (t) + v(2) (t)i(2) (t) + v(1) (t)i(2) (t) + v(2) (t)i(1) (t) = p(1) (t) + p(2) (t) + v(1) (t)i(2) (t) + v(2) (t)i(1) (t) (4.7) 6= p(1) (t) + p(2) (t). Potenza incrociata La (4.7) dimostra la non applicabilità del principio di sovrapposizione degli effetti nel caso delle potenze, data la presenza del termine supplementare v(1) (t)i(2) (t) + v(2) (t)i(1) (t), definita potenza incrociata, che assume valori diversi da zero. 4.4 Sovrapposizione nel dominio di Laplace estensione ai domini trasformati Vista la linearità delle trasformazioni e la linearità del problema, il principio di sovrapposizione degli effetti è automaticamente verificato anche nei domini trasformati. In particolare, l’espressione (4.4) continua a valere, con le dovute modifiche, nel dominio della trasformata di Laplace E(s) = N X E(k) (s), (4.8) k=1 Sovrapposizione nel dominio dei fasori dove E(k) (s) è la grandezza elettrica da calcolare quando è attivo solo il kesimo generatore, mentre gli altri sono disattivati, e nel dominio dei fasori E= N X E(k) , (4.9) k=1 Eccitazioni con pulsazioni diverse dove E(k) è il fasore della grandezza elettrica da calcolare quando è attivo solo il k-esimo generatore, mentre gli altri sono disattivati. Quest’ultimo caso, però, merita molta attenzione. Infatti il fasore “perde”, per così dire, l’informazione sulla pulsazione a cui si sta lavorando. Se quindi tutte le eccitazioni sono relative alla medesima pulsazione, è possibile applicare direttamente la (4.9). Al contrario, nel caso in cui ci siano eccitazioni con pulsazioni diverse, non è più possibile applicare direttamente la (4.9), dato che i fasori si riferirebbero a pulsazioni distinte. In quest’ultimo caso, è necessario procedere in modo differente: si raggruppano le eccitazioni di uguale pulsazione e si effettua l’analisi richiesta (magari applicando il principio di sovrapposizione degli effetti per tutte le eccitazioni di tale gruppo) per ogni gruppo di eccitazioni, antitrasformando il risultato nel dominio del tempo. La soluzione finale sarà quindi la sovrapposizione dei contributi dei singoli gruppi nel dominio del tempo. Attenzione al caso in cui non tutte le grandezze sono espresse in uno stesso dominio trasformato. Se si è in questo caso, per applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, bisogna riportare tutte le grandezze in uno stesso dominio, ad esempio quello temporale. Se quindi si applica l’analisi, ad esempio, con un generatore in transitorio ed uno a regime permanente, si trovano le espressione espressioni della grandezza richiesta nei relativi domini, si procede con l’anti-trasformazione nel tempo e solo alla fine si sommano i risultati utilizzando la (4.4). 4.4 estensione ai domini trasformati Segue anche qui un esempio per chiarire l’utilizzo del principio di sovrapposizione degli effetti nei domini trasformati. Esempio 4.2 Si determini, per il circuito seguente, il valore della tensione vC (t) sul resistore C. Si 0 1 , mentre il generatore ha grandezza ha R1 = 3 Ω, R1 = 2 Ω, C = 1 F, Y = −1 2 impressa pari a ig (t) = cos(t), t60 0, t>0 R 1 Y 2 + ig t R1 R vC t C Per risolvere il problema assegnato, si dovrebbero eseguire due analisi distinte del circuito: la prima analisi per t 6 0 e la seconda, dopo aver valutato tutte le condizioni iniziali all’istante t = 0, per t > 0. Esiste, però, un metodo più veloce, che consente di risolvere il problema dato con una sola analisi del circuito. Tale metodo nasce dalla seguente osservazione: l’espressione della grandezza impressa del generatore indipendente ig (t) può essere riscritta in maniera più furba nel modo seguente: (1) (2) ig (t) = cos(t) − cos(t)u−1 (t) ≡ ig (t) + ig (t). Scritto in questo modo, la soluzione cercata può essere ottenuta applicando il prin(1) (2) cipio di sovrapposizione degli effetti con cause ig (t) e ig (t), dopo aver calcolato V (s) la funzione di rete F(s) = I C(s) . L’effetto alla prima causa sarà una risposta a regig me permanente (fasore), mentre quello relativo alla seconda causa sarà una risposta transitoria (Laplace). La sovrapposizione sarà effettuata nel dominio temporale. Si procede al calcolo della funzione di rete F(s). A tal proposito, dopo aver trasformato il circuito nel dominio di Laplace, come illustrato nella figura seguente, si determina la tensione VC (s) del condensatore C attraverso l’applicazione del metodo dei nodi. 1 I2 I1 E1 1 + V1 - Ig s 1 Y 2 E3 2 E2 + V2 - 1 s + VC s 57 58 la sovrapposizione degli effetti Indicando con E1 (s), E2 (s) ed E3 (s) i potenziali ai tre nodi presenti, con I1 (s) e I2 (s), V1 (s) e V2 (s), le correnti e tensione della rete due porte, si ottiene il seguente sistema risolvente: 2 −1 0 Ig (s) − I1 (s) E1 (s) −1 s + 1 0 · E2 (s) = −I2 (s) . 1 I1 (s) + I2 (s) E3 (s) 0 0 2 Le relazioni costitutive della rete due porte, notando che è V1 (s) = E1 (s) − E3 (s) e V2 (s) = E2 (s) − E3 (s), sono: I1 (s) = y11 V1 (s) + y12 V2 (s) = V2 (s) = E2 (s) − E3 (s), I2 (s) = y21 V1 (s) + y22 V2 (s) = −V1 (s) + 2V2 (s) = −E1 (s) + 2E2 (s) − E3 (s). Dalle precedenti relazioni, si ricava anche che I1 (s) + I2 (s) = −E1 (s) + 3E2 (s) − 2E3 (s). Sostituendo i valori di I1 (s), I2 (s) e I1 (s) + I2 (s) nel sistema risolvente e riordinando si ottiene infine 2 0 −1 E1 (s) Ig (s) −2 s + 3 −1 · E2 (s) = 0 . 2 −6 5 E3 (s) 0 Risolvendo rispetto a E2 (s) = VC (s) e utilizzando la regola di Cramer, si ottiene 2 Ig (s) −1 −2 0 −1 2 2 0 5 E2 (s) = = 3 Ig (s). 2 s+1 0 −1 −2 s + 3 −1 2 −6 5 Di conseguenza la funzione di rete cercata è F(s) = 2 VC (s) = 3 . Ig (s) s+1 Tale funzione di rete ha un solo polo in s0 = −1 e quindi il circuito è asintoticamente stabile, garantendo l’esistenza della risposta a regime permanente. A questo punto è possibile applicare il principio di sovrapposizione degli effetti. (1) (2) 1. ig (t) 6= 0 e ig (t) = 0: (1) (1) Essendo ig (t) una causa a regime permanente, anche l’effetto vC (t) sarà a regime permanente. La risposta cercata, sarà quindi calcolata, per semplicità, (1) nel dominio dei fasori. Poiché è Ig (1) (1) VC = F(jω0 )Ig = F(j) = = 1 e ω0 = 1, si ottiene: 2 3 1+j = √ 1 2 −j π (1 − j) = e 4. 3 3 Nel dominio del tempo, anti-trasformando, restituisce √ 2 π (1) vC (t) = cos t − . 3 4 (1) (2) 2. ig (t) = 0 e ig (t) 6= 0: Essendo (2) ig (t) (2) una causa in transitorio, l’effetto vC (t) sarà calcolato, per (2) semplicità, nel dominio di Laplace. Poiché è Ig (s) = − s2s+1 si ottiene: (2) (2) VC (s) = F(s)Ig (s) = − 2 3 s+1 · s2 A∗ s A1 A = + 2 + 2 . s+1 s−j s+j +1 4.5 la sovrapposizione delle potenze attive 59 Il calcolo dei residui restituisce: A1 = (s + 1) F(s)|s=−1 = − A2 = (s − j) F(s)|s=j = − 2 3s 2 s + 1 s=−1 2 3s (s + 1) (s + j) = s=j 1 3 1 = − (1 − j) 6 E quindi 1 3 (2) VC (s) = s+1 − 1 6 (1 − j) − s−j 1 6 (1 + j) . s+j L’antitrasformata di tale espressione nel dominio del tempo, utilizzando la (D.3), fornisce: √ 2 1 −t π (2) u−1 (t). vC (t) = e u−1 (t) − cos t − 3 3 4 Infine, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, espresso dalla (4.4), si ottiene: √ 2 π 1 −t (1) (2) vC (t) = vC (t) + vC (t) = + e u−1 (t) cos t − 3 4 3 √ 2 π cos t − u−1 (t) [V] − 3 4 E’ interessante riscrivere l’espressione precedente separando i contributi per tempi negativi da quelli per tempi positivi. Ricordando la definizione della funzione gradino unitario u−1 (t), si ottiene: √ 2 cos t − π per t 6 0 4 , vC (t) = 13 −t e , per t > 0 3 4.5 la sovrapposizione delle potenze attive Un risultato analogo alla (4.7) è valido anche nel dominio dei fasori per la potenza complessa. A tal proposito, si consideri un semplice caso di un circuito con due generatori con stessa pulsazione ω0 . Si determina, con il principio di sovrapposizione degli effetti, le tensioni V(1) , V(2) e le correnti I(1) e I(2) sul componente su cui si deve calcolare la potenza. Allora la tensione e la corrente su tale componente assumo i seguenti valori: V = V(1) + V(2) , I = I(1) + V(2) . (4.10) Di conseguenza, la potenza complessa Pc cercata vale 1 ∗ 1 (1) VI = V + V(2) I(1)∗ + I(2)∗ 2 2 1 (1) (1)∗ 1 (2) (2)∗ 1 (1) (2)∗ = V I + V I + V I + V(2) I(1)∗ 2 2 2 Pc = = (1) Pc (1) 6= Pc (2) + Pc (2) (12) + Pc + Pc , (4.11) Potenza complessa 60 la sovrapposizione degli effetti (1) (2) Potenza complessa incrociata dove Pc e Pc sono le potenze complesse dovute ai singoli generatori. La (4.11) dimostra la non applicabilità del principio di sovrapposizione degli effetti nel caso delle potenze complesse, data la presenza del termine supple(12) mentare Pc , definita potenza complessa incrociata, che assume in generale valori diversi da zero. Potenza attiva Estraendo le parti reali da entrambi i membri della (4.11), si ottiene un risultato simile per la potenza attiva: (1) (2) (12) Pa = Pa + Pa + Pa . (4.12) (12) Potenza attiva incrociata Anche in questo caso, in generale, il termine incrociato Pa , detto potenza attiva incrociata, è diverso da zero rendendo non applicabile il principio di sovrapposizione degli effetti. Un risultato simile è ottenibile per le potenze reattive, estraendo la parte immaginaria di entrambi i membri della (4.11). Se però i due generatori presenti lavorano a pulsazioni diverse, diciamo ω1 e ω2 e queste pulsazioni condividono un periodo multiplo comune, allora (12) il termine incrociato Pa è nullo. Poiché ci si riferisce ora al caso di due generatori con pulsazione diversa, non sarà possibile lavorare con i fasori e si dovrà ricorrere al calcolo della potenza nel dominio del tempo. Si ricordi, a tal proposito, che la potenza attiva è il valor medio della potenza istantanea su un periodo. Si suppongano assegnate le due tensioni sinusoidali v(1) (t) = V (1) cos (ω1 t), = V (2) cos (ω2 t) e le due correnti sinusoidali i(1) (t) = I(1) cos (ω1 t) (2) e i (t) = I(2) cos (ω2 t), e valide le (4.6). Per semplicità si è supposto che le fasi siano tutte identicamente nulle. Si supponga, inoltre, che esista un 2π 2π e T2 = ω delle due sinusoidi a multiplo comune dei periodi T1 = ω 1 2 pulsazione ω1 e ω2 , cioè v(2) (t) Periodo T = mT1 = nT2 , (4.13) per due interi m e n, oppure che la media è effettuata su un periodo infinitamente lungo. Il calcolo del valor medio della potenza istantanea sul periodo comune T , fornisce Z 1 T p(t)dt = v(t)i(t)dt = T 0 0 ZT h ih i 1 = v(1) (t) + v(2) (t) i(1) (t) + i(2) (t) dt T 0 Z Z 1 T (1) 1 T (2) = v (t)i(1) (t)dt + v (t)i(2) (t)dt T 0 T 0 Z Z 1 T (1) 1 T (2) + v (t)i(2) (t)dt + v (t)i(1) (t)dt T 0 T 0 Z Z 1 T (1) 1 T (2) = v (t)i(1) (t)dt + v (t)i(2) (t)dt T 0 T 0 1 Pa = T ZT (1) (4.14) (2) = Pa + Pa . Questo risultato è ottenuto grazie al fatto che i due integrali nella quarta 4.5 la sovrapposizione delle potenze attive 61 riga della (4.14) sono nulli. Per dimostrare questa affermazione, si calcoli ad esempio il primo integrale della quarta riga, indicato qui con P(3) : P (3) 1 = T = = = 1 T ZT 0 ZT v(1) (t)i(2) (t)dt V (1) cos (ω1 t) I(2) cos (ω2 t) dt 0 V (1) I(2) 2T V (1) I(2) 2T ZT [cos (ω1 + ω2 ) t + cos (ω1 − ω2 ) t] dt 0 ZT 2π 2π cos (m + n) t + cos (m − n) t dt T T 0 (4.15) = 0. Il passaggio dalla seconda alla terza riga è stato ottenuto utilizzando le formule di Werner, mentre il passaggio dalla terza alla quarta riga, ricordando le definizioni dei periodi T1 e T2 e la (4.13), è stata ottenuto dalle seguenti relazioni: 2π , T 2π ω1 − ω2 = (m − n) . T ω1 + ω2 = (m + n) Infine, il risultato finale è ottenuto ricordando che il valor medio sul periodo di una sinusoide è nullo. In maniera analoga è possibile dimostrare che anche il secondo integrale nella quarta riga della (4.14), qui indicato con P(4) , è nullo. Infatti, procedendo come prima, si ottiene: P(4) = 1 T 1 = T ZT v(2) (t)i(1) (t)dt 0 ZT V (2) cos (ω2 t) I(1) cos (ω1 t) dt 0 V (2) I(1) = 2T = V (2) I(1) 2T ZT [cos (ω1 + ω2 ) t + cos (ω2 − ω1 ) t] dt 0 ZT 2π 2π cos (n + m) t + cos (n − m) t dt T T 0 (4.16) = 0. La (4.14) può essere generalizzata al caso di un numero arbitrario di eccitazioni e può essere enunciata semplicemente nel modo seguente: la potenza attiva in regime permanente di eccitazioni sinusoidali di pulsazione diversa è uguale alla somma delle potenze attive che si hanno considerando separatamente gli effetti dei gruppi di eccitazioni di uguale pulsazione. Sovrapposizione delle potenze attive 5 I TEOREMI DI THEVENIN E NORTON I l seguente capitolo è dedicato a due dei teoremi più importanti dell’elettrotecnica, che consentono di ottenere una rappresentazione semplificata di circuiti anche molto complicati: il teorema di Thevenin e il teorema di Norton. Per la dimostrazione formale di questi due teoremi si utilizzerà un altro risultato notevole: il teorema di sostituzione, che sarà il primo argomento di questo capitolo. I teoremi trattati nel presente capitolo si applicano a circuiti, anche complessi, che possono essere schematicamente divisi in due porzioni distinte che comunicano attraverso una porta e non hanno altri legami tra di loro (grandezze di controllo, rami di un trasformatore ideale). 5.1 il teorema di sostituzione Si focalizzi l’attenzione su un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, qui definite Rete 1 e Rete 2, che comunicano attraverso la porta AB, come rappresentato in Figura 5.1. Il teoi (t ) A + Rete 1 v(t ) Rete 2 B Fig. 5.1: Schematizzazione di una rete suddivisibile in due porzioni accessibili da una porta. rema di sostituzione riguarda il problema di sostituibilità di una porzione della rete, diciamo la Rete 1, con un bipolo in modo tale che la situazione elettrica della Rete 2 e le relative grandezze di porta v(t) e i(t), rimangano inalterate. In particolare, poiché si vuole che le grandezze di porta rimangano inalterate, si può imporre l’uguaglianza di una delle due grandezze v(t) oppure i(t), garantendo l’uguaglianza anche dell’altra grandezza per rispettare le equazioni circuitali di equilibrio. Dunque, una porzione della rete, diciamo la Rete 1, può essere sostituito con un generatore indipendente, di tensione oppure di corrente. Dopo tale sostituzione, la porzione di circuito rimanente, la Rete 2, non si accorge di non essere più collegata alle Rete 1: viene ingannata dalla presenza del generatore indipendente. Poiché l’equilibrio elettrico è rispettato, per la Rete 2 tale situazione è indistinguibile da quella originaria. In generale, è possibile sostituire la porzione di rete con entrambi i generatori. Fa eccezione il caso in cui la restante parte, la Rete 2, si comporta a Sostituzione di una porzione di circuito accessibile da una porta 63 64 Teorema di sostituzione i teoremi di thevenin e norton sua volta come un generatore indipendente. In tal caso, come bipolo sostituente, deve essere scelto quello con il comportamento duale, in modo da evitare quei collegamenti assurdi, cioè il parallelo di due generatori indipendenti di tensione o il parallelo di due generatori indipendenti di corrente, con grandezze impresse diverse. Teorema 1 (di Sostituzione). In una rete qualsiasi, una sua porzione accessibile da una porta può essere sostituita con un generatore indipendente di tensione o di corrente, avente per grandezza impressa la corrispondente grandezza di porta, come mostrato in Figura 5.2. La scelta del tipo di generatore è in generale indifferente, salvo quando tra A e B la restante porzione appare come un generatore. In questo caso occorre scegliere nella sostituzione il generatore di tipo opposto a quello secondo cui si comporta la restante porzione. i (t ) A A + + Rete 2 v(t ) i (t ) - - B B a) Rete 2 v(t ) b) Fig. 5.2: Possibili sostituzioni della porzione Rete 1 utilizzando il teorema di sostituzione. E’ opportuno osservare che il teorema di sostituzione non può essere applicato se tra le due porzioni Rete 1 e Rete 2 esistono legami elettrici, cioè un generatore controllato in una porzione la cui grandezza di controllo è relativa all’altra porzione, oppure un ramo di un trasformatore in una porzione e l’altro ramo nell’altra porzione, ovvero, in generale, la presenza di componenti multiporta presenti contemporaneamente nelle due porzioni di rete. Il teorema di sostituzione assume una valenza pratica nell’analisi dei circuiti contenenti elementi a due porte. Infatti, in base a tale teorema, ogni porta può essere sostituito con un generatore, scegliendo il tipo più consono al metodo di analisi scelto: quindi ogni blocco di circuito che si comporta come rete due porte può essere sostituito con due generatori indipendenti al posto delle porte. Le grandezze impresse di tali generatori, così come le restanti due grandezze elettriche, sono incognite ma legate dalle due relazioni costitutive del particolare componente due porte. Un tale procedimento semplifica la scrittura del sistema risolvente e quindi l’analisi del circuito. Si mostrano due esempi per chiarire il concetto. Esempio 5.1 Si ripropone l’esempio 3.1, sostituendo la rete due porte caratterizzata dalla matrice Z con due generatori indipendente di tensione, visto che lo si è risolto con il metodo base maglie. Tale sostituzione è illustrata nella parte b) della seguente figura. La parte a) rappresenta il circuito da esaminare. Siano anche in questo caso im1 (t), im2 (t) e im3 (t) le tre correnti fittizie di maglia; il sistema risolvente base maglie si scrive R1 0 0 im1 (t) −v1 (t) , 0 R2 0 · im2 (t) = v2 (t) 0 0 0 im3 (t) vg (t) − v2 (t) + v1 (t) in cui v1 (t) e v2 (t) sono le tensioni impresse incognite dei generatori indipendenti di tensione derivanti dalla rete due porte. Indicando con i1 (t) = im1 (t) − im3 (t) e 5.2 il teorema di thevenin vg t vg t + im 3 i1 + i2 i1 1 + Z 2 v1 v2 im1 + v2 t im 3 + i2 + + - R1 v1 t 65 im 2 R2 vR2 t + R1 im1 a) im 2 R2 vR2 t b) i2 (t) = im3 (t) − im2 (t) le due correnti incognite entranti nella rete due porte, ora corrispondenti alle correnti che scorrono nei generatori indipendenti di tensione con i versi indicati in figura, le relazioni costitutive di questo elemento vengono scritte come segue v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t) = i1 (t) = im1 (t) − im3 (t), v1 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t) = i1 (t) + i2 (t) = im1 (t) − im2 (t). Poiché questo insieme di equazioni coincide con quelle illustrate nell’esempio 3.1, il resto dell’esercizio è identico a quanto già svolto e viene omesso. 