UNIVERSIT`A DI GENOVA - SCUOLA DI SCIENZE

UNIVERSITÀ DI GENOVA - SCUOLA DI
SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE
Corso di Laurea Triennale in
TECNICHE AUDIOPROTESICHE
Corso Integrato di Fisiologia e Biochimica
Modulo di Fisica Acustica
PROTESI ACUSTICHE ESTERNE: COMPONENTI BASE E
FUNZIONALITÀ
Il suono colpisce un microfono, il quale converte il segnale acustico in un debole
segnale elettrico. Detto debole segnale elettrico viene inviato ad un amplificatore, il quale
a sua volta genera un segnale elettrico intensificato (ed, eventualmente, opportunamente
elaborato) che viene trasmesso ad un autoparlante (receiver). Quest’ultimo converte il
segnale elettrico in un segnale acustico che, di norma, viene convogliato nel canale
dell’orecchio esterno mediante un auricolare. In certi apparecchi, idonei per determinati
tipi di deficit acustico, il segnale viene convogliato per via ossea attraverso il processo
mastoideo.
Il funzionamento del sistema richiede un apporto esterno di energia, la quale è fornita
da una batteria.
Il numero dei componenti risulta grosso modo lo stesso anche nelle versioni più
moderne e tecnologicamente avanzate delle protesi acustiche. Quella che cambia è la
modalità di amplificazione del segnale, che può attraversare fasi di conversione analogicodigitale (AD) e riceversa (DA), con elaborazioni numeriche intermedie del segnale digitale, tipiche delle moderne tecniche di signal processing.
Tra gli obiettivi di questi miglioramenti abbiamo la sostanziale eliminazione delle
distorsioni nella fase di amplificazione, l’incremento dell’intelligibilità del parlato per chi
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ha determinati deficit acustici su alcune frequenze, la riduzione degli effetti di recruiting
per chi ha gravi riduzioni del range dinamico di udibilità.
BATTERIE
Una batteria converte in energia elettrica energia immagazzinata sotto forma chimica.
Una batteria ha due terminali tra i quali è presente una differenza di potenziale che, a
terminali scollegati, vale f ed è detta forza elettromotrice (f.e.m.). Quando i terminali
della batteria sono collegati ad un circuito, la tensione ai capi della batteria scende
alla tensione efficace Vef f e la batteria fa fluire nel circuito una corrente I. In queste
condizioni nel circuito viene rilasciata una potenza elettrica P data da
P = Vef f I .
(1)
Nelle usuali protesi vengono usate batterie bottone che possono essere di diverse dimensioni, a seconda del livello di miniaturizzazione del dispositivo e della sua collocazione.
Dal punto di vista chimico si hanno batterie all’ossido di mercurio (???) e a zinco-aria.
CARATTERISTICHE DELLE BATTERIE
- Tensione efficace Vef f , che è la differenza di potenziale tra i terminali in condizioni di
lavoro. Il suo valore dipende dal tipo di batteria e, di norma, ha valori tra 1.3 V e 1.5 V
per batterie nuove o quasi nuove.
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- Capacità Q della batteria, che esprime la carica complessiva che la batteria da nuova
può far circolare nel circuito prima di esaurirsi completamente. Si scrive
Q=I T,
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dove I è la corrente di esercizio e T è la durata della batteria. Q viene espressa in
milliAmpere-ora (mAh). Determinate batterie di tipo zinco-aria possono arrivare a
capacità di circa 600 mAh.
- Durata T (in ore), che indica quante ore di lavoro può garantire una batteria nuova in
condizioni normali di esercizio. Per un assegnato apparecchio che assorbe la corrente I
(in mA), la durata T è data da
Q
(3)
T = .
I
La figura seguente indica le caratteristiche di scarica di alcuni tipi di batteria in condizioni standard di lavoro. Se ne ricava la loro durata T . Per ogni tipo è evidente
l’abbassarsi di Vef f a mano a mano che la batteria si va scaricando.
- Durata di immagazzinamento (in mesi). Indica entro quanti mesi dal momento della
fabbricazione la batteria è ancora in grado di offrire prestazioni standard, soprattutto
in termini di Q. Durante la fase di immagazzinamento (cioè dalla fabbricazione alla
vendita) non si dovrebbero avere perdite di capacità superiori al 10%.
MICROFONI
Il microfono è un trasduttore che converte energia acustica in energia elettrica. I microfoni hanno una membrana che entra in vibrazione quando viene colpita dalle onde
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sonore. Questa vibrazione permette la conversione dell’energia acustica in energia elettrica.
Esistono due categorie di microfoni. La suddivisione è basata su come l’onda sonora
agisce sulla membrana del dispositivo.
- Nei microfoni a pressione l’onda sonora agisce su un solo lato della membrana. L’altro
lato non è esposto al suono, ma è a contatto con una cavità in cui la pressione è tenuta
in equilibrio con la pressione ambiente mediante un piccolo foro (analogamente a quello
che succede con il timpano-orecchio medio-trombe di Eustachio). La membrana è posta
in vibrazione dalle minime variazioni di pressione (pressione acustica) agenti sul lato
esposto. Questi microfoni sono onnidirezionali.