5.2 il teorema di thevenin Si consideri nuovamente un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, definite Rete 1 e Rete 2, che comunicano attraverso la porta AB, già rappresentato in Figura 5.1. Si consideri per il momento che il circuito è privo di bipoli reattivi, cioè di condensatori e induttori. Lo scopo del seguente paragrafo è quello di stabilire se è possibile determinare una rappresentazione semplificata di una porzione del circuito, diciamo Rete 1: si vuole, cioè, determinare un circuito equivalente semplificato della Rete 1 tale che, se sostituito, la rimanente porzione Rete 2 non risente della modifica. La risposta a tale quesito è fornita dal teorema di Thevenin, che può essere così enunciato: Teorema di Thvenin Teorema 2 (di Thevenin). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, alla serie di un generatore indipendente di tensione vT h (t), avente grandezza impressa uguale alla tensione che si manifesta a vuoto in corrispondenza alla porta della rete e con la stessa polarità, e un resistore RT h di resistenza equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in Figura 5.3, mentre il valore dei parametri vT h (t) e RT h è mostrata in Figura 5.4. Tale teorema fu enunciato nel 1883 dall’ingegnere francese Léon Charles Thévenin (1857-1926) da cui prende il nome1 . Il generatore indipendente di tensione e la resistenza utilizzate nell’enunciato del teorema prendono rispettivamente il nome di generatore di Thevenin e resistenza equivalente di Thevenin. E’ sottinteso che tra le due porzioni Rete 1 e Rete 2 non ci 1 In realtà, il teorema fu enunciato per primo dallo scienziato tedesco Hermann von Helmholtz nel 1853, ma fu poi riscoperto nel 1883 da Thevenin. Generatore e resistenza equivalente di Thevenin 66 i teoremi di thevenin e norton i (t ) R Th A + Rete 1 Rete 2 v(t ) A + Rete 2 vTh (t ) B B a) b) Fig. 5.3: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Thevenin. A A + Rete 1 + Rete 1 disattivata vTh (t ) R Th - - B B a) b) Fig. 5.4: Valore dei parametri vT h (t) e RT h utilizzati nell’applicazione del teorema di Thevenin. siano legami elettrici (elementi multiporta presenti contemporaneamente in ambedue le porzioni), così come specificato per il teorema di sostituzione. Si procede con la dimostrazione del teorema di Thevenin. Dimostrazione del teorema di Thevenin Dimostrazione. La dimostrazione del teorema è effettuata come semplice applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti e del teorema di sostituzione. Si cominci con il sostituire la porzione Rete 2 con un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a i(t), cioè quella che attraversa la porta AB, come illustrato nella parte a) di Figura 5.5. Tale operazione, se non ci sono legami tra le due porzioni è possibile per il teorema di sostituzione. Resta escluso il caso in cui la Rete 1 si comporti come un generatore di corrente: in questo caso il teorema di sostituzione non può essere applicato e di conseguenza non è possibile applicare il teorema di Thevenin. Rete 1 A A + + vAB t i t Rete 1 (1) t v AB + Rete 1 disattivata ( 2) t v AB B B B b) i t - - - a) A c) Fig. 5.5: Dimostrazione del teorema di Thevenin: sostituzione della Rete 2 con un generatore indipendente di corrente a); determinazione della tensione di porta dovuti ai generatori del primo gruppo b) e del secondo gruppo c). A questo punto è possibile determinare la tensione di porta vAB (t) attraverso il principio di sovrapposizione degli effetti, dividendo le eccitazioni in due gruppi, come illustrato nelle parti b) e c) di Figura 5.5: 1. le eccitazioni interne alla Rete 1; 2. il generatore di corrente esterno i(t). L’effetto del primo gruppo si ottiene disattivando il generatore esterno i(t). La rete risultante è pertanto la Rete 1 lasciata aperta e quindi la tensione (1) vAB (t) cercata è la tensione a vuoto, che abbiamo definito vT h (t), cioè 5.2 il teorema di thevenin 67 (1) vAB (t) = vT h (t). L’effetto del secondo gruppo si ottiene disattivando tutti (2) i generatori indipendenti interni alla Rete 1. La tensione vAB (t) cercata è dunque data dalla corrente i(t) per la resistenza equivalente, chiamata qui (2) RT h , della Rete 1 disattivata, cioè vAB (t) = RT h i(t). Dunque, per il principio di sovrapposizione degli effetti è: (1) (2) vAB (t) = vAB (t) + vAB (t) = vT h (t) + RT h i(t). (5.1) Dato che la somma di due tensioni è equivalente alla serie di due bipoli, la Rete 1 è interpretabile come la serie di un bipolo la cui tensione è fissata al valore vT h (t), cioè è un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a vT h (t) e di un bipolo la cui tensione è proporzionale alla corrente che lo attraversa, cioè è un resistore di resistenza RT h . Queste considerazioni dimostrano completamente il teorema di Thevenin. Nel seguito si entrerà più nello specifico nelle tecniche per la determinazione dei valori dei due parametri vT h (t) e RT h per l’applicazione del teorema di Thevenin. 5.2.1 Metodo disgiunto Nell’applicazione del metodo disgiunto, dopo aver separato la porzione Rete 2, si procede in due passi separati e successivi al calcolo della tensione di Thevenin vT h (t) e la resistenza di Thevenin RT h , rispettivamente. Si comincia, per comodità, al calcolo della tensione di Thevenin vT h (t). Come è noto dal teorema, tale tensione coincide con la tensione a vuoto alla porta AB, in cui si vuole applicare il teorema. Dunque, la vT h (t) può essere calcolata applicando qualsiasi metodo di analisi (base nodi o base maglie) e risolvendo il sistema risolvente rispetto a tale tensione incognita (o opportuna corrente). Per quanto riguarda il calcolo della resistenza di Thevenin RT h si inizia a disattivare tutti i generatori indipendenti all’interno della porzione Rete 1. Si ricorda che i generatori indipendenti di tensione si disattivano sostituendolo con dei corto circuiti (tensione nulla), mentre i generatori indipendenti di corrente si disattivano sostituendoli con dei circuiti aperti (corrente nulla). A questo punto bisogna fare una distinzione a seconda che nel circuito disattivato siano presenti soli resistori ovvero siano presenti anche altri componenti (generatori controllati, trasformatori ideali e nullori). Metodo disgiunto Caso in cui siano presenti solo resistori Nel caso in cui nel circuito disattivato siano presenti solo resistori, il calcolo della resistenza equivalente di Thevenin si effettua in maniera molto semplice. Basta infatti applicare i metodi descritti nel Capitolo 1 ed effettuare le equivalenze serie o parallelo in sequenza, fino a raggiungere la resistenza equivalente dell’intero bipolo Rete 1. Nel caso in cui ci siano resistori che non risultino collegati né in serie né in parallelo, è possibile applicare le trasformazioni stella-triangolo per risolvere il problema e ricondursi ad un collegamento serie o parallelo (si veda il Paragrafo 1.6). Esempio 5.2 Si applichi il teorema di Thevenin alla coppia di terminali A e B del seguente circuito. Sia R = 13 Ω e vg (t) = 26 V. Presenza di soli resistori e generatori indipendenti 68 i teoremi di thevenin e norton R i2 C A + vg t R i1 i3 + R R R vTh t R - B Si procede con il calcolo della tensione di Thevenin vT h (t). A tal proposito si applica il metodo delle maglie al circuito assegnato. Per semplicità, è possibile determinare la sola corrente i2 (t) della seconda maglia, con cui è possibile determinare la tensione tra i nodi A e B. Essendo presenti solo resistori e un generatore indipendente di tensione, il sistema risolvente si scrive immediatamente come 2R −R −R i1 (t) vg (t) −R 4R −R · i2 (t) = 0 . −R −R 3R i3 (t) 0 Risolvendo tale sistema rispetto alla seconda variabile i2 (t), si ottiene applicando la regola di Cramer 2R vg (t) −R −R 0 −R −R 0 3R 4R2 4 i2 (t) = v (t) = vg (t). = 3 g 2R −R −R 13R 13R −R 4R −R −R −R 3R Tale corrente è utilizzata per calcolare la tensione cercata, applicando la seconda legge di Kirchhoff al percorso BCAB: vT h (t) = vg (t) − Ri2 (t) = vg (t) − 4 9 vg (t) = vg (t) = 18 V 13 13 Per determinare la resistenza equivalente di Thevenin, si inizia disattivando il generatore indipendente di tensione (lo si cortocircuita) come illustrato nella parte a) della figura seguente, quindi si procede determinando gli equivalenti in serie e in parallelo dei resistori rimasti. Per semplificare la determinazione degli equivalenti, si ridisegna il circuito nella forma mostrata nella parte b) della figura seguente. R A R A R R R R R R R R R B a) R B b) Iniziando alla sinistra del circuito, si nota subito che sono presenti due resistori di uguale resistenza in parallelo. Dunque il primo equivalente (parallelo) è dato da Req1 = R . 2 Segue la serie di tale equivalente con un resistore di resistenza R: Req2 = Req1 + R = 3 R. 2 5.2 il teorema di thevenin A R A R R Req1 69 Req 2 R R R R B B a) b) A A A R Req 3 Req 4 R RTh R B B c) B e) d) In successione ho il parallelo tra questo equivalente e un resistore di resistenza R; Req3 = Req2 R 3 = R. Req2 + R 5 Segue un’altra serie: Req4 = Req3 + R = 8 R. 5 Infine, rimane da calcolare l’equivalente parallelo tra Req4 e un resistore di resistenza R: RT h = Req4 R 8 = R=8Ω Req4 + R 13 I passi precedenti sono illustrati nelle parti a)-e) della figura precedente. Dunque il circuito assegnato è equivalente alla serie di un generatore indipendente di tensione con grandezza impressa pari a 18 V e un resistore di resistenza pari a 8 Ω. A 8 + 18 B Caso in cui siano presenti anche altri componenti Nel caso, invece, in cui nel circuito disattivato siano presenti anche altri componenti otre ai resistori, precisamente, generatori controllati (che non devono essere disattivati), trasformatori ideali e/o nullori, non sarà più possibile utilizzare gli equivalenti in serie o parallelo, non potendo fare il parallelo di un resistore e un ramo del trasformatore ad esempio. In questi casi, l’unica soluzione è quella di applicare direttamente la definizione di resistenza, cioè il rapporto tra la tensione ai capi di un bipolo e la corrente che lo attraversa. E’ dunque possibile forzare una corrente nel Presenza di altri componenti 70 Generatore di prova i teoremi di thevenin e norton bipolo Rete 1 (alla porta AB) attraverso un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa arbitraria iP (t), definito generatore di prova2 e determinare la tensione che tale generatore produce alla porta AB. Tale situazione è illustrata in Figura 5.6. Il rapporto tra tale tensione e la corrente A + Rete 1 disattivata i P t vAB t B Fig. 5.6: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di RT h . di prova fornisce il valore della resistenza di Thevenin cercata: RT h = vAB (t) . iP (t) (5.2) Si vuole qui sottolineare che tale metodo per il calcolo della resistenza equivalente di Thevenin può anche essere applicato al caso in cui nel circuito disattivato siano presenti solo resistori. Esempio 5.3 Si applichi il teorema di Thevenin tra i terminali A e B del seguente circuito. Si ha R1 = 100 Ω, R2 = 10 Ω, k = 9 e vg (t) = 6 V. R1 vg t Ex A + iR1 + kiR1 iR2 R2 vTh t B Si procede con il calcolo della tensione di Thevenin. E’ possibile applicare una sola equazione nell’unica incognita, ovvero la tensione di Thevenin che coincide con il potenziale Ex al nodo di uscita, facendo l’equilibrio a tale nodo: iR1 (t) + kiR1 (t) − iR2 (t) = 0, dove le correnti che scorrono nei resistori sono iR1 (t) = G1 (vg (t) − Ex ) , iR2 (t) = G2 Ex . Sostituendo tali valori nell’equazione precedente, si trova (k + 1) G1 (vg (t) − Ex ) = G2 Ex , che risolta restituisce vT h (t) ≡ Ex = vg (t) = 3 V. 2 2 Il valore numerico di tale generatore non è importante al fine del calcolo della resistenza. Infatti, poiché il circuito che si sta considerando è lineare, la tensione prodotta alla porta AB considerata (effetto) sarà sicuramente proporzionale alla grandezza impressa che l’ha generata (causa): vAB (t) ∝ iP (t). Nel rapporto tra queste due grandezza, dunque, la corrente di prova si semplifica e il suo valore numerico non incide sul valore del parametro RT h . 5.2 il teorema di thevenin 71 Per determinare la resistenza equivalente di Thevenin, si inizia disattivando il generatore indipendente di tensione (lo si cortocircuita). Questa volta non è possibile determinare gli equivalenti in serie e in parallelo dei resistori rimasti, in quanto nel circuito è presenta ancora un generatore di corrente controllato in corrente. Per tal motivo, si inserisce alla porta AB un generatore indipendente di corrente di prova di grandezza impressa arbitraria pari a i(t), come mostrato nella seguente figura. Ex A + R1 kiR1 iR1 iR2 R2 Ex i t B Il circuito risultante sarà risolto con il metodo base nodi. Si osservi che è sufficiente scrivere una equazione nell’unica incognita presente Ex . Procedendo si ottiene: (G1 + G2 ) Ex = kiR1 (t) + i(t), in cui la corrente che scorre nel resistore R1 vale iR1 (t) = −G1 Ex . Sostituendo tale valore nella precedente equazione, si ottiene [(k + 1) G1 + G2 ] Ex = i(t), che risolta rispetto a Ex , fornisce Ex = i(t) = (k + 1) G1 + G2 i(t) = 5i(t). 1 + 10 10 100 Dunque la resistenza equivalente di Thevenin è pari a: RT h = 5.2.2 Ex =5Ω i(t) Metodo congiunto Nell’applicazione del metodo congiunto, dopo aver separato la porzione Rete 2, si procede al calcolo della tensione di Thevenin e la resistenza di Thevenin contemporaneamente. Tale metodo deriva direttamente dalla metodologia utilizzata nella dimostrazione del teorema. Si comincia collegando alla porta AB un generatore indipendente di corrente di grandezza arbitraria (generatore di prova), con valore impresso iP (t). A questo punto, applicando un qualsiasi metodo di analisi, si procede al calcolo della tensione di porta vAB (t). Tale tensione è generata da due gruppi di eccitazioni distinte: i generatori interni alla Rete 1 e il generatore di prova iP (t). Il contributo delle eccitazioni interne è la tensione a vuoto alla porta AB quando iP (t) non è presente, cioè è la tensione vT h (t), mentre il contributo del generatore di prova, dopo aver disattivato le eccitazioni interne, è una tensione proporzionale a tele corrente attraverso il parametro di proporzionalità RT h . La tensione di porta vAB (t) è dunque esprimibile come vAB (t) = vT h (t) + RT h iP (t). (5.3) Metodo congiunto 72 i teoremi di thevenin e norton La (5.3) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto. Dopo aver inserito alla porta AB un generatore di prova con grandezza impressa iP (t) di valore arbitrario, si calcola la tensione di porta vAB (t) con un metodo qualsiasi di analisi. La tensione trovata, secondo la (5.3), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla corrente di prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come resistenza equivalente di Thevenin RT h . L’altro termine non dipende dalla corrente di prova: tale termine è identificato con la tensione di Thevenin vT h (t). Esempio 5.4 Si applichi il teorema di Thevenin tra i terminali A e B del seguente circuito. Si ha R1 = R3 = 1 Ω, R2 = R4 = 12 Ω, k = 5 Ω−1 e vg (t) = 3 V. R3 R1 A vg t + + + vR2 R2 R4 kvR2 vTh t B Nel risolvere tale circuito, conviene trasformare il generatore indipendente reale di tensione in un generatore reale di corrente, come sarà descritto più avanti nel paragrafo 5.4. Poiché si vuole utilizzare il metodo congiunto, aggiungiamo in serie alla porta AB un generatore indipendente di corrente, con grandezza impressa arbitraria paria a i(t). Il circuito risultate, illustrato nella seguente figura, sarà risolto applicando il metodo base nodi. R3 E1 E2 A + + G1vg t R1 vR2 R2 kvR2 R4 vAB t i t B Indicando con E1 e E2 i potenziali ai due nodi, si ha il seguente sistema risolvente G1 + G2 + G3 −G3 −G3 E G1 vg (t) · 1 = . G3 + G4 E2 i(t) + kvR2 (t) Notando che la grandezza di controllo è pari a vR2 (t) ≡ E1 , e riordinando il sistema, si ottiene G1 + G2 + G3 −G3 E G1 vg (t) , · 1 = −G3 − k G3 + G4 E2 i(t) cioè, sostituendo i valori numerici: 4 −6 −1 E G1 vg (t) · 1 = . 3 E2 i(t) La grandezza cercata, cioè la tensione tra i nodi A e B, coincide con il potenziale al secondo nodo (vAB (t) = E2 ) e dunque, utilizzando il metodo di Cramer: 4 vg (t) −6 i(t) 6vg (t) + 4i(t) 2 2 = vAB (t) ≡ E2 = = vg (t) + i(t) = 3 + i(t) [V] 4 −1 12 − 6 3 3 −6 3 5.3 il teorema di norton 73 Utilizzando la (5.3), è immediato verificare che vT h (t) = vg (t) = 3 V, RT h = 5.3 2 Ω. 3 il teorema di norton Si consideri nuovamente un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, definite Rete 1 e Rete 2, che comunicano attraverso la porta AB, già rappresentato in Figura 5.1 e considerato per la descrizione del teorema di Thevenin. Si consideri per il momento che il circuito è privo di bipoli reattivi, cioè di condensatori e induttori. Lo scopo del seguente paragrafo è quello di stabilire se è possibile determinare una rappresentazione semplificata di una porzione del circuito, diciamo Rete 1: si vuole, cioè, determinare un circuito equivalente semplificato della Rete 1 tale che, se sostituito, la rimanente porzione Rete 2 non risente della modifica, come fatto per il teorema di Thevenin, ma si vuole una rappresentazione duale. La risposta a tale quesito è fornita dal teorema di Norton, che può essere così enunciato: Teorema 3 (di Norton). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, al parallelo di un generatore indipendente di corrente iN (t), avente grandezza impressa uguale alla corrente che si manifesta in corrispondenza alla porta della rete cortocircuitata e con la stessa polarità, e un resistore RN di resistenza equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in Figura 5.7, mentre il valore dei parametri iN (t) e RN è mostrata in Figura 5.8. i (t ) A A + Rete 1 Rete 2 v(t ) i N (t ) Rete 2 RN B B a) b) Fig. 5.7: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Norton. A Rete 1 i N (t ) A + Rete 1 disattivata RN B a) B b) Fig. 5.8: Valore dei parametri iN (t) e RN utilizzati nell’applicazione del teorema di Norton. Tale teorema fu enunciato solo nel 1926 da Edward Lawry Norton, ingegnere dei Bell Labs. Il generatore indipendente di corrente e la resistenza Teorema di Norton 74 i teoremi di thevenin e norton Generatore e resistenza equivalente di Norton utilizzate nell’enunciato del teorema prendono rispettivamente il nome di generatore di Norton e resistenza equivalente di Norton. E’ sottinteso che tra le due porzioni Rete 1 e Rete 2 non ci siano legami elettrici (elementi multiporta presenti contemporaneamente in ambedue le porzioni), così come specificato per il teorema di sostituzione. Si procede con la dimostrazione del teorema di Norton. Dimostrazione del teorema di Norton Dimostrazione. La dimostrazione del teorema è effettuata come semplice applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti e del teorema di sostituzione. Si cominci con il sostituire la porzione Rete 2 con un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa pari a v(t), cioè quella alla porta AB, come illustrato nella parte a) di Figura 5.9. Tale operazione, se non ci sono legami tra le due porzioni è possibile per il teorema di sostituzione. Resta escluso il caso in cui la Rete 1 si comporti come un generatore di tensione: in questo caso il teorema di sostituzione non può essere applicato e di conseguenza non è possibile applicare il teorema di Norton. Rete 1 A A A i AB t + v t Rete 1 i (1) AB t (2) t i AB Rete 1 disattivata + v t B B B a) b) c) Fig. 5.9: Dimostrazione del teorema di Norton: sostituzione della Rete 2 con un generatore indipendente di tensione a); determinazione della corrente di porta dovuti ai generatori del primo gruppo b) e del secondo gruppo c). A questo punto è possibile determinare la corrente di porta iAB (t) attraverso il principio di sovrapposizione degli effetti, dividendo le eccitazioni in due gruppi, come illustrato nelle parti b) e c) di Figura 5.9: 1. le eccitazioni interne alla Rete 1; 2. il generatore di corrente esterno v(t). L’effetto del primo gruppo si ottiene disattivando il generatore esterno v(t), cioè cortocircuitandolo. La rete risultante è pertanto la Rete 1 con la por(1) ta AB cortocircuitata e quindi la corrente iAB (t) cercata è la corrente che (1) scorre nel corto circuito, che abbiamo definito iN (t), cioè iAB (t) = iN (t). L’effetto del secondo gruppo si ottiene disattivando tutti i generatori indi(2) pendenti interni alla Rete 1. La corrente iAB (t) cercata è dunque data dalla tensione v(t) per la conduttanza equivalente, chiamata qui GN , della Rete (2) 1 disattivata cioè iAB (t) = −GN v(t). Il segno meno è dovuto al fatto che (1) la iAB (t) entra nel generatore di tensione v(t). Dunque, per il principio di sovrapposizione degli effetti è: (1) (2) iAB (t) = iAB (t) + iAB (t) = iN (t) − GN v(t). (5.4) Dato che la somma di due correnti è equivalente al parallelo di due bipoli, la Rete 1 è interpretabile come il parallelo di un bipolo la cui corrente è fissata al valore iN (t), cioè è un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa pari a iN (t) e di un bipolo la cui corrente è proporzionale tensione ai suoi capi, cioè è un resistore di conduttanza GN , cioè di resistenza RN = 1/GN . Queste considerazioni dimostrano completamente il teorema di Norton. 5.3 il teorema di norton 75 Nel seguito si entrerà più nello specifico nelle tecniche per la determinazione dei valori dei due parametri iN (t) e RN per l’applicazione del teorema di Norton. 5.3.1 Metodo disgiunto Nell’applicazione del metodo disgiunto, dopo aver separato la porzione Rete 2 e cortocircuitata la porta AB, si procede in due passi separati e successivi al calcolo della corrente di Norton iN (t) e la resistenza di Norton RN , rispettivamente. Si comincia, per comodità, al calcolo della corrente di Norton iN (t). Come è noto dal teorema, tale tensione coincide con la corrente che scorre nel corto circuito alla porta AB, in cui si vuole applicare il teorema. Dunque, la iN (t) può essere calcolata applicando qualsiasi metodo di analisi (base nodi o base maglie) e risolvendo il sistema risolvente rispetto a tale corrente incognita (o opportuna tensione). Per quanto riguarda il calcolo della resistenza di Norton RN si inizia a disattivare tutti i generatori indipendenti all’interno della porzione Rete 1. Si ricorda che i generatori indipendenti di tensione si disattivano sostituendolo con dei corto circuiti (tensione nulla), mentre i generatori indipendenti di corrente si disattivano sostituendoli con dei circuiti aperti (corrente nulla). A questo punto bisogna fare una distinzione a seconda che nel circuito disattivato siano presenti soli resistori ovvero siano presenti anche altri componenti (generatori controllati, trasformatori ideali e nullori). Metodo disgiunto Caso in cui siano presenti solo resistori Nel caso in cui nel circuito disattivato siano presenti solo resistori, il calcolo della resistenza equivalente di Norton si effettua in maniera molto semplice e del tutto analogo al caso del Teorema di Thevenin. Basta infatti applicare i metodi descritti nel Capitolo 1 ed effettuare le equivalenze serie o parallelo in sequenza, fino a raggiungere la resistenza equivalente dell’intero bipolo Rete 1. Nel caso in cui ci siano resistori che non risultino collegati né in serie né in parallelo, è possibile applicare le trasformazioni stella-triangolo per risolvere il problema e ricondursi ad un collegamento serie o parallelo (si veda il Paragrafo 1.6). Esempio 5.5 Si applichi il teorema di Norton al circuito dell’esempio 5.2. Si ricorda che è R = 13 Ω e vg (t) = 26 V. In questo caso si vuole determinare la corrente che scorre nel cortocircuito tra i terminali A e B, nel verso indicato nella seguente figura. R i2 A + vg t i1 R R R R i3 R i4 iN t B Presenza di soli resistori e generatori indipendenti 76 i teoremi di thevenin e norton Indicando con i1 (t), i2 (t), i3 (t) e i4 (t) le quattro correnti fittizie di maglia, il circuito può essere risolto applicando il metodo base maglie, che fornisce il seguente sistema risolvente vg (t) i1 (t) 2R −R −R 0 −R 4R −R −R i2 (t) 0 −R −R 3R −R · i3 (t) = 0 . 0 −R −R i4 (t) 2R 0 La corrente di Norton da determinare coincide con la quarta incognita i4 (t) del sistema, che risolto con il metodo di Cramer fornisce: 2R −R −R vg (t) −R 4R −R 0 −R −R 3R 0 0 −R −R 0 9R3 9 9 iN (t) ≡ i4 (t) = vg (t) = vg (t) = A = 4 2R −R −R 8R 4 8R 0 −R 4R −R −R −R −R 3R −R 0 −R −R 2R Per quanto riguarda il calcolo della resistenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato il generatore indipendente di tensione (con un cortocircuito), si procede con il calcolo degli equivalenti serie e parallelo dei resistori rimasti. E’ evidente che tali equivalenti sono gli stessi dell’esempio 5.2. Di conseguenza si ha: 8R =8Ω 13 Dunque il circuito assegnato è equivalente al parallelo di un generatore indipendente di corrente con grandezza impressa pari a 94 V e un resistore di resistenza pari a 8 Ω. RN = A 9 4 8 B Caso in cui siano presenti anche altri componenti Presenza di altri componenti Generatore di prova Nel caso, invece, in cui nel circuito disattivato siano presenti anche altri componenti otre ai resistori, precisamente, generatori controllati (che non devono essere disattivati), trasformatori ideali e/o nullori, non sarà più possibile utilizzare gli equivalenti in serie o parallelo, non potendo fare il parallelo di un resistore e un ramo del trasformatore ad esempio. In questi casi, l’unica soluzione è quella di applicare direttamente la definizione di conduttanza, cioè il rapporto tra la corrente che attraversa un bipolo e la tensione ai suoi capi. E’ dunque possibile forzare una tensione al bipolo Rete 1 (alla porta AB) attraverso un generatore indipendente di tensione di grandezza impressa arbitraria vP (t), definito generatore di prova3 e determinare la corrente che tale generatore produce nella porta AB. Tale situazione è illustrata in Figura 5.10. 3 Il valore numerico di tale generatore non è importante al fine del calcolo della conduttanza. Infatti, poiché il circuito che si sta considerando è lineare, la corrente che scorre nella porta AB considerata (effetto) sarà sicuramente proporzionale alla grandezza impressa che l’ha generata (causa): iAB (t) ∝ vP (t). Nel rapporto tra queste due grandezza, dunque, la corrente di prova si semplifica e il suo valore numerico non incide sul valore del parametro GN . 5.3 il teorema di norton A i AB t Rete 1 disattivata + v P t B Fig. 5.10: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di RN . Il rapporto tra tale corrente e la tensione di prova fornisce il valore della conduttanza di Norton cercata: GN = iAB (t) . vP (t) (5.5) Quindi la resistenza di Norton cercata è paro a RN = 1/GN . Si vuole qui sottolineare che tale metodo per il calcolo della resistenza equivalente di Norton può anche essere applicato al caso in cui nel circuito disattivato siano presenti solo resistori. Esempio 5.6 Si applichi il teorema di Norton al circuito dell’esempio 5.3. Si ricorda che è R1 = 100 Ω, R2 = 10 Ω, k = 9 e vg (t) = 6 V. In questo caso si vuole determinare la corrente che scorre nel cortocircuito tra i terminali A e B, nel verso indicato nella seguente figura. R1 vg t + Ex A iR1 kiR1 iR2 R2 iN t B Scrivendo l’equilibrio di Kirchhoff al nodo indicato da Ex , si ottiene iR1 (t) + kiR1 (t) − iR2 (t) − iN (t) = 0. Si noti che, diversamente dall’esempio 5.3, il potenziale al nodo etichettato con Ex è nullo, cioè Ex = 0 e dunque iR1 (t) = G1 vg (t). Inoltre, grazie al corto circuito presente tra i terminali A e B, anche la corrente iR2 (t) che scorre nel resistore R2 è nulla. Sostituendo tali valori nell’equazione precedente, si ha iN (t) = (k + 1) iR1 (t) = (k + 1) G1 vg (t) = 3 1 vg (t) = A 10 5 Per determinare la resistenza equivalente di Norton, si inizia disattivando il generatore indipendente di tensione (lo si cortocircuita). Questa volta non è possibile determinare gli equivalenti in serie e in parallelo dei resistori rimasti, in quanto nel circuito è presenta ancora un generatore di corrente controllato in corrente. Per tal motivo, si inserisce alla porta AB un generatore indipendente di tensione di prova di grandezza impressa arbitraria pari a v(t), come mostrato nella seguente figura. Il circuito risultante sarà risolto con il metodo base nodi. Si osservi che è sufficiente scrivere una equazione nell’unica incognita presente Ex . Procedendo si ottiene: (G1 + G2 ) Ex = kiR1 (t) + iAB (t), 77 78 i teoremi di thevenin e norton Ex A + R1 iR1 kiR1 iR2 R2 iAB t v t B Si noti che, per la presenza del generatore di prova, la tensione Ex è nota e pari alla grandezza impressa v(t), cioè Ex = v(t). Di conseguenza, la corrente che scorre nel resistore R1 vale iR1 (t) = −G1 Ex = −G1 v(t). Sostituendo tali valori nella precedente equazione, si ottiene iAB (t) = [(k + 1) G1 + G2 ] v(t). Da tale equazione, si ricava il valore della conduttanza di Norton: GN = iAB (t) 1 = [(k + 1) G1 + G2 ] = Ω−1 v(t) 5 Dunque la resistenza equivalente di Norton è pari a: RN = G−1 N = 5 Ω. 5.3.2 Metodo congiunto Metodo congiunto Nell’applicazione del metodo congiunto, dopo aver separato la porzione Rete 2, si procede al calcolo della corrente di Norton e la conduttanza di Norton contemporaneamente. Tale metodo deriva direttamente dalla metodologia utilizzata nella dimostrazione del teorema. Si comincia collegando alla porta AB un generatore indipendente di tensione di grandezza arbitraria (generatore di prova), con valore impresso vP (t). A questo punto, applicando un qualsiasi metodo di analisi, si procede al calcolo della corrente di porta iAB (t), che scorre nel generatore di prova secondo la convenzione. Tale corrente è generata da due gruppi di eccitazioni distinte: i generatori interni alla Rete 1 e il generatore di prova vP (t). Il contributo delle eccitazioni interne è la corrente di corto circuito alla porta AB nel verso da B a A (secondo la convenzione), quando vP (t) non è presente, cioè è la corrente iN (t) cambiata di segno4 , mentre il contributo del generatore di prova, dopo aver disattivato le eccitazioni interne, è una corrente proporzionale a tale tensione attraverso il parametro di proporzionalità GN . La corrente di porta iAB (t) è dunque esprimibile come iAB (t) = −iN (t) + GN vP (t). (5.6) La (5.6) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto. Dopo aver inserito alla porta AB un generatore di prova con grandezza impressa vP (t) di 4 In pratica, il segno negativo in questo caso deriva dal calcolare nel cortocircuito la corrente nel verso che va dal basso verso l’alto, contrariamente a quanto illustrato in Figura 5.8 e a quanto fatto nel metodo disgiunto in cui si calcolava la corrente di corto circuito nel verso che va dall’alto verso il basso. 