- Nei microfoni a gradiente di pressione l’onda sonora agisce su entrambi i lati della
membrana, la quale viene messa in vibrazione dalla differenza di pressione che viene a
trovarsi tra le due facce. Questa differenza dipende dalla differenza di percorso che il
suono copre per colpire l’una o l’altra faccia. Questa differenza dipende dall’angolo con
cui il fronte d’onda colpisce il microfono. Questi microfoni sono direzionali.
Pertanto i microfoni direzionali hanno due aperture per l’ingresso del suono. Viene data
prevalenza al segnale sonoro corrispondente all’avanti rispetto al segnale corrispondente
al retro. L’uso di un microfono direzionale viene considerato realmente vantaggioso solo
nelle soluzioni in cui non è praticabile la soluzione biaurale. Nel caso di protesi bilaterali
il vantaggio di questi microfoni rispetto a quelli onnidirezionali è, di norma, modesto.
In base al meccanismo di trasduzione, i microfoni possono essere suddivisi in 5 categorie.
Microfono a carboni
Nel microfono a carboni le vibrazioni della membrana agiscono su granuli di carbone
che fanno parte di un circuito elettrico. La resistenza elettrica offerta dai granuli di
carbone dipende da come essi sono in contatto reciproco. Questo tipo di microfono ha
un’alta resa ed una caratteristica non lineare, che tende ad azzerare il rumore di basso
livello e va in saturazione per suoni particolarmente intensi. Questi microfoni risultano
particolarmente adatti alle comunicazioni telefoniche, ma meno ad altri scopi (???).
Microfoni a cristalli piezoelettrici
I microfoni a cristalli piezoelettrici sfruttano il fenomeno che determinati cristalli piezoelettrici (es. quarzo) producono segnali elettrici (sotto forma di tensione elettrica) se
sottoposti a stress meccanici. Esistono varie configurazioni in cui la vibrazione di una
membrana piega o contorce un siffatto cristallo. Questo tipo di microfoni ha un’elevata
impedenza e va accoppiato ad un opportuno tipo di amplificatore se non si vuole compro4
mettere la resa alle alte frequenze. Peraltro, si tratta di dispositivi abbastanza robusti
e stabili, con buona risposta alle basse frequenze.
Microfoni a bobina mobile
Nei microfoni a bobina mobile la membrana è meccanicamente connessa con una piccola bobina posta in un campo magnetico permanente. Le vibrazioni della membrana
prodotte dal suono fanno muovere la bobina nel campo magnetico e per la legge di
Faraday ai capi della bobina si manifesta una tensione proporzionale all’ampiezza delle
vibrazioni ed alla velocità cui cui la bobina si muove. In questo tipo di microfoni devono
essere evitati indesiderati fenomeni di risonanza. Inoltre la presenza di campi magnetici
estranei può essere all’origine di interferenze.
Microfoni capacitivi
Nei microfoni a condensatore (capacitivi) la membrana mobile è un’armatura di un condensatore. L’altra armatura è fissa. Quando il suono fa vibrare l’armatura-membrana
varia la capacità del condensatore. Si costruisce un circuito contenente una f.e.m., una
resistenza ohmica alquanto elevata ed il condensatore variabile di cui sopra. Quando un
suono pone in vibrazione la membrana, le conseguenti variazioni di capacità generano
una tensione variabile ai capi della resistenza. Questa tensione variabile è l’input per lo
stadio di amplificazione.
Microfoni ad elettreti
Con il termine elettreto s’intende un dielettrico che, dopo aver subito una polarizzazione
elettrica per essere stato esposto ad un campo elettrico, la mantiene anche quando
l’azione polarizzante è stata rimossa. È l’equivalente elettrico del magnete permanente.
Per il progettista di protesi acustiche questo tipo di microfono offre il vantaggio di
convertire il segnale sonoro in elettrico senza aver bisogno di alimentazione esterna.
In confronto ai microfoni capacitivi va più raramente incontro a cortocircuito, offre
ottime prestazioni in termini di rapporto segnale/rumore ed ha ottime caratteristiche
di risposta in frequenza. Nonostante (???) tenda a deteriorarsi con l’uso, questo tipo di
microfono è il modello più frequentemente utilizzato per le protesi acustiche in quanto
particolarmente adatto alla miniaturizzazione.
AMPLIFICATORI
Un amplificatore è un dispositivo circuitale che da un segnale di ingresso di bassa
intensità genera in uscita un segnale di maggiore intensità. Si indica come guadagno
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il rapporto tra l’intensità del segnale in uscita e quella dell’ingresso. Gli amplificatori
hanno sempre bisogno di un apporto esterno di energia (batterie !).
È utile classificare gli amplificatori in base a
- la grandezza elettrica che amplificano,
- il range di frequenza su cui operano,
- le impedenze di ingresso e di uscita,
- la classe di operatività.
In merito alla classe di operatività abbiamo le seguenti classi.