5.3 il teorema di norton valore arbitrario, si calcola la corrente di porta iAB (t) con un metodo qualsiasi di analisi. La tensione trovata, secondo la (5.6), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla tensione di prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come conduttanza equivalente di Norton GN , da cui ricavare la resistenza RN . L’altro termine non dipende dalla tensione di prova: tale termine è identificato con la corrente di Norton iN (t) cambiata di segno. Esempio 5.7 Si applichi il teorema di Norton al circuito dell’esempio 5.4. Si ricorda che è R1 = R3 = 1 Ω, R2 = R4 = 21 Ω, k = 5 Ω−1 e vg (t) = 3 V. Nel risolvere tale circuito, conviene trasformare il generatore indipendente reale di tensione in un generatore reale di corrente, come sarà descritto più avanti nel paragrafo 5.4. Poiché si vuole utilizzare il metodo congiunto, aggiungiamo in serie alla porta AB un generatore indipendente di tensione, con grandezza impressa arbitraria paria a v(t). Il circuito risultate, illustrato nella seguente figura, sarà risolto applicando il metodo base nodi. R3 E1 A E2 + G1vg t R1 vR2 + R2 kvR2 R4 iAB t v t B Indicando con E1 e E2 i potenziali ai due nodi, si ha il seguente sistema risolvente G1 + G2 + G3 −G3 −G3 E G1 vg (t) · 1 = . G3 + G4 E2 iAB (t) + kvR2 (t) Notando che la grandezza di controllo è pari a vR2 (t) ≡ E1 e che il generatore di prova fissa il potenziale E2 = v(t), riordinando il sistema si ottiene G1 + G2 + G3 −G3 − k −G3 E1 G1 vg (t) + G3 v(t) · = , (G3 + G4 ) v(t) G3 + G4 iAB (t) cioè, sostituendo i valori numerici: 4 6 0 E1 v (t) + v(t) · = g . 1 iAB (t) 3v(t) La grandezza cercata, cioè la corrente che scorre tra i nodi A e B iAB (t), utilizzando il metodo di Cramer è data da: 4 vg (t) + v(t) 6 3v(t) 3 3 9 3 iAB (t) = = − vg (t) + v(t) = − + v(t) [A] 4 0 2 2 2 2 6 1 Utilizzando la (5.6), è immediato verificare che 3 9 vg (t) = A, 2 2 3 = Ω. 2 iN (t) = GN 79 80 i teoremi di thevenin e norton 5.4 Trasformazione dei generatori reali trasformazione dei generatori indipendenti Un caso molto semplice, ma particolarmente utile, dei teoremi di Thevenin e Norton è la trasformazione di un generatore indipendente reale di un tipo in un generatore indipendente reale di tipo duale (si veda il paragrafo 1.7). Si vuole, cioè, determinare come è possibile trasformare la serie di un generatore indipendente di tensione e un resistore in un parallelo di un generatore indipendente di corrente e un resistore e viceversa. Graficamente, si cerca una trasformazione che possa far passare dalla parte a) di Figura 5.11 alla parte b) e viceversa. A A + R R i g (t ) v g (t ) B B a) b) Fig. 5.11: Le due forme duali dei generatori indipendenti reali. Nel seguito si analizzerà in dettaglio la trasformazione da generatore di tensione a generatore di corrente e, viceversa, da generatore di corrente a generatore di tensione. Trasformazione da generatore indipendente di tensione a generatore indipendente di corrente Da generatore reale di tensione a generatore reale di corrente In questo caso si sta cercando la rappresentazione alla Norton del circuito di parte a) di Figura 5.11. L’applicazione del teorema di Norton è molto semplice in questo caso. Infatti, la corrente di corto circuito i(t) coincide con la corrente ce scorre sul resistore R, essendo l’unica maglia presente formata solo da vg (t) e R. Il valore di tale corrente, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi: i(t) = vg (t) ≡ Gvg (t). R (5.7) Per il calcolo della resistenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato il circuito nella parte a) della Figura 5.11, rimane solo la resistenza R che quindi coincide con la resistenza equivalente cercata. La trasformazione determinata è illustrata in Figura 5.12. A A + R v g (t ) v g (t ) R B R B Fig. 5.12: Trasformazione di un generatore indipendente reale di tensione in un generatore indipendente reale di corrente. 5.4 trasformazione dei generatori indipendenti 81 Trasformazione da generatore indipendente di tensione a generatore indipendente di corrente In questo caso si sta cercando la rappresentazione alla Thevenin del circuito di parte b) di Figura 5.11. L’applicazione del teorema di Thevenin è molto semplice in questo caso. Infatti, la tensione di porta v(t) coincide con la tensione sul resistore R, essendo l’unica maglia presente formata solo da ig (t) e R. Il valore di tale tensione, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi: Da generatore reale di corrente a generatore reale di tensione (5.8) v(t) = Rig (t). Per il calcolo della resistenza equivalente di Thevenin, dopo aver disattivato il circuito nella parte b) della Figura 5.11, rimane solo la resistenza R che quindi coincide con la resistenza equivalente cercata. La trasformazione determinata è illustrata in Figura 5.13. A A + R i g (t ) R Rig (t ) B B Fig. 5.13: Trasformazione di un generatore indipendente reale di corrente in un generatore indipendente reale di tensione. 5.4.1 Il teorema di Millman Ci si focalizza su un’applicazione. Nel circuito di Figura 5.14 si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B. Tale problema può essere facilmente risolto applicando la trasformazione dei generatori indipendenti descritta nel paragrafo precedente e la regola del partitore di corrente (si veda il paragrafo 2.2). A R1 R2 + v g1 (t ) Rj + vg 2 (t ) RN + + v gN (t ) v gj (t ) B Fig. 5.14: Circuito in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B. I rami di tale circuito, formati dalla serie di un generatore indipendente di tensione e un resistore, possono essere trasformati nel parallelo di un generatore indipendente di corrente di grandezza impressa calcolata dalla (5.7) e un resistore di pari resistenza, come illustrato in Figura 5.15. Circuito formato da generatori reali di tensione 82 i teoremi di thevenin e norton La tensione cercata è dunque calcolata, ricordando la (2.22), come segue: PNg vAB (t) = i=1 Gi vgi (t) Geq (5.9) , P dove Geq = N k=1 Gk è la conduttanza equivalente della rete risultante e la sommatoria nella (5.9) è da intendersi in senso algebrico, cioè le corrente vanno sommate con il segno relativo (positivo se concorde, negativo se discorde). A G1v g1 (t ) R1 R2 G2 v g 2 (t ) Rj G j v gj (t ) GN vgN (t ) RN B Fig. 5.15: Circuito trasformato in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B. Teorema di Millman Il risultato espresso dalla (5.9) è noto come teorema di Millman, in onore di Jacob Millman, ideatore di tale formula. Esso può essere enunciato nel modo seguente: Teorema 4 (di Millman). La tensione ai capi dei bipolo rappresentato in Figura 5.14 è data dal rapporto tra la somma algebrica delle singole tensioni dei ogni ramo moltiplicate per le relative conduttanze e la somma delle conduttanze di tutti i rami. Come esempio si ripropone il calcolo della tensione sul parallelo di due generatori indipendenti reali di tensione, illustrato nell’esempio 1.6. Esempio 5.8 Si determini la tensione v(t) tra i nodi A e B del parallelo tra i due generatori di tensione reali mostrati nella seguente figura. Sia vg1 (t) = 4 V, vg2 (t) = 2 V, R1 = 1 Ω e R2 = 3 Ω. A + R1 R2 vAB (t ) + v g1 (t ) + v g 2 (t ) B Applicando il teorema di Millman, espresso dalla (5.9), si ottiene direttamente vAB (t) = 5.5 1·4+ G1 vg1 (t) + G2 vg2 (t) = G1 + G2 1+ 1 3 1 3 ·2 = 14 3 7 · = = 3.5 V 3 4 2 estensione ai domini trasformati Tutti i risultati presentati in questo capitolo, vista la natura lineare dei risultati, possono essere semplicemente estesi ai domini trasformati. In particolare, tutti i risultati trovati continuano a valere sostituendo le grandezze 5.5 estensione ai domini trasformati impresse nel dominio del tempo con le loro trasformate e tutte le resistenza (conduttanze) con le rispettive impedenze (ammettenze). Più in dettaglio, tutti gli enunciati dei teoremi esposti precedentemente possono essere facilmente estesi ai domini trasformati, sostituendo tutte le tensioni e correnti con le rispettive grandezze trasformate, mentre le resistenze o le conduttanze con le impedenze o ammettenze, rispettivamente. Nel seguito, verranno quindi rapidamente enunciati tali teoremi separatamente nei domini della trasformata di Laplace e dei fasori. Anche in tali domini, si focalizza l’attenzione su un circuito elettrico che può essere schematicamente suddiviso in due porzioni distinte, qui definite Rete 1 e Rete 2, che comunicano attraverso la porta AB, come rappresentato in Figura 5.1 in cui le relative grandezze elettriche sono però espresse nei domini trasformati. 5.5.1 83 Estensione ai omini trasformati Il dominio della trasformata di Laplace Si riportano i risultati fondamentali espressi nel dominio della trasformata di Laplace. Si enunciano nuovamente i quattro teoremi precedenti in tale dominio, a partire dal teorema di sostituzione. Teorema 5 (di Sostituzione). In una rete qualsiasi, una sua porzione accessibile da una porta può essere sostituita con un generatore indipendente di tensione o di corrente, avente per grandezza impressa la corrispondente grandezza di porta, come mostrato in Figura 5.16. La scelta del tipo di generatore è in generale indifferente, salvo quando tra A e B la restante porzione appare come un generatore. In questo caso occorre scegliere nella sostituzione il generatore di tipo opposto a quello secondo cui si comporta la restante porzione. I s A Teorema di sostituzione nel dominio della trasformata di Laplace A + V s + Rete 2 I s V s - - B B a) Rete 2 b) Fig. 5.16: Possibili sostituzioni della porzione Rete 1 utilizzando il teorema di sostituzione nel dominio della trasformata di Laplace. Segue il teorema di Thevenin, di cui omettiamo la dimostrazione. Per gli interessati tale dimostrazione è del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.2, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate nel dominio di Laplace e considerare le impedenze al posto delle resistenze. Teorema 6 (di Thevenin). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, alla serie di un generatore indipendente di tensione VT h (s), avente grandezza impressa uguale alla tensione che si manifesta a vuoto in corrispondenza alla porta della rete e con la stessa polarità, e un’impedenza ZT h equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in Figura 5.17, mentre il valore dei parametri VT h (s) e ZT h è mostrata in Figura 5.18. L’impedenza ZT h è detta impedenza equivalente di Thevenin ed ha lo stesso significato della resistenza equivalente di Thevenin nel dominio trasformato. Teorema di Thevenin nel dominio della trasformata di Laplace Impedenza equivalente di Thevenin 84 i teoremi di thevenin e norton I s A ZTh + V s Rete 1 Rete 2 VTh s A + Rete 2 B B a) b) Fig. 5.17: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Thevenin nel dominio della trasformata di Laplace. A A + + Rete 1 disattivata VTh s Rete 1 ZTh - - B B a) b) Fig. 5.18: Valore dei parametri VT h (s) e ZT h utilizzati nell’applicazione del teorema di Thevenin nel dominio della trasformata di Laplace. Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Thevenin ZT h è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze, come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a IP (s), come illustrato in Figura 5.19. A Rete 1 disattivata + VAB s IP s - B Fig. 5.19: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di ZT h nel dominio della trasformata di Laplace. In tal modo, il valore dell’impedenza di Thevenin cercata è fornita dal rapporto tra la tensione VAB (s) ai capi di tale generatore e la corrente di prova: ZT h = Metodo congiunto VAB (s) . IP (s) (5.10) Ovviamente, anche nel dominio di Laplace è possibile utilizzare il metodo congiunto. Inserendo allora, alla porta AB un generatore di prova di grandezza arbitraria IP (s), la tensione di porta vAB (t) è esprimibile come VAB (s) = VT h (s) + ZT h IP (s). (5.11) Anche in questo caso, la (5.11) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata, secondo la (5.11), sarà la somma di due contributi. 5.5 estensione ai domini trasformati 85 Un termine sarà un’espressione proporzionale alla corrente di prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come impedenza equivalente di Thevenin ZT h . L’altro termine non dipende dalla corrente di prova: tale termine è identificato con la tensione di Thevenin VT h (s). In modo equivalente è possibile estendere il teorema di Norton al dominio della trasformata di Laplace. Anche qui la dimostrazione è omessa, anche se del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.3, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate nel dominio di Laplace e considerare le impedenze (ammettenze) al posto delle resistenze (conduttanze). Teorema 7 (di Norton). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, al parallelo di un generatore indipendente di corrente IN (s), avente grandezza impressa uguale alla corrente che si manifesta in corrispondenza alla porta della rete cortocircuitata e con la stessa polarità, e un’impedenza ZN equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in Figura 5.20, mentre il valore dei parametri IN (s) e ZN è mostrata in Figura 5.21. I s A Teorema di Norton nel dominio della trasformata di Laplace A + Rete 1 V s Rete 2 IN s Rete 2 ZN B B a) b) Fig. 5.20: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Norton nel dominio della trasformata di Laplace. A IN s Rete 1 A + Rete 1 disattivata ZN - B a) B b) Fig. 5.21: Valore dei parametri IN (s) e ZN utilizzati nell’applicazione del teorema di Norton nel dominio della trasformata di Laplace. L’impedenza ZN è detta impedenza equivalente di Norton ed ha lo stesso significato della resistenza equivalente di Norton nel dominio trasformato. Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Norton ZN è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze, come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a VP (s), come illustrato in Figura 5.22. Impedenza equivalente di Norton 86 i teoremi di thevenin e norton A Rete 1 disattivata I AB s + VP s B Fig. 5.22: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di YN nel dominio della trasformata di Laplace. In tal modo, il valore dell’ammettenza di Norton cercata YN è fornita dal rapporto tra la corrente IAB (s) che scorre in tale generatore e la tensione di prova: YN = Metodo congiunto IAB (s) . VP (s) Se si applica il metodo congiunto, dopo aver inserito alla porta AB il generatore di prova VP (s), la corrente di porta IAB (s) è esprimibile come segue IAB (s) = −IN (s) + YN VP (s). Trasformazione di un generatore reale di tensione in uno di corrente (5.12) (5.13) La (5.13) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata, secondo la (5.13), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla tensione di prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come ammettenza equivalente di Norton YN , da cui ricavare l’impedenza ZN . L’altro termine non dipende dalla tensione di prova: tale termine è identificato con la corrente di Norton IN (s) cambiata di segno. E’ ovviamente possibile effettuare anche nel dominio di Laplace le trasformazione tra generatori reali. In questo caso, come messo in evidenza nel paragrafo 1.7, a resistenza interna del generatore è sostituita con una impedenza interna. Si illustra, per primo, la trasformazione di un generatore reale di tensione in un generatore reale di corrente. Tale trasformazione è illustrata in Figura 5.23. L’applicazione del teorema di Norton è molto semplice in questo caso. Infatti, la corrente di corto circuito I(s) coincide con la corrente ce scorre sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Vg (s) e Z. Il valore di tale corrente, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi: Vg (s) ≡ YVg (s). (5.14) Z Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato il circuito nella parte a) della Figura 5.23, rimane solo l’impedenza Z che quindi coincide con l’impedenza equivalente cercata. Si passa quindi ad illustrare la trasformazione di un generatore reale di corrente in un generatore reale di tensione. Tale trasformazione è illustrata in Figura 5.24. L’applicazione del teorema di Thevenin è molto semplice in questo caso. Infatti, la tensione di porta V(s) coincide con la tensione sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Ig (s) e Z. Il valore di tale tensione, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi: I(s) = Trasformazione di un generatore reale di corrente in uno di tensione V(s) = ZIg (s). (5.15) 5.5 estensione ai domini trasformati A A Vg s Z + 87 Vg s Z Z B B Fig. 5.23: Trasformazione di un generatore indipendente reale di tensione in un generatore indipendente reale di corrente nel dominio della trasformata di Laplace. Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Thevenin, dopo aver disattivato il circuito nella parte b) della Figura 5.24, rimane solo l’impedenza Z che quindi coincide con l’impedenza equivalente cercata. A Ig s A ZI g s Z B + Z B Fig. 5.24: Trasformazione di un generatore indipendente reale di corrente in un generatore indipendente reale di tensione nel dominio della trasformata di Laplace. Infine, si determina l’espressione del teorema di Millman nel dominio della trasformata di Laplace. Con riferimento alla Figura 5.25, si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B in funzione dei valori delle grandezze impresse dei generatori e delle ammettenze. Ripetendo nel dominio di Laplace, dopo le opportune trasformazioni, i ragionamenti svolti nel paragrafo 5.4.1 si ricava il nuovo enunciato del teorema. Teorema 8 (di Millman). La tensione ai capi dei bipolo rappresentato in Figura 5.25 è data dal rapporto tra la somma algebrica delle singole tensioni dei ogni ramo moltiplicate per le relative ammettenze e la somma delle ammettenze di tutti i rami: Teorema di Millman nel dominio della trasformata di Laplace PN VAB (s) = in cui Yeq = i=1 Yi Vgi (s) Yeq , (5.16) PN k=1 Yk . Si osservi che la sommatoria al numeratore della (5.16) è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Vgi (s) portano con loro il segno positivo o negativo a seconda che siano concordi o discordi rispetto alla convenzione. 5.5.2 Il dominio dei fasori Si riportano i risultati fondamentali espressi nel dominio dei fasori. Si enunciano nuovamente i quattro teoremi precedenti in tale dominio, a partire dal teorema di sostituzione. Teorema 9 (di Sostituzione). In una rete qualsiasi, una sua porzione accessibile da una porta può essere sostituita con un generatore indipendente di tensione o di corrente, avente per grandezza impressa la corrispondente grandezza di porta, come Teorema di sostituzione nel dominio dei fasori 88 i teoremi di thevenin e norton A Vg1 s Zj Z2 Z1 + + Vg 2 s Vgj s ZN + + VgN s B Fig. 5.25: Circuito in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B nel dominio della trasformata di Laplace. mostrato in Figura 5.26. La scelta del tipo di generatore è in generale indifferente, salvo quando tra A e B la restante porzione appare come un generatore. In questo caso occorre scegliere nella sostituzione il generatore di tipo opposto a quello secondo cui si comporta la restante porzione. I A A + V + Rete 2 I Rete 2 V - - B B a) b) Fig. 5.26: Possibili sostituzioni della porzione Rete 1 utilizzando il teorema di sostituzione nel dominio dei fasori. Segue il teorema di Thevenin, di cui omettiamo la dimostrazione. Per gli interessati tale dimostrazione è del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.2, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate nel dominio dei fasori e considerare le impedenze al posto delle resistenze. Teorema di Thevenin nel dominio dei fasori Teorema 10 (di Thevenin). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, alla serie di un generatore indipendente di tensione VT h , avente grandezza impressa uguale alla tensione che si manifesta a vuoto in corrispondenza alla porta della rete e con la stessa polarità, e un’impedenza ZT h equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in Figura 5.27, mentre il valore dei parametri VT h e ZT h è mostrata in Figura 5.28. I ZTh A + Rete 1 V Rete 2 A + Rete 2 VTh B B a) b) Fig. 5.27: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Thevenin nel dominio dei fasori. 5.5 estensione ai domini trasformati A A + Rete 1 89 + Rete 1 disattivata VTh ZTh - - B B a) b) Fig. 5.28: Valore dei parametri VT h e ZT h utilizzati nell’applicazione del teorema di Thevenin nel dominio dei fasori. L’impedenza ZT h è detta impedenza equivalente di Thevenin ed ha lo stesso significato della resistenza equivalente di Thevenin nel dominio trasformato. Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Thevenin ZT h è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze, come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a IP (s), come illustrato in Figura 5.29. Impedenza equivalente di Thevenin A Rete 1 disattivata + VAB IP - B Fig. 5.29: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di ZT h nel dominio dei fasori. Ovviamente, anche nel dominio dei fasori è possibile utilizzare il metodo congiunto. Inserendo allora, alla porta AB un generatore di prova di grandezza arbitraria IP , la tensione di porta VAB è esprimibile come VAB = VT h + ZT h IP . Metodo congiunto (5.17) Anche in questo caso, la (5.17) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata, secondo la (5.17), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla corrente di prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come impedenza equivalente di Thevenin ZT h . L’altro termine non dipende dalla corrente di prova: tale termine è identificato con la tensione di Thevenin VT h . In modo equivalente è possibile estendere il teorema di Norton al dominio dei fasori. Anche qui la dimostrazione è omessa, anche se del tutto analoga a quella riportata nel paragrafo 5.3, ad eccezione di far riferimento a tutte le grandezze trasformate nel dominio dei fasori e considerare le impedenze (ammettenze) al posto delle resistenze (conduttanze). Teorema 11 (di Norton). Una rete accessibile da una porta è equivalente, esternamente alla porta, al parallelo di un generatore indipendente di corrente IN , avente Teorema di Norton nel dominio dei fasori 90 i teoremi di thevenin e norton grandezza impressa uguale alla corrente che si manifesta in corrispondenza alla porta della rete cortocircuitata e con la stessa polarità, e un’impedenza ZN equivalente alla rete stessa in cui le eccitazioni siano state disattivate. L’equivalenza è mostrata in Figura 5.30, mentre il valore dei parametri IN e ZN è mostrata in Figura 5.31. I A A + Rete 1 Rete 2 V IN Rete 2 ZN B B a) b) Fig. 5.30: Caratterizzazione della porzione Rete 1 attraverso il teorema di Norton nel dominio dei fasori. A Rete 1 A + Rete 1 disattivata IN ZN - B B a) b) Fig. 5.31: Valore dei parametri IN e ZN utilizzati nell’applicazione del teorema di Norton nel dominio dei fasori. Impedenza equivalente di Norton L’impedenza ZN è detta impedenza equivalente di Norton ed ha lo stesso significato della resistenza equivalente di Norton nel dominio trasformato. Se nel circuito da analizzare sono presenti solo impedenze (resistori, induttori e condensatori), allora l’impedenza equivalente di Norton ZN è calcolata valutando gli equivalenti in serie e in parallelo di tali impedenze, come illustrato nel paragrafo 1.6. Nel caso in cui nel circuito da analizzare siano presenti componenti diverse dalle sole impedenze, si utilizza anche qui un generatore di prova con grandezza impressa pari a VP , come illustrato in Figura 5.32. A Rete 1 disattivata I AB + VP B Fig. 5.32: Utilizzo del generatore di prova per il calcolo di ZN nel dominio dei fasori. In tal modo, il valore dell’ammettenza di Norton cercata YN è fornita dal rapporto tra la corrente IAB che scorre in tale generatore e la tensione di prova: YN = Metodo congiunto IAB . VP (5.18) Se si applica il metodo congiunto, dopo aver inserito alla porta AB il ge- 5.5 estensione ai domini trasformati 91 neratore di prova VP , la corrente di porta IAB è esprimibile come segue IAB = −IN + YN VP . (5.19) La (5.19) giustifica l’applicabilità del metodo congiunto: la tensione trovata, secondo la (5.19), sarà la somma di due contributi. Un termine sarà un’espressione proporzionale alla tensione di prova: allora si identificherà il coefficiente di proporzionalità a tale corrente come ammettenza equivalente di Norton YN , da cui ricavare l’impedenza ZN . L’altro termine non dipende dalla tensione di prova: tale termine è identificato con la corrente di Norton IN cambiata di segno. E’ ovviamente possibile effettuare anche nel dominio dei fasori le trasformazione tra generatori reali. In questo caso, come messo in evidenza nel paragrafo 1.7, a resistenza interna del generatore è sostituita con una impedenza interna. Si illustra, per primo, la trasformazione di un generatore reale di tensione in un generatore reale di corrente. Tale trasformazione è illustrata in Figura 5.33. L’applicazione del teorema di Norton è molto semplice in questo caso. Infatti, la corrente di corto circuito I coincide con la corrente ce scorre sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Vg e Z. Il valore di tale corrente, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi: I= Vg ≡ YVg . Z Trasformazione di un generatore reale di tensione in uno di corrente (5.20) Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Norton, dopo aver disattivato il circuito nella parte a) della Figura 5.33, rimane solo l’impedenza Z che quindi coincide con la resistenza equivalente cercata. A A + Z Vg Vg Z B Z B Fig. 5.33: Trasformazione di un generatore indipendente reale di tensione in un generatore indipendente reale di corrente nel dominio dei fasori. Si passa quindi ad illustrare la trasformazione di un generatore reale di corrente in un generatore reale di tensione. Tale trasformazione è illustrata in Figura 5.34. L’applicazione del teorema di Thevenin è molto semplice in questo caso. Infatti, la tensione di porta V coincide con la tensione sull’impedenza Z, essendo l’unica maglia presente formata solo da Ig (s) e Z. Il valore di tale tensione, con verso concorde rispetto la convenzione, è quindi: V = ZIg . (5.21) Per il calcolo dell’impedenza equivalente di Thevenin, dopo aver disattivato il circuito nella parte b) della Figura 5.34, rimane solo l’impedenza Z che quindi coincide con la resistenza equivalente cercata. Infine, si determina l’espressione del teorema di Millman nel dominio dei fasori. Con riferimento alla Figura 5.35, si vuole determinare la tensione tra Trasformazione di un generatore reale di corrente in uno di tensione 92 i teoremi di thevenin e norton A A + Z Ig Z ZI g B B Fig. 5.34: Trasformazione di un generatore indipendente reale di corrente in un generatore indipendente reale di tensione nel dominio dei fasori. Teorema di Millman nel dominio dei fasori i nodi A e B in funzione dei valori delle grandezze impresse dei generatori e delle ammettenze. Ripetendo nel dominio dei fasori, dopo le opportune trasformazioni, i ragionamenti svolti nel paragrafo 5.4.1 si ricava il nuovo enunciato del teorema. Teorema 12 (di Millman). La tensione ai capi dei bipolo rappresentato in Figura 5.35 è data dal rapporto tra la somma algebrica delle singole tensioni dei ogni ramo moltiplicate per le relative ammettenze e la somma delle ammettenze di tutti i rami: PN i=1 Yi Vgi VAB = in cui Yeq = Yeq (5.22) , PN k=1 Yk . A Z1 Z2 + Vg1 Zj + Vg 2 ZN + + VgN Vgj B Fig. 5.35: Circuito in cui si vuole determinare la tensione tra i nodi A e B nel dominio dei fasori. Si osservi che la sommatoria al numeratore della (5.22) è da intendersi in senso algebrico, ovvero le Vgi portano con loro il segno positivo o negativo a seconda che siano concordi o discordi rispetto alla convenzione. 6 TRASFERIMENTO DI POTENZA AT T I VA I l seguente capitolo è dedicato al teorema del massimo trasferimento di potenza attiva nei bipoli. Tale teorema illustra un caso di notevole interesse pratico: spesso infatti è essenziale trasferire tutta la potenza attiva possibile da un generatore al carico. Questo problema è complementare al problema di massimizzare il rendimento energetico del trasporto dell’energia elettrica. 6.1 formulazione del problema Si consideri il circuito rappresentato in Figura 6.1, nel quale un generatore di tensione reale, cioè la serie di un generatore indipendente di tensione Vg e la sua impedenza interna Zg è collegato a un’impedenza utilizzatrice Zu , rappresentante una particolare utenza. La descrizione è effettuata nel dominio dei fasori. Sia ω0 la pulsazione di lavoro e si ponga Zg = Rg + jXg e Zu = Ru + jXu . I Zg + + Vg Generatore di tensione reale I Vu Zu Fig. 6.1: Circuito considerato per il massimo trasferimento di potenza attiva. Il problema consiste nel determinare le condizioni di Zu affinché sia massima potenza attiva dissipata su di essa nella configurazione di Figura 6.1. A tal proposito si calcoli il valore di tale potenza attiva esplicitamente: Pa = Massima potenza attiva dissipata sul carico 1 1 1 Ru Re {Vu I∗ } = Ru |I|2 = |Vg |2 , (6.1) 2 2 2 (Rg + Ru )2 + (Xg + Xu )2 in cui si è utilizzata la legge di Ohm: I = Vg /Z. Il problema, allora, è trasformato nel nuovo obbiettivo di trovare i valori di Ru e Xu affinché la potenza in (6.1) sia massima. Si può notare facilmente che la (6.1) è massima quando l’ultimo termine (la frazione) risulta massimizzata. Tale affermazione è equivalente a minimizzare la seguente funzione F= (Rg + Ru )2 + (Xg + Xu )2 , Ru (6.2) 93 94 trasferimento di potenza attiva pari all’inverso della frazione in (6.1). Infatti, la minimizzazione della (6.2) è un problema più semplice della massimizzazione della frazione nella (6.1). Per determinare il minimo della funzione F si calcolano le derivate parziali della (6.2) e le si pongono a zero. Si ottiene: Condizioni di massimo trasferimento di potenza attiva R2g + (Xg + Xu )2 ∂F = 1 − = 0, ∂Ru Xu =const R2u (6.3) 2 ∂F (Xg + Xu ) = 0. = ∂Xu Ru =const Ru (6.4) Se si assume che la resistenza del carico sia non nulla (Ru 6= 0), risolvendo la (6.4) si ottiene il valore cercato per Xu che può essere poi sostituito nella (6.3) restituendo il valore cercato per Ru , ovvero Ru = Rg , Xu = −Xg . (6.5) La (6.5) afferma che l’impedenza del carico utilizzatore che assorbe dal generatore la massima potenza attiva ha stessa parte reale di Zg e parte immaginaria cambiata di segno, cioè è la sua complessa coniugata. In formule: Zu = Z∗g . Teorema del massimo trasferimento di potenza attiva (6.6) La (6.6) costituisce il teorema del massimo trasferimento di potenza attiva, che può essere così enunciato: Teorema 13. Un bipolo alimentato da un generatore di tensione di impedenza interna Zg assorbe da questo la massima potenza attiva quando la sua impedenza assume il valore di Z∗g . E’ importante osservare che il teorema vale nell’ipotesi che le parti reali dell’impedenza del bipolo e del generatore siano positive. Si veda ora quale è il valore di questa massima potenza attiva. Si sostituiscano, quindi, le condizioni in (6.5) nella (6.1), ottenendo: Pa,max = Potenza disponibile del generatore |Vg |2 Rg 1 |Vg |2 = . 2 8Rg (Rg + Rg )2 + (Xg − Xg )2 (6.7) Si noti che il valore di tale potenza dipende unicamente da grandezze del generatore, e quindi rappresenta una sua quantità caratteristica. Definiremo quindi il valore di questa massima potenza attiva come potenza disponibile del generatore e sarà indicata con Pd : Pd = |Vg |2 . 8Rg (6.8) Esempio 6.1 Per il seguente circuito, supposto in regime permanente sinusoidale, determinare il valore dell’impedenza Z affinché si abbia il massimo trasferimento di potenza attiva. Si ha R = 1 Ω, L = 3 H, C = 12 F, k = 1 e ig (t) = 4 cos (2t) A. L’esercizio assegnato è un classico esempio di applicazione del teorema del massimo trasferimento di potenza attiva. Per l’applicazione del teorema, è però necessario trasformare il circuito assegnato nella forma illustrata in Figura 6.1. Questa trasformazione può essere effettuata semplicemente applicando il teorema di Thevenin al 6.1 formulazione del problema kiL t R ig t iL t L Z R C circuito assegnato dopo aver staccato l’impedenza Z. Si osservi che l’esercizio richiede solamente il valore di tale impedenza e non il valore della potenza disponibile: è quindi sufficiente, ricordando la (6.6), determinare la sola impedenza di Thevenin, evitando il calcolo della tensione di Thevenin, il cui valore numerico non sarà utilizzato. Si procede, quindi, a disattivare il generatore indipendente di corrente e a trasformare il circuito rimasto nel dominio dei fasori. Si ha ω0 = 2 e quindi l’induttore e il condensatore assumono impedenze paria a j6 e −j, rispettivamente. Poiché nel circuito disattivato è presente un generatore di corrente controllato in corrente, per il calcolo della impedenza di Thevenin, si utilizzerà un generatore di prova di grandezza impressa arbitraria pari a I. Il circuito d risolvere è illustrato nella seguente figura. Si utilizzerà il metodo dei nodi per il calcolo della tensione V del generatore di prova. IL E2 E1 + j6 j IL 1 V I - Il sistema risolvente su base nodi è il seguente " 1 j6 0 # 0 E −IL · 1 = , E2 aI + IL 1+j a cui si aggiunge il vincolo aggiuntivo IL = E1 . j6 Sostituendo tale variabile nel sistema precedente e riordinando, si ottiene infine " 2 j6 1 − j6 # 0 E 0 · 1 = . E2 I 1+j Risolvendo rispetto a E2 = V, si ottiene 2 j6 1 − j6 V = E2 = 2 j6 1 − j6 0 I 1 = (1 − j) I. 2 0 1 + j Di conseguenza l’impedenza di Thevenin, in base alla (5.2), assume la forma ZT h = V 1 = (1 − j) . I 2 95 96 trasferimento di potenza attiva Applicando il teorema del massimo trasferimento di potenza attiva, espresso dalla (6.6), si ha direttamente Z = Z∗T h = 1 (1 + j) . 2 1 2 Z 1 4 Tale impedenza è di tipo induttivo e rappresenta la serie di un resistore di resistenza 1 1 2 Ω e un induttore con reattanza XL = ω0 L = 2 Ω, ovvero di un induttore di 1 induttanza pari a L = 4 H, come rappresentato nella precedente figura. 6.2 Carico resistivo caso di carico resistivo Si consideri ora il caso particolare in cui l’impedenza del carico utilizzatore Zu sia puramente resistiva, cioè è presente la sola parte reale Ru . Tale situazione è illustrata in Figura 6.2 I Zg + + Vg I Vu Ru Fig. 6.2: Circuito considerato per il massimo trasferimento di potenza attiva con carico resistivo. In questo caso specifico, il teorema precedente non può essere più applicato direttamente. Per risolvere questo caso, si procede come nel paragrafo precedente ponendo Xu = 0. Ne segue che la funzione F definita dalla (6.2) assume il nuovo valore F= (Rg + Ru )2 + X2g . Ru (6.9) Per minimizzare tale funzione si impone pari a zero la sua derivata rispetto a Ru : R2g + X2g ∂F = 1− = 0. ∂Ru R2u Massimo trasferimento di potenza attiva per carico resistivo Dalla (6.10) si ricava facilmente che q Ru = R2g + X2g = |Zg | . (6.10) (6.11) Dunque, nel caso di carico puramente resistivo, la condizione per il massimo trasferimento di potenza attiva diviene Ru = |Zg |. 6.3 rendimento del trasferimento 6.3 97 rendimento del trasferimento Si è ora interessati a valutare quanta della potenza attiva erogata dal generatore sia effettivamente assorbita dal carico utilizzatore. A tal fine si introduce la nozione di rendimento del trasferimento η, definito come il rapporto tra la potenza attiva Pa ricevuta dal bipolo utilizzatore e la potenza attiva (g) Pa erogata dal generatore: η= Pa (g) . Rendimento del trasferimento (6.12) Pa Per il calcolo esplicito del rendimento di trasferimento nel caso in esame rappresentato in Figura 6.1 è necessario il calcolo delle due quantità Pa (g) e Pa . La potenza attiva Pa assorbita dal bipolo utilizzatore è stata già (g) calcolata nella (6.1). Resta da calcolare la potenza attiva Pa erogata dal generatore: 1 1 1 (g) 2 ∗ Pa = Re {Vg I } = |Vg | Re 2 2 Z∗ 1 1 2 = |Vg | Re (6.13) (Rg + Ru ) − j (Xg + Xu ) 2 Rg + Ru 1 = |Vg |2 . 2 (Rg + Ru )2 + (Xg + Xu )2 Sostituendo quindi la (6.1) e (6.13) nella (6.12) si ottiene: η= Pa (g) Pa = Ru . Rg + Ru Rendimento di trasferimento (6.14) Si noti che in condizione di massimo trasferimento di potenza attiva è Ru = Rg e quindi il rendimento del trasferimento è η = 0.5. Si ha cioè, un rendimento del solo 50%. Se infatti si è interessati ad avere un elevato rendimento del trasferimento, vicino all’unità, è necessario imporre Ru >> Rg . Evidentemente, in questo caso la potenza attiva assorbita del bipolo di impedenza Zu è ben minore della massima possibile. Dunque massimo trasferimento di potenza attiva e elevato rendimento di trasferimento, sono due condizioni che non possono essere soddisfatte contemporaneamente. La soluzione da adottare dipende da quale è il problema pratico da risolvere. 7 L’A M P L I F I C A T O R E OPERAZIONALE L o scopo del seguente capitolo è di introdurre un nuovo componente circuitale, chiamato amplificatore operazionale. Il significato di questo nome sarà chiarito nel seguito. Anche se l’amplificatore operazionale è un componente che viene venduto (per esempio il µA 741), il comportamento che descriveremo in questa sede è abbastanza ideale, tanto da giustificare il nome di amplificatore operazionale ideale. 7.1 il componente Il simbolo dell’amplificatore operazionale ideale è quello riportato in Figura 7.1. Il componente ha due morsetti di ingresso, denominati come morsetto o ingresso invertente (quello indicato con il segno -) e il morsetto o ingresso non invertente (quello indicato con il segno +), un morsetto di riferimento e uno di uscita. La tensione di uscita si intende calcolata rispetto al potenziale del morsetto di riferimento. v v i Ingresso invertente e non invertente vout i + Fig. 7.1: Simbolo dell’amplificatore operazionale ideale. L’amplificatore operazionale è anche caratterizzato da un parametro A denominato amplificazione, che nel componente ideale tende a infinito (A → ∞). L’amplificatore operazionale fornisce in uscita una tensione che è pari ad A volte la differenza delle tensioni di ingresso, ovvero: vout = A(v+ − v− ). Amplificazione Tensione d’uscita (7.1) Dalla (7.1) ricavo per il componente ideale che: v+ − v− = vout → 0, A (7.2) il che implica che la tensione dell’ingresso non invertente è uguale alla tensione del morsetto invertente: ∼ v+ . v− = Questo concetto si esprime dicendo che tra i due ingressi (invertente e non invertente) è presente un corto circuito virtuale. Ovvero i due ingressi anche Corto circuito virtuale 99 100 Corrente di ingresso l’amplificatore operazionale se non sono fisicamente connessi, lo risultano virtualmente. Inoltre l’amplificatore operazionale ha una resistenza di ingresso molto elevata (nel caso ideale è Rin → ∞), e quindi si può trascurare la corrente entrante nei due terminali di ingresso: i+ = i− = 0. 7.2 le configurazioni Questo componente non viene utilizzato così come è, poichè l’elevata amplificazione lo rende un componente instabile, ma lo si trova sempre in due configurazioni particolari, che prendono il nome di configurazione invertente e non invertente, rispettivamente. 7.2.1 Configurazione invertente La configurazione invertente Lo schema di questa configurazione è riportato in Figura 7.2. La tensione vg (t) del generatore è posta in ingresso all’operazionale attraverso il resistore R1 . Il resistore R2 controreaziona l’uscita, cioè riporta la tensione vout (t) in ingresso all’operazionale. R2 R1 vg t + + + - vout t Fig. 7.2: Amplificatore operazionale nella configurazione invertente. Massa virtuale Tensione in uscita Vogliamo ora esprimere la tensione di uscita vout (t) in funzione della tensione vg (t) del generatore. A questo scopo e con riferimento alla Figura 7.3, si può notare che il morsetto invertente è connesso a massa. Allora grazie al corto circuito virtuale tra i morsetti invertente e non invertente, anche il morsetto invertente risulta virtualmente connesso a massa, e quindi a potenziale nullo (concetto della massa virtuale). La corrente che scorre quindi sul resistore R1 è semplicemente iR1 (t) = vg (t)/R1 . Questa corrente, non potendo entrare nel morsetto invertente dell’amplificatore, scorrerà su R2 , provocando su di essa una differenza di 2 potenziale pari a vR2 (t) = R R1 vg (t), con il segno positivo a sinistra. A questo punto si può notare che la tensione di uscita (cioè tra il morsetto di uscita e messa) può essere calcolata come caduta di tensione sul resistore R2 (tra il morsetto di uscita e la massa virtuale), ma con il segno positivo a destra: vout (t) = vR2 (t). Quindi vale la seguente relazione: vout (t) = − R2 vg (t). R1 (7.3) 7.2 le configurazioni 101 + R2 vg R1 R1 vg t vg R1 + + vout t - + Fig. 7.3: Analisi dell’amplificatore operazionale in configurazione invertente. Ogni qual volta ci troviamo in presenza della configurazione di Figura 7.2, possiamo sostituire al circuito un generatore di tensione di grandezza impressa pari alla (7.3). Una relazione analoga vale se si sostituiscono i due resistori R1 e R2 con due impedenze Z1 e Z2 generiche. Il circuito risultante è rappresentato in Figura 7.4. Per quanto riguarda l’analisi di questo circuito, valgono le stesse considerazioni del caso resistivo se svolgiamo l’analisi nel dominio di Laplace, e quindi la relazione finale è la seguente: Vout (s) = − Z2 Vg (s). Z1 Tensione in uscita nel dominio di Laplace (7.4) Z2 Z1 - Vg + + + Vout Fig. 7.4: Generica configurazione invertente dell’amplificatore operazionele. Analogamente, nel caso in cui si lavori in regime permanente sinusoidale, è possibile ottenere una formula analoga alla (7.4) sostituendo le tensione con i relativi fasori, cioè Vout = − 7.2.2 Z2 Vg . Z1 Tensione in uscita nel dominio dei fasori (7.5) La configurazione non invertente Lo schema di questa configurazione è riportato in Figura 7.5. La tensione vg (t) del generatore è posta direttamente all’ingresso non invertente dell’operazionale. Il morsetto non invertente invece è conesso a massa tramite il resistore R1 e all’uscita tramite il resistore R2 , che quindi controreaziona l’uscita. Anche in questo caso siamo interessati ad esprimere il legame tra la vout (t) e la vg (t). Configurazione non invertente 102 l’amplificatore operazionale R2 R1 - + vout t + vg t + - Fig. 7.5: Amplificatore operazionale nella configurazione non invertente. A questo scopo e con riferimento alla Figura 7.6, si può notare che, grazie al corto circuito virtuale tra i morsetti invertente e non invertente, anche il morsetto invertente risulta virtualmente connesso al generatore, e quindi si trova a tensione vg (t). A questo punto sul resistore R1 scorre una corrente verso massa pari a vg (t)/R1 . Questa corrente, poiché non può venire dall’amplificatore operazionale, viene da R2 , e quindi provoca una caduta di 2 tensione su di essa pari a R R1 vg (t). R2 + Vg R1 R1 + vg t - Vg R1 + vg t + + vout t - Fig. 7.6: Analisi dell’amplificatore operazionale in configurazione non invertente. La tensione di uscita (tra massa ed il terminale di uscita) può anche essere calcolata come tensione del generatore (tra massa e il piedino non invertente o invertente, per via del corto circuito virtuale) più la caduta di tensione sul resistore R2 : R R vout (t) = vg (t) + 2 vg (t) = 1 + 2 vg (t), R1 R1 Tensione di uscita e quindi il circuito costituito dall’amplificatore operazionale in configurazione non invertente può essere sostituito con un generatore di tensione dal valore impresso di R2 vout (t) = 1 + vg (t). (7.6) R1 7.2 le configurazioni Anche in questo caso, una relazione analoga vale se si sostituiscono i due resistori R1 e R2 con due impedenze Z1 e Z2 generiche. Il circuito risultante è rappresentato in Figura 7.7. Per quanto riguarda l’analisi di questo circuito, valgono le stesse considerazioni del caso resistivo se svolgiamo l’analisi nel dominio di Laplace, e quindi la relazione finale è la seguente: Z2 Vout (s) = 1 + Vg (s). (7.7) Z1 103 Tensione di uscita nel dominio di Laplace Z2 Z1 + + Vg Vout + Fig. 7.7: Generica configurazione invertente dell’amplificatore operazionale. Immediata è l’estensione al dominio dei fasori: Z2 Vout = 1 + Vg . Z1 Tensione di uscita nel dominio dei fasori (7.8) Nella applicazioni, il generatore è attaccato direttamente al piedino non invertente molto raramente. Più spesso è presente una rete di impedenze, come è visibile dalla Figura 7.8. Poiché nel piedino non invertente non scorre corrente, la corrente del generatore scorrerà unicamente nella maglia formata dal generatore stesso, da Z3 e Z4 , formando un partitore di tensione. La tensione al piedino non invertente è quindi semplicemente la caduta di Z2 Z1 vv+ + + Vout Z3 Vg + Z4 Fig. 7.8: Amplificatore operazionale nella configurazione non invertente con una rete di impedenze. tensione sull’impedenza Z4 : V + (s) = VZ4 (s) = Z4 Vg (s), Z3 + Z4 104 l’amplificatore operazionale e quindi la formula (7.7) si modifica di conseguenza nella successiva: Z4 Z Vout (s) = 1 + 2 Vg (s), (7.9) Z3 + Z4 Z1 mentre la (7.8) assume la seguente espressione: Z2 Z4 1+ Vg , Vout = Z3 + Z4 Z1 7.3 (7.10) configurazioni particolari In base alla natura delle due impedenze Z1 e Z2 , cioè se sono resistori, induttori o condensatori, posso realizzare dei dispositivi in grado di compiere delle operazioni matematiche sul segnale di ingresso. Questa capacità dà il nome “operazionale” al dispositivo. 7.3.1 Integratore Consideriamo un amplificatore operazionale nella configurazione invertente in cui l’impedenza Z1 sia un resistore di resistenza R e l’impedenza Z2 sia un condensatore di capacità C (e quindi impedenza 1/sC), come descritto in Figura 7.9 C R vg t + + + vout t - Fig. 7.9: Amplificatore operazionale come integratore. Utilizzando l’espressione (7.4), si ottiene l’espressione della tensione di uscita, che è pari a: Vout (s) = − 1 Vg (s). sRC (7.11) Dalla (7.11) e dalle proprietà della trasformata di Laplace, si deduce che la tensione di uscita, a parte la scalatura di un fattore pari a RC ed uno sfasamento di 180◦ (il segno −) è l’integrale dell’ingresso: Z 1 ∞ vout (t) = − vg (t). (7.12) RC 0 Integratore di Miller Questo circuito quindi è in grado di fare l’integrale dell’ingresso e prende il nome di integratore di Miller o semplicemente integratore. 7.3.2 Derivatore Consideriamo un amplificatore operazionale nella configurazione invertente in cui l’impedenza Z1 sia un condensatore di capacità C (e quindi impeden- 7.3 configurazioni particolari 105 za 1/sC) e l’impedenza Z2 sia un resistore di resistenza R , come descritto in Figura 7.10 R C vg t + + vout t - + Fig. 7.10: Amplificatore operazionale come derivatore. Utilizzando l’espressione (7.4), si ottiene l’espressione della tensione di uscita, che è pari a: (7.13) Vout (s) = −sRCVg (s). Dalla (7.13) e dalle proprietà della trasformata di Laplace, si deduce che la tensione di uscita, a parte la scalatura di un fattore pari a RC ed uno sfasamento di 180◦ (il segno −) è la derivata dell’ingresso: vout (t) = −RC dvg (t) . dt (7.14) Questo circuito quindi è in grado di fare la derivata dell’ingresso e prende il nome di derivatore. 7.3.3 Derivatore Il sommatore pesato Una configurazione interessante consiste nel collegare al piedino invertente N generatori di tensione tramite N resistori, come in Figura 7.11. AppliZ1 Vg1 + ZF Z2 Vg2 + Z3 Vg3 + + ZN VgN + + Vout - Fig. 7.11: Amplificatore operazionale come sommatore pesato. cando il principio di sovrapposizione degli effetti posso ricavare facilmente l’espressione della tensione di uscita: Vout (s) = − Zf Z Z Z Vg1 (s) + f Vg2 (s) + f Vg3 (s) + · · · + f VgN (s) . Z1 Z2 Z3 ZN (7.15) E’ evidente che questa configurazione è in grado di realizzare una som- Sommatore pesato 106 l’amplificatore operazionale ma pesata degli ingressi. A tale configurazione si da quindi il nome di sommatore pesato. Un ragionamento analogo può essere fatto nel caso di più ingressi presenti nella configurazione non invertente. Una generalizzazione successiva può tenere in conto che gli ingressi possono essere presente contemporaneamente sul piedino invertente che su quello non invertente. 7.3.4 Inseguitore di tensione L’inseguitore di tensione Caso molto importante nella pratica è costituito dalla configurazione non invertente in cui scelgo R1 = ∞ e R2 = 0, cioè il circuito rappresentato in Figura 7.12. Questa particolare configurazione prende il nome di inseguitore di tensione o buffer. Applicando la (7.6), ottengo che (7.16) vout (t) = vg (t), ovvero in tale circuito la tensione di uscita è identica (“insegue”) alla tensione di ingresso. + + vg t + vout t - Fig. 7.12: Amplificatore operazionale nella configurazione di inseguitore di tensione. L’utilità di questo circuito risiede nell’elevata impedenza di ingresso di questo circuito, che quindi consente di disaccoppiare sorgenti di elevata impedenza da carichi di bassa impedenza. 