Classe A
La funzionalità di un amplificatore di classe A è illustrata nella figura seguente. Un’onda
sinusoidale viene amplificata in un’onda equivalente, ma il punto centrale di lavoro,
corrispondente a segnale nullo, corrisponde ad una corrente in uscita non nulla. Pertanto
questo tipo di amplificatore consuma la batteria anche in assenza di segnale. Nel caso
delle protesi acustiche questo rappresenta un grave inconveniente.
Classi B e AB
Un amplificatore di classe B di un’onda sinusoidale amplifica solo la parte positiva e
taglia quella negativa. In questo caso la corrente assorbita in assenza di segnale è nulla.
Quindi la batteria non si scarica quando l’amplificatore è acceso senza lavorare. Nel caso
di questi amplificatori si preferisce far corrispondere alla situazione di segnale nullo una
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piccola corrente (bias) poiché questa variante ne migliora le caratteristiche operative.
Gli amplificatori dotati di questa miglioria sono denominati di classe AB. Il consumo
energetico di B e di AB è quindi proporzionale all’intensità del segnale amplificato ed
è nullo (o quasi) in assenza di segnale. Il funzionamento di un amplificatore AB è
illustrato nella figura seguente.
Classe AB push-pull
Un ulteriore perfezionamento della classe AB è rappresentto dagli amplificatori AB
push-pull. Si tratta di un insieme di due amplificatori accoppiati, dove uno amplifica
la semionda positiva e l’altro la semionda negativa. L’uscita consiste nei due segnali
ricombinati. I vantaggi della classe AB push-pull consistono in
- migliore utilizzo degli elementi circuitali,
- maggiore efficienza,
- risparmio energetico in assenza di segnale,
- minori distorsioni grazie alla simmetria dell’accoppiamento.
Il consumo della batteria dipende dall’ampiezza del segnale in uscita ed è pertanto
controllabile dal controllo del guadagno (cioè del volume). La figura seguente illustra lo
schema di un amplificatore di classe AB push-pull.
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Classe D
Gli amplificatori delle precedenti classi danno un’uscita che ha sostanzialmente la stessa
forma (ingrandita) del segnale in ingresso ed hanno un’efficienza non molto elevata.
Negli amplificatori di classe D il segnale in ingresso è trasformato in impulsi mediante
l’addizione di un segnale ad alta frequenza (almeno 500 kHz). Con opportune strategie
si riesce a fare sı̀ che anche durante l’amplificazione di un segnale il circuito di amplificazione sia a tratti acceso o spento, con notevole risparmio della batteria. Con gli
amplificatori di classe D si ottengono notevoli guadagni con un’elevata efficienza.
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RECEIVER o ALTOPARLANTE
Il receiver o altoparlante è il trasduttore che svolge la funzione inversa rispetto a quella
del microfono: converte un segnale elettrico in acustico. Questa parte è la parte più
delicata di tutta l’intera protesi acustica. Problemi nascono dal fatto che deve produrre
un ampio spettro di frequenze.
Abbiamo dispositivi che trasmettono in aria ed altri che trasmettono per via ossea.
Quelli a trasmissione per via area si dividono in retroauricolari e endoauricolari. In quelli
retroauricolari un tubicino convoglia il suono nell’orecchio esterno. Quelli endoauricolari
si trovano già nella parte iniziale del condotto uditivo. Un piccolo forellino può eliminare
la sensazione di orecchio otturato.
I dispositivi che trasmettono per via ossea trasferiscono il segnale acustico applicando
vibrazioni al processo mastoideo.
CONTROLLI SUL GUADAGNO (VOLUME)
La maggior parte delle protesi permettono all’utente un controllo del livello di amplificazione. Di solito la regolazione viene eseguita mediante una rotellina zigrinata di
cui una parte fuoriesce dall’esterno dell’apparecchio. In altri modelli è disponibile un
telecomando.
L’intensità acustica che viene inviata all’orecchio in ogni caso non deve superare il limite di fastidio per l’utente e questo indipendentemente dal segnale esterno che colpisce
l’apparecchio. Il raggiungimento di questo obiettivo è ancora più critico nei soggetti
con severi deficit percettivi, per i quali il recruitment restringe drasticamente il range
di intensità accettabile (la soglia di udibilità troppo vicina alla soglia di fastidio). Esistono strategie per la limitazione automatica del segnale fornito all’utente. Vengono
denominate tecniche di compressione e fanno parte delle tecniche di signal processing.
In generale le tecniche di signal processing decidono la performance dell’apparecchio
ed il loro utilizzo nelle protesi più costose è particolarmente avanzato, con sofisticate
elaborazioni sulle frequenze e soppressione del rumore.
Nella figura successiva viene indicato lo schema di compressione per contrastare fenomeni
di recruitment.
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Esempio di peak clipping.
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Esempio di compressione più o meno graduale dell’uscita (input 40 dB e output 92 dB;
il guadagno nella zona lineare è di circa 50 dB)
Esempio di amplificazione con guadagno dipendente dalla frequenza. Viene illustrato
caso di in cui l’amplificazione delle alte frequenze è maggiore di quelle basse. Di fatto
al segnale in uscita è stato applicato un filtro taglia-basso.
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