7.3.5 Filtro L’amplificatore operazionale, nella configurazione invertente o non invertente, realizza la funzione di rete: F(s) = Filtro (7.17) che dipende in generale, quando Z1 e Z2 sono elementi dinamici, dalla frequenza. In questo senso il circuito realizza una trasformazione del segnale in ingresso in uno di uscita alterando il contenuto frequenziale, e quindi realizza un filtro. Se ad esempio considero il circuito di Figura 7.13 con R = 1 Ω e C = 1 F, ottengo per la (7.17) la seguente funzione di trasferimento F(s) = Diagramma di Bode Vout (s) , Vg (s) 1 , s+1 che realizza un filtro passa basso con frequenza di taglio pari a ωτ = 1 rad/s. La Figura 7.14 riporta i diagrammi di Bode del filtro considerato. Questa 7.4 l’amplificatore operazionale e il nullore 107 C R C vg t + + vout t - + Fig. 7.13: Amplificatore operazionale come filtro figura mostra il modulo (prima riga) e la fase (seconda riga) della funzione di trasferimento F(s). Bode Diagram 0 −5 Magnitude (dB) −10 −15 −20 −25 −30 −35 −40 Phase (deg) 0 −45 −90 −2 −1 10 10 0 10 Frequency (rad/sec) 1 10 2 10 Fig. 7.14: Diagramma di Bode del filtro considerato 7.4 l’amplificatore operazionale e il nullore L’amplificatore operazionale ha un comportamento molto simile al componente 2-porte ideale denominato nullore. Infatti, in relazione alla Figura 7.15 è facile notare che la coppia dei piedini invertente e non invertente si comporta come il nullatore, cioè differenza di potenziale nulla tra morsetti e corrente nulla di ingresso, mentre nulla possiamo dire sulla tensione o corrente al piedino di uscita, così come nulla possiamo dire alla coppia di morsetti del noratore. Lo scopo per cui è stato introdotto il nullore è proprio quello di modellare componenti con un comportamento quasi ideale, come è il caso dell’amplificatore operazionale o il transistore. In questo senso la configurazione dell’amplificatore operazionale invertente rappresentata in Figura 7.2 è equivalente al circuito in Figura 7.16, precedentemente esaminata nel paragrafo 2.3.2. L’analisi viene eseguita con procedura identica al caso dell’amplificatore operazionale. Anche in questo caso trovo la nota relazione tra tensione di ingresso e tensione di uscita: vout (t) = − R2 vg (t). R1 (7.18) Nullore e amplificatore operazionale 108 l’amplificatore operazionale v v i i0 - i + i vout 0 v0 - - + + v Fig. 7.15: Amplificatore operazionale e nullore. Come si deduce chiaramente la (7.18) coincide con la (7.3). R2 R1 0 vg t + + vout t - Fig. 7.16: La configurazione invertente con il nullore. Una dimostrazione analoga può essere fatta sostituendo ai due resistori R1 e R2 due impedenze Z1 e Z2 generiche, ottenendo, nel dominio di Laplace, la solita espressione, ormai nota Vout (s) = − Z2 Vg (s), Z1 (7.19) e la relativa espressione nel dominio dei fasori Vout = − 7.5 Z2 Vg . Z1 (7.20) il funzionamento interno Per completezza mostriamo in Figura 7.17 lo schema interno dell’amplificatore operazionale µA 741, prodotto dalla Philips. 7.5 il funzionamento interno Fig. 7.17: Circuito interno dell’amplificatore operazionale µA741 109 BIBLIOGRAFIA [1] C. K. Alexander e M. N. O. Sadiku. Crcuiti Elettrici. 4a ed. McGraw-Hill, 2014. [2] M. Guarnieri e A. Stella. Principi ed Applicazioni di Elettrotecnica. Vol. 1 e 2. Padova: Edizioni Progetto Padova, 2003. [3] F. Martinelli e M. Salerno. Fondamenti di Elettrotecnica. 2a ed. Vol. 1 e 2. Roma: Edizioni Siderea, 1995. [4] M. Panella e A. Rizzi. Esercizi di Elettrotecnica. 2a ed. Società Editrice Esculapio, 2014. [5] R. Perfetti. Circuiti Elettrici. 2a ed. Zanichelli, 2013. [6] G. Rizzoni. Elettrotecnica – Pincipi e applicazioni. 3a ed. McGraw-Hill, 2013. 111 A LA RISOLUZIONE DEI SISTEMI LINEARI L a seguente appendice è dedicata alla risoluzione dei sistemi lineari. Poiché in elettrotecnica, solitamente, si è interessati a determinare una sola grandezza elettrica è utile descrivere un metodo di risoluzione dei sistemi lineari che permetta di determinare una sola incognita, senza dover risolve l’intero sistema. Tale metodo è noto come metodo di Cramer e si basa sul calcolo del determinante di alcune matrici notevoli. a.1 la definizione di determinante Si cominci a considerare il caso di una matrice A di dimensioni 2 × 2. Si denota con aij ∈ R, con i, j = 1, 2, i coefficienti reali di tale matrice A= a11 a21 a12 . a22 Matrice (A.1) Allora si ha la seguente definizione Determinante matrice 2 × 2 Definizione 2. Si definisce determinante della matrice A data nella (A.1) e lo si indica con det (A) oppure con |A| il seguente numero reale: a |A| = 11 a21 a12 ≡ a11 a22 − a12 a21 . a22 (A.2) Il valore del determinante può essere un numero positivo, negativo o nullo. Nel caso sia nullo, la matrice A è detta singolare. La definizione precedente può essere estesa al caso di una matrice A di dimensione N × N. A tal proposito si deve introdurre il concetto di minore di una matrice. Matrice singolare Minore di una matrice Definizione 3. Si definisce minore della matrice A di dimensioni N × N rispetto all’elemento aij e lo si indica con Mij , il determinante della sotto-matrice di dimensioni (N − 1) × (N − 1) ottenuta da A eliminando la riga i-esima e la colonna j-esima. Dalla definizione di minore segue immediatamente la definizione di cofattore Cij , ottenuto moltiplicando il corrispondente minore Mij per (−1)i+j : Cij = (−1)i+j Mij . Cofattore (A.3) Il concetto di cofattore viene utilizzato per il calcolo del determinante di una matrice di dimensioni N × N. Scelta infatti una riga (o una colonna) della matrice A, diciamo la k-esima, il determinante |A| è ottenuto come la somma dei prodotti degli elementi di tale riga (o colonna) per i relativi 113 114 la risoluzione dei sistemi lineari cofattori. Supponendo di sviluppare il calcolo rispetto alla k-esima riga, si ottiene: |A| = N X akj Ckj . (A.4) j=1 Per il calcolo pratico dei cofattori Ckj , si applica la sua definizione in modo ricorsivo fino a raggiungere un minore di ordine due che può essere facilmente calcolato attraverso la (A.2). Ovviamente, nel caso in cui una riga (o una colonna) contiene molti elementi nulli, conviene calcolare il determinante rispetto a tale riga (o tale colonna), in modo da non dover esplicitamente calcolare i minori che sono moltiplicati per zero. Si provi ad applicare la (A.4) alla seguente matrice di dimensioni 3 × 3: a11 a12 a13 A = a21 a22 a23 . a31 a32 a33 Dalla (A.4), scegliendo ad esempio la prima riga, si ha direttamente a21 a22 a21 a23 a22 a23 |A| = a11 + a13 − a12 a31 a32 a31 a33 a32 a33 = a11 a22 a33 − a11 a23 a32 − a12 a21 a33 + a12 a23 a31 + a13 a21 a32 − a13 a22 a31 (A.5) = a11 a22 a33 + a12 a23 a31 + a13 a21 a32 − a31 a22 a13 − a32 a23 a11 − a33 a21 a12 Regola di Sarrus L’ultima coppia di linee della (A.5) consiste nel semplice riordino dei termini rispetto alla penultima coppia linee, in modo tale da dare una semplice interpretazione del determinante che fornisce una regola per il suo calcolo veloce, nota come regola di Sarrus. Infatti tale risultato può essere ottenuto riscrivendo la matrice A e aggiungendo sulla destra le prime due colonne della matrice: a11 a12 a13 a11 a12 a21 a22 a23 a21 a22 (A.6) a31 a32 a33 a31 a32 A questo punto il determinante nella (A.5) può essere calcolato come la somma dei prodotti degli elementi sulla diagonale principale e le sue due parallele e la differenza dei prodotti degli elementi sulla diagonale secondaria e le sue due parallele. Si veda un esempio di calcolo del determinante i una matrice attraverso la regola di Sarrus. Esempio A.1 Si calcoli il determinante della seguente matrice 3 × 3: 3 1 0 A = 2 4 1 . 5 3 −2 Si cominci con lo scrivere la matrice A assegnata nella forma (A.6) 3 1 0 3 1 A = 2 4 1 2 4 5 3 −2 5 3 a.2 il metodo di cramer 115 Si procede, quindi, con la somma dei prodotti degli elementi sulla diagonale principale e le sue due parallele e la differenza dei prodotti degli elementi sulla diagonale secondaria e le sue due parallele: |A| = 3 · 4 · (−2) + 1 · 1 · 5 + 0 · 2 · 3 − 5 · 4 · 0 − 3 · 1 · 3 − (−2) · 2 · 1 = −24. a.2 il metodo di cramer Si consideri il seguente sistema lineare di N equazioni nelle N incognite xk con k = 1, . . . , N: a11 x1 + a12 x2 + . . . + a1k xk + . . . + a1N xN = b1 , a21 x1 + a22 x2 + . . . + a2k xk + . . . + a2N xN = b2 , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . = .. (A.7) ak1 x1 + ak2 x2 + . . . + akk xk + . . . + akN xN = bk , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . = .. aN1 x1 + aN2 x2 + . . . + aNk xk + . . . + aNN xN = bN . Sistema lineare di N equazioni nelle N incognite Tale sistema può essere scritto in forma matriciale nel modo seguente a11 a21 .. . ak1 . .. aN1 a12 a22 .. . ... ... .. . a1k a2k .. . ... ... .. . ak2 .. . ... .. . ... akk .. . ... .. . ... aN2 aNk b1 x1 a1N x2 b2 a2N .. .. .. . · . = . , akN xk bk . . .. . .. .. bN xN aNN (A.8) che in forma compatta e con ovvio significato dei simboli, da (A.9) Ax = b. La matrice A è definita matrice dei coefficienti, il vettore x è definito vettore delle incognite mentre il vettore b è definito vettore dei termini noti. Utilizzando il metodo di Cramer, la k-esima soluzione xk del sistema precedente è data dal rapporto di due determinanti xk = |Ak | , |A| (A.10) dove |Ak | è il determinante della matrice ottenuta da A sostituendo la kesima colonna con il vettore dei termini noti b: a11 a12 . . . b1 . . . a1N a21 a22 . . . b2 . . . a2N .. .. .. .. .. .. . . . . . . |Ak | = (A.11) ak1 ak2 . . . bk . . . akN . .. .. .. .. .. .. . . . . . a a ... b ... a N1 N2 N NN Dalla (A.10) si evince immediatamente che il sistema (A.7) non ammette soluzioni se la matrice dei coefficienti A è singolare. Metodo di Cramer la risoluzione dei sistemi lineari 116 Esempio A.2 Si determini la seconda soluzione x2 del seguente sistema lineare di tre equazioni in tre incognite: x1 − x2 + x3 = 6, 2x1 + x2 − x3 = −3, x1 − x2 − x3 = 0. Si riscrive il precedente sistema in forma matriciale, ottenendo: 1 2 1 −1 1 −1 1 x1 6 −1 · x2 = −3 −1 x3 0 Applicando la regola di Cramer (A.10) si ottiene x2 = |A2 | , |A| dove i singoli determinanti, utilizzando la regola di Sarrus, valgono rispettivamente 1 −1 1 |A| = 2 1 −1 = −6 1 −1 −1 e 1 |A2 | = 2 1 6 −3 0 1 −1 = 12 −1 Dunque, la soluzione cercata è x2 = |A2 | 12 = = −2. |A| −6 B I NUMERI COMPLESSI L a seguente appendice è dedicata alla notazione e rappresentazione di un numero complesso. E’ infatti imprescindibile la conoscenza elementare dei numeri complessi e delle loro rappresentazioni per poter lavorare nel dominio fasoriale per la risoluzione di circuiti in regime permanente. Si rimanda a testi specialistici per un trattato esauriente sui concetti di numero e funzione complessi. b.1 la notazione Ogniqualvolta non è possibile esprimere il risultato di un’operazione in un dato insieme numerico, si è avuta l’esigenza di trovare un insieme più ampio e generale che consentisse di poter esprimere il risultato di tale operazione. E’ il caso, ad esempio, dell’introduzione dell’insieme dei numeri interi e razionali, data l’impossibilità di effettuare la differenza di un numero naturale maggiore da un numero minore o la divisione tra numeri non multipli tra loro. Analogamente, la necessità di dover esprimere grandezze tra loro incommensurabili (si pensi alla diagonale di un quadrato di lato unitario) ha portato all’introduzione dei numeri reali. Anche se l’insieme dei numeri reali sembra molto ampio, è facile trovare delle operazioni i cui risultati non sono esprimibili in questo insieme. Si pensi, ad esempio, alle seguenti semplici equazioni di secondo grado: x2 + 1 = 0 oppure x2 + 4 = 0. E’ subito evidente che le soluzioni di tali equazioni prevedano l’estrazione della radice quadrata di un numero negativo, operazione che non può essere effettuata nel dominio dei numeri reali. E’ infatti ben noto che il quadrato di qualsiasi numero (sia positivo che negativo) è sempre un numero positivo. La soluzione consiste nell’introduzione di un insieme numerico più ampio, definito insieme dei numeri complessi e indicato con C. b.1.1 Numeri naturali, interi, razionali e reali Numero complesso L’unità immaginaria Il punto di partenza per la definizione di un numero complesso, consiste nella definizione dell’unità immaginaria, indicata con la lettera j: Unità immaginaria Definizione 4. Si definisce unità immaginaria, e la si indica con j, la radice quadrata dell’unità negativa, ovvero √ j = −1 (B.1) Si noti che, di solito, in matematica l’unità immaginaria è indicata con la lettera i. Nelle scienze applicate, come l’ingegneria, si preferisce utilizzare, 117 118 Proprietà dell’unità immaginaria i numeri complessi al contrario la lettera j, per non creare confusione con la grandezza corrente elettrica di solito indicata con i(t). Con la notazione appena introdotta, le soluzioni alle precedenti equazioni saranno x = ±j e x = ±2j, rispettivamente. L’unità immaginaria j, gode di alcune proprietà notevoli. Innanzitutto, il prodotto dell’unità immaginaria con se stessa (ovvero il suo quadrato) vale −1: j · j = j2 = −1. (B.2) In più, poiché qualsiasi potenza può essere espressa come prodotto di un certo numero di fattori pari a j e j2 , il risultato di un elevamento a potenza dell’unità immaginaria può dare solo quattro risultati: ±1 e ±j. Ad esempio: j2 = −1, j3 = −j, j4 = 1, j5 = j, (B.3) 6 j = −1, j7 = −j, ... Un simile comportamento può essere ricavato anche per le potenze con esponente negativo. In particolare, è molto importante il valore dell’inverso dell’unità immaginaria: 1 = −j. j (B.4) Tale proprietà può essere enunciata nel modo seguente, molto utile nei calcoli: l’unità immaginaria j passa da numeratore a denominatore, o viceversa, cambiando segno. b.1.2 Parte reale e parte immaginaria Il numero complesso Un numero complesso z ∈ C è definito a partire da una coppia di numeri reali (a, b), che prendono il nome di parte reale e parte immaginaria del numero complesso z. In formule, quindi , il numero complesso z è indicato come z = a + jb. Operatori parte reale e parte immaginaria (B.5) Un numero complesso z può essere rappresentato sul piano (noto come piano di Argand-Gauss) come un vettore di vertici l’origine degli assi e il punto P di coordinate (a, b). Una rappresentazione grafia del numero z è fornita in Figura B.1. Esiste dunque un isomorfismo tra C e R2 . La parte reale a e la parte immaginaria b, costituiscono perciò le proiezione del numero complesso z sugli assi coordinati, che prendono dunque il nome di asse reale e asse immaginario, rispettivamente. Dato un numero complesso z è possibile estrarre la parte reale e la parte immaginaria, attraverso due operatori, noti come operatore parte reale, indicato con Re {z} e operatore parte immaginaria, indicato con Im {z}, e così definiti: a = Re {z} , b = Im {z} . (B.6) b.1 la notazione 119 Im P z a jb m b o a Re Fig. B.1: Rappresentazione grafica di un numero complesso nel piano di ArgandGauss. Al numero complesso z è possibile associare anche altre due quantità, come risulta evidente dalla Figura B.1, ovvero la lunghezza m del vettore OP, detta modulo del numero complesso z e l’angolo ϑ che il vettore OP forma con il semiasse reale positivo, detto fase del numero complesso z. Il modulo e la fase del numero complesso z sono anche indicati con |z| e ∠z, rispettivamente. Con semplici ragionamenti geometrici sul triangolo rettangolo formato dal vettore OP, e dalla parte reale ed immaginaria, è possibile ricavare le seguenti relazioni: p |z| = m = a2 + b2 , (B.7) b ∠z = ϑ = arctan . a Viceversa, dalla conoscenza di modulo e fase, è possibile ottenere la parte reale e immaginaria, attraverso le relazioni: a = m cos ϑ, b = m sin ϑ. (B.8) Un’altra quantità molto utile è data dalla seguente definizione: Complesso coniugato Definizione 5. Si definisce complesso coniugato di un numero complesso z, e lo si indica con z∗ , il numero z∗ = a − jb, (B.9) ovvero un numero con stessa parte reale di z e parte immaginaria cambiata di segno. Se si effettua la somma e la differenza di un numero complesso z con il suo coniugato z∗ , si ottiene rispettivamente z + z∗ = 2a, z − z∗ = 2jb. Modulo e fase (B.10) A partire dalle (B.10) è possibile ricavare l’espressione della parte reale a e della parte immaginaria b di un numero complesso, a partire dalla conoscenza di z e z∗ : z + z∗ a= , 2 (B.11) ∗ z−z b= . 2j 120 i numeri complessi Se effettuiamo il prodotto di z con il suo coniugato z∗ , si ottiene z · z∗ = (a + jb) · (a − jb) = a2 + b2 = m2 = |z|2 . Si trova cioè, che il prodotto di un numero complesso con il suo coniugato è pari al quadrato del suo modulo, ovvero in formule: z · z∗ = |z|2 . b.2 (B.12) le rappresentazioni Dalle nozioni introdotte nel paragrafo precedente, si evince che è possibile rappresentare un numero complesso z, ovvero il vettore OP nel piano di Figure B.1, in due modi distinti: Rappresentazione cartesiana 1. utilizzando le coordinate (a, b) del punto P, ovvero descrivendo il numero complesso z con una parte reale e una parte immaginaria: z = a + jb. (B.13) Questa rappresentazione prende il nome di rappresentazione o notazione cartesiana; Rappresentazione polare 2. utilizzando la lunghezza m del vettore OP ed il suo angolo ϑ con il semiasse reale positivo: z = mejϑ . (B.14) Questa rappresentazione prende il nome di rappresentazione o notazione polare. La trasformazione da notazione cartesiana a notazione polare e viceversa, viene effettuata attraverso l’uso delle (B.7) e (B.8), rispettivamente. Esempio B.1 Si trasformi in notazione polare il seguente numero complesso: z = 1 + j. Utilizzando le (B.7) si calcola il modulo e la fase di z p √ √ m = a2 + b2 = 1 + 1 = 2, ϑ = arctan b 1 π = arctan = arctan 1 = . a 1 4 Dunque si ottiene, √ π z = 2ej 4 . Si trasformi in notazione polare il seguente numero complesso: z = 3 − j2. Utilizzando nuovamente le (B.7) si calcola il modulo e la fase di z p √ √ m = a2 + b2 = 9 + 4 = 13, ϑ = arctan b 2 = − arctan . a 3 Dunque si ottiene, z= √ −j arctan 2 3. 13e b.3 la formula di eulero 121 Im P o Re Fig. B.2: Esempio di numero complesso con parte reale negativa. π Si trasformi in notazione cartesiana il seguente numero complesso: z = 3ej 3 . Utilizzando ora le (B.8) si calcola la parte reale e la parte immaginaria di z π 3 = , 3 2 √ π 3 b = m sin ϑ = 3 sin = 3 . 3 2 a = m cos ϑ = 3 cos Dunque si ottiene, z= √ 3 1+j 3 . 2 E’ necessaria un pò di attenzione nella trasformazione da rappresentazione cartesiana a polare, quando la parte reale del numero complesso è negativa. Infatti, applicando direttamente la seconda delle (B.7) si ottiene la fase π nell’intervallo [− π 2 , 2 ], ovvero si considera il vettore OP nel I o IV quadrante. Se la parte reale è, al contrario, negativa, il vettore OP giace nel II o III quadrante e bisognerà aggiungere alla fase valutata da (B.7) π (un angolo piatto). Una spiegazione grafica di tale concetto è illustrata in Figura B.2. Esempio B.2 Si trasformi in notazione polare il seguente numero complesso: z = −1 + j. π Utilizzando le (B.7) si calcola il modulo e la fase di z nell’intervallo [− π 2, 2] m= p √ √ a2 + b2 = 1 + 1 = 2, ϑ = arctan b π = − arctan 1 = − . a 4 Dato che la parte reale del numero z è negativa, aggiungendo π alla fase si ottiene infine z= √ j π− π √ 3π 2e ( 4 ) = 2ej 4 . Parte reale negativa 122 i numeri complessi b.3 Formula di Eulero la formula di eulero Al fine di semplificare i calcoli con i numeri complessi, è di notevole importanza la formula di Eulero, di seguito riportata: ejϑ = cos ϑ + j sin ϑ. (B.15) In modo del tutto analogo, ricordando che il coseno è una funzione pari mentre il seno è una funzione dispari, si può ricavare che e−jϑ = cos ϑ − j sin ϑ. (B.16) Sommando e sottraendo membro a membro la (B.15) e la (B.16), si ottengono le ben note formule: ejϑ + e−jϑ , 2 ejϑ − e−jϑ sin ϑ = . 2j cos ϑ = Identità di Eulero (B.17) La formula di Eulero da origine ad un’identità considerata tra le più affascinanti della matematica, nota come identità di Eulero, che mette in relazione tra loro i cinque simboli più importanti della matematica: ejπ + 1 = 0. Esempio B.3 Come esempio, si riporta il valore dei seguenti esponenziali complessi: √ π 2 π π (1 + j) . ej 4 = cos + j sin = 4 4 2 π π π ej 2 = cos + j sin = 0 + j1 = j. 2 2 √ 3π 3π 3π 2 j 4 (−1 + j) . e = cos + j sin = 4 4 2 √ π π 2 π (1 − j) . e−j 4 = cos − j sin = 4 4 2 √ π π 1 π ej 6 = cos + j sin = 3+j . 6 6 2 √ π π 1 jπ 1+j 3 . e 3 = cos + j sin = 3 3 2 e±jπ = cos π ± j sin π = −1 ± j0 = −1. (B.18) C TAV O L E L a seguente appendice è dedicata alla raccolta delle relazioni costitutive degli elementi di uso più comune e alla descrizione dei modelli degli elementi reattivi nel dominio di Laplace. c.1 le relazioni costitutive Si elencano per prima le relazioni costitutive dei bipoli fondamentali e quindi quelle dei doppi bipoli. Tutte le relazioni costitutive vengono fornite nel dominio del tempo. Le grandezze elettriche non esplicitamente legate dalle relazioni costitutive sono da considerarsi indefinite, nel senso che il loro valore numerico dipende dal resto del circuito. c.1.1 Bipoli fondamentali Seguono le relazioni costitutive dei bipoli fondamentali, partendo dai tre bipoli passivi per passare poi a quelli attivi. Per quanto riguarda le relazioni costitutive dei tre bipoli passivi (resistore, induttore e condensatore), poiché entrambe le grandezze tensione v(t) e corrente i(t) possono svolgere il ruolo di causa o effetto, vengono espresse entrambe le relazioni (tensione in funzione della corrente e, viceversa, corrente in funzione della tensione). Resistore i t Relazione costitutiva del resistore R + v t - v(t) = Ri(t), 1 i(t) = v(t) ≡ Gv(t). R Induttore Relazione costitutiva dell’induttore i t L + v t di(t) , dt Zt Z 1 1 t i(t) = v(τ)dτ ≡ iL (0) + v(τ)dτ. L −∞ L 0 v(t) = L - 123 124 tavole Condensatore Relazione costitutiva del condensatore i t C dv(t) , dt Z Z 1 t 1 t i(τ)dτ ≡ vC (0) + i(τ)dτ. v(t) = C −∞ C 0 i(t) = C + v t - Generatore indipendente di tensione Relazione costitutiva del generatore indipendente di tensione vg t i t - + v(t) = vg (t). v t + Generatore indipendente di corrente Relazione costitutiva del generatore indipendente di corrente ig t i t i(t) = ig (t). v t - + Corto circuito Relazione costitutiva del corto circuito i t v(t) = 0. - v t + Circuito aperto Relazione costitutiva del circuito aperto i t i(t) = 0. - c.1.2 v t + Elementi a due porte Si prosegue con le relazioni costitutive degli elementi a due porte, partendo dai componenti passivi per poi passare a quelli attivi. L’elenco è poi completato con le relazioni delle reti due porte rappresentate dalle matrice delle impedenze di corto circuito e delle ammettenze a vuoto. Induttori mutuamente accoppiati Relazione costitutiva degli induttori mutuamente accoppiati i1 t i2 t M + v1 t L1 - + L2 v2 t - di1 (t) di (t) +M 2 , dt dt di2 (t) di1 (t) v2 (t) = L2 +M . dt dt v1 (t) = L1 c.1 le relazioni costitutive 125 Trasformatore ideale i1 t Relazione costitutiva del trasformatore ideale i2 t n :1 + + v1 t v2 t - - v1 (t) = nv2 (t), 1 i1 (t) = − i2 (t). n Generatore di tensione controllato in tensione i2 t i1 t + + + v1 t v2 t Av1 t - i1 (t) = 0, Relazione costitutiva del generatore di tensione controllato in tensione v2 (t) = Av1 (t). - Generatore di tensione controllato in corrente i2 t i1 t + + + v1 t v2 t ri1 t - v1 (t) = 0, Relazione costitutiva del generatore di tensione controllato in corrente v2 (t) = ri1 (t). - Generatore di corrente controllato in tensione i2 t i1 t + + v1 t v2 t gv1 t - i1 (t) = 0, Relazione costitutiva del generatore di corrente controllato in tensione i2 (t) = gv1 (t). - Generatore di corrente controllato in corrente i2 t i1 t + + v1 t v2 t ki1 t - v1 (t) = 0, Relazione costitutiva del generatore di corrente controllato in corrente i2 (t) = ki1 (t). - Nullore + v1 t - Relazione costitutiva del nullore i2 t i1 t + 0 v2 t - v1 (t) = 0, i1 (t) = 0. Rete due porte di tipo Z i2 t i1 t + v1 t - + 1 Z 2 v2 t - v1 (t) = z11 i1 (t) + z12 i2 (t), v2 (t) = z21 i1 (t) + z22 i2 (t). Relazione costitutiva della rete due porte di tipo Z 126 tavole Rete due porte di tipo Y Relazione costitutiva della rete due porte di tipo Y i2 t i1 t + + i1 (t) = y11 v1 (t) + y12 v2 (t), v1 t - 1 c.2 circuiti equivalenti nel dominio di laplace Y v2 t - 2 i2 (t) = y21 v1 (t) + y22 v2 (t). Di notevole importanza sono i circuiti equivalente degli elementi reattivi nel dominio della trasformata di Laplace. Infatti, nella trasformazione di un circuito nel dominio di Laplace, è indispensabile sostituire i componenti reattivi con condizioni iniziali non nulle, con tali modelli. A tal proposito, nel seguito vengono illustrati i modelli equivalenti dell’induttore e del condensatore in questo dominio, quando le condizioni iniziali siano diverse da zero. Ognuno dei modelli è proposto nella versione serie e parallelo, la cui scelta dipende dal particolare metodo di analisi selezionato per risolvere il circuito in esame. Per completezza si riporta il circuito equivalente e le relazioni costitutive degli induttori mutuamente accoppiati nel dominio della trasformata di Laplace. Induttore Induttore nel dominio di Laplace Si riporta di seguito il modello equivalente in serie. I s Li 0 + sL V(s) = sLI(s) − Li(0). V s + - Segue il modello equivalente in parallelo. i 0 s I s I(s) = sL V s + 1 i(0) V(s) + . sL s - Condensatore Condensatore nel dominio di Laplace Si riporta di seguito il modello equivalente in serie. v 0 1 sC I s + + s V(s) = V s - 1 v(0) I(s) + . sC s Segue il modello equivalente in parallelo. Cv 0 I s 1 sC + V s I(s) = sCV(s) − Ci(0). - c.2 circuiti equivalenti nel dominio di laplace 127 Induttori mutuamente accoppiati Si riporta di seguito il modello equivalente degli induttori mutuamente accoppiati. I1 s L1i1 0 + Mi2 0 + sM Mi1 0 + L2i2 0 + I2 s + + V1 s V2 s sL1 sL2 - - V1 (s) = sL1 I1 (s) + sMI2 (s) − L1 i1 (0) − Mi2 (0), V2 (s) = sL2 I2 (s) + sMI1 (s) − L2 i2 (0) − Mi1 (0). Induttori mutuamente accoppiati nel dominio di Laplace D L I S TA D E L L E T R A S F O R M AT E D I LAPLACE L a seguente appendice elenca le proprietà principali della trasformata di Laplace. Inoltre, viene mostrata la lista delle principali trasformate di Laplace, cioè delle funzioni di uso comune nei circuiti elettrici considerati in questo corso. d.1 proprietà della trasformata di laplace Nome f(t)u−1 (t) F(s) Linearità αf1 (t)+βf2 (t) αF1 (s)+βF2 (s) Traslazione nel tempo e−t0 s F(s) Scaling f(t − t0 ) f at Derivazione df(t) dt sF(s) − f(0) Integrazione Rt 0 f(τ)dτ aF(as) F(s) s 129 130 lista delle trasformate di laplace d.2 lista delle principali trasformate di laplace f(t) F(s) Au0 (t) A Au−1 (t) A s Atu−1 (t) A s2 Aeαt u−1 (t) A s−α Ateαt u−1 (t) A (s−α)2 A n−1 eαt u −1 (t) (n−1)! t A (s−α)n sin(ωt)u−1 (t) ω s2 +ω2 cos(ωt)u−1 (t) s s2 +ω2 sin(ωt + θ)u−1 (t) s sin θ+ω cos θ s2 +ω2 cos(ωt + θ)u−1 (t) s cos θ−ω sin θ s2 +ω2 d.3 antitrasformata di laplace degli esponenziali complessi d.3 131 antitrasformata di laplace degli esponenziali complessi Merita una particolare attenzione il caso di antitrasformazione di una coppia di esponenziali complessi con poli (e quindi anche residui) complessi e coniugati. Tali esponenziali sono infatti associati alle funzioni trigonometriche, che rappresentano una vasta classe di funzioni utilizzate in elettrotecnica, soprattutto nello studio del regime permanente sinusoidale. A tal proposito, si antitrasformi la seguente somma di frazioni parziali: A A∗ , + s − p s − p∗ Coppia di poli complessi coniugati (D.1) in cui sia il residuo A che il polo p assumo, in generale valori complessi. Per semplicità, si ponga anche p = σ + jω, (D.2) A = mA ejϕA . Si è denotato, cioè, con σ e ω la parte reale e immaginaria del polo p, mentre con ma e ϕA il modulo e la fase del residuo A. Le singole frazioni parziali nella (D.1) possono essere antitrasformate utilizzando la seconda riga della tabella precedente. Utilizzando la (D.2), si ottiene quindi h i A A∗ pt ∗ p∗ t + = Ae + A e u−1 (t) s − p s − p∗ h i = mA ejϕA e(σ+jω)t + mA e−jϕA e(σ−jω)t u−1 (t) h i = mA eσt ej(ωt+ϕA ) + e−j(ωt+ϕA ) u−1 (t) = 2mA eσt cos (ωt + ϕA ) u−1 (t). La quarta riga è ottenuta dalla terza utilizzando la prima delle relazioni nella (B.17). La formulazione precedente, consente di esprimere direttamente l’antitrasformata cercata come segue A A∗ + ↔ 2mA eσt cos (ωt + ϕA ) u−1 (t). s − p s − p∗ (D.3) La (D.3) può essere ricordata mnemonicamente in modo semplice, in funzione della parte reale e parte immaginaria del polo, e del modulo e della fase del residuo. E’ possibile ricavare, in modo analogo, l’antitrasformata nel caso di polo multiplo, generalizzando la (D.3). In analogia alla sesta riga della tabella precedente, si ottiene rapidamente A∗ 2mA n−1 σt A + t e cos (ωt + ϕA ) u−1 (t). (D.4) n n ↔ ∗ (n − 1)! (s − p) (s − p ) Anche la (D.4) può essere ricordata mnemonicamente in funzione della parte reale e parte immaginaria del polo, e del modulo e della fase del residuo. Esempio D.1 Si antitrasformi la funzione: F1 (s) = s23+4 . La funzione F1 (s) assegnata può essere suddivisa in frazioni parziali come segue: F1 (s) = −j 34 j3 + 4 . s − j2 s + j2 Antitrasformata di una coppia di poli complessi coniugati Coppia di poli multipli complessi coniugati 132 lista delle trasformate di laplace Utilizzando le (D.2), si ottiene immediatamente che 3 , 4 π ϕA = − , 2 σ = 0, mA = ω = 2. Inserendo tali valori nella (D.3), si ottiene con semplicità f1 (t) = 3 3 π u−1 (t) = sin (2t) u−1 (t). cos 2t − 2 2 2 s+1 . Si antitrasformi la funzione: F2 (s) = s2 +2s+2 La funzione F2 (s) assegnata può essere suddivisa in frazioni parziali come segue: F2 (s) = 1 2 s + 1 − j2 + 1 2 s + 1 + j2 . Utilizzando le (D.2), si ottiene immediatamente che 1 , 2 = 0, mA = ϕA σ = −1, ω = 2. Inserendo tali valori nella (D.3), si ottiene con semplicità f2 (t) = e−t cos (2t) u−1 (t). Si antitrasformi la somma di frazioni parziali: F3 (s) = 1+j (s+2−j3)3 Utilizzando le (D.2), si ottiene immediatamente che √ mA = 2, π ϕA = , 4 σ = −2, ω = 3, n = 3. Inserendo tali valori nella (D.4), si ottiene con semplicità √ π f3 (t) = 2t2 e−2t cos 2t + u−1 (t). 4 + 1−j . (s+2+j3)3 INDICE ANALITICO µA741, 108 Ammettenza, 14 Risonante, 16 Amplificatore Operazionale, 99 Operazionale Ideale, 99 Amplificazione, 99 Antitrasformata di Laplace, 131 Asse Immaginario, 118 Reale, 118 Bilanciato, 35 Bode Diagramma, 106 Buffer, 106 Cofattore, 113 Collegamento in Parallelo, 2 in Serie, 1 Complesso Coniugato, 119 Condensatore nel Dominio di Laplace, 126 Conduttanza, 3 Configurazione Invertente, 100, 107 Non Invertente, 100, 101 Connessione in Parallelo, 2 in Serie, 1 Parallelo-parallelo, 48 Serie-serie, 41 Corrente di Corto Circuito, 21 Corto Circuito Corrente di, 21 Corto Circuito Virtuale, 99 Cramer Metodo di, 113 Derivatore, 105 Determinante, 113 Diagramma Bode, 106 Dimostrazione Teorema di Norton, 74 Teorema di Thevenin, 66 Elastanza, 9 Elemento Bilanciato, 35 Sbilanciato, 35 Fase, 107, 119 Fasore, 14, 117 Fattore di Merito, 17, 18 Filtro, 106 Passa Bassa, 106 Formula di Eulero, 122 Frequenza di Taglio, 106 Funzione di Rete, 106 di Trasferimento, 107 Generatore di Norton, 74 di Prova, 70, 76 di Thevenin, 65 Reale, 19 Identità di Eulero, 122 Impedenza, 14 Equivalente di Norton, 85, 90 Equivalente di Thevenin, 83, 89 Interna del Generatore, 22 Risonante, 16 Induttore nel Dominio di Laplace, 126 Induttori Mutuamente Accoppiati nel Dominio di Laplace, 127 Inertanza, 7 Ingresso Invertente, 99 133 134 Indice analitico Non Invertente, 99 Inseguitore di Tensione, 106 Integratore, 104 di Miller, 104 Invertente Configurazione, 100, 107 Laplace, 101, 103, 104, 108 Legge di Kirchhoff, 1, 2 di Ohm, 25 Linearità, 53 Maglia, 25 Massa Virtuale, 100 Matrice Ammettenze di Corto Circuito, 44 dei Coefficienti, 115 Impedenze a Vuoto, 37 Minore, 113 Singolare, 113 Metodo di Cramer, 113, 115 Minore, 113 Modulo, 107, 119 Non Invertente Configurazione, 100, 101 Noratore, 32, 107 Norton Impedenza Equivalente, 85, 90 Notazione Cartesiana, 120 Polare, 120 Nullatore, 32, 107 Nullore, 32, 107 Numero Complesso, 117 Numero Complesso, 117 Operatore Parte Immaginaria, 118 Parte Reale, 118 Parallelo, 2 Parte Immaginaria, 118 Reale, 118 Partitore di Corrente, 29 di Tensione, 26, 103 Periodo, 60 Piano di Argand-Gauss, 118 Porta, 35, 63 Positivo Semi-definito, 37 Potenza Attiva, 60 Attiva Incrociata, 60 Complessa, 59 Complessa Incrociata, 60 Disponibile del Generatore, 94 Incrociata, 56 Reattiva, 60 Principio Sovrapposizione degli Effetti, 53 Proprietà della Trasformata di Laplace, 129 Pulsazione di Risonanza, 16 Rappresentazione Cartesiana, 120 Polare, 120 Reattanza, 15 Regola di Sarrus, 114 Relazione Costitutiva Circuito Aperto, 124 Condensatore, 124 Corto Circuito, 124 Generatore di Corrente Controllato in Corrente, 125 Generatore di Corrente Controllato in Tensione, 125 Generatore di Tensione Controllato in Corrente, 125 Generatore di Tensione Controllato in Tensione, 125 Generatore Indipendente di Corrente, 124 Generatore Indipendente di Tensione, 124 Induttore, 123 Induttori Mutuamente Accoppiati, 124 Nullore, 125 Resistore, 123 Rete Due Porte, 125 Trasformatore Ideale, 125 Rendimento, 21, 22 Indice analitico del Trasferimento, 97 Resistenza di Ingresso, 100 di Norton, 74 di Thevenin, 65 Interna del Generatore, 19 Rete Bilanciata, 35 Sbilanciata, 35 Reti 2-porte, 35 Risonanza, 16 Sarrus Regola di, 114 Sbilanciato, 35 Serie, 1 Sistema Lineare, 113 Sommatore Pesato, 106 Stella, 10 Suscettanza, 15 Tensione a Vuoto, 22 Inseguitore di, 106 Teorema del Massimo Trasferimento di Potenza Attiva, 93 di Millman, 82 di Norton, 63, 73 Dimostrazione, 74 Metodo congiunto, 78 Metodo disgiunto, 75 di Sostituzione, 63 di Thevenin, 63, 65 Dimostrazione, 66 Metodo congiunto, 71 Metodo disgiunto, 67 Thevenin Impedenza Equivalente, 83, 89 Transistore, 107 Trasformata di Laplace, 129 Trasformata di Laplace Lista, 130 Proprietà, 129 Trasformazione dei Generatori, 80 Stella-Triangolo, 10 T-Π, 10 Triangolo-Stella, 10 Triangolo, 10 Unità Immaginaria, 117 Vettore dei Termini Noti, 115 delle Incognite, 115 Virtuale Corto Circuito, 99 Massa, 100 135 Michele Scarpiniti: Complementi di Elettrotecnica c 15 ottobre 2015 Questo testo è stato composto in LATEX, utilizzando la classe ArsClassica, una personalizzazione dello stile ClassicThesis ad opera di Lorenzo Pantieri (http://www.lorenzopantieri.net/LaTeX